Villetta alla periferia

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VILLETTA ALLA PERIFERIA

Commedia in tre atti

di ELIGIO POSSENTI

PERSONAGGI

Fernanda Gianfranchi

IL BARONE RINALDO ARTIERI

MARTINA GIANFRANCHI

SILVANO ARTIERI

NONO’

DONNA ANASTASIA

ROSINA

CATERINA

ANDREINA

CELESTINA

FRANCESCA

TERESA

GIORGETTA

A Milan. Oggi

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

A Milano, in un appartamento moderno di una villetta a un piano della periferia. La scena rappresenta la stanza comune, arredata con un « novecento » decoroso, con tele­fono e un bell'apparecchio radiogrammofono alto, a mo­lale. Su un tavolo un bastone. Nell'angolo di destra un pianoforte. Quando si alza il sipario, la scena è vuota: la finestra in fondo, ad ampio rettangolo, situata in una nicchia sporgente, ha la griglia calata, ma con le stecche socchiuse, in modo che la luce entri ugualmente. Una nona u destra e una a sinistra. E' un tramonto di luglio.

Fernanda                       - (entrando seguita da Martina e da Nono) Auff! Che caldo! (Siede, depone il cappello che già te­neva in mano sul canapè e si fa vento con le mani) Sono a bollore!

Martina                         - Io sono esausta! (Lancia il cappellino che teucra i;i mano su una poltrona, e si lascia cadere su un'altra poltrona) Aah! Come si sta bene qui! (Allunga e incile in mostra le gambe).

Nono                             - (molto elegante, senza cappello) Bello pranzar fuori; ma poi si sconta. C'è la strada da fare, dalla trat­toria a casa... e con trentadue all'ombra... (Si fa vento con un giornale).

Fernanda                       - Avete ancora sete?

Martina                         - Io da morirne; ma non bevo.

Nono                             - Perdinci, che tempra!

Martina                         - Sono sudata, mi preme la salute.

Nono                             - Io invece ho sete e vado a bere. (Esce a desini).

Fernanda                       - (o Martina) Ma sta composta!... Sempre i«n le gambe all'aria!

Martina                         - Non c'è nessuno!

Fernanda                       - Lo so, ma troppe gambe in libertà... Non mi piace, lo sai che non mi piace... Si usa, sì... ma questa usanza almeno, lasciala alle altre.

Nono                             - (rientra) Ah, come mi sento ristorata! Proprio vero che i desideri non si devono mai mortificare.

Martina                         - Io, come vedi, li ho mortificati.

 Nono                            - Per l'acqua; gran merito! Ma per il resto...

Fernanda                       - Che resto? Che resto? Che diavolo dici?

Nono                             - Niente, non dico niente.

Martina                         - Non ci badare, mamma. (Pungendo) Lei fa la vita elegante, e impara le arie dei... vitaioli!

Fernanda                       - (a Nono) Certo che col tuo mestiere di indossatrice...

Martina                         - Uuuh! Che dici, mamma? Arte, arte! Nono non tollera che si chiami «mestiere », il suo. Non solo è vitaiola; ma orgogliosa.

Nono                             - (irritata) Sono come sono, e non devo piacere a te.

Martina                         - Si capisce, che non devi piacere a me; io non frequento le pasticcerie di lusso.

Fernanda                       - E non la smettono, veh! Nono è da un anno nostra ospite e sempre vi punzecchiate. Cosa c'è? C'è qualche ragione di gelosia, a volte? Se me ne ac­corgo io, perdiana!... Guardate piuttosto quanta luce an­cora e sono le nove! Apriamo la finestra?

Nono                             - Nooo! Si sta tanto bene cosi. Par di sentire meno caldo. E' un'illusione, lo so; ma io vivo di illu­sioni. Tutte le volte che indosso un vestito per metterlo in mostra, mi pare mio; e proprio quando mi pare mio, me lo devo togliere.

Martina                         - Attenta, eh! Vestirsi e svestirsi, ohibò! Pericolosa abitudine!

Nono                             - Sméttila, se non vuoi che io...

Martina                         - (mettendosi sulla difesa) ...Che tu cosa?

Nono                             - (dominandosi, con malizia) So io!

Fernanda                       - Eeeh!... Basta, eh! Si vede proprio che non vi stancano col lavoro, altrimenti risparmiereste il fiato. Nella mia bottega, invece, non ho respiro. Pare che le clienti non facciano che cambiar cappellini. Ora a cono, ora a cestello, ora a tubo, ora a disco... E buon per me, per noi, che li cambiano: ci si guadagna bene; non si diventa ricchi, no, ma insomma... con quel che ha lasciato il tuo povero babbo, ci si vive. Anche tu, Martina, se m'aiutassi, ci vivresti benissimo senza con­fonderti con le macchine da scrivere.

Nono                             - (con ironica ammirazione) Ma lei fa la dattilo­grafa! Che lussi! .

Fernanda                       - Con quel che piglia: cinquecento lire al mese!

Nono                             - (con vanteria) A me la Sartoria Franziani ne dà cinquecentocinquanta!

Martina                         - (pungendo) Caspita: quasi come Greta Garbo!

Fernanda                       - Del resto  (a Nono) cara Nono... (S'inter­rompe) Chissà poi perché ti fai chiamare Nono!

Nono                             - Ma, zia... Nono è la mia difesa: se qualche farfallone mi tenta: « Signorina, vi chiamate ?» io ri­spondo « Nono ». E mi salvo.

Martina                         - Io, invece, sono Martina e non cambio... Nono o Sisì, sempre Martina.

Fernanda                       - A te, non dubitare, sto addosso io. Niente « Sisì »... Due mani, eccole qua... due schiaffi li saprei dare anche ai farfalloni... Ma tu sei una brava figliola vero?.... Sì, all'esterno va bene, non dico niente... Sei giovane: puoi far mostra delle tue bellezze... Ma, dentro, niente vernici, smalti, colori... dentro si ha da restar pu­liti... o quasi... E per te, levo anche il quasi. E perciò ti vigilo... Tu non te ne accorgi, ma vicina o lontana, io so tutto... sempre! (Con una carezza che è quasi uno schiavetto) Va, bambinona, non so nulla. (Le prende il volto tra le mani e la guarda) E poi, che avrei da sa­pere? (Lasciandola e rivolgendosi a Nono) Di Nono, forse... Per Nono, non metto la mano sul fuoco.

Nono                             - E ti sbagli! Le puoi mettere, tutte e due... Domanda in sartoria... Ah, a proposito, sapete chi ci ho visto oggi, in sartoria?

Martina                         - La conosco?

Nono                             - Altro che!

Fernanda                       - Anch'io? E' una mia cliente?

Nono                             - No: niente clienti.

Martina                         - Ho trovato: la moglie del mio principale. So che gira tutte le sartorie, ruba i modelli con gli occhi e poi se li combina lei con una sartina... E' lei?

Nono                             - No. E' una che fa come lei - ce n'è tante - ma non è lei. E'... non indovinereste mai: donna Ana­stasia, l'inquilina del pianterreno.

Martina e Fernanda       - Nooo!...

Nono                             - Sii! Proprio lei! E' rimasta in sartoria per due ore: e ha detto alla mia padrona che ripasserà.

Martina                         - Sì, quando pioverà rosso.

Fernanda                       - Mi par di vederla. Lei, tutta ciccia, che pensa al modo di vestirsi bene spendendo poche palan­che... Perché la nobiltà ce l'hanno, ma a soldi stanno male... E lui, suo fratello, il barone, il barone Rinaldo, pallido, elegante, sbarbato, che non esce mai per non dare un centesimo al bar o consumare gli scarpini...

Nono                             - Mentre il meglio mobile di casa, sta di casa al cinema.

Fernanda                       - Ah, il baronetto. Silvano! Bel nome di saltimbanco.

Martina                         - (quasi a difesa) E' un nome come un altro.

Fernanda                       - Peggio di un altro. Costoro hanno tutto peggio.

Nono                             - Ahi! Chiedo scusa.

Fernanda                       - Scusa di che? Perché hai tirato in ballo i nostri coinquilini?

Martina                         - Sii precisa, mamma: non coinquilini: con­dòmini, condòmini!

Nono                             - Giusto: condòmini! Ti ricordi quel che diceva il povero zio? «Condòmini è il peggiorativo di coinqui­lini »... E per fortuna ne hai uno solo.

Fernanda                       - Ma uno ne può valere dieci. Questo, qui sotto, il caro barone Artieri, ne vale venti. Caro! Sempre più caro! Ora lancia ogni tanto contro il soffitto, proprio qui sotto, un pallone del calcio.

Martina                         - (quasi a difesa) Ma per ginnastica. Il por­tinaio mi ha detto che al barone Artièri l'ha ordinato il mèdico.

Fernanda                       - Ah, sì? E a me, sai che m'ha ordinato il medico? Mi ha ordinato di picchiare il pavimento con un bastone (afferra il bastone), così... (fa per picchiare).

 Nono                            - (fermandola) Per carità! Se no si scatenai finimondo!

Fernanda                       - (disperata) Quando mai tuo padre ha com­prato questo appartamento! Io gliel'avevo detto: «no, no e no ». E lui, ostinato... Non mi ci posso vedere.

Martina                         - Ma no, mamma, ci si sta così bene. In mia sera come questa, ad esempio... 27 luglio... immagina quelli che stanno nel centro della città! Invece noi, alla periferia, con la vista dei campi... Quando s'accende la lampada della strada ci si vede quasi come di giorno.

Nono                             - Già, e noi ci godiamo il panorama a persiane chiuse!

Fernanda                       - Hai ragione. Questo è il momento di aprirle. Il sole sta per calare... (Va ad aprire, vede la finestra ostruita dalla cima di un pino) Oh! E questo?.

Martina e Nono             - Cos'è? Cos'è...

Fernanda                       - (prorompendo) Siamo da capo. Questo è un altro tiro del caro barone. Un pino! Un pino chi ostruisce tutta la finestra e ci toglie l'aria.

Martina                         - Ma quando ce l'ha messo? Ieri sera noi c'era.

Fernanda                       - Non ho mai sentito dire che i pini crescano svelti come i foruncoli. (A Martina) Ma tu ette esci dopo di me, stamani non te ne sei accorta?

Martina                         - Stamani non c'era. Sono andata io alla fi­nestra...

Fernanda                       - (sospettosa) Che sei andata a fare alla fi­nestra? Oh, di': non ci sarai mica andata per quel bel l'imbusto che sta laggiù nella casa d'angolo, eh? L’ho sorpreso più volte che mirava qui col binocolo.,, un binocolo grosso come un telescopio.

Martina                         - Mirava me? Avrà mirato Nono.

Fernanda                       - (a Nono) Ah, sei tu che...

Nono                             - (a Fernanda) Non pigliartela con me, eh? Sei irritata col barone Artieri e vuoi rivalerti su Martina! Fa pure: è tua figlia. Ma me, non mi seccare!

Fernanda                       - Meno arie, la mia cara artista. Telescopi o non telescopi, in casa mia si riga diritto. Impara di Martina.

Nono                             - Bel capo! (E ci ride).

Fernanda                       - Perché ridi? Non si conduce bene?

Nono                             - Chi dice di no ? Non dico mica niente, io!

Martina                         - Io sì: io ho da dire che se la mamma pagasse meglio il portinaio, non si arriverebbe a quelli risultati!

Fernanda                       - Io, pagar meglio? E' lui, lui, quello di sotto, che ha sempre rifiutato di concorrere alla spesa di portineria... (Guardando la finestra) Un albero! Se non ci si difende, un bel mattino ci si sveglia in piena foresta vergine!

Nono                             - Scusa, zia; se ti calmassi; se ragionassi...

Fernanda                       - No! Quando si offende la giustizia io non ragiono. Non posso sopportare che si offenda li giustizia. Già, voialtre, non sapete aiutarmi. (A Nono) Che arte e arte! (A Martina) E a te, che ti serve scrivere a macchina? (A tutte e due) Qui vi voglio, in piena lotti. (Minacciosa) Ah, si ricomincia? Si ricomincia! Per uni che me ne fa, gliene farò quattro... Ma di quelle!... Mi di quelle! (Siede, si prende la fronte tra le mani) Li­sciatemi riflettere!

Martina                         - (con tono di rimprovero) Mamma

Fernanda                       - Sta zitta, tu!... Sudo come un ciclista in salita! (Si fa vento).

Nono                             - Calmati, zia!

Fernanda                       - Silenzio. Lasciami fare! (Si alza) Venite qui e aiutatemi! (Si avvicina al mobile radio) Spingia­molo sotto la finestra. (Eseguiscono) Ecco. Ora gli rovino i timpani. (Apre tutta la radio da cui si scatena un fra­goroso jazz).

Martina                         - (abbassa la radio) Però, scusa; forse si potrebbe aspettare... Chissà, ci sarà una spiegazione.

Fernanda                       - Aspettare che? Che mi devi un tubo dell'acqua potabile e ci inondi la casa? Che ci fori la canna del gas?  Che faccia convergere tutti i fulmini del primo temporale sui fili delle nostre lampade? Quello è un barone litigioso, e arrabbiato con tutti a cominciare dai suoi antenati che gli hanno divorato il patrimonio e l'hanno costretto a trovarsi un impiego! No, cara; niente aspettare. Prendere un po' di fiato   - (siede) questo sì. (Una piccola pausa, si domina, si fa vento, si calma) Si fa a chi schiatta prima; ecco tutto. (Si alza e riapre tutta la radio; ma dopo un momento che la radio suona, un sasso è lanciato dalla finestra nella stanza, avvolto in un loglio di carta) Oooh!

Nono                             - (raccattandolo) E' un messaggio.

Fernanda                       - E' una sassata!

Nono                             - Una sassata con un messaggio.

Fernanda                       - Vediamo. (Abbassa la radio).

Martina                         - (lo strappa a Nono) Dà a me. (Lo apre e legge) « 0 la smettete di disturbare il vicinato, o chiamo la guardia notturna ».

Fernanda                       - Ah, mi vuol spaventare? Datemi una ma­tita... un pezzo di carta. Ecco - (scrive): « Anche se mi mandate un corpo d'armata, farò musica fino alle ore ventitré. Studiate i regolamenti! ». (Avvolge col foglio lo stesso sasso e lo butta dalla finestra) Almeno fosse sotto a passeggiare!

Martina                         - E ora farà peggio di prima.

Fernanda                       - Che volevi? Che gli mandassi i cioccolatini? Anzi, guardate: gli voglio offrire un altro con­certo. (E preso il bastone si dà a picchiare sul pavimento) Strumenti a percussione. (Picchiando) Uno, due, tre, quat­tro... Voglio arrivare al mille!

Nono                             - Ma, zia, ti prenderanno per una scriteriata... Ti ha offeso, con quel coso?... Ti impedisce la visuale? E tu fa valere i tuoi diritti... ma così no; così sono di­spetti indegni di te.

Fernanda                       - Dispetti, sì. Sono quel che vogliono es­sere. Mi dispiace di non avere la fantasia di un piro­tecnico, per inventarne altri, più... complicati, più... fa­stidiosi, clamorosi, fragorosi e detonanti. Mi spiace dì essere una povera donnetta qualunque, di possedere ap­pena quella dose d'estro che basta per confezionare un cappellino... Questo mi spiace, capito?

Nono                             - Scusa, ma...

Fernanda                       - (a Nono) E se non ti garba, sai come re­golarti... A tua madre poi, penserò io a spiegare le cose... e le dirò anche dell'altro... Sai, le voci corrono, e dai laboratori delle sarte, passano anche a quelli delle mo­diste... Invece di dar consigli a me, tienli per te: farai meglio! E tu, Martina, riapri la radio! Riapri subito la radio! (Martina non si muove) Obbedisci, ti dico!

Martina                         - (va alla radici, la riapre, nuovo fragore di jazz; poi guarda alla finestra e si ritrae spaventata. Chiude la radio e si rivolge agitata) Il barone! Il barone! Viene su... l'ho visto che infila la scala.

 .Nono                           - (corre alla finestra, si sporge e ritorna agitata anche lei) Sì sì, è lui... sale... Per fortuna, la scala è esterna e si vede... altrimenti ci piombava addosso all'improvviso...

Martina                         - (sempre agitata) Dio mio, sarà furibondo.

Nono                             - Può darsi che venga a far le scuse, o perlo­meno a spiegare...

Fernanda                       - (inquieta, ma si domina) No, questo no; non è possibile... E' un diavolo scatenato. Lo conosco bene io!

Martina                         - (corre alla finestra e guarda ancora spaven­tata) Deve essere alla porta! (Trillo lungo e rabbioso di campanello).

Nono                             - (con spavento) Eccolo! (Corre a rifugiarsi dietro la radio, tra questa e la finestra).

Martina                         - (corre o rifugiarsi dietro il pianoforte).

Fernanda                       - Ohe, ragazze, non avrete mica paura! Macache! Eccole lì!... Buone a blaterare, e poi, al momento del pericolo... Bell'aiuto!

Rosina                           - (entra d'impeto, con la voce tremante) C'è... il barone Artieri. Lui in persona. Vuol parlare alla si­gnora. Ha tanto d'occhi!

Fernanda                       - Non siamo in casa!

Martina                         - (do dietro il pianoforte) Ma no, ma no…Come si fa a dire che non siamo in casa con quel chiasso!

Nono                             - (da dietro la radio) Può sentirsi poco bene... e venire a domandare...

Fernanda                       - Quello crepa di salute!

Martina                         - Correva, su per le scale. E' infuriato, è infuriato!

Nono                             - O forse non sta bene la sorella.

Rosina                           - E allora? Che gli dico?

Fernanda                       - Avanti! Che venga! (Rosina esce) Che venga! Avete sentito? «Che venga»! Cosa crede? Perche siamo donne! (E si va a mettere dietro il tavolo, poggian­dovi le mani e protendendo U busto e la faccia in atteggiamento di difesa).

Rinaldo                         - (entra, calmo, sorridente. Indossa un abito di vivace colore e di linea elegante. S'inchina pur non na­scondendo un atteggiamento timidamente allarmato) -Disturbo?

Fernanda                       - (aggressiva, gridando) No... Sì... (Deciso) Sì! sì! sì! Che volete?

Rinaldo                         - (con calma e signorilità) Ssst! Piano! Più piano. Non posso sopportare i discorsi ad alta voce. Perché tutto si può fare, ma con garbo e soprattutto senza rumore... Io non sopporto i rumori. Figuratevi! Io metterei le scarpe di bambagia anche alle mosche (A Fernanda) Voi, signora - signora Fernanda, vero? non siete nevropatica?

Fernanda                       - No!

Rinaldo                         - Strano... tutto il mondo lo è e voi...

Fernanda                       - (sulle difese) E io no. Si vede che io non sono mondiale... ma se qualcuno pensasse di farmi diventare... questo qualcuno si sbaglia.

Rinaldo                         - (sempre gentile, quasi con compatimento) Naturalmente. Perché siete come posso dire? refrat­taria alle vibrazioni...

Fernanda                       - Ah, io sono refrattaria?... E voi sapete cosa siete? Siete un maleducato. (Martina e Nono scompaiono dietro le loro difese).

Rinaldo ------------------ - (sempre sorridente) Io maleducato? Ma io sono Monsignor della Casa risuscitato. Anzi mi trovo a disagio tra i miei contemporanei, - sapete che non ce li scegliamo noi e quel che capita, capita - perché premono, urtano per sorpassarsi, in strada come in uf­ficio, per comprare il biglietto alla stazione come per far carriera. E per questo io non ho fatto carriera. A cinquant'anni... (Martina e Nono, riappaiono) Non mi ver­gogno di avere cinquant'anni... Milioni di uomini e anche di donne li hanno... A cinquant'anni sono capo ufficio alle Ferrovie dello Stato. Non è un regno, signora; è un tavolo: un tavolo con un penna, due matite, una rossa e una blu, e molti moduli da riempire... Le Ferrovie cor­rono e io sto fermo... Ora, può un uomo maleducato ri­manere sempre al suo posto? Eh, no! Perché se uno è ma­leducato, è anche insopportabile e allora tutti collaborano, amici e nemici, a farlo rimuovere, cioè promuovere; e io a quest'ora sarei capo sezione, capo divisione, forse diret­tore generale... insomma, sarei assai più di quello che sono. E allora, signora Fernanda - Fernanda, vero?  (Fernanda non risponde), grazie, Fernanda: e allora, signora Fernanda, come potete definirmi così, voi che non mi vedete mai? Qui poi, nel vostro appartamento, ci metto il piede per la prima volta, e Dio sa con quanto entusiasmo!

Fernanda                       - Non occorre vedervi. Basta sentirvi!

Rinaldo                         - (sempre sorridente) Che dite, signora? Posso sedere? No? (Siede) Grazie. Parola d'onore, mi sembra che parliate di un altro. Ma, io, sono la vittima. Io, ho il diritto di lamentarmi. Non voi. Abbiate pa­zienza, degnatevi di ascoltarmi...

Fernanda                       - (lascia il suo posto dietro il tavolo, gira davanti e ci si appoggia).

Nono                             - Brava zia, che lo stai a sentire.

Fernanda                       - (irritata) Per forza lo sto a sentire... Parla in un certo modo... Avrei preferito una sfuriata... Così sono disarmata.

Rinaldo                         - Dite un po', signora Fernanda, in questa casa chi c'è venuto prima, io o voi?

Fernanda                       - Voi, ma che importa!

Rinaldo                         - Importa moltissimo. Perché resta pacifico ch'io sono stato il primo occupante. Eh, ci son venuto due anni prima di voi. Un amico, è stato un amico, dieci anni fa, il quale era a sua volta amico d'un cu­gino del costruttore di questa villetta... Costui abitava nel centro della città e se l'era costruita in segreto, per fare una sorpresa a sua moglie. Così fu. Costruita la villetta, col pianterreno dove sto io, e il primo piano dove state voi, disse alla moglie: «Sai, Giuseppina» -si chiamava Giuseppina -, « ti ho preparato una bella casetta; un nido ». « Dove? » dice lei. « Alla periferia » risponde lui gongolante. «Neanche se mi ci leghi! » esclama Giuseppina. « Io non abiterò mai così lontano. Stiamo in centro? Si resta in centro! ». Non bisogna mai fare sorprese alle mogli. E allora, vendita della vil­letta ; e siccome un compratore solo, di tutta quanta, non l'ha trovato, l'ha venduta a due: a noi due. Prima a me e dopo a voi.

Fernanda                       - Non a me; a mio marito, buon'anima.

Rinaldo                         - - Ebbene, vostro marito buon'anima, ha abitato qui per otto anni e mi ha fatto otto anni di liti.

Fernanda                       - Lui?... Voi! Voi le avete fatte.

Rinaldo                         - (sempre cortese) Siete inesatta! Lo dirò qui alle signorine. Ma prima, una domanda anche a loro. Signorina Nono - Nono, vero? Avete qualcosa di lamentare sul mio conto?

Nono                             - No, signore.

Rinaldo                         - Vi ho mai guardata in modo meno che rispettoso?

Nono                             - No, signore.

Rinaldo                         - E Dio sa se ci sarebbe di che guardate.,,! Forse che mio figlio?

Nono                             - No, no. ,

Rinaldo                         - E voi signorina Martina, avete qualche accusa da farmi? Vi ho mai sussurrato qualche parolina.,,' capita, capita anche ai capo uffici... eh, dite?

Martina                         - No, signore; mai.

Rinaldo                         - Dunque le signorine sono fuori causa.

Fernanda                       - (irritata) Ma la causa, quella che ci è costata fior di biglietti da mille l'avete voluta, provocata voi, col vostro bizzarro contegno.

Rinaldo                         - (sempre sorridente) Contegno bizzarro! Giudicate voi, signorine, voi che essendo fuori causa potete fare da giudici... Oh, non che io qui, adesso, voglia istruire un processo...

Fernanda                       - Ma se è la vostra mania!

Rinaldo                         - (sempre sorridente. A Fernanda) Aaah, voi lo dite per l'automobile. (A Nono e Martina) ...Le sapete? Forse non lo sapete. Be', un giorno ho comprate l'automobile, perché si ha un bel sognare la periferia, la campagna, il profumo della campagna, ma la di­stanza!... La sera torno dall'ufficio sulla macchinetta, - non nuova, di quinta mano... (con rancore) i miei avi andavano col tiro a quattro, accidenti a loro! entro nel giardinetto e poi mi corico. Non avevo fatto mai un sonno così profondo; cioè, sì, un'altra volta, oh molti anni fa... a una conferenza sulla « Crisi del teatro ». La mattina dopo, una lettera; me la son riletta tante volte che la so a mente. Diceva: «Egregio signore, voi adoperate il giardinetto di comune proprietà come vostra rimessa. O levate la macchina o ve la mangio con una causa». Firmato: «Tino Gianfranchi», buon'anima. Buon'anima ce lo metto io. Ora ditemi, signorine, che avreste fatto voi?

Fernanda                       - Lui se la fa, lui se la dice e mette le cose in su e in giù come gli pare. Mescola le carte e pasticcia. La mise, lui, a bella posta la macchina nel giardinetto... per far dispetto a mio marito... per ingom­brare e lasciarci la puzza...

Rinaldo                         - Invece no, dopo dieci anni, otto con vostro marito e due senza, si può ben dire: ero venuto qui per stare tranquillo.

Fernanda                       - Quando eravate il solo inquilino, può darsi, ma dopo...

Rinaldo                         - (scattando in piedi) Ma dopo, è stata un'altra musica! Citazioni, avvocati, e la macchina sì e la macchina no, e due anni di cause, tribunali, Corte di Appello, e ancora tribunali e fogli di carta bollata e fogli di carta da mille, e infine l'obbligo di mettere la mia macchina in una rimessa fuori di casa mia, per il diavolo! (Si rimette a sedére e si asciuga la fronti e si calma. Una pausa).

Fernanda                       - (con sferzante ironia, ma contenendosi) Mah! Segno che la logica era dalla nostra.

Rinaldo                         - (sorridente, ma dominando la collera) Volete dire il sopruso!...

Fernanda                       - La legge! La legge!

Rinaldo                         - Che legge! Non avete voluto sentir ra­gioni...

Fernanda                       - Sfido, non ne avevate!

Rinaldo                         - E io ho dovuto vendere la macchina per pagare l'avvocato...

Fernanda                       - E mio marito s'è ammalato di fegato!

Rinaldo                         - Ma, più fortunato di me, ha vinto la lite.

Fernanda                       - E ha perso la salute.

Rinaldo                         - Non si può vincere tutto.

Fernanda                       - Da allora non è stato più lui.

Rinaldo                         - Ma si, dite che l'ho ucciso io.

Fernanda                       - Chi lo sa!...

Rinaldo                         - E se anche... Ma vedete cosa mi fate dire!

Fernanda                       - Io ve lo faccio dire? Voi non gli avete dato fiato.

Rinaldo                         - E lui me l'ha tolto addirittura.

Fernanda                       - E quello?! (indica l'albero) Perché ce l'avete messo?

Rinaldo                         - Io non ce l'ho messo!

Fernanda                       - Se è lì, che si vede.

Rinaldo                         - Anche il Duomo si vede, ma non ce l'ho messo io!

Fernanda                       - Negate l'evidenza?

Rinaldo                         - (con un candore ironico) Del resto, un pino... un po' di resina... fa bene ai polmoni...

Fernanda                       - (prorompendo) Ah, sì! Ma domani lo faccio abbattere.

Rinaldo                         - (sempre ironico) Sarà un'impresa dif­ficile.

Fernanda                       - Meno che a piantarlo.

Rinaldo                         - (c. s.) E' infisso nel muro.

Fernanda                       - (con veemenza) Farò sradicare ogni cosa.

Rinaldo                         - (c. s) Rovinerete la villetta.

Fernanda                       - (con veemenza) Pagherete voi!

Rinaldo                         - (scattando in piedi) No, paga chi rovina.

Fernanda                       - (accendendosi sempre più) Paga chi ha fatto il guaio.

Rinaldo                         - (accendendosi a sua volta) No, paga chi ne è stato la causa,

Fernanda                       - Non è vero!

Rinaldo                         - E' la legge!

Fernanda                       - E' l'arbitrio; arbitrio e non altro!

Rinaldo                         - E' il mio diritto.

Fernanda                       - Vostro diritto? Vostro diritto? Torne­remo dagli avvocati.

Rinaldo                         - Ci torneremo!

Fernanda                       - Questa volta dovrete vendere la casa!

Rinaldo                         - E voi la vostra bottega, con tutti i cap­pellini!

Fernanda                       - E io vi farò scacciare dalle Ferrovie!

Rinaldo                         - Non ci riuscirete!

Fernanda                       - Ci riuscirò! E intanto vi scaccio io di qui. (Furiosa) Andate via! Andate via!

Rinaldo                         - (veemente) Sicuro che me ne vado. Me ne vado, ma perché me ne voglio andare io. Sono stato calmo, cauto, mi sono contenuto, frenato, per buon gusto, per educazione, sperando, credendo chi sa che... Invece niente; voi siete una donnacola cattiva, collerica, bizzosa. Ora fissatevi bene in mente questo: io non vi darò pace, vi obbligherò a scappare di qui, a lasciarmi finalmente padrone in casa mia! (A Nono e Martina) L'avete sentito, signorine: ho tentato col garbo... fiato e galateo sprecati. (A Fernanda) La lotta continua, signora, e sarà, ve lo prometto, aspra, dura, senza quar­tiere. Avete mai visto i sorci verdi? Li vedrete! Magari ci cacceranno via dal quartiere, ma tutt'e due, anche voi, anche voi!

Fernanda                       - Uscite, uscite, vi- dico!

Rinaldo                         - Ve ne pentirete.

Fernanda                       - Ve ne pentirete voi!

Rinaldo                         - (sulla soglia) Staremo a vedere! (Con un colpo apre l'uscio ed esce furioso. Martina scoppia in pianto fragoroso).

Fernanda                       - (accorrendo a lei) Poverina, ti sei spa­ventata, eh?

Nono                             - Eh, altro che spavento!

Fernanda                       - (o Martina) Cara, non temere di nulla. Approfittarsene perché siamo donne!... Ma si accor­gerà! Povera Martina!... Va a letto, va a riposarti ora... Un buon sonno ti farà passare lo spavento... Dormi, cara, e sogna la tua mamma a cavallo, come San Giorgio, pronta a infilzare con la lancia tutti i draghi del mon­do... E quello, per il primo... vai, cara... To'. (La bacia) Via, via queste lacrime... Occhi asciutti ora... Sorridi... Così, brava... Va!... Buona notte! (Martina esce a destra. A Nono) Far piangere quella figliola! Ma io, per difen­derla, per aiutarla, affronterei l'orco in persona: figurati il capufficio... Ma perché sgomentarsi così... diamine, ci sono sempre qua io!

Nono                             - Eh, si capisce che le pigli da piangere, po­verina... Chissà quanto ha sofferto... Il barone non è mica uno qualunque per lei... è molto di più!

Fernanda                       - Molto di più? Come molto di più?

Nono                             - Ma sììì, è naturale che ci pianga... piange per via dell'altro; del figlio; di Silvano.

Fernanda                       - Eh? (Negativa) Aaah!

                                      - (Si accende la lampada della strada e si illuminano albero e finestra).

Nono                             - (piano) Si trovano qui tutte le sere.

Fernanda                       - Qui? Dove? In casa nostra?

Nono                             - (piano) Sì... Da qualche tempo, quando noi due ci siam coricate... Martina si alza e viene qui... L'ho scoperta io... Un rumore mi ha allarmata... Ho vigi­lato... Insomma... Martina si trova tutte le sere qui a quel davanzale con...

Fernanda                       - E non m'hai detto niente!... Ma, oh!... Bada... Se è una calunnia, ti scaccio di casa!

Nono                             - Puoi accertartene con i tuoi occhi; stasera stessa. Andiamo a letto, fingiamo di andare a letto... Dopo si torna e...

Fernanda                       - Basta. (Sgomenta) La mia Martina!... (Quasi a se stessa) Martina?... (Decisa) Andiamo!

Nono                             - (forte) Buona notte, zia. Vado a dormire.

Fernanda                       - (forte) Buona notte. Ci vado anch'io. (Escono tutte e due da destra. Si ode qualche rumore dalla strada: motori, tranvai).

Silvano                          - (dopo un po' appare sull'albero e si sporge a guardare nella stanza e fischia lievemente).

Martina                         - (in vestaglia, esce da sinistra e va alla fi­nestra).

Silvano                          - (sottovoce) Tesoro mio!

Martina                         - (sottovoce) Ssst! Piano. Si sono coricate adesso.

Silvano                          - Comodo quest'albero, eh? E' stata una mia idea... Papà l'ha trovata ottima per far dispetto a tua madre... e intanto io sto più sicuro che sulla scala a pioli. (Fernanda e Nono escono e strisciano lungo la parete; stanno in ascolto) Martina, sei bella, mi piaci! (L'abbraccia).

Martina                         - (gii offre le labbra) Anche tu mi piaci. (Silvano la bacia. Fernanda trascina via Nono ed esce con lei. La porta sbatte, Martina spaventata, fugge nella sua camera. Silvano scivola già e scompare. Una pausa. Si ode una campana lontano. Poi Fernanda ricompare seguita da Nono).

Nono                             - Ora mi pento d'aver parlato... Vedo quanto soffri... Ma non mi tradire!...

Fernanda                       - No, no... anzi ti ringrazio. Se si avvi­sassero sempre le madri!... (Siede) E' un gran colpo... ma ci reggo... Va, va a letto... (Nono sì avvia e poi si ferma sulla soglia) ... io resto qui e ci ripenso... (Nono esce. Una piccola pausa. Poi Fernanda si alza va alla porta di sinistra e chiama sottovoce) Martina! (Una piccola pausa) Martina! (Martina esce e si ferma sulla soglia, confusa) Vieni avanti, vieni avanti. (Martina le si avvicina a rilento) Sei diventata colomba a un tratto. Civetta! Vieni avanti! Tu!... Tu!...

Martina                         - Ci hai visti! (Implorando) Mamma...

Fernanda                       - Lascia che ti guardi, bisogna che ti guardi, che ti tocchi per persuadermi che eri proprio tu!... Rispondi: sei sempre la mia Martina?..(La scuote) Rispondi: sì o no?

Martina                         - Sì.

Fernanda                       - Non mentire, eh! Guai a te! (Abbrac­ciandola) Sei la mia Martina! (E poi di scatto si ritrae) Svergognata! (Martina piange e siede. Poi, accarezzan­dole il capo, più dolce) Oh, intendiamoci... Se è una cosa seria... Ed è una cosa seria... perché tu non sei una frasca... (Violenta) Non te lo perdonerei mai! (De­cisa) Io sono all'antica... I cappellini, alla moderna, i sentimenti all'antica. O non è una cosa seria?

Martina                         - (intimorita) Sì, sì... seria!

Fernanda                       - Brava! E quanti giovanotti hai nel tuo ufficio?...

Martina                         - Trentadue...

Fernanda                       - Trentadue!... E di trenta due ti pigli proprio il trentatrè che non è neanche nel tuo ufficio?... Oh, ma intesi... Levarlo dalla testa, eh? Non vorrai mica che io vada da suo padre... Impossibile, impos­sibile! Piuttosto il figlio di un evaso dalla galera... ma di quello lì, no!!... (Martina piange) E non piangere. Bel fare voialtre ragazze! E «tesoro», e «amore mio», e sbaciucchiamenti sui davanzali... spudorate!... E poi giù lacrime; e con le lacrime credete di lavare tutto... E noi mamme a far le cavamacchie... Sì, la vostra reputa­zione... Perché anche se nessun altro lo sa, lo sa sempre uno, quello che vi ha sbaciucchiate... E per quello, se non è una cosa seria, se non finisce come deve finire, dico col matrimonio, per quello, siete o sciocche o vi­ziose... (Aggressiva) Oh! Sei una viziosa?

Martina                         - (protestando) Mamma!

Fernanda                       - E allora che tutto sia finito!... Te, ti mando in campagna a Cantù, dalla zia Rosa, per un mese, per due, tre, quanti ne occorrono... E non se ne parli più. Capito? E ora, a letto... Fila!

Martina                         - (dopo essersi avviata, si volge) E tu, mamma?...

Fernanda -------------- - Io? Io resto qui. (Siede, prende il bastone, ci appoggia le inani e sulle mani il mento) Di guardia! Sicuro... di guardia!

Martina ------------------- - (esce asciugandosi gli occhi col fazzoletto),

Fernanda ----------------- - (sta un attimo immobile. Rumori di et» pane, ecc.; e poi il suo volto assume una maschera dolo­roso, gli occhi le si riempiono di lacrime, il bastone le cade dalle mani; un attimo, poi si scuote) No, no! (E si asciuga gli occhi col dorso della mano; poi li raddrizza, raccoglie il bastone, lo mette, con energia, i spall'arm, e passeggia a montare la guardia) Sentinella all'erta! All'erta sto! (Poi si ferma con la faccia notai al pubblico e le due mani poggiate sul bastone; scroll» il capo e con tono di minaccia e di sfida) Se quel bellimbusto ricompare, giù botte da orbi. E poi vada da suo padre a farsi medicare con la carta bollata!

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

La sera dopo. In casa del barone Rinaldo Artieri, al pianterreno della villetta. Salotto mobiliato fine Ottocento. Quando si alza il sipario, Anastasia, che è una signora grossa e goffa, sta modellando su un manichino un vestito, mentre il barone Rinaldo, senza giacca, si arrovella su un solitario. Su un tavolino, un pallone del calcio e, appoggiata, una lunga pertica. C'è luce che o poco a poco calerà.

Rinaldo                         - (scompigliando le carte con stizza) Ali» malora anche il sei di quadri! Neanche questa volta mi è riuscito!

Anastasia                      - Non vorrai mettere il lutto per questo. Riprendi da capo.

Rinaldo                         - (con gesto di dispetto) E' già la terza volta! (E raccoglie e coordina le carte).

Anastasia                      - Aspetta la decima per perdere la pa­zienza. Un gioco non è più un gioco se riesce subito. E' un altro dei passatempi, come l'amore, il lavoro, l'arte; dunque!

Rinaldo                         - Tu non capisci mai niente. (E mischia il mazzo).

Anastasia                      - E tu capisci tutto.

Rinaldo                         - Naturalmente. Se di noi due, uno capisce qualcosa, quello sono io! (E comincia a disporre le carte per il solitario).

Anastasia                      - Sei il primogenito! Tutto il fosforo della famiglia te lo sei preso tu!

Rinaldo                         - E tu, secondogenita, ti sei tenuta i quattrini. Senza di te non si sarebbe potuto comprare questo appartamento.

Anastasia                      - Così siamo pari: io con quattro soldi in tasca, e tu con quattro zolfanelli in zucca.

Rinaldo                         - Finiamola, eh! Voglio essere rispettato!'

Anastasia                      - E chi ti manca di riguardo? Sei un gran permaloso.

Rinaldo                         - Niente permaloso! Ma quando sono con le carte voglio star con le carte! (Seguita a giocare con stizza) Asso di cuori, asso di quadri... regina di fiori,,  (Una piccola pausa, poi calmo ad Anastasia) Del resto, mi pare che anche tu stai rompendoti la testa con quel vestito...

Anastasia                      - Ma è cosa ben diversa! Io mi tormento per uno scopo.

Rinaldo                         - Ah, sì? E sarebbe

Anastasia                      - Il decoro. Mio e tuo e di Silvano. Pi tutta la famiglia.

Rinaldo                         - Ma sì! Mi par di vederla la folla di am­miratori che ti ronzerà intorno quando lo indosserai per la prima volta.

Anastasia                      - Mi occorre il permesso del mio signor fratello per vestirmi come mi pare?

Rinaldo                         - No no. Ma nemmeno io ho bisogno di quello della mia signora sorella per esprimere la mia opinione. (Giocando con stizza) Sette, sette... regina, fante! (Una piccola pausa).

Anastasia                      - Ti piaccia o no, questo qui, vedi, l'ho studiato sui modelli della Sartoria Franziani... Ci sono stata due ore... Ah, sai chi ci ho visto? L'indossatrice che sta qui sopra... Come si chiama?... Ah, Nono...

Rinaldo                         - (sempre continuando a giocare, canticchia) Nonòooo, Nonòooo! Il sei è venuto questa voltaaa! Il sei è venutoooo! sì, sì, sììì! (Canzonatorio) Ma perché non ti vesti addirittura dalla Sartoria Franziani?

Anastasia                      - Già, con quei pochi che fai circolare in casa.

Rinaldo                         - Son tutti quelli che mi fanno circolare le Ferrovie.

Anastasia                      - E allora non parlare di Franziani. Faccio da me. E' più economico. Lascia che mi amministri io.

Rinaldo                         - Brava! Del resto, il tuo libro mastro è una perfezione. Peccato tu sia rimasta zitella.

Anastasia                      - Per te ci son rimasta. E ringraziami. Perché se io non mi fossi dedicata a te quando sei rimasto solo col figliolo e non ti avessi fatto da guar­darobiera, da istitutrice, da cuoca, da amministratrice...

Rinaldo                         - (giocando, soddisfatto) Ooh! E' arrivato!

Anastasia                      - Chi?

Rinaldo                         - Il re di quadri!

Anastasia                      - (scrolla le spalle) ...A quest'ora, dicevo, ci sarebbe un corteo alla porta. -

Rinaldo                         - Un corteo? (Giocando calmo e riflessivo) Due di picche, tre di fiori;..

Anastasia ,                    - Il corteo dei creditori, con la musica in testa.

Rinaldo                         - Per quel che dilapido io! Un virginia dopo pranzo, qualche rara sigaretta, un abito all'anno, un cappello all'anno, un paletò ogni tre anni, un paio di guanti nei quali c'è più benzina che in un distri­butore...

Anastasia                      - E gli - alberi che fai piantare in giar­dino? Non costano quelli?

Rinaldo                         - Uno, uno solo. E usato.

Anastasia                      - E quel pallonaccio che sembra un vec­chio popone?

Rinaldo                         - Omaggio allo sport! Ognuno è sportivo a modo suo.

Anastasia                      - E quella pertica da ragnatele? Spese inutili!

Rinaldo                         - (battendo una mano sul tavolino) No!

Anastasia                      - Spese per sfogare le tue manie.

Rinaldo                         - (c. s.) No!

 Anastasia                     - E va bene! Non voglio certo rifare per la centesima volta la solita discussione... Preferisco tacere.

Rinaldo                         - (stizzoso) Re!... picche!... fiori!... asso!.» (Una piccola pausa).

Anastasia                      - (irritandosi col vestito) Mi hai fatto perdere la linea...

Rinaldo                         - Prendi l'orario...

Anastasia                      - Prendi tu un caffè piuttosto, che ti snebbi le idee. Lo vuoi un caffè?

Rinaldo                         - Grazie, no. Con questa temperatura pro­prio non desidero altro caldo. (Giocando calmo e ri­flessivo) Fiori... Sei di fiori...

Anastasia                      - E manco male che stasera si è quieti.

Rinaldo                         - Aspetta a dirlo.

Anastasia                      - Perché?

Rinaldo                         - Sono appena le nove. La signora Gian­franchi non è ancora rincasata. Avrà pranzato fuori. Pranzano fuori, pranzano alla trattoria. Così fanno i commercianti. Noi gente titolata, noi gente di penna, si pranza in casa perché fuori ci costa... (Seguita a gio­care e con stizza) Se mi venisse questo cinque di cuori!...

Anastasia                      - Mi dici una cosa?

Rinaldo                         - Secondo di che si tratta.

Anastasia                      - Chi è stato il primo?

Rinaldo                         - Il primo a far che?

Anastasia                      - II primo a scatenare la guerra.

Rinaldo                         - Oh, Cielo, non cominciamo con la po­litica!

Anastasia                      - Che politica! Dico fra te e quelli di sopra.

Rinaldo                         - Uffa! Quante volte mi hai fatto questa domanda. (Giocando trionfante) Ecco il cinque di cuori! (Stizzito, ad Anastasia) T'ho detto le mille volte che non lo so, e non lo so.

Anastasia                      - Non te Io ricordi davvero?

Rinaldo                         - No, non mi ricordo.

Anastasia                      - Possibile che non ricordi un fatto così importante almeno per le sue fastidiose conseguenze?

Rinaldo                         - (irritato) No, no e no. E t'ho sempre detto di non seccarmi con questa storia. Non lo so, l'hai capito? Te lo devo suonare col sassofono? E tu, ti ricordi di quando sei nata? No, eppure si trattava di un fatto importante per te, e, almeno per le sue fastidiose conseguenze, anche per me.

Anastasia                      - Quanto sei sgarbato!

Rinaldo                         - Me le strappi le cose, me le strappi! M'hai fatto distrarre, devo buttare tutto all'aria! (E scompiglia le carte).

Anastasia                      - Ma si può sapere una volta per sempre perché non la fate finita?

Rinaldo                         - Mah. Forse per la stessa ragione per la quale non la si finisce mai di romperci... l'anima l'un l'altro: il capo divisione al capo sezione, il capo sezione al capo ufficio, il capo ufficio agli impiegati, gli impiegati fra di loro... Rifletti Un minuto: se tutti ci si aiutasse, se fossimo l'uno l'altro veramente amici e sostegni, se veramente non facessimo agli altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi, la vita divente­rebbe davvero quel bel dono che ci dicono da bam­bini: e allora, cara mia, ci si starebbe troppo bene e sarebbe uno strazio lasciarla. Credi a me, gli uomini sono cattivi per bontà, per rendersi l'un l'altro quasi gradevole il trapasso... Senza contare che con tutti quanti buona gente sarebbe come mangiare lattemiele tutti i giorni... e così invece io e la signora Gianfranchi mangiamo rospi.

Anastasia                      - (sempre seguitando a lavorare) Ma questi rospi ti hanno rovinato lo stomaco: sei diventato so­spettoso, stizzoso... Guarda: sei tanto infatuato nelle beghe con gli altri che non vedi neanche quello che succede in casa tua.

Rinaldo                         - Che succede?

Anastasia                      - Tuo figlio.

Rinaldo                         - Be', mio figlio; che fa?

Anastasia                      - Esce tutte le sere.

Rinaldo                         - Se è in casa, di là, nella sua stanza, che fa le parole incrociate.

Anastasia                      - No, le parole incrociate non bastano per tenerlo in casa. Ora uscirà.

Rinaldo                         - Che vuoi? Che glielo proibisca? E' im­piegato in Banca. Guadagna; poco, ma guadagna... Gode fior di salute... Ha ventidue anni, dico ventidue anni!

Anastasia                      - Appunto per questo, non è bene che esca tutte le sere.

Rinaldo                         - Quando, allora? Soltanto di sabato?

Anastasia                      - Non dico questo; ma insomma, non ama la casa.

Rinaldo                         - L'amerà. A cinquant'anni l'amerà.

Anastasia                      - E lo sai almeno dove va, dove passa le serate, con chi si trova?

Rinaldo                         - Ah, senti, se pretendi che io vada a giro... pedinandolo... Eccolo qua, domandaglielo...

Silvano                          - (entra fischiettando, mani in tasca, senza cap­pello, giacca sportiva chiara, pantaloni di tela bianca, senza cravatta).

Anastasia                      - Esci?

Silvano                          - Sì.

Anastasia                      - Starai fuori molto?

Silvano                          - No, per le undici sono di ritorno.

Rinaldo                         - E dove vai? Si può sapere?

Silvano                          - Certo, papà: al cinema.

Rinaldo                         - (ad Anastasia) E' un delitto, andare al cinema?

Silvano                          - Perché la zia?... Oh, questa è bella!

Anastasia                      - Spendi tanti di quei quattrini!

Silvano                          - Ma nooo... ho una tessera di favore...

Anastasia                      - E perché non mi ci porti mai, con te? Stasera ci vengo anch'io.

Silvano                          - Ah, no... cioè, sì... ma, è meglio un'altra sera... Stasera c'è un brutto film. Ho letto la critica nei giornali.

Rinaldo                         - E allora, scusa, perché lo vai a vedere?

Silvano                          - (pronto) Ma io li vedo tutti. Sai che vuol dire per me? Vuol dire imparare, istruirmi. E' il mio corso di perfezionamento. Io ho visto amori, odii, vendette, eroismi, inondazioni, terremoti... disastri d'ogni ge­nere, paesi di ogni dove. Con lo stesso biglietto ridotto, viaggio; amo; soffro; mi annoio: imparo, insomma.

Rinaldo                         - Il cinema è la tua Università! L'altra l'hai piantata dopo il primo anno di lettere. Per guadagnarti subito la vita, hai detto tu.

Anastasia                      - Questo è stata il guaio!

Silvano ---------------- - Ma intanto, zia, io conosco il mondo molto più di te pur non essendomi mai staccato dalle tue sottane... (Per sviare U discorso) Sai papà: se anche quelli di sopra andassero al cinema, noi si vivrebbe tranquilli.

Rinaldo                         - Ma non ci vanno. Si vede che preferiscono restare ignoranti.

Silvano                          - Vado io anche per loro. Ah, sai, c'è quella... come si chiama? Nono... mi fa certi occhi di basilisco quando m'incontra... L'altra sera, poi, io rincasavo dietro di lei... lei se n'è accorta e ha lasciato cadere la borsetta. Apposta, veh?, perché io gliela raccattassi e attaccassi discorso... Ma io niente, ho finto di non vedere e le sono filato dinanzi.

Rinaldo                         - Ben fatto!

Silvano                          - Lei ha brontolato qualcosa, forse un'inso­lenza, ma io non mi sono neppure voltato indietro...

Anastasia                      - Bravo... Così ci siamo fatti un'amica di più.

Silvano                          - Oh, zia, che bell'abito!... Che meraviglia!... Sei veramente una sarta, una sartona! (L'abbraccia) Cara, cara la mia ziona. Ziona sartona, sartona ziona!

Anastasia                      - Sta fermo, imbroglione! (E lo allontana).

Silvano                          - (o Rinaldo accennando a quei di sopra) E... niente rappresaglie?

Rinaldo                         - Per ora no. Ma attendo di pie fermo. Io sono pronto. Le mie armi son cariche. Eccole là. (Indica il pallone e la pertica).

Anastasia                      - Siete uno più matto dell'altro.

Silvano                          - E l'albero; che successo, eh!

Rinaldo                         - Grandioso!

Anastasia                      - Danari sprecati!

Silvano                          - Però tu non dovevi salire da loro iersera. E' stato un umiliarsi.

Rinaldo                         - Forse: ma è colpa di tua zia! Aveva un'e­micrania terribile... Se non salivo, le facevano scoppiare quella sua sciaguratissima testa...

Silvano                          - Addio, zia! (Ci ride) Addiooo; addiooo! (Esce).

Anastasia                      - Quello lì ci abbindola tutt'e due. Che mondo e cinema! Finora ha imparato una cosa sola: a conoscere i nostri punti deboli e a valersene.

Rinaldo                         - Vuoi tacere un minuto? Lasciami alle mie carte finché la quiete della casa lo permette! Oh! (E riprende a disporre le carte).

Anastasia                      - (si assorbe nel suo lavoro. Una piccola pausa, rumori della strada).

Caterina                        - (entra in punta di piedi, poi di colpo, come non potendo più trattenere l'emozione, grida) Signor barone!

Rinaldo                         - (sussultando) Eh! E' il modo di fare?

Anastasia                      - (sussultando) Che c'è?

Caterina                        - Sono entrata piano piano... perché... perché volevo dire che di là... ma poi non mi son potuta trattenere... l'agitazione... c'è di là...

Anastasia                      - Ma chi c'è?

Caterina                        - La signora Gianfranchi!

Rinaldo                         - La signora Gianfranchi?

Anastasia                      - Che si fa?

Rinaldo -                       - Che si fa... Chiede d'essere ricevuta, la si riceve. Potrebbe venire ad arrendersi, potrebbe en­trare sventolando la bandiera bianca.

Anastasia                      - Oh, Dio, che sia venuta per una di­sgrazia?

Rinaldo                         - Ma noo!

Anastasia                      - Comunque la ricevi tu. Io non mi son mai impicciata, e non voglio cominciare ora. Vado nella mia stanza, e, se le cose si fan lunghe, vado anche a dormire, perché sono stanca. Tanto potete anche urlare; nella mia stanza, giù, in fondo, non si sente niente.

Rinaldo                         - Sta bene, la ricevo io.

Anastasia                      - A domattina. (Esce).

Rinaldo                         - (a Caterina) Avanti, fa passare. (Raccoglie le carte e si alza; indossa la giacca).

Caterina                        - (esce e introduce Fernanda),

Fernanda                       - (entra, si ferma, esita, si guarda intorno).

Rinaldo                         - (freddo) Prego, signora, prego: accomo­datevi. Venite pure avanti.

Fernanda                       - Un momento... non ho mai posto piede qui dentro e voi capirete la mia titubanza...

Rinaldo                         - Io, veramente, no.

Fernanda                       - Dico, non vi sono per caso botole, tra­bocchetti, bocche da lupo?

Rinaldo                         - Che lupi! Venite avanti.

Fernanda                       - Sapete qual è stata la mia prima idea, appena ho varcato la soglia? No? Ve la dico io: quella di tornare indietro.

Rinaldo                         - Oh, per questo, siete ancora in tempo. (Fa per riaccompagnarla).

Fernanda                       - Ora non più; dopo la prima idea, m'è venuta la seconda: quella di restare. Il peggio passo l'ho fatto.

Rinaldo                         - Ecco. Giusto. A ogni modo, non avete nulla da temere; Gli ospiti sono sacri.

Fernanda                       - Frase solenne. Frase con parecchie palle. La contea quante palle ha? Ma fossero cento mi saprei difendere.

Rinaldo                         - (aprendo le braccia) Come vedete, non ho armi.

Fernanda                       - E questo? (Solleva il pallone) E quest'altra? (Brandisce la pertica).

Rinaldo                         - (rimettendoli a posto) Oh, arnesi di gin­nastica. Innocui.

Fernanda                       - Lo dite voi!

Rinaldo                         - Ma sedete; io uso, io, invitare a sedere chi viene da me. Prego.

Fernanda                       - Grazie, sto in piedi. I duelli si fanno sempre in piedi.

Rinaldo                         - Ah, siete qui per battervi, per pungere, per invelenire, per pigliarvi la rivalsa di ieri sera?...

Fernanda                       - Sono qui per una ragione grave... gra­vissima...

Rinaldo                         - (diffidente) Non sarà mica per il pino?

Fernanda                       - Altro che pino!

Rinaldo                         - (sempre diffidente) Non sarà anche per voi un'emicrania, quella che vi ha deciso?... come per me ieri sera... un'emicrania non mia io l'avrei sop­portata fino allo scoppio - ma di mia sorella... Forza maggiore anche per voi...

Fernanda                       - Ma che emicrania! Ho una testa di marmo...

Rinaldo                         - E allora perché? Dite.

Fernanda                       - (imbarazzata) Dite, dite; non è mica facile... con voi, s'intende; perché con un altro... ci si potrebbe anche sbrigare presto. E adesso che son qui, mi trovo più inquieta di quel che pensassi... Si parte d'impeto... poi quando si è lì con l'ostacolo a un palmo di naso... ci si ferma, e si rimane incerti a guardarlo, a misurarlo... E invece parlo, perdiana! (A voce bassa) Sapete chi c'era in cima all'albero, ieri sera, dopo che ve ne siete andato? No? C'era vostro figlio!

Rinaldo                         - Silvano? Sull'albero?

Fernanda                       - Sicuro, Silvano, sull'albero! Si arram­pica fino alla mia finestra e spia nel mio apparta­mento. Prima si serviva d'una scala; ora dell'albero. Ce l'avete piantato apposta?

Rinaldo                         - Che diavolo dite?

Fernanda                       - Dico quel che ho visto... Ma c'è di più e di peggio: questa bella impresa si ripete ormai da molte sere!... E al davanzale il vostro caro Silvano s'incontra con la mia Martina! Capito, adesso?

Rinaldo                         - i Con quella pettegola?... Possibile?!

Fernanda                       - Ora, i condòmini non c'entrano. Qui non c'è che un padre e una madre. Bell'azione! Bell'azione, quella del vostro signor Silvano!... Come vorrei tor-cergli il collo! E magari voi lo sapevate! Magari gli tenevate bordone...

Rinaldo                         - Signora Fernanda!

Fernanda                       - Sì, per farmi dispetto! Ma questo è in­sultare, è tentare di sporcarmi la casa!

Rinaldo                         - Basta, vi dico, basta!

Fernanda                       - Sì, sì, bordone, bordone!... Che volete che faccia di diverso vostro figlio?... I figli somigliano ai padri... Tali i padri, tali i figli!

Rinaldo                         - E adesso, avanti! La collera è come lo spumante: scioglie la lingua. Avanti, cosa volete dire con «tali i padri, tali i figli»?

Fernanda                       - So io!

Rinaldo                         - E allora, fuori! Che sapete, che potete sapere di me?

Fernanda                       - So molte cose... So ad esempio come il signor barone passa i pomeriggi della domenica! Vi ci ho visto! Più volte! Voi... e la giovinetta.

Rinaldo                         - E quand'anche?...

Fernanda                       - Ah, non vi importa? Ma non mi rispon­dereste così se io andassi a spifferare ogni cosa a vostra sorella...

Rinaldo                         - Voi sareste capace di?...

Fernanda                       - Non lo so. Dipende! Spiffero o non spiffero a seconda!

Rinaldo                         - Ah, sììì? Guardate come mi spavento. (E accende una sigaretta).

Fernanda                       - Fumate pure!... Ma badate a non ti­rarvi addosso un processo per corruzione di mino­renne... Ha i genitori? Se li ha, potrebbe anche capi­tarvi... una querela. Bella figura, bell'onore! Ad ogni modo, affari vostri. Io sono qui per ben altro...

Rinaldo                         - Eh, no! Dei nostri figlioli, di quel che hanno fatto... o non hanno fatto, si parlerà dopo... ma prima, mettere in chiaro fra noi... Non ho capito bene le vostre parole che sanno di minaccia e di ricatto. Non che mi prema la vostra opinione personale... Ma voi » sareste ben capace di « spifferare » a mia sorella... e mia sorella potrebbe, non so se credervi, ma certo tur­barsi, sospettare... e io non voglio, non posso, sarebbe una cosa indegna, darle dispiaceri, quei dispiaceri, dopo quanto ha fatto per me... Perciò è meglio che vi dica subito... (Irritatissimo) Mi ci costringete, per il dia­ volo!... Ma non c'è altro mezzo... Sì, potrei pregarvi... potrei fare questo sforzo di pregarvi di tacere... Ma dopo? Chi mi garantisce? Come mi posso fidare?... Ah,   mio figlio mi somiglia... io tengo bordone!... Voi pen­sate che io non abbia fatto altro che piantar pini o bisticciare con gli altri... Invece no! Invece no!... Se aveste dovuto voi portare nell'anima, per tanti anni quello che ho portato io! Già, ma voi non potete nean­che immaginare... Io vi ho sempre visto sorridere... Sono , otto anni che vi vedo sorridere!... e io invece...

Fernanda                       - Ma raccontatelo a una sorda, non a me. Non vi credo... Ma che!... Voi siete di quelli che se in giorno di diluvio escono di casa senza ombrello, ap­pena in strada, spiove... E poi, anche se fosse vero, anche se aveste avuto il cuore stretto, stretto come da un refe intorno al rocchetto, non crederete mica d'es­sere il solo... non pretenderete mica di vantarvene, di farvene un merito. Refe, ce n'è per tutti...

Rinaldo                         - Mai come per me...

Fernanda                       - Perché siete vedovo? E io, non ho perso il marito?

Rinaldo                         - Altra cosa.

Fernanda                       - Come, altra cosa?

Rinaldo                         - Altra cosa, vi dico: voi potete rimpian­gere e io no.

Fernanda                       - Voi non potete?... Raccontatemi; raccon­tatemi.

Rinaldo                         - No... E' tutta una storia... una brutta storia... Meglio non rievocarla. Ma voi mi ci costrin­gete. Ma sì; basta a volte una parola per determinare una confessione, come basta una piccola miccia a far saltare una montagna... Devo tornare indietro... molto indietro... (Una pausa) Mi sono sposato con la donna più estrosa del mondo... E mi piaceva perché era di argento vivo... Dopo un anno nacque Silvano...

Fernanda                       - (come per interrompere) Ah, dopo un anno...

Rinaldo                         - Lasciatemi dire... Le bizzarrie di mia moglie si fecero in breve sempre più stravaganti... Un giorno, che fa? Mi torna a casa con uno sconosciuto... Era un signore maturo, con ghette chiare e monocolo, che l'aveva seguita per strada e a lei era venuta la curiosa idea di fargli una beffa e di trascinarlo alla mia presenza, lusingandolo con qualche sorriso... Era troppo! Quella volta persi il lume degli occhi... Per consiglio di un neurologo la portai in un ambiente riposante e dolcemente depressivo: al lago d'Orta. C'è anche un santuario e un convento di cappuccini. Quiete, serenità, misticismo. E là attesi gli effetti... Una mat­tina non trovo più lei; trovo una lettera... Mi annun­ciava che se n'era andata con un pittore svedese, alto, cereo, coi capelli di stoppa, che io avevo visto girare in quei giorni per l'albergo... che capiva il dolore che mi dava, ma che il destino eccetera, eccetera... Non ne seppi più nulla. Fernanda          - (ormai presa dal racconto) Oh, per-a diana!... Da nessuna parte?

Rinaldo                         - Per parecchi anni... Poi, un giorno, una telefonata... Fernanda    - Era lei... raccontate, raccontate... Rinaldo           - No; una sua amica che, a suo nome, mi informava che era di passaggio a Milano, e mi chiedeva per l'amordiddio di vedere il ragazzo almeno per un paio d'ore: invocava il mio cuore di padre, il suo diritto di mamma... Insomma acconsentii. Glielo feci trovare al portone... Lei passò con una automobile, raccolse il ragazzo e... non ritornò a restituirmelo, né quel giorno, ne i successivi... Ricerche, questura, angoscio da non dire... Finalmente la rintraccio a Genova poco prima dell'imbarco per l'America... riprendo il figliolo, stordito, poverino, trasognato! Lei scompare, finche dieci anni fa... giusto quando mia sorella, vedendomi sempre più appartato e solitario, contribuendo del suo, mi per­suase ad acquistare questo appartamento, dieci anni fa, me la vedo ricomparire dinanzi... in uno stato! Una larva... Malata, rovinata, con una figlioletta pallida, avuta chissà da chi... Una pietà!... Provvedo a una casa di cura, ma consumata, distrutta, finita... più niente da farei          (S'è commosso).

Fernanda                       - E la piccola?

Rinaldo                         - L'ho fatta ricoverare in un istituto, e per quel che posso l'aiuto. E ora sapete con chi vado i passeggio nei pomeriggi della domenica... e perché vi ho raccontato queste miserie. (Una piccola pausa).

Fernanda                       - Ma vedete un po' quanto male ei fa 6enza sapere.

Rinaldo                         - E anche sapendolo! Perché io vi ho perse­guitati, voi e vostro marito, sapendo di perseguitarvi, godendo di perseguitarvi... Vi vedevo passare tutt'e due sempre allegri... Eravate l'immagine dell'amore coniugale sereno, sicuro. Ah, quando mi passavate vicino! Una fe­rita, un tormento... e una volontà di mordere... Vi invi­diavo e provavo un gusto matto ad avvelenarvi la vita.

Fernanda                       - Ah, mi invidiavate!

Rinaldo                         - Come non è possibile di più.

Fernanda                       - (amara, ironica) Amor coniugale sereno e sicuro? Sì, proprio! E invece era tutta una finzione,

Rinaldo                         - Una finzione?!

Fernanda                       - Ho sempre dovuto fingere... Sono stata sempre costretta, capitemi bene, costretta a fingere.

Rinaldo                         - Costretta? E da chi? ;

Fernanda                       - Da mio marito.

Rinaldo                         - Da vostro marito?

Fernanda                       - Sì, mi ricattava.

Rinaldo                         - Vi ricattava?

Fernanda                       - Sì, non ha fatto altro tutta la vita. C'era un segreto tra me e lui, e ne approfittava.

Rinaldo                         - Un segreto? Ma come, ma come?

Fernanda                       - Ma sì. Vi siete sfogato voi, è giusto che mi sfoghi anch'io. Aria, aria, altrimenti si soffoca... E poi, le cose nostre, anche le più nascoste, quando ci son passati su gli anni, ci appartengono meno, quasi non si sa più «e sono accadute proprio a noi o un'amica, se le abbiamo sofferte o le abbiamo viste soffrire... E dunque posso rac­contarvi senza arrossire, anzi mi farà bene... Da ragazza mi sono innamorata... Oh Dio, non è un gran merito, lo so; ma lo vedevo tutti i giorni rincasando dal lavoro; passeggiava alto, diritto, morettino ; vestiva una palan­drana nera, lunga, e dignitosa; in testa aveva il cilindro e in mano teneva una canna marrone con un pomo d'ar­gento e due fiocchetti di pelle coi quali io mi gingillavo parlandogli... Faceva il vigile urbano... E a quei tempi, ricordate anche voi, eran vestiti come il « Padrone delle ferriere ». Passeggiavano con le mani incrociate sulle reni e il bastone infilato sotto l'ascella... Insomma... era un fior di giovinotto! ... Incontralo oggi, incontralo do­mani, è successo quel che non dovrebbe succedere mai e invece è l'unica cosa che succede sempre. Io ero felice... e poi mi pareva di avere un innamorato speciale perché,  per lui, lavorare voleva dire andare a spasso... Insomma, mi aveva colpito la fantasia... Sapete, un po' poetica lo lono anch'io... Poco dopo, lui mi ha chiesta ai genitori... I quali risposero picche, perché mi volevano dare al pro­prietario della drogheria più redditizia della città!... Io resisto, loro premono... uno sconquasso!... Finché una «era vedo il mio bel vigile insieme con un'altra... Apriti cielo!... Non ci vedo più. Li affronto e senza dir verbo, schiaffeggio la sua compagna!... Dio! Che guaio! Era sua sorella che non avevo mai visto! Naturalmente, tra me e il vigile è finito tutto. E allora, per ripicco, ho sposato il droghiere. Gelosooo, gelosooo! Mamma mia! Roba da scappare in camicia dal talamo. Me ne sono accorta subito.- Ma come dare dispiaceri ai miei genitori che non mi avrebbero capita?... Io non avrei dato un dolore ai miei genitori a qualunque prezzo. E me lo son tenuto geloso... Digerito mai perché m'è sempre rimasto qui, sullo stomaco... Mi voleva in negozio, ma mi relegava nel retrobottega; guai a mostrarmi ai clienti... Per occupare il tempo ho ripreso il mio mestiere di modista, tra mille vigilanze e sospetti... Mah! Sposata, moglie, dovere! E ho fatto tutto il mio dovere di moglie. Tutto, integrale! Stringendo le narici come quando si prende un'amara medicina. A forza di stringermi le narici, è nata Martina... Ah, finalmente, la maternità, la salvezza! Ma un giorno mio marito, non so come, è venuto a sapere del vigile urbano. Divenne una jenà, mi interrogò, mi torturò... Ah, pensavo io in cuor mio, con gioia, ora mi scaccia, finalmente mi scaccia! Invece no. Mi tenne. Mi tenne per orgoglio, perché non voleva passar per tradito, perché valeva si credesse che sua moglie fosse incantata di lui... E mi impose, per fuori, per la vetrina, di avere sempre quel viso allegro e quel sorriso sulle labbra che voi mi avete veduto... Figurarsi che faccia da sabato grasso!... Poi, per tenermi più isolata, ha comprato l'appartamento in questa villetta e ha litigato con voi... L'automobile o altro; gli bastava un pretesto, per render subito nemiche le nostre famiglie e tenerci lontano.

Rinaldo                         - Ma perché non siete fuggita?

Fernanda                       - Ma per Martina!... Perché mio marito aveva minaccialo di dir tutto a nostra figlia - capite a che punto! -se io non avessi finto. E io, dura: ho finto e mi son fatta vedere sempre sorridente così (atteggia la bocca a sorriso) come sui cartelloni dei dentifrici. Finche il buon Dio se l'è tirato su. E da allora non ho sorriso più. 0 per meglio dire ho sorriso quando ho voluto io. Ma che patire in quegli anni!

Rinaldo                         - (prende la pertica, la spezza con rabbia e ne butta a terra i tronconi) Per il diavolo, si vive a pochi metri per anni e ci si ignora!

Fernanda                       - Avete visto? Ciascuno ha il suo refe. E perché lo abbiano più corto possibile anche i nostri fi­glioli, pensiamo a loro. Io, per Martina, ci ho pensato tutta la notte... E stasera mi son decisa e sono qui... Foste stato anche Barbablù, non avrei avuto paura... Martina mi ha dichiarato che è cosa seria. Io domattina la mando da mia sorella a Cantù e la lascio là quanto occorre. Oggi l'ho tenuta in bottega e stasera l'ho chiusa in camera... Stasera la Giulietta non la può fare.

Rinaldo                         - E io, appena rincasa, accomodo per le feste Romeo!

Fernanda                       - Per carità, non ditegli niente... E non dite niente neanche a vostra sorella. Prima s'ha da parlare noi... ma domani... non ora... Stasera ci siamo già detti troppo... Non si può far tutto in un giorno. Io taccio con Martina e anche con Nono... Sapranno, se tutto andrà a buon fine, più tardi, quando avremo esaminato noi due le cose, con più calma. Siamo intesi?

Rinaldo                         - E' grossa, non dir niente a Silvano... ma come volete voi! E intanto... questo... (Prende il pallone) Via! (E lo getta dalla finestra).

Fernanda                       - Che fate?

Rinaldo                         - Depongo le armi.

Fernanda                       - Qua la mano. (Si stringono la mano).

Silvano                          - (entra, vede e si ferma sorpreso) Buona sera.

Fernanda                       - Buona sera.

Rinaldo                         - Sei di cattivo umore?

Silvano                          - Pessimo.

Rinaldo                         - Che t'è successo?

Silvano                          - Niente. Vado a letto.

Rinaldo                         - Sei rincasato presto.

Silvano                          - Il cinema era idiota e non ho trovato un cane.

Rinaldo                         - Avevi un appuntamento?

Silvano                          - Sì, lo avevo.

Fernanda                       - E ve l'hanno bruciato?

Silvano                          - Già. Buona notte. (S'avvia).

Fernanda                       - Buona notte.

Rinaldo                         - (prorompendo) Silvano!

Silvano                          - (si volta) Che c'è?

Fernanda                       - (a Rinaldo) Vi prego!

Rinaldo                         - Niente. Buona notte...

Silvano                          - (esce).

Rinaldo                         - (con uno scatto gli grida dietro) ... Saltim­banco!

Fernanda                       - Tacete! Se no rovinate tutto... (Guarda l'orologio) Uh! Com'è tardi!... Ci si può vedere domat­tina?... Potete passare dalla mia bottega?... Via Monte Na­poleone, 27?... Là ci potremo parlare tranquillamente... Monte Napoleone, 27...

Rinaldo                         - Sì, sì... 27...

Fernanda                       - Alle dieci. Discorreremo di tutto. Senti­menti e interessi. Non ci sono mai sentimenti senza inte­ressi.

Rinaldo                         - Già, ma io ho l'ufficio!

Fernanda                       - Cosa temete? Che fermino i treni, «e non andate alle Ferrovie una mattina?

Rinaldo                         - E sta bene: alle dieci.

Fernanda                       - Voi mi direte: sì o no. Francamente. Ma qualunque cosa accada... ci si intenda o non ci si in­tenda... non più liti.

Rinaldo                         - Liti mai più.

Fernanda                       - E rispetto reciproco.

Rinaldo                         - Rispetto? Stima, stima!

Fernanda                       - E piena fiducia.

Rinaldo                         - Pienissima.

Fernanda                       - Io vi verrò a trovare...

Rinaldo                         - Io vi porterò dei fiori.

Fernanda                       - Abbiamo da ricuperare il tempo perduto. Quanto ne abbiamo perduto, per colpa vostra!

Rinaldo                         - No, vostra!

Fernanda                       - Avete iniziato voi.

Rinaldo                         - No, voi siete stati i primi.

Fernanda                       - Ci avete provocato voi!

Rinaldo                         - No, voi mi avete stuzzicato!

Fernanda                       - Si ricomincia?

Rinaldo                         - No, per amordiddio: condòmini, basta.

Fernanda                       - Se mai, consuoceri... Chissà! Se il diavolo non ci mette la coda, ci riusciremo.

Rinaldo                         - Perché ce la deve mettere?

Fernanda                       - Non si sa mai. La coda del diavolo è come i biglietti del tranvai: si trova dappertutto.

Rinaldo                         - Staremo in guardia!... Noi s'è avuto il fatto nostro... Non abbiamo più nulla da aspettarci... Le loco­motive vanno al deposito... largo alle littorine! ...

Fernanda                       - Vedrete... si farà loro una grande sor­presa. Buona notte! (Si avvia).

Rinaldo                         - (l’accompagna. Quando Fernanda è sulla porta) Ah, sentite!

Fernanda                       - (si ferma, si volta) Che c'è?

Rinaldo                         - Ditemi la verità: quando siete entrata qui, volevate mangiarmi vivo?

Fernanda                       - Ma sì! Sono entrata cannibale e vado via... vegetariana! A domani. (Esce).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

 (Un mese dopo. Fine agosto. Nel retrobottega del ne­gozio di Fernanda Gianfranchi. E' un locale diviso dalla bottega da due tendaggi rialzati nel mezzo. Attraverso l'apertura si vede la parte posteriore del banco di vendita, e oltre questo, in fondo, la porta di strada del negozio, sul vetro della quale si legge a rovescio: « Fernanda -Mode ». Nel locale, a sinistra, sono disposti a salotto un tavolino col telefono, un divano, parecchie sedie e poltrone; e a destra un ampio tavolo rettangolare in­gombro di nastri e di paglie e di piume multicolori, in­torno al quale stanno sedute, intente alla confezione dei cappellini, cinque giovani lavoranti, e precisamente Ce­lestina, Andreina, Francesca, Teresa, Giorgetta, tutte in grembiulone bianco. Manca poco alle otto di sera, e c'è ancora luce diurna).

Celestina                       - Che ora è?

Andreina                       - Oh, Celestina! E' la decima volta che lo domandi.

Francesca                      - Dammi retta: lascialo aspettare. Più un uomo aspetta e più acquista valore la donna attesa. Siamo di agosto, e non c'è nemmeno pericolo che tu possa trovarlo all'angolo della via, congelato.

Teresa                            - Anzi, lo troverà cotto come un uovo sodo!

Andreina                       - (guarda il suo orologio da polso) Me, mi intenerisci! Te la direi io l'ora. Ma mi si è fermato l'oro­logio.

Teresa                            - Un orologio da quindici lire! Se va, è di troppo.

Giorgetta                       - (a Teresa) Quindici o venti, intanto lei ce l'ha e tu non hai neanche una cipolla di latta.

Teresa                            - (a Giorgetta) Mi farò regalare un cipollone d'oro dal tuo bel ragioniere.

Francesca                      - Il suo bel ragioniere s'è squagliato. Si sposa!

Andreina, Celestina, Teresa   - Si sposa!?...

Giorgetta                       - (balzando in piedi inviperita) Stupide!  (Rifacendole) Si sposaaaa? (Mette fuuri la lingua) Ah!

Teresa                            - Non t'arrabbiare. Si scherza!

Giorgetta                       - (siede) Fate tutto questo chiasso perché la signora Fernanda è uscita.

Celestina                       - (con intenzione) Ma torna, torna subito,

Francesca                      - Prima di subito! E' andata qui accanto dal solito fiorista.

Andreina                       - Per i soliti fiori.

Teresa                            - Da mettere nel solito vaso.

Giorgetta                       - Per la solita visita.

Andreina                       - Lei i fiori e lui le caramelle. Da un mese, la solita pantomima. Non si rovinano.

^Celestina                     - Ma non finisce mai questa giornata! Io credo che in tutta Milano noi soltanto si lavora in piena morta stagione.

Andreina                       - Celestina, non ti voglio veder soffrire. Mancano pochi minuti alle otto!

Celestina                       - Ah! Finalmente! (Depone il lavoro, si alza e si stira) Sono stufa!

Andreina                       - Anch'io! Più di te. (Depone il lavoro, si alza e si toglie il grembiule).

Teresa                            - E io? Ne ho fin sopra i capelli! (Depone il lavoro, si alza e si toglie il grembiule).

Giorgetta                       - Ormai le nostre quotidiane lire quin­dici ce le siamo sudate. (Depone il lavoro e si foglie il grembiule).

Francesca                      - Io mi preparo. (Si toglie il grembiule e va a mettersi il cappello. Anche le altre si vestono, si mettono il cappellino, si incipriano, si danno il rosso alle labbra mentre dicono)

Andreina                       - E andiamo tutte ad accompagnare Cele­stina fino ai piedi del suo bell'autista!

Teresa                            - Sì, sì, ci andiamo. Ha un nome così poetico!

Francesca                      - Giacinto!

Giorgetta                       - E poi, è maturotto sì, ma tanto sim­patico!

Celestina                       - (si arrabbia, pesta i piedi) Basta!... Fi­nitela!... Pettegole! (E lancia loro dietro cuscini, nastri e quel che le viene sottomano, tra gli strilli di tutte quante che glieli ributtano).

Rinaldo                         - (entra col sacchetto delle caramelle. Indossa un abito grigio di linea elegante, ed ha una cravatta vi­stosa) Brave! Brave! Che bellezza vedervi mettere tutto all'ordine. Brave! Brave! (Andreina, Celestina, Francesca, Teresa, Giorgetta, si affrettano a mettere ogni cosa a posto, mentre dicono a turno e a soggetto: « Buona sera, barone! »).

Rinaldo                         - Buona sera, buona sera. La padrona non c'è, evidentemente.

Tutte                             - (accorrendogli intorno, e in coro) Ba-ro-ne! Non-tra-di-te-ci!

Rinaldo                         - (tappandosi le orecchie) No, nessun tra­dimento! Ma piano; mi pare d'essere sotto la tettoia della stazione!

Andreina                       - Silenzio! (Sottovoce) Ora non gridiamo più... Ce n'andiamo... Buona sera, barone. (Esce).

Celestina                       - (sottovoce) Buona notte, barone! (Esce).

Francesca                      - (c. s.) Buona notte, barone! (Esce).

Teresa                            - (e. s.) Auguri, barone! (Esce).

Giorgetta                       - (c. s.) Tante grazie, barone! (Esce).

Rinaldo                         - Buona sera, buona sera! Dio, che pas­seraio! (Apre il pacchetto delle caramelle e lo rovescia in una scatola d'argento. Poi si leva di tasca il mazzo nelle carte e siede al tavolo per iniziare il solitario) Cinque di cuori, quattro di picche... (Muta idea, strac­cia le carte) Basta con questo scemo passatempo da telibe! (E le butta nel cestino).

Fernanda                       - (entra dal fondo coi fiori. E' vestita con molla eleganza in abito chiaro da giorno) Già qui. Siete già qui?

Rinaldo                         - (alzandosi) Ma da poco... Ho assistito all'uscita delle diavolesse...

Fernanda                       - (disponendo i fiori in un vaso) Eh, le lo viste passare... Volavano.

Rinaldo                         - Come va?

Fernanda                       - Male. Malissimo. I ragazzi!

Rinaldo                         - Be', i ragazzi... Novità?

Fernanda                       - Altro che novità! Fattacci.

Rinaldo                         - Se Martina è a Cantù da vostra sorella...

Fernanda                       - Si, ma Cantù è a mezz'ora da Milano, e, accidenti alle ferrovie... (E ha finito di disporre i fiorii.

Rinaldo                         - Ah, no! Non maltrattate le Ferrovie, al­meno per un riguardo al mio stipendio. Se non ci fossero...

Fernanda                       - Ci sono, ci sono! Diretti, rapidi, lampi, fulmini... E Martina è venuta oggi, di nascosto, in città. E s'è incontrata con vostro figlio. Io da un mese la tenevo relegata laggiù, e quella mi viene a Milano di soppiatto e si trova con vostro figlio. Bella coppia di sciagurati!

Rinaldo                         - Non mi pare possibile. E la Banca?

Fernanda                       - Non c'è andato.

Rinaldo                         - Ma allora sono stati insieme tutto il po­meriggio!

Fernanda                       - Non vi spaventate. Sono stati insieme soltanto mezz'ora. Fra un treno e l'altro.

Rinaldo                         - Come lo sapete?

Fernanda                       - Lo so e so anche dove. Io so tutto. Sono stati nella pasticceria di Nono.

Rinaldo                         - Nono ha una pasticceria?

Fernanda                       - Voglio dire nella pasticceria frequentata da Nono.

Rinaldo                         - Oh, non fa l'indossatrice?

Fernanda                       - Per l'appunto. Li ha visti lei, e mi ha telefonato immediatamente. E' stata fedelissima.

Rinaldo                         - Voi la credete fedele, e io la credo invi­diosa, perché da quanto mi ha raccontato Silvano, Nono gli fa l'occhiolino.

Fernanda                       - (senza rilevare) Ma io ho agito subito! Sono corsa alla pasticceria; erano già usciti. Mi sono precipitata alla stazione: Martina era già partita. Sono corsa alla Banca per vedere vostro figlio: non era an­cora rientrato.

Rinaldo                         - Avete avuto un successone.

Fernanda                       - Aspettate. Furbi loro, furba io. Un'ora dopo avevo già fatto tutto. Ho telefonato a mia sorella a Cantù, scongiurandola di rispedirmi subito a Milano Martina, senza dirle che io so della sua venuta prece­dente. Secondo l'orario, dev'essere qui a momenti. E ho telefonato anche a vostra sorella!

Rinaldo                         - A mia sorella? Per far che?

Fernanda                       - Perché venisse qui. E ci verrà. E ho telefonalo anche a vostro figlio, in ufficio. Non sospetta di nulla; e sarà qui a minuti.

Rinaldo                         - E Nono? Avrete convocato anche Nono!

 *

Fernanda                       - Nono? Ci sarà anche lei. Sìsì. Assemblea generale. Perché così non la può durare... Io so d'oggi... della scappata d'oggi; ma chi mi garantisce che non ce ne siano state altre prima? Mia sorella mi assicura di no... ma le scuse, i pretesti per una ragazza che ha perso la testa... perché Martina deve aver perso la te­sta... E quel vostro Silvano! La ragazza magari ha detto a sua zia: « vado dall'amica A », « dall'amica B », e in­vece via alla stazione... treno, Milano... incontro con... sì, col vostro bel tomo... I giovani, adesso, non fanno mica tanti complimenti... fatti e non parole... S'è fatto male a lasciar passare un mese senza decidere nulla... E pensare che fin da quella prima mattina che siete venuto qui, avevo detto che, fatta la pace fra di noi, si doveva darne immediato avviso alle nostre famiglie, e poi si sarebbe potuto ragionare coi figlioli, fidanzarli, alla luce del sole... Insomma, le cose chiare... so ben io! E invece, un giorno dopo l'altro... Ci siamo gingillati. ... Ecco. E la sorpresa che volevo loro fare non si è an­cora fatta. Ma la faccio ora. Ora è urgente. Un mese fa, c'era un davanzale di mezzo. Ma ora - che, che -non c'è più niente di mezzo!! Allora voi, non avete nulla in contrario che Silvano sposi là mia Martina...

Rinaldo                         - Io... veramente... mi rimetto a voi...

Fernanda                       - Be'? Avete ancora dei dubbi?

Rinaldo                         - No, no, niente in contrario, anzi!

Fernanda                       - E va bene. Ma mi riserbo di dir loro il fatto mio.

Rinaldo                         - (irritandosi) Ah, questo sì, sentiranno che strilli.

Fernanda                       - (placandolo) Buono buono... Prendetevi il garofano (e glielo mette all'occhiello).

Rinaldo                         - Grazie. E non volete la caramella? (e gliela offre).

Fernanda                       - (accettandola) Sì. Ma la metto in tasca. Adesso mi legherebbe la lingua. E invece ho bisogno d'aver sciolto lo scilinguagnolo. (Indicando Anastasia che entra) Difatti... E una!

Anastasia                      - (entra affannata e non vede Rinaldo) Sono puntuale? Che è accaduto? Io ero incerta se ac­cettare o meno... Scusate, signora... ma con quello che avviene tra i nostri due appartamenti... è vero che da un mese c'è quiete... Ma non si sa mai... Oh Dio, non è un tranello?... (Vede Rinaldo) Tu qui? Anche tu sei qui? Oh Dio, non si tratterà di una disgrazia?... No? Ah, meno male, respiro!... Ma che bel negozio... elegante... prim'ordine!... Si respira il prim'ordine.... Ah, potessi portar via l'idea di qualche cappellino... A proposito, signora, non potreste dirmi... consigliarmi...

Fernanda                       - (andando incontro a Nono) Ecco Nono! E due!

Nono                             - (entra) Buona sera, signori.

Fernanda                       - Di vista vi conoscete. Dunque, presen­tazioni inutili.

Nono                             - Zia, si può sapere perché mi hai fatto ve­nire?...

Fernanda                       - Intanto per farvi incontrare, e poi...

Martina                         - (entra).

Fernanda                       - E tre! (E le va incontro).

Anastasia                      - (a Nono) Signorina, voi pensate che mi starebbe bene un vestito (commenta col gesto) stretto sui fianchi... (con comiche mossine) così?... così?... Mi farebbe linea?

Nono                             - (si alza; ad Anastasia, infastidita) Vi darò tutte le spiegazioni... ma più tardi. (Cambia posto « siede).

Martina                         - Buona sera a tutti!

Fernanda                       - (a Martina) Anche per te, tutte cono­scenze!

y Martina                       - (a tutti) Buona sera, buona sera! (Pas­sando vicino a Nono con sprezzante rimprovero) Tromba!

Nono                             - (scrolla le spalle).

Fernanda                       - Prego, accomodatevi...

Martina                         - (mentre tutti si accomodano, a Nono) Mi hai visto alla pasticceria, e subito... pepèèè, la tromba.

Rinaldo                         - Apriamo la seduta?

Martina                         - (a Nono) Intrigante!

Fernanda                       - Non ci siamo ancora tutti. Manca Silvano.

Nono                             - Ah, è invitato anche lui?

Anastasia                      - (a Rinaldo, tirandogli la giacca) C'è altri?

Rinaldo                         - (seccato) Mah! Forse il podestà!

Fernanda                       - Oh, c'è Silvano! Siamo al completo.

Silvano                          - (entra) Oh, quanta gente! Il papà?... La zia?... (A Fernanda) Signora?... (A Nono) Signorina... (A Martina) Signorina...

Anastasia                      - (va a sedere vicino a Nono).

Fernanda                       - Non voglio farvi perder tempo. Silvano, accomodatevi qui. (E gli cede il posto) Io sto in piedi, perché ho da farvi delle comunicazioni. Io sto in piedi. No, meglio, mi siedo       - (siede in un'altra poltrona) e lascio la parola al barone.

Rinaldo                         - Per amor del Cielo... Signora Fernanda!... Voi direte tutto meglio di me... So quello che volete dire, e l'approvo fin d'ora, e fin d'ora vi batto le mani. (Applaude).

Anastasia                      - Che succede? Tu approvi? Batti le mani... Che vuol dire?

Fernanda                       - Spiego tutto io... (Si alza) Vi ho riuniti qui apposta per spiegarvi!... Ho una bella cosa da co­municarvi... Anzi due. Prima: casa sua (indica il ba­rone) e casa mia, abbiamo fatto la pace!

Anastasia                      - Ah, bravi, bene!

Nono                             - Benissimo!

Fernanda                       - Seconda: Martina e Silvano, alzatevi! (Martina e Silvano si alzano e si guardano allarmati) A suggello della nostra conciliazione (a Martina) io, tua madre, e il barone Artieri (a Silvano) tuo padre, per­suasi che la vostra unione è bene assortita, consentiamo al vostro matrimonio! Alziamo tutti un grido: Evviva gli sposi! (Gelo generale).

Anastasia                      - (si alza, dignitosa, ma offesa) E io, la zia, la vice-madre, nessuno che mi dice niente!... Bella mancanza di riguardo!... Di mio fratello... non mi stupisce... ma che tu, Silvano, non me n'abbia mai par­lato... (si commuove) mi fa male, ecco, mi fa male! (Si asciuga gli occhi).

Nono                             - (si alza e ad Anastasia) Consolatevi, si­gnora... anche a me, nipote e cugina, non si è fatto pa­rola... (A Martina) Cosa temevi, che te lo rubassi io. il tuo sposino? (Siede).

Rinaldo                         - Silenzio! E lasciate finire la signora Fer­nanda.

Fernanda                       - Io ho già finito. Noi siamo certi che i due ragazzi si vogliono bene, che questo è un vero matrimonio d'amore! Fate vedere; su, Martina, abbracciar il tuo futuro marito!

Anastasia                      - (siede) Ma chi lo poteva immaginare

Nono                             - (si alza, piccata, a Fernanda) Ah, sì? Dob-biamo anche assistere allo spettacolo? Non ci tengo io. Buona sera. (S'avvia) E auguri! (Un inchino stiz20M ed esce).

Rinaldo                         - Ma signorina!...

Fernanda                       - Lasciatela andare. Tutta invidia! Noi vi occupate di lei... Martina, abbraccia il tuo futuro marito! -

Martina                         - Un momento, mamma...

Fernanda                       - Ti vergogni? Adesso? Alla finestrate adesso no?

Martina                         - Non è questo, mamma... Con il tuo per­messo... Non è più vergogna la mia... Si sa che un bacio è sempre un bacio, con o senza permesso, ma quando. c'è il permesso è tutto diverso di quando non c'è.

Fernanda                       - Cioè? Io non capisco. (A Rinaldo) You ci capite qualcosa, voi?

Rinaldo                         - Io, niente.

Fernanda                       - Il nostro consenso... sappiamo noi dia quanto ci è costato... vi dovrebbe entusiasmare... E in. vece!... Ah, credo di capire, l'iniziativa deve partite dall'uomo. Il maschio, sempre il maschio. Silvano... braccia Martina!

Silvano                          - Un momento, signora.

Rinaldo                         - Anche tu? Ma che diavolo succede? Si­gnora Fernanda, o voi vi siete sbagliata... oppure... (Ad Anastasia) Tu ci capisci qualcosa?

Anastasia                      - Io no... Oh Dio, non sarà mica una] disgrazia?...

Rinaldo                         - (alzando le braccia, desolato) Lo vedi? All'occasione non servi proprio a nulla!

Anastasia                      - (alzandosi, piccata) Ah, no? E allora, perché mi avete chiamata? Io stavo così bene a casa mia... Sbrigatevela da voi... Troppe complicazioni... Io amo le cose semplici... la linea, in tutto... Buona sera. (A Fernanda) Buona sera! (Esce).

Fernanda                       - (secca) Buona sera. (A Martina) E adesso mi spiegherai!

Martina                         - Mamma... Non è facile spiegare... almeno a te, anzi, a voi due...

Rinaldo                         - Anche a me?...

Martina                         - Sì... Non è facile, soprattutto per me che sono una giovinetta, e che vi sembrerei, chi sa chi.,. E invece no. Mamma, scusa... ma tu hai dato troppa im­portanza...

Fernanda                       - A che?

Martina                         - A... quello che hai visto quella sera!

Fernanda                       - Perché? Non era una cosa seria? Non mi hai detto tu che era una cosa seria?

Martina                         - Te l'ho detto. Per forza... Me l'hai chiesto in un certo modo... mi hai costretto a risponderti così» e poi, se t'avessi risposto che non era una cosa seria, ma una cosa, come dire, naturale, non avresti capito e ne avresti fatto un dramma.

Fernanda                       - (a Rinaldo, scattando) La sentite? Una cosa naturale! Te la sbrighi presto tu con le cose na­turali. Ce ne sono tante di cose naturali! Ma ditemi un po', siete o non siete come si deve?

Martina                         - Sì, mamma, lo siamo, lo siamo. Ma questa è un'altra faccenda.

Fernanda                       - (a Rinaldo) E' un'altra faccenda?... Dice un'altra faccenda?... Dite voi! (Più calma) Ho torto od ho ragione?...

Rinaldo                         - Ragione, ragione da vendere.

Silvano                          - (con deferenza) Signora, domando scusa... ma, se permettete, avete torto...

Rinaldo                         - Oh, un po' di rispetto!...

Fernanda                       - Lasciatelo dire... Fuori, che butti fuori!

Silvano                          - Avete torto, perché quello che avete visto non aveva importanza.

Fernanda                       - Voi la baciavate, lei si lasciava baciare... Un bacio lungo come il calendario. (A Rinaldo) Do­mando a voi se non è cosa d'importanza!

Rinaldo                         - (allarga le braccia) E' incredibile!

Silvano                          - Sì, tutto esatto; ma voi del bacio avete ancora un'opinione, scusate, stantia... (con lieve decla­mato canzonatorio) « il bacio è un apostrofo roseo messo tra le parole t'amo... » « è un istante di infinito che ha il fruscio di un'ape ». Giù, giù... scendiamo da questo ultimo cielo con l'ascensore.... scendiamo giù, sull'a­sfalto del marciapiede.

Fernanda                       - (a Martina) E quella ha l'aria di assen­tire!

Silvano                          - Signora Fernanda...

Fernanda                       - Rispondi tu, Martina...

Martina                         - Si e no.

Fernanda                       - Come sarebbe a dire, sì e no?

Martina                         - Sì, se ci badi tu... no, se ci bado io! Alla mia età...

Fernanda                       - Che età ed età... Le sudicerie sono sudi­cerie a qualunque età.

Silvano                          - (sempre con deferenza) Scusate, signora... Quando uno si inquieta, poi non usa più le parole adatte.

Rinaldo                         - Silvano, per il diavolo!

Silvano                          - Lasciami dire... La capisco io, la signora...

Fernanda                       - Ah, sili?... Mi capisce lui!

Silvano                          - La capisco e la giustifico. (A Rinaldo, con bonarietà da padre nobile) Vedi, papà, quand'era ragazza lei, era di gran moda una frase che è stata causa di molte infelicità. La frase era questa: « per tutta la vita... ». Qualunque incontro fra uomo e donna era «per tutta la vita». Uno sguardo voleva dire: «per tutta la vita...». Una stretta furtiva voleva dire: «per tutta la vita... ». Poi non era vero niente, ma intanto quella frase nobilitava l'incontro e illuminava l'avven­tura amorosa con l'aureola dell'eternità... Io no, non ho mai detto a Martina, né Martina ha mai detto a me: « per tutta la vita ». Siamo stati schietti: siamo stati buoni compagni, buoni amici... La giovinezza ha i suoi richiami, come la primavera ha i suoi fiori, e noi, da buoni amici, abbiamo colto i fiori e ascoltato i richiami... Ma in modo degno, degnissimo...

Rinaldo                         - Che degno! Per sentir i richiami occorreva arrampicarsi sugli alberi?

Fernanda                       - C'era bisogno di scalare le finestre?

Silvano                          - (a Rinaldo) Sì, per me c'era bisogno. Anzi, io ho posto la mia attenzione su Martina proprio perché tu, papà, eri in lotta con sua madre. Martina era per me la ragazza vietata, la mèta irraggiungibile: il vostro contrasto era un muro irto di taglienti cocci di bottiglia. E io mi sono impuntigliato e l'ho scalato. Martina lo «a... C'era un pericolo a corteggiare Martina, e io l'ho  corteggiata soprattutto per quel pericolo. Adesso, voi avete fatto la pace, voi ci autorizzate ad amarci... non è più la stessa cosa            - (sbattendo le labbra) non c'è più sale. Mi sposerò; a suo tempo, ma con un'altra; perché ora qui non c'è più, come dire, odore di polvere... E' troppo facile, comune... Io dovrei mettere dorsè, scarpe di vernice, guanti bianchi, inchinarmi e dire: « ho l'o­nore di chiedere in isposa vostra figlia... ». Ma io, in dorsè non mi ci trovo.

Rinaldo                         - (come cominciasse un lungo discorso) Senti, Silvano...

Fernanda                       - No, sentiamo prima quest'altra.

Martina                         - Parlerò con franchezza. L'ipocrisia noi non la conosciamo. Io sento, non dico penso, dico sento, che è molto di più, che Silvano ragiona bene. E non mi offendo di quel che ha detto ora, come non si offende lui di quello che sto dicendo. Ognuno sente come sente e basta: e quel che sente lo dice. Per quanto riguarda me, son sicura di convincerti con una domanda. Questa: ti par possibile, mamma, che io sposi un giovine che mi viene in casa dalla finestra, di notte, come un ladro? Ma quello sarà l'ultimo uomo che io mi piglierò per ma­rito. L'uomo che mi vorrà in moglie dovrà entrare dalla porta e domandare a te, mamma, la mia mano.

Rinaldo                         - In dorsè!

Martina                         - Ti ho convinta? Sì? Be'... ma la verità è diversa: e cioè che abbiamo provato... calendario lungo fin che vuoi... ma non è. scattata la scintilla. Primavera, nient'altro che primavera.

Fernanda                       - E allora, non ne volete far niente!

Rinaldo                         - E noi che s'era fatto tanto! (Una piccola pausa).

Fernanda                       - Un momento, un momento. Tu, Martina, da quanto tempo sei assente da Milano?...

Martina                         - Da un mese...

Fernanda                       - Avanti. E dove sei andata?

Martina                         - Lo sai anche tu.

Fernanda                       - Lo so, ma voglio sentirtelo dire.

Martina                         - A Cantù dalla zia Rosa.

Fernanda                       - Bene. E a Cantù come ti sei trovata?

Martina                         - Benissimo. Buon letto, buona tavola e al­legria.

Rinaldo                         - (entrando nel gioco) E vi ha giovato, eh? alla salute?

Martina                         - Sì, perché mi sono schiarita le idee.

Silvano                          - Tale e quale come a me, stando a Milano.

Fernanda                       - A Milano? Che c'entra Milano.

Silvano                          - C'entra, per la distanza.

Rinaldo                         - (con intenzione) Mezz'ora di treno!

Silvano                          - Mezz'ora o mezza giornata... la distanza è sempre distanza

Martina                         - E' stata appunto questa distanza che ci ha convinti che noi non eravamo innamorati... Partita, arri­vata presso la zia, io non ho sofferto nulla della lonta­nanza di lui...

Silvano                          - E io lo stesso di lei. Finita, una cosa finita. Punto e basta. Senza cerimonie e querimonie.

Martina                         - E ce lo siamo scritto, lealmente, franca­mente.

Silvano                          - Oltre tutto il resto, vedete bene che c'è un fatto preciso che ci dà ragione.

Fernanda                       - Ah, sì? (Una pausa, poi con tono trion­fante) E come si spiega che, non più tardi di quattro ore fa, tu, Martina, eri a Milano, e tutt'e due, tutt'e due, siete stati insieme?...

Rinaldo                         - Eh! Se vi cercate, se vi trovate, se; fate dei viaggi, se marinate l'ufficio, se vi nascondete negli angoli discreti delle pasticcerie... eh!

Martina                         - Sì, è vero. Oggi sono venuta a Milano.

Fernanda                       - Di nascosto!

Martina                         - Di nascosto.

Fernanda                       - (trionfante) Ooooh!

Silvano                          - Ed è vero anche che ci siamo trovati in un angolo discreto di una pasticceria...

Rinaldo                         - (trionfante) Ooooh!

Silvano                          - - Ci siamo trovati sì... ma non per parlare di noi. Per parlare di voi!

Fernanda e Rinaldo      - (insieme) Di chi?

Silvano                          - (molto serio e autorevole) Proprio di voi... Ne abbiamo ragionato a fondo, Martina e io; in questi ultimi giorni per lettera, e oggi a viva voce. E se non ci aveste convocati voi, vi avremmo convocati noi per domenica prossima. Perché siamo vivamente impres­sionati.

Rinaldo                         - Di che?

Silvano                          - Del vostro contegno.

Fernanda                       - Quale, contegno?

Silvano                          - Intanto tu, oggi, hai un vestito nuovo... e un garofano all'occhiello...

Martina                         - E tu, mamma, che eleganza! Non te l'ho mai visto quest'abito!

Silvano                          - Tu, papà, da qualche tempo rientri tardi a pranzo.

Martina                         - E anche tu, mamma. Lo so.

Silvano                          - E da otto giorni esci dopo pranzo.

Martina                         - E anche tu, mamma, Lo so.

Silvano                          - Ma non basta! Da un mese, tu papà, vieni qui tutte le sere e accompagni a casa la signora, fa­cendo un giro sempre più lungo... Tutto questo ci ha molto preoccupati. Capirete, se si trattasse di due gio­vani come noi... niente di male. Noi sappiamo come de­streggiarci in queste faccende... Noi stiamo alla realtà... Ma voi, io lo so, come fate: lo so benissimo. C'è tutta una documentazione di romanze, opere liriche e filmi sulla vostra generazione... « Torna caro ideal... »... « Cosa c'era nel fior che tu m'hai dato »... Voi aggiungete a un sentimento naturale, fronzoli, fantasticherie e viole del pensiero. Magari siete capaci di soffrire per il gusto di soffrire, di desiderare una cosa e non dirla mai, di annaspare in un reticolato di « se », di « ma », di « poi », senza poter avanzare... Sì, papà, secondo me, posso sbagliare, ma lascia che io te lo dica... Tu sei su unacattiva strada!

Rinaldo                         - Ma ti rendi conto di quello che stai di­cendo, e a chi lo stai dicendo?... Tu inverti le parti... Tu sovverti i nostri rapporti... la logica... il senso comune... Ma cosa vuoi dirci tu, che hai vent'anni di meno!...

Silvano                          - E che esperienza puoi aver fatto tu, in questi tuoi vent'anni di più? Sei andato avanti e in­dietro, casa ufficio, ufficio casa...

Fernanda                       - (a Silvano) Per forza, per farvi crescere per fornirvi una istruzione...

Rinaldo                         - Si capisce: per tirarti su e darti un im­piego.

Silvano                          - Non dico di no. E te ne sono ricono­scente. Ma dico che tu, in questi vent'anni, hai riempito montagne di moduli e fatto un numero spaventoso di « solitari » ; e nient'altro. Ma noi la scuola dell'e­sperienza si fa a corsi accelerati: cinque anni in uno!

Fernanda                       - La vostra crudeltà ha un'unica scusa: quella di essere inconsapevole.

Silvano                          - (a Rinaldo) Lo vedete come ingrandite, come drammatizzate le cose? E' appunto questo che vogliamo dirvi. (A Rinaldo) Tu parli di invertire di sovvertire... Io ti dico semplicemente: non ingrandire, non drammatizzare. Vedi le cose come sono. Ti do­mando scusa, ma dopo la gravità delle tue ultime pa­role, sento ancor più che è mio dovere di metterli in guardia. Tu non te ne accorgi... ma sta in guardia! Altrimenti tra poco scriverai dei versi, passeggerai per le foreste agitando le braccia, ti dispererai di non essere compreso, ti monterai la testa!

Rinaldo                         - Farò il comodo mio. Potrò fare il comodo mio? O adesso ci vuole un vostro permesso scritto?

Martina                         - E tu, mamma, visiterai le chiromanti, e in queste notti d'agosto darai sempre lo stesso nome a tutte le stelle cadenti...

Fernanda                       - Tu fai l'eco e non sai quel che ti dici

Martina                         - Noi non possiamo ammettere che voi, i nostri genitori, continuiate così. Lo so: le nostre preoc­cupazioni a vostro riguardo forse vi irritano, forse vi stupiscono, forse vi paiono stravaganti o ridicole... In­vece, niente di più savio e affettuoso... Quando, prima, si trattava di noi, voi ci avete detto: «sposatevi!». Adesso che si tratta di voi, siamo noi a dirvi: voi diventate coniugi, o restate condòmini » ; ma ne l'uno né l'altro, no; e nemmeno un po' dell'uno e un poi dell'altro. Nessun equivoco: cose chiare, pulite. Pen­sateci bene. Che figura ci fareste dinanzi a noi?

Silvano                          - (minacciando con l'indice) , Sentimentaloni!... (Deciso) E ora, noi si va nella pasticceria qui accanto... e si aspetta. Se è sì, ci telefonate subito. (Ha scritto intanto il numero su un foglietto di carta) Se è no... ce lo direte più tardi, a casa. Qui c'è il numero del telefono. (E depone il foglietto sul bracciolo d'una poltrona) A fra poco! (Prende per mano Martina est la trascina via correndo. Sulla soglia si volge) E fate giudizio, che è ora!

Rinaldo                         - (che è rimasto, durante queste ultime battute, assorto e quasi assente, si volge a guardare Fernanda),

Fernanda                       - (guarda lui e stanno un attimo in silenzio).

Rinaldo                         - (scatta) Ma quei due sono matti da le­gare! Ma li avete sentiti? Mi hanno sbalordito, mi hanno levato il fiato... Non potevo più parlare... E quel chiacchierone di mio figlio        - (rifacendolo) « è un apostrofo roseo posto tra la parola t'amo... ». « E' un istante di infinito...». C'è poco da canzonare! Cos'è il bacio per lui? Forse l'interruttore delle nostre correnti elettriche? Uno scambio insidioso di microbi?... Vivaddio, tra bacio e bacio, preferisco - e anche voi lo preferite di certo il nostro... cioè il mio, insomma quell'altro... Siete o non siete del mio avviso? Sapete quel che avrei voluto rispondere, a lui e anche a lei, perché, scusate, è vostra figlia, ma anche lei non si meritava forse una risposta schietta e tonda?...

Fernanda                       - (interrompendo e accalorandosi come se avesse dinanzi i due giovani) Questa si meritava: senza stelle cadenti, miei cari saputelli, l'amore è roba da quattro soldi... se non ci si fantastica, se non ci si conrama un poco, poi non si può, quando che sia, spartire con l'altro le ore grame e le ore buone, il sereno e la burrasca... L'amore non è, cara Martina, come un foglio di macchina, che se si sbaglia lo si cambia. Si con­quista, si conserva e si difende, perdiana!

Rinaldo                         - (interrompendo a sua volta e accalorandosi dei pari, come avesse  dinanzi i due giovani) Sa­crosante parole! Ed io avrei soggiunto: sicuro, sbarba­telli presuntuosi!... Ah, noi non sappiamo destreggiar­ci?... Noi si sospira senza costrutto?... Noi sogniamo, in­vece di agire?... Ma chi vi ha fatti, voialtri due? La fantasia, il cielo d'agosto?...

Fernanda                       - Magnifiche cose; ma non le avete dette.

Rinaldo                         - Ma neppure voi, avete dette le vostre!

Fernanda                       - Anch'io ero talmente stordita! Ci hanno trattati come due scolaretti. (Una piccola pausa).

Rinaldo                         - «Decidetevi!». «A tra poco!». Si fa presto a dire... Ma bisogna rifletterci... E poi, altro che rifletterci!... Ci avete mai pensato, voi? Cosa s'è fatto poi di straordinario per... No, no... Quelli... lo so io... l'ho capito io... Quelli si sono bellamente vendicati... Noi s'è ficcato il naso nei fatti loro, e per sviarci, per distogliere la nostra attenzione sul bel pasticcio che ci hanno combinato, hanno inventato... Domando io se i figli... Ma quando mai i figli si mettono sullo stesso piano dei genitori?... Ma andiamo, voi! (Una piccola pausa) Io vostro marito, e voi mia moglie?... Ma non vi pare una cosa...

:

Fernanda                       - Una cosa?...

Rinaldo                         - Sì, dico, una cosa...

Fernanda                       - Ah, perché mi mettete già in pensione?

Rinaldo                         - No, non dico questo, per amordiddio... Voi ì... Voi avete tutto per essere una brava moglie, una buona compagna... Siete amante della casa, del vostro mestiere, siete coraggiosa... Avete affrontato anche me, quand'ero Barbablù! Ma io, invece...

Fernanda                       - Non fate il modesto, adesso... Voi po­treste ancora trovare quella che vi apprezzi... E forse, dico forse, potreste anche fare, non dico felice, ma es­sere, che so?, un buon appoggio... In fondo, siete un lavoratore, e nel complesso, sommato il prò e il contro, quasi una perla d'uomo...

Rinaldo                         - Perla, poi...

Fernanda                       - Non dico perla vera, ma adesso fanno tanto bene anche le imitazioni!... E una certa nobiltà d'animo, all'occasione, l'avete dimostrata... Non come me... E poi, sì, anche come me... (Lo osserva) Scusate... rigiratevi!... Camminate!... Sedete!... Alzatevi!... Di cor­ea!... (Rinaldo eseguisce) Alt! Certo, ce n'è di meglio, ma anche così, se ci si accontenta... non c'è poi male... Certo che, a pensarci - dico per voi - passando gli anni, vostro figlio - va be', gli è andata male con Martina, ma con un'altra... sposerà un'altra... E voi resterete solo... Oh, non vi dovete angosciare, questo no... Ma la soli­tudine è sempre la solitudine... E le malattie? Non ci pensate alle malattie? Facciamo le corna, ma insomma... Magari vi capitasse di rifare la vostra casa!... Io ve lo auguro. Siete stato così sfortunato la prima volta!... Perché, non ci facciamo illusioni... dai nostri due fi­glioli non c'è da aspettarsi molti conforti... Anch'io resterò sola... E probabilmente avverrà che là, nel no­stro villino, io sarò sola su al primo piano, e voi solo giù al pianterreno... E almeno si fosse ancora nemici; passeremmo il tempo a molestarci. Ma siamo amici: non avremo neanche quell'occupazione.

Rinaldo                         - Be', voi verrete a pranzo da me; io verrò da voi... Ci scambieremo... si farà un turno regolare...

Fernanda                       - Sempre uno su e l'altro giù.

Rinaldo                         - Naturalmente, la casa è fatta così.

Fernanda                       - E i nostri figli?... Io su e voi giù, e poi voi giù e io su... sospettano già adesso di noi!... Ah! Sa­pete che si fa? Ho trovato; si vendono i due appartamenti.

Rinaldo                         - Ben detto. Ma se ne può vendere anche uno solo: il vostro.

Fernanda                       - E perché il mio e non il vostro?

Rinaldo                         - r Si tirerà a sorte!

Fernanda                       - Benissimo. Si tirerà a sorte. E si abiterà lontani.

Rinaldo                         - Oh per questo... C'è il telefono!

Fernanda                       - Eh nò... Niente telefono. Non ricordate quel che han detto quei due diavoli? O sì, o no. Niente confusioni! E hanno ragione. Sono giovani, ma hanno ragione.

Rinaldo                         - Ricordo, ricordo... Ma ricordo anche che, mentre quelli cianciavano, io riflettevo... non su loro, «u di me... Facevo una specie di esame di coscienza... Strane cose succedono dentro di noi a nostra insaputa... Mentre quei due parlavano, mi accorgevo che la ragione del mio rancore verso di voi e di vostro marito non era generica; ma mia, intima, nata chissà come, ignota anche a me stesso e rivelatasi d'un tratto... Ecco, ora vedo netto: ecco, io detestavo vostro marito perché voi eravate sua moglie, e mi sembravate innamorata di lui!

Fernanda                       - (che nel frattempo s'è seduta sulla poltrona dove c'è il biglietto) E' una dichiarazione?

Rinaldo                         - Prendetela come volete.

Fernanda                       - (ha preso in mano il biglietto e ci gioche­rella).

Rinaldo                         - Che pensate? Che i nostri ragazzi siano nati con la vista più lunga della nostra? O che ci ab­biano costretti a guardare quello che noi non volevamo vedere? (E intanto s'è avvicinato al telefono).

Fernanda                       - Mah!

Rinaldo                         - Come mah! (E pone una mano sul ricevi­tore).

Fernanda                       - Chi può sapere?... Oh, che fate?

Rinaldo                         - Io? (Leva svelto la mano dall'apparec­chio) Niente! (E messe le mani dietro la schiena, s'al­lontana dall'apparecchio con ostentata disinvoltura).

Fernanda                       - In fondo, si potrebbe anche metterci d'accordo, no? (Quasi a giustificarsi) Non saremmo i primi che... (Documentando) Ci sono stati dei casi an­che più... sì, per esempio, la mia cliente Morbelli... La mia cliente Morbelli s'è sposata a sessant'anni... Noi ne abbiamo molti di meno... In ogni caso, vuol dire che ci faremo buona compagnia.

Rinaldo                         - (con intenzione) Appena?

Fernanda                       - (lo guarda allarmata: minacciosa, con l'in­dice teso) Ah, be'! (Legge il numero e poi, impe­riosa) 54321!

Rinaldo                         - (corre al telefono gioioso e forma il nu­mero) 543...

Fernanda                       - ... 2 1. (E si alza).

Rinaldo                         - (completa il numero) ... 2, 1! Ecco, ri­sponde...

Fernanda                       - (si avvicina al telefono e con la mano toglie, la comunicazione).

Rinaldo                         - Be'?... (Posa il ricevitore) Che significa?

Fernanda                       - Significa che la mia testa funziona a dovere... Sì, non dico... Le parole stordiscono sempre... Per un poco, è vero, siamo scivolati nel tenero... Si ca­pisce... Due poveri diavoli, come noi, con quel niente di tenero che hanno avuto dalla vita... Ma vi pare vera­mente che noi due?... (Sicura) No, no! Abbiamo già sciupato una volta, senza colpa, la poesia del matri­monio...'esso è un prologo e non un epilogo!... E' un atto di vita e non un atto di rassegnazione... (Convinta) Per noi, ora, sarebbe una sistemazione, una accomandita, un ospizio... Brutte parole e brutte cose.

Rinaldo                         - E io, che avevo persino riprovato il mio vecchio dorsè... Dio com'è diventato stretto!

Fernanda                       - Eh, a voialtri uomini tutto è consentito, quando volete e come volete... Ma a noi donne, no! Noi, in queste cose, dobbiamo avere criterio anche per gli uomini che lo perdono facilmente... quando è in gioco la loro albagìa di galletti...

Rinaldo                         - (arrabbiandosi) Ma perdinci, siete una ra­gnatela di insidie! Mi irritate, ecco... E questo garofano       - (se lo strappa dall'occhiello) via! (E lo getta lontano).

Fernanda                       - (con rimprovero) Oh, signor capufficio!

Rinaldo                         - (sempre irritato) Scusate.

Fernanda                       - Buono buono! So che cos'è... E' un po' d'orgoglio ferito! (Ridendo) Galletto anche voi. (Poi seria, con sincera nostalgia) Che credete? Che durante questo mese io non abbia pensato a quel che sarebbe stata la nostra vita se ci fossimo conosciuti da gio­vani? (Con commozione) Ci ho anche sognato, sulla coppia che saremmo stati... E ho immaginato persino i nostri figli, li ho visti... li vedo... lì... là... due, tre... e invece! (Con ripresa di tono) Non ci avete pensato anche voi?

Rinaldo                         - (allargando le braccia con caricata desola­zione) Ma non ci siamo incontrati!-

Fernanda                       - Perché non era il nostro destino. Il nostro destino è di essere soltanto condòmini. Meglio che niente, eh? Via le melanconie e mangiamoci sopra.

Rinaldo                         - Sì, benissimo. Si va in un bel ristorante del centro...

Fernanda                       - Ma nooo!

Rinaldo                         - Possibile che siate sempre di parer con­trario?

Fernanda                       - E se ci Vedono?

Rinaldo                         - Ma chi?

Fernanda                       - La gente!

Rinaldo                         - Che gente?

Fernanda                       - La gente!

Rinaldo                         - Non siamo due giovincelli per nascon­derci.

Fernanda                       - Appunto per questo!

Rinaldo                         - E poi chi ci deve vedere?

Fernanda                       - Non si sa mai!!

Rinaldo                         - E anche se ci vedono, non me ne importa niente!

Fernanda                       - A voi no, a me sì.

Rinaldo                         - Io voglio andare in un ristorante del centro.

Fernanda                       - No, del centro, no.

Rinaldo                         - E faremo venire con noi i ragazzi!

 

Fernanda                       - No, i ragazzi no. Questa volta i ragazzi no.

Rinaldo                         - Insomma, prima sì e poi no, e prima no e poi sì!...

Fernanda                       - Ma no! E' così chiaro. Che c'entrano i ragazzi? Si va noi due, soltanto noi due... (Con ironica grazia) Si prende un tassì... « Dove vanno i signori? ». «Alla Pergola fiorita»... E via, fuori porta, alla «Per­gola fiorita », Ci "siamo... si scende, si entra, si T« «otto la pergola... (Annusando) Uh! che buon odore di arrosto e di campagna... e che silenzio!... Ci ù siede a un tavolino appartato... ecco, sì, quello lì in fondo... col paralume rosa... l'orchestrina suona un valzer (ne accenna il motivo), il cameriere dice: «che posso offrire? Ostriche, Spumante? Caviale? ». Si parla sotto­voce... si sogna un po'... ci si incanta... ci si oblia» l'orchestrina suona un tango... (Ne accenna il motivo) Delizioso! Ci pensate eh? Finalmente soli!

Rinaldo                         - (preso un po' dal gioco) Finalmente soli!

Fernanda                       - (improvvisamente comica) Già, ma per pranzare soltanto; bel gusto!

Silvano                          - (entra con Martina) Ebbene? Tutto fatto? Abbiamo atteso invano la vostra telefonata. Si voleva andare a casa come d'accordo, invece siamo tornati,

Martina                         - E dunque? Ci date i confetti?

Fernanda                       - Niente confetti.

Rinaldo                         - Fanno male ai denti.

Silvano                          - (a Martina) Li senti? S'è fatto bene a tornare. Da soli non concluderanno mai niente. Non osano, poverini! Si vogliono bene ma si vergognano! Ma guardali. Diventano rossi. (A Rinaldo e Fernanda) E allora, cari amici, siate sinceri come noi. Vieni qua tu     - (e prende la mano di Rinaldo) e anche voi datemi la mano! (Prende la mano di Fernanda) Quando le in­tenzioni sono buone tutto deve finir bene. Papà Ri­naldo, siete contento di sposare la qui presente mamma Fernanda?

Rinaldo                         - Poiché lo volete voi!

Silvano                          - Mamma Fernanda, siete contenta di spo­sare il qui presente papà Rinaldo?

Fernanda                       - Dal momento che lui ha detto di sì-

Silvano                          - E allora sposatevi e siate felici, figli miei!

Rinaldo                         - (portandosi una mano al capo) Oh, Dio, mi gira la testa. (Si lascia cadere su una poltrona).

Fernanda                       - Cominciamo bene! Portate un liquore.

Rinaldo                         - No, non .è niente. Son loro che mi fanno girare la testa. Io non so più se sono padre, se sono figlio, se i genitori sono loro o siamo noi.

Silvano                          - Voi, voi!

Rinaldo                         - Ah sì, siamo noi? E allora noi vogliamo, noi ordiniamo... Cioè non ordiniamo più niente, il ba­stone del comando ormai l'avete voialtri.

Silvano-                         - E perciò comandiamo. A pranzo. Alla trat­toria. Papà, dà il braccio alla «posa. Così. Avanti! (8 si tira da parte con Martina per lasciarli passare).

Rinaldo                         - Un momento. Chi paga?

Silvano                          - Tu paghi.

Rinaldo                         - Ho capito! Tutto cambia ma chi paga è sempre papà. (Escono).

FINE