Virginia
Di Vittorio Alfieri
PERSONAGGI
APPIO CLAUDIO
VIRGINIO
NUMITORIA
VIRGINIA
ICILIO
MARCO
Popolo
Littori
Seguaci d'Icilio
Schiavi di Marco
Scena, il Foro in Roma
[Epigrafe]
Virginia appresso il fero padre armato
di disdegno, di ferro, e di pietate.
PETRARCA, Trionfo della castità
ATTO I
SCENA I
NUMITORIA, VIRGINIA
Numitoria
Che più t'arresti? Vieni: ai lari nostri
tornar si vuole.
Virginia
O madre, io mai da questo
foro non passo, che al mio piè ritegno
alto pensier non faccia. È questo il campo
donde si udia già un dì liberi sensi
tuonar da Icilio mio; muto or lo rende
assoluta possanza. Oh, quanto è in lui
giusto il dolore e l'ira!
Numitoria
Oggi, s'ei t'ama,
forse alcun dolce ai tanti amari suoi
mescer potrà.
Virginia
S'ei m'ama?... Oggi?... Che sento!
Numitoria
Sì, figlia: al fin tuoi caldi voti ascolta,
ed esaudisce il genitore: ei scrive
dal campo, e affretta le tue nozze ei stesso.
Virginia
Al mio sì lungo sospirar, fia vero,
che il fin pur giunga? Oh quanto or me fai lieta!
Numitoria
Non men che a te, caro a Virginio ognora
Icilio fu: Romani entrambi; e il sono,
più che di nome, d'opre. Il pensier tuo
più altamente locar dato non t'era,
che in cor d'Icilio, mai: né pria ti strinse
il padre a lui, che a tua beltà non fosse
pari in te la virtù; d'Icilio degna,
pria che d'Icilio sposa, ei ti volea.
Virginia
Tal dunque oggi mi crede? Oh inaspettata
immensa gioia! L'ottener tal sposo
pareami il primo d'ogni ben; ma un bene
maggior d'assai fia il meritarlo.
Numitoria
Il merti;
ed ei ti merta solo; ei, che mostrarsi
osa Romano ancor, mentre sta Roma
in reo silenzio attonita vilmente,
e, nel servaggio, libera si crede.
Pari fossero a lui que' vili illustri,
cui narrar dei grand'avi ognor le imprese
giova, e tradirle! In cor d'Icilio han seggio
virtù, valor, senno, incorrotta fede...
Virginia
Nobil non è, ciò basta; e non venduto
ai tiranni di Roma: indi egli piacque
al mio non guasto core. Accolta io veggo
in sua libera al par che ardita fronte
la maestà del popolo di Roma.
In questi tempi iniqui, ove pur anco
trema chi adula, il suo parlar verace,
l'imperterrito cor, la nobil'ira,
i pregi son, che han me da me divisa.
Plebea, mi vanto esser d'Icilio eguale;
piangerei d'esser nata in nobil cuna,
di lui minor pur troppo.
Numitoria
In un col latte
t'imbevvi io l'odio del patrizio nome,
serbalo caro; a lor si dee, che sono,
a seconda dell'aura o lieta, o avversa,
or superbi, ora umìli, e infami sempre.
Virginia
Io smentir mie' natali? Ah! non sai, madre,
ragion, che in me il magnanim'odio addoppia.
Privati miei, finor taciuti, oltraggi
ti narrerò.
Numitoria
Vadasi intanto.
Virginia
Udrai
a che mi espon questa beltà, che grata
mi è sol per quanto a Icilio piace...
SCENA II
VIRGINIA, NUMITORIA, MARCO, schiavi
Marco
È questa,
sì, la donzella è questa. Alle mie case,
schiavi, presa si tragga: ella è mia serva
nata, qual voi.
Numitoria
Che ascolto?... E tu, chi sei,
ch'osi serva appellar romana donna?
Marco
Nota è tua fraude, e vana; invan ritorla
cerchi ai dovuti ceppi. Ella a te figlia
non nacque mai, né libera. Di Roma
son cittadino anch'io; ne so le leggi;
le temo, e osservo; e dalle leggi or traggo
di ripigliar ciò, che a me spetta, ardire.
Virginia
Io schiava? Io di te schiava?
Numitoria
A me non figlia?
E tu, vil mentitor, sarai di Roma
tu cittadino? Agli atti, ai detti infami,
dei tiranni un satellite ti credo,
ed il peggior. Ma sii qual vogli, apprendi,
che noi siam plebe, e d'incorrotta stirpe;
che a' rei patrizi ogni delitto e fraude
qui spetta, e a' lor clienti: in oltre, apprendi,
ch'è padre a lei Virginio; e ch'io consorte
son di Virginio; e ch'ei per Roma in campo
or sotto l'armi suda;... e ch'ei fia troppo
a rintuzzar tua vil baldanza...
Marco
E ch'egli,
da te ingannato, la mal compra figlia
nata crede di te: né con qual'arte
la non sua prole supponesti a lui,
seppe, né sa. Dove fia d'uopo, addurne
mi udrai le prove. La mia schiava intanto
meco ne venga. Io mentitor non sono,
né di Virginio tremo: all'ombra sacra
securo io sto d'inviolabil legge.
Virginia
Madre, e fia ch'io ti perda? e teco, a un tratto,
e padre, e sposo, e libertà?...
Numitoria
Ne attesto
il cielo, e Roma; ell'è mia figlia.
Marco
Indarno
giuri; m'oltraggi indarno. O i servi miei
tosto ella segua; o tratta a forza andranne.
Ad incorrotto tribunal supremo,
se il vuoi tu poscia, ampia ragion son presto
a dar dell'opra mia.
Numitoria
D'inermi donne
maggior ti credi; ecco il tuo ardir: ma lieve
pur non saratti usarne forza. Il campo
mal scegliesti all'infamia: il roman foro
quest'è; nol pensi? Or cessa; il popol tutto
a nostre grida accorrerà: fien mille
i difensor di vergine innocente.
Virginia
E se pur nullo difensor sorgesse,
svenarmi qui, pria che menarmi schiava,
carnefici, v'è forza. Io d'alto padre
figlia, certo, son io: mi sento in petto
libera palpitar romana l'alma;
altra l'avrei, ben altra, ove pur nata
d'un vil tuo par schiava più vil foss'io.
Marco
Ripiglierai fra le natìe catene
tosto i pensier servili; in un cangiato
destino e stile avrai. Ma intanto il tempo
scorre in vane contese: or via...
Numitoria
Menarmi
presa dovrete in un con essa.
Virginia
O madre,
forza non v'ha, che a te mi svelga.
Marco
Indarno. —
Disgiunta sia, strappata dalla falsa
madre la schiava fuggitiva.
Virginia
O prodi
Romani, a me, s'è in voi pietade...
Numitoria
O figli
generosi di Marte, al par di voi
Romana, al par di voi libera nacque
questa, ch'io stringo al sen materno: a forza
me la torran quest'empi? agli occhi vostri?
a Roma in mezzo? ai sacri templi in faccia?
SCENA III
ICILIO, popolo, NUMITORIA, VIRGINIA, MARCO
Icilio
Qual tumulto? Quai grida? — Oh ciel! che veggio?
Virginia!... e a lei...
Virginia
Deh! vieni...
Numitoria
Il ciel ti manda;
corri, affrettati, vola. Alto periglio
sovrasta alla tua sposa.
Virginia
A te son tolta,
alla madre, ed a me. Costui di schiava
tacciata m'ha.
Icilio
Di schiava! O vil, son queste
le forti imprese tue? Pugnar nel foro
meglio sai tu che in campo? O d'ogni schiavo
schiavo peggior, tu questa vergin osi
appellar serva?
Marco
Icilio, uso alle risse,
fra le discordie e i torbidi cresciuto,
ben è dover, che a rinnovar tumulti
onde ognora ti pasci, or tu quest'uno
pretesto afferri. Ma, fin ch'havvi in Roma,
a tuo dispetto, sagrosante leggi,
temer poss'io di te? Questa è mia schiava;
sì, questa; il dico; e a chi provarlo importa,
il proverò. Né tu, cred'io, né quanti
simili a te fremon qui in suon di sdegno,
di me giudici siete.
Icilio
Icilio, e i pochi
simili a lui, qui difensor tremendi
dell'innocenza stanno. — Odi mie voci,
popol di Roma. Io, che finor spergiuro
non sono; io, che l'onor non mai tradito,
né venduto ho; che ignobil sangue vanto,
e nobil cor; me udite; a voi parlo io.
Questa innocente libera donzella
è di Virginio figlia... Ad un tal nome
arder vi veggo già di splendida ira.
Virginio in campo milita per voi:
mirate or tempi scellerati; intanto
all'onte esposta, ed agli oltraggi, in Roma
riman sua figlia. E chi la oltraggia?... Innanzi
fatti, o Marco; ti mostra... E che? tu tremi? —
Eccolo, a voi ben noto; ultimo schiavo
d'Appio tiranno, e suo ministro primo;
d'Appio, d'ogni virtù mortal nemico;
d'Appio oppressor, duro, feroce, altero,
che libertà v'ha tolto, e, per più scherno,
vita or vi lascia. — A me promessa è sposa
Virginia, e l'amo. Chi son io, non penso,
che a rimembrarvel abbia: io fui già vostro
tribun, già vostro difensor,... ma invano;
che al lusinghiero altrui parlar credeste,
più che al libero mio: pena ne avemmo
il servaggio comune... Or, che più dico?
d'Icilio il braccio, il cor, l'ardir vi è noto,
non men che il nome. — A voi libera chieggo
mia sposa, a voi. Costui non ve la chiede;
schiava la dice, e piglia, e a forza tragge. —
Tra Icilio, e Marco, il mentitor qual sia,
danne sentenza tu, popol di Roma.
Marco
Leggi, che a voi, popolo re, voi feste,
sagge, tremende, sacre, infranger primi
or le ardireste voi? No; che di Roma
nol soffriranno i Numi. Allor ch'io falso
richieditor convinto sia, sul capo
mi piombi allor del vostro sdegno il grave
peso intero: ma infin che folli vanti,
e atroci ingiurie, e orribili dispregi
d'autorità legittima sovrana,
son le ragion che a me si oppongon sole;
al suo signor sottrar l'antica schiava
qual di voi l'ardirebbe?
Icilio
Io primo; e avrommi
compagni a ciò quanti qui son Romani.
Certo, la iniqua tua richiesta asconde
infame arcano: or, qual ragion ti muova,
chi 'l sa? chi 'l può, chi 'l vuol saper? non io;
sol che non segua abbominando effetto.
Roma, da che dei Dieci è fatta preda,
già sotto vel di legge assai sofferse
forza, vergogna, e stragi. Uso ad oltraggio
pur finor non son io: chi 'l soffre, il merta.
Schiava non può d'Icilio esser la sposa;...
fosse anco nata schiava. — Ove si vide
legge più ingiusta mai? Schiavi, nel seno
di libertade? Ed a chi schiavi? al fasto
insultator di chi ci opprime. — I servi
per la plebe non son; per noi, che mani
abbiamo, e cor. — Ma servi a mille a mille,
purché nol sia Virginia, abbia pur Roma. —
Romani, intanto a me si creda: è questa,
vel giuro io, figlia di Virginio: il volto,
gli atti modesti n'ha, gli alti pensieri,
e i forti sensi. Io l'amo; esser de' mia;
la perderò così?
Popolo
Misero sposo!
Costui, chi sa, chi 'l muova?
Icilio
Oh! ben mi avveggo,
pietà di me sentite; ed io la merto;
vedete: il dì, ch'io mi credea già in sommo
d'ogni letizia, ecco, travolto in fondo
son d'ogni doglia. Assai nimici ho in Roma;
tutti i nimici vostri; assai possenti,
ma scaltri più. Chi sa? tormi la sposa,
or che m'han tolto libertà, vorranno.
Mirate ardire! e favole si tesse;
e ne vien questi esecutor... Deh! Roma,
a qual partito sei?... Nobili iniqui,
voi siete i servi qui; voi di catene
carchi dovreste andar; voi, che nel core
fraude, timore, ambiziose avare
voglie albergate; voi, cui sempre rode
mal nata invidia, astio, e livor di nostre
virtù plebee, da voi, non che non use,
non conosciute mai. Maligni, ai lacci
porgon le man, purché sia al doppio avvinta
la plebe: il rio servaggio, il mal di tutti
vonno, pria che con noi goder divisa
la dolce libertade: infami, a cui
la nostra gioia è pianto, il dolor gioia.
Ma i tempi, spero, cangieransi; e forse
n'è presso il dì...
Popolo
Deh, il fosse pur! Ma...
Marco
Cessa;
non più: tribun di plebe or qui vorresti
rifarti forse? A te, ben so, può solo
omai giovar sedizione, e sangue;
ma, tolga il ciel, ch'io mezzo oggi ti sia
a sì nefando effetto. Infra costoro
macchina, spargi il tuo veleno ad arte;
forza null'altra a violenza io voglio
oppor, che quella delle leggi. Or venga
Virginia d'Appio al tribunal; con essa
la falsa madre: ivi le aspetto; ed ivi,
non urla insane, e tempestose grida,
ma tranquilla ragion giudice udrassi.
SCENA IV
ICILIO, VIRGINIA, NUMITORIA, POPOLO
Icilio
Menarla io stesso al tribunal prometto. —
Romani, (ai pochi, ai liberi, ed ai forti
io parlo) avervi al gran giudicio spero
spettatori, e v'invito: ultima lite
fia questa nostra. Ogni marito e padre
saprà, se figli abbia e consorte in Roma.
SCENA V
ICILIO, VIRGINIA, NUMITORIA, POPOLO
Numitoria
Oh rei costumi! Oh iniquità di tempi!...
Misere madri!...
Virginia
O sposo, agli occhi tuoi
pregio finor non ebbi altro che il padre;
priva di lui, come ardirò nomarmi
tua sposa?
Icilio
Ognora di Virginio figlia,
d'Icilio sposa, e quel ch'è più, Romana,
sarai, tel giuro. Al mio destin ti elessi
fida compagna; a me ti estimo io pari
in virtude. Al mio labro Amor non detta
più molli sensi; il braccio, il cor daratti
prove d'amor, se d'uopo fia, ben altre. —
Ma, la cagion, che a farti oltraggio spinge
quel vil, sapreste voi?
Virginia
Ch'egli è, dicevi,
d'Appio tiranno il rio ministro.
Icilio
Schiavo
d'ogni sua voglia egli è...
Virginia
Nota pur troppo
m'è la cagione dunque. Appio, è gran tempo,
d'iniquo amore arde per me...
Icilio
Che ascolto?...
Oh rabbia!
Numitoria
Oh ciel! perduti siamo.
Icilio
Io vivo;
ho un ferro ancor. — Non paventate, o donne,
fin ch'io respiro.
Virginia
Odi sfrenato ardire.
Or di sedurre, or d'ingannar più volte
l'onestà mia tentò: lusinghe, preghi,
promesse, doni, anco minacce, e quanto
dell'onestade ai nobili par prezzo,
tutto spiegò. Dissimulai l'atroce
insoffribile ingiuria: in campo il padre
si stava; e udita invan da me l'avrebbe
sola e inerme la madre. — Alfin pur giorno
sorge per me diverso: io son tua sposa,
più omai non taccio. O de' Romani primo,
non che l'offesa, or la vendetta è tua.
Rivi di pianto tacita versai;
e al mio dolor pietosa, lagrimava
spesso la madre, e non sapea qual fosse.
Ecco l'orrido arcano. — Appio la fraude
ora, e la forza, all'arti prime aggiunge;
giudice, e parte egli è: ti sarò tolta
pria d'esser tua: deh! almeno in guisa niuna
ei non m'abbia, che morta.
Icilio
Anzi ch'ei t'abbia,
prima che scorra il sangue tuo, di sangue
Roma inondar si vedrà tutta; il mio,
quel d'ogni prode, verserassi tutto.
Ch'altro è quest'Appio, a chi morir ben vuole,
che un sol, minor di tutti?
Numitoria
Appio t'avanza
d'arte pur troppo.
Icilio
Ancor che iniquo e crudo,
di legge il vel serbò finor; presente
fia Roma intera al gran giudizio: ancora
da disperar non è. Qui senno e mano
vuolsi: ma troppo è necessario il padre.
Non lungi è il campo: il richiamarnel tosto
cura mi fia sollecita. Frattanto
andiam; vi sono ai vostri lari io scorta.
Sollievo a voi, tristo, ma il sol ch'io possa
darvi per or, sia la certezza, o donne,
ch'ove a giustizia non rimangan vie,
col brando aprirne una a vendetta io giuro.
ATTO II
SCENA I
APPIO
Appio
Appio, che fai? D'amor tu insano?... All'alto
desio di regno ignobil voglia accoppi
di donzella plebea?... Sì; poi ch'ell'osa
non s'arrendere ai preghi, a forza trarla
ai voler miei, parte or mi fia di regno.
Ma il popol può... Che temo? Delle leggi
la plebe stolta, oltre ogni creder, trema:
s'io delle leggi all'ombra a tanto crebbi,
anch'oggi schermo elle mi fieno; io posso,
e so crearle, struggerle, spiegarle.
Molt'arte vuolsi a impor perfetto il giogo;
ma, men ch'io n'ho. Più lieve erami assai
conquider voi, feri patrizi, in cui
sol forza ha l'oro, e pria vien manco l'oro,
che in voi l'avara sete: io v'ho frattanto,
se non satolli, pieni: hovvi stromenti
fatti all'eccidio popolar, per ora:
spegnervi poscia, il dì verrà; poca opra
a chi v'ha oppressi, ed avviliti, e compri. —
Ma già Virginia al tribunal si appressa;
seco è la madre, e Icilio, e immenso stuolo? —
Fero corteggio; e spaventevol forse,
ad uom ch'Appio non fosse: ma, chi nato
si sente al regno, e regno vuole, o morte,
temer non sa, né sa cangiar sue voglie.
SCENA II
APPIO, ICILIO, VIRGINIA, NUMITORIA, POPOLO, littori
Appio
Quai grida ascolto? Al rispettabil seggio
decemviral viensi così?
Popoplo
Ti chiede
Roma giustizia.
Appio
Ed ai Romani io chieggo
rispetto, e modo. A popolar salvezza,
non men che freno a popolar licenza,
qui meco siede Astrèa: tacitamente
queste impavide scuri, ond'io mi cingo,
vel dicon, parmi. E che? il poter sovrano,
che a me voi deste, or l'obbliate voi?
di Roma in me la maestà riposta
tutta non è da voi? — Piacciavi dunque
in me, ven prego, rispettar voi stessi.
Numitoria
Appio, al cospetto tuo vedi una madre
misera, a cui la figlia unica vuolsi
torre da un empio; la mia figlia vera,
da me nudrita, al fianco mio cresciuta,
amor del padre, e mio. V'ha chi di schiava
l'osa tacciar; v'ha chi rapirla tenta,
strapparla dal mio seno. Il nuovo eccesso
fremer, tremare, inorridir fa Roma:
me di furor riempie... Eccola: è questa;
sola mia speme: in lei beltade è molta;
ma più virtù. Roma i costumi nostri,
e i modi, sa: nulla è di schiavo in noi. —
Per me fia chiaro oggi un terribil dubbio:
di Roma intera io tel richieggo a nome;
rispondi, Appio: son nostri i figli nostri?
Appio
Scuso di madre i detti. A te rispondo,
e teco, a Roma intera. — Ove son leggi,
tremar non dee chi leggi non infranse.
A te rapir la figlia tua, s'è tua,
si tenta indarno. Amor di parte nullo
in me si annida. Al tribunal non venne
uom finor, che costei schiava esser dica. —
Ma voi, chi sete? o vero, o finto, il padre
qual è della donzella?
Numitoria
Appio, e nol sai?
Mirala ben: Virginia è il nome; il tragge
dal genitore a te ben noto, e a Roma,
ed ai nemici più. Noi siam di plebe,
e cen pregiamo: la mia figlia nacque
libera, e tal morrà. Non dubbia prova
dello schietto suo nascer ti sia,
l'averla a sé prescelta Icilio sposa.
Icilio
Sappi, oltre ciò, ch'ella ad Icilio è cara
più assai che vita, e quanto libertade.
Appio
Per or, saper solo vogl'io, se nasce
libera, o no. L'esserti e sposa, e cara,
cangiar non può sua sorte. — I torvi sguardi,
i feroci di fiele aspersi detti,
che ponno in me? Quale ella sia, ben tosto
e Icilio, e Roma, giudicar mi udranno.
SCENA III
MARCO, APPIO, VIRGINIA, NUMITORIA, ICILIO, POPOLO, littori
Marco
D'Appio all'eccelso tribunale innanzi
vengo, qual debbe un cittadin; seguaci
molti non traggo; e l'ampio stuol, che cinge
qui gli avversari miei, già non m'infonde
timore al cor: prove, e ragioni adduco;
non grida, e forza, ed armi. Altro non ode
Appio, che il dritto; e del mio dritto prova
sia non lieve, l'aver primi costoro
rotto ogni uso di legge; e pria risposto,
che la domanda io fessi.
Appio
È ver; novello
questo proceder fu.
Icilio
Ma udiamo: narra;
questo tuo dritto esponi.
Marco
Ecco donzella,
che dal supposto genitor si noma:
in mia magion, d'una mia schiava è nata;
quindi, bambina, a me dalla materna
fraude sottratta, e a prezzo d'or venduta
a Numitoria, che nudrilla in vece
d'altra, onde orbata era rimasta. Il primo
colto all'inganno, era Virginio stesso;
ond'ei credeala, e crede ancor sua figlia.
Gente, cui noto è il prezzo, il tempo, il modo,
condotta ho meco; e son mia sola scorta.
Quant'io ti narro, ecco, a giurar son presti.
Numitoria
A giurar presti i mentitor son sempre.
Ciò che asserir romana madre ardisce,
(Romana sì, e plebea) creder dovrassi
men che i sozzi spergiuri di chi infame
traffico fanne? Almen, pria che costoro
giurin ciò che non è, per brevi istanti
deh! si ascolti una madre. Il popol tutto
all'affetto, al dolore, ai moti, ai detti,
giudicherà se madre vera io sono.
Appio
Io giudicar qui deggio; e ognun tacersi. —
E quelli più, che ad odio, o amore od ira
servendo ognor, sol di ragion nemici,
van parteggiando; e intorbidata, e guasta
finor purtroppo han la giustizia in Roma.
Icilio
Giudizio è questo, e non si ascoltan parti?
Ciò che a null'uom si vieta, ad una madre
vietar vuoi tu?
Appio
Vuoi tu insegnarmi forse
a giudicar, perché tribuno fosti?
Io pur privato, qual tu sei, pietade
potria sentir, di madre e figlia al nome;
ma, in questo seggio non si ascolta affetto:
né al pianto qui, né alle minacce stolte,
ma sol dar fede alla ragion conviensi.
Del chieditor le prove pria, la madre
verace, o falsa, udire io deggio poscia.
Forza di legge ell'è:... ma voi la speme
non riponeste or nelle leggi; io 'l veggo.
Icilio
Leggi udir sempre risuonar qui densi,
or ch'è di pochi ogni voler qui legge?
Ma poiché addurle chi le rompe ardisce,
addur di legge anch'io vo' gli usi; e dico
che della figlia giudicar non lice,
s'anco il padre non v'è.
Popolo
Ben dice: il padre
è necessario.
Marco
Non è conscio il padre,
vel dissi io già, della materna fraude.
Icilio
Ma della vostra io 'l sono; e, se non cessi
tu dall'impresa tosto, or tosto udrammi
Roma svelar gli empi maneggi vostri.
Appio
Taci, Icilio. Che speri? in chi t'affidi?
nel mormorar sedizioso forse
di pochi, e rei, che al tuo parlar fan plauso?
Folle, oh quanto t'inganni! A me sostegno
io son; sol io: l'amor ne' tuoi fautori,
al par che l'odio, è inefficace e lieve. —
La plebe sì, ma non gli Icilii, estimo;
me il lor garrir non move; ira non temo,
e rie lusinghe di tal gente io sprezzo.
Icilio
Ben fai; sprezzar chi a te obbedisce dei.
Ma il dì, che andavi il favor nostro vano
tu mendicando; il dì, che te fingevi
umile per superbia; e per viltade
magnanimo; e incorrotto, e giusto, e pio
per empietà; quel dì, parlar t'udimmo
meno altero d'alquanto. A tutti noto,
Appio, omai sei: di rientrare, incauto,
in tua natura ti affrettasti troppo.
Tutte hai le parti di tiranno, e tutte
n'hai le virtù, tranne prudenza: e suole
pur de' tuoi pari esser virtù primiera,
prudenza, base a tirannia nascente.
Popolo
Troppo ei dice, ma vero.
Appio
Io qui credea
giudicar d'una schiava oggi, e non d'altro;
ma, ben mi avveggo, giudicar m'è forza
d'un temerario pria.
Icilio
D'una donzella
mia sposa il natal libero credea
qui sol difender io: di Roma i dritti,
di me, di tutti i cittadini miei,
felice me, se del mio sangue a costo
oggi a difender valgo!
Popolo
Oh forti detti!
Oh nobil cor! Romano egli è.
Appio
Littori,
accerchiate costui: sovra il suo capo
pendan sospese la mannaie vostre;
e ad ogni picciol moto...
Virginia
Oh ciel! non mai,
non fia, no: scudo a lui son io: le scuri
si rivolgano in me: me traggan schiava
i tuoi littori: è poco il servir mio,
nulla il morir; purché sia illeso il prode,
il sol di Roma difensor...
Appio
Si svelga
costei dal fianco suo. Terribil trama
qui si nasconde, e sta in periglio Roma.
Icilio
Per me, per lei, questo è un pugnal, se forza
fatta ci viene: a noi, fin ch'io respiro,
uom non s'accosti.
Popolo
Ei nulla teme!
Icilio
A trarla
di qui, t'è forza uccidere me pria. —
Romani, udite la terribil trama,
che qui s'asconde: udite in qual periglio
sta Roma, udite; indi su gli occhi vostri
me trucidar lasciate. Arde d'infame
amor quest'Appio per Virginia...
Popolo
Oh ardire!
Icilio
Tentò sedurla; usò minacce, e preghi;
e perfin oro offrille; ultimo oltraggio,
che all'abbietta virtù fa il vizio in trono.
Ma di patrizio sangue ella non era,
onde a prezzo ei non l'ebbe. Or di rapirla
tenta; e la fraude ad accertar, vi basti
dell'assertore il nome. Ormai pe' figli
tremate, o padri; e più tremate assai
per le mogli, o mariti. — Or, che vi resta
a perder più? la mal secura vita.
E a che più vita; ove l'onor, la prole,
la patria, il cor, la libertà v'è tolta?
Popolo
Per noi, pe' figli, o libertade, o morte.
Appio
Menzogna è questa...
Popolo
O libertade, o morte.
Numitoria
O generosa plebe, il furor tuo
sospendi alquanto. Ah! tolga il ciel, che nata
di questo fianco sia cagion fatale
di sparger rivi di romano sangue.
Io chieggo solo, e in nome vostro il chieggo,
che Virginio s'aspetti. A lui dinanzi,
ed a voi tutti, discolpar saprommi
della mentita non soffribil taccia.
Appio
Cessate omai, cessate, o ch'io di legge
esecutor severo, or or vi mostro
quant'ella può. Voi vi accingete a impresa
vana omai, vana; e le insolenti grida,
a giustizia ottener d'uopo non fanno,
come a sturbarla inefficaci sono.
Icilio mente, e il proverò. — Costui
d'ogni tumulto, d'ogni rissa il capo,
gran tempo è già che il civil sangue anela.
Tribuno vostro, era di voi nemico,
come di noi. Distrugger prima i padri,
ingannar poi la plebe, e in vil servaggio
ridurci tutti, era il pensier suo fello:
quindi è sua rabbia in noi. Fidar vi piacque
in man de' Dieci il fren dell'egra e afflitta
città: me, quanto io son voi stessi feste;
voi, di fatale empia discordia stanchi.
Rinasce appena or la bramata pace;
e a un cenno, a un motto del peggior di Roma,
a turbarla degg'io presti vedervi?
Popolo
È ver; giudice egli è: ma udiam, quel prode
che gli risponda.
Icilio
È ver, giudice il feste,
legislator; ma già compiuto è l'anno;
giudice poscia ei vi si fea per fraude;
or, per forza, tiranno. Ei noma pace
la universal viltade: atro di morte
sopor quest'è, non pace. A rivi scorre
nel campo nostro il cittadino sangue:
e chi sel beve? è l'oste forse? — Il prode
misero Siccio, ei, che nomar nel campo
osò la prisca libertà, non cadde
trafitto in pugna simulata a tergo,
dal traditor decemviral coltello?
Appio
Siccio ribelle, ivi...
Icilio
Che narro io stragi?
son note già. Sangue per anco in Roma
sparso non han; ma a larga mano l'oro,
che orribil prezzo fia di sangue poscia.
Chi pensa e parla qual romano il debbe,
nemico oggi è di Roma. Alle donzelle
sposo, e parenti, e libertade, e fama,
tutto si toglie. Or, che aspettate? Il duro,
il peggior d'ogni morte orribil giogo
imposto a voi da voi; che d'uom vi lascia
il volto appena, e il non dovuto nome;
perché da voi non cade infranto a terra?
Sete Romani voi? romane grida
odo ben; ma romane opre non veggio.
Sangue v'è d'uopo ad eccitarvi? Io leggo
già del tiranno in volto il fero cenno
di morte. Or via, satelliti di sangue,
vostre scuri che fanno? È questo il capo,
Appio, quest'è, che tronco, o a Roma torre
debbe, o per sempre render libertade.
Fin che sul busto ei sta, trema; lo udrai
libertade gridare, armi, vendetta.
Se Roma in sé Romani altri non serra,
a Tarquinio novel novello Bruto,
vivo o morto, son io. Mira, io non fuggo,
non mi arretro, non tremo: eccomi...
Virginia
Oh cielo!
Appio deh! frena l'ira: entro al suo sangue
non por le mani: odi che il popol freme,
né il soffrirà. Troppo importante vita
minacci tu: me fa' perir; fia il danno
minore a Roma, e a te...
Icilio
Che fai? tu preghi?
e un Appio preghi? In faccia a Roma, in faccia
a me? Se m'ami, a non temere impara:
e se d'amor prova ti debbo io prima
dar qui, la vita, in don tu la ricevi,
da Romana qual sei, d'Icilio sposa.
Numitoria
Oh terribil momento! Appio, ten prego
un'altra volta ancor; Virginio torni,
e s'aspetti, e s'ascolti.
Popolo
Appio, deh! torni
Virginio; il vogliam tutti...
Appio
Io più di tutti,
presente io 'l voglio; ei lo sarà: nel foro
tutti vi aspetto al nuovo dì. — Costui
di morte reo, per or non danno a morte;
creder potreste ch'io di lui temessi:
per ora ei viva, e al gran giudicio assista;
se il vuole, in armi; e voi con esso, in armi.
Dar pria sentenza della schiava udrete,
e di lui poscia. A veder qui v'invito,
che in sua virtù securo Appio non trema.
Marco
Ma vuol la legge, che appo me frattanto
resti la dubbia schiava.
Icilio
Infame tetto
di venduto cliente asìl sarebbe
d'onesta vergin mai? Legge non havvi
iniqua tanto; o, se pur v'ha, si rompa.
Marco
Mallevador chi fia della donzella?
Popolo
Mallevador noi tutti.
Icilio
Ed io con loro.
Andiam: vedranne il nuovo sol qui tutti,
certi di noi, di nostre spose, o estinti.
SCENA IV
APPIO, MARCO
Appio
— Icilio ell'ama? E sposa n'è? — Più forte
più immutabil sto quindi in mio proposto.
Va', temerario, or nella plebe affida,
mentr'io...
Marco
La plebe a ribellar più pronta,
più accesa mai vedesti?
Appio
Altro non vidi,
fuor che Virginia; e mia sarà. — Ch'io tremi,
vuoi dirmi forse? e ad Appio osi tu dirlo?
Chi la plebe temesse, arbitro fora
d'essa giammai? Temporeggiar nel primo,
e prevenire il suo furor secondo;
sempre impavido aspetto; amaramente
brevi lusinghe a minacciosi detti
irle mescendo: ecco i gran mezzi, ond'io
son ciò ch'io sono; e più ch'uom mai qui fosse
farommi.
Marco
Invano, finché Icilio vive,
gli atterrisci, o seduci. In lui, nel suo
caldo parlar, nel tribunizio ardire
trovan, membrando i loro prischi dritti,
esca possente a non estinto foco,
che nei petti già liberi ribolle.
Appio
Fin ch'altro a far mi resta, Icilio viva.
Di sofferenza giova anco talvolta
far pompa: Icilio viva, e il popol vegga,
che poco ei può contr'Appio. In odio, e sprezzo
cangiar vedrai dalla volubil plebe
il suo timido amor: d'Icilio a danno
torneran d'arme sue; di sua rovina
primo stromento fia la plebe stessa.
Marco
Ma, il tornar di Virginio, oh quanto aggiunge
ardimento alla plebe, a Icilio forza!...
Appio
Ma, il tornar di Virginio;... e che?... tu il credi? —
Vieni, e saprai, come, ottenuto il tempo,
non manca ad Appio a ben usarlo ingegno.
ATTO III
SCENA I
VIRGINIO
Virginio
Ecco al fin giungo. — Oh, come ratto io venni!
parea che al piede m'impennasser ali
timore, speme, amor, pietà di padre. —
Ma, più mi appresso a mia magion, più tremo!
Già quasi annotta: ad abbracciar si vada,
se tolta ancor non m'e, l'unica figlia,
solo conforto di mia stanca etade.
SCENA II
ICILIO, VIRGINIO
Icilio
Oh!... che vegg'io?... Virginio? Il Dio di Roma
a noi ti mena. Il tuo venir sì tosto,
mi è fausto augurio.
Virginio
Icilio! oh ciel! Dal campo
volai;... deh, dimmi, in tempo giungo? Appena
chiederlo ardisco; son io padre ancora?
Icilio
Finor tua figlia è libera, ed illesa.
Virginio
Oh inaspettata gioia! oh figlia!... al fine...
respiro.
Icilio
Hai figlia; ma vive nel pianto
con la squallida madre. In dubbio orrendo
di lor vicina sorte, palpitanti
stanno; del venir tuo nell'ansio petto
bramano il punto, e il temono a vicenda.
Virginio
Dunque i miei caldi preghi udiste, o Numi;
voi, che al mio fianco antico inusitata
forza prestaste, ond'io giungessi in tempo,
o di salvar l'unica figlia mia,
o di morir per essa.
Icilio
Odi; o salvarla,
o morir voglio anch'io. Ma tu sei padre;
un'arme hai tu, che non m'è data, e molto
nel popol può; le lagrime.
Virginio
Ma dimmi:
a che siam noi?
Icilio
Lo stesso suol che or premi,
d'iniquitade era stamane il campo:
qui prima pugna diessi. Un Marco parla,
e d'Appio asconde la libidin cruda
con mille fole. Ad ingannar la plebe
quanto è mestier, tutto si adopra; e leggi,
e chieditore, e testimoni, e prove.
Già all'iniquo giudizio Appio dar fine
senza ostacol credea; ma l'empia frode
io palesare osai primiero, e osai
chieder del padre. — Oh qual terribil grido
al ciel mandava la fremente plebe,
tuo nome udendo! Componeasi un volto
impavido, ma in core, entro ogni vena,
lo scellerato giudice tremava.
Al fin si arrese, e d'aspettarti ei disse. —
Or io temea, che l'empio al venir tuo
tendesse aguati; e che alla figlia, e a Roma,
e a me tolto tu fossi... Al fin pur giungi;
e non invan ti voller salvo i Numi.
Del dì novello ei l'ora sesta assegna
alla sentenza ria: già il sol nascente
ti vegga dunque infra la plebe andarne
tremante padre, e chieder lagrimoso
tua vera prole. Né pietade altronde
cercar, che in cor di plebe: ella può sola
render la figlia al padre, a me la sposa,
a sé l'onor, la libertade a Roma.
Virginio
Icilio, il sai, quant'io grande t'estimi...
Lo averti eletto genero n'è prova.
Entro il mio cor non guasto ardon tre sole
di puro amor forti faville: Roma
amo, e il mio sangue, e la virtude tua.
Ogni alta impresa, ogni periglio teco
ad affrontar, s'egli è mestier, son presto...
Ma, il tuo bollente ardir, l'alma che troppo
magnanima rinserri...
Icilio
E quando troppa
si reputò virtude?
Virginio
Allor ch'è vana;
allor che danno a chi la segue arreca,
e a chi non l'ha non giova. — Icilio, io t'odo
mosso da nobil ira in un raccorre
la patria oppressa, e l'oltraggiata figlia:
cause...
Icilio
Disgiunger densi? Una è la causa:
tu sei padre, e nol senti? O Roma è Roma,
tu allor v'hai figlia, io vi ho consorte, e vita;
o è serva, e allor nulla v'abbiam, che il brando.
Virginio
Roma per ora serva è pur troppo: io tremo
di te per lei; che sue profonde piaghe
inacerbisce ogni presente moto:
tremo, che tu non scelga infra i partiti
per più certo il più fero. Ah! se ad un tempo
salvar la figlia, e non turbar la pace
della patria si può...
Icilio
Taci: qual nome
profferir osi tu? V'ha patria, dove
sol UNO vuole, e l'obbediscon tutti?
Patria, onor, libertà, Penati, figli,
già dolci nomi, or di noi schiavi in bocca,
mal si confan, finché quell'UN respira,
che ne rapisce tutto. — Omai le stragi,
le violenze, le rapine, l'onte,
son lieve male; il pessimo è dei mali
l'alto tremor, che i cuori tutti ingombra.
Non che parlar, neppure osan mirarsi
l'un l'altro in volto i cittadini incerti:
tanto è il sospetto e il diffidar, che trema
del fratello il fratel, del figlio il padre:
corrotti i vili, intimoriti i buoni,
negletti i dubbi, trucidati i prodi,
ed avviliti tutti: ecco quai sono
quei già superbi cittadin di Roma,
terror finora, oggi d'Italia scherno.
Virginio
Vero è il tuo dire, e a piangere mi sforza,
non men che di dolor, lagrime d'ira...
Ma, e che potrian due sole alme romane
a tanti vili in mezzo?
Icilio
Aspra vendetta
fare, e morir.
Virginio
La tirannia novella
matura ancor non è: tentar vendetta,
ma non compierla puossi. Or, che non osa
la crudeltà decemvirale in campo?
E che pur fa di que' gagliardi il fiore,
ch'ivi sta in armi? fremono, e si stanno.
Smentir le false prove, e dagli artigli
d'Appio sottrar spero la figlia: dove
ne sia forza morire, io 'l deggio; io 'l voglio:
non tu così; se muori, a vendicarne
chi resta allor? chi salva Roma?
Icilio
Noi:
vivi, col brando; o con l'esempio, estinti. —
Soffrir più omai non puossi: avrem seguaci;
tutti non son, benché avviliti, vili:
manca, all'ardir dei più, chi ardisca primo;
e son quell'io. — Per ora il campo è questo,
in cui dobbiam militar noi; cercarvi
onore, o morte. In più seguir le insegne
degli oppressori nostri, infamia sola
tu mercheresti: in mezzo a Roma è l'oste;
dunque in Roma si pugni: e siane incerto
l'evento pur, certa è la gloria: or deggio
più dirti?
Virginio
No: presto a morir son sempre;
e duolmi or sol l'aver vissuto io troppo.
Freno all'iniquo giudice porranno
mie grida, spero; e la evidente mia
ragion: Roma vedrammi intorno intorno
andar mostrando ai cittadini ignudo
pien d'onorate cicatrici il petto:
e attestar Roma, e i Numi nostri, e il sangue
nemico, e il mio, che per essa io sparsi.
Squallido padre, canuto, tremante,
ad ogni padre io narrerò la trista
storia del sangue mio: per me, quai sieno
delle lunghe fatiche i premi in Roma,
ogni guerrier saprà. — Ciò far ti giuro...
ma, di sangue civil tinger mio brando,
avviluppar nella mia fera sorte
tanti innocenti, e invano...
Icilio
E forza pure
ti fia ciò far: la libertade, i figli
ben mertan, parmi, che si spanda il sangue
di più d'un cittadino. O muoion prodi,
degni non eran di servire; o vili,
non degni eran di vivere tra noi. —
Ma ad abbracciar le sconsolate donne,
deh! vanne ormai: certo son io, che pari,
e più furor che il mio non è, trarrai
dal pianto loro; e ch'io t'avrò compagno
a qualsivoglia impresa.
SCENA III
NUMITORIA, VIRGINIA, ICILIO, VIRGINIO
Numitoria
Oh!... s'io ben veggio...
no, non m'inganno; è desso, è desso; oh gioia!
Virginio!
Virginia
Padre!
Virginio
Oh ciel! Figlia,... e fia vero?
Consorte!... al sen vi stringo? Oimè... mi sento...
mancar...
Virginia
Ti abbraccio sì, finché nomarti
padre a me lice.
Numitoria
Ansie di te, dubbiose
del tuo venir, n'era ogni stanza morte.
Quindi t'uscimmo impazienti incontro...
Virginia
Sollecite, tremanti. Almen lontana
or non morrò da te. Più non sperava
di rivederti mai.
Icilio
Misero padre!
non che parlar, può respirare appena.
Numitoria
Questo è ben altro, che tornar dal campo,
qual ne tornasti tante volte e tante,
vincitor dei nemici. A terra china
veggio purtroppo la onorata fronte,
d'allori un dì, carca or di doglie, e d'atri
pensier funesti: or sei ridotto a tale,
che né moglie, né figlia (amati pegni,
per cui cara la gloria e il viver t'era)
or non vorresti aver tu avute mai.
Virginio
... Donne; non duolmi esser marito, e padre;
grande è dolcezza, ancor che amaro molto
a scontar l'abbia. Se a misfatto in Roma
ai cittadini l'aver figlie è ascritto,
reo ne voglio esser primo; esserne primo
emendatore io vo'. Libera Roma
era in quel dì, ch'io diveniati sposo;
libera il dì, ch'unico pegno e certo
di casto amor Virginia mia mi davi;
mia, sì; pur troppo! Delle patrie leggi
nata e cresciuta all'ombra sacra, o figlia,
eri mia sola speme: eran custodi
dell'aver, delle vite, ed onor nostro,
i magistrati allora: or ne son fatti
i rapitori?... Ah! figlia,... il pianto frena;...
deh! non sforzarmi a lagrimar. — Non ch'io
indegno estimi di roman soldato
il lagrimar, quando il macchiato onore,
le leggi infrante, la rapita figlia,
strappan dal suo non molle core il pianto;...
ma, col pianger non s'opra.
Virginia
Ed io, se nata
del miglior sesso fossi, io figlia tua,
a chi nomarmi ardisse schiava, oh! pensi
ch'io risposta farei con pianto imbelle?
Ma, donna, e inerme sono; e padre, e sposo,
e tutto io perdo...
Icilio
Nulla ancor perdesti.
Speme non è morta del tutto ancora:
in tua difesa avrai la plebe, il cielo,
e noi: se invan; se non ti resta scampo,
che di perir con noi,... tremando io il dico,...
e i genitori tel dicon tacendo,...
tu con noi perirai. Tua nobil destra
io t'armerò del mio pugnal, grondante,
caldo ancor del mio sangue: udrai l'estreme
libere voci mie membrarti, ch'eri
figlia di prode, libera, Romana,
e sposa mia. — Pensier, che il cor mi agghiaccia,
intempestivo egli è finora.
Virginia
È il solo
pensier, che in vita tiemmi. — Oh! se mi vedi
pianger, non piango il mio destin, ma il tuo.
Nato ad ogni alta impresa, esser di Roma
dovresti lo splendor: piango in vederti
ridotto, e invano, a disputar l'oscura
mia libertà privata; ed in vederti
chiuso ogni campo di verace fama;
e in veder l'alma in te romana tanto,
or che più non è Roma.
Virginio
E tu non sei
mia figlia, tu? l'oda chi 'l niega.
Numitoria
Ah! sola
ella è sostegno alla nostra cadente
vita. O figlia, morir ben mille volte,
pria che perderti, voglio.
Icilio
Amata sposa,
forte è l'amor, che fortemente esprimi;
degno di noi; simìle, e pari, al mio.
Ogni tenero affetto, ogni dolcezza,
duri tempi ne vietano. Fra noi
d'amor paterno e coniugal sol pegno
fia la promessa di scambievol morte.
Virginio
Oh miei figli!... E fia vero?... or perir debbe
virtù cotanta?... O donna, e quei che forti
nascer potrian da lor, veri di Roma
figliuoli, e nostri, non terrem noi mai
fra le tremule braccia?... Oh, di quai prodi
perisce il seme, col perir di queste
libere, altere, generose piante!
Icilio
Pianger dovremmo di ben altro pianto,
se avessimo noi figli: a fero passo
tratti or saremmo; o di lasciarli schiavi...
schiavo il mio sangue!... Ah! trucidarli pria. —
Padre io non son; se il fossi...
Virginio
Orribil lampo
tralucer fammi il parlar tuo: deh! taci...
deh! ten prego.
Numitoria
Son madre, e tutto io sento
ciò che tu accenni. Al pianto sol ridotte,
che non abbiam, misere madri, uguale
al dolore la forza!
Icilio
I padri, e' sposi,
pari al vostro hanno il duol, maggior l'ardire.
Speranza ancora di salvarla io serbo.
Virginio ed io siam soli in Roma forse;
ma noi bastiam soli a dar vita e sdegno
ad un popolo intero.
Virginio
Ah! che pur troppo
non ponno i detti (e sien pur caldi e forti)
scuoter davver popol, che in lacci geme;
né ad opre maschie risentite trarlo:
le ingiurie estreme, e il sangue solo, il ponno.
Roma, a sottrarti dai Tarquini infami
forza era pur, ch'una innocente donna
contaminata, cadesse trafitta
di propria mano al suol nel sangue immersa.
Virginia
E se a svegliar dal suo letargo Roma,
oggi è pur forza che innocente sangue,
ma non ancor contaminato, scorra,
padre, sposo, ferite: eccovi il petto. —
Cara vi son io troppo? in me l'acciaro
tremereste vibrare? Io già non tremo;
date a me il ferro, a me. Sia il popol tutto
testimon di mia morte: al furor prisco
lo raccenda tal vista; io di vendetta
sarò il vessillo: entro il mio sangue i prodi
tingan lor brando a gara, e infino all'elsa
lo immergan tutti a' rei tiranni in petto.
Virginio
Deh, figlia,... or, qual mi fai provar novello
terrore!... oimè!...
Icilio
Più non si squarci a brano
il cor di un padre omai romano troppo.
A noi che giova or l'esortarci a morte?
Traligniam noi dagli avi? — Infra poch'ore,
se morir dessi, il saprem noi. Ma intanto
torna, o Virginio, a riveder tuoi Lari,
con la sposa, e la figlia. È questa forse
la notte estrema, in cui sì gran dolcezza
ti si concede. Oh sventurato padre!
brevi hai momenti a così immenso affetto.
Virginio
Oh fera notte!... Andiam: doman col sole,
Icilio, qui mi rivedrai.
Icilio
Già pria
io sarovvi a dispor pochi, ma forti,
ad alto effetto. Or va: tu pur convinto
sarai domani appien, ch'altro partito
non v'ha che il mio; di sangue. — O estinti, o vivi,
felici appien sarem domani, o sposa.
Virginia
O viva, o estinta, ognor felice io teco.
ATTO IV
SCENA I
APPIO, MARCO
Appio
Virginio in Roma?
Marco
Ei v'è pur troppo.
Appio
Visto
l'hai tu?
Marco
Cogli occhi miei. Tu stesso in breve
anco il vedrai, ch'ei di te cerca.
Appio
Or come
del campo uscì, se un mio comando espresso
ritener vel dovea?
Marco
Non giunse in tempo
forse il divieto tuo; forse anco i duci
a obbedirti eran lenti...
Appio
E chi mai tardo
ad obbedir d'Appio i comandi fora?
Icilio, or veggo, prevenir mi seppe...
Mercé ne avrà, qual merta. Anzi che tratta
fosse Virginia al tribunal, già corso
n'era l'avviso al genitore. Assai
cangia l'affar d'aspetto, al venir suo:
ma pur, non io...
Marco
Già in pianto ambo i parenti
con la figlia, pe' trivi, e in ogni strada,
supplici, in veste squallida ravvolti,
scorrono; e dietro lor lasciano immensa
traccia di pianto e di dolor: qui forse
tu passar li vedrai. — Ma, in ben altr'atto,
cinto da stuol, che vie più ingrossa, scorre
per ogni via feroce Icilio in armi:
prega, minaccia, attesta, esorta, grida.
Pianto di madre, beltà di donzella,
valor canuto di guerriero padre,
e di tribun sediziose voci
terribil esca a più terribil fiamma
stanno per esser; bada.
Appio
Or via, se il vuoi,
trema per te; per me, se il vuoi: purch'io
per me non tremi. — Va': Virginio veggo
venire a me: lasciami sol con esso.
SCENA II
APPIO, VIRGINIO
Appio
E che? le insegne abbandonare e il campo
osi così? Di Roma oggi i soldati
dunque a lor posta van, tornano, stanno?
Virginio
Tal v'ha ragion, che licito può farlo.
Pure il severo militar costume,
cui da troppi anni io servo, or non infransi.
Chiesto commiato ottenni. In Roma torno
per la mia figlia;... e il sai.
Appio
Che puoi per essa
dir tu, che in suon più forte a me nol dica
la legge?
Virginio
Odimi. — Padre io son, pur troppo!
e come padre io tremo. Invan mi ascolto
suonar dintorno minacciose voci
di plebe a favor mio: so, che possanza
è molta in te; che a viva forza urtarla
fia dubbia impresa; e che in più rie sventure
precipitar Roma poss'io, né trarti
forse di man la figlia. Appio, minacce
dunque non far; che il nuocer so fin dove
concesso t'è: ma pensa anco, deh! pensa,
che in un te stesso a immenso rischio esponi...
Appio
Preghi, o minacci tu? Son io qui forse
dei giudizi assoluto arbitro solo?
Poss'io la figlia a un vero padre torre?
Serbargliela anzi del mio sangue a costo
deggio, e il farò: ma, s'ella tua non nasce,
che vaglion preghi? — Il fiel, che mal nascondi,
ben io, ben so, donde lo attingi: ingombro
t'ha Icilio il cor di rei sospetti infami;
ei, che a sue mire ambiziose s'apre
colle calunnie strada. Or, puoi tu fede
a un tal fellon prestar? tu che il migliore
de' cittadini sei, genero scegli
dei tribuni il peggiore? in un con esso
perder tua figlia vuoi? — D'Icilio certa
è la rovina, ed onorata morte
ei non s'avrà, qual crede. Ei contra Roma
congiura; ei cova orribili disegni.
Chiama tiranni noi; ma in seno ei nutre
di ben altra tirannide il pensiero.
Spenti vuol tutti i padri: al popol poscia
servaggio appresta; e libertà pur grida.
Tanto più rio mortifero veleno,
quanto è ravvolto entro più dolce scorza.
Già il segnal di ribelle innalza a mezzo,
e a mezzo quel di traditore. Io l'armi
all'armi oppongo; alla fraude empia, l'arte.
Tutto è previsto già. Da lui non sai
sue trame tu; ch'egli e ministro e velo
a sue mire ti vuol, ma non compagno
a sue rapine. Ei sa, che Roma hai cara
quanto la figlia tua; quindi si mostra
sol di tua figlia il difensor, ma ride
poscia ei di te co' traditor suoi pari.
Sol si cela da te; ma a lor non teme,
qual è, mostrarsi l'oppressor di Roma.
Virginio
Tolte le figlie alle tremanti madri,
e ai genitor, che in campo han di lor vita
speso il migliore; i magistrati fatti
tremendi a noi, più che i nemici: or come
temere omai d'altro oppressor può Roma?
Appio
Icilio, il so, di un folle amor mi taccia;
ma quai prove ne adduce? Il suo sfrenato
ardire, il grido popolar, la troppa
dolcezza mia, fur prove. È mio cliente
Marco; ei ripete la tua figlia; io dunque
ne son l'amante, io 'l rapitore. Or odi
ragion novella!
Virginio
È Icilio sol, che il dica?
Altri ha, che il dice.
Appio
La donzella forse,
vinta da lui.
Virginio
Che più? prove son troppe,
cui vergogna non men ch'ira mi vieta
poter narrare. Una ne fia, non lieve,
il tuo scolparten meco.
Appio
Hai fermo dunque
d'unirti pure co' ribelli?
Virginio
Ho fermo
d'aver mia figlia, o perder me.
Appio
Te salvo
vorrei, ch'io t'amo.
Virginio
E perché m'ami?
Appio
Roma
può abbisognar del braccio tuo: deh! lascia,
che solo Icilio pera; il merta ei solo.
Degno di viver tu...
Virginio
Degno, t'intendo,
me di servir tu credi...
Appio
Ugual te stimo
se non maggior, d'ogni Romano: e in prova,
riporterai tu in campo il piede appena,
ch'io d'innalzarti a militar comando
avrò...
Virginio
Tentar me di viltade anch'osi?
Premio a virtù dovuto, a me il darebbe
d'Appio il favore? Or qual fec'io delitto,
per meritarmi il favor tuo? Pur troppo
spento anche in campo è d'ogni onore il seme;
e il sa ben Roma, e i suoi nemici il sanno;
essi, che vanto, non avuto in pria,
darsi or ponno, d'aver più d'un Romano
trafitto a tergo. — È ver, che l'onorate
piaghe, qual'io ti mostro a mezzo il petto,
quai benedir soleansi ne' figli
dalle romane madri, ora in mal punto,
mal ricevute, e peggio foran mostre,
or che per te si pugna. — A Roma fede
giurai: s'io deggio ritornare al campo,
Roma rinasca. — A me tu parli scaltro;
rispondo io forte. Io son soldato, io padre,
io cittadin: d'ogni altro male io taccio;
e finché Roma il soffre, il soffro anch'io:
ma la mia figlia...
Appio
Non son io, che spinga
Marco a muover la lite, ancor che fama
bugiarda il suoni: bensì tanto io posso
da distornelo, forse. Assai mi prende
di te pietà: senza periglio alcuno,
senza tumulto, a te la figlia forse
render potrei, se tu di lei sentissi
vera pietà: ma tu, di sangue hai sete;
la vuoi d'Icilio sposa, e involger teco
nella rovina di un fellon tua figlia.
Virginio
Me la puoi... render... tu?
Appio
Se a Icilio torla
tu vuoi.
Virginio
Glie la giurai.
Appio
Sciorratti ei stesso,
oggi, estinto cadendo. Or va; ti avanza
a risolver brev'ora. È tua la figlia,
se d'Icilio non è: d'Icilio sposa,
far io non posso che con lui non pera.
Virginio
... Misero padre!... A che son io ridotto?...
SCENA III
APPIO
Appio
— Roman, pur troppo, egli è. — Tremar potrebbe
Appio stesso, se Roma in sé chiudesse
molti così. Ma due, non più, son l'alme
degne dell'ira mia: canuto, e padre,
è l'un; possenti ceppi: inciampo all'altro
sarà lo stesso suo bollore immenso.
Far che in lui primo il furor suo ricada,
fia l'arte... Ma, che veggio? Ecco le donne
venir fra il pianto della plebe. — Or d'uopo
m'è sedurle, o atterrirle.
SCENA IV
APPIO, NUMITORIA, VIRGINIA
Appio
Infin che tempo
vi avanza, e breve egli è, deh! donne, alquanto
spiccatevi dal torbido corteggio,
da cui, più ch'util, può tornarven danno. —
Giudice qui per or non sono: ascolta,
Virginia: vieni; in altro aspetto forse
me qui vedrai.
Virginia
Col padre favellasti?
Numitoria
Pentito sei? preso hai miglior consiglio
al fin dal timor tuo?
Appio
Dal timor?... Io?
Dalla pietade il presi. Odimi; e prova
ch'io non pavento, il mio parlar vi sia.
Virginia, io t'amo, e tel confermo: or forza,
che a me ti tolga, esser non può; ragioni,
che a me ti pieghin, ve n'ha molte...
Virginia
È questo
il cangiar tuo? Deh! madre, andiam...
Appio
Rimani;
ascolta. — È tanto del tuo Icilio cieca
sei dunque? In lui se il temerario ardire
ti piace; ardisco io men di lui? se il grado
n'ami; tribuno anco ei tornasse, pari
fora egli a me? se il cor libero, e gli alti
sensi; non io più grande in petto il core,
e più libero serro? io, sì, che farmi
suddito lui, co' pari suoi, disegno;
mentr'essi a me obbediscono...
Numitoria
Ed ardisci
svelar così?...
Appio
Tant'oltre io sono, e avanza
sì poco a far, che apertamente io l'oso.
Quant'io già son, né in pensier pur vi cape:
sta in mio poter, come di mille il brando,
la lingua anco di Marco. Ove tu cessi
d'esser d'Icilio sposa, io la richiesta
fo cessar tosto.
Virginia
Abbandonarlo?... Ah, pria...
Numitoria
Oh rea baldanza! Oh scellerato!...
Appio
E credi
che Icilio t'ami, a lato a me? Sue vane
fole di libertà, suo tribunato,
suoi tumulti sol ama. Ei lungamente
taceasi; or mezzo a sé riporre in seggio
te crede, stolto: il fa parlar sua folle
ambizion, non l'amor tuo. — Ma poni,
ch'io pur anco incontrassi alto periglio
in questa impresa; argomentar puoi quindi,
quanto immenso è il mio amor: possanza, vita,
fama arrischio per te. Tutto son presto
dare ad amor; tutto ricever spera
da amore Icilio.
Virginia
Cessa. — Icilio vile
già non puoi far, col pareggiarti ad esso,
né grande te. Breve è il confronto: ei tutto
ha in sé ciò, che non hai: nulla di lui
esser può in te: quant'io ti abborro, l'amo. —
D'amor che parli? A tua libidin rea
tal nome osi dar tu? Non ch'io 'l volessi;
ma, né in pensiero pure a te mai cadde
di richiedermi sposa?...
Appio
Un dì, fors'io...
Virginia
Non creder già, ch'io mai...
Numitoria
Di noi stimavi
far gioco: oh rabbia!...
Virginia
Infame; a nessun patto
piegarmi tu...
Appio
Sta ben: verrai tu dunque
in poter mio, del sangue del tuo amante
cospersa tutta.
Virginia
Oh ciel!...
Appio
Sì, del tuo amante;...
e del tuo padre.
Numitoria
Oh crudo!...
Virginia
Il padre!
Appio
Tutti.
Cade chi voglio, a un cenno mio: nel campo
Siccio per me vel dica. Un'ora manca
a dar segno al macello.
Virginio
Icilio!... Un'ora!...
Appio, pietà... L'amante... il padre...
Numitoria
Spenti
due tali prodi ad un tuo cenno? E credi
te nel tuo seggio indi securo?...
Appio
E s'anco
meco tutto sossopra irne dovesse,
Virginio, Icilio, ricondotti a vita
foran perciò?
Virginia
Tremar mi fai...
Numitoria
... Deh!... m'odi.
Né fia, che priego?...
Appio
Con un sol suo detto,
ella entrambi li salva.
Virginia
... Appio,... sospendi
per oggi il colpo;... io ti scongiuro. — Intanto
io deporrò di nozze ogni pensiero...
Icilio viva, e mio non sia; dal core
io tenterò la imagin sua strapparmi...
Mia speme, in lui posta tanti anni, or tutta
da lui torrò: forse... frattanto... il tempo...
che posso io più? Deh! viva Icilio: io cado
a' piedi tuoi. — Ma, oimè! che fo?... che dico? —
Te sempre odiar vieppiù farammi il tempo,
e vieppiù Icilio amare. — Io nulla temo;
Romani siamo: ed il mio amante, e il padre,
vita serbar mai non vorrian, che prezzo
di lor viltade fora: a perder nulla,
lor trafitti, mi resta. In tempo un ferro
non mi darai tu, madre?
Numitoria
O figlia,... vieni...
Numi v'ha in ciel dell'innocenza oppressa
vindici; in lor speriam: vieni...
Virginia
Al mio fianco
deh! sii sostegno;... il mio piede vacilla...
SCENA V
APPIO
Appio
Mi si resiste ancora? — Ostacol nuovo
m'è nuovo spron: plebea beltà, che il petto
mi avria per sé di passeggera fiamma
acceso appena, or che di sdegno freme
Roma per lei, profondamente or stammi
fitta, immota, nel core; or quanto il regno
m'è necessaria, e più. — Ma, l'ora sesta
lungi non è. Vediam, se in punto è il tutto,
per insegnare alla malnata plebe,
che in lei non più, ma tutta in me sta Roma.
ATTO V
SCENA I
VIRGINIO, ICILIO con seguaci
Virginio
Giunge l'ora fatale. Icilio, vedi
per ogni via sboccare armi nel foro?
e in cerchio...
Icilio
Io veggo a me dattorno schiera,
benché minor, d'altro coraggio,... forse.
Virginio
In lor ti affidi?
Icilio
— In me mi affido.
Virginio
E dei,
quanto in te stesso, in me posare. Io giungo
innanzi tempo alquanto; era ben certo
di trovarviti già. — Ma, in pochi detti,
ch'io a te ragion chiegga di te, concedi. —
Ove per noi cadano infranti i ceppi
decemvirali, di', qual debbo io poscia
nomarti? qual, quanto rimani in Roma?
Icilio
— Romano, cittadin, libero; pari
d'ogni roman; minor, sol delle leggi;
maggior, de' rei soltanto. — A me romano,
roman tu pure, orrido dubbio or muovi;
ma, non mi offende: in te il sospetto vile
nascer, no, mai non può, s'Appio nol desta.
Virginio
Ahi tempi infami! anco il possente adopra
col suo minor la fraude. Io nol credea;...
ma sì ben colorava Appio i suoi detti...
che val? S'anco il credessi, un sol tuo sguardo
più verità magnanima rinserra,
che il giurar d'Appio. Ahi scellerato! Io giuro...
possibil tanto è ch'io ti manchi mai,
quanto, che a te manchi il tuo brando, o il core.
Icilio
Ed io te credo; e in te soltanto io credo,
non in costoro, no: benché pur dianzi
feroci a me giurasser fede, e a Roma.
Tor me li può timor, calunnia, ed oro;
tutte armi d'Appio; sconosciute al prode,
ma efficaci purtroppo. Or, sia che puote,
s'Appio persèvra in suo proposto iniquo,
Appio morrà. Ch'ei teme, assai lo mostra
l'aver tentato d'ingannarti: ei fida
nella viltà dell'atterrita plebe;
quest'anco è vero. Appio svenato, nove
restan tiranni, men valenti assai,
ma dispersi; e in cui man, di Roma il nerbo,
stan gli eserciti entrambi. Or libertade,
cui forse braman pochi, e sol tu merti,
purtroppo è dubbia: or la vendetta sola
certa mi par. Tutto il periglio io veggio:
perciò lo affronto.
Virginio
Oh grande! In te vedrassi
oggi morire, o in te rinascer Roma.
Cedi sol oggi a mia vecchiezza verde
l'alto onor del dar segno: il quando, il come
s'abbia il ferro a vibrar, mia cura sia.
Tua man sul brando, e sul mio ciglio il ciglio
terrai: frattanto osserverem l'aspetto
del popolar consesso: al ferir certo,
forse è mestier da pria finger dolcezza:
norma da me, prego, al tuo oprar, deh! prendi.
Icilio
Or sei Romano, e padre. Accenna dunque;
ratto al ferir me più che lampo avrai.
Virginio
Vanne; alle inermi donne esser dei scorta:
fa, che tra 'l volgo mescansi i tuoi prodi;
meglio è ch'Appio al venir me sol ritrovi.
Miste parole io gli vo' dare; intanto
n'andrò adocchiando il più opportuno posto,
donde l'empio si assalga. Io qui t'attendo:
nel ritornar, deh! non mostrarti audace
soverchiamente: il tuo furor raffrena
per poco; ei tosto scoppierà qui tutto.
SCENA II
VIRGINIO
Virginio
Oh figlia!... Oh Roma — Omai null'altro io temo,
che del bollente Icilio il valor troppo.
SCENA III
APPIO, VIRGINIO
Appio
Di'; risolvesti al fine?
Virginio
È già gran tempo.
Appio
Qual padre il de'?
Qual roman padre il debbe.
Appio
Rotto ogni nodo hai con Icilio dunque?
Virginio
Stringonmi a lui tre forti nodi.
Appio
E sono?
Virginio
Sangue, amistà, virtù.
Appio
Perfido! il sangue
scorrerà dunque ad eternarli.
Virginio
Io presto
son col sangue a eternarli. — Invan, m'è noto,
ti si resiste: io, la sentenza udita,
pria che veder tormi la figlia, a morte
ir m'apparecchio; altro non posso: i Numi,
un dì faran poi mie vendette, spero.
Appio
Vedi tu d'Appio i Numi? ecco le armate
squadre, ond'io mi fo cerchio. Il so che d'armi,
mezzo tra aperte e ascose, oggi voi pure
vi afforzate: ma stan le leggi meco;
sta con voi la licenza: il perder anco,
a me fia gloria; a voi fia il vincer, onta. —
Ma, vincerete voi: già in folla riede
fiero il popol nel foro: in lui ti affida;
ognor che il vuol, egli è il signor pur sempre.
Ecco Virginia addolorata; segue,
lacera il manto e il crine, alto gridante,
la madre. Odi rimbombo? Oh di quali urli
freme l'aere! chi sa, quant'armi, e quante
trae dietro sé nel foro Icilio forte!
SCENA IV
NUMITORIA, VIRGINIA, APPIO, VIRGINIO, MARCO, POPOLO, littori
Numitoria
Oh tradimento!
Popolo
Oh infausto giorno!
Virginia
O padre,
tu vivi almen; tu vivi. Ah! tu non sai...
Icilio... oimè!...
Virginio
Dite; che fia? Nol veggo.
Numitoria
Icilio muore.
Virginio
Oh ciel! che ascolto?
Appio
Audace
chi fu cotanto nel difender Roma
che il reo punì, senza aspettar che il danni
giusto rigor di legge?
Numitoria
Iniquo! ardisci
dissimular così? Con noi nel foro
venìa securo in suo valor, quand'ecco
a lui da fronte in atto minacciosi
venir suoi fidi stessi; Aronte, Fausto,
Cesonio, ed altri, in armi: Aronte grida:
«Un traditor sei dunque?».... Orribilmente
tutti d'ira avvampar, fremendo, i brandi
tutti snudare, e addosso a lui scagliarsi,
quindi è un sol punto. Icilio, a ferir presto
pria ch'a parlar, rapido a cerchio ruota
già il ferro acciaro in sua difesa: Aronte
cade primier; cadon quant'altri han core
d'avventarsegli. — Allor gridan da lunge
i più codardi all'attonita plebe:
«Romani, Icilio è traditor: vuol farsi
in Roma re». Suona quel nome appena,
che da tergo e da fianco ognun lo assale,
ed imminente è il morir suo.
Virginio
Qual morte
per uom sì prode!
Numitoria
Ma d'altrui non vale
brando a ferirlo; in sé volge egli il suo:
e in morir, grida: >«Io, no, regnar non voglio;
servir, non vo'. Libera morte impara,
sposa, da me»...
Virginia
Ben io ti udia: me lassa!...
amato sposo;... e seguirotti... Io vidi
ben tre fiate entro al tuo petto il brando
fisso e rifisso di tua mano;... io stesi
la non tremante mia destra al tuo ferro...
ma... invan...
Numitoria
La folla, e il suo ondeggiar, ritratte
ci ha dall'orribil vista, e qui sospinte.
Virginio
Cade Icilio, o Romani... Appio già regna...
Appio
Romani, Icilio al suo morir sol ebbe
i suoi seguaci, e la sua man, ministri.
Conscio di sé, la obbrobriosa vita
volle in morte emendar: morìa Romano;
ma tal non visse. — Il traditor non volli
punire io mai; caro a voi troppo egli era.
Il tempo al fin tutto rischiara, e tolta
ha dai vostri occhi la funesta benda.
S'io lo dannava a morte, udiavi a prova
di tiranno tacciarmi; e sì pur degno
parve ei di morte a' suoi seguaci istessi.
Virginio
Null'uom tu inganni, no; cessa: ognun vede
l'autor di così orribile vendetta.
Ucciso Icilio, hai la tua causa iniqua
vinta omai, più che a mezzo. Appio, prosiegui;
fanne udir la sentenza. — Ma, che chieggo?
chi non la legge in queste armate schiere?...
e nel silenzio di Roma tremante?
Appio
— Perfidi, e che? dopo che invan tentaste
ribellion, se i traditori vostri
tradito v'han, me n'incolpate? Infidi
a infido fur; qual maraviglia? — A voi,
Romani veri, or parlo. Armate schiere
voi qui vedete intorno intorno sparse,
ma per l'util di Roma. Al vostro eccelso
voler concorde havvi chi opporsi ardisca?
Al certo, io no: ma, contra pochi, e iniqui,
assicurar la maestà di Roma
riposta in me da voi, ben io mi attento
d'imprender ciò. — Ma, i traditor son forse
spenti in Icilio tutti? — Olà, littori,
fra vostre scuri stia Virginio acchiuso,
fin che il giudicio segua. Egli a mal'opra
qui vien: ragioni, ov'ei pur n'abbia, esponga;
ma il tentar forza, a lui si vieti.
Numitoria
Ahi lassa!
Virginia
Me misera! Anco il padre?...
Virginio
È ver, son io
un traditor; son di Virginia il padre:
un traditor fu Icilio; erane sposo:
traditor è, chi figlia e sposa niega
prostituire a lui. Convinti appieno
non siete ancor di sua libidin cruda? —
Romani, deh! benché innocente io sia,
me con Icilio, e con mill'altri, a morte
trar lasciate: ma sola oggi si salvi
l'onorata donzella; a lei sovrasta
peggio che morte assai. Per me non prego;
io tremo sol per lei; per lei sol piango.
Numitoria
E al nostro pianto tutti non piangete?
Che vi s'aspetti, o padri, oggi da noi
imparatelo... Oh duri!... ognun si tace?... —
Madri, uditemi dunque: o voi, che sole
davvero amate quei che alimentaste
entro alle vostre viscere, creati
del vostro sangue: il procrear qui figli
troppo è gran fallo, o madri; omai, se il vostro,
se il loro onor vi cale, al nascer loro,
vibrate un ferro entro ai lor petti.
Appio
Udite
amor di madre? udite? Or, chi nol vede,
che supposta è la madre, e che ingannato
n'è il genitore? — A me il chiedeste, e giusto
ben era, che Virginio a tanta lite
presente fosse: eccolo, ei v'è: ma torre
può il suo venir, ch'io appien giustizia renda? —
Esaminati ho i testimoni, e Marco;
concordano. Di Marco è chiaro il dritto:
io 'l giuro al popol; io: più che convinta
la falsa madre è da tai prove; ond'ella
cerca or ragion nel popolar tumulto. —
Dover d'inganno trar misero padre,
che tal si crede, duolmi; eppure il deggio. —
Marco, Virginia è tua; ragion non posso
negare a te nella tua schiava.
Numitoria
Oh! dove
tal giudicio s'intese? E niun mi ascolta?
Virginia
Madre, tu vedi il genitor, com'egli
di scuri è cinto: oprar per me non puote;
parlar può appena, e invano. Il ferro dammi;
tu l'hai; tu il promettesti: a me lo sposo
è tolto già; l'onor vuoi ch'anco io perda?
Virginio
O gregge infame di malnati schiavi,
tanto il terror può in voi? l'onore, i figli,
tutto obbliate, per amor di vita? —
Odo, ben odo un mormorar sommesso;
ma niun si muove. Oh doppiamente vili!
Sorte pari alla mia, deh! toccar possa
a ognun di voi; peggior, se v'ha: spogliati
d'aver, d'onor, di libertà, di figli,
di spose, d'armi, e d'intelletto, torvi
possa il tiranno un dì fra strazio lungo
la non ben vostra orrida vita infame,
ch'or voi serbate a così infame costo.
Appio
Mormora, è ver, ma di te solo, Roma.
Tacciasi omai. — Littori, al signor suo
date or tosto la schiava; e non vi arresti
sedizioso duol di finta madre:
la non sua figlia a lei dal sen si svelga.
Numitoria
Me svenerete prima.
Virginia
Oh madre!
Popolo
Oh giorno!
Virginio
Appio, sospendi un sol momento, e m'odi:
deh! sì, sospendi, e m'odi. — Io la donzella
come figlia educai: più di me stesso
finor l'amai: se pur mentìa la moglie,
son di tal fraude ignaro...
Numitoria
Oimè! che ascolto?
Tanto avvilir tu la consorte tua?...
or quel di pria sei tu?
Virginia
Padre, tu cangi
in questo punto? e non più tua mi credi?
Misera me!
Virginio
Qual ch'io ti creda, ognora,
qual de' sua figlia ottimo padre, io t'amo. —
Deh! lascia, Appio, che ancor, sola una volta,
pria che per sempre perderla, io la stringa
al già paterno seno. Infranto, nullo,
ecco, il mio orgoglio cade: in te di Roma
la maestà, le leggi adoro, e i Numi. —
Ma, del paterno affetto, in me tanti anni
stato di vita parte, in un sol giorno
poss'io spogliarmi, in un istante?...
Appio
Il cielo
cessi, ch'io mai crudel mi mostri a segno,
che un sì dovuto affetto a error ti ascriva.
Tornato in te, parli or qual dei: qual deggio,
or ti rispondo. A lui la via, littori,
s'apra.
Virginio
Deh! vieni al sen paterno, o figlia;
una volta mi è dolce ancor nomarti
di tal nome,... una volta. — Ultimo pegno
d'amor ricevi — libertade, e morte.
Virginia
Oh... vero... padre!...
Numitoria
Oh ciel! figlia...
Appio
Che festi?...
Littori, ah! tosto...
Virginio
Agli infernali Dei
con questo sangue il capo tuo consacro.
Popolo
Oh spettacolo atroce! Appio è tiranno...
Virginio
Romani, all'ira or vi movete? è tarda:
più non si rende agli innocenti vita.
Popolo
Appio è tiranno; muoia.
Appio
Il parricida
muoia, e i ribelli.
Virginio
Alla vendetta tempo,
pria di morir, prodi, ne resta.[1]
Appio
Tempo[2]
a punir te, pria di morir, mi avanza.
Virginio
Appio è tiranno; muoia.[3]
Popolo
Appio, Appio muoia.[4]
FINE
[1] Virginio e il popolo in atto d’assalire i littori e i satelliti d’Appio.
[2] Appio ed i suoi in atto di respingere il popolo e Virginio.
[3] Cade il sipario
[4] S’ode un gran tumulto e strepito d’armi