Vita senza Tobi

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VITA SENZA TOBI

Ovvero

LA SPIEGAZIONE RIMANDATA

Di Carlo Terron

Mistero giallo

In ricordo di A.M.,

seguace eretico

di Sigmund Freud.

“Si può scrutare fino in fondo il proprio cuore solo attribuendolo ad un altro” (Chateaubriand)

…et ainsi, adieu, ma inoubliable soeur. Helàs, tout se tient…

« Mes enfants pour mon enfant… »

(Frammento di una lettera datata 3.824 A.C.,

rinvenuta tra le rovine dell’archivio, nella reggia di Tebe, spedita da Medea a Giocasta, conservata nel museo di Atene)

PERSONAGGI

Maia

Tòbi

Irmo

Alain

Charlie

Pablo

Danilo

Ivan

Nonché certi altri giovanotti in vestaglia

e signore in veletta, presenti ma silenti, salvo:

L’ignoto, ultimo, che ha un particolare da comunicare con una parola sola che rivela tutto, se lo rivela.

Mai e sempre; in nessun luogo e ovunque.

Eternato, irripetibile e immemoriale, uno dei momenti sublimi del cattivo gusto, tale e tanto da risultar baciato in bocca dall’arte. Macché Ballo Excelsior: una giostra all’antica, come avrebbe potuto essere sognata dalla fantasia di Lodovico Ariosto fanciullo, visitato dai primi fremiti di un presagio di lussuria. Nel tortuoso abbraccio – ma ce ne vuole per decifrarlo – di due sciancati scaloni laterali, a esse, privi del benché minimo sospetto della possibile esistenza di un centro di gravità, scendenti simmetrici a circuire, sullo sfondo, un gran tavolo circolare, luccicante d’argenti, a corona di un trionfo centrale d’oro dal quale esplode una gigantesca granata di rose cremisi, il proditorio schiudersi del sipario rivela all’occhio, non incredulo, esterrefatto, un ebbro salone ovale, acerrimo nemico della linea diritta quanto insatirito vizioso di quella curva; dalla decorazione paravegetale e pseudoanimale: a fronde, a frutta, a foglie, a viticci, a fiori, a calle, a giacinti, a tulipani; a draghi, a liocorni, a serpentoni; con arredamento e mobilio in tono; sfolgorante di un opprimente fasto aureo, affollato del più demente liberty, quale nemmeno il delirio cesareo di un postremo Ludwig di Baviera paranoicamente incalzato dal demone indistruttibile della spirocheta pallida, colto in bilico sul culmine vertiginoso, nel supremo momento kitch della più impudica e impunita belle-epoque, ad esaltazione forsennata – perduta la verginità dell’iperbole – dello stile-bordello, tipo Parsifal in casino, avrebbe mai potuto concepire, squassato dal furore di un raptus erotico sublimato in misticismo decadente. Fa venire in mente l’ “Iris” di Mascagni: autenticità dell’equivoco e coerenza dell’implausibile. Ove un analogo effetto vogliasi, e possasi, ottenere, esattamente per contraria via, tramite la scorciatoia di nude insanie indecifrabili, oppure ossessive astrazioni geometriche, in spirito di lesina francescana, alla Kandinskij e alla Mondrian, facciano pure, per carità, sarà un risparmio; le nostalgie dell’autore, però, rimangono là, in giostra, abbracciate a una popputa sirena dai capezzoli felliniani. Senza riguardi – anche gli scenografi hanno diritto ai loro onanistici vizi personali, franchi dalla prima pietra – ; spietati pur che si consegua il risultato auspicato; e cioè il vago malessere di un’irreale superrealtà; tanto già, se si farà, si farà, magari, tutto neoclassico, sempre così asettico, inorganico, perbene e antidionisiaco…; alla peggio, un assirobabilonese incrociato col tardo gotico… tuttavia… (E’ una timida, timidissima proposta di compromesso… a prova di disponibilità, nel caso che saltasse fuori un complice disposto al rischio degli inevitabili fischi, a lenimento delle sofferenze morali di qualche famelico sicario della critica drammatica in trasferta, a stomaco vuoto). Ma Piacentini no, per piacere (sarà Piacentini). -1-

Addotto per mano da Charlie, giovane mulatto atletico, introverso e tenero, sta entrando, come lui aitante e sorridente, Irmo, acerbo maschio che, sgusciato, da poco, dalla crisalide dell’adolescenza, ostende già umori ed ardori di giovane uomo. Sta ascoltando affrettate istruzioni sul contegno da tenere con colei che li incalza da pochi secondi, scendendo, da una delle scale: Maia, gran dama sibillina, dal fascino ambiguo, senza età, cupa e leggera, dall’eleganza eccentrica e portentosa. Ad essi, l’attacco di un recitar stupito, impercettibilmente febbrile, circonfuso, da cima a fondo, dall’alone di una sfumata irrealtà, scalfita da dissonanti arricciolature di improvvisa, quanto fugace compiacenza retorica: nitida intelligenza non ignara di ilare narcisismo, nel brivido d’allegorici enigmi, arcanamente governati da Sfingi oscure, esperte frequentatrici di ansia e di riso; esiguo umorismo della vaga enfasi sintattica che effonde futili turbamenti; quantomeno disagi, di curiosità allarmanti impalpabilmente malsane: un inquietante capriccio: quale l’ambiente, tale il discorso, così falso nella sua apparenza naturale. Insomma, in due parole povere: non sarà magari niente, ma c’è qualcosa sotto

…………………………………………………………………………

CHARLIE               - … Eccola… Non sorprenderti di niente… La chiamano “Madame Mystère”. Ci tiene. Ma tu non dirglielo. Se ne risente. Non farci caso… E’ arrivato, signora.

MAIA                      - Va bene, CHARLIE. Niente altro. Ora, lasciaci soli.

CHARLIE               - Come comanda. Un inchino a lei, uno sguardo, un sorriso a lui, ed è ciò che si accinge a fare, quando lo squillo del telefono interrompe la sua sortita e lo trattiene a rispondere. “…E’ stata sfortunata… Ha sbagliato colore. Non sono io quello che cerca… Tutti gli altri, signora, non dubiti. Che idee le vengono? Qui nessuno si tinge… tutti colori naturali.. La casa mantiene ciò che promette… e più ancora… Richiami più tardi… Di niente. Non è la prima volta… A giorni, ci sarà il videotelefono e l’inconveniente cesserà… Comodo, certo. Purtroppo, soltanto il viso… Disotto, censura. Disposizione prefettizia… Solo il disotto, beninteso. Ma può fidarsi… “Siamo tutti fratelli”… E allora, perché ne dubita, scusi:… No, no… lei ne dubitava… L’aspettiamo… Non c’è di che. Riverisco”… domando scusa. Le dona il bianco, una su dieci. Non aggiunge altro e via… Ah, non ho avuto il tempo di chiedergli se ha fatto colazione.

IRMO                      - L’ho fatta.

MAIA                      - In seguito, potrai fartela servire anche in stanza.

CHARLIE               - Non c’è sveglia. Avverto Alain di provvedere. (ora, via davvero).

MAIA                      - Come sei arrivato fin quassù?

IRMO                      - Ho avuto l’impressione di essere atteso.

MAIA                      - Dici?

IRMO                      - … Qualcosa stabilito da sempre… Perché me lo domanda?

MAIA                      - Non dovrei?

IRMO                      - Per carità, son qui apposta. Mi preme solo evitar passi falsi.

MAIA                      - Sei stanco?

IRMO                      - Appena. La salita… Ma non è niente, non ci badi. Ho riserve di ripresa pressoché inesauribili, nonostante tutto. Non è stato difficile trovare la villa, bisogna essere ciechi per non vederla, domina il paesaggio… Disagio momentaneo, più che altro… Un po’ trafelato, sciocchezze: esiti di una vecchia ferita alla caviglia.

MAIA                      - … Sei sicuro? Ci hai pensato bene? Lo vuoi proprio?

IRMO                      - Non so. Mi pare… Sì! Certo: sono sicuro di essere sicuro.

MAIA                      - Ti vedo sorpreso… indeciso… preoccupato. Se mai, non farti riguardo: per uno che si tira indietro, dieci si fanno avanti.

IRMO                      - E’ il primo contatto, deve compatire.

MAIA                      - … Succede a tutti… Quasi a tutti.

IRMO                      - Mi rendo conto; ci saranno anche gli sfacciati, mi figuro.

MAIA                      - Non farci caso… E’ uno scardinamento salutare… Se ti metti a sedere e accendi una sigaretta, ti passa. Passa tutto, all’età tua… Sono lì, non hai che da allungare il braccio… Le sigarette… Anche i fiammiferi sono lì… Ecco. Rilassati. Vedrai che andrà meglio…

IRMO                      - Lei fuma?

MAIA                      - Conforme… A periodi… Qualcuno, durato anche molto a lungo… Virginia, soprattutto. Anzi, esclusivamente. Un vero vizio. Fui schiava del Virginia.

IRMO                      - Com’è possibile, scusi? Schiava lei? Non mi dica.

MAIA                      - Del Virginia. Tu non puoi sapere. Erano sigari biondi, delicati ed esili, trafitti da una lunga paglia sottile, lungo tutto il corpo. Le sigarette usavano poco, allora: eccentricità – andavano molto i çigarillos, anche le signore – I Virginia devono aver smesso di fabbricarli prima che tu venissi al mondo… circolavano le prime Isotta-Fraschini… E avanti, ancora, s’era messa a declinare l’abitudine del tabacco da fiuto, insostituibile nel raffreddore…; allora, l’aspirina era una rarità… Fu così che la pratica utilità delle mie cento tabacchiere storiche cominciò ad organizzare in quella preziosa vetrina da collezionista… e un altro mondo se n’è andato…

IRMO                      - Le dispiace?

MAIA                      - Mi secca. Io sono monotona, ripetitiva e abitudinaria, in fondo; e il tabacco da fiuto era rimasto una delle poche residue componenti della galanteria illuministica.

IRMO                      - In ultima analisi, se ha smesso di fumare, è stato, dunque responsabilità del Monopolio. Ne ha fatto dei danni, quello!

MAIA                      - Siamo giusti: è stata colpa del tempo. Spegne tutto il tempo. Anche i vizi. Si passa ad altro. Però, una civiltà senza Virginia, che malinconia!

IRMO                      - Una battuta fa l’ha chiamata seccatura.

MAIA                      - E non è, forse, una seccatura la malinconia?

IRMO                      - Solo? Solo seccatura?

MAIA                      - E che dovrebbe essere di più?

IRMO                      - Non so. Se lo dice lei… Altro?... Altri vizi, intende? O altri sigari?

MAIA                      - Non mi piace la parola “vizi”. Penso che non esista nemmeno: altro. Ma le domande le faccio io o le fai tu?

IRMO                      - Lei, lei… mi perdoni. Dicevo così, tanto per dare una spallata al discorso. Mi domandi. Stava parlando di sigari trasformandoli in filosofia.

MAIA                      - … Nessun obbligo, soprattutto, dunque, mai dimenticarlo. Puro impegno ideale. È il fondamento dell’Istituzione.

IRMO                      - Lo so, sì. Non ho fatto che ripetermelo. È bello.

MAIA                      - Un conto è la parola, un conto è la vocazione. Saperlo dentro. Sentirlo, mica ragionarlo: quello importa. Allora è bello.

IRMO                      - …Una decisone naturale e libera. L’idea ce l’ho non dubiti.

MAIA                      - Ecco. Chi è portato a farlo, lo fa spontaneamente, per chiamata; oppure, altrettanto spontaneamente, non lo fa: sbagliarsi per sordità morale non è colpa. Colpa è volere e disvolere: chi, avendo udito la chiamata, ci viene e ci sta come se non ci fosse… o stacca.

IRMO                      - Io ci sono venuto, come vede, ci sto e ci sono. Ho molta buona volontà.

MAIA                      - Era la parte facile. Padrone di cominciare come di smettere, in ogni caso e in ogni momento; questo lo è un po’ meno. Ma sta lì il suo blasone. Mai e guai le due cose insieme, ma peggio nessuna.

IRMO                      - Oddio, è una minaccia?

MAIA                      - E’ un avvertimento.

IRMO                      - Pare una missione, come ne parla.

MAIA                      - Di più: un destino. Non per altro, l’uomo è stato creato.

IRMO                      - Eh, già… Scusi, usa “uomo” in senso di “maschio” o così… double-face?

MAIA                      - Tu tendi troppo a sottilizzare. Disintossicati dai giudizi… Rimanda, rimanda… L’attesa è bella.

IRMO                      - Non si trattava della fiamma?

MAIA                      - Fu un errore di stampa… e rimase fiamma: doni dell’imprevisto. Il difetto della gioventù è l’impazienza. Accontentati, per il momento, di considerarti addetto a un basilare servizio sociale, non più a senso, volevo dire a sesso unico, e più non domandare.

IRMO                      - Gratuito, se ho ben compreso.

MAIA                      - Totalmente.

IRMO                      - E’ questo, vede, che bramerei farmi chiarire. Non per altro, perché mi confonde le idee, dico bene?

MAIA                      - Dovrebbe chiarirtele. Dici male.

IRMO                      - Mi spieghi, allora.

MAIA                      - E quando mai un… servizio sociale, degno di chiamarsi così, comportò una mercede? Specie se il maggior… beneficio va a chi lo elargisce?...

IRMO                      - Io ragiono da ignorante, si capisce.

MAIA                      - Fortunato colui che lo rimane.

IRMO                      - Voglio dire, più che altro, mi riferivo… mah… a un risarcimento morale, chiamiamolo così. Capisce?

MAIA                      - …Infiniti sono i modi di ripagare, come, altrettanto infiniti, sono quelli no.

IRMO                      - Intende materialmente?

MAIA                      - Che significa materialmente? Attento a non smarrirti nel labirinto delle distinzioni. Aggettivi ed avverbi sono ignoti alla Creazione. Tu vuoi conoscere troppo, ragazzo mio: al termine della conoscenza l’uomo incontra solo l’infelicità. Non scendere mai all’ultima stazione: non è “mai” l’ultima. Chi meno sa meno soffre… Qui, da noi, sei giunto piuttosto per allungare che per accorciare il tuo viaggio, già breve di per se stesso. Frena la tua corsa: arriverai fin troppo presto al confine oltre il quale cessa l’orizzonte… E’ chiaro?

IRMO                      - Sarà anche chiaro… e tuttavia…

MAIA                      - E tuttavia?

IRMO                      - Non saprei, tra chiaro e scuro, mi si intorcigliano tutti i pensieri… Tuttavia. Non mi viene in mente altro… Un avverbio, come vede. Sto facendo la figura del mona, me ne rendo conto… Forse, ho solo bisogno di dormire, che ne pensa?

MAIA                      - Non farne un problema. È così per tutti all’arrivo. Quella dove sei seduto è la poltrona del tuttavia. Finiscono tutti lì. I problematici oltrepassano anche il tuttavia: giungono a dire: nondimeno: nondimeno, e persino: benché. La pendolarità dell’Eros suscita turbe cotali.

IRMO                      - A tanto si può arrivare?

MAIA                      - A tanto.

IRMO                      - Si sentiranno ancora peggio. Nondimeno è una parola pesante, che rimane sullo stomaco.

MAIA                      - Non è detto. Il vocabolario influisce fino ad un certo punto.

IRMO                      - Però influisce.

MAIA                      - E’ inevitabile, visto che, ormai, esistere esiste; gli errori si pagano. Per un certo periodo, il tuttavia permane.

IRMO                      - “Pendolare dell’Eros”: è una definizione malagevole da indossare… Ma poi, passa?

MAIA                      - Generalmente, poi si supera. Quando la chiamata è stata più forte, interviene l’assuefazione; tanto sconquasso e si rivela un disturbo superabile, scompare perché non c’era. Dopo il benché scompare anche il tuttavia.

IRMO                      - … Vedo, e ci conto… Ma… Sono molti che non ci passa, perdoni la mia insistenza…?

MAIA                      - Pochi, pochissimi, starei per dire nessuno. Si stacca dalla mente, come, all’inverno, un ramo secco dall’albero… la Natura è miracolosa. Quando si tocca il fondo, ci si rende anche conto che è saggio rimanerci. “Stabilito da sempre” era stata la tua seconda battuta: riprendiamo da lì.

IRMO                      - Ah, sì: così. Spinto, ecco, per dar un’idea, se vogliamo: stabilito da sempre e, tuttavia spinto, trascinato, come un istinto; mi ci lascia aggiungere il solito “irresistibile” che vi si accoppia sempre? È banale ma ci sta.

MAIA                      - Ce lo devi aggiungere. È banale ma ci vuole. Pochi, però esistono anche gli aggettivi inevitabili.

IRMO                      - Un istinto irresistibile. Adesso, è giusto. Mi sento già meglio.

MAIA                      - E’ la norma. Un caso, il tuo, che non creerà, e non ti creerà complicazioni. Fatti credito, dammi retta. C’è sempre tempo a restituirlo. E a chi, poi? E perché? Vivere di più e pensare di meno, il gran segreto sta tutto lì.

IRMO                      - …Dicevo… Finalmente, poi, un giorno, si vede, venne il giorno decretato. Mi trovai, ora che mi viene in mente, a passare qui davanti come per caso senza che fosse un caso… e ciò che era sempre stato sottopelle, venne a suppurazione, non so come altro spiegarlo… Allora, ho salito la collina… Strano, ho subito riconosciuto la casa… avrei potuto descriverla dentro, si fa per dire… E’ stato proprio come aver saputo già tutto senza aver saputo ancora niente, rendo l’idea?... Mettiamo che, ora, lei mi dica: “Va nel bagno”…

MAIA                      - E’ a tua disposizione.

IRMO                      - No, faccio per spiegarmi senza spiegarmi, come piace a lei. Bene: lo troverei difilato, a occhi chiusi. Ne sono matematicamente sicuro. Qua, da lei, mi sento tale e quale una creatura che si muove nella pancia della buona donna che l’ha partorito… guardi che discorsi mi viene di fare.

MAIA                      - Dov’è? Prova a dire, allora.

IRMO                      - Il bagno?... Lassù, a metà corridoio.

MAIA                      - Più altri undici; i bagni della casa sono dodici salvo errore, eccettuato il mio personale.

IRMO                      - Senza meno, una meraviglia, certo; e fanno tredici.

MAIA                      - Sarà. I numeri non sono il mio forte… Dunque, hai suonato il campanello…

IRMO                      - Già. Ho dovuto aspettare un po’… Però ero calmo, sa, tranquillo, parola, proprio: un ritorno in famiglia, ma pensi!

MAIA                      - E come avresti dovuto essere?...

IRMO                      - Ha ragione, come avrei dovuto essere?... Poi, quel giovane negro…

MAIA                      - CHARLIE.

IRMO                      - La gentilezza in persona… è venuto ad aprire… Ah, si ricordi: il cancello cigola, dovrebbe far oliare i cardini…

MAIA                      - Ha sempre cigolato. Le abbiamo provate tutte, non è mai stato possibile porvi rimedio.

IRMO                      - … M’ha preso educatamente per mano: “La signora ti aspetta” ha sussurrato, ed eccomi qua… Mi sorrideva, come mi sorrideva… E ci fu, in me, un momento di lucidità straordinaria, mai provata. È normale? Come una luce. Proprio.

MAIA                      - Ogni tanto, è normale. La febbre dell’intuizione regala momenti così.

IRMO                      - Vuol dire qualcosa, oppure niente?

MAIA                      - Tutto, sempre, vuol dire qualcosa; e niente vuol dir niente, mai.

IRMO                      - Salvo quando parla lei, beninteso, ché, allora, va tutto insieme e sembra chissaché il niente e niente il chissaché.

MAIA                      - Cos’hai detto?

IRMO                      - Non ci faccia caso, mi borbotto addosso, ho il vizio del tra sé. Mah…

MAIA                      - Mah…

IRMO                      - Turbamenti che vengono, si vede… Fa parte del college pure lui?

MAIA                      - CHARLIE? B3ninteso. È un componente della pensione anche

CHARLIE               - … così mite… così tenero… così ardente… una fiamma al calor bianco… Questa è la sua settimana ai servizi. Se fossi arrivato in una settimana diversa t’avrebbe aperto Tobi, o Ciang, o Pablo, o Udo, o Ted, o Ivan, o Omar, o Cly, o Renato, o Lino, o Franz, o Alì, o Rud, o Mirko, o Danilo, o Berto, o Gigi, o Iri, o Fred…

IRMO                      - Tanti? Tanti siamo?

MAIA                      - … Altri, altri… “e non finiranno mai di popolare la terra”. Ci si alterna, uno per tutti, tutti per uno.

IRMO                      - Non manchiamo nessuno a quanto mi par di capire, da ogni confine, di ogni razza.

MAIA                      - Naturalmente. Però, procura di reprimere la parola razza; è malvista dall’organizzazione.

IRMO                      - Ha fatto bene ad avvisarmi, non piace nemmeno a me.

MAIA                      - Ma non sarà necessario. Dopo un po’, qui, razza si rivela quella che è: un fiore velenoso che appassisce spontaneamente e si secca scivolando via dal vocabolario.

IRMO                      - … E’ un bel ragazzo.

MAIA                      - Non c’è figlio di mamma che non sia un bel ragazzo.

IRMO                      - … Quel negro, mi riferisco in particolare. Pardon, è sconsigliabile dire anche negro, presumo, qui al college.

MAIA                      - … Lo puoi pensare. Se ti suscita qualcosa di dentro, o, anche sulla pelle, lo puoi pensare, tanto e quanto e come vuoi… Pure sussurrarglielo, puoi, in qualche momento.

IRMO                      - Magra, ma è una risorsa.

MAIA                      - Come lui può pensare bianco: uguale; e, in qualche momento, anche sussurrartelo.

IRMO                      - Non ci avevo mai riflettuto. Sicuro, come i… noi, loro; così loro, noi: il tirante dei contrari. Sa che è straordinario: la forza del pensiero!

MAIA                      - Reciprocità, né più e né meno. Fratelli… non essendo fratelli.

IRMO                      - E diventa naturale, cancellato ogni complesso. Lei capisce tutto. Specialmente ciò che non si capirebbe mai di capire.

MAIA                      - Breve vantaggio di una lunga esperienza.

IRMO                      - Sì, quel… CHARLIE è, davvero, un amabile ragazzo, se così è permesso di dire… Il resto, lo penso. Posso?

MAIA                      - Puoi. Probabilmente, “anche”

CHARLIE               - troverà te un amabile ragazzo. E può. Ha lo stesso diritto di ognuno, qui, di “far la corte alla libertà”.

IRMO                      - Vuol stabilire che lo sono pure gli altri?... E possono?

MAIA                      - Ne dubiti?

IRMO                      - No, no, me ne guardo. Meglio così. Fa bene alla vista, e ci si fa compagnia.

MAIA                      - Bello, amabile e bravo. Tutti.

IRMO                      - Son contento e mi congratulo. Far la corte alla libertà. Mi piace. Pare un gioco.

MAIA                      - Lo è. Diversamente, non starebbe in pedi. L’allevamento è sempre stato di prim’ordine.

IRMO                      - Mi consolo. Sta con loro da molto?

MAIA                      - Che domanda. Potrei risponderti da sempre, o da quando ebbe l’età, o da quando rispose alla chiamata. Che importanza ha? Era segnato. La Fondazione non tiene registri da conservare in archivio. Il ricambio è continuo. Una notte o una vita non fa differenza, se è destino che accada. Il flusso vitale è la sua fonte inestinguibile. Si fa e non si domanda. Di qui, basta passarci. Libera morale in libero sesso. E si resta marchiati tutta la vita.

IRMO                      - Pare d’ascoltare la celebrazione di un sacramento.

MAIA                      - Pare.

IRMO                      - Straniero?

MAIA                      - Alabama, forse, o Mississipi, o Costa d’Avorio, o Louisiana, o Nigeria… o la strada accanto, o mah…

IRMO                      - Luoghi onusti di avventura e di sogno…: il paese del mah.

MAIA                      - … di crimine o di virtù. Nemmeno questo ha importanza. Il college, come va di chiamarlo a te, non richiede né passaporto né certificato penale.

IRMO                      - Ma, sceglie? Mi pareva…. Voglio dire: accoglie scegliendo?

MAIA                      - Da soli son termini vuoti. Acquistano un senso solo sovrapponibili, come due corpi a far l’amore: or di faccia, or di nuca… or di sorriso… or di respiro… basta coesistere, fondersi un momento. Il solo venir accolti presuppone la scelta. Certo, la giovinezza un minimo di predisposizione e di aitanza, come di salute e disponibilità, è indispensabile. Il resto matura colla dedizione e l’esercizio. Dipende da essi tener accesa la sacra fiamma. Ma chi non li possiede? La gioventù ne abbonda; solo, si macchia della colpa di non darci importanza.

IRMO                      - Pura curiosità: codesta conversazione tra me e lei, adesso, ha il significato di un esame, un test, come si dice?

MAIA                      - Un primo orientamento, facciamo.

IRMO                      - C’è anche chi non lo supera?

MAIA                      - E’ raro. Assai raro. La pelle è più precoce, sapiente e pronta della mente. A forza di vitamine, Freud, spinelli e Coca-Cola, diventa sempre meno frequente: non è la disponibilità a far difetto, e tuttavia…

IRMO                      - Vede, anche lei. A nessuno manca il suo tuttavia.

MAIA                      - Sì. Una volta c’era, forse, maggior difficoltà, ma anche maggior soddisfazione, debbo ammetterlo. La quantità va un po’ a scapito della qualità… Fa conto, idealmente parlando s’intende, sorprendere, in una moltitudine indistinta, un velo inavvertibile di profumo di muschio esalato da un’ascella appena lavata, ancora umida… una lontanissima poesia di animalità… l’eco remota di una innocenza primigenia, hai presente?... Una facoltà del genere. Aroma che si va perdendo; colla civiltà, sfuma la gioia… il sesso di massa vuole il suo tributo.

IRMO                      - …E, a decidere, è lei?... L’aroma dei predestinati, intendo.

MAIA                      - Sono io.

IRMO                      - Inappellabilmente? Col naso di una volta?

MAIA                      - Inappellabilmente. Il mio naso è rimasto intatto.

IRMO                      - Una pesante responsabilità. Non ha timore di sbagliare? Il fiuto, lei mi insegna, anche metaforicamente parlando, è il più infingardo dei sensi.

MAIA                      - Formalità, più che altro, esperienza fa sapienza. Nove volte su dieci, la prova è già un collaudo: chi esala quel sentore invia richiami inequivocabili.

IRMO                      - E poi si lamentano che, nel nostro paese, non c’è niente che funziona.

MAIA                      - Meglio così che peggio. Chi non sa non nuoce. Il guaio è che, oggi, son troppi a sapere: a credere di sapere.

IRMO                      - E… ancora un’informazione: ci si da del tu?

MAIA                      - Conforme. Tra condiscepoli è obbligo: fa confidenza e solidarietà.

IRMO                      - E… con lei, madame? È per sapermi regolare.

MAIA                      - Tassativamente vietato. È il prezzo dell’imparzialità.

IRMO                      - E chi lo paga?... Madame… Madame… non si distragga… dico a lei.

MAIA                      - … Eh? Scusa?

IRMO                      - Le ho chiesto: chi lo paga? Il prezzo dell’imparzialità…

MAIA                      - … Quello lo pago io.

IRMO                      - E’ un prezzo alto?

MAIA                      - Dipende. La vita non ti dà nulla gratis, caro. E, quanto al prezzo, va a capriccio.

IRMO                      - Però…

MAIA                      - Però?

IRMO                      - … Imparzialità, e mi sta bene. Quello che non vedo, proprio, perdoni, sa, è l’incompatibilità dell’imparzialità col tu. Se potessi osare, direi: anzi. Posso?

MAIA                      - E so anche come lo motiveresti.

IRMO                      - E allora, abbia pazienza?

MAIA                      - Accorto! Non fai che ricascarci. Troppa lucidità acceca e paralizza; limita gli orizzonti, azzera le disponibilità e costringe alle decisioni drastiche. Lasciar lente le maglie della vita. Sempre. I miopi più vedono perché più indovinano. Imparzialità, irraggiungibile virtù. Già ardua dietro agli steccati del lei, diverrebbe caotica esposta alle devastazioni del tu.

IRMO                      - Posso solo domandarle il permesso di lasciarsi stupire coll’ultima parola che si attenderebbe di ascoltare, trattandosi che c’entra di meno

MAIA                      - Qualche volta la parola che c’entra di meno e stupisce di più, è proprio quella che c’entra di più e stupisce di meno. Dilla.

IRMO                      - Cose da pazzi, una mezza bestemmia: m.a.t.e.r.n.i.t.à.! Ha capito giusto: maternità. Ahh… E adesso, mi faccia pure buttar fuori a calci nel culo dai suoi figli… dai miei fratelli, negri, che ne ha diritto. Poiché, minimo del minimo, scusi tanto, maternità chiama il tu, come il latte chiama il caffè se maternità vuol dire ancora maternità e ragionare vuol dire ancora ragionare, come la mettiamo?

MAIA                      - Certo: chi conserva il gusto del latte col caffè e persevera nel pessimo vizio di ragionare.

IRMO                      - Lei no?

MAIA                      - Io debbo evitarlo.

IRMO                      - Le fa male?

MAIA                      - Dicono.

IRMO                      - Un’ultima curiosità: che concetto ha, lei, del… caffelatte, diciamo così. Sentiamo, allora.

MAIA                      - Ottimo, possibilmente, servito con educazione, in due bricchi separati.

IRMO                      - Ed è convinta che basti? Badi che ho detto: maternità; o non ci ha fatto caso?

MAIA                      - “Deve” bastare.

IRMO                      - Le piace ma non lo digerisce, in parole povere.

MAIA                      - Pretendere soltanto ciò che ci si regala: non esiste norma più alta per un nobile vivere. Non è facile e non è da molti. Ma non è nemmeno impossibile e non è da pochi. Tu hai la sfortuna di essere istruito e petulante, quindi in grado di comprendere. Oltre, è interdetto inoltrarsi, bruceresti ogni tua intelligenza.

IRMO                      - Sa cosa le dico?

MAIA                      - Me lo immagino.

IRMO                      - Naturalmente. E, allora, mi risponda: se la sentirebbe di provare a figurarsi lei, come mi sento io, in questo momento?

MAIA                      - Uno davanti a una porta chiusa che sia spalancata, press’a poco.

IRMO                      - Ecco, più o meno, incasinato così. Non è mica tanto comodo, sa.

MAIA                      - Condizione ideale per un vivere pieno e felice, dammi retta.

IRMO                      - Mi sciolga un dubbio: per caso è filosofa, lei signora? Parla come Aristotele quando straparla. Glielo cito perché ho appena fatto l’esame di filosofia e sono stato bocciato.

MAIA                      - Mera coincidenza. Ah… la sua gran testa di capelli bruni!... Come uomo, non mi fu simpatico. Mai conosciuto un filosofo con tanta forfora. Non faceva che grattarsi. Fino a sanguinare.

IRMO                      - Mi pareva. Poetessa?

MAIA                      - Magari.

IRMO                      - Volevo ben dire. Sibilla? Indovina? Maga? Profetessa? Chiromante?... Ragazza di vita?... Matta?... Non mi dica di no. Senza offesa, beninteso, pura informazione… Sìì…? Non mi deluda.

MAIA                      - Nulla di tutto questo, ahimè… E tutto.

IRMO                      - Si capisce. Poteva esserci dubbio?

MAIA                      - Come ogni autentica donna normale e comune, per poco che avesse un minimo di coscienza di sé, dovrebbe accorgersi di essere: donna solamente.

IRMO                      - E pensare che sembra tutto il contrario.

MAIA                      - L’apparenza, purtroppo, inganna.

IRMO                      - Però, ragiona come se lo fosse.

MAIA                      - Come se fossi che?

IRMO                      - Tutte le cose che sembra.

MAIA                      - Non c’è altro modo di essere qualcuno: sembrare ciò che si è, non viceversa. A questo proposito, ha fatto più disastri Pirandello che la filossera.

IRMO                      - Lei non discorre, scolpisce geroglifici. Se ne rende conto?

MAIA                      - E’ da tanto tempo che non ne ho più il tempo.

IRMO                      - Faccia attenzione. Di questo passo, si finisce sulle cartine dei cioccolatini e si passa nei libri di lettura per handicappati, domando scusa.

MAIA                      - Rischi che si corrono. Non sarebbe la prima volta. È una delle vie che conducono all’immortalità: essere fraintesi, la maggior fortuna che possa capitare per aver fortuna.

IRMO                      - E così, s’è messa colle spalle al sicuro. Cosa significa “vera” per lei? Se la sente di dirmelo, senza compromettersi?

MAIA                      - Fermiamoci qui. Ci si è inquisiti abbastanza, per il momento. Ci arriverai da te, più avanti, quando avrai perso io vizio del no e il tuttavia non sarà che un ricordo illanguidito.

IRMO                      - L’ultimo punto interrogativo, poi avvenga ciò che avvenga: si considera morale o immorale?... La gestione, qui, dello… stabilimento, intendo.

MAIA                      - Sai che intenerisce l’arcaicità del tuo vocabolario? Se non fosse anacronistico, sulle tue giovani labbra ignorare, sarebbe commovente. Par di sfogliare un ingiallito Larousse di antiche infanzie.

IRMO                      - Cosa dovrei dire io che, da quando sono entrato, non ho smesso di interrogarmi che ci stia a fare, sulle sue, un’inquietante espressione che non c’era sul volto dell’immagine sacra appesa in capo al letto della povera zia Onorina.

MAIA                      - Perché dici povera?

IRMO                      - Perché è morta. Nel manicomio dell’isola di San Clemente, a Venezia, ninfomane, persuasa di essere santa Teresa del Bambin Gesù… E’ innaturale il sorriso della Gioconda sulle labbra della Madonna della seggiola, se lo lasci dire, signora.

MAIA                      - Non mi turba, né mi disturba.

IRMO                      - Ecco, l’impressione è proprio così.

MAIA                      - Incanto della gioventù! Il tuo fascino, vedi…

IRMO                      - …il mio “sentore”…

MAIA                      - …il tuo sentore, sta nella… vertigine dell’esser lì lì per capire che stai lì lì per capire…

IRMO                      - … senza capire… Ho capito.

MAIA                      - Senza capire: gloria e miseria eterne dell’uomo. Ah, poter fermare quest’attimo!

IRMO                      - Si tratterà del solito attimo fuggente, ribelle a ogni guinzaglio, penso. Ha letto il Faust?

MAIA                      - Chi non l’ha letto? È una delle poche imposte che non si possono evadere.

IRMO                      - Ci vuole un bel coraggio, oggi.

MAIA                      - L’ho avuto, ieri, tanti ieri fa, quel coraggio.

IRMO                      - Che tentazione dev’essere per lei, sembrar misteriosa!

MAIA                      - Mica tentazione sembrarlo: necessità esserlo. Chi si scopre è perduto.

IRMO                      - Nessuno mi leva dalla testa, scusi sa, che lei sia anche laureata.

MAIA                      - Cosa te lo fa credere?

IRMO                      - Permette?

MAIA                      - Te l’ordino.

IRMO                      - La bravura di rendere arcana la stupidità.

MAIA                      - In bilico sul capire… e non capire mai. L’ideale!

IRMO                      - Un cazzo in bilico sul capire!

MAIA                      - Va bene così. Perfetto. Tempo al tempo, più tempo possibile… Solamente, maggior controllo sul linguaggio. In questo, sono all’antica: la scurrilità è strumento pregiato, da riservare a rari e particolari momenti di gloria. Parsimonia. Non va sprecata. È un consiglio.

IRMO                      - Lo terrò a mente, madame.

MAIA                      - Sarà un esempio e un beneficio anche per i ragazzi. Lungo il loro ironico dialogare senza ironia, a scandire i momenti tòpici, entrate ed uscite in isole di silenzio fermo, nell’assoluta indifferenza reciproca, quasi invisibili gli uni agli altri, la sala è stata attraversata da fantomatiche coppie composte di eleganti signore in veletta, autentiche maschere estranianti su volti indecifrabili, galantemente condotte all’uscita da giovani maschi ignudi, sotto seriche vestaglie sgargianti. Assolto il loro compito ospitale, essi scompaiono, soli, a ritroso, da dov’erano apparsi, risalendo, taciti e compunti, lo scalone donde erano discesi in compagnia, impercettibilmente alonati dall’eco di voluttuosi valzer viennesi, eccezionalmente qualche languida mazurca e gaia polchetta.

MAIA                      - A proposito, sei maggiorenne?

IRMO                      - Mi calano quattordici giorni ancora. Lei che ne pensa?

MAIA                      - Non è la precocità a farti difetto. Ti presenti, addirittura in anticipo… Vergine?

IRMO                      - Ahimè, sì: ovunque e di tutto, ignaro, diciamo.,

MAIA                      - Si rimedia presto.

IRMO                      - Non vedo l’ora.

MAIA                      - Non dirlo.

IRMO                      - Debbo tornare? Mi rimanda indietro?

MAIA                      - Rimani. Entrerai in servizio fra un paio di settimane. Tutto deve essere fatto nella rigorosa osservanza del regolamento. Questa prima quindicina, ti servirà ad ambientarti e acquistar confidenza coi tuoi compagni. Alle ventitré e cinquantanove, scatta l’extramuros e si stacca. La notte è vostra. Si segue il calendario gregoriano e l’ora di Greenwich, sia nel pubblico che nel privato; festività, quelle comandate, più il tredici di maggio, festa grande ed esclusiva.

IRMO                      - Perché?

MAIA                      - Accadde qualcosa alcune migliaia di anni fa.

IRMO                      - Cosa?

MAIA                      - Ne è andata persa la memoria tra la gente.

IRMO                      - Dove?

MAIA                      - In una località greca… Uno storico incidente stradale. Ora ti lascio. Mi attende il massaggiatore… Si pranza qui, tutti insieme. Mettiti pure in libertà. Hai il tempo per una doccia o una nuotata nella piscina. Se trovi già il compagno, anche una partita a tennis; a golf non avresti tempo. Le saune cominciano a funzionare dalle sedici in poi. Frattanto, prenderai visione della tua camera; le pareti sono insonorizzate; radio e televisione… o altro, quindi, non c’è problema di rumore. Pigiama e vestaglie a carico della casa, extra stipendio. Colore e foggia a gusto dell’ospite; non il viola, tassativamente escluso, eccettuati lenzuola ed asciugamani del venerdì riservato alle visitatrici che, avendone l’hobby, ne facciano espressa richiesta… a proprio rischio e pericolo. Non sorridere: esiste un sodalizio: il sodalizio del viola. Tieni a mente, anche, che non si dà più deleterio antiafrodisiaco del sorriso da ebete che ti sei dimenticato sulle labbra; esattamente il contrario di un’espressione un po’ canaglia, eccitante efficacissimo in qualsiasi caso, con qualsiasi partner, di qualsiasi età, sesso, ceto, rango e professione; in misura eccezionale, comprensibilmente, la polizia.

IRMO                      - Non ne è allergica? Dovrebbe.

MAIA                      - Tutto il contrario: idolatra! Un olezzo di malavita e perde la testa. Nulla di più eccitante, pare, da una parte e dall’altra.

IRMO                      - Come faccio a stivarmi nella mente tutte queste preziose istruzioni in una volta sola, madame?

MAIA                      - Affidati alla destrezza dell’astuto e languido Alain dal quale puoi cominciare a farti aiutare a disfare le valigie; questa settimana, essendo lui di turno alle camere, ti sarà riconoscente di ogni comando che ti piacerà impartirgli; a buon rendere quando toccherà a te, e le sue estenuate obbedienze masochiste si capovolgeranno in altere crudeltà sadiche. Francese, spiritoso, elegante coutourieur dal gusto sicuro e raffinato, può essere utilizzabile anche in questioni di abbigliamento.

IRMO                      - Me ne sono già fatto una mezza idea dall’atmosfera generale.

MAIA                      - Meglio così. Preferisca una camera singola, oppure in compagnia, provvederà lui anche a quello.

IRMO                      - Singola… Perché quel sorriso?

MAIA                      - All’arrivo è sempre così, conseguenza del tuttavia. In seguito, diventa il contrario. La solitudine è una vetta aristocratica, ardua e indecifrabile da conquistare: premio oppure castigo: umiltà o superbia, miseria o lusso della compagnia di se stessi. Più agevole frequente la promiscuità.

IRMO                      - Per lei, cosa rappresenta, se è lecito chiedere al suo ragionamento di scendere dai trampoli, per un momento.

MAIA                      - Varia; or langue, or vigoreggia.

IRMO                      - Potrò aver la grazia che me lo spieghi, un giorno?

MAIA                      - Ancora!... Spiegare è un verbo che ti devi toglier dalla testa, giovinotto.

IRMO                      - Volevo ben dire.

MAIA                      - Basta là… Benvenuto nella famiglia… Ah, ti chiami?

IRMO                      - Ci siamo: IRMO.

MAIA                      - IRMO?

IRMO                      - IRMO: un’impuntatura… alcoolica di mio papà che, quando era arrabbiato, una spugna c’era per niente, e passò tutta la vita di pessimo umore. Tre fratelli maschi. Aspettavano una femmina. Avrebbe dovuto chiamarsi Irma, in onore di mia nonna. Uscii io:  IRMO, non ci fu niente da fare.

MAIA                      - Succede.

IRMO                      - Agli alcoolizzati?

MAIA                      - Anche agli astemi. La fantasia non è in vendita dal vinattiere.

IRMO                      - E se lo chiamassimo oste?

MAIA                      - Era una parola frequentata e cara a Giosuè Carducci dal quale l’ho imparata, devi compatire.

IRMO                      - Se si tratta di un omaggio al vate, come non detto, si figuri.

MAIA                      - Mai ospitato un IRMO, in tanti secoli, la casa. Bene: il primo IRMO. Lo sfiora con un bacio gelido e, quindi castro, sulla guancia. A maggior titolo, benvenuto. Fa che, del tuo nome, resti memoria degna in queste mura.

IRMO                      - Io ce la metto tutta. Speriamo… Ah, senta…

MAIA                      - Dì.

IRMO                      - Ci sarà una festa per la… mia inaugurazione?

MAIA                      - No. Sei già in ritardo. Sceglierò io la destinata. Il ricordo sarà il mio regalo. Sei un ragazzo giusto, IRMO. L’ultimo arrivato è sempre l’ospite atteso.

IRMO                      - Posso considerarmi… ammesso? Mi tolgo il pensiero?

MAIA                      - Non avrai, presumo, difficoltà ad inserirti, sempre che non nascano complicazioni. Considerati già parte del sistema e presto lo sarai pure della famiglia. Contento?

IRMO                      - Adesso, non mi faccia arrossire. Mi dona maggiormente o il pallore o l’abbronzatura. Reggo male le mezze tinte.

MAIA                      - Ogni stanza è dotata della propria lampada al quarzo. Regolati tu. Consigliabile l’irradiazione completa del corpo. Quei lombi lattei, a più d’una, fanno ribrezzo, suscitando imbarazzanti inibizioni. Pare sempre che appartengano ad un altro che non c’entra. Evitarli.

IRMO                      - Non dubiti, fanno ribrezzo pure a me. Prediligo l’ultravioletto integrale anche laggiù. Mi considererei menomato della personalità, diversamente.

MAIA                      - Perfetto. I particolari del controllo a più tardi. Sarà una pura formalità, prevedo… Per caso, non è che disponi di qualche neo lungo il corpo, da registrare sulla tua scheda personale?

IRMO                      - C’è il computer?

MAIA                      - C’è la mia memoria.

IRMO                      - Raggiungibile dall’occhio, che io sappia, un neo soltanto, sul davanti, però memorabile. Se ne sta… è un po’ imbarazzante… ma s’è messo lì, l’ho trovato così.

MAIA                      - Non occorre, vedrò io. Purché discreto, qualche segno aberrante, fisico o psichico non nuoce alla carriera. Nulla va considerato improprio del nostro fratello corpo; ed è naturale proporsi nudi, innaturale esibirsi vestiti. Nessuno è stato partorito col paletò, che io sappia: metterselo bene in mente.

IRMO                      - Ne ha fatto di guasti la foglia di fico!

MAIA                      - Dipese che fu chiamata civiltà… Altro?

IRMO                      - Altro cosa?

MAIA                      - Altri segni particolari?

IRMO                      - No, no, no, escluso; nessun altro, mi pare, per quanto uno è in grado di garantire, didietro. Lo specchio, almeno, scrutato, obtorto collo, non me ne ha segnalati, mai.

MAIA                      - Potresti darne la tua parola?

IRMO                      - Oddio, qualcosa può sempre sfuggire, sa com’è…

MAIA                      - Com’è?

IRMO                      - Gli occhi, madame, purtroppo, sono sul davanti; il didietro rimane tutto a beneficio degli altri. È ingiusto ma non c’è nulla da fare… Mi mette una pulce nell’orecchio, cosa fa?

MAIA                      - Ti sei, almeno, informato da qualche osservatore disinteressato e scrupoloso?

IRMO                      - Nessuno m’ha mai messo in guardia di niente. Neanche mia mamma, e sì che le mamme ficcano gli occhi dappertutto. Buon segno, no? Vuol controllare lei, così siamo più sicuri?

MAIA                      - Sono già in ritardo. Ogni cosa al momento adatto.

IRMO                      - Non sarebbe mica tempo perso, sa. Faccio la mia figura anche posteriormente. Dispongo di qualità tridimensionali, se posso chiamarle così.

MAIA                      - Adesso, occupati del davanti e non darti delle arie.

IRMO                      - E non me ne dò. Di natura, tendo, anzi, piuttosto, alla modestia, dovrebbe essersene accorta. Non lo dico per superbia.

MAIA                      - La modestia è la superbia dei timidi. Guai far confusioni. Ma il tempo passa, altri tre minuti di ritardo. Si va incontro al caos, oggi. A fra poco.

IRMO                      - Faccia con comodo, signora. Il mio orologio va a fantasia. Detesto l’ordine.

MAIA                      - Perché, io no? Non per altro, ne sono ossessionata. Ordinare il proprio disordine, ecco la vera saggezza.

IRMO                      - Accetta un consiglio da me?

MAIA                      - Sentiamo. Potrebbe trattarsi, finalmente, di quello buono.

IRMO                      - Si lasci andare.

MAIA                      - Lo sapevo: l’unico negatomi.

IRMO                      - Ci pensi su. Non dipende che da lei.

MAIA                      - Ciao. Tu, intanto, comincia ad ambientarti. Considerati a casa tua…

IRMO                      - … Ah, senta, senta: e che gli torna, che gli torna, il tuttavia, signora, che gli torna, agli altri, ce n’è…? Madame… E già, lei, non è più lì. Ma c’era davvero? …Non m’ha risposto… Il giovane, solo il tempo di stupirsi. Indi, subito, Tòbi, il meno giovane tra tanti giovani, eppur giovane. Sui trenta. Se di più, non li dimostra, o poco; se di meno, figurano di più. -2-

TOBI                        - Ciao.

IRMO                      - Ciao.

TOBI                        - Sei nuovo?

IRMO                      - Pare.

TOBI                        - Io, TOBI, il veterano.

IRMO                      - Io, IRMO, il coscritto.

TOBI                        - A prima vista, non mi fai una cattiva impressione.

IRMO                      - Non sai la gratitudine.

TOBI                        - Di che?

IRMO                      - D’avermi risparmiato la consueta manfrina sentendo che mi chiamo IRMO, scambiandomi per una sorella che non sono.

TOBI                        - Perché, non è un nome maschile permesso, IRMO?

IRMO                      - Par di no.

TOBI                        - … Tanto, già, il nome di ciascuno di noi, è sempre un altro da quello con cui ci si presenta. Nessuno stupore se si trattasse di un nome comune per tutti… Chissà che accadrebbe il giorno che si scoprisse!?

IRMO                      - Se c’è una cosa che colpisce, in questa… pensione, è la chiarezza del discorso da parte di tutti.

TOBI                        - … Io fui sverginato, figurati, da un’amazzone superba di chiamarsi Casta: Casta. E non ho ancora smesso di arrossire da tanto poco che lo era, senza trovarci nulla di strano. Evidentemente, i casi sono due: o non si trattava del suo vero nome, o io avevo inteso male. Mi spiego?

IRMO                      - Tre: oppure, aveva un nome sbagliato.

TOBI                        - Mi domando se non sia il caso di tutti… Ah, son piuttosto stracco. Le trasferte esterne riserbano sempre sorprese. Ma come si fa a dire no? M’ha fatto sfiancare tutta la notte, mai sazia. I sensi affamati di una donna son peggio della carestia di un continente. E non era che una marchesa. L’ho lasciata con la carne frolla. Ti so dire se si fosse trattato di una principessa. Checché se ne pensi, a due secoli dalla rivoluzione francese, la borghesia è la classe rimasta ancora con meno pretese. Un bel risultato, dopo tutto quel che è stato speso in ghigliottine! Di quante rivoluzioni non siamo ancora in credito?...!

IRMO                      - Ti resta sempre la consolazione della rivoluzione russa.

TOBI                        - Per carità. Non ha fatto che replicare il maggior sproposito della rivoluzione cristiana. Soffocare il… capitale, quando si trattava di dar respiro al sesso! Non capire che questo, non quello, è il perno dell’universo e l’uomo lo possiede gratis. Morale ed economia sono ancora tutte da inventare.  Il richiamo della foresta? È stato quello a indurti a rifugiarti sulla collina?

IRMO                      - Assai di meno.

TOBI                        - Che, di solito, va letto “assai di più”. L’approdo avrebbe potuto essere migliore, però, tutto considerato, anche peggiore.

IRMO                      - All’età mia, era, mi sa, un approdo inevitabile. Come, da piccoli, il morbillo.

TOBI                        - Che ci vuoi fare? Sotto i vent’anni, il proprio destino lo si crede racchiuso dentro alla cassaforte dei pantaloni, e soltanto lì.

IRMO                      - Anche sopra i venti, ho idea.

TOBI                        - Sempre che, col passare degli anni, non se ne smarrisca la combinazione, è indubitabile: il sancta sanctorum, per l’uomo, sta lì. Lo sbaglio della maggioranza, vedi, è confondere la semplice custodia di un comune, e monotono, per quanto indispensabile e piacevole… arnese da lavoro, col prezioso tabernacolo di un incomparabile gioiello. Non ci si dovrebbe mai dimenticare che la destinazione terminale di qualsiasi cassaforte è di venir scassinata e resa inutilizzabile. Quel che ci si trova dentro può anche risultare una delusione, a conti fatti. Quando, alla sua morte, venne aperta quella di mio nonno, uomo considerato facoltosissimo, si scoperse che il suo contenuto consisteva in un busto smesso, segnato di sudore, di Lina Cavalieri e un tenero macchiettino delle prime unghie che m’erano state tagliate da piccino: i poli di una vita. Niente altro: valore affettivo senza prezzo ma assolutamente privo di mercato.

IRMO                      - Ti debbo una risata?

TOBI                        - Mi accontento di un sorriso. Anche perché, ho notato, il sorriso ti riesce meglio del riso. Strano. Hai il ridere avaro; il sorridere, viceversa, è generoso. Te ne ha messo al corrente nessuno?

IRMO                      - Finora no. Sei il primo… Fa il caso mio: io sono colui che ha ancora tutto da apprendere.

TOBI                        - L’incontaminato! Mille e una tentazione, peccati zero: miscela esplosiva, da maneggiare con cautela. Cassaforte ancora inviolata.

IRMO                      - Più o meno.

TOBI                        - Ed è una camicia che comincia a starti stretta, vero?

IRMO                      - Piuttosto, se vuoi.

TOBI                        - E’ ben monotona la vita!...

IRMO                      - Che dovere avrebbe di non esserlo?

TOBI                        - Come si vede che sei agli esordi!... Fuga dall’inferno del solito insofferente proletario discolo?

IRMO                      - Evasione dal paradiso del solito annoiato piccolo borghese conformista, semmai.

TOBI                        - E’ quello che, più o meno, si fa tutti… Corrisponde, corrisponde.

IRMO                      - Cosa corrisponde?

TOBI                        - Tutto. Nessun particolare escluso: tipica vocazione all’angelo protestatario che si lancia nel precipizio ad ali aperte, una copia illusa di essere un prototipo… Siamo tutti fatti a macchina, in serie, usciti dal medesimo stampo… Fa molto liceo classico superato a pieni voti, primo della classe, probabilmente.

IRMO                      - Ne parli da esperto o da teorico?

TOBI                        - Ci vivo dentro. Mi lasci dire da empirico?

IRMO                      - Fotografo impietoso.

TOBI                        - Ma azzeccato, t’assicuro.

IRMO                      - Anche con te stesso, a quel che pare. Te ne dò atto.

TOBI                        - Vantaggi… e doveri… di un fratello maggiore… Sei già stato sottoposto… all’esame?

IRMO                      - Dipende ciò che si intende per esame. Non ha fatto che squadrarmi dalla testa ai piedi, tutto il tempo, neanche si trattasse d’un acquisto, preoccupata dello sconto. Manca poco che non mi spogliasse.

TOBI                        - So. E’ il modo come scruta tutti. E come, se vogliamo mettere le carte in tavola, e, magari, senza voler sapere di saperlo, tutti si desidera di essere scrutati, s’ha un bel dire. Perché, altrimenti… la mandria troverebbe tanto facilmente il cammino dell’ovile?

IRMO                      - Indubbiamente, tu sei uno per il quale – pur che sia sgradevole – non esiste nulla che non si deva, o non si possa mettere in piazza.

TOBI                        - Meno male che non hai detto “nulla di sacro”. Sono allergico al sacro.

IRMO                      - Dovevo dirlo?

TOBI                        - Ah, non me ne sarei stupito.

IRMO                      - Chi sa, se l’avessi detto, che piega avrebbe preso il discorso?

TOBI                        - Una sola, la stessa:: non esistono panni sporchi e panni puliti, amico: sacri, come a te piace blasonarli: solo panni. Va sicuro, uomo esemplare.

IRMO                      - Mi riempi di tentazioni, volevo dire di speranze.

TOBI                        - In guardia. Primo errore, che ha sconcertato, sconcerta e sconcerterà chiunque si presenti ai nostri cancelli. Lei! Non troveresti uno che è uno… fuori dal giro, non disposto a mettere, alla cieca, la mano sul fuoco circa il carattere del tributo, qui, delle reclute; e nondimeno, nessuno, dentro… alla storia, che fissandoti negli occhi, potesse asserire di essere stato… adoperato concretamente a quel preciso scopo. Va bene?... Inaccessibile!

IRMO                      - Esonerati dal tributo, intendi dire?

TOBI                        - Mah… E’ lì il mistero. Dipende dall’idea che se ne ha. Esonerati? Il sorprendente è finire col crederci: vivere in un: “come se…”. Ignori, forse, la norma inderogabile di ogni grande cuoco? Per alcuna cosa al mondo, non assaggerà mai i piatti che prepara; così come nulla indurrà un celebre sarto ad indossare un vestito che confeziona?

IRMO                      - Tutto e solo per la clientela?

TOBI                        - In un certo senso. Ciò non esclude, tuttavia, anzi è probabile, che esalti, sia nell’uno sia nell’altro, la soddisfazione e il piacere di gustare il piatto che prepara e di compiacersi del vestito che confeziona.

IRMO                      - Troppo difficile.

TOBI                        - Mica tanto; piuttosto mostruoso, quando mai.

IRMO                      - Una parola?!... Snobismo?

TOBI                        - Se vuoi. Ma è troppo elementare. Rimozione… in levare, per così dire: esorcizzare il proibito generalizzando l’esclusivo; buttare, gratis, sul mercato, all’ingrosso, ciò che si pagherebbe qualsiasi prezzo per sé, al minuto. Mi segui?... Una mistica, addirittura, a meno che non sia una… difesa.

IRMO                      - … Difesa…? E da che?

TOBI                        - Eh… bravo. Ancora uno sforzo, allora. Ti regalo un proverbio: sospetta sospetta e catturerai la verità. Il carcere più rigido può, qualche volta, essere il più esaltante: mai scordarsene.

IRMO                      - Tu esigi troppo. Fai indossare le mutande ai pensieri e poi, hai la pretesa che uno riconosca al tatto ciò che potrebbe toccar colle mani. Abbi pazienza… Venendo al concreto: s’ha idea della sua età, piuttosto?

TOBI                        - Realtà o allegoria? Siamo sempre lì: può arrendersi al tempo una come lei? Con quel nome intriso d’antica magia, io credo che esista da sempre e da mai. Adombrasse, per caso, il genio della sua chiara follia, l’ambiguità proteiforme e contraddittoria del Sesso nella sua cangiante ed eterna onnipotenza? Ipotesi: una delle tante. Può venire in mente.

IRMO                      - Lei, lei, in carne ed ossa, peso e misura.

TOBI                        - E sia: distruggiamola, se ti fa piacere. Ma bada, i frammenti di un idolo infranto sono più inquietanti dell’idolo integro… Sta di fatto… Particolare bizzarramente umoristico, però rivelatore: una sera che era in vena – e non è frequente – vistosamente ringiovanita; di ritorno da una delle sue ricorrenti ispezioni al circuito delle filiali estere, tirava a lasciar credere lei; da un’ennesima plastica estetica, ho ragione di sospettare io… Una notte pigra, d’un silenzio soffice, nel tepore tenebroso dell’alta primavera… un tardo maggio… Stava seduta lì, proprio dove sei seduto tu… e noi, giovani, mezzi discinti, intorno… Che stavo dicendo?...

IRMO                      - Noi giovani mezzi discinti intorno…

TOBI                        - Ah… sì, quelle zone di tempo magico, che tutto par possibile… Non so come, il discorso cadde, pensa tu: su Garibaldi, personaggio spaesato, qua dentro, se mai ne esistettero… la prima volta che ne veniva pronunciato il nome, giurerei.

IRMO                      - Non faccio fatica a crederlo.

TOBI                        - … Sarà stata la lingua di Alain a far dello spirito sul modo carnevalesco come andava in giro vestito… è uno dei suoi show… o si sarà parlato di eroi…; sì, doveva esser venuto fuori il nome di Achille… sì sì; e sempre Alain, sfacciato come il solito, afferrandomi la mano, aveva burlescamente esclamato: “Non rubatelo a Patroclo”, o qualcosa del genere… non più intelligente.

IRMO                      - Ebbene?

TOBI                        - Mi costa persino sforzo recuperare il ricordo. Beh, si capì, dico capì, che Garibaldi l’aveva dovuto conoscere personalmente… la vedo e la sento, fa conto te e me, qui, ora… “Faceva l’amore come un bambino, la stessa golosità e la stessa imperizia” uscì a dire; e poi, sardonica e oscena, lei solitamente così riservata e “prude”, concluse: “… e lo pagava con l’eiaculazione precoce”…

IRMO                      - Ti dai la zappa sui piedi. Sarebbe la prova che, almeno con Garibaldi, differenza d’età permettendolo, a letto c’è andata.

TOBI                        - Errore: solo sentito dire. Asserì, alla nostra sorpresa, col risultato di raddoppiarla, di esserne stata informata da Anita: la signora Garibaldi intenta a confezionare un panino farcito alla cipolla al bollente consorte, durante una breve sosta, decisa dalle due parti, per mandar giù un boccone, alla difesa storica di Villa Medici; e ti garantisco che, a nessuno passò per la testa di sorridere quando fornì particolari anatomici del biondo guerriero, non proprio lusinghieri, però discretamente eccitanti, da non lasciar dubbi… Ma prima? In epoca prerisorgimentale, per così dire?

IRMO                      - Tu capisci che, di prima in prima, puoi risalire a Mosè. Ma già, Mosè non andava a donne, obbietterai, scusa.

TOBI                        - Come lo sai?

IRMO                      - Non era tipo. E, poi, se le cose stanno come tu dici, anche se ci fosse andato, con lei sarebbe rimasto in bianco.

TOBI                        - Ma, sai trattandosi di Mosè, un’eccezione era sempre possibile.

IRMO                      - Con tutta quella barba?

TOBI                        - Perché avremmo dovuto conoscerlo da vecchio, Mosè, domando e dico? È stata una fissazione di Michelangelo. Avrà pur avuto anche lui i suoi vent’anni, no?...

IRMO                      - Ah, sicuro… Come sarà stato Mosè da giovane?... Certo che un gagliardo Mosè nel fiore degli anni, un pensierino si sarebbe potuto anche farcelo. Va avanti.

TOBI                        - Rimane, comunque, storicamente accertato dalle Gazzette coeve, che, alle otto di sera del cinque febbraio 1887, dal quinto palco del primo ordine, a sinistra, assistette alla prima dell’ “Otello”, alla Scala, in toilette di velluto mauve, con frange e passamanerie di seta cremisi, decisamente osé; seduta tra il mite e sensuale Jules Massenet e, altera, nel superbo naso, retaggio del gran santo di famiglia, la Marchesa Chiarina Borromeo, gran dama che sembrava uscita dai “Promessi Sposi”, in nero stretto per un lutto recente… Affacciati, Alain, so che stai origliando. Conferma tu a questo scettico miscredente. Origliava davvero, e l’evocato compare sulla balconata che congiunge i due scaloni. ALAIN In nero: moire, esatto. Non però, stretto: jabot Valencienne, aigrettes e guanti lunghi di capretto, erano bianchi. Nessun gioiello visibile; violetta di Parma il profumo, appena un soffio etereo. Si fissò così nella memoria di nonna mia fin che visse, Via Santo Spirito 14, terzo piano, a cinquanta metri dal salotto della contessa Maffei in Via Bigli, l’isolato prima. Nonna ebbe agio di contemplarla e annusarla, dallo sbarco del tenore a Cipro, alla soffocazione del soprano in camera da letto – oggi la strozzano a mano, chissà perché: arbitri di regia. O li disturba il guanciale. Dormiranno nudi… ci si scorda che il letto serve per dormire, per far l’amore, ma anche per uccidere, con eleganza e simpatia, le persone care. Oggi, fanno, di tutto un Kamasutra senza souplesse. Io sono contrario… Stava seduta tre mesi sotto, in platea… aveva buon naso e ottima vista. Mia nonna, non la Maffei. La Maffei non c’era: era morta da qualche anno. Il palco Maffei era dall’altra parte, sesto del second’ordine; e, poi, la contessa non si sarebbe mai adattata a una poltrona di parterre. Il che è anche comprensibile. Rango.

TOBI                        - E fu l’unica a non applaudire. Domandaglielo.

ALAIN                    - Certo, certo, impenetrabile; di marmo già allora.

IRMO                      - Sua nonna?

ALAIN                    - Ma che dici? Mia nonna rimase entusiasta dell’Otello. Lasciò un diario.

IRMO                      - La contessa Maffei?

ALAIN                    - Te l’ho detto: non c’era, era morta; stava al Monumentale, uccisa da un’indigestione di patriottismo, disturbo storico del quale soffriva fin da giovinetta. Se fosse stata viva, non sarebbe, certo, mancata. Non ne mancò una delle prime verdine. Fin a Parigi per il “Don Carlos”. Fanatica.

IRMO                      - Ci fosse qualcosa sotto?

ALAIN                    - Non si sa. Lo escluderei. Era troppo amica della Strepponi… benché, anche lei, e per quanto… Verdi era un gran bel fusto. Sul rude che è sempre un contorno eccitante per la componente maso. Chi non avrebbe fatto un capriccio con uno capace, magari, al momento magico, tra un brivido e una carezza, di farti scivolare nell’orecchio: “Quando le sere al placido…?” E, in fatto di corna, il conto colla Peppina sarebbe stato ben lungi dall’essere pareggiato: santa da maritata ma una frana da nubile; coll’hobby di far collezione di figli dai cromosomi inidentificati, dimenticandone dappertutto i padri: una jeunesse outrageuse, come avrebbe detto il mio amico Proust.

IRMO                      - … La Borromeo?

ALAIN                    - Sotto Verdi, la Borromeo? Non dire eresie: la nipote di San Carlo?... La Borromeo stava sopra, in palco come una regina in gramaglie sull’altare. E lei e il maestro non risulta che si fossero mai incontrati, timida superba e pia, com’era. Non scese mai in una platea una Borromeo. Mai neanche messo piede: inesistente, non la vedeva proprio.

TOBI                        - Puoi credergli, se te lo dice. In queste cose,

ALAIN                    - è imbattibile.

IRMO                      - Ma l’ “Otello” le piacque o non le piacque? A questo mi riferivo.

ALAIN                    - A chi?

IRMO                      - Alla Borromeo, no?

ALAIN                    - Se le piacque?!... Si slogò un polso a forza di batter le mani, mettendo a repentaglio la languida e longilinea austerità onde era celebre in tutto il Lombardo-Veneto e tracimava nel Canton Ticino. Bisogna anche tener conto che girava il pettegolezzo, per Milano, di un suo debole – tutta una cosa sul platonico, beninteso – per Tamagno, il protagonista. Quaranta giorni di gesso, e senza il telefono perché non era ancora stato inventato: isolata dal mondo. Ti preme saper altro?

IRMO                      - Non ci siamo capiti.

ALAIN                    - Me ne rendo conto.

IRMO                      - Insomma, quale fu, quella sera, l’unica a non applaudire l’Otello?

ALAIN                    - Ma madame, notre-Dame des plaisirs, la nostra signora, no?... Solo lei e la Boetti-Valvassura, in prima galleria, per via che era stata una modesta Desdemona, in prosa, a fianco di Alamanno Morelli, Otello gigantesco dal gran piè e poco più. Loro due, soltanto, in tutta la Scala. Chiaro, adesso?

TOBI                        - La Duse era presente?

ALAIN                    - Non se ne è mai potuti andare fino in fondo. Chi dice di sì, chi dice di no. Voci. Se c’era, non si fece notare. L’unico in grado di pronunciare la parola definitiva avrebbe potuto essere Arrigo Boito, amante in carica della divina. Ma fu sempre muto come un pesce, al proposito; il che può anche far sospettare che fosse presente con D’Annunzio e l’arcano si spiegherebbe coll’incognito.

IRMO                      - … Non ama Verdi. Cosa mi dite? Onora Garibaldi e disdegna Verdi che è puro Garibaldi in musica?

TOBI                        - Delira per Wagner, è fatta così. Parla tu, ALAIN.

ALAIN                    - Tira un po’ a Brunilde, vi dirò, effettivamente. È la sua nevrosi, forse un’inconscia vocazione all’incesto.

TOBI                        - C’è chi giura d’averla vista perdere i sensi al “Sigfrido”, vero?

ALAIN                    - All’Opera di Roma. Ma può aver influito l’esecuzione. Si petulantò che il protagonista, voce ancora discreta ma schiena sinistrata visibilmente dall’incipiente artrosi deformante che, se Dio vuole, finì coll’inchiodarlo in una carrozzella restituendolo alla Stadt-Oper dalla quale proveniva: gobbo per parlar schietto; cosa non improbabile perché all’Opera di Roma, tutto è possibile; e non sarà la colonna vertebrale di un tenore a cambiare la situazione. Capirai, Sigfrido, giovane, aitante, biondo Tartan dai muscoli in gloria, a dorso e gambe nudi, sexy da morire… mille volte preferibile una stecca, a una gobba per quanto prima misura… Una stecca, quando dura tanto, la devi sopportare qualche secondo, una gobba te la devi tenere tutta la vita.

TOBI                        - Ha il vantaggio che non te la vedi.

ALAIN                    - Ma la vedono gli altri. Mettici che non mancò nemmeno la stecca e madame la sentì anche davanti. In fin dei conti, per poco che si pretenda, un Sigfrido deve, almeno, star dritto. Chi non sarebbe svenuto? Aggiungi che dirigeva la camomilla Antonino Votto e la regia era firmata da Luca Ronconi, con Wotan in ghette, finanziera e cilindro, a dispetto dei gerontofili, numerosi laggiù, e poi sappimi dire; una serata tutta sbagliata. Io dico che fece bene a svenire. Piacendo al cielo, un episodio così entra nella sua leggenda.

IRMO                      - Rimane la macchia di non aver applaudito l’ “Otello”.

ALAIN                    - Chi è senza peccato scagli il primo fischio.

TOBI                        - Perché lo dici rivolto alla platea? È un invito?

ALAIN                    - Perché mi piace provocare… Se non vi serve altro, il dovere mi reclama. A letto, a letto!... Se, come è probabile, i fischi cominciassero qui, raccogliete anche i miei; mi restituirete la mia parte dopo, grazie. Al caso, mi trovate sotto le lenzuola… Anzi, sopra. Si fa più presto. E si ritira

TOBI                        - Milleottocentoottantasette, millenovecentoottantatré: sono due date incontrovertibili, sì o no?... Vogliamo che, alla storica serata dell’Otello, avesse almeno trent’anni? A te il conto.

IRMO                      - Ma, se non ne avrà, adesso, nemmeno quaranta!

TOBI                        - Evidentemente, li ha sempre avuti. Chissà da quanti secoli… Non insistere, ci si perde la testa…

IRMO                      - Dovrebbe essere tutta finta!

TOBI                        - E’ tutta vera, semplicemente. Dov’è lo strano?... “E l’ideal fu sogno”… e sogno l’ideal…

IRMO                      - Non ha senso.

TOBI                        - Che senso avrebbe se avesse un senso? È in quest’ordine di idee che non riesci ad entrare. Te lo dissi… Fa conto, ascolta, di essere stato… calamitato dall’orbita di una metafora, va bene?

IRMO                      - Una che?

TOBI                        - Metafora: metafora.

IRMO                      - Ah. Di cosa?

TOBI                        - Tutto e niente. Difficile da dire quanto facile da percepire: antenne, giovanotto! Definisci, se ne sei capace, l’ebbrezza dell’ambiguo, la vertigine del no, l’attrazione del proibito, il piacere della protesta, la voluttà della tentazione, la cognizione della colpa, l’assoluta ignoranza del peccato: il sortilegio anarchico del sesso nello sconcerto del tutto lecito nel nulla consentito. Lo scatenamento dell’assoluta libertà, in due parole… Entrare in una storia così. Ce la fai? Aria alla fantasia!

IRMO                      - Concludi tu, tanto già, prima o dopo, dovrò leggerlo in un romanzo, o ascoltarlo, fischiato, in una commedia. Il suo domicilio è quello.

TOBI                        - Viverlo, IRMO, viverlo… Dovresti far caso, piuttosto, e riflettere a quella che è una sua esclamazione abituale.

IRMO                      - Dammi una mano: sentiamo.

TOBI                        - “Quando la clandestinità sarà sconfitta e affronterà la luce del giorno, cesserà il mio compito”. Non fa che ripeterlo, inaspettatamente, senza apparenti connessioni logiche… anche tra sé… Cercavi un senso? Sarà la sacerdotessa del culto del contrabbando. Altro? Altro. Più certe realtà si sviscerano e meno se ne lacera il bozzolo. Diradane il mistero e ti trovi la vita spianata: dove si ergeva una vetta, marcisce una palude. Mette conto? Una cosa è fuori discussione: una volta avvicinatala, non si riesce più a farne a meno. È un rapporto stregato… il richiamo di una droga che ti portavi dentro prima ancora di vedere la luce… Ti senti… violato, non so… invaso… posseduto a distanza, ecco…: da una… mah…: una sublime meretrice a rovescio – une vierge courtisane à rebours, come la chiama

ALAIN                    - persuaso che solo in francese la si possa definire – partecipi della sacralità di una sorta di rituale… incestuoso, celebrato da una madre demoniaca… qualcosa così; se fosse possibile scherzarci su, ci aggiungerei… per procura, guarda, e non chiedermi perché: non lo so: un’estasi ossessiva… in qualche momento, crederesti di odiarla… e non ne puoi fare a meno… Innaturalmente naturale, se permetti. E, se non permetti, vattene, fuggi, scomparisci, “dimenticatene”, se non è già tardi… Nulla da dire?

IRMO                      - … Però, una bella immaginazione…!

TOBI                        - La realtà, la realtà che ti schiaccia, è sempre l’immaginazione a partorirla.

IRMO                      - Se lo dici già tu…

TOBI                        - Va là che lo sai. Per essere qui, non puoi non saperlo. Tutti!

IRMO                      - E lei? Lei?

TOBI                        - Lei… Si esalta del suo privilegio e si macera della sua condanna, perché dev’essere una condanna; isolata – o difesa? – nell’angoscia del proprio enigma, più o meno, chi lo sa?... Che fatica sognare!...

IRMO                      - Che ti devo dire? Un’impressione: mi sa che tu sogni… vergognoso… Toh, vuoi un’altra sigaretta?

TOBI                        - No… Ma sì, allungamela… Sognare vergognoso?!...

IRMO                      - Vuoi finire la mia?

TOBI                        - Magari pure… Che male c’è?... Vergognoso… parola arcaica.

IRMO                      - … E da dove provengono i sognatori senza saperlo? Gli… adepti, gli eletti, intendo; qui, la sacra falange dei… puri folli, i cavalieri dell’Eros, noialtri, insomma.

TOBI                        - Qualsiasi strada e da qualsiasi tempo, se la voce chiama. Qui non si fa storia, si fa vita.

IRMO                      - Contentiamoci di far cronaca. Poniamo, esempio, il caso tuo. Tu, in che posizione ti ritrovi?

TOBI                        - Anomala, in un certo senso; e, in un certo senso, ovvia. A sedici anni, scappai di casa per imbarcarmi, mozzo, sulla petroliera “Heros”… Appunto! Appunto…

IRMO                      - La passione del mare. Avevi letto Kypling?

TOBI                        - Non sapevo nemmeno nuotare. M’era preso – da un momento all’altro – una sbandata per l’ufficiale di macchina incontrato, casualmente, in un vespasiano di Soho, una sera di maggio. Un metro e novanta, barba di miele, occhi di cielo, muscoli da purosangue, quarantasei di piede, il resto in armonia; e, quella sera, pioveva. Lui, Kypling, l’aveva letto. Un ciclone. Furono ventitré mesi inobliabili e terribili, su e giù per il Tamigi, ascoltandolo declamare i sonetti di Shakespeare che conosceva a memoria, prendeva alla lettera e praticava a tutto spiano, nel più filologicamente esteso senso del termine, dal primo all’ultimo… e mi risuonavano dentro, trasformati in vita, durante le brevi notti dolci e chiare e senza vento, passate coricato sulla tolda, gli occhi spalancati al cielo, vedendo senza guardare e sentendo senza pensare…; e lo storico problema dei sonetti shakespeariani fu risolto una volta per tutte… Aveva nome Teodoro: gli piaceva essere chiamato Teo, che si presta tanto di più alle effusioni morbide e alle intimità torbide. Era sposato con una di Tolosa, che non lo capiva ma rimediava caricandolo di corna come un montacarichi; del resto, lui non capiva lei e pareggiava il conto facendo lo stesso… à rebours come direbbe ALAIN, esperto in tutta la letteratura sull’argomento, nella sua infeconda qualità di poeta adamico, radicalmente dinamitico, non corrisposto.

IRMO                      - Il suo rebours, eri tu?

TOBI                        - Per un lungo periodo, sì… Aveva due splendori di bambine: gemelle: Juliette e Fanny, ora giovinette; la moglie: madre esemplare… un’armonia inimmaginabile: il matrimonio ideale. Io e lei, Ethel, eravamo come fratello e sorella. Ci si scrive ancora.

IRMO                      - Qualche cartolina, suppongo.

TOBI                        - Lettere. Fin sei facciate. Siamo l’uno il diario dell’altra. Eh sì, se tutto ciò ha un’ombra è di tirare verso residui di idealità borghese, lo riconosco…

IRMO                      - … E poi?

TOBI                        - Poi, volli provare, come si dice, a normalizzarmi, su insistenza del timoniere, geloso di Teo: un Teo miniaturizzato, in tutto e per tutto la sua caricatura. Stava in una culla. Se il primo aveva una qualità era di essere tanto; se il secondo aveva un difetto era di essere poco; originale e copia in formato ridotto. Uno l’abbondanza, l’altro la carestia, temperamento compreso. Provavi l’impulso di tenerlo sul comò con un lumino davanti. Viceversa, gelosa della propria libertà, Ethel era giustamente contraria. Io: testardo.

IRMO                      - Decidesti così, di punto in bianco?

TOBI                        - Io son sempre stato uno dalle decisioni repentine. Proviamo anche questo, mi dissi, e non ebbi pace fin che non mi fui levata la curiosità… E, poi, un itinerario non esclude l’altro. Si può gustare la montagna senza schifare il mare. È questo che non si vuol capire e ci si nega una villeggiatura non meno piacevole e salutare.

IRMO                      - E come ti sei trovato?... Al mare intendo.

TOBI                        - Ti dirò: avrebbe potuto essere peggio. Una differenza esiste, ma non bisogna nemmeno esagerare. Non si tratta, mi spiego, come la cura disintossicante dalla droga che l’inferno non c’è per niente.

IRMO                      - Hai provato pure quella? Non ti sei negato nulla.

TOBI                        - IRMO, nel mio piccolo, ho provato un po’ di tutto quanto non si può fare a meno di provare per rendersi conto di essere al mondo. I trenta se ne sono già andati, comincio ad invecchiare. Non può che esser vicina la campana della prossima “mutazione”. Non ci sarà un’altra chiamata; o, se ci sarà, chissà quale sarà e per dove sarà…

IRMO                      - … Decidesti per la normalizzazione. Ebbene?

TOBI                        - Basta non aver pregiudizi e funziona come un treno svizzero. Lo feci, più che altro per mia madre, era la sua spina. Il ritorno del figliuol prodigo è sempre una gran scena, infallibile: il vitello grasso, l’arrosto e così via, un tuffo nel classico. Un giubileo in occasione del suo onomastico: tredici febbraio, Santa Fosca, giorno scelto apposta, nebbia e buoni propositi; in una giornata di sole, penso che non lo avrei mai fatto, e, per tutto quell’inverno, era stato come navigare in una bottiglia di latte. Solo l’uggia del maltempo può darti la forza per certe decisioni estreme. Io sento molto il barometro, sono un metereopata. Tu no?

IRMO                      - Che vuol dire?

TOBI                        - Giramento di palle in dipendenza del tempo che fa.

IRMO                      - Sì, sì… Un po’ anch’io… E allora?... Ti presentasti a tua madre…

TOBI                        - “Etero”. Una festa. Specie il papà. “Questa è un’Epifania!” non faceva che ripetere, ricordandosi di essere stato in seminario. Era il tredici di febbraio e l’Epifania era passata da cinque settimane, ma io non dissi niente per evitare, conoscendo mio padre, una discussione che, altrimenti, durerebbe ancora… Insomma, si gradì molto l’improvvisata, non credevo nemmeno. Il sesso è il sesso. Come e con chi lo si eserciti viene in secondo piano… a gusti.

IRMO                      - E…

TOBI                        - Ci vengo. La prima volta, fu terribile; la seconda, riuscii a pensar ad altro; alla terza, era già sopportabile; buon segno; dipenderà che dispongo di un certo spirito di adattamento allenato sul Tamigi; dalla quinta in poi, divenne dilettevole, e lo è rimasto, più o meno.

IRMO                      - Se sei potuto finir qui, è evidente… Non mi hai detto niente della quarta.

TOBI                        - Così così: la malinconia del sesso normale. Allo scopo di contenere il trauma, avevo distribuito la disassuefazione nello spazio di due settimane, e manciate di vitamine. Fu più che sufficiente. Io fido molto nelle vitamine associate all’allenamento. Presentemente, giungo anche a quattro senza fatica.

IRMO                      - Vitamine? Non mi paiono molte.

TOBI                        - Donne. Se ti paiono poche, per uno che aveva cominciato con un fuochista…! L’avvenire è nelle mani di Dio. Insomma, fu dura, ma la spuntai. Ho tutto segnato su un quaderno.

IRMO                      - Pensi di scrivere le tue memorie, un giorno?

TOBI                        - Tu, che ne dici?

IRMO                      - Non sarebbe mica una cattiva idea.

TOBI                        - Eggià, con tanti che ti raccontano come si comincia, uno, almeno, che ti spieghi come si finisce… e senza abiurare e barare. C’è da pensarci.

IRMO                      - Hai tempo.

TOBI                        - Mica tanto.

IRMO                      - E cosa fu che ti fece abbandonare, di nuovo, i tuoi?

TOBI                        - Anche questo m’è sempre rimasto inesplicabile. Mi sentivo estraneo in quella che credevo la mia famiglia; m’ero sempre sentito estraneo… Di più: una specie di impulso a difendermi, e a difenderli, da un pericolo… sì… Dovetti fuggire di nuovo… proprio fuggire; pensa che fu appunto in quell’occasione che investii l’unico morto che ho sulla coscienza. Mi voleva superare… Un automobilista: un bel signore distinto, stizzoso e colla barba; avrebbe potuto essere mio padre. Persi la testa e non ci vidi più.

IRMO                      - “Che credevo”, hai detto. Non era la tua famiglia?

TOBI                        - Certo che lo era, certo… Eppure… Mah. Da un po’ di tempo, mi trivella un’idea pazza in testa… pazza, senz’altro…

IRMO                      - E adesso?

TOBI                        - Lo vedi: oscillo. I sessi sono tre. Anche di più, forse ognuno il proprio. Si può scegliere: un diritto tacitamente barattato in famiglia, a denti stretti, colla ripresa degli studi e relativa laurea: sociopsicologia comportamentale, nientemeno. Tutto si paga al mondo, e specie ciò che non si dovrebbe pagare. Prezzo ancora conveniente per il figlio di un notaio che, di sessi, non ne ha mai riconosciuti che due, separati, uno alla volta e razionati.

IRMO                      - E un binario preferenziale?

TOBI                        - Indifferente. Comanda l’umore. Visto obbiettivamente, è stato un patto inesplicito reciprocamente vantaggioso… e liberatorio. Fra l’invidia generale, mi fu di molto consiglio e incoraggiamento lei, sempre Lei, tanto saggia, aperta, comprensiva e incoraggiante… in fatto di sesso… altrui… Quassù, vedi, quando piove – e piove spesso – contro la noia non ci sono che due rimedi…e, a me, giocare al biliardo, francamente non è che vada molto.

IRMO                      - Non hai dei gran problemi, in conclusione.

TOBI                        - Apparentemente no, eppure… occorre esser preparati anche al congedo dalla gioventù: mantenersi pronti a qualsiasi partenza e a qualsiasi ritorno. Mah!... Mi par di vedermi:… una scuola media a insegnar aritmetica a chi sta già in difficoltà colla tavola pitagorica; sposerò qualche tardona coi soldi e riserberò le mie residue follie corrompendo qualche allieva carina, scarsa di seno, che non chiede di meglio…; con sortite furtive alla sera, a battere nei cinemini di periferia dove si batte… più “normale” di così!?...

IRMO                      - O tornerai a navigare.

TOBI                        - … O – chiusura del cerchio, portando fino in fondo la mia nevrosi del va e vieni – tornerò a navigare, curando i mozzi dell’equipaggio; aspettando i primi reumatismi… Mutar pelle come le biscie… Niente è più innaturale che ricominciare una nuova vita col corpo invecchiato: il ribrezzo di ritrovarsi bambini, padri di se stessi… Già lo sento… Non prima, però, di una decisiva spiegazione… Con una grande domanda per una grande risposta… questo sì. Qui si è fuori del tempo: un sogno; o un incubo. Destinati… ecco “destinati”. Un ruolo… Ma quale?... Sempre altrove… ma dove?... Il piacere rende onnisciente, come il desiderio rende sospettosa, la carne.

IRMO                      - Tutto maiuscolo, eh?...

TOBI                        - Per l’ultima metamorfosi, tutto maiuscolo.

IRMO                      - Si sente. Le maiuscole colpiscono più le orecchie che gli occhi.

TOBI                        - I nemici di se stessi, sconfitti, hanno dei doveri verso se stessi.

IRMO                      - E verso le loro sconfitte?

TOBI                        - Più che mai. Sono i soli doveri che hanno. Le vittorie sono sempre un regalo, le sconfitte sono spesso una conquista… Ma ci tieni proprio a questo dialogare in erezione alla Victor Hugo?

IRMO                      - Non mi dispiace. Sai, sono stato educato nel culto delle bandiere… Mi aiuta a capire: rovescio la conclusione ed è quella giusta.

TOBI                        - E’ l’uovo di Colombo!

IRMO                      - …Non so, tutto, in te, assume… mah… il tono del numero uno. Fai venire in mente, in famiglia, il parente che si fa sedere a capotavola. T’ha mai fatto senso la tua… vocazione al protagonismo?

TOBI                        - Malizioso, il ragazzo!

IRMO                      - … E gli altri, qui?

TOBI                        - Dal più al meno… Ciascuno la sua storia, i suoi gusti… e la sua nevrosi, eguali e differenti. Non si sfugge alla nevrosi dell’uniformità di un destino. Però, vita è vita, tutti ragazzi spensierati ed allegri, sotto l’ala della grande chioccia, col tempo dalla loro, loro.

IRMO                      - Mi tiri su. Nonostante tutto, ho idea che, con voialtri, non ci si dovrebbe annoiare.

TOBI                        - Va a onde. Quella che non manca è la… solidarietà, se così si può chiamare questa… ammucchiata nella mente degli altri, con gli altri nella mente… Le molte piante di una serra, finiscono, sai, col trasformarsi in una specie – mostruosa, se vuoi – di unica pianta comune, dalle radici attorcigliate. Solo consiglio: non commettere il mio errore: la fretta.

IRMO                      - M’è già stato raccomandato qualcosa del genere. Sembra che qui, ne regni il terrore.

TOBI                        - Mai a sufficienza. C’è sempre tempo a vivere.

IRMO                      - O a sapere?

TOBI                        - E’ lo stesso; dovrebbe essere lo stesso… Amici?

IRMO                      - Amici.

TOBI                        - La mano… Una mano conturbante la tua, lo sai…? Calda, potente… e delicata, contraddittoria con tutto il resto, in certo senso.

IRMO                      - Trovi?

TOBI                        - Ci avevo fatto attenzione fin da quando sono entrato. È la prima spia che scruto di chi non conosco; ancora prima del viso.

IRMO                      - Me n’ero accorto… Seconda: la bocca. Dalla mano lo sguardo è saltato direttamente sulle labbra.

TOBI                        - Non ritirarla… Lasciamela. È un piacere chiuderla nella propria… un abbandono e una stretta: incastro ideale dell’intesa animale…: la mano di Teo, la prima volta… la gran mano amica e sicura di Teo… infondeva vigore esortando alla gioia. Non gliel’ho mai sentita fredda.

IRMO                      - Tutto in una mano?

TOBI                        - E anche di più. Il tatto è più coraggioso della parola.

IRMO                      - Feticista della mano, debbo dedurne?

TOBI                        - Qualche volta, me la stringo da me stesso. Questa con quella: un modo di farmi coraggio, probabilmente… Te la restituisco… Tu no? Io, destra, prevalentemente; maschile se è possibile. Il discorso è, generalmente, più leale.

IRMO                      - Indifferente destra e sinistra; ci tengo a non perdermi i mancini, capirai.

TOBI                        - E’ allarmante come stai a certi giochi, tu. Puoi diventar pericoloso… La mano è un confessionale. Non dice nulla e suggerisce tutto. Pochi lo sanno e meno ancora coloro che ne sanno approfittare.

IRMO                      - Dimmi: c’è qualche altra mano godibile tra voi?

TOBI                        - ALAIN, l’ambigua e veggente mano di ALAIN. L’intelligenza di

ALAIN                    - ha sbagliato domicilio: gli si è diluita tutta sulla pelle, banalizzandosi.

IRMO                      - L’avevo supposto. Gli si allungano dalle pupille, le dita, ad

ALAIN.

TOBI                        - Fiero di un particolare – l’unico – che l’affratella a Lei: lo sguardo che sfiora quando non afferra, e comanda quando non prega. Non gli sfugge niente.

IRMO                      - Un’inezia ancora: ognuno che la nomina la chiama madame, la signora; tu, solo tu: Lei, semplicemente: Lei… da… servo e… padrone… Ti arrabbi?...

TOBI                        - No… Penso, proprio, che diventeremo amici. Mano.

IRMO                      - Più disponibile di me, guarda, hai presente?... Nemmeno un salice investito dal turbine.

TOBI                        - Si dice… ma non è facile stare nella vita come una bandiera nel vento.

IRMO                      - Dire è già a metà cammino dal fare.

TOBI                        - No no, sarebbe già fare, se uno sapesse dire come fare. È recidere le proprie radici il difficile… Là. Osserva quelle parole incise là sopra, sull’architrave… là… le vedi? A lettere d’oro? Leggi… Ti dicono niente?...

IRMO                      - “Mes enfants pour mon enfant ». E’ un rebus ? Che vuol dire ?

TOBI                        - E’ il motto dell’Istituzione, riprodotto in ognuna delle cento case, e ricamato su ogni capo della biancheria dei servizi. Per certuni, anche come medaglione individuale, a contatto del corpo. Proibito levarselo in qualsiasi circostanza per qualsiasi ragione. Osserva.

IRMO                      - Chi altro ne è… insignito, qui?... Soltanto tu?... Bello… ma sinistro…

TOBI                        - Sinistro?

IRMO                      - M’è venuto così… non so nemmeno io: cimiteriale. Nello stile della casa. C’è come una tonalità dominante, io l’avverto… Complimenti. Riconoscimento di anzianità?

TOBI                        - No. Già all’arrivo. Subito. Un disagio…

IRMO                      - Come mai?

TOBI                        - Il criterio dell’assegnazione rimane inesplicabile.

IRMO                      - Un’investitura? I numeri uno?

TOBI                        - Mai sentito nominare l’enigma della Sfinge?

IRMO                      - “Mes enfants pour mon enfant”. Non meno sibillino de « La legge è uguale per tutti » o frasi del genere.

TOBI                        - …Forse non più tanto. Ci ho messo, ma non è escluso che ci sia arrivato.

IRMO                      - Beato te. Ma perché, ti dovrebbe turbare?

TOBI                        - Caro, qui si comincia a capire dal momento in cui si comincia a pensare coi verbi al passato… Tempo fu. Inaspettato, sulla balaustra, è ricomparso ALAIN, e scende.

ALAIN                    - …oppure al futuro… tempo sarà.

IRMO                      - Dovete aver pazienza, sono appena arrivato. Mi farò.

ALAIN                    - Ma certo: “predestinati” è un titolo araldico che va conquistato. A tre passi da ALAIN, riecco anche CHARLIE.

ALAIN                    - Ti faremo, ti faremo; d’accordo, CHARLIE?

CHARLIE               - Ci faremo,

IRMO                      - ; ci siamo fatti tutti. C’è bisogno di essere uniti.

ALAIN                    - Sempre che

TOBI                        - non abbia nulla in contrario e non ponga il veto.

CHARLIE               - L’accumulo delle esperienze è il cemento della comunità. Madame non fa che ripetercelo.

ALAIN                    - Ma il nostro

TOBI                        - minaccia di tralignare. Si sta ammalando di individualismo. È un deviante, dopo essere stato dogmatico, aggrappato al clan come una zecca al cane. Colla scusa di qualche anno in più, comincia ad accampare privilegi indebiti. Rischia che le future reclute, anziché un fratello, si trovino fra i coglioni un padre, coll’obbligo di ottemperare allo jus primae noctis. Attenzione compagno!

CHARLIE               - L’età non fa premio.

ALAIN                    - Anzi, il contrario, semmai. In teoria.

TOBI                        - Lo fa qualcos’altro. In pratica.

CHARLIE               - Ne so io qualcosa.

TOBI                        - Il tuo irriducibile complesso… della buccia buia, eh CHARLIE. Senza di esso, verrebbe a mancarti la principale ragione di vita.

CHARLIE               - Niente da fare. Come potrei, sennò assaporare il piacere di vegetare infelice, secondo te?

TOBI                        - Non sai ciò che perderesti rinunciando a due ricatti: l’esotico e l’ingiusto. Sei in una botte di ferro, dolce Calibrano. Squilla e risquilla il telefono.

CHARLIE               - Rispondo io… “… In persona. Dica… Spiacente. Per altre quarantottore, sono ancora di riposo… Passano presto, signora. Riprendo servizio lunedì… Proprio me? È sicura di non sbagliare?... CHARLIE, sì… Vede, mio padre era, di professione liberatore – negro, negro, del più bell’ebano, a ciò che racconta mammà che ne poté scrutare ogni piega: “Tanto negro da sembrare blu… e, quando si incazzava, viola addirittura; ho detto si incazzava in senso letterale… materiale, appunto”, migliaia di generazioni. Pure, lui - ; quando toccò a Napoli, conobbe una Carmela daltonica e mi dimenticò dentro al suo ventre. Passò via. Aveva altri, che aspettavano, da liberare. Io sono riuscito un po’ stinto riguardo a lui. Capirà, la mamma… Lusingato… che non patisca di prevenzione circa i mulatti… “Un bel mulatto?”… Faccio il possibile e i riconoscimenti non mi mancano… Giudicherà lei… Troppo buona… A sua disposizione… Non mi posso lamentare… No, non ricordo. Ma mi basterà un’occhiata, mi vanto di una certa memoria visiva… Come lei… E tattile, beninteso… Nuovamente grato… Non dubiti: ritroverà tutto tale e quale. Nulla di peggio che deludere i ricordi… Ritelefoni per la prenotazione, guadagnerà tempo… Di niente. Dovere… Sempre qui, dica… No, io solo… Probabilmente, ne arriverà un altro…; non però, prima della settimana che viene… Cosa vuole, le richieste non fanno che aumentare. Oggi va di moda il nero… Spiacente. Ci rinunci. Metter le mani su un Vatusso, oggi è puro sogno; quei pochi che restano, tutti… requisiti… Già: la tratta del Vatusso. L’ultimo che fu qui con noi, due metri e dieci… Proporzionatissimo, però un po’ scomodo da maneggiare: nessun letto che lo contenesse… Di esaurimento, si estinse di esaurimento… Certo, un dolore per tutti… Quanto… Beh… Beh… Non creda, quanto a quello… Più apparenza che sostanza, madame; son lunghi di gamba… è la sproporzione tra il tronco e la coscia che trae in inganno… Se le dico, praticante si suicidò… Dalla Nigeria, questo. Ne dicono un gran bene… Sull’uno e novanta e un piede gigantesco… Certo che ci arriverà vaccinato… Come crede. Farò del mio meglio… Dovere”…

TOBI                        - “Una bianca fanciulla tra le braccia di un etiope dalle gonfie labbra”… Shakespeare intenditore e profetico! Il nero andrà sempre di moda, CHARLIE. Son pochi a cui non dona. Gode fama di tener caldo d’inverno e fresco d’estate: figurarsi poi le mezze stagioni… Ben lo sapevano la casta Desdemona e l’impotente Jago, diversamente ossessionati dalla stessa lussuria bloccata. Di che ti duoli? Vanne orgoglioso.

ALAIN                    - Finirà che ti ci ammali, altroché. Da quanto continuo a ripetere che uno solo è insufficiente alla richiesta? Teniamo qui un cinese carente e irrichiesto che se ne sta colle mani in mano dalla mattina alla sera, e te che non hai un momento di respiro.

TOBI                        - Evidentemente il giallo non è per i nostri climi. Verrà, anche per esso, il suo momento di gloria.

ALAIN                    - Non è questione… di momento. Mao è rovinosamente giù di moda.

CHARLIE               - Per ora, non mi pesa. E poi, mi ripaga sentirmele mugolare sotto, codeste fanatiche dei detersivi, viziose dello sporco, perché non è quello che cercano.

TOBI                        - Non lamentartene. Rinunceresti al privilegio di piangerti addosso per la voluttà dell’orgasmo umiliante?

CHARLIE               - A che mi giova, quando mi toglie quello della vendetta?

IRMO                      - Ma sembra che vi odiate!

TOBI                        - Non farci caso. Fa parte… della parte. Non riesce a mandar giù che il cielo non sia nero e non si sia costretti a vivere al buio. Per tutto il resto, il notturno confratello è, forse, il migliore della compagnia. Sta, una volta di più, attraversando l’atrio, la nuova coppia di un’altra signora irriconoscibile sotto l’elegante trasparenza della compiacente veletta, guidata – e, costei, con delicata deferenza – da un giovanotto, semidiscinto; il quale ripassa, poi, solo, accingendosi a riguadagnare lo scalone. È Pablo. Altre coppie analoghe, silenti e inindividuate, si capisce, erano passate prima. Ah, i maschi circolano, tutti, scalzi. -4-

ALAIN                    - Ti stai mettendo nei guai, Pablo.

PABLO                    - Dici a me?

ALAIN                    - E a chi altro?

PABLO                    - Assolvere con zelo il compito assegnatoci lo chiami mettersi nei guai? Stai mutando pelle?

ALAIN                    - Fa’ meno il furbo. Non basta una veletta a nascondere un sentimento. Sai pure che, se c’è una cosa estranea al sentimento è il genio del luogo. Limitarsi al piacere che si dà: cento occasionalmente, nessuna abitualmente.

PABLO                    - E sei proprio tu a far certi discorsi? Dovresti, esserne, personalmente, al corrente: anche i coglioni hanno un cuore. Si paga pegno?

TOBI                        - Pazienza, PABLO. In ALAIN            - si è sviluppata una mentalità di ispettore del personale. Si preannuncia la vocazione del burocrate. Gratta lo snob e metti a nudo il reazionario. Non è una novità. L’età comincia a far brutti scherzi pure a lui. Dopo di me, qui, è lui il più anziano.

PABLO                    - Mi denuncia, fa rapporto alla direzione, mi fa licenziare?

ALAIN                    - Lo dico per il tuo bene e la pace di tutti o vogliamo ignorarlo? Otto giorni, otto visite; ogni visita, mezza giornata della medesima… veletta, a proposito che non sono ammesse le relazioni fisse.

PABLO                    - La tua malizia. Come fai ad asserire la medesima… veletta? Massimo, avresti potuto dire: otto giorni, otto profumi diversi. Ma quanto a ciò che… c’è sotto…? Solamente l’intelligenza d’una mano può conoscerlo.

ALAIN                    - Ti nascondi dietro a un dito. L’avrebbe riconosciuto anche un cieco.

TOBI                        - Non la si fa ad uno come ALAIN. Mancherà, magari di naso, ma quanto a tatto – garantito – ha la pelle negli occhi… e gli occhi sulla pelle, naturalmente. Non è vero,

ALAIN?

ALAIN                    - Se è per questo, ho anche il naso… nel cervello.

TOBI                        - Nonché il cervello nel naso. Uno che è uno, non hai un senso al posto giusto, insomma. Parlo con cognizione di causa.

ALAIN                    - A dispetto dei tuoi che non fanno che andare e venire senza sapere dove posarsi, come uccelli spaventati in fuga da tutte le parti, e non trovano mai il ramo che cercano.

TOBI                        - Dio ci guardi dagli… amici spiritosi.

ALAIN                    - Da buon disoccupato e scansafatiche, Dio non fa altro. E’ la sua occupazione preferita, forse la sola che conosca; non preoccuparti.

PABLO                    - Dipenderà mica che è pigro di natura?

ALAIN                    - No. Dipende che è stupido e crudele di vocazione e di esperienza. Un bel risultato per uno che aveva puntato tutto sulla carta uomo.

CHARLIE               - ALAIN!... Stai parlando di Dio.

ALAIN                    - E’ ancora il solo di cui si possa dir male senza esser contraddetti.

TOBI                        - Impara, IRMO. E tutto perché l’andaluso s’è regalata la libertà di prendersi una cotta per una cliente di Milano, che, poi, è di Monza… e ha trasferito il cuore nelle ovaie.

ALAIN                    - Facciamo che notre-dame se ne accorga e mi saprete dire… Tu… E sì la conosci da più tempo di tutti. O ci si vuol mettere a provocarla?

TOBI                        - Togliti il pensiero. Se se ne “doveva” accorgere, se ne sarebbe già accorta.

PABLO                    - Vuoi dire che non le importa niente di me, che non le interesso?

TOBI                        - Chi lo sa? Bisognerebbe starle dentro. Con essa tutto è possibile. Anche il contrario.

ALAIN                    - Ragione di più.

TOBI                        - E lascialo perdere. Se crede di poter far credere che l’addolorata da consolare, di turno, gli venga a far visita per ascoltarlo battere i tacchi sul pavimento mentre balla il flamenco in camera sua, che ti frega? Lo balla benissimo, nessuno lo ignora, moralizzato da un rigido sospensorio del numero sei, di massima sicurezza per tutto il tempo che lo indossa. Più garantito di così, il regolamento!... Fuori, può regolarsi come vuole. Il nostro non è il servizio militare; né, codesta, è una caserma. Il diritto alla libera uscita,

ALAIN! O, se preferisci, il diritto di… “portarselo” a spasso. Lasciagli fare il suo piccolo contrabbando, se ciò lo consola. A chi fa del male “se si mette in proprio”?

ALAIN                    - Non era il tuo parere una volta. Ad ogni modo, se non dovrebbe fregare a me, potrebbe fregare a Madame, lo ammetti pure tu; ed è la sola cosa che conta. Hai rinnegato anche questo?

TOBI                        - Tu prevedi catastrofi come uno dei tuoi eroi da melodramma.

ALAIN                    - E tu sembri impaziente che debbano succedere. Io prevedo solo il prevedibile… Spaventa quello che essa sa… prima ancora che accada. O ti fa comodo ignorarlo? Spiegherebbe tante cose.

IRMO                      - Io non dovrei entrarci, ma non posso trattenermi: mi sembrate delle serve.

TOBI                        - Soltanto?

ALAIN                    - Lo siamo.

PABLO                    - … Chiamala gelosia,

TOBI                        - ; te la cavi con una parola sola, pulita: vecchia ma esauriente… Arrenditi, ALAIN: te, come me, come tutti, un giorno: “libero cuore in libero sesso”. Di qualsiasi sesso si tratti. In fondo ce l’ha inculcato lei. Prendiamola alla lettera.

ALAIN                    - Guardami negli occhi, TOBI: ce l’hai con me? Che t’ho fatto?

TOBI                        - Per piacere. Tronchiamola qui. È con me che ce l’ho, unicamente con me. Con te, non ho niente; che dovrei avere? Figurarsi: malumore autogeno. Cambierà il tempo.

ALAIN                    - Non è il cambiamento del tempo, la ragione, da qualche tempo.

PABLO                    - Sei invidioso delle sue lenzuola, ALAIN. E questo può dar fastidio. Così intelligente, possibile tanta cecità?

TOBI                        - Nemmeno. Ognuno è invidioso delle lenzuola di qualcun altro. E’ la croce della vita; e sarebbe ancora sopportabile. Senza una ragione; che è sempre la più potente delle ragioni, va bene? Lasciamo perdere, cambiamo discorso che è meglio.

PABLO                    - Fa conto che la stessa richiesta te la rivolga io, ALAIN. M’hai avvertito? Ti ringrazio. D’accordo? Chiuso.

ALAIN                    - Tu tu, l’irresistibile, il bell’indifferente, il “macho” da esposizione! Cos’avrà mai, quella lì, da starti appiccicata come la piattola al pelo, a rischio di mandar a puttane tutto quanto? Come non si vivesse già su una polveriera. Nemmeno uno che voglia aprire gli occhi.

PABLO                    - E’ l’unica volta, dacché porto i pantaloni lunghi, che posso dirmi felice. Ti basta? E sono grato a

TOBI                        - d’averlo indovinato.

ALAIN                    - Hai detto niente?!... Travolti tutti dall’epidemia del capire!

PABLO                    - Quando colui che ne avrebbe più bisogno sei soltanto tu.

ALAIN                    - Perché, se non ti è di disturbo?

PABLO                    - Perché tu non sei felice. E l’infelicità è un veleno mortale per la comprensione.

ALAIN                    - E da che dipende, viceversa, la tua esplosiva felicità?

PABLO                    - Da niente. ALAIN. Come un niente sarebbe sufficiente a rendere felice te in questo momento, e un altro niente ti rende infelice… E’ una donnetta… stupida, riposante… ritmica e calda, incontrata al momento giusto. Mi rammenta il mio paese. Ti convince? Mi colma di voglia di nacchere. Ah! Il miracolo è tutto qui. Perché, ancora, l’unica possibilità concessa all’uomo di essere felice, manifestando a qualcuno il bene che gli vuole, è andarci a letto assieme, senza negarsi niente.

ALAIN                    - Ma pensa! Mi farebbe ridere, se avessi voglia di ridere.

PABLO                    - Chi te lo vieta? Fa’ ridere pure me e questo non tocca la mia felicità… Te, TOBI, ti persuade?

TOBI                        - Ne ho d’avanzo. Ne vuoi saper una? A darmi qualche momento di… felicità malinconica, mi son procurato un disco con inciso su, non musica: mica Mozart, Bach, Strauss… no: il rumore delle onde del Tamigi… Lo metto su alla sera, chiudo gli occhi dimenticandomi un sorriso sulle labbra; e la mia adolescenza… rimpatria per venirmi ad addormentare… Figurati se non mi persuade.

PABLO                    - Medita ALAIN. E impara.

ALAIN                    - … Naturalmente. Le onde son tutte uguali, comprese quelle registrate sui dischi, si vede.

PABLO                    - Beh, stacco per un paio d’ore. Tregua, ragazzi. A proposito di dischi, m’è stato regalato un trentatré giri di Belafonte…

ALAIN                    - ...Da lei, si capisce.

PABLO                    - …Da lei. Salgo a godermelo, solo, steso sul letto, senza nessuno tra i piedi. A dopo… Poi, te lo passo, CHARLIE. Ci son dentro le tue lontane dimore. È pieno di tamburi e strane campane, tra gemiti e sospiri. Fallo ascoltare ad ALAIN, se te lo concede. Chissà che non gli faccia da camomilla.

ALAIN                    - Procura di tener la mano fuori dalle coperte fin che ascolti le sue canzoni, piuttosto.

PABLO                    - Cercherò, ma non te lo garantisco: le mie mani sono ancora colme di lei. E abbandona la compagnia risalendo, fischiettando, le scale.

TOBI                        - Faccio altrettanto, senza nemmeno la risorsa di Belafonte. Si appresta a fare altrettanto. ALAIN   - lo ferma.

ALAIN                    - Ti rimane la voce del Tamigi… e la nostalgia è il sentimento che perdona meno di ogni altro… Ascolta…

TOBI                        - … Fermati.

TOBI                        - Sì. Che c’è?

ALAIN                    - Ti faccio scaldare l’acqua del bagno?

TOBI                        - No.

ALAIN                    - Ti apro la radio? E’ l’ora di un concerto del tuo prediletto Ciaikowskij.

TOBI                        - No.

ALAIN                    - Ti accendo la lampada degli ultravioletti?

TOBI                        - No.

ALAIN                    - Possibile che non ti serva niente?

TOBI                        - Possibile.

ALAIN                    - Lo fai apposta, per non dover niente a me.

TOBI                        - Non mi passa nemmeno per la testa.

ALAIN                    - Ti faccio un massaggio?

TOBI                        - No.

ALAIN                    - …Ti faccio…?

TOBI                        - No!

ALAIN                    - Nemmeno?

TOBI                        - Nemmeno.

ALAIN                    - …Ti preparo un laccio per impiccarti?

TOBI                        - Sarebbe un’idea.

ALAIN                    - Ma che ti succede, TOBI, è un partito preso.

TOBI                        - Nulla, non mi succede nulla. Sono stracco e stufo.

ALAIN                    - … Quando?

TOBI                        - Capiterà. Capita sempre… è l’unica cosa su cui si può fare affidamento. Capita sempre, anche quando è deciso che non capiti più.

ALAIN                    - … E aspettiamo che capiti… Perché, a stracco e stufo, non aggiungi anche disgustato? Ce l’hai sulla punta della lingua…e, forse, quello ti garantirebbe a non farlo capitar più.

TOBI                        - Perché tu non c’entri.

ALAIN                    - E quando mai ci sono entrato io, in ciò che, davvero, ti riguarda dentro? Dietro l’uscio, sempre, io…: bussare, bussare e basta.

TOBI                        - Non prenderla per questo verso, ALAIN, credimi. Risparmiati queste nevrastenie, non sono da te.

ALAIN                    - … E allora…

TOBI                        - Per adesso, ho solo voglia di una cattiva doccia gelata e di una buona ora di sonno di pietra, tiepido e nudo. Passerà.

ALAIN                    - E’ una decisione irrevocabile?

TOBI                        - Sì!

ALAIN                    - Il primo sì da una settimana, ed è un no. E poi mi si nega il diritto di chiamarla crudeltà mentale! Già quasi al culmine dei gradini,  TOBI         - si ferma e si volta:

TOBI                        - …Ah, senti. In bagno non trovo più la mia vestaglia blu.

ALAIN                    - L’hai lasciata nel mio. Ci sta da martedì passato.

TOBI                        - Ti dispiace allungarmela attraverso la porta?

ALAIN                    - Se ti preme tanto, te la vieni a pigliare tu, colle tue nobili mani, e chiamalo pure ricatto, se ti fa comodo.

TOBI                        - Vuoi usarmi tu la cortesia,

CHARLIE?

CHARLIE               - Non sono io l’addetto alle stanze. E, anche se lo fossi, non lo farei. Non mi stai simpatico, TOBI, abbi pazienza; lo sai: mi piaci, ma non mi stai simpatico.

IRMO                      - Lasciate stare: faccio io, se credete.

ALAIN                    - No. Non è questa la tua settimana di servizio. Verrà. Calma. Sourtout, pas trop de zèle, ragazzo.

TOBI                        - Grazie lo stesso. Non importa, tanto già a che mi serve ? Ne ho delle altre… e mi sento più a mio agio spogliato che vestito. Si fa meglio tutto da spogli.

ALAIN                    - lo sa.

ALAIN                    - Anche dormire.

TOBI                        - Anche dormire… Beh, che hai? Sei lì ammutolito, malinconico, accigliato.

IRMO                      - Me? Ti assicuro…

TOBI                        - Lui, lui, il sensibile, nevrastenico, pestilenziale, carissimo

ALAIN.

ALAIN                    - Son qua ad aspettare un tuo sorpreso e benigno mutamento di espressione. Se ti degni di far scorrere una delle tue occhiate da svenimento dal mio collo in giù, che non è poi una visione così disgustosa… e sempre che lo sforzo non ti costi scandalo e vergogna, non è escluso che ti riesca.

TOBI                        - Oh guarda. Potevi avvisarmi subito: ce l’hai indosso tu la mia vestaglia.

ALAIN                    - Non potendo indossare te…

TOBI                        - Fa una cosa: prestami la tua e sarò io a indossare te; è ciò che preferisci, no?

ALAIN                    - Dicesti di non averne bisogno.

TOBI                        - Se ne dicono tante!... E poi, mica posso scendere anche a pranzo nudo, abbi pazienza.

ALAIN                    - Perché no? Non sei tipo tu, di farti certi scrupoli. Non hai appena sentenziato che si fa tutto meglio nudi?

TOBI                        - Dài, ALAIN, è passato anche per te il tempo di comportarti da bambino.

ALAIN                    - L’inconveniente è che è rimasta appesa nel mio bagno anche la mia. Stanno là, fianco a fianco, mosce ed estranee, eppur si toccano.

TOBI                        - Non parliamone più. Non è giorno.

CHARLIE               - Non l’hai ancora capito che, in camera tua, non ci vuol mettere piede e non perde occasione? Furbo come pretendi di essere, non l’hai ancora capito?

ALAIN                    - L’ho capito, sì: è da quel dì che l’ho capito.

TOBI                        - CHARLIE, se va di mettercelo tu il piede in camera sua, nessun riguardo. Quando mai se ne sono fatti tra di noi? Semplifichiamo la vita, ragazzi: io non sono né lui, né te: sulla mia mancanza di gelosia si può sempre far conto. È chiaro?

ALAIN                    - La verità è che un amore terminato è peggio di un impero devastato. Ma, almeno il coraggio di dichiararlo apertamente… Un momento,

TOBI                        - … Dimmi che t’ho fatto, almeno. Ne ho diritto.

TOBI                        - E dàlli! Non hai idea quanto sarei curioso di saperlo anch’io. E via, finalmente, per davvero…

ALAIN                    - Non dici nulla, tu?

IRMO                      - Imparo…

IRMO                      - è il mio nome.

ALAIN                    - Ne sono al corrente.

IRMO                      - Ah, sicuro, ascoltavi.

ALAIN                    - Una vecchia abitudine da serva e da puttana, piuttosto diffusa, qua dentro…

ALAIN                    - è il mio: il mio nome.

IRMO                      - Lo conosco anch’io. Te lo invidio e mi sei simpatico, nonostante tutto.

ALAIN                    - A me, un po’ meno, ma tu non ne hai colpa.

IRMO                      - Spero che muterai opinione.

ALAIN                    - Non è improbabile. La pelle umana è un pacificatore irresistibile. Ha fatto cessare delle guerre… E anche scoppiare, si capisce.

CHARLIE               - … Fattela passare, ALAIN. Dignità. Non ti devi umiliare così.

IRMO                      - Con me? Umiliare con me?

CHARLIE               - No, no… con quello là.

ALAIN                    - M’avesse degnato d’uno sguardo. Nemmeno l’osso al cane.

CHARLIE               - Disprezza tutti. Si sente chissachì. Fa di tutto per rendersi odioso.

IRMO                      - Non fateci caso. Ha la luna. È solo bisogno di solitudine. Può succedere a chiunque. È antipatico anche a se stesso, mi dà l’impressione. Non sarebbe così ombroso, sennò.

ALAIN                    - … Si irrita, pare, perché non ci si irrita. Non era così. Tu non l’hai conosciuto. Una volta non si sentiva come in galera. S’è ridotto che costituirebbe meno rischio maneggiare una bomba a mano disinnescata, io lo conosco perché l’ho conosciuto. Si sta distruggendo. Perché? Di che?...

CHARLIE               - Era così, invece; sempre differente dagli altri. Come se tutto gli fosse dovuto, bianco fin nella sua stessa merda, quello sporco bianco!

IRMO                      - Ha dei problemi, punto e basta. È talmente evidente!

ALAIN                    - Te ne sei accorto tu? Non si aspettava che te!

IRMO                      - Problemi, tu, nessuno?

ALAIN                    - Uno, purtroppo: lui.

IRMO                      - Vedi?... Chi non li ha, se li crea.

CHARLIE               - E tu, risparmiati di guardarmi a quella maniera. Non ho chiesto compassione. E mai a te. Non in questo momento, almeno, un po’ di pazienza: saper attendere; il turno viene per tutti al termine della lista d’attesa. Capito ragazzino?

IRMO                      - Amici, non create dei problemi, voi a me, adesso, che son l’unico a non averne, finora.

CHARLIE               - Non far così, non voglio vederti con quella faccia, ALAIN: smettila di morirgli dietro, a quel superbo lassù: non ti merita.

ALAIN                    - Ci si muore dietro tutti, CHARLIE, fin dalla prima volta che ci si affaccia all’uscio, a quella specie di sultano lì. L’esempio ce l’hai sotto gli occhi: il ragazzo. Giunto nemmeno un’ora fa e già è suo.

IRMO                      - Io? Non sono di nessuno, io, che sia chiaro. Manco mi passa per la testa.

ALAIN                    - Ti passa ti passa. E, poi, ci pensa la forza di gravità a farti scendere il pensiero al posto giusto. Esperienza generale. Se c’è una cosa certa, nella giostra di questo inesplicabile casino, è l’impossibilità di mentire… Il prediletto! Cos’ha di speciale? Perché? Chi è? Il più diverso dei diversi? Il più normale dei normali?... Il capofila, l’unto del signore? Toccato dal dito di Dio? Priapo personificato? Porta il suo sesso come un ostensorio, decorato dal nastrino del proprio malcontento come da una medaglia al valore. Pretende ossequio quando dovrebbe chiedere scusa. Al culmine della scala, è comparsa MAIA. Ferma, imperscrutabile, ha ascoltato. Poi scende e interviene. Pare – è? – un idolo. -5-

MAIA                      - C’è sempre un predestinato a cui si muore dietro: il vincitore o il vinto. Ed è il più in pericolo anche quando è il più difeso.

ALAIN                    - Sarebbe a dire?

CHARLIE               - Perché in pericolo?

MAIA                      - La vita non ama né i vinti né i vincitori. Ne ha paura… Paura e odio sono fratello e sorella. L’una arma la mano all’altro.

CHARLIE               - … Ogni negro si trascina il suo bianco alle spalle.

ALAIN                    - E ogni bianco, il suo negro a lato. Non impressionarti. Siamo solo dei personaggi improbabili in cerca di battute possibili… Vieni, IRMO, ti guido nella tua camera.

MAIA                      - Numero otto, tra il sette di

TOBI                        - e il nove di ALAIN. Va’… a più tardi.

ALAIN                    - Hai udito? Ti sei messo fra noi due, IRMO. Tout se tien. Via, lentamente, IRMO, guidato per mano da ALAIN. Rimangono, soli, MAIA         - e CHARLIE  - silenzioso a lungo.

MAIA                      - Sempre la tua irriducibile vocazione al campionato dell’infelicità, nevvero, CHARLIE?... Il mio tenero e fedele masochista… Quando ti arrenderai alla convinzione che, qui, non deve aver corso?... Non ha corso. Dovresti guardarti dall’influenza di ALAIN. Avete ciascuno da rimetterci. Per lui, è scena; per te, è vita.

CHARLIE               - Non ho altro patrimonio, lei lo sa… Me lo dà un bacio, signora? Ora non la vede nessuno. Ci si può concedere questa debolezza.

MAIA                      - Avvicinati. Un bacio freddo. In fronte.

CHARLIE               - Penso cosa sarebbe, dato da lei, un vero bacio.

ALAIN                    - E vivi per questo momento ogni giorno, tu.

CHARLIE               - Grazie.

MAIA                      - Dicono grazie gli altri?

CHARLIE               - No.

MAIA                      - E, allora, perché, tu sì?

CHARLIE               - Scusi.

MAIA                      - Domandano scusa gli altri?

CHARLIE               - No.

MAIA                      - E allora perché tu la domandi?

CHARLIE               - Non so.

MAIA                      - Sì che lo sai.

CHARLIE               - … Mi va di domandar scusa. Sono le fruste del mio piacere. Sono così.

MAIA                      - Non ti deve far piacere.

CHARLIE               - Me lo si rimprovera troppo per non piacermi. Se bastasse cancellare le parole per rimuovere la realtà!...

MAIA                      - Hai ragione, scusa tu.

CHARLIE               - Perché m’ha baciato sulla fronte?

MAIA                      - T’ho baciato. Non basta?

CHARLIE               - Ma perché, sulla fronte? Sempre sulla fronte?... Solo sulla fronte… E’ il posto dei baci delle mamme, la fronte. Un bacio tale e quale mia madre, il suo… Lei sa, lei sa… Bambino: una gran testa sempre ammaccata, invasa da una sterpaglia di ricci crespi, impidocchiati, nemici del pettine… Continue busse, l’uomo bianco, lustro di brillantina, che si diceva mio padre solo perché s’era intromesso per sfruttar mia madre; e cominciava a contraddirlo già il colore della pelle, sempre più sporca quanto è più pulita, puzzolente di maschio rancido, come certe lenzuola non lavate… biacca, signora, biacca lercia, il colore dei bianchi sozzi didentro… soltanto qualche sforzata carezza, lei, sempre più avara e distratta… Non aveva tempo di volermi bene. Non c’è via di mezzo: una prostituta o è da un dollaro, o da cento dollari. Le prime non hanno mai tempo. Le malizie che mettevo su, ogni mattina, per carpirle un bacio così… un mezzo bacio, un quarto di bacio… un bacio rubato, sulla fronte, prima di recarmi a scuola, colla paura incollata alle membra – sudavo paura! – offerto ai dileggi di tutta la classe che mi rifiutava, perché non ero come loro né abbastanza diverso da loro… relegato nell’ultimo banco… Non son stato capace di diventare nemmeno un negro; mi son dovuto accontentare di essere un mezzo negro… Andavo a cercarle, le botte… un mendicante di umiliazione… Avrei potuto darle e me le facevo dare… So che non gradisce confidenze del genere, ma mi ha proibito di domandarle scusa.

MAIA                      - Credi di sapere.

CHARLIE               - … So, anche, che sa che glielo racconto per rubarle una carezza di più…

MAIA                      - E che non devi dirlo, lo sai?

CHARLIE               - Io vivo di carità, non sono buono che a far l’amore… Mi insegni a odiare, madame…

MAIA                      - Senza la tua infelicità, saresti infelice. Lei, accarezzatolo, assorta, nell’abbraccio di una poltrona. Lui è andato. Una, due, tre volte il telefono. Secoli di apatica indolenza paion pesare sul capo del sublime mostro nell’alzarsi, raggiungerlo, sollevarlo e porselo all’orecchio. “… L’ha detto… Esatto… Parli… Vergogna? E quando mai? Di che?... Ascolto… Biondo… Ho inteso: biondo… Mai discussi i gusti delle clienti… Presentemente, sì, la casa dispone di un paio di biondi… Interi… Naturalmente: anche le ascelle… Pure. Si capisce: interamente biondi, a tutti gli effetti… Non credo: so. Che biondi sarebbero, altrimenti?... Eh?... Sceglierglielo io? Io non ne faccio uso, né biondi né bruni… Astemia, per così dire… O, se meglio crede, daltonica mentale… Non ne dubito. Lusingata, ma non rientra nelle mie mansioni… Mai fatto differenze. Per me, tutti egualmente eguali… Precisamente. Deve assumersi la responsabilità lei. Appunto: suo dovere perché suo diritto: dare ciò che si riceve. Altro comandamento non c’è. Li contiene tutti… Non è indispensabile, nella vita, capire… Ci si confonde le idee. Solo ignorando si sa… Lo ripeto da secoli… O, sennò, ascolti: lasci che siano loro a scegliere… i due biondi, sì… Che siano essi a venire a lei. Per una volta, si può concederglielo… Eh? Piccante…? Strana parola… Se lei la pensa così… bene… Non prima di un paio d’ore. Manca poco per mettersi a tavola… Aspetti. Mi correggo: tre. C’è anche un terzo biondo disponibile… Ma, forse, non utilizzabile… Non ne tenga conto, vedremo… In sospeso, ecco… Un colpo di telefono… No. Non tocca a me giudicare. Guai… Mai fatto la conoscenza diretta con una cliente… Non c’è deroga. Non insista. Telefonicamente, sempre a sua disposizione, per ragioni d’ufficio, nelle ore d’ufficio. Con permesso… Di cuore”. Nove e due… Dice, nel premere i pulsanti di due campanelli tra i numerosi allineati su un apposito quadrante luminoso. Subito dopo, alla balaustra, è già affacciata una coppia di aitanti giovanotti a dorso nudo, naturalmente biondi: Danilo ed Ivan. -6-

MAIA                      - … Danilo?

DANILO                 - Comandi, madame.

MAIA                      - Ivan?

IVAN                       - Agli ordini.

MAIA                      - Pronti subito dopopranzo. È senz’altro bruna, considerata l’esclusiva richiesta del contrario; probabilmente meridionale settentrionalizzata: ha gusti speciali: monomaniaca del biondo, ascelle e annessi compresi. Genuine, non ossigenate, possibilmente.

DANILO                 - Madame, ci offende.

IVAN                       - Ovviamente, il resto.

MAIA                      - Ovviamente.

IVAN                       - Non poteva cascar meglio. Non è vanto, è natura; il mio resto è più biondo ancora.

DANILO                 - Non da meno io. Lei lo sa.

IVAN                       - Posso garantire. Non per niente siamo gemelli.

MAIA                      - Per che altro avrei dato parola? Comunque, regolarsi. Se è feticismo, esortarlo; se è razzismo, scoraggiarlo.

DANILO                 - …E… in tre?

MAIA                      - Tiratevela a sorte uno dei due. Sarà un diversivo. Al caso, alternarsi. Sempre che vi diverta.

IVAN                       - Metà razione…

MAIA                      - Per modo di dire… O devo aspettarmi di sentirvi inventare di essere allergici al bruno? Tutto è possibile da qualche tempo, qui.

IVAN                       - … Allergico al bruno! Io che non vedo l’ora di precipitarmi dentro quell’indossatrice, d’ebano caldo, rifiutata da CHARLIE, che viene a farsi ogni tanto il Mirko, e c’è già Jas, in lista d’attesa.

DANILO                 - Prima di Jas ci sono io, se non ti dispiace.

MAIA                      - Meglio così. Nessun problema. M’era parso.

IVAN                       - Le era parso male. Io non ci dormo.

DANILO                 - A differenza di me che mi ci sveglio. Esser gemelli non significa non aver problemi, come si può render conto.

IVAN                       - Il singolo diventa, anzi, doppio.

DANILO                 - Lei non indovina nemmeno quali sogni, signora!

IVAN                       - Le basti che ce li imprestiamo vicendevolmente. Non c’è maggior gloria al…

DANILO                 - Freno alla lingua, IVAN. Ci sono termini che il timpano di notre-dame, respinge.

IVAN                       - Pardon: al pardon; stavo per esclamare “non c’è maggior gloria al pardon”.

MAIA                      - Verrà l’occasione ragazzi. Viene per tutti l’occasione sapendo aspettare. Ciò che non mi stancherò mai di richiedervi: decenza e gentilezza. Possibile che, con voialtri, si riesca a disciplinar tutto e darvi gioia, tranne il linguaggio? V’è toccato il privilegio della lingua del garbo e della cerimonia. Non ingaglioffitela gestendola da facchini. Verso di essa, i biondi hanno doppi doveri. Evitate di brutalizzarla involgarendola. Tutto a tempo e luogo. Omeopatia. Dirompe più la lascivia, a mezza bocca, di un biondo, sussurrata in un orecchio, indotto a indovinare senza ben udire; di quanto non devasti un carro di scurrilità massicce, urlate da un bruno alla finestra. Imparate a graduare le dosi. Ad altri, è necessaria la brutalità; a voi basta la delicatezza: la sensualità della tortora non è minore di quella del bisonte. Tubare, qualche volta, è più voluttuoso di barrire. A ognuno il proprio stile.

DANILO                 - Hai compreso, IVAN? Tortore pubbliche e privati bisonti.

IVAN                       - Così si comanda e così sia.

MAIA                      - Almeno, colle clienti: sesso generoso, estenuante, educato e scaltro, elargito in sordina.

DANILO                 - Non dubiti madame, ci staremo attenti. Son lezioni che non si scordano.

MAIA                      - Tortore che barriscono e bisonti che tubano deve suonare il vostro ideale.

IVAN                       - Che maestra, signora maestra!

DANILO                 - Una libera docenza.

MAIA                      - Basta là. E che Dio vi guardi dalla lascivia invidiosa: avvelena il piacere, corrompe il carattere, guasta lo stile… E mai di più. Congedarsi lasciando dietro di sé, sempre, una traccia di inappagato desiderio.

DANILO                 - Missione recepita.

IVAN                       - Madame non avrà a dolersi dei suoi emissari.

ENTRAMBI            - Compermesso, ci si va a far la barba.

MAIA                      - Che si senta leggermente pungere. Soltanto il viso beninteso.

ENTRAMBI            - Madame?!... Un inchino e si ritirano tutti e due.

MAIA                      - Se bene allevati, anche i biondi hanno i loro momenti di gloria. Ha concluso quando è già riapparso CHARLIE e si è accinto ad apparecchiare, con precisa e silenziosa cura, il tavolo per il pranzo imminente, una presenza assente. Mezzo minuto, e ridiscende anche TOBI, avvolto in un accappatoio. Scarlatto? Bianco? Nero? Turchino? Cremisi? Giallo? Verde? Pervinca? A righe? A rombi? A pois? A frange e fiocchi? Scampanato o in vita? Interroghi il proprio umore. Quale occasione per il costumista; e che responsabilità per il regista: sotto, è nudo. Approfittando – come la compagnia – della moquette, anche i piedi: splendidi, il calco usato da Michelangelo per il suo Davide, rinvenuto nello scantinato degli Uffizi. Una riproduzione in bronzo sta sul comò di madame, in camera sua, ma non si deve conoscerlo. -7-

TOBI                        - Non è più qui ALAIN?

MAIA                      - Gli occhi li hai perduti? C’era. Tocchi a chi tocchi, e in qualsiasi modo tocchi, per farsi maltrattare da te, si è sempre presenti.

TOBI                        - Offeso?

MAIA                      - Non più di quanto gliene avessi dato diritto.

TOBI                        - Ero, appunto, tornato per chiedergli scusa.

MAIA                      - Pentimento?

TOBI                        - Educazione.

MAIA                      - Non ti sprechi. Qualcosa è uscito dai cardini. Sembra che, in loro, tu detesti te stesso.

TOBI                        - Ha detto bene: qualcosa è uscito dai cardini.

MAIA                      - Non da oggi, ha avuto inizio.

TOBI                        - Non da oggi. Sono, “anch’io”, una delusione?

MAIA                      - Sei quel che sei.

TOBI                        - … E dove si trova adesso?

MAIA                      - Si sta occupando dell’ultimo arrivo.

TOBI                        - Che vuol dire catechizzandolo.

MAIA                      - Una volta per uno. Corsi e ricorsi, è una catena, anello dopo anello.

TOBI                        - Lo raggiungo. Che stanza?

MAIA                      - Otto. A destra. Successiva alla tua e precedente la sua.

TOBI                        - Calcolo?

MAIA                      - Caso.

TOBI                        - Talvolta il caso non è che un calcolo mirato.

MAIA                      - Possibile.

TOBI                        - Nulla più esplosivo del caso, quando è calcolo.

MAIA                      - Limitiamoci a dire provocante.

TOBI                        - Coll’aggiunta d’un “perverso”, se lei consente.

MAIA                      - Corsi e ricorsi, pure codesti… Hai ferito anche

CHARLIE               - che non è meno vulnerabile. Solo PABLO, colle sue sgualdrine, ti va a genio.

TOBI                        - Domanderò scusa anche a

CHARLIE               - e toglierò il saluto a PABLO. Contenta?

MAIA                      - Troppe scuse per essere scuse.

TOBI                        - Son quel che sono, e faccio quel che posso.

MAIA                      - Naturalmente… Ah, senti. Per puro scrupolo: ha chiesto aiuto una che insiste per un biondo. Se non sei troppo stanco… Non c’è obbligo.

TOBI                        - Ha sbagliato indirizzo: nessun greco è biondo. E, se lo è, è un falso biondo.

MAIA                      - O un falso greco… Solo questa la ragione? Cercare una ragione in Grecia… Strano.

TOBI                        - … Non la trova valida? Credevo…

MAIA                      - … Come non detto, se non te la senti. È il primo soccorso che rifiuti; con questa scusa, almeno.

TOBI                        - Mettiamola che, per la richiesta di un biondo, mi sento bruno; per la richiesta d’un bruno, mi sento biondo. Comincia, press’a poco, sempre così, mi figuro, la fine… o il principio dell’inganno: col complesso del bastardo, vale a dire.

MAIA                      - Da un po’ di tempo, non ti capisco più.

TOBI                        - E’ coinciso col momento, penso, che, forse, ho creduto di cominciare a capire io; se, ciò che ho creduto di cominciar a capire, era ciò che c’era da capire.

MAIA                      - Cioè?

TOBI                        - Conviene?

MAIA                      - L’arbitro sei tu, ormai. Le carte sono nelle tue mani, così come la frenesia di far saltare il banco. È la tua vocazione.

TOBI                        - L’assurdo, capire l’assurdo: l’inimmaginabile – che è, poi, la luce del sole - … e si è liberi, oppure spacciati. Sembra un gioco ed è una macchina infernale.

MAIA                      - … Per la telefonata, non importa. Non m’ero impegnata. Ne avevo solo prospettato l’eventualità: ipotesi. Sei nel tuo diritto.

TOBI                        - … La libertà di scegliere o di respingere la propria schiavitù.

MAIA                      - E’ il patto.

TOBI                        - E’ il patto. A proposito, giacché ho la ventura di trovarla sola… compatisca… Non può non aver intuito…

MAIA                      - A che stai a tormentare, continuamente, quel medaglione che porti al collo? Non è un guinzaglio. Non l’avevi mai fatto.

TOBI                        - Lo faccio così, senza accorgermene. Le dispiace?...

MAIA                      - Mi distrae.

TOBI                        - Nient’altro?

MAIA                      - Mi amareggia.

TOBI                        - Perché?

MAIA                      - … Strano…. Mi invedovisce… Tu puoi darmi del tu, ormai.

TOBI                        - Del tu?

MAIA                      - Del tu.

TOBI                        - Io, a lei… ma allora…

MAIA                      - Stavi per aprire – o chiudere – un discorso se non ho mal compreso.

TOBI                        - “Il” discorso… Lei, tu, non puoi non aver intuito, dicevo… l’impressione… il sospetto… lo sgomento… L’urgenza di una spiegazione, insomma.

MAIA                      - … Purtroppo.

TOBI                        - Ecco… Da dentro… dal profondo… contro me stesso, giuro.

MAIA                      - Distruggersi distruggendo.

TOBI                        - La vocazione a far saltare il banco, hai detto bene: il destino dell’uomo.

MAIA                      - E l’agguato di sempre, si ripete…

TOBI                        - E’ il mio turno, evidentemente.

MAIA                      - … La maledizione che fruga nell’antica piaga del sapere… sapere, ad ogni costo: “E, allora, si spalancò un grande abisso”.

TOBI                        - La Bibbia no, per piacere. La vergogna dell’uomo non ne ha bisogno, è sufficiente a se stessa.

MAIA                      - Ci sarebbe stato tempo ancora,

TOBI.

TOBI                        - Vuoi dire che ci sarebbe stata viltà, ancora?

MAIA                      - E’ così umana la viltà, la nostra sola amica.

TOBI                        - Filare il tempo non significa viverlo… e, tanto meno onorarlo. Costi ciò che costi… L’ignoranza non è un rifugio. Sento prossima la scadenza del mio ciclo, e respingo il farmaco della cecità. Devo assolutamente conoscere se il mio sogno è stato soltanto un sogno, perché non diventi un incubo: frugare nell’ignoto colla speranza di metter le mani su tutta la verità.

MAIA                      - La verità intera non è mai un unico sogno. La verità intera è la trama inestricabile di molti sogni inconfessabili, e nemmeno allora, è tutta la verità… Fermati,

TOBI.

TOBI                        - Ci son tratti, lungo la strada della vita, dai quali è impossibile tornare indietro… e dove è proibito fermarsi… Comechessia! Pur che sia la verità…M’è cresciuta dentro, giorno a giorno, nell’oscurità della coscienza, tragica e inesorabile, maligna peggio di un cancro, “prima che fossi preparato”.

MAIA                      - Va bene. Aspettami. Verrò, se lo vuoi.

TOBI                        - Lo voglio… Il caso non è mai un caso: “sapere se, ciò che si fa, si sceglie, oppure si subisce”. È già un punto d’appoggio.

MAIA                      - Trista cosa sapere, quando sapere nega la pace a chi sa.

TOBI                        - Lo voglio, ugualmente. Eros, ormai, s’è spinto talmente avanti da non poter più voltarsi indietro.

MAIA                      - Ti perdi. L’uomo sa, TOBI, fin che ignora. È la sola zattera nel suo naufragio.

TOBI                        - L’ho compreso, mamma: questo l’ho compreso. Ma non mi aiuta più. E va. A CHARLIE, in fondo, inteso a finire di apparecchiare, alla parola mamma, sfugge dalle mani una rara porcellana Tiffany, e si infrange in cento cocci sul pavimento di marmo. Un caso, ma par di no.

MAIA                      - Debolezze, loro non ne hanno… Io ne ho una: li amo… E, quanto più ami, tanto più soffri… -8- Intermezzo melofilo (che potrebbe anche non esserci, però…) Più tardi. Fra poco, ci si metterà a tavola tra leni melodie di remote operette, principescamente allestito il servizio, scintillanti le lumiere. Nell’attesa che anche tutti gli altri scendano, via via, a completare il favoloso androceo festeggiando il pranzo nelle loro sgargianti vestaglie a volubile quanto effimero riparo di quali atletiche, quali efebiche nudità, raccolti in disparte, alcuni dei giovani ganzi – inizialmente: ALAIN      - e i due biondi – stanno ascoltando delle romanze alla radio. S’è appena inconclusa una difficile disputa: se fosse più grande Tito Schipa nell’ “Elisir d’amore”, oppure Galliano Masini nella “Fanciulla del West”. ALAIN          - ha tagliato corto chiudendo la bocca a tutti col sentenziare che chi non ha udito Joan Sutherland nella “Linda di Chamonix” non ha il diritto di giudicare. La chiacchiera precedente verteva sull’innamorar cantando di Franco Corelli; quella susseguente era stata di ALAIN: durante tutti i nove mesi della gravidanza, e ad onta del clima primaverile di Fontainbleau, la propria madre aveva vissuto disturbata da una voglia insaziabile di Andrea Chenier, del quale aveva imparato a memoria tutte le poesie senza ricavarne un apprezzabile sollievo. Sta terminando l’ “Amor ti vieta…” nella voce di Placido Domingo. In seguito, via agli Strauss con qualche intervento di Lehar…

DANILO                 -  … Ricordarsi: ciò che non si può dire, si canta, ed è subito lecito… Eh, il Placido…!

ALAIN                    - Vuoi mettere quando pesava quindici chili di meno?...

IVAN                       - Eh già, peccato che abbia perduto la linea per emulare l’irraggiungibile Pavarotti.

DANILO                 -  In compenso, ha guadagnato il do naturale. Tutto non si può avere.

IVAN                       - Non l’aveva?

DANILO                 - Non l’aveva, pensa.

ALAIN                    - Del Monaco li possedeva ENTRAMBI, quello naturale e quello innaturale, vale a dire l’urlo. Ed era bello e scritto.

IVAN                       - Possedeva tutto, Del Monaco, il visibile e l’invisibile.

ALAIN                    - E fortunato chi lo poté aver a portata di mano… L’Opera: la sublimazione dell’eros! Ti sei mai fatto tu, una Mimì? Dico: portata a letto.

DANILO                 - Chi non s’è fatto una Mimì?... Tre o quattro; forse cinque, se non sei, solo dacché sono sulla breccia… e senza esserne affatto patito. Semmai, le mie preferenze andrebbero alle Elvire e alle Eleonore, per via che, aristocratiche e superbe, sono, sempre, favorite dei re o concupite dai banditi, generalmente dei bellissimi uomini con delle nobili professioni, su gambe magnifiche. Tenersi sul classico fin che si può.

ALAIN                    - E tu, te ne sei mai fatte?

IVAN                       -  Ci stavo pensando… Possibile?... Che mi ricordi io, una Mimì sola. A Copenaghen… o a Danzica?... Ero di passaggio ma non ricordo dove. Mi verrà in mente… Una sola… Però notevole, debbo dire: freddina ma notevole. Devono essere tutte freddine le Mimì, ho impressione.

ALAIN                    - E’ un grosso sbaglio che commettono in parecchi.

IVAN                       - Sai, stracche, smunte, anemiche, sempre con quella tosse a interromperti ogni momento sul più bello. Poca salute.

DANILO                 -  Non te ne sei fatto che una e giudichi un universo. Ci sono anche delle Mimì senza tosse. E le Violette, allora?

IVAN                       - Ho parlato di una semplice impressione.

ALAIN                    - Rettificala, se vuoi un consiglio. Certo, non hanno la salute né delle Amelie né delle Gilde, però si battono bene anche loro nella vita d’ogni giorno.

IVAN                       - Sarà. Personalmente, trovarmi nudo in un letto con una tubercolosa a fianco, che le conti le ossa e sputa i polmoni, a onor del vero, mi farebbe senso. Non me ne vanterei troppo.

ALAIN                    - Oggi, colla penicillina, il rischio è minimo.

IVAN                       - La prudenza non è mai abbastanza.

DANILO                 - In questo, ti dò ragione. Già, lirica ininfluendo, la nostra è una professione, di per sé, non esente da pericoli.

ALAIN                    - Citamene una che non abbia i suoi… E una Musetta? Una Musetta? Quella scoppia di salute e di allegria… Tu? E tu?

DANILO                 - Musette? No, mai, nessuna. Che idea?

IVAN                       -  Nemmeno io, no, no. Esclusa. Eh, Musetta, una parola! Mica le trovi al primo angolo di strada, le Musette.

ALAIN                    - Appunto. È con le Musette che cominciano le quaresime. Le Mimì, al confronto, ti cascano tra le braccia da sé, si fa per dire… Ma, insomma, chi sa cercare trova. Tutto il contrario, le Musette. Me n’è toccata una che circolava celandosi proprio dietro il nomignolo di Mimì, casini del genere…e, piuttosto di niente, mandi giù, che vuoi farci?

DANILO                 - Perché, scusa?

ALAIN                    - Che ne so? Snobismi piccoloborghesi.

IVAN                       - Non è corretto, trovo.

DANILO                 - Donne! Se stai tanto a sottilizzare, non ne chiameresti più una. Guarda quella che ci aspetta. Si arriva a discriminare sul pelo! Una ti vuole bruno, una ti vuole biondo… Poco manca che ti pretendano colle mèches.

ALAIN                    - Perché, domandi? M’ero ficcato in testa – le polluzioni fantastiche dei melomani! – di mettere insieme un personale cast della “Bohème”, da stare nella mente a futura memoria di un mio preferenziale harem privato. Cinque Mimì e ben tre Musette – autentiche – in tre anni di servizio, non sono un capitale da buttar via. Rodolfi e Marcelli da farne indigestione; ne ho perso il numero.

DANILO                 - Rodolfi e Marcelli, bella forza! Non occorre conoscere la musica per incontrarli sotto le coperte; o sopra, se uno preferisce.

ALAIN                    - E io cosa sto dicendo?

IVAN                       - E insisto nel battesimo: un predestino. Ne ho conosciuto uno sordomuto, senza alcun pregiudizio per la sua idoneità, anzi!

ALAIN                    - Mi guardo bene dal negarlo. Son nomi sicuri… come tutti i nomi, nomi. Anche ministri del culto… L’archimandrita di Smirne, Alessio, va bene!? Esperienza personale.

IVAN                       -  Non occorre andar tanto lontani. La mia balia: Marcella. Era un travestito, plasticato a Casablanca…

DANILO                 - Ma poi? Poi? Gli altri? Qui ti voglio. Un archimandrita conta come una tantum.

ALAIN                    - Poi, è sorto il problema, hai centrato il bersaglio.

IVAN                       - E ti credo!

ALAIN                    - Dove lo peschi uno Schaunard, un Colline? Siamo giusti.

DANILO                 -  … Un Alcindoro, un Parpignol… Assolutamente irreperibili, al giorno d’oggi.

ALAIN                    - La solita censura repressiva. La terra del melodramma, un ministero dei beni culturali che ci costa un occhio della testa, ma solo a patto che si tratti di roba di metallo antico; carne e pelle viva nemmeno parlarne… I bronzi di Riace? Benissimo, per carità, ce ne fossero; ma all’atto pratico che te ne fai? Assolutamente inutilizzabili… Un rimpianto e una tentazione, cose commemorative… pezzi da museo, e non vai più in là… Faccio un’ipotesi…: nel migliore dei casi ti ci ammaccheresti le ossa… Non trovi un cane battezzato Colline in tutti gli elenchi della rete telefonica nazionale. Provare per credere. Io ho provato. Neanche sulla pagine gialle… Mah!... Non si pretende una piazza… Niente: nemmeno una strada, un vicolo: ignoto! Colline è ignoto. Come il milite; al quale han pur dedicato un altare, addosso a un monumento che pur sarebbe un bel vespasiano, però proibito frequentarlo, la buoncostume ha messo il veto, e dire che sembrava costruito apposta. Scusate lo sfogo.

DANILO                 - No, no, ti do ragione. Sacrosanto!

ALAIN                    - Te, vedi, a proposito, puoi chiamarti fortunato.

DANILO                 - Me? Mica mi chiamo Colline, io.

ALAIN                    - Ti chiamo DANILO, anche se purtroppo non sei un conte.

DANILO                 - Capirai!

ALAIN                    - Capirai?... Nessuno, probabilmente, t’ha ancora messo al corrente che si tratta, nientemeno, del tenore della “Vedova allegra”, nata Anna Glavari, come tutti sanno: un figo vertiginoso.

IVAN                       - Se ne trovano a carrettate.

DANILO                 - Danili?

IVAN                       - Anne.

DANILO                 - Ah; volevo ben dire.

ALAIN                    - Il più affascinante play-boy dell’empireo lirico, e non lo sa!

DANILO                 - Ho gettato via venticinque anni. Ah, ma adesso, tutto cambia! Da DANILO, tutto cambia. Sono stati raggiunti da IRMO    - che ascolta interessato, senza intervenire.

ALAIN                    - Tu, non hai niente da dire?

IRMO                      - Io, sapete, non è che sia un patito per la lirica. Da povero provinciale, io stravedo ancora per i “Ricchi e poveri” e tifo, qualche volta, per la Milva, quando fa il Brecht in coppia con Streheler, Padre Coraggio, pur che lui stia zitto e di schiena.

ALAIN                    - Stai ancora al pliocene, figlio mio; la “fata turchina”, ormai, è giù di moda, serve più per l’esportazione, come i grissini in Francia, dove lo sopportano anche di fronte, non so come facciano. Però mai dire l’ultima parola. Nemmeno io c’ero portato fino a quando sentii il “Sempre libera degg’io…” della Maria… che, poi, è anche un gran precetto di vissuto esistenziale, se vogliamo: tutta una filosofia morale quel tirar le scarpe in platea in faccia agli spettatori. Prima, arrivavo a malapena al “Paese dei campanelli”. Il mio dio era Ives Montand; più che altro, per via dei piedi – impareggiabili! – un bronzo, la volta che glieli vidi giocare solo colla sabbia, purtroppo, sulla spiaggia della Croisette: la caviglia magra, lunga, filante sul calcagno biondo e la gran pianta falcata…

DANILO                 - Stai descrivendo i suoi o i tuoi?

ALAIN                    - Quelli di ENTRAMBI.

DANILO                 -  Impara IVAN. Come si fa per farsi dire che si hanno dei bei piedi.

IVAN                       - Modestamente, penso, i miei non hanno nulla da invidiare.

DANILO                 - Se ci aggiungiamo anche i miei, in tre, niente male.

IRMO                      - Accettate che ci metta pure i miei, per far contento l’autore?

ALAIN                    - E’ una bella ammucchiata, non c’è che dire; starebbero bene in una vetrina di Cartier. Li riuniscono tutti e otto, a raggera, come i petali di un fiore e se li contemplano: i piedi (la metafora, così si arricchisce). … Sembrano una rosa… Con questo, non intendo che, alla rosa, siano mancate le spine.

DANILO                 - Sempre la frustrazione dei… cast incompleti? O sbaglio?

ALAIN                    - Sempre… Mettiamo l’ “Aida”… Altra utopia.

IVAN                       - Sfido, l’ “Aida”! Scherziamo? Le difficoltà dell’ “Aida”…! Se ne rende conto un corista.

DANILO                 -  Te le vai a cercare le rogne, abbi pazienza; c’è un limite a tutto.

IRMO                      - Credo anch’io, per quel poco che ne ho sentito parlare: tutta quella gente!...

ALAIN                    - Mai desistere dall’investigare: è il primo dovere e l’ultimo piacere di ogni essere umano. Certo, è follia sperare di presentarsi a uno sconosciuto e pretendere di sentirsi rispondere: “Piacere, Amonasro”, oppure: “Lieto di conoscerla, Ramfis”. Non ci sono in giro che nomi falsi o sbagliati: non si cancella, con un colpo di bacchetta magica, la tragedia dell’identità perduta. Tuttavia, le due donne fu meno difficile di quanto si poteva temere.

IVAN                       - Anche l’Amneris? Cosa mi dici!

ALAIN                    - Anche l’Amneris. Tre a tre.

IVAN                       - In Egitto?

ALAIN                    - In Egitto non esistono Aide, è l’errore di tutti; solo Cleopatre, Ramseti e Nefertiti. A Parma: la source; Parma è il supermarket dei verdiani di vita. Rifiutatevi di credermi: persino un Radames, parola d’onore. In un vicolo cieco, umido e stretto, però c’era.

DANILO                 - Eri a cavallo.

ALAIN                    - Con una gamba sola… Oddio, un Radames decrepito, inutilizzabile come una vecchia chitarra rotta. E sì, che a Parma dispongono persino di un Nabucco che non ha ancora finito il liceo e circolano fior di Ernani, torvi, splendidi e fluviali, coi pantaloni colmi d’amore, capaci, quando gli stringi la mano, convinto che tutto sia finito, di precipitarsi, in ginocchio, davanti, - viva la faccia – singhiozzando: “Fu delirio… t’amo ancor”… e, addio… “come rugiada al cespite d’un appassito fior…”. Resa a discrezione: cose così.

DANILO                 - Devo decidermi a fare un pellegrinaggio a Parma.

IVAN                       - … Io son del parere che dipenda dall’esserti fissato sul Verdi.

ALAIN                    - Non credere, son tutti uguali. Nella nobile famiglia del melodramma, spadroneggia la camorra dei nomi da paravento, come nella Resistenza… Adesso mi son rassegnato a collezionare qualche singolo personaggio. E anche lì, son più le sconfitte che le vittorie. Araldici eroi irraggiungibili, chiusi nell’usbergo incandescente del loro nome vero, come sotto una maschera inespugnabile. Nemmeno l’harem di un satrapo, di uno sceicco, di un maraja, oggi potrebbe permettersi una Dalida, una Didone, una Vespina, una Thais, una Turandot, una Semiramide… un Pollione! Una Rolls-Royce? È sufficiente una telefonata e un assegno… ma una Lorely?... Sogni! Non basta il petrolio a pagarsi la felicità.

DANILO                 - Che ti devo dire? Io trovo, in ciò, una specie di giustizia superiore: la prova dell’esistenza di Dio. Che debban aver tutto?!... E’ Dio! Son sicuro.

ALAIN                    - Sì, sì, lui può scegliere; il suo è uno sterminato gineceo dal battesimo facile: tutti nomi a portata di mano, che finiscono nelle canzonette, salvo qualche perdonabile eccentricità. Le difficoltà stanno quaggiù. M’è giunta voce di un Calaf – dico Calaf - , naturalmente incognito, guardato a vista da eunuchi perfidi e feroci e odalische lesbiche, nell’androceo della maharani del Giangipur, che lo sta distruggendo a suo uso e consumo, come una mantide religiosa – ed è atea - , ripagandolo con regali di migliaia di barili di petrolio alla settimana, che non sa che farsene, in mancanza di un’automobile per battersela. Sarà vero?... Ma raggiungerlo! Collezionismo d’elite.

IVAN                       - E, una volta raggiunto, ci starebbe, poi?... Sai, da quelle parti… son gente che non si può mai dire.

ALAIN                    - E’ il problema minore: a saperci prendere, ci si sta tutti; è nella natura dell’uomo. E poi, m’hanno assicurato che non ne può più. Non si vive solo di petrolio sottobanco.

IVAN                       -  Che c’entra Calaf con Verdi, scusa? Semmai, il responsabile è Puccini.

ALAIN                    - Te lo raccomando. Siamo sempre lì: Puccini aveva il complesso di Verdi. E esagerava peggiorando le cose: Cio-Cio-San, Lescaut, Yamadori, Sonora, Suzuki, Schicchi, Minnie, Pinkerton… non ce n’è uno pronunciabile. Sia con chi va un po’ meno male? Con Donizetti che, in fondo, era un uomo di buonsenso, eccezion fatta la fissazione di far morire tutti i tenori misteriosamente.

DANILO                 - E gli altri, no?

ALAIN                    - D’accordo, ma meno, e quasi sempre, con una ragione: una malattia, un veleno, il duello, la scure, il capestro, il pugnale… Donizetti no; i suoi tenori muoiono sempre in perfetta salute; decidono di morire, una bella romanza educata, e via, testardi, non c’è più niente da fare: defunti per cause morali o sentimentali. Dai dispiaceri! I medici non lo trovano naturale. Si può? Le morti cruente, che hanno un senso e danno soddisfazione a chi assiste, le riserba unicamente al soprano; tant’è vero che si prese la sifilide che si prese. È un po’ ingiusto, siamo giusti… Ciononostante, devo riconoscerlo, cuore e mente mi rimarranno appesi, fin che vivo, al si naturale – se non era un do – che mi sparò in faccia inondandomi i timpani e lasciandomi mezzo cieco, il suo Fernando, una sera di gennaio, mentre, intorno alla Scala, Milano si copriva di neve.

IRMO                      - Mai sentito nominare. Chi è?

ALAIN                    - L’amante della Favorita, un’ Eleonora dal passato poco raccomandabile. Ne fa di tutti i colori. Si traveste fin da frate, ma senza vocazione.

IRMO                      - Lei o lui?

ALAIN                    - Lui, lui. Sono i suoi momenti migliori.

IRMO                      - Coi frati?

ALAIN                    - Coi dispiaceri. I frati sarebbero disposti a tutto per tirarlo su, ma lui rifiuta, non ne vuole sapere niente! Si lascia uccidere dalle campane e non vi dico altro.

IRMO                      - Gli cascano in testa?

ALAIN                    - Suonano. Campane e donne, guarda, Donizetti non capiva più niente.

IRMO                      - Ed è sufficiente che suonino?

ALAIN                    - Par di sì. Lui intende l’invito e spira senza far tante storie… E come gli dona il saio in agonia… d’un erotico!

IRMO                      - Strano suicidio, campane avvelenate, si vede.

ALAIN                    - A me, mi è bastato. Da quella sera, vivrei di tenori… e di campane, naturalmente.

DANILO                 -  Io di baritoni. Anche senza campane, ma, se ci sono, non mi disturbano.

IVAN                       -  … Non stento a crederlo. Di Fernandi ne trovi a bizzeffe. Più ancora di Marcelli e Rodolfi, son persuaso.

ALAIN                    - … Pur di far attenzione: nove su dieci hanno il vizio di farsi passare per Nandi. Tengono nascosto il Fer come un segreto di famiglia, per confondere le idee: è il loro cadavere nella stiva. Son fatti così.

IVAN                       -  Averlo saputo! Chissà quanti Fernandi mi son fatto, ritenendoli dei comuni Nandi.

ALAIN                    - Decine, puoi giurarlo. È la vita. Bisogna chiudere un occhio e mandar giù.

IVAN                       - Dici?

ALAIN                    - Senz’altro.

IVAN                       - Chi andava a pensare?

ALAIN                    - Adesso lo sai. Regolati, caro.

IVAN                       - Una parola. Se fosse facile!... Mica posso farmi mostrare la carta d’identità.

ALAIN                    - Una parola. È difficile… Ma perché no? Nel dubbio, io, sempre: avendo a che fare coll’essere più enigmatico che esista: il tenore è colui che non si sa mai da dove venga, raramente di cosa muoia ed è generalmente disoccupato. La sola caratteristica che lo contraddistingue è la nevrotica ostinazione di andar a letto colla primadonna per quanto repellente possa essere.

DANILO                 - Amici, bando alle malinconie. Non è il nome che conta, dopotutto.

ALAIN                    - Altro se conta! Soprattutto.

IRMO                      - Se son Fernandi, fioriranno.

IVAN                       - Tanto perché nessuno, su questo fragoroso pianeta asfaltato, possa dirsi identificato.

ALAIN                    - Voialtri non vi sognate nemmeno la voglia che infesta la malinconia delle mie notti fin dall’adolescenza, e mi dovrò portare, inappagata, nella tomba.

DANILO                 - Anche tu?...!

ALAIN                    - Cosa?

DANILO                 - I bassi? Ah i bassi!...

ALAIN                    - I bassi?

DANILO                 -  Io i bassi. I bassi non barano: nome e cognome controllabili sempre. A posto colla religione, se la loro professione è sacerdote; e, se no, mai meno di becchi o di re. E quando dormono, dormono soli, nei loro manti regali, col posto a fianco sempre libero, a disposizione; ospitalissimi. Non gli par vero. I bassi ti riconciliano colla gerontofilia. Io me la son beccata dopo un “Mosè”.

ALAIN                    - Però dormono. I tenori, generalmente, tendono all’insonnia e si trovano in giro di notte, per duelli e serenate, a stomaco vuoto, senza bere e senza mangiare. A letto ci stanno solo per due cose: a far l’amore o ad aspettare di farlo, dopo aver cantato una romanza d’amore per distrarsi dalla fatica di farlo, sperando che il pubblico non se ne accorga; è, invece fa solo finta di niente.

IVAN                       - A proposito, hai lasciato in sospeso al tua voglia. Che è, che è?

ALAIN                    - Irrealizzabile. Tanto vale… Purtroppo, è anche lui come gli altri.

IRMO                      - No, che comincio a essere curioso anch’io e imparo qualcosa.

DANILO                 - Sempre nel registro di tenore, mi figuro.

ALAIN                    - Che posso farci se ho più simpatia per i tenori che per i bassi?

DANILO                 -  E tenore sia. Io sono un po’ gerontofilo, ve l’ho detto. Verrà anche per te la stagione dei bassi.

ALAIN                    - Il principe Igor! Sì, la fantasia dell’incontro privato con un principe Igor mi devasta il corpo e il pensiero, togliendomi il sonno. È più forte di me.

DANILO                 - Hai detto niente! La miseria! Il principe Igor: principe, russo e in pieno marxismo! Sei nemico di te stesso. Ma dico!...

IRMO                      - Cala, cala.

IVAN                       - ALAIN, gioia, son qua io. Non ascoltarli. Se posso esserti utile, non farti riguardi, conta su di me.

ALAIN                    - Che c’entri tu? Igor, ho detto, mica IVAN. Se c’è una cosa che mi avvilisce è stringere fra le braccia una persona e chiamarla col nome di un’altra come fa la maggior parte. Non si deve: mai: un falso in atto pubblico, osceno e disonesto.

IVAN                       - E’ vero, mi chiamo “anche” IVAN, ma il mio primo nome è Igor e nasco pure nobile. DANILO, che m’è fratello e si chiama Vladimiro, lo sa.

IRMO                      - Non c’è un nome che corrisponda!

IVAN                       - … Non ne faccio uso e adopero il secondo perché sono democratico e disdegno di passare per snob. Sai, coi tempi che corrono e il passaporto U.R.S.S…. Però, quando si tratta di un favore a un amico, non son certo uno che si tira indietro. Parola: me ne avrei a male. In Moscovia, l’amicizia è sacra. Sognavi il principe Igor? Tieni il segreto e prendimi.

ALAIN                    - Che Dio ti benedica!... Vedi la vita? Hai la provvidenza a tiro, un fratello ti allunga la mano e passi oltre senza accorgertene… IRMO, te invidiabile che senti pronunciare questi nomi sublimi e terribili, tracimanti di destino, per la prima volta.

IRMO                      - Son contento lo stesso. Ti ritrovo, in tutto al meglio. Ottimista e pieno di vita come un film di Renè Clair.

ALAIN                    -

TOBI                        - m’è venuto in camera a domandarmi scusa. È stato molto carino, col suo affetto rabbioso; quanto lui solo sa esserlo quando vuol esserlo e ha fatto la doccia. Come disse PABLO?... “Le mie mani sono ancora colme di lui”. Ci siamo scambiati gli odori e le vestaglie. Sto bene in blu? Bisogna vedere lui, in rosa: un sogno! Sa di corallo.

DANILO                 - Vuol morire.

ALAIN                    - La stessa cosa ho pensato io, mentre stringevo al cuore il dispiacere della mia vita. Ho scacciato subito l’idea. C’è voluto un po’, ma, annusandolo, l’ho scacciata: la Bibbia aveva ragione: “gli unguenti e i profumi rallegrano il cuore”.

IRMO                      - … Una domanda: temo che, in tutta la lirica non ci sarà un personaggio di nome

IRMO                      - … No, eh?...

ALAIN                    - No. Non c’è. Irreperibile.

IVAN                       - Ti dispiace?

IRMO                      - Beh, insomma… avrei preferito che ci fosse. Mi sarei sentito qualcuno.

IVAN                       - Non è un ostacolo insormontabile.

DANILO                 - Non ci si abbevera solo di romanze, nevvero, Al?

ALAIN                    - Un conto è il lusso dell’alto collezionismo, ben altro il casual del banale quotidiano. Mai dir mai, in tempi grami come i nostri. Ci son due cose che non si negano a nessuno: una sigaretta…

DANILO                 - … E…

ALAIN                    - Non si può dire.

DANILO                 - In un orecchio… Glielo porge, ascolta e si impensierisce… … Dipende; mai alla cieca…

ALAIN                    - Signore, fammi casto… non subito.

IVAN                       - Ti prendi troppa confidenza coi miracoli, Al. Vacci piano.

ALAIN                    - Per questo, gli lascio tempo… Ci si inginocchia anche per pregare.

IRMO                      - … E se mi facessi chiamare Loris: nome d’arte. M’è sempre piaciuto. Che ne dite?

IVAN                       -  Che bisogno ne hai? Non trovo. Oggi c’è troppo nominalismo a scapito della sostanza.

ALAIN                    - Tu, adesso, esageri, ragazzo. IRMO: un nome… d’arte ce l’hai, già, anche tu, e niente male, senza doverlo rubare al tenore della “Fedora”. Accontentati.

IRMO                      - Cosa non darei per conoscere all’ombra di che tenore ti sei messo al riparo tu!

DANILO                 - Sigfrido?

IVAN                       - Manrico?

IRMO                      - De Grieux?

DANILO                 - Lohengrin?

ALAIN                    - Tutti! Io mi sento “il” tenore.

IRMO                      - E non sopporti che

TOBI                        - ti abbia sottratto la parte.

ALAIN                    - Lui è

TOBI                        - ; glielo si cede volentieri, grati che l’accetti, tu, lingua di piccolo corista velenoso!

IRMO                      - Dicevo così per inserirmi, scherzando, nel discorso.

ALAIN                    - Esistono soggetti sui quali non si scherza: Caruso, tanto per intendersi, fa conto.

IRMO                      - Scusami, non intendevo.

ALAIN                    - Mi sa tanto che è proprio perché “intendevi”.

DANILO                 - Intendono tutti, appena arrivati.

IVAN                       - E anche in seguito. È l’ “aura” del sito. -9- Nell’attesa di assidersi intorno al gran tavolo opimo, apparecchiato da CHARLIE, la sala s’è andata affollando di una gaia e fluttuante assemblea di rigogliosi virgulti, variopinto bouquet, squillante di sete e velluti, nonché petulante di sussurri e malizie, nel riso effuso dell’innocenza sfacciata nella sensualità discinta, volubile e gaudiosa della calda ed alerte giovinezza, onde, con spontanea insolenza, prorompe. Son presenti tutti e più: il glorioso bordello al completo. Manca, ancora, solo TOBI          - al momento che giunge madame. L’atto di tendere a ciascuno la mano da baciare, passando tra loro è talmente consueto da non risultar, ormai, nemmeno avvertito consapevolmente dai partecipanti al rituale. Percorsa come una regina l’adunanza, e sedutasi, in centro al desco, fa cenno ai giovani sudditi di prendere posto. Ne rimane inoccupato solo uno, quello subito alla sua destra, un caso?...

MAIA                      - …Manca, ancora, TOBI. CHARLIE   - si alza per premere un pulsante sul quadro dei campanelli corrispondenti ai vari appartamenti dell’anomalo “college”. Breve attesa inconcludente; quindi solleva il ricevitore di un telefono interno e se l’appoggia all’orecchio, dopo aver composto un numero. Altra attesa altrettanto vana, mentre si va diffondendo, nei presenti, una certa stizza, presagio di nonsisaché. … E’ sempre in casa?

CHARLIE               - Certo che è in casa. Nessuno è uscito.

MAIA                      - Nelle sue stanze?

ALAIN                    - Ce l’ho condotto io nemmeno un’ora fa. Attendeva madame.

MAIA                      - Disse così?

ALAIN                    - Disse così, aggiungendo “è importante, ella verrà”.

DANILO                 - Palese reminiscenza pucciniana della “Tosca”.

MAIA                      - Tale, in effetti era la sua richiesta.

CHARLIE               - era presente.

CHARLIE               - Ero presente… Per lui, come non ci fossi… Sempre silenzio. Campanello e citofono suonano a vuoto… Si sente guaire il suo cane… Ancora niente… E’ un pianto, quel guaito. Fa senso.

MAIA                      - Lo si vada a chiamare. E scatta ALAIN, subito bloccato. … Tocca a CHARLIE. Il turno è il suo. CHARLIE   - si affretta a guadagnare la scala e a scomparire. Passa dell’altro tempo prima del suo riapparire. … Ebbene?

CHARLIE               - Nessuna risposta, madame.

MAIA                      - Si sarà addormentato. Disse di essere stanco.

ALAIN                    - Con me non lo era; né disse, né dette segno, né finse di esserlo. Fu alacre dalla testa ai piedi.

MAIA                      - Entra e sveglialo. Non può costringere tutta la casa ad aspettarlo.

CHARLIE               - La porta è chiusa a chiave.

MAIA                      - Da quando è invalso l’uso, tra voi, di chiudervi dentro a chiave?

CHARLIE               - E’ chiusa dal di fuori, madame.

MAIA                      - Aprila. Che aspetti?

CHARLIE               - La chiave è scomparsa.

ALAIN                    - Io l’ho lasciata aperta e la chiave stava dentro alla toppa.

PABLO                    - Evidente che qualcuno è entrato da lui dopo di te.

DANILO                 - Non v’è dubbio, se aspettava madame.

MAIA                      - Non essere così sicuro di ciò di cui non sei sicuro, tu.

ALAIN                    - Era in attesa della sua visita, madame…

TOBI                        - non ha mentito mai.

MAIA                      - Significa, forse, che mi ci sia recata?

ALAIN                    - Chi altri se la chiave è scomparsa?

MAIA                      - Ognuno poté averne la possibilità, il primo tu. È un perpetuo andare e venire tra di voi, a tutte le ore: deve finire.

ALAIN                    - Non può essere, certo, a votre-dame che dispiaccia. Non le par vero e non si sa perché.

MAIA                      - Si riconsegni la chiave a CHARLIE. Non son scherzi degni di voi, ragazzi. Né agevolano, né contrastano le vostre espansioni. Quale a cenni, quale a monosillabi, intimidito, ognuno nega d’averci a che fare. Aleggia un vago malessere. … Che si attende? Si sfondi l’uscio, se necessario.

TOBI                        - deve star qui. Un’esitazione appena, e tutti sciamano in alto. Unico eccettuato: IRMO, impeditone dalla voce e dal gesto di lei. Tu no. Fermati. Soli loro due. Nelle mani della signora è comparsa la catena col medaglione di TOBI, e la infila al collo del giovanotto.

IRMO                      - Ma appartiene a TOBI - …

MAIA                      - Appartiene a chi ne è degno, quando dia segno di esserne degno… e fintanto che se ne “senta” degno.

IRMO                      - No, no… Perché io?... Si sbaglia… io, no.

MAIA                      - Niente domande. Adesso tocca a te portarlo.

IRMO                      - Che significa?...

MAIA                      - … e attenzione a non privartene… A contatto della pelle, che sia sempre incalorito di essa e impregnato del suo afrore. Non lì, sopra, alla vista di tutti. Sono investiture fatali… predestini che possono costar cari.

IRMO                      - Non lo voglio. Me ne esoneri. Non mi piacciono riti del genere.

MAIA                      - E’ inevitabile. Tutti di nuovo, impetuosamente, tra sgomento e orrore, preceduti da tre grida di ALAIN: “TOBI!... TOBI            - … TOBI!...”

CHARLIE               - Morto. Steso sul letto… Pallido e composto: intatto. Con tutta la triste vergogna del mondo sul viso; e lo sguardo perso nell’assoluto di lontananze inattingibili, folgorato da una verità omicida. Evirato!!

ALAIN                    - Chi è stato?... Chi, chi?

MAIA                      - Chi?!... Non c’è uno che non avesse, confessato o no, una ragione di rimuoverlo dalla comunità. Li fissa tutti, uno ad uno; e, uno ad uno, si fissano tutti senza protestare… Regia! Era divenuto un corpo estraneo, già uscito dal Sistema.

ALAIN                    - Polizia, polizia!...

PABLO                    - Il destino della libertà dell’uomo: figurarsi se son problemi per la polizia, Al!...

MAIA                      - Non sarebbe che l’ultima degradazione. Nel migliore dei casi, solo perder tempo.

ALAIN                    - Perder tempo!? MAIA, eterna assassina! È chiaro alla fine, tutto un piano infernale: il piacere una morale, la gioia un dovere, la diversità un diritto, nella totalità del sesso proteiforme e indiscriminato; e la promiscuità come fratellanza e la prostituzione… missionaria: altrettante tagliole disposte lungo il cammino: donarsi a tutto e a tutti al fine di non appartenere mai a nessuno: possesso esclusivo di una divinità spietata. E quando una tagliola non funziona più: eliminati: “Mes enfants pour mon enfant”. Lui sciolse l’enigma perché incarnava l’enigma stesso: altrettanti fuchi castrati per un’ape regina sterile, la libertà strumento di schiavitù.

MAIA                      - Sragioni! Che dici? Che dici?

ALAIN                    - Dico di lei!

MAIA                      - E lui? E lui? E lui? E lui? E lui? E lui? E lui?... E tu?...? Se fu delitto, fu delitto di ognuno. Correi tutti.

ALAIN                    - Ma io l’amavo!! Capite?!...

MAIA                      - Non solamente tu. Suicidio, Al. Solo così puoi trovare il conforto di piangertelo. Suicidio. E un’inequivocabile occhiata, perentoria intesa di comando, a CHARLIE, il quale risponde obbediente, a testa china.

CHARLIE               - Non faceva che ripetermi di voler uscire da questa vita.

ALAIN                    - Quando, se era lui stesso la vita?

CHARLIE               - Quando mi teneva stretto fra le braccia.

ALAIN                    - Menti, CHARLIE, menti!

DANILO                 - Non era più lui, da un po’ di tempo, ha ragione la signora. Anche il gemello di rincalzo, e ogni altro, in viso, un sì.

IVAN                       - Cambiato da tanto a tanto, dice bene madame.

ALAIN                    - Mentite… Perché menti, CHARLIE?... Non abbassare il capo… guardami negli occhi… Giura! Te che l’hai amato colla disperazione di chi non ha speranza… e cercavi di trovarmi addosso una traccia di lui?...! CHARLIE, sentivo scorrere le tue lagrime tra le mie ascelle…

PABLO                    - La possibilità dell’impossibile…

ALAIN                    - Via quella mano, lei, madame; dove passarono le sue, via!

MAIA                      - … ALAIN, caro, non così.

ALAIN                    - … La sua prima carezza, a contrabbando d’una menzogna. Via… Via… Mentite tutti.

MAIA                      - E tu, sei certo, tu, di possedere la verità? La tua verità? Quella cui, nemmeno a te stesso, è dato renderti conto?

ALAIN                    - Io dico solo che son rimasto solo: un frutto tagliato a metà.

PABLO                    - Tutti sospetti, nessuno colpevole. Sennò, non è vita.

ALAIN                    - Tutti colpevoli, nessuno sospetto. È questo vivere? E rompe in un pianto convulso, medicato dalle carezze silenziose, finalmente accettate, di lei, sulla nuca. -10-Tra qualche secolo. Dopo che s’è fatto udire un campanello echeggiare, più volte, in distanza, addotto per mano dell’immutabile CHARLIE, spontaneo e sorridente, nella sua smilza e fragile indolenza anarchica, entra, ambiguo, il giovane ignoto che si ferma a guardarsi intorno incantato.

CHARLIE               - … TOBI?... TOBI… Sì, mi pare…

TOBI                        - … un suicida, anche lui. Devo averne sentito vagamente parlare… Sì… Invitto, nel suo letto… Composto e casto, gli occhi spalancati all’ombra delle lunghe ciglia… raggiante nello splendore del surplus di bellezza che è il dono arcano onde la morte risarcisce la spoglia di coloro che ruba, giovani, alla terra… Lasciò un amico che non si dette pace… e, poi, dimenticò… Sì, sì,

TOBI                        - … Vivere senza

TOBI                        - … Ma si trattava del suo nome?... Zoppicava, impercettibilmente, come te, ho una vaga idea. Accadde tanto tempo fa… Non farne parola con lei. Non ama discorrere delle persone care che ha perso… Eccola. E’, effettivamente, in arrivo. Non sorprenderti di niente. La chiamano Madame-mystère. Ci tiene. Ma tu non dirglielo. Se ne risente. Col tempo, si è fatta permalosa e irta di sospetti… non è più vita, bisogna aver pazienza, non farci caso, sorridi… E’ arrivato, signora.

MAIA                      - Va bene, CHARLIE. Niente altro. Ora lasciaci soli. E che non si origli.

CHARLIE               - Come comanda. Un inchino a lei; uno sguardo, un sorriso, a lui, ed è ciò che fa…

MAIA                      - Come sei arrivato finquassù?

L’IGNOTO              - Ho avuto l’impressione di essere atteso.

MAIA                      - Dici?

L’IGNOTO              - … Qualcosa stabilito da sempre…

MAIA                      - Come ti chiami?

L’IGNOTO              - Edo.

MAIA                      - Edo?

L’IGNOTO              - Edo.

MAIA                      - … Edo… Edoardo?

L’IGNOTO              - Edo: Edipo, madame.

MAIA                      - Finalmente. Edipo. Sei il primo che si presenta col suo vero nome. -11-Estranei, vestiti e calzati come noi, un braccio a cingersi le spalle l’uno dell’altro, valicando disinvolti, la ribalta per dileguare attraverso la platea illuminata a giorno, mentre il pubblico fischia e fa altre cose indecorose, di cui approfittano i manigoldi delle gazzette, in agguato, nell’affilare, inosservati, la punta del loro lapis per il piscio a bagnomaria delle cronachette di domani. Peste ai sicari della critica teatrale!

IRMO                      - Però, hai visto? Non ha arrischiato di confessargli il suo.

ALAIN                    - E’ la sua dannazione.

IRMO                      - O la sua gloria.

ALAIN                    - Non è ancora giunto il momento conclusivo del nero vaudeville.

IRMO                      - I tempi sono lunghi a maturare, Al.

ALAIN                    - Non matureranno mai, Ir. Dio non vuole. Ne ha una paura boia. A cominciare dal “madonnismo” della propria famiglia, occultamente, la maternità è sempre stata la sua maggior avversaria. Può, a malapena, sperare di ricacciarla indietro, nel… futuro; questo, almeno, è arrivato a comprenderlo. Si sta facendo, anche lui si sta “facendo”. E l’uomo, al solito, ne paga le spese.

FINE