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LE SMANIE PER LA VILLEGGIATURA

          gennaio  2005

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Commedia in due atti di

Mario Pozzoli

Cliccando Goldoni per una moda sempre di moda.

Questa commedia è tutelata dalla SIAE

A CHI LEGGE

<< L'innocente divertimento della vacanza è divenuto a' dì nostri una moda, una manìa, un disordine. […] L’ambizione ha penetrato nelle foreste, nelle ultime oasi della natura; i villeggianti portano seco loro in campagna la pompa ed il tumulto delle Città, e hanno avvelenato il piacere dell’amena tranquillità del ritiro. Quest’argomento è sì fecondo di ridicolo e di stravaganze, che ci ha fornito materia per comporre Commedie […] contro un simile fanatismo.

[…] Si vedono i pazzi preparativi, […] la folle condotta, […] le conseguenze dolorose che ne provengono.

[…] Non si è voluto prendere di mira un rango nobile e ricco; poiché i nobili e ricchi sono autorizzati dal grado e dalla fortuna a fare qualche cosa di più degli altri. Ma il ridicolo che si è cercato di porre in veduta è l’ambizione de’ piccioli che vuol sempre figurare coi grandi. >>

Carlo Goldoni

A CHI ALLESTISCE

Le musiche indicate possono essere altre (o non esserci), al gusto del regista.

Gli Audio 2,3,4,5,17,18, con battute sottolineate, devono essere registrati.

N.B.: Goldoni usa quasi sempre il VOI, ma a volte anche il LEI. Mi sono adeguato a questa           alternanza

                                                                                                                             Mario Pozzoli

__________________________________________________

PERSONAGGI

  1) LEONARDO                 

  2) VITTORIA                                  sorella di Leonardo

  3) PAOLO                                       cameriere di Leonardo e Vittoria - nobile decaduto

  4) FILIPPO                                     un ricco commerciante milanese un po’ sbruffone

  5) GIACINTA                                  figlia di Filippo

  6) BRIGIDA                                    cameriera di Filippo e Giacinta

  7) GUGLIELMO                             innamorato di Giacinta

  8) COSTANZA                              zia di Giacinta e sorella di Filippo

  9) FERDINANDO                         uno scroccone gaudente

10) FULGENZIO                             amico di Filippo e di Leonardo

11) UN CUSTODE

La scena si rappresenta in parte a casa di Leonardo, in parte a casa di Filippo e in parte in villeggiatura.

SCENE

PROLOGO :

In casa di Leonardo          Leonardo e Custode

           

                                  

ATTO PRIMO:

In casa di Leonardo          01)  Leonardo e Paolo

02)  Leonardo e Vittoria

03)  Leonardo, Vittoria, Ferdinando, Paolo

In casa di Filippo               04)  Filippo e Guglielmo

                                               05)  Filippo, Giacinta, Brigida

06)  Giacinta e Leonardo

In casa di Leonardo          07)  Vittoria e Paolo

08)  Vittoria, Paolo, Leonardo

09)  Vittoria, Leonardo, Ferdinando

In casa di Filippo               10)  Filippo e Brigida

11)  Filippo e Fulgenzio

12)Filippo, Giacinta, Brigida

13)Giacinta e Vittoria

In casa di Leonardo          14)  Leonardo e Vittoria

15)  Leonardo e Custode

16)  Leonardo, Paolo, Vittoria

In casa di Filippo               17)  Filippo, Fulgenzio, Guglielmo

18)  Filippo, Fulgenzio, Leonardo, Giacinta, Brigida

19)  Filippo, Fulgenzio, Leonardo, Giacinta, Brigida, Vittoria, Paolo

ATTO SECONDO:

In casa di Leonardo          20) Leonardo e Paolo 

                                               21) Paolo e Brigida

In villeggiatura                   22) Giacinta e Brigida

                                               23) Giacinta, Guglielmo, Leonardo

In casa di Leonardo          24) Paolo e Brigida

In villeggiatura                   25) Giacinta, Costanza, Brigida, Ferdinando

In casa di Leonardo          26) Paolo e Brigida

In villeggiatura                   27) Costanza, Ferdinando, Vittoria

In casa di Leonardo          28) Paolo e Brigida

                                               29) Paolo e Vittoria

                                               30) Vittoria e Ferdinando

In casa di Filippo               31) Brigida e Giacinta

                                               32) Brigida e Guglielmo

                                               33) Brigida, Guglielmo, Leonardo

                                               34) Leonardo, Brigida, Paolo

                                               35) Leonardo e Fulgenzio

                                               36) Fulgenzio e Filippo

                                               37) Giacinta, Brigida, Vittoria

                                               38) Giacinta, Brigida, Vittoria, Guglielmo, Ferdinando

                                               39) Giacinta, Brigida, Vittoria, Guglielmo, Ferdinando, Filippo

                                               40) Giacinta sola

                                               41) Vittoria, Guglielmo, Ferdinando, Costanza, Brigida

                                               42) Vittoria, Guglielmo, Ferdinando, Costanza, Giacinta, Leonardo,

Filippo, Fulgenzio, Brigida, Paolo, Custode
PROLOGO

Leonardo e Custode

In casa di Leonardo

­- AUDIO 1   Sequenza (15 secondi circa per brano) di: 

                                 Eine kleine nachtmusik                (W. Amadeus Mozart)

                                 La donna è mobile                         (Piave, Verdi)

                                 Parlami d’amore Mariù                  (Bixio, Neri, Sevier)

                                 Nel 2000                                           (Martino, Brighetti)

                                 Stessa spiaggia, stesso mare       (Mogol, Soffici)       

                                                           Rumore apertura di una porta.

Ogni mobile, fondale e oggetto è coperto da teli bianchi, ma sporchi.

                                      Entra il custode e dopo un attimo entra anche Leonardo.

                                      Leonardo, sopra i vestiti che userà durante la commedia, indossa un cappello, una sciarpa ed ha in mano un bastone da passeggio.

CUSTODE:                 Perdoni, signore, ma non è consentito.

LEONARDO:              Bisogna dire che vi siano de’ gran motivi.

CUSTODE:                 Il posto è vecchio e malsicuro.

LEONARDO:              Lo so. Mi basta uno sguardo; da qui. Una curiosità mia.

CUSTODE:                 E’ pericoloso entrare, ma io tutti i giorni lo debbo fare. Si deve verificare che nessuno si sia introdotto di nascosto.

LEONARDO:              Sta crollando… L’ha acquistata il Comune?

CUSTODE:                 Un paio d’anni fa.

LEONARDO:              Chissà con quale proposito?

CUSTODE:                 Io lo so! Ma non devo dirlo. Però se me lo domanderete ancora una volta, non so se resisterò!

LEONARDO:              Chissà con quale proposito?

CUSTODE:                 Un museo!

LEONARDO:              Un museo… La mia casa…

CUSTODE:                 Vostra?!

LEONARDO:              Un tempo era nostra.

CUSTODE:                 Come, come?!

LEONARDO:              Apparteneva alla mia famiglia. Tutto lo stabile. Poi la mia dabbenaggine ha dissipato tutto. E il fatto più insulso rimane che ho sperperato l’intero mio patrimonio non per vivere bene tutto l’anno, ma per andare in vacanza; anno dopo anno, in vacanza.

- AUDIO n. 2   Voce registrata di Paolo

VOCE PAOLO:           Signore, al suo ritorno ella avrà una folla di creditori che l'inquieteranno.

LEONARDO:              Guardate. Proprio qui ho vissuto gli anni della mia età più felice. Non quest’odore di muffa, ma profumo di pulito. Un profumo buono, dolce, piacevole…forse il profumo della mia giovinezza.

CUSTODE:                 Ne parlate con tale entusiasmo che pare sentirlo.

LEONARDO:              Qui c’era un baule, per riporre la biancheria e i vestiti per la vacanza.

                                      (lo scopre)

CUSTODE:                 Sembra proprio di vederlo.

- AUDIO n. 3   Voci registrate di Paolo, Vittoria e Leonardo

VOCE PAOLO:           Non so, s'io debba riempire o svuotare.

VOCE VITTORIA:      Riempite.

VOCE LEONARDO:  Disfate.

VOCE VITTORIA:      Io butterei volentieri ogni cosa dalla finestra.

VOCE PAOLO:           (Cerco subito una finestra).

VOCE LEONARDO:  Principiate a buttarvi il vostro “mariage”.

VOCE VITTORIA:      Sì, se non vado in campagna, lo straccio in centomila pezzi.

LEONARDO:              E qui due sedie.Erano rosse, fiammanti…(le scopre)

CUSTODE:                 Pare proprio ch’esse siano ancora lì. Oh, ma cos’avete? Non state bene?

LEONARDO:              Un attimo di malore…

CUSTODE:                 Sedete, sedete un momento. Vado al caffè a prendere qualcosa? Un poco d’acqua, un cordiale…

LEONARDO:              (si siede vicino al baule) Non fa nulla. Non fa nulla. Sto già meglio. Forse è l’emozione dei ricordi… La felicità svagata; l’innamoramento…

- AUDIO n. 4   Voce registrata di Giacinta

VOCE GIACINTA:      Se non mi amate, lasciatemi, e se non sapete amare, imparate.

CUSTODE:                 Beh, se veramente vi siete ripreso, io andrei a fare il mio solito giro.

LEONARDO:              Andate, andate pure. Ora sto bene.

                                      Il Custode esce e Leonardo si alza e si dirige verso le sedie

- AUDIO n. 5   Voce registrata di Vittoria

VOCE VITTORIA:      Signor fratello, non sapete voi che la mancanza di un abito alla moda può far perdere il credito a chi ha fama di essere di buon gusto? Un vestito novo ci vuole, è necessario, e non si può far senza. Senza “mariage” non parto!

LEONARDO:              (ricorda) Senza “mariage” non parto…

                                      - AUDIO n. 6   Eine kleine nachtmusik (Mozart)

                                      Paolo entra e toglie tutti i teli bianchi, li piega e li ripone nel baule. Poi riporrà degli abiti e della biancheria sempre nel baule.

                                     

                                      Leonardo nel frattempo si toglie cappello, sciarpa, bastone e li depone in un punto, ben visibile, dove rimarranno per tutta la commedia.


ATTO PRIMO

SCENA  1

Leonardo e Paolo

LEONARDO:       Paolo!

PAOLO:                Comandi.

LEONARDO:       Che fate in questa camera? Si han da fare cento cose e voi perdete tempo, e non se ne esegue nessuna.

PAOLO:                Perdoni, signor Leonardo. Credo che allestire il baule sia una delle cose necessarie.

LEONARDO:       Ho bisogno di voi per cose più importanti. Il baule fatelo riempire dalle donne.

PAOLO:                Le donne stanno intorno alla padrona.

.

LEONARDO:       Questo è il difetto di mia sorella! Per andare in villeggiatura non le basta un mese per allestirsi. Si fa fare nuovi vestiti, ha da comperare una quantità di cose inutili, senza delle quali sembra non possa vivere.

PAOLO:                Oggi, signore,  la campagna è di maggior soggezione della città.

LEONARDO:       Sì, è pur troppo vero. Chi vuol figurare nel mondo, convien che faccia quello che fanno gli altri. D’altra parte la nostra villeggiatura mi impone mille obblighi e Ia necessità di far più di quello che potrei fare.

PAOLO:                Ne so pur io qualcosa. Possedevo una fortuna…

LEONARDO:       Lo so.

PAOLO:                Vi sia d’esempio.

LEONARDO:       Ora non assalitemi di bel nuovo con le vostre storie! Al dunque: ho bisogno di voi. Si ha da partire prima di sera e voglio che ogni cosa sia pronta.

PAOLO:                Ella comandi, ed io farò tutto quello che potrò fare.

LEONARDO:       Prima di tutto il necessario per imbastire la tavola: chi m’assicura, che non vengano delle truppe d'amici? Convien essere preparati.

PAOLO:                La prego perdonarmi se parlo troppo liberamente, ma l’esperienza me lo insegna. Vossignoria non è obbligata di fare al pari di coloro che hanno più possibilità di lei.

LEONARDO:       Io non ho bisogno che il mio cameriere mi venga a fare il pedante.

PAOLO:                Non parlo più!

LEONARDO:       Purtroppo la mia villa è contigua a quella del signor Filippo. Egli è avvezzo a trattarsi bene; è uomo splendido e generoso; le sue villeggiature sono magnifiche, ed io non ho da scomparire in faccia a lui.

                               Andate ora e comperate il necessario, e il superfluo.

PAOLO:                Si ha da pagare.

LEONARDO:       (estrae il libretto degli assegni e si accinge a compilarne uno)

PAOLO:                Quelli nessuno più li vuole. Il conto del signor Leonardo è: “rosso profondo”! E si ha da pagare.

LEONARDO:       Dite che pagherò al mio ritorno. Con comode rate.

PAOLO:                Compatisca; ma appena ieri mi dissero che prima di far conto nuovo, vorrebbero essere pagati del vecchio.

LEONARDO:       Allora andate altrove e dite che pagherò al mio ritorno. Con comode rate.

PAOLO:                Benissimo.

LEONARDO:       Andate ad acquistare poi carte da giuoco; e soprattutto che non manchino bevande e liquori.

PAOLO:                Anche qui si ha da pagare.

LEONARDO:       Siete pesante! Dite che pagherò al mio ritorno. Con comode rate. Bisogna poi fissare il viaggio. Andate in agenzia.

PAOLO:                Lì, se non porto contanti, sarà difficile, signor Leonardo, che si possa…

LEONARDO:       Dite che non ero in casa e che pagherò al mio ritorno…

A DUE:                 …con comode rate.

PAOLO:                Signore, al suo ritorno ella avrà una folla di creditori che l'inquieteranno.

LEONARDO:       Voi m'inquietate più di tutti. Ogni anno diventate più impertinente.

PAOLO:                Ella è padrona di mandarmi via. Ma io, se parlo, parlo per l'affezione che le porto.

LEONARDO:       Impiegate il vostro amore a servirmi e non a seccarmi! Andate ora  dal signor Filippo e ditegli che verso le diciotto partiremo insieme. Alla sua figliola, la signora Giacinta, dite che mando a riverirla. Osservate frattanto se vi fosse il signor Guglielmo.

                               (Non posso soffrire che Giacinta tratti con lui. Ella dice che è solo amico di casa, ma io non sono in obbligo di credere a tutto.) (a Paolo) Non v’è altro.

                              

PAOLO:                Parto.      (Passerà poco tempo che le grandezze delle vacanze lo ridurranno miserabile nella città. Ma forse il signor Leonardo fa il giusto, perché dopo la nostra dipartita, siamo dimenticati da tutti, anche dai nemici, ma non dai creditori! Fai più debiti che puoi e vivrai nella memoria degli altri!) (parte)

SCENA  2

Leonardo e Vittoria.

                              

VITTORIA:            (entra) Signor fratello, è egli vero che si ha da partire questa sera?

LEONARDO:       Sì certo. A diciott’ora. Non si stabilì così fin da ieri?

VITTORIA:            Ieri vi ho detto che sperava di poter essere pronta, ma ora vi dico che non lo sono. Assolutamente per oggi non si può partire.

LEONARDO:       Questa è nuova! E perché mai?

VITTORIA:            Perché il sarto non ha terminato il mio “mariage”.

LEONARDO:       Che diavolo è questo “mariage”?

VITTORIA:            È un vestito all'ultima moda.

LEONARDO:       Ah! Beh, la partenza non si può differire. Siamo in concerto d'andare insieme col signor Filippo e colla signora Giacinta.

VITTORIA:            Tanto peggio!

LEONARDO:       Farete senza quel “coso” lì!

VITTORIA:            E’ di buon spirito, il signor fratello!

LEONARDO:       Di abiti ne avete in abbondanza; potete comparire al pari di chi che sia.

VITTORIA:            Io non ho che anticaglie.

LEONARDO:       Non ve ne avete fatto uno da Valentino il mese passato?

VITTORIA:            Tutti hanno già avuto l’occasione di ammirarlo. Un vestito novo ci vuole, è necessario, e non si può far senza. Senza “mariage” non parto!

LEONARDO:       Se non verrete voi, ci anderò io.

VITTORIA:            Voi celiate! Senza di me?

LEONARDO:       Dunque risolvetevi di venire.

VITTORIA:            (la collera cresce) Maledetta la mia disgrazia! Signor fratello, non sapete voi che la mancanza di un abito alla moda può far perdere il credito a chi ha fama di essere di buon gusto? Piuttosto che venire senza il mio “mariage”, mi contenterei d'avere una malattia!

LEONARDO:       Il Cielo vi conceda la grazia.

VITTORIA:            (sdegnata) Che mi venga una malattia?

LEONARDO:       (ci gioca) No… che abbiate l'abito e che siate contenta. Ora acchetatevi, arriva il signor Ferdinando. Non vi fate scorgere in questo stato.

VITTORIA:            Io non mi prendo certo soggezione di questo insulso scroccone. E non m’intendo perché anche quest'anno vogliate ospitare nella nostra villa un canchero simile.

LEONARDO:       Perché in vacanza tutti procurano d'avere più gente che possono; e chi più ne ha, più è stimato. Ferdinando poi è persona che sa giocare a tutto, è sempre allegro, fa onore alla tavola, e intrattiene le dame senza troppo infastidirle.

SCENA  3

Leonardo, Vittoria, Ferdinando, Paolo

FERDINANDO:   (entra. A Leonardo)  Mio caro, mio caro, mio caro. Il mio rispetto alla signora Vittoria.

VITTORIA:            Serva vostra.

LEONARDO:       Signor Ferdinando. Allora, siete dei nostri?

FERDINANDO:   Solo se mi promettete che non si dovrà andar a letto a quattr’ore.

VITTORIA:            Oh no! Io se vado a letto prima dell'alba, non è possibile che prenda sonno.

LEONARDO:       Da noi sapete come si fa. Si gioca, si balla, e il più delle volte si vede il sole sorgere.

FERDINANDO:   Miei cari, questo si chiama vivere! Il sole sorge: si fa colazione e si va a letto.  Ma, cari amici, a che ora si parte?

VITTORIA:            Non si sa ancora. L'ora non è stabilita.

FERDINANDO:   Ci sono difficoltà?

VITTORIA:            Vi potrebbe essere una piccola difficoltà.

FERDINANDO:   Miei cari, se non siete sicuri di partire, dite liberamente. Se non vado con voi, anderò con qualchedun altro.

VITTORIA:            (E’ il tipo che, per cuocersi due uova, vi brucerebbe la casa!)

PAOLO:                (entra. A Leonardo) Signore, sono qui.

LEONARDO:       (a Ferdinando) Con licenza.

PAOLO:                (Il signor Filippo la riverisce e dice che l’orario è di suo gradimento. La sua figliuola, la signora Giacinta, sta bene e lo sta attendendo.)

LEONARDO:       (E di Guglielmo mi sai dir niente?)

PAOLO:                (Mi assicurano che questa mattina non si è veduto.) (andrà a riempire il baule)

LEONARDO:       (Benissimo.) Allora si parte a diciott’ora!

VITTORIA:            Ma se quell'affare non fosse in ordine?

LEONARDO:       Ci sia o non ci sia; venite o non venite, io partirò alle diciotto. Paolo, preparate!

FERDINANDO:   Ed io per le diciotto sarò qui, pronto.

LEONARDO:       Sono in impegno per una scioccheria. Vi lascio. Servo vostro. (parte)

FERDINANDO:   Riverisco.

VITTORIA:            Paolo!

                               .

PAOLO:                Signora.

VITTORIA:            Siete stato dalla signora Giacinta?

PAOLO:                Sì, signora.

VITTORIA:            L'avete veduta?

PAOLO:                L'ho veduta.

VITTORIA:            E che cosa faceva?

PAOLO:                Si provava un abito nuovo.

VITTORIA:            (smania)  (Oh maledizione! Se non ho il mio, non parto assolutamente!)

FERDINANDO:   (Ch'ella pure vorrebbe un vestito nuovo e non ha denari per farselo? Già, tutti lo dicono: fratello e sorella sono due pazzi. Spendono più di quello che possono, e consumano in un mese di vacanza quello che basterebbe loro per un anno in città.)

VITTORIA:            Paolo.

PAOLO:                Signora.

VITTORIA:            Correte (forte, per farsi sentire da Ferdinando) da Armani e dite che assolutamente, in termine di tre ore, voglio che il mio “mariage” sia pronto.

PAOLO:                Sì, signora, subito corro. (parte.)

FERDINANDO:   Perdonate, ma il vestito lo pagate subito?

VITTORIA:            (Ma guarda costui che insolente!) Lo pagherò al mio ritorno.

FERDINANDO:   Brava. Con comode rate.

VITTORIA:            (acida) Signor Ferdinando, perdonate, ma diverse occupazioni mi attendono.

FERDINANDO:   Padrona, cara Vittoria.

VITTORIA:            Serva vostra, signor Ferdinando. (parte)

FERDINANDO:   (Bel costume! Far figura in vacanza con i soldi altrui. Bel costume davvero!) (parte)

SCENA  4

Filippo e Guglielmo

In casa di Filippo.

                               - AUDIO n. 7   Pinne, fucile ed occhiali (Rossi, Vianello)

GUGLIELMO:      (entra) Signor Filippo, servo vostro.

FILIPPO:               Signor Guglielmo. Venite, venite!

GUGLIELMO:      So che oggi ella va in vacanza e sono venuto ad augurarle buon viaggio e buona villeggiatura.

FILIPPO:               Obbligato, caro amico. In quanto a me ci sarei già da un bel mesetto. (sogna) La mia barchetta, il sole, una bevanda bella fresca…

GUGLIELMO:      Ma non siete voi il padrone? Perché non andate quando vi pare, e non tornate quando vi comoda?

FILIPPO:               Eh, tèl lì! Certo che potrei fare vacanza tutto l’anno, ma se dico d'andare fuori stagione, non c'è un cane che mi venga dietro. Anche mia figlia, la Giacinta, alza il grugno. E così si va quando vanno gli altri, che volete? E voi? Raccontate un po’ su di voi.

GUGLIELMO:      Non so; non ho ancora fissato. (Ah, se potessi andare in vacanza con lui e   con l'amabile sua figliuola!)

FILIPPO:               Ascoltate questa: perchè non venite con noi?

GUGLIELMO:      Oh, signor Filippo, io non oserei di dare a voi quest'incomodo.

FILIPPO:               Ma no, ma no, ma che incomodo. Uè, io non sono uno di troppe cerimonie. Se volete venire, vi esibisco un buon lètto, una tavola sempre imbandita ed un cuore aperto agli amici. Ma se non volete venire, non mi offendete mica!

GUGLIELMO:      Non so che dire. Siete così obbligante…

FILIPPO:               E allora: affare fatto. Venite, e stateci fin che vi pare.

GUGLIELMO:      E a quale ora avete stimato di partire?

FILIPPO:               Col signor Leonardo si era intesi per le diciotto.

GUGLIELMO:      Il signor Leonardo farà il viaggio con voi?

FILIPPO:               Sì, ho destinato d'andare con lui e con sua sorella, la Vittoria. Sapete, le nostre ville al mare sono vicine e siamo amici. L’è un po’ un barlafuso, nè, il Leonardo, ma l’è un bravo fieu, dai, non si può dir niente.

GUGLIELMO:      (Leonardo e Vittoria, che persone odiose!)

FILIPPO:               Ci sono difficoltà? Gh’è un quei cos che va no?

GUGLIELMO:      No, signor Filippo, va benissimo. Anzi è la maggiore finezza ch’io possa ricevere. Se mi concedete licenza, anderò subito a preparare le mie cose.

FILIPPO:               Andate, andate.

GUGLIELMO:      A buon rivederci. (parte)

SCENA  5

Filippo, Giacinta, Brigida.

FILIPPO:               Ma…! El su no. No, perchè, ora che ci penso, non vorrei mica che mi criticassero, èh: invitare un giovane avendo una figliuola da maritare. Ma dai, cosa sto a raccontarmela su? Mia figlia è savia, è bene educata. Un angelo!

GIACINTA:           (entra seguita da Brigida) Signor padre, mi favorisca altri soldi.

FILIPPO:               Un angelo! Ué, cicèti, per far che cosa?

GIACINTA:           Per pagare il “mariage”.

FILIPPO:               E cousa l’è mai ‘sto “mariage”?

GIACINTA:           Ma in che mondo vivete? E’ un abito.

FILIPPO:               Ma ne hai pieni gli armadi!

BRIGIDA:             Fa morir dal ridere il signor padrone. Quelli son vecchi.

FILIPPO:               Appena fatti.

GIACINTA:           Superati.

BRIGIDA:             Vecchiume.

GIACINTA:           Fuori moda.

FILIPPO:               Una valanga de dané!

BRIGIDA:             Goffaggini.

GIACINTA:           Sorpassati.

BRIGIDA:             Anticaglie.

FILIPPO:               Hou capìi! Hou capìi! E in un solo mese sono divenuti tutte ‘ste cose?

BRIGIDA:             Ma non sa il signore che quello che si usa un mese, non si usa l'altro?

FILIPPO:               No, eI su no!

 

BRIGIDA:             Bel figuro!

FILIPPO:               E come mai lo spendere non passa mai di moda?

BRIGIDA:             Mi pare che la signora Giacinta sia delle più econome. Si contenta del puro bisognevole, e niente più.

FILIPPO:               Ma pensa!

BRIGIDA:             Date un'occhiata in vacanza a quello che fanno le altre, e me la saprete poi raccontare.

                              

FILIPPO:               Figliuola mia, siete un angelo, lo dico sempre. (le fa un assegno)

GIACINTA:           Non mettete la cifra.

FILIPPO:               Ma certo! Che stupido! Perchè mettere la cifra? E’ così bello vivere pericolosamente! (glielo dà)

GIACINTA:           A che ora si parte?

FILIPPO:               Alle diciotto.

GIACINTA:           E chi viene con noi?

FILIPPO:               Ci verrò io, ci verrà vostra zia Costanza e un mio amico che conoscete anche voi.

GIACINTA:           E chi è questo signore?

FILIPPO:               È il signor Guglielmo.

GIACINTA:           E’ un giovane di talento.

FILIPPO:               Sono contento che t’aggrada. Io vado a finire la mia valigetta. (parte)

GIACINTA:           Caro signor padre.

BRIGIDA:             Caro signor padrone. (a Giacinta) Siete contenta?

GIACINTA:           Sì.

BRIGIDA:             Ma come andrà la faccenda col signor Leonardo?

GIACINTA:           Su che proposito?

BRIGIDA:             Sul proposito del signor Guglielmo.

GIACINTA:           Converrà che lo soffra.

BRIGIDA:             Io ho paura che si disgusterà. Sapete quanto è geloso?

GIACINTA:           Gliene ho fatte soffrire di peggio.

BRIGIDA:             Compatitemi, signora padrona, il poverino vi vuole bene.

GIACINTA:           Ed io non gli voglio male.

BRIGIDA:             S’egli si lusinga che un giorno siate la di lui sposa, procurate allora di renderlo soddisfatto.

GIACINTA:           Giust’appunto, prevedendo che possa un giorno essere mio marito, voglio avvezzarlo per tempo a non esser geloso, a non essere sofistico, a non privarmi dell'onesta mia libertà. Se principia ora a pretendere, a comandare, è finita: sarò per sempre schiava. Se mi vuol bene, s'ha da fidare; se non mi vuol bene, che se ne vada.

BRIGIDA:             Compatitemi, questo non è vero amore.

GIACINTA:           Non so che fare, non ne conosco di meglio.

BRIGIDA:             Mi pare di sentir gente. Oh, appunto  il signor Leonardo. Avrà trovato vostro padre e saputo del signor Guglielmo.

GIACINTA:           Meglio così.

BRIGIDA:             Mi conviene andare. (parte)

SCENA 6

Giacinta e Leonardo.

LEONARDO:       (sostenuto) Servitor suo, signora Giacinta.

GIACINTA:           (sostenuta) Padrone, signor Leonardo.

LEONARDO:       Scusi se sono venuto ad incomodarla.

GIACINTA:           Fa grazia.

LEONARDO:       Sono qui per augurarle buon viaggio.

GIACINTA:           Ed ella non favorisce?

LEONARDO:       No, signora.

GIACINTA:           Perché, se è lecito?

LEONARDO:       Perché non le vorrei essere di disturbo.

GIACINTA:           Ella non incomoda mai. È così grazioso…

LEONARDO:       Non sono io il grazioso. Il grazioso lo avrà seco lei.

GIACINTA:           Mio padre è padrone di far venire chi vuole.

LEONARDO:       Ma la figliuola si accomoda volentieri.

GIACINTA:           Se volentieri o malvolentieri, voi non avete da far l'astrologo.

LEONARDO:       Alle corte, signora Giacinta. Quella compagnia non mi piace.

GIACINTA:           È inutile dirlo a me.

LEONARDO:       Se vi premesse la mia amicizia, trovereste la via di non disgustarmi.

GIACINTA:           Suggeritemi voi la maniera.

LEONARDO:       Oh, non mancano pretesti, quando si vuole.

GIACINTA:           Per esempio?

LEONARDO:       Per esempio si fa nascere una novità che differisca l'andata; oppure si tralascia d'andare. Sarebbe un gran male che non andaste un anno in vacanza?

GIACINTA:           Un anno senza andare in vacanza! Ma voi farneticate! Che direbbero di me? Non avrei più ardire di mirar in faccia nessuno.

LEONARDO:       Quand'è così, non occorr'altro. Vada, si diverta, e buon pro le faccia. Io non ci verrò.

GIACINTA:           (amorosamente) Ma sì che verrete!

LEONARDO:       Con colui non ci voglio andare.

GIACINTA:           E cosa mai vi ha fatto colui? Siete geloso.

LEONARDO:       Sì, sono geloso.

GIACINTA:           Qui vi volevo! Badate bene che la gelosia che avete di lui, è un'offesa che fate a me. Credete dunque ch’io sia una frasca, una civetta, una banderuola? Voi non avete stima per me, e dove non vi è stima, non vi può essere amore. E se non mi amate, lasciatemi, e se non sapete amare, imparate.

                               Io vi amo, e son fedele, sincera, e so il mio dovere. Ma non voglio farmi ridicola per nessuno: in vacanza ci ho d'andare, ci devo andare, e ci voglio andare! Serva, signor Leonardo. (parte)

LEONARDO:       Padrona, signora Giacinta. (partita Giacinta) Va, che il diavolo ti trascini! Anzi, no! Farò tanto che non ci anderai. Parlerò col padre suo. Meglio, manderò il signor Fulgenzio a parlargli. Maladette siano le vacanze! Basta! Dica il mondo quel che vuol dire; dica mia sorella quel che più le aggrada, ma se non mutano le cose non si va più in vacanza! (parte)

SCENA  7

Vittoria e Paolo.

In casa di Leonardo.

                              

                               - AUDIO n. 8   Parlami d’amore Mariù (Bixio, Neri, Sevier)

                               Paolo entra con dei vestiti di Vittoria e va a riporli nel baule.

VITTORIA:            (entra) Presto, presto, che quando torna il signor Leonardo, trovi tutte le cose fatte. Ora son contentissima, a mezzogiorno avrò in casa il mio “mariage”.

PAOLO:                Gliel'hanno poi finito?

VITTORIA:            Sì, finito. Ah, ma da costoro non mi servo più.

PAOLO:                E’ stato fatto male?

VITTORIA:            No, per dir la verità è riuscito bellissimo, e farà crepar d'invidia qualcheduna.

PAOLO:                E perché dunque è sdegnata?

VITTORIA:            Perché mi han fatto l'impertinenza di voler subito i danari.

PAOLO:                Meglio: quest'abito è pagato, e non ci ha più da pensare.

VITTORIA:            Ma sono restata senza quattrini.

PAOLO:                Per quest'anno le converrà aver pazienza. E avrò pazienza pur io:  il signor Leonardo è indietro di sei mesi col mio salario.

VITTORIA:            (i problemi di Paolo non la interessano) Parlerò a mio fratello; mi darà egli il bisogno.

PAOLO:                Signora, non si lusinghi, perché suo fratello non può darle niente: ora è più che mai in ristrettezze grandissime.

VITTORIA:            Beh, la borsa salirà.

PAOLO:                Prima o poi salirà, ma il signor Leonardo non può trarne profitto: non possiede più alcuna azione.

VITTORIA:            Chiederemo un anticipo alla banca.

PAOLO:                Le banche fanno prestiti a chi può restituire.

VITTORIA:            Cosa vuoi dire, che mio fratello non può?

PAOLO:                Signora Vittoria, suo fratello è rovinato, ma non vuole intenderlo. Come a suo tempo, io stesso feci.

VITTORIA:            Mio fratello va in precipizio?

PAOLO:                Se non ci rimedia ora, sì.

VITTORIA:            E come avrebbe da rimediarci?

PAOLO:                Regolar le spese. Cambiar sistema di vivere. Abbandonare soprattutto tali vacanze così dispendiose.

VITTORIA:            Abbandonare le vacanze!? Restringa piuttosto le spese in casa, scemi la tavola in città, dia meno salario alla servitù.

PAOLO:                O non lo dia affatto! E poi si risparmi anche sull’acqua: la doccia si faccia in due!  Ecco, il padrone è rientrato. (si affretta a riempire il baule)

VITTORIA:            Non diciamo niente per ora. Ho piacere che sia di buon animo e che si parta con allegria. (parte)

PAOLO:                (triste) Poveri illusi! Si dovrebbe essere meno influenzati dal consumismo, e riuscire a capire che leggere un buon libro è ricchezza maggiore di un jeans firmato.

SCENA  8

Vittoria, Paolo, Leonardo

                               Vittoria rientra con Leonardo, prendendolo sottobraccio.

VITTORIA:            Eccoci qui, signor fratello, eccoci qui a lavorare per voi.

LEONARDO:       Non vi affrettate. Può essere che la partenza si differisca.

VITTORIA:            Non ve n’è bisogna. Io sono in ordine e il mio “mariage” è finito.

LEONARDO:       Ed io, per fare a voi un piacere, ho cambiato disposizione. Così per oggi non si partirà.

                               Paolo reagisce a quanto detto: il baule è pieno. A malincuore inizia a svuotarlo.

VITTORIA:            Poiché non serve, rimettete le cose in ordine per partire oggi stesso.

LEONARDO:       Per oggi, vi dico, non è possibile.

VITTORIA:            E sia. Per oggi pazienza. (guarda Paolo come per dire di riempirlo) Si partirà domani.

                               Paolo ha in mano i capi che stava togliendo dal baule e si avvia a rimetterli.

LEONARDO:       Non lo so.

                               Paolo si ferma.

LEONARDO:       Non credo.

                               Paolo li butta per terra.

VITTORIA:            Ma voi mi volete far disperare!

PAOLO:                (A chi lo dice!)

LEONARDO:       Disperatevi quanto volete, non so che farvi.

                               Paolo svuota il baule.

VITTORIA:            Bisogna dire che vi siano de' gran motivi.

                               (sorniona) E la signora Giacinta? Va  la signora Giacinta in vacanza?

LEONARDO:       Può essere pure ch’ella non vada. Ho mandato l’amico Fulgenzio da suo padre…

VITTORIA:            Ecco la gran ragione! Eccolo il gran motivo! Poiché non parte la bella, non vorrà partir l'amante. Ma io partirò comunque! Paolo, preparate!

                               Paolo riempie il baule.

LEONARDO:       Partirete quando a me parrà di partire.

                               Paolo di nuovo si ferma, indeciso, con alcuni indumenti in mano.

VITTORIA:            Questo è un torto, questa è un'ingiustizia che voi mi fate! Io dovrei restar qui quando tutti vanno in vacanza?! Aaah! E la signora Giacinta… quella... quella mi sentirà se resterò in città per lei! Una cosa da dar la testa nelle muraglie!

LEONARDO:       Questo non è ragionare da persona civile, come voi siete. (a Paolo) E voi che fate colà, ritto come una statua?

PAOLO:                Aspetto gli ordini. Sto a vedere, sto a sentire. Non so s'io debba riempire o se debba svuotare.

VITTORIA:            Riempite.

                               Paolo riempie.

LEONARDO:       Disfate.

                               Paolo svuota.

VITTORIA:            Aaah! Butterei volentieri ogni cosa dalla finestra.

                               Paolo, con in mano degli indumenti di Vittoria, cerca una finestra (o li butta).

LEONARDO:       Principiate a buttarvi il vostro “mariage”.

VITTORIA:            Sì, se non vado in campagna, lo straccio in centomila pezzi.

LEONARDO:       (a Paolo) E voi, riportate ogni cosa acquistata per la vacanza a chi ve l'ha data.

PAOLO:                (Bravo, così va bene! Far meno debiti che si può.) (parte)

SCENA  9

Vittoria, Leonardo, Ferdinando

FERDINANDO:   (entra, adeguatamente accessoriato) Miei cari, cari, cari, eccomi qui, pronto e adeguatamente accessoriato. Ma… e il vostro baule?

LEONARDO:       Mi dispiace infinitamente, ma sappiate che per un mio premuroso affare, oggi non parto più.

FERDINANDO:   Oh, cospetto di bacco! Quando partirete?

LEONARDO:       Non so, può essere che differisca qualche giorno, ma può anche essere che per quest'anno i miei interessi m'impediscano di far vacanza.

FERDINANDO:   (Sarà per mancanza di danaro.)

VITTORIA:            (Mi vengono i sudori freddi!)

LEONARDO:       Mi spiace per voi.        

FERDINANDO:   Nulla, mio caro, nulla. A me certo non mancano villeggiature. Andrò col signor Filippo e colla signora Giacinta. Vengo proprio ora di là e mi hanno invitato insieme al signor Guglielmo. Ho veduto che sono in ordine per partire a diciott’ore, come stabilito.

VITTORIA:            Sente, signor Leonardo?

LEONARDO:       (Il signor Fulgenzio non avrà ancora parlato al signor Filippo.)

FERDINANDO:   (ironico) Miei cari, in quella casa non tremano. Il signor Filippo si tratta da gran signore, e non ha impicci in città che gl'impediscano magnifiche vacanze.

VITTORIA:            Sente, signor Leonardo?

LEONARDO:       Ho sentito e ne ho basta. Mi è noto il vostro stile satirico, ma se non vado in vacanza, ho i miei motivi per non andarvi e non ho da render conto di me a nessuno.  (Scrocconi insolenti, mormoratori indiscreti!) (parte)

FERDINANDO:   È impazzito vostro fatello? Che cosa ha egli con me?

VITTORIA:            Veramente pare, dal vostro modo di dire, che noi non si possa andare in vacanza per mancanza del bisognevole.

FERDINANDO:   Io? Mi maraviglio! Non ho inteso dir questo. Se ha egli affari in città, chi l'obbliga a partire? (insinuante) E che si rovinino quelli che si vogliono rovinare!

VITTORIA:            E... la signora Giacinta, credete voi che vada in campagna?

FERDINANDO:   Senz'altro.

VITTORIA:            Sicuro?

FERDINANDO:   Infallibilmente.

VITTORIA:            (Mio fratello me la dà ad intendere.)

FERDINANDO:   (insinuante) Ho or ora veduto il nuovo abito della signora Giacinta.

VITTORIA:            È bello?

FERDINANDO:   Bellissimo, e in vacanza ha da fare una figura strepitosissima.

VITTORIA:            (Maledizione! Ed io col mio bell'abito resterò a spazzare le strade della città!)

FERDINANDO:   Quest'anno credo che si farà una bellissima vacanza. Vi saranno gran dame, tutte magnifiche, gran gioco e feste da ballo. Ci divertiremo infinitamente. (Si rode. Ci ho un gusto pazzo.)    Signora Vittoria, servitore umilissimo. (parte)

                                     

VITTORIA:            La riverisco divotamente. (partito Ferdinando) Maledizione! Maledizione! Maledizione! (spasima) Voglio assicurarmi se Giacinta ci vada o non ci vada. Anderò io medesima a trovarla per cavarmi questa curiosità. (parte)

SCENA  10

Filippo e Brigida.

In casa di Filippo.

                               - AUDIO n. 9   O mia bèla Madonina (Giovanni D’Anzi)

FILIPPO:               (entra) Porca sidèla, quel fiou lì el capisi propi no!

BRIGIDA:             Sicché dunque il signor Leonardo ha mandato a dire che non può partire?

FILIPPO:               E sì, cara la mia Brigida. L’è propi un barlafuss!

BRIGIDA:             Mentre il signor Ferdinando viene con voi?

FILIPPO:               Sì, doveva andare col signor Leonardo, ed è venuto poco fa a dirmi che verrà in vacanza con me. Sento qualcuno, varda un po’ chi l’è.

BRIGIDA:             È il signor Fulgenzio. A quest'ora, signore, vi potrebbero risparmiare le seccature. A diciott’ora si ha da partire.

FILIPPO:               Per il mio amico Fulgenzio posso anche rimandare. Mezz’oretta, nè, non di più!

BRIGIDA:             È uno seccatore; non finirà sì presto, mi creda. (Non lo posso soffrire. Ogni volta che viene qui, ha sempre da dire sul vivere, sull'economia, sul costume, sulla signora Giacinta.) (parte.)

SCENA  11

Filippo e Fulgenzio

FULGENZIO:       (entra) Buon giorno, signor Filippo.

FILIPPO:               Riverisco il mio carissimo signor Fulgenzio. Qual venticello vi conduce da queste parti?

FULGENZIO:       La buona amicizia e il desiderio di rivedervi prima che andiate in vacanza.

FILIPPO:               Sono obbligato. Volete compiacervi di venire a stare con me? Prendiamo la mia barchetta e andiamo a pescare belli e beati in un posticino che conosco solo io. Poi ci saranno grandi pranzi, faremo dei bei tornei a carte...

FULGENZIO:       No, no, caro amico, vi ringrazio, io amo star solo. Ma d’altra parte non disapprovo chi ama la compagnia. Quando però la compagnia sia buona, sia conveniente, e non dia occasione al mondo di mormorare.

FILIPPO:               Ué, me lo dite in una certa maniera, signor Fulgenzio, che pare abbiate intenzione di darmi delle staffilate!

FULGENZIO:       Lo dico con fondamento, e lo dico, appunto, riflettendo che avete una figliuola da maritare. Io so che vi è persona che la vorrebbe per moglie, ma non osa domandarvela, perché voi la lasciate troppo addomesticare con certi zerbinotti... lasciando che vi accompagnino anche in vacanza.

FILIPPO:               Oh Signur! Volete dire del signor Guglielmo? Vi accerto che è un giovane savio e dabbene.

FULGENZIO:       Ella è giovane.

FILIPPO:               La mia Giacinta l’è una fanciulla prudente.

FULGENZIO:       Ella è donna.

FILIPPO:               Vi è anche mia sorella Costanza, donna attempata...

FULGENZIO:       E vi sono delle vecchie assai più pazze delle giovani.

FILIPPO:               E che cosa dovrei fare, benedetto il mio Fulgenzio? Mica posso tralasciare d'andare in vacanza! Mia figlia farebbe il diavolo in casa. E poi, l’è minga colpa della Giacinta, sapete? Sun sta mi, sono stato io che l'ho invitato a venire.

FULGENZIO:       Tanto meglio. Licenziatelo!

FILIPPO:               Tanto peggio! Non so come licenziarlo!

FULGENZIO:       Siete uomo o cosa siete?

FILIPPO:               Quando si tratta di far malegrazie, io non so come agire.

FULGENZIO:       Fatelo, e ve ne chiamerete contento. Bene, ora vado, e scusatemi della libertà che mi son preso.

FILIPPO:               Anzi vi ho tutta l'obbligazione.

FULGENZIO:       A buon rivederci.

FILIPPO:               A buon rivederci.

FULGENZIO:       (Credo di aver ben servito il signor Leonardo. Ma ho inteso di servire anche all'interesse e al decoro dell'amico Filippo.) (parte)

SCENA  12

Filippo, Giacinta, Brigida.

FILIPPO:               Fulgenzio mi ha dette delle verità. Mi conviene licenziare il Guglielmo a costo di non andare in campagna.

GIACINTA:           (entra) Mi consolo, signore, che la seccatura sia finita.

FILIPPO:               Chiamatemi la Brigida che l’ho da mandare in un posto.

GIACINTA:           E dove la volete mandare?

FILIPPO:               Sei troppo curiosa, cara la mia tusètta. La voglio mandare dove mi pare e piace.

GIACINTA:           Per qualche interesse che vi ha suggerito il signor Fulgenzio?

FILIPPO:               Voi vi prendete con vostro padre più libertà di quello che vi è lecito.

GIACINTA:           Questo chi ve l'ha detto, sempre il signor Fulgenzio?

FILIPPO:               Cospetto di Bacco! Finitela e andate via, vi dico!

GIACINTA:           (amorosa) Alla vostra figliuola? Alla vostra cara Giacinta?

FILIPPO:               Ma no, è che... (Non son proprio mica capace a fare il cattivo!)

GIACINTA:           Si può sapere che cosa vogliate fare di Brigida?

FILIPPO:               Che maledetta curiosità! La voglio mandare dal signor Guglielmo.

GIACINTA:           Avete paura ch’egli non venga? Verrà, purtroppo. Così non venisse!

FILIPPO:               Così non venisse?

GIACINTA:           Sì, signore, così non venisse. Goderemmo più libertà. E... che volete far dire al signor Guglielmo?

FILIPPO:               Che non s'incomodi, e che non lo possiamo servire.

GIACINTA:           (con ironia) Oh bella scena! Bella, bellissima scena!

FILIPPO:               Glielo dirò con maniera.

GIACINTA:           E che buona ragione gli saprete voi dire?

FILIPPO:               Che ne so?... Che non c'è loco per lui.

GIACINTA:           (con ironia) Meglio, meglio, e sempre meglio!

 

FILIPPO:               Celiate o vi burlate di me, signorinetta?

GIACINTA:           Io mi maraviglio che voi siate capace di una simile debolezza. Che cosa volete ch'ei dica? Volete essere trattato da uomo incivile, da malcreato?

FILIPPO:               Ma allora? Vi pare cosa ben fatta che un giovane venga in vacanza con voi?

GIACINTA:           Sì, è malissimo fatto, e non si può far peggio. Ma bisognava pensarvi prima.

FILIPPO:               Rimedierò.

GIACINTA:           Basta che il rimedio non sia peggiore del male. S'egli viene, c'è la zia, ci siete voi: è male; ma non è gran male. Ma se ora dite di non volerlo, non arriva domani che voi ed io siamo sulla bocca di tutti. Chi dirà: erano innamorati e si son disgustati. Chi dirà: il padre si è accorto di qualche cosa. Chi sparlerà di voi, chi sparlerà di me; e così, per non fare una cosa innocente, ne patirà la nostra riputazione.

FILIPPO:               (Che tusa che ghou! Quanto pagherei che ci fosse Fulgenzio a sentirla!)

BRIGIDA:             (entra) Signora, una visita.

GIACINTA:           E chi è a quest'ora?

BRIGIDA:             La signora Vittoria.

FILIPPO:               Mi vou! (parte)

GIACINTA:           Dille ch’è padrona.

BRIGIDA:             Ho saputo una cosa.

GIACINTA:           Cosa?

BRIGIDA:             Ch'ella pure si è fatta un vestito nuovo, ma non lo potea avere dal sarto, perché il sarto volea esser pagato. Così s'è gridato molto, perché senza vestito non voleva andare in vacanza. Cose da mettere nelle gazzette. (parte)

SCENA  13

Giacinta e Vittoria.

VITTORIA:            (entra) Giacinta, amica mia carissima.

GIACINTA:           (si baciano) Buondì, la mia cara gioia.

VITTORIA:            È una bell'ora questa da incomodarvi.

 

GIACINTA:           Oh, incomodarmi! Quando vi ho sentita venire, mi si è allargato il core d'allegrezza.

VITTORIA:            State bene?

GIACINTA:           Benissimo. E voi? Ma è superfluo il domandare: siete bella e fresca che consolate.

VITTORIA:            Voi avete una cera che innamora. Cara la mia Giacinta!

GIACINTA:           Benedetta la mia Vittoria! Sedete, gioia mia.

VITTORIA:            Avea tanta voglia di vedervi. Ma voi non vi degnate mai di venire da me!

GIACINTA:           Oh, caro il mio bene! E’ vero, sto sempre in casa.

VITTORIA:            (Vorrei pur sapere se va o se non va, ma non so come fare.)

GIACINTA:           (Mi fa specie che non mi parli di vacanze.)

GIACINTA:           Allora? Finalmente si va in vacanza!

VITTORIA:            (Ah, maledetta la mia disgrazia!)

GIACINTA:           Quest'anno mi ho fatto un abito... Vedrete che non vi dispiacerà.

VITTORIA:            Ne sono sicura. Io pure, del resto. E non si può dire che non sia alla moda.

GIACINTA:           Sì, sì, sarà alla moda.

VITTORIA:            Non lo credete?

GIACINTA:           Sì, lo credo. (Vuol restare quando vede il mio “mariage”.)

VITTORIA:            In materia di mode poi, credo di essere stata sempre io delle prime.

GIACINTA:           Io per questo non invidio nessuno. Bado a me e mi faccio quel che mi pare. Ogni mese un abito nuovo. Ma voglio esser servita subito, e servita bene, perché pago puntualmente, senza far tornare il sarto più d'una volta.

VITTORIA:            Io credo che tutte paghino.            

GIACINTA:           Non tutte. Vi sono di quelle che fanno aspettare degli anni, e poi, se hanno qualche premura, il sarto s'impunta e nascono delle baruffe. (Prendi questa, e sappiatemi dire se è alla moda.)

VITTORIA:            (Non vorrei credere che parlasse di me!) E…a che ora partite?

GIACINTA:           A diciott’ora. (verso le quinte) Sì, sì, ho capito!

 

VITTORIA:            Se avete qualche cosa da fare, servitevi.

GIACINTA:           No, niente. M'han detto che il pranzo è all'ordine, e che mio padre vuol desinare.

VITTORIA:            Partirò dunque. (s'alza)

GIACINTA:           Se volete restare con noi, mi farete piacere. (s'alza)

VITTORIA:            Oh, no, vita mia, non posso. Mio fratello mi aspetta.

GIACINTA:           E allora: addio, cara. Vogliatemi bene, ch'io ve ne voglio.

VITTORIA:            Siete corrisposta di cuore. (parte)

GIACINTA:           Le donne invidiose non le posso soffrire. (parte)

SCENA  14

Leonardo e Vittoria.

                              

                               - AUDIO n. 10   Nel 2000  (Martino, Brighetti)

VITTORIA:            (entra, animosa) Signor fratello, vengo a dirvi che voglio andare in vacanza. Ci va la signora Giacinta, ci vanno tutti, e ci voglio andare ancor io!

LEONARDO:       E che bisogno c'è che vi scaldiate in tal modo?

VITTORIA:            Mi scaldo, perché ho le mie ragioni. Andrò in vacanza con mia cugina Lucrezia e col marito suo.

LEONARDO:       E perché non volete venire con me?

VITTORIA:            Voi?!

LEONARDO:       Io.

VITTORIA:            (diffidente) Quando?

LEONARDO:       Oggi.

VITTORIA:            Mi burlate?

LEONARDO:       Dico davvero.

VITTORIA:            E come mai?

LEONARDO:       Vi dirò: il signor Fulgenzio ha parlato col signor Filippo. Quest’ultimo ha dato parola di non portare seco in vacanza il signor Guglielmo. E così ho pregato…

VITTORIA:            (si scuote) Sì, sì, mi racconterete poi. (mentre parte) Presto, presto! Le scatole, la biancheria, gli abiti, il mio “mariage”.

LEONARDO:       È fuor di sé dalla consolazione! Non mi ha nemmeno lasciato finire di dirle che ho pregato l’amico Fulgenzio di chiedere per me al signor Filippo, la sua figliola, l’amata Giacinta, in isposa.

                               (si avvia verso gli indumenti del PROLOGO - cappello, sciarpa, bastone - e, mentre parla, li indossa)

                               Povera Vittoria! Certo che se restava in città, non le si poteva dare mortificazione maggiore.

 

SCENA  15

Leonardo e Custode

LEONARDO:       Ed io? Io sarei stato per impazzire a non andare in vacanza. Ridicolo.

                               La vacanza; il week-end. Nell’attesa di quel momento, viviamo male, impazienti e di malumore tutti gli altri giorni che ci sono concessi. E li perdiamo!

CUSTODE:          (entra) Come state?

LEONARDO:       Meglio, grazie.

CUSTODE:          Ho da ispezionare ancora il piano sopra.

LEONARDO:       Non ho premura.

CUSTODE:          Cinque minuti e ho finito.

LEONARDO:       Fate. Il ricordo non ha tempo; solo un minuto per vivere una vita.

CUSTODE:          Come avete detto?

LEONARDO:       Nulla. Brontolii di un povero vecchio.

CUSTODE:          Vado. (parte)

                               - AUDIO n. 11   La donna è mobile  (Piave, Verdi)

                               Leonardo si toglie cappello, sciarpa, bastone e li depone nel solito punto, ben visibile, passando rapidamente in uno stato di eccitazione e di rabbia.

SCENA  16

Leonardo, Paolo, Vittoria

PAOLO:                (entra) Eccomi di ritorno. Finisco il baule.

LEONARDO:       (torvo) Bestia! Bestia!

PAOLO:                Signore, cos ’ho fatto?

LEONARDO:       Io! Io sono una bestia, io!

PAOLO:                Vi è qualche novità, dunque?

LEONARDO:       Sì.

PAOLO:                Il viaggio e tutto il resto (a debito!) è ordinato.

LEONARDO:       Levate l'ordine.

PAOLO:                Un'altra volta?

LEONARDO:       Maledetta la mia disgrazia!

PAOLO:                (Ho capito, non si parte.) (disfa il baule)

VITTORIA:            (entra) Fratello, volete vedere il mio “mariage”?

LEONARDO:       Andate via!

VITTORIA:            Che maniera è questa? Che diavolo avete?

LEONARDO:       Sì, ho il diavolo; andate via!

VITTORIA:            E con questa bella allegria che si ha da andare in vacanza?

LEONARDO:       Non vi è più vacanza; non vi è più villeggiatura; non vi è più niente. Si resta in città.

VITTORIA:            Come? Ma siete diventato pazzo?

LEONARDO:       Fulgenzio mi ha tradito. Guglielmo parte col signor Filippo.

VITTORIA:            Come l’avete saputo?

LEONARDO:       Da Brigida, un momento fa. Ma come mai quel maledetto vecchio, ha potuto ingannarmi in tal modo? (si avvia)

VITTORIA:            L'averanno ingannato. Dove andate, ora?

LEONARDO:       Lasciatemi stare. (parte)

                               Paolo si siede, con le mani appoggiate al mento.

VITTORIA:            Io resto di sasso, non so in che mondo mi sia. Vengo a casa, lo trovo allegro, mi dice: “si va”. Vo di là, appronto i miei affari, torno, e lui sbuffa e smania: “non si va più in vacanza”.  Io dubito che gli abbia data la volta al cervello.

PAOLO:                Dubito pur io. Disfò? Non disfò?

VITTORIA:            Che ho da dirvi? Disfate. Ed io? Che cosa ho da fare io? Mio fratello è inquietissimo e fuor di sé, e per cagione sua divento peggio di lui.

PAOLO:                Sarà delirante per la signora Giacinta. (parte)

VITTORIA:            Quella è una frasca, una civetta. Ma nasca quel che ha da nascere, io in vacanza ci voglio andare, e ci anderò, a suo dispetto. (parte)

SCENA  17

Filippo, Fulgenzio, Guglielmo.

In casa di Filippo.

FILIPPO:               Per me, vi dico, son contentissimo. Il signor Leonardo è un giovane civile e di buona nascita; anche se, ho il sospetto che non ci abbia il bècco di un quattrino. Ma è giovane, e metterà la testa a partito.

FULGENZIO:       Non so che dire. Voi lo conoscete. Voi sapete il suo stato. Dategliela, se vi pare; se non vi pare, lasciate.

                               Comunque vedete se ho fatto bene io a consigliarvi di staccare dal fianco di vostra figlia il signor Guglielmo?

FILIPPO:               (Oh diavolo! E l'amico è in casa!)

FULGENZIO:       Se fosse venuto  in vacanza con voi, Leonardo non l’avrebbe più presa. 

FILIPPO:               (Se Giacinta non trova qualche ragione, io non la trovo di sicuro.)

GUGLIELMO:      (entra) Signore, le diciott’ora sono poco lontane.

FULGENZIO:       Guglielmo?!

FILIPPO:               (Che tu sia maledetto!) No, no, non importa... non si partirà più così presto... ho qualche cosetta da fare... (Non so più nemmeno quel che dico!)

FULGENZIO:       Si va in vacanza, signor Guglielmo?

GUGLIELMO:      Per obbedirla.

FILIPPO:               (Tas!)

FULGENZIO:       E con chi va in vacanza, se è lecito?

GUGLIELMO:      Col signor Filippo e colla signora Giacinta.

FILIPPO:               (a Guglielmo) Oh, via, ora andate, che ho da parlare col signor Fulgenzio.

GUGLIELMO:      Sarete servito. (parte)

FULGENZIO:       Bravo, signor Filippo!

FILIPPO:               Bravo, bravo. E alura! Quando si dà una parola...

FULGENZIO:       Certo, mi avete dato parola e me l'avete ben mantenuta!

FILIPPO:               E non l’avevo data prima a lui?

FULGENZIO:       E se non volevate mancare a lui, perché promettere a me?

FILIPPO:               Perchè avevo intenzione di fare quello che mi avete detto di fare.

FULGENZIO:       E perché non l'avete fatto?

FILIPPO:               Eh, perchè, perchè,... perchè d'un male minore si poteva fare un male peggiore; perchè avrebbero detto... perchè avrebbero giudicato, perchè... Oh, insomma, se voi aveste sentito le ragioni che ha detto la mia Giacinta, vi sareste persuaso.

FULGENZIO:       Non sono un burattino da farmi fare di queste figure! Mi giustificherò col signor Leonardo. Mi pento d'esserci entrato. Me ne lavo le mani, e non c'entrerò più. (in atto di partire)

SCENA  18

Filippo, Fulgenzio, Leonardo, Giacinta, Brigida.

LEONARDO:       (entra) Ho piacere di trovarvi qui tutti e due. Chi è di voi che si prende spasso di me?

FULGENZIO:       (a Filippo) Prego.

 

                               Filippo tace.

LEONARDO:       Così si tratta coi galantuomini? Che modo è questo?

FULGENZIO:       (a Filippo) Rispondetegli, dunque!

FILIPPO:               (a Fulgenzio) Ma non so cosa dire!

GIACINTA:           (entra) Che strepito è questo? Che piazzate son queste?

LEONARDO:       Signora, le piazzate non le fo io. Le fanno quelli che si burlano dei galantuomini, che mancano di parola, che tradiscono sulla fede.

GIACINTA:           Chi è il reo? Chi è il mancatore?

FULGENZIO:       (a Filippo) Parlate! Spiegate!

FILIPPO:               (a Fulgenzio) Dopo di voi, mio caro amico.

FULGENZIO:       Orsù, poiché il diavolo mi ci ha fatto entrare, e a tacere ci va del mio, se non sa parlare il signor Filippo, parlerò io. Sì, signora, ha ragione il signor Leonardo di lamentarsi. Dopo avergli dato parola che il signor Guglielmo non sarebbe venuto con voi, farlo venire è un'azione poco buona, è un trattamento incivile.

GIACINTA:           Che dite voi, signor padre?

FILIPPO:               Ha parlato con voi.

GIACINTA:           Favorisca, di grazia, signor Fulgenzio, con quale autorità pretende il signor Leonardo di comandare in casa degli altri?

LEONARDO:       Con quell'autorità che un innamorato...

GIACINTA:           (a Leonardo) Perdoni, ora non parlo con lei. Mi risponda il signor Fulgenzio.

FULGENZIO:       Il signor Leonardo non direbbe niente, non pretenderebbe niente se non avesse intenzione di pigliarvi per moglie.

GIACINTA:           In isposa? Con quale fondamento potete voi asserirlo?

FULGENZIO:       Col fondamento che io medesimo, per commissione del signor Leonardo,  ho avanzato or ora a vostro padre il suo proposito.

GIACINTA:           E che dice su ciò il signor padre?

FILIPPO:               E cosa direste voi?

GIACINTA:           Io dico che mio padre ha invitato il signor Guglielmo con noi ed io ne sono stata contenta, come lo sarei stata d'ogni altro.

                               Ora, poiché rendete pubblico l'amor vostro e mi fate l'onore di domandarmi in isposa, per l'avvenire tutte le distinzioni saranno vostre.

                               Una cosa sola vi chiedo di grazia: vogliatemi amante, ma non mi vogliate villana. Non fate che i primi segni del vostro amore siano sospetti vili, diffidenze ingiuriose. Volete voi che si scacci il signor Guglielmo e che ci si renda ridicoli in faccia al mondo?

                               Lasciate correre per questa volta. Credetemi, e non mi offendete. Conoscerò da ciò se mi amate; se vi preme il cuore o la mano. La mano è pronta, se la volete, ma il cuore meritatelo!

FILIPPO:               (a Fulgenzio) Che dite? Che dite?

FULGENZIO:       (Io non la prenderei, se avesse cento mila scudi di dote.)

LEONARDO:       Non so che dire, vi amo, desidero sopra tutto il cuor vostro. Mi avete dette delle ragioni che mi convincono. Servitevi come vi pare, ed abbiate pietà di me.

FULGENZIO:       (Uh, che baccellone!)

BRIGIDA:             (entra. A Leonardo) Signore, è qui la sua signora sorella col di lei cameriere.

LEONARDO:       (a Filippo) Con permissione. (a Brigida) Che passino.

BRIGIDA:             (piano a Giacinta) (Si va, o non si va?)

GIACINTA:           (piano a Brigida) (Si va, si va.)

BRIGIDA:             (piano a Giacinta) (Avevo una paura terribile che non si andasse.)

                               (verso fuori) Favorite.

SCENA  19

Filippo, Fulgenzio, Leonardo, Giacinta, Brigida, Vittoria, Paolo.

VITTORIA:            (entra, melanconica) È permesso?

GIACINTA:           Sì, vita mia, venite.

VITTORIA:            (Eh, vita mia, vita mia!) Riverisco i lor signori. (a Leonardo) Come vi sentite, signor fratello?

LEONARDO:       Non bene. Le vacanze son saltate. Rimarremo in città.

PAOLO:                Chiedo licenza; vado a disfare il baule.

LEONARDO:       Ma no, Paolino, scherzavo. Presto, fate che il baule, e tutto quel che bisogna, sia lesto e pronto.

VITTORIA:            (dubbiosa) Si parte?

 

GIACINTA:           Sì, vita mia, si parte. Siete contenta?

VITTORIA:            (la abbraccia) Sì, gioia mia, contentissima.

FILIPPO:               (a Fulgenzio) (Ho piacere che fra cognate si amino.)

 

FULGENZIO:       (Io credo che si amino come il lupo e la pecora.)

PAOLO:                Sia ringraziato il cielo, il baule non è da disfare!

FULGENZIO:       E volete andare in campagna senza concludere, senza stabilire il contratto?

VITTORIA:            Che contratto?

BRIGIDA:             Non lo sa?

VITTORIA:            Non so niente.

BRIGIDA:             Il signor Leonardo si fa sposo?

VITTORIA:            (a Leonardo) E a me non si dice niente?

LEONARDO:       Se mi darete modo, ve lo dirò.

VITTORIA:            È questa la vostra sposa?

GIACINTA:           Sì, cara, sono io che ha questa fortuna. Mi vorrete voi bene?

VITTORIA:            Oh quanto piacere! Quanta consolazione ne sento! Cara la mia cognata. (Si baciano.) (Non ci mancava altro che venisse in casa costei!)

GIACINTA:           (Prego il cielo che vada presto fuori di casa!)

BRIGIDA:             (Quei baci credo che non arrivino al core.) Quando si faran le nozze?

LEONARDO:       Io direi dopo le vacanze.

FILIPPO:               Benissimo.

VITTORIA:            E ora subitamente partiamo. Finalmente siamo giunti al momento tanto desiderato d'andare in vacanza. Grandi smanie abbiamo sofferte per paura di non andarvi!

                               Buon viaggio dunque a chi parte, e buona permanenza a chi resta.

                               - AUDIO n. 12   Stessa spiaggia, stesso mare  (Mogol, Soffici)

FINE DEL  I  ATTO


ATTO SECONDO

SCENA  20

Leonardo e Paolo

In casa di Leonardo.

                               - AUDIO n. 13   Stessa spiaggia, stesso mare  (Mogol, Soffici)

LEONARDO:       (entra, agitato) Sono impazientissimo di rivedere Giacinta. In vacanza la sua condotta mi ha dato da pensare.

PAOLO:                (entra) Signore.

LEONARDO:       Cosa c è?

PAOLO:                È domandato.

LEONARDO:       E da chi?

PAOLO:                È un giovane di bottega  con una carta in mano.

LEONARDO:       Perché non dirgli che non ci sono?

PAOLO:                Gliel'ho detto ieri, come mi fu comandato, ma oggi, rivedendolo ancora qui, ho pensato meglio ch'ella lo riceva e lo spicci poi come vuole.

LEONARDO:       Va, digli che ho già dato ordine di saldare il conto.

PAOLO:                (ironico) Come ha fatto, signore?

LEONARDO:       Non t’impicciare del come e del perché; esegui!

                               Paolo parte.

LEONARDO:       Le cose mie van sempre peggio. Quest'anno poi la villeggiatura mi è costata  più del solito. E i creditori mi tormentano.

PAOLO:                (entra) Signore, è qui il pasticciere.

LEONARDO:       Ma bestia! Perché non dirgli che non ci sono?

PAOLO:                Ho detto secondo il solito: “Vedrò se c'è; non so se ci sia...” ma egli ha detto: “Se non c'è, ho l’ordine di aspettarlo  fin che torna”.

LEONARDO:       Questa è un'impertinenza! Digli che lasci il conto, che manderò a pagarlo.

PAOLO:                Glielo dirò. (parte)

LEONARDO:       Pare che costoro non abbiano altro da fare; pare che non abbiano pane da mangiare! Sono sempre coll'arco teso a ferire il cuore dei galantuomini che non hanno con che pagare.

PAOLO:                (entra) Anche questi se n'è andato. Poco contento, ma se n'è andato. (ha in mano dei fogli) Ecco il conto. Ci sono poi delle bollette... (le guarda)

LEONARDO:       (gliele strappa di mano e le straccia)  Siano maledetti i conti!

 

PAOLO:                (Conto stracciato, debito saldato.) (parte)

LEONARDO:       Nello stato in cui sono, l'unico mio risorgimento potrebbe essere la dote di Giacinta.

PAOLO:                (entra) Signore.

LEONARDO:       Ancora voi!

PAOLO:                Vi è un'altra novità.

LEONARDO:       E quale sarebbe?

PAOLO:                Una citazione.

LEONARDO:       Citazione? Io non so niente di citazioni. Che la portino al mio avvocato!

PAOLO:                L’avvocato non è in città.

LEONARDO:       E dov'è andato?

PAOLO:                È ancora in ferie.

LEONARDO:       Cospetto! Il mio avvocato va in vacanza?! Abbandona per il divertimento gl'interessi dei suoi clienti?

PAOLO:                (ironico) Voi lo pagate e quando preme non c’è.

LEONARDO:       Il mondo va a rotoli, caro Paolo. (prende la citazione)

                               Paolo parte.

LEONARDO:       Sempre guai. Ma giusto cielo, se io non ho soldi, non mi tormentino! Abbiano un po' di pazienza. Li pagherò! Quando sarò in istato di poterli pagare, li pagherò!

PAOLO:                (entra) Signore, vi sono due che l'aspettano.

LEONARDO:       E chi sono costoro?

PAOLO:                Il sarto e l’orefice.

LEONARDO:       Licenziali! Fa che vadano via!

PAOLO:                Non potrebbe dar loro qualche cosa in conto?

LEONARDO:       Quasi quasi gli do te in conto. Mandali via, ti dico!

PAOLO:                Signore, è impossibile! Costoro sono più volte venuti e ora sono capaci di star qui fino a sera.

LEONARDO:       Che restino fin che il diavolo se li pigli. Io esco.

PAOLO:                La vedranno.

LEONARDO:       Passerò per la porta segreta.

PAOLO:                E i due?

LEONARDO:       Si diletteranno ad aspettare. (parte)

PAOLO:                Ecco i deliziosi frutti di una vacanza dissennata!

SCENA  21

Paolo e Brigida

BRIGIDA:             (entra) Oh, signor Paolo, lei è qui. Che piacere...!

PAOLO:                Signora Brigida, il vederla riempie il mio cuore di gioia. Siete tornati pure voi.

BRIGIDA:             Questa mattina. E subito la signora Giacinta mi ha mandata a far riverenza  al signor Leonardo e alla signora Vittoria. 

PAOLO:                Riferirò l’ambasciata.

BRIGIDA:             Bene. Parto.

PAOLO:                Subito? Fermatevi ancora.

BRIGIDA:             Ho una lista di case alle quali portare i saluti dei miei padroni.

PAOLO:                Il tempo per pigliare un caffè non porterà danno, se non vi dispiace la mia compagnia.

BRIGIDA:             Caro signor Paolo, la vostra compagnia mi è carissima.

PAOLO:                Signora Brigida... Per certo in vacanza si possono scovare più facilmente dei buoni momenti, dei siti comodi per ritrovarsi a quattr'occhi... e...

BRIGIDA:             Li abbiamo trovati, signor Paolo.

PAOLO:                Li abbiamo trovati, signora Brigida.

BRIGIDA:             E li hanno pure trovati i padroni. Nascono in villeggiatura di quegli accidenti, che non nascerebbero facilmente in città. Alla mia padrona Giacinta, poi...

PAOLO:                Fermatevi! Indovino: vi è nato un qualche imbroglio col signor Guglielmo.

BRIGIDA:             Vi è nato, vi è nato. E se ne ricorderà per un pezzo.

SCENA  22

Giacinta e Brigida

In villeggiatura

                               - AUDIO n. 14   Come sinfonia (Pino Donaggio)

BRIGIDA:             Signora padrona, è così melanconica. Quest'anno pare ch'ella non goda il piacere della villeggiatura.

GIACINTA:           Maledico l'ora e il punto che ci sono venuta. E amaramente mi pento d'aver insistito a voler con noi il signor Guglielmo e di averlo alloggiato in casa.

BRIGIDA:             Il signor Guglielmo? Pare un giovane onesto e civile.

GIACINTA:           Ah, sì. E proprio quella sua civiltà, quella sua maniera così insinuante e dolce mi ha, mio malgrado, incantata. Sono innamorata, Brigida, quanto può esserlo donna al mondo.

BRIGIDA:             Come? Innamorata? Ma se di lui mi ha detto tante volte che non ci pensava né poco, né molto?

GIACINTA:           E’ vero, l'ho sempre trattato con, ma ahimè, Brigida mia, l'indifferenza è divenuta compiacimento, ed il compiacimento passione. Bella vacanza mi tocca fare quest'anno! Io, che ridevo di quelle che spasimavano per amore, ci son caduta peggio dell'altre.

                               Ma perché, pazza, ho avuto tanta fretta di dare la mia parola a Leonardo e non mi ho creduto capace d'innamorarmi poi a tal segno?

BRIGIDA:             Sento qualcuno. (parte)

SCENA  23

Giacinta, Guglielmo, Leonardo

GIACINTA:           Cent'occhi mi guardano. Leonardo è in sospetto, Vittoria mi teme. Ed io non posso sempre dissimulare. Oh cieli, aiutatemi!

GUGLIELMO:      (entra) Perché mi fuggite, signora Giacinta?

GIACINTA:           Io non fuggo; bado a me, e vado per la mia strada.

GUGLIELMO:      Ed io sono sì temerario di seguitarvi. Ma voi sapete la ragione che mi fa ardito, e la compatite.

GIACINTA:           Che cosa dite della cena di ieri sera?

GUGLIELMO:      Tutto è per me indifferente, fuor che l'onore della vostra grazia.

GIACINTA:           Non so se il nostro pranzo di questa mattina corrisponderà al trattamento che abbiamo avuto iersera del signor Leonardo.

GUGLIELMO:      Signora Giacinta, mi date permissione ch'io vi dica una cosa?

GIACINTA:           Mi pare che abbiate parlato finora quanto avete voluto. (pausa) Se è cosa da dirsi, ditela.

GUGLIELMO:      Vi amo.

GIACINTA:           Partite, vi prego.

GUGLIELMO:      Ditemi solamente: ho da vivere? Ho da morire?

GIACINTA:           Sono queste domande da farmi? Pretendereste voi ch'io mancassi al signor Leonardo? Io già manco al mio dovere, ascoltandovi; e voi mancate al vostro, insidiandomi il cuore. Se è vero che mi amate, non procacciate la mia rovina. (pausa) Sì, ve lo confesso, vi amo, dicolo a mio rossore, a mio dispetto, vi amo. Ma ad ogni costo ci dobbiamo separare, per sempre.

LEONARDO:       (entra) Voi qui?

GIACINTA:           (Oh mio Dio!).

LEONARDO:       Quali affari segreti vi obbligano a ritirarvi colla signora Giacinta?

GUGLIELMO:      (Ed ora?)

GIACINTA:           (Devo inventare qualcosa. Si tratta dell'onore.) Affari, signor Leonardo, affari che dovrebbero interessare voi, prima di me.

LEONARDO:       E di quali affari, di grazia, si tratta?

GIACINTA:           Pare siano corse parole fra lui e la signora Vittoria. Ella se ne lusinga, ma non sapeva precisamente di quale animo fosse il signor Guglielmo, così ho cercato con lui di capire a quale punto si fosse giunti.

LEONARDO:       Ebbene?

GIACINTA:           Ebbene... (guarda Guglielmo) egli fa di Vittoria quella stima che merita la vostra casa, e, se voi gliela concedete, col mezzo mio, ve la domanda in isposa.

GUGLIELMO:      (Misero me!)

LEONARDO:       Ah! E il signor Guglielmo che dice?

GUGLIELMO:      Se non sdegnate accordarmela, vi chiedo la sorella vostra, signora Vittoria, come consorte.

                               Escono solo Leonardo e Guglielmo. Giacinta rimane, inquieta, frastornata.

SCENA  24

Paolo e Brigida

In casa di Leonardo

PAOLO:                E’ stata una proposta veramente obbligante!

BRIGIDA:             (lo guarda con intenzione) In vacanza, ne succedono di innamoramenti…!      E…(non prosegue, perché sta ancora guardandolo) del signor Ferdinando, sa niente?……

PAOLO:                (è a disagio: lo sguardo di Brigida è molto pungente) Ho sentito che c’è qualcosa con la signora Costanza, la zia della vostra padrona Giacinta.

BRIGIDA:             (torna lentamente ad un atteggiamento più normale) Avete inteso bene. La signora Costanza, alla sua età, si reputa ancora fanciulla da corteggiare. Il signor Ferdinando, da par suo, le fa credere d’essere innamorato morto di lei. Penso proprio che quel drittaccio la piluccherà ben bene.

SCENA  25

Giacinta, Costanza, Brigida, Ferdinando

In villeggiatura

COSTANZA:        (entra) Che avete? Siete ammalata? Eccovi l’acqua.

GIACINTA:           Mi duole un poco la testa.

COSTANZA:        Io non so che razza di gioventù sia quella del giorno d'oggi. Non si sente altro che mali di stomaco e dolori di testa. Io non mi cambierei con una di voi altre per tutto l'oro del mondo. Brigida!

GIACINTA:           Dice bene la signora zia; ella ha un buonissimo temperamento.

COSTANZA:        Mi diverto almeno, e non vengo in vacanza per annoiarmi.

BRIGIDA:             (entra) Signora.

COSTANZA:        Andate a cercare il signor Ferdinando e riferite che lo attendo.

                               Brigida parte.

GIACINTA:           Via, signora zia, non vi fate scorgere, non rendetevi ridicola a tal segno!

COSTANZA:        Che cosa intendete dire? Io mi fo scorgere? Io mi rendo ridicola? Non posso  avere io della stima, della parzialità per una persona? Non sono vedova? Non sono libera? Non sono padrona di me?

GIACINTA:           Sì, è verissimo. Ma nell'età in cui siete...

COSTANZA:        Che età, che età? Non sono una giovinetta; ma sono ancor fresca donna, ed ho più spirito e più buona grazia di voi.

GIACINTA:           Io, se fossi in voi, mi vergognerei un poco.

COSTANZA:        Vergognarmi! E vergognarmi di cosa, se è lecito sapere? A una donna libera, sia vedova o fanciulla, è permesso avere un amante, (ora marcando, con intenzione) ma due alla volta non è permesso! Credo che mi possiate capire, carina.

GIACINTA:           Mi maraviglio, signora, che parliate in tal modo! Fate pure quel che vi piace. Io non entrerò più ne' fatti vostri, e voi non v'impicciate nei miei. (parte)

COSTANZA:        Fraschetta insolente! Non si sapessero i suoi segreti, i suoi amorazzi!

E anche Ferdinando, che malagrazia! Mi disse ch'io lo aspettassi questa mattina a bere la cioccolata, e non si è ancora veduto. Va tutto il dì a girone, il signorino; ha cento visite, ha cento impegni...

Entra Ferdinando, seguito da Brigida.

FERDINANDO:   Eccomi, eccomi qua, mia cara Costanza. Sono qui; a servirla.

COSTANZA:        E dove siete stato finora?

FERDINANDO:   Sono stato dallo speziale. Mi sentiva un poco di mal di stomaco.

COSTANZA:        Oh, poverino! Per questo non siete venuto da me a prendere la cioccolata.

BRIGIDA:             (Ma si può dare una vecchia più rimbambita?)

FERDINANDO:   Mi è dispiaciuto moltissimo di non poter venire. Ma so che ella ha dell'amore per me, e mi compatirà.

COSTANZA:        (a Brigida) Partite, dunque!

BRIGIDA:             Subito, signora. (Non disturberò le sue tenerezze.) (parte)

                               (si siedono)

FERDINANDO:   (Ora ho da digerire tutto il divertimento che ho avuto questa mattina.)

COSTANZA:        Caro il mio Ferdinando.

FERDINANDO:   Cara la mia signora Costanza.

COSTANZA:        (Ma quanto bene che mi vuole!) Accostatevi un poco.

FERDINANDO:   Sì, signora. (si accosta molto poco)

COSTANZA:        Via, accostatevi bene. (Ferdinando indugia) M'accosterò io.

FERDINANDO:   (Che ti venga la rabbia!)

COSTANZA:        Caro figliuolo, ieri sera avete mangiato un poco troppo. Basta; questa mattina a tavola mi starete appresso e mangerete quello che vi darò io.

FERDINANDO:   (Dovrò fare il suo cagnolino.)

COSTANZA:        E se continuerete ad amarmi, avrete da me molte attenzioni. Capitemi!

FERDINANDO:   Spiegatevi meglio, mio raggio di sole.

COSTANZA:        Anima mia, io ho avuto diecimila scudi di dote. Senza figliuoli e, morto il mio marito, ora sono miei. Se mi vorrai sempre bene, io ho qualche anno più di te, un giorno saranno tuoi.

FERDINANDO:   Ma, mia cara, io non vi amo per interesse. Vi amo perché lo meritate, perché mi piacete, perché siete adorabile. E avete diecimila scudi di dote?

COSTANZA:        Diecimila di dote, più gl’interessi maturati in tutti questi anni.

FERDINANDO:   E ne potete disporre liberamente?

COSTANZA:        Son padrona io.

FERDINANDO:   Quindi non avreste difficoltà a farmi una piccola donazione?

COSTANZA:        Donazione? Sono io in tale stato da dovervi fare una donazione? Che villania è mai questa? E’ questo il bene che mi volete senza interesse?

FERDINANDO:   Io non parlo per interesse. Parlo perché, se fossi padrone di questo danaro, potrei... mettere un negozietto in città, e così star bene io e far star bene la mia cara consorte.

COSTANZA:        (raddolcita) Consorte...?

FERDINANDO:   (vede il lampo negli occhi di Costanza) (Oh, mio Dio, ho esagerato!)

COSTANZA:        Consorte, mio caro Ferdinando?

FERDINANDO:   Ma sì, sì... Certo, prima sarà meglio avviare il negozio e poi...

COSTANZA:        E poi? E poi?!!! E poi non mi volete bene, ecco! (piange)

FERDINANDO:   Cospetto! Se non credete ch'io vi ami, farò delle bestialità, mi darò alla disperazione.

COSTANZA:        No, no, caro, no! Non ti disperare, ti credo. E ti donerò tutto il mio cuore?

FERDINANDO:   (Sai che me ne faccio del tuo cuore?)

                               Costanza e Ferdinando rimangono in scena, immobili.

SCENA  26

Paolo e Brigida

In casa di Leonardo

PAOLO:                C’è da far del gran ridere con quei due figuri. Chi si diverte poco è il mio padrone, cara Brigida, assediato com’è in ogni luogo da creditori.

BRIGIDA:             Avrà speso più di quel che potea.

PAOLO:                Vero. E la di lui sorella, benché sappia in quali acque si trovino, spende anch’ella senza ritegno, che il suo unico pensiero sono i vestiti, le acconciature e i gioielli. Ascoltate.

SCENA  27

Costanza, Ferdinando , Vittoria

In villeggiatura

VITTORIA:            (entra) Serva sua, signora Costanza.

COSTANZA:        Serva, la mia cara Vittoria. (si baciano)

FERDINANDO:   (In che gala si è messa?) Riverisco la signora Vittoria.

VITTORIA:            Come sta il signor Ferdinando?

FERDINANDO:   Ottimamente.

COSTANZA:        (Che ti venga la rabbia! Ha il “mariage” alla moda.)

VITTORIA:            (Muore d’invidia la vecchiaccia.)

 

                               Costanza e Vittoria si guardano sott'occhio e non parlano.

FERDINANDO:   (Si sono ammutolite!) E così, mie care signore, che cosa dicono di questo tempo? (intanto le fa sedere)

VITTORIA:            Per la stagione che corre, non c'è male. (mette in mostra il “mariage”)

COSTANZA:        (Guarda come sfoggia il bell'abito. Ma non le darò certo piacere.)

FERDINANDO:   È molto magnifica la signora Vittoria, è vestita veramente di gusto.

VITTORIA:            E’ un abitino alla moda.

COSTANZA:        M'immagino che a pranzo sarà anch'ella dei nostri. Saremo in molti, io credo, questa mattina.

VITTORIA:            Per me, ci sia chi ci vuol essere, non mi voglio mettere in soggezione. Anche se mi sono vestita così, in abito di confidenza.

FERDINANDO:   Ma che dite, mia cara? Questo è un abito con cui può presentarsi in qualunque luogo.

VITTORIA:            Che dice, signora Costanza? Ella, che è di buon gusto, le piace quest'abito?

COSTANZA:        Signora, io non volea dir niente, perché sono una donna sincera e non mi piace adulare, e dall'altra parte sprezzare la roba degli altri non è buona creanza; ma, se richiesta, dirò la verità: quest’abito non mi piace per nulla.

VITTORIA:            Non le piace?

COSTANZA:        Non so che dire, sarò di cattivo gusto, ma non mi piace.

FERDINANDO:   Cospetto! Questa è una gran cosa! Ma che ci trova, che non le piace?

COSTANZA:        Ma che cosa ci trova di bello, di maraviglioso, il signor lodatore? Non è altro che un abito guarnito a più colori, come si guarniscono le bandiere. Con sua buona grazia, non mi piace, e mi pare che non meriti tanti elogi.

                               Vittoria in silenzio, livida, si alza.

FERDINANDO:   Vedo che la signora Vittoria ha volontà di cambiar sala.

COSTANZA:        Ella è padrona di servirsi come comanda.

VITTORIA:            Serva umilissima.

COSTANZA:        Serva divota.

VITTORIA:            (Misera, superba e ignorante.) (parte)

COSTANZA:        Gran signora! Gran principessa! Piena di debiti e di vanità.

FERDINANDO:   (Bel soggetto per una cantata in musica! L'ambizione e l'invidia.) Una passeggiata, signora Costanza?

COSTANZA:        Sì. Un poco d’aria fresca calmerà il mio disappunto. (partono)


SCENA  28

Paolo e Brigida

In casa di Leonardo

BRIGIDA:             Era livida la signora Costanza. Volea ben figurare col signor Ferdinando e al cospetto di tanta eleganza…

PAOLO:                Già.

BRIGIDA:             Spesso la vacanza crea amicizie e matrimoni. Agli altri.

PAOLO:                Che intende, la signora Brigida?

BRIGIDA:             Intendo che in tanti anni che vi sono andata, sono ancora così. Convien dire, o che non abbia alcun merito, o che sia sfortunata.

PAOLO:                Signora Brigida, avete desiderio d’avere un marito?

BRIGIDA:             Ho anch'io quel desiderio che hanno tutte le fanciulle che non si vogliono ritirare dal mondo.

PAOLO:                Beh... quando si vuole, si trova.

BRIGIDA:             Per me, so che non l'ho ancora trovato; (lo guarda) …eppure son giovane. Bella non sono, ma non mi pare di essere deforme. Abilità ne ho quant'altre, e forse di più. Per dote, fra denari e roba, non mi mancano. Eppure nessun mi cerca,  nessun mi vuole. (sospira) E’ tardi, devo partire.

PAOLO:                Mi dispiace di non aver tempo per dirvi qualche cosa su questo proposito.

BRIGIDA:             Oh, dite, dite; non è poi così tardi!

PAOLO:                Ecco...

BRIGIDA:             Ebbene? Non mi lasciate partire con questa curiosità. Avreste qualche cosa voi da propormi?

PAOLO:                Avrei... ma... (Mi tremano le gambe; mi manca il fiato.) ...ma non so se potrei essere di vostro genio.

BRIGIDA:             Quando non ho da prendere un galantuomo come voi siete, voglio piuttosto star sola.

PAOLO:                Sento la padrona. Verrò da voi, signora Brigida, ci parleremo. Son galantuomo, fo stima di voi, e spero che le cose anderanno bene.

BRIGIDA:             Voi mi consolate a tal segno...! Serva umilissima, signor Paolo. (parte)

PAOLO:                Riverisco la signora Brigida. (tra sé) Sono alle stelle, Brigida mia...

SCENA  29

Paolo e Vittoria

VITTORIA:            (entra)Dov'è mio fratello?

PAOLO:                E’ andato via.

                              

VITTORIA:            E dove è andato il signor Leonardo?

PAOLO:                A far visita alla signora Giacinta.

VITTORIA:            È anch’ella tornata dalla vacanza?

PAOLO:                Sì, signora.

VITTORIA:            Quando?

PAOLO:                Questa mattina. Ha mandato Brigida con un’imbasciata per il padrone e per lei.

VITTORIA:            E perché non dirmelo?

PAOLO:                Perdoni. Sono mezzo stordito. S'ella sapesse quanti imbrogli e novità ci sono! Signora, è qui il signor Ferdinando.

VITTORIA:            Oh, il signor Ferdinando... Venga pure.

                              

                               Paolo parte.

VITTORIA:            Saprò da lui qualche novità. Guglielmo si è dichiarato, ma mette mille impedimenti a firmare la scritta di matrimonio. Non si fa vedere e non mi corteggia. Sono in una agitazione grandissima!

SCENA  30

Vittoria e Ferdinando.

FERDINANDO:   (entra) M’inchino alla signora Vittoria.

VITTORIA:            Serva, signor Ferdinando. Siete tornato col signor Filippo e colla signora Giacinta?

FERDINANDO:   Sì, cara amica, e si è fatto un viaggio così piacevole, che se durava due ore di più, mi veniva la febbre.

VITTORIA:            E perché?

FERDINANDO:   Perché il signor Filippo ha dormito sino a casa. La cameriera pensava a qualche suo amore. La signora Giacinta non faceva che sospirare... ed io ho patito una noia infinita.

VITTORIA:            E che aveva la signora Giacinta da sospirare?

FERDINANDO:   Aveva… aveva delle pazzie per il capo.

VITTORIA:            Ma in che consistono le sue pazzie?

FERDINANDO:   Compatitemi, mia cara, io non soglio entrare nei fatti altrui.

VITTORIA:            Ci siete già entrato tanto da pormi in sospetto. S'ella sospira, per mio fratello non crederei proprio. E per chi dunque?

FERDINANDO:   Chi sa? (ridendo) Non potrebbe ella sospirare per me? A proposito: ho perduto l'amante. La signora Costanza, dopo che le ho parlato ancora una volta di donazione, s'è fieramente sdegnata e non vuole più nemmeno vedermi. Beh, diciamo che ho inteso di divertirmi, e di divertire la conversazione.

VITTORIA:            Non avete molte ragioni di lodarvi, io credo.

FERDINANDO:   Ma no, mia cara, non mi pare di aver fatto cosa sì grave. (insinuante) Peggio assai sarebbe s'io tenessi a bada due fanciulle da marito, e fingessi d'amarne una per coprire la mia passione per l'altra.

VITTORIA:            E dove vanno a battere queste vostre parole?

FERDINANDO:   Battono nell'aria e lascio che l'aria le porti dove le vuol portare.

VITTORIA:            E chi è che tiene a bada due fanciulle?

FERDINANDO:   Domandatelo a lui.

VITTORIA:            E chi è questo lui? Parlate, dunque!

FERDINANDO:   Signora Vittoria, ella mi pare di cattivo umore questa mattina. Sarà meglio che vada al caffè dove mi aspettano i curiosi di sapere le ultime avventure. Ho da far ridere mezzo mondo. All'onore di riverirla. (parte)

VITTORIA:            Serva. Oh lingua indemoniata! Mi ha ribadito i mille sospetti ch’io avea già da tempo. Povera me! Vanno male gl'interessi, sto pessimamente nel cuore. Che altro mi manca? Sconto bene il piacere della villeggiatura! Meglio ch'io non ci fossi nemmeno andata! (parte)

SCENA  31

Brigida e Giacinta

In casa di Filippo

                               - AUDIO n. 15   Una lacrima sul viso  (Mogol, Lunero)

                               Brigida è già in scena. Giacinta entra, malinconica.

BRIGIDA:             Via, via, signora padrona, stia allegra, che la melanconia fa dei brutti scherzi.

GIACINTA:           A me non pare di essere melanconica. E’ da tempo che non vedo il signor Guglielmo e oramai a lui non penso più. Che follia, innamorarmi sì pazzamente! In vacanza non ho goduto un'ora di bene. Basta. Grazie al cielo me ne sono liberata. E’ come se avessi avuto una malattia ed ora sono completamente guarita.

BRIGIDA:             Perdoni, mi pare che vi sia un poco di convalescenza.

GIACINTA:           T'inganni. Tutti i miei pensieri sono occupati all'allestimento che si ha da fare per le mie nozze con Leonardo.

BRIGIDA:             E fra i tanti pensieri non le passa per la mente un po' di amore per il suo futuro sposo?

GIACINTA:           (pausa) Spero d'amarlo un giorno. Ho sentito dire che tanti, che si sono sposati per amore, si sono prestissimo annoiati e pentiti.

BRIGIDA:             (Certo non correrà pericolo d'annoiarsi per averlo troppo amato fin da subito!)

                               (guarda verso le quinte) Ecco, signora, il signor Guglielmo è qui. (Vediamo un poco la sua bravura!)

GIACINTA:           (Ohimè! Che mai vuol dire questo gran foco che improvvisamente m'accende? Tremo tutta.) Brigida, un improvviso dolore di testa mi obbliga a ritirarmi. Ricevi tu il signor Guglielmo e digli che mi perdoni. (Ah! Mi ucciderei colle mie mani!) (parte)

SCENA  32

Brigida e Guglielmo

BRIGIDA:             Era guarita! Eh, poverina, è donna anch'ella, come le altre!

GUGLIELMO:      (entra) Dov'è la signora Giacinta?

BRIGIDA:             Perdoni, signore, mi ha imposto di fare le sue scuse.

GUGLIELMO:      M’han detto ch’era qui.

BRIGIDA:             C'era, per la verità, ma… l'ha chiamata il suo signor padre.

GUGLIELMO:      Intendo.

BRIGIDA:             (Il mal di testa era ben magra scusa.)

GUGLIELMO:      Aspetterò il suo comodo.

BRIGIDA:             Non credo potrà.

GUGLIELMO:      Non mi è permesso vederla?

BRIGIDA:             Non mancherà tempo. È ancora stanca del viaggio.

GUGLIELMO:      Questo è un insulto che mi viene fatto.

BRIGIDA:             Caro signor mio, prenda la cosa come le pare; io non so che dirle.

GUGLIELMO:      C'è in casa il signor Filippo?

BRIGIDA:             Non so, signore.

GUGLIELMO:      Come? Dite di non saperlo? Ma se poco fa diceste ch'egli ha chiamato la signora Giacinta?

BRIGIDA:             E se io gli ho detto che ha chiamato la signora Giacinta, perché mi domanda se c'è?

SCENA  33

Brigida, Guglielmo, Leonardo

LEONARDO:       (entra) (Come! Guglielmo qui?) (a Brigida) Dov'è la signora Giacinta?

BRIGIDA:             È di là col suo signor padre.

GUGLIELMO:      Amico.

LEONARDO:       (brusco) Schiavo vostro. (a Brigida) Domandatele se mi è permesso di riverirla.

BRIGIDA:             Sì, signore, la servo. (parte)

LEONARDO:       Appena tornato, subito qui, a salutare la signora Giacinta. Siete molto sollecito con ella!

GUGLIELMO:      Fo il mio dovere.

LEONARDO:       Non siete sì attento verso mia sorella, la vostra futura sposa.

GUGLIELMO:      Favorite dirmi in che cosa ho mancato.

LEONARDO:       Non mi fate parlare, signor Guglielmo! Ditemi intanto perché si differisce di sottoscrivere il contratto nuziale?

GUGLIELMO:      In vacanza non vi è stata occasione. Ma ora si può fare quando vi piaccia.

LEONARDO:       Entro oggi.

GUGLIELMO:      Benissimo. Andrò ad avvisare il notaro. Vi prego di dire alla signora Giacinta ch'ero venuto a salutarla. (parte)

SCENA  34

Leonardo, Brigida, Paolo

LEONARDO:       La premura ch'egli ha di vedere Giacinta mi dà motivo di sospettare…

BRIGIDA:             (entra) Signore, la mia padrona la ringrazia della sua attenzione e la supplica di perdono se questa mattina non può riceverla, ma le duole il capo.

LEONARDO:       Non mi è permesso di riverirla?

BRIGIDA:             Così m'ha detto, e così le dico.

LEONARDO:       (con sdegno) Bene. Ditele che mi dispiace per il suo male e che ne intuisco la causa.

BRIGIDA:             (Ha ragione. È cieca, e la sua gran virtù, tanto da lei declamata, se n'è andata in fumo.) (parte)

LEONARDO:       Sì, merito questo. E merito ancor di peggio. Solo ora mi accorgo ch'ella non ha per me alcun amore? Ho dunque da perderla? Sì, a queste condizioni la metterò in libertà. E poi? Poi, con mio scorno, ella sposerà Guglielmo. No, questo mai!

PAOLO:                (entra) Signore, l’ho trovata finalmente! Ho una lettera per lei. (gliela dà) Con licenza, torno a casa, ci sono dei signori… (parte)

LEONARDO:       Ci saranno dei creditori. (ha aperto la lettera) Che sento! Sequestrati i beni miei di campagna! Sequestrati i mobili di casa! L’argenteria! Sino le posate e la biancheria! Questa è l'ultima mia rovina, la riputazione è perduta. Quale strapazzo si farà del mio nome? Che serve ch'io abbia figurato con tanto sfarzo, se ora si scoprono le mie miserie? Che dirà di me la signora Giacinta? Come potrò io pretenderla in moglie con ottomila scudi di dote, nello stato miserabile in cui sono? Povero me! E non cessa di tormentarmi l'amore che sento per lei!

SCENA  35

Leonardo e Fulgenzio.

FULGENZIO:       ( entra) (Eccolo qui, il pazzo.)

LEONARDO:       Riverisco il signor Fulgenzio.

FULGENZIO:       Servitor suo. Si è divertito bene in vacanza?

LEONARDO:       Caro amico, tacete! Ho concepito un odio sì grande per le vacanze , che non vi andrò più per tutto l'oro del mondo.

FULGENZIO:       Il proponimento è buono. Il male è che l'avete fatto un po' tardi.

LEONARDO:       Io non credo di essere in tal precipizio.

FULGENZIO:       E cosa vi resta per essere rovinato più di quello che siete? Volete vendere a me lucciole per lanterne? Mi maraviglio che abbiate avuto il coraggio d'imbarazzare un galantuomo della mia sorte a chiedere per voi una fanciulla in isposa nello stato in cui siete. Oh, ma dal canto mio ci rimedierò: farò sapere al signor Filippo la verità; faccia poi egli quello che vuole.

LEONARDO:       Signor Fulgenzio, per amor del cielo, non mi mettete all'ultima disperazione! Giacché sapete lo stato mio, movetevi a compassione. Io sono in tali circostanze… senza roba, senza credito, senza amici.  Assistetemi, signor Fulgenzio, sono sull'orlo del precipizio!

FULGENZIO:       Se foste mio figliuolo, vi romperei l'ossa a suon di bastonate. Meritate proprio di essere abbandonato, ma non ho cuore di abbandonarvi.

LEONARDO:       Ah! Il cielo vi benedica! Voi salvate un uomo.

FULGENZIO:       Ecco il signor Filippo. Ritiratevi e lasciateci soli.

                               Leonardo parte.

SCENA  36

Fulgenzio e Filippo.

FULGENZIO:       Sono inimicissimo degl'impicci, e ora mi ci trovo dentro senza volerlo.

FILIPPO:               (entra) Oh! Ecco qui il mio caro signor Fulgenzio!

FULGENZIO:       Ben tornato, signor Filippo. Vi siete divertito bene in vacanza?

FILIPPO:               Benissimo. Buona compagnia e ottimo vitto. Una belèssa!

FULGENZIO:       Ho piacere che ve la siate goduta. Ora, se permettete, ho necessità di parlarvi.

FILIPPO:               Parlate, parlate,  v'ascolterei se veniste a mezzanotte.

FULGENZIO:       Quando pensate di concludere il maritaggio di vostra figlia Giacinta?

FILIPPO:               Uè, che fretta! Al più presto.

FULGENZIO:       Bene. Ora ditemi, in confidenza: gli ottomila scudi di dote li avete preparati?

FILIPPO:               Per dirvi la verità, presentemente non ho liquidità. Bèla, eh? La fa anca rima!

                               Sapete, le vacanze…

FULGENZIO:       Eh, certo. (pausa) Ma ho un consiglio da darvi che vi farà comparire con onore e vi farà maritare la figlia senza spendere un soldo. Asseriste tempo fa che in altra città avete degli effetti. Bene. Assegnate in dote alla vostra figliuola questi  beni. Io farò in modo che il signor Leonardo li accetti. E gli sposi anderanno ad abitare colà. Cosa dite?

FILIPPO:               Dico che glieli do volentieri.

FULGENZIO:       La cosa è fatta, dunque?

FILIPPO:               Fattissima.

FULGENZIO:       E vostra figlia sarà poi contenta di andar lontano?

FILIPPO:               Questo è il diavolo!

FULGENZIO:       Ma voi non avete animo di farla fare a modo vostro?

FILIPPO:               Non ci sono abituato.

FULGENZIO:       Questa volta dovete farlo.

FILIPPO:               Lo farò! Lo farò.

FULGENZIO:       E quando le parlerete?

FILIPPO:               Presto.

FULGENZIO:       Ora!

FILIPPO:               Porca sidèla, che urgenza! E va bene, ora. Vado immediatamente: aspettatemi colla risposta. (in atto di partire.) Ma... non sarebbe meglio ch'io la facessi venire qui, e che voi le diceste qualche  cosetta, prima?

FULGENZIO:       Avete paura di vostra figlia?

FILIPPO:               Ma no, paura… è che ci ha una crapa…!

FULGENZIO:       Andate, e fatela venire. Io raggiungo il signor Leonardo nel salottino. Lì vi attenderemo.

FILIPPO:               (felice) Vado. (parte)

FULGENZIO:       La cosa finora va bene. Basta che non ci faccia disperare la sua figliuola. (parte)

SCENA  37

Giacinta, Brigida, Vittoria

                               - AUDIO n.16   Luna tu  (Ranzato, Lombardo)

GIACINTA:           (entra) Questa passeggiata, il veder un po’ di gente non conosciuta, mi ha calmata un poco.

BRIGIDA:             (entra) Signora, è tornata? La cercava il suo signor padre. C’è poi la signora Vittoria che la vuole salutare.

GIACINTA:           Che passi.

                               Brigida parte.

GIACINTA:           Mancava costei! Come cognata la dovrò soffrire per molto, purtroppo.

VITTORIA:            (entra) Ben trovata, la mia cara Giacinta.

GIACINTA:           Padrona, la mia cara Vittoria.

VITTORIA:            Sta bene la signora Giacinta?

GIACINTA:           (molto allegra, ma forzata) Bene, benissimo. Non sono mai stata meglio. Avete un gran bell'abito, Vittorina.

VITTORIA:            Eh, un abitino passabile.

GIACINTA:           L'avete fatto quest'anno?

VITTORIA:            Veramente è dell'anno passato.

GIACINTA:           È alla moda, per altro.

VITTORIA:            Sì, l'ho fatto un po' ritoccare.

BRIGIDA:             (entra) Signora, il signor Guglielmo col signor Ferdinando. (poi parte)

GIACINTA:           Che passino, son padroni. (O povera me! Come faro?)

SCENA  38

Giacinta, Brigida, Vittoria, Guglielmo, Ferdinando

                               Entrano Ferdinando e Guglielmo.

GUGLIELMO:      (C’è anche Vittoria!)

FERDINANDO:   M'inchino alla signora Vittoria.

GUGLIELMO:      (a Giacinta) Mi consolo di vederla star bene.

GIACINTA:           Grazie, grazie. (verso le quinte) Presto, Brigida, delle sedie!

                               Brigida esegue.

VITTORIA:            (a Ferdinando) Signore, che mai vuol dire ch'ella non è al caffè?

FERDINANDO:   Sono qui in compagnia dell'amico.

VITTORIA:            E’ venuto a far cosa il signor Guglielmo?

GUGLIELMO:      (a disagio) Sì, veramente

FERDINANDO:   Ma, cari amici, quando si concludono le vostre nozze?

VITTORIA:            Quando piacerà al gentilissimo signor Guglielmo.

FERDINANDO:   Avete fatta la scritta?

VITTORIA:            Signor no, non si è ancora trovato il tempo per eseguire questa gran cosa che si fa in un momento.

GUGLIELMO:      Per la verità, il signor Leonardo mi ha incaricato di rintracciare il notaro. L'ho già veduto, e siamo in concerto di ritrovarci, qui, questa sera.

GIACINTA:           (con allegria forzata) Via, seggano, favoriscano. Che novità ci sono in città? Il signor Ferdinando, che sa tutto.

GUGLIELMO:      Che vuol dire, signora Giacinta, che oggi siete sì allegra?

GIACINTA:           Non lo so. Ho un brio, ho un'allegrezza di core…

FERDINANDO:   Ci sarà il suo perché.

GIACINTA:           Ci sarà. (dà dei pugnetti nervosi sul braccio di Ferdinando)

FERDINANDO:   (ironico) Sarà probabilmente perché si avvicinano le nozze.

GIACINTA            (dà una spinta a Ferdinando, ma esagera) Sempre curioso, il signor Ferdinando.

FERDINANDO:   (è riuscito a non cadere) Ma dunque, l’avete con me?

GIACINTA:           Sì, certo, voglio far vendetta di quella povera vecchia di mia zia, che voi avete sì maltrattata.

FERDINANDO:   E che cosa ho fatto io alla signora Costanza?

GIACINTA:           Che cosa le avete fatto? (durante questo discorso, Giacinta va guardando Guglielmo) Avete conosciuto la sua debolezza e l'avete innamorata perdutamente. E un uomo d'onore non ha da fare di queste azioni. Fare innamorare una persona vecchia, o giovane ch'ella sia, quando l'amore non può avere un onesto fine, sono cose barbare e pericolose.

FERDINANDO    (si volta a guardare Guglielmo)

GIACINTA:           (lo spinge ancora) Dico a voi, dico a voi. Non occorre che vi voltiate. Intendo di parlare con voi.

FERDINANDO:   (La burla passa il segno. I suoi scherzi diventano impertinenze). (s’alza) Con licenza di lor signore.

 

GIACINTA:           Dove andate?

FERDINANDO:   Voglio levar l'incomodo.

GIACINTA:           (allegra.) Eh, via, non fate scene! Restate, dunque.

 

VITTORIA:            Per una parte avete ragione, ma forse l'avete strapazzato un po' troppo.

GIACINTA:           Ho scherzato.

FERDINANDO:   Signora, gli scherzi quando sono pungenti...

GIACINTA:           Su, su, perdonate! Sedete ancora vicino a me. Vi prego.

GUGLIELMO:      (Non sa l’amico ch’ella parlava per me.)

GIACINTA:           Oh! Ecco mio padre. (mima) Ora la conversazione sarà più compita.

VITTORIA:            (Giacinta, quando c’è Guglielmo, è sempre d’un'allegria esagerata e fuori luogo.)

 

SCENA  39

Giacinta, Brigida, Vittoria, Guglielmo, Ferdinando, Filippo

FILIPPO:               (entra; a Giacinta) Ecco! Ti cercavo e sei qui! (agli altri) Servo di lor signori.

VITTORIA:            Benvenuto, al signor Filippo.

GIACINTA:           Sono appena tornata.

FILIPPO:               Ho urgenza di parlarti. Ti aspetto nel salottino, col signor Fulgenzio e il signor Leonardo. (parte)

GIACINTA:           Come vuole il signor padre.

                               Durante le prossime due battute, Guglielmo fa scivolare un foglio fra le mani di Giacinta

FERDINANDO:   (a Vittoria) Non avete ancora visto il vostro signor fratello?

VITTORIA:            Sono a far visita da sola. E anche il signor Guglielmo si compiace poco di favorirmi.

GUGLIELMO:      Eh, sì… ma sono affaccendato per il notaro. (ora una bugia) Ho mandato uno scritto e attendo con trepidità una risposta. (guardando Giacinta) Vuole la convenienza, che quando si riceve una lettera, si risponda.

GIACINTA:           Bisogna vedere se la lettera merita una risposta. (si alza) Con licenza.

                               (Che mai vogliono dirmi? Sono in curiosità, ma ho curiosità ancor maggiore di dare una scorsa a questo scritto di Guglielmo.)

SCENA  40

Giacinta sola

GIACINTA:           (mentre apre il foglio) Non gli basta tormentarmi con delle visite!

                               - AUDIO n.17   Voce registrata di Guglielmo

GUGLIELMO:      “Madamigella, sono venuto questa mattina per riverirvi. Non mi è stato permesso. Onde mi sono preso l'ardire di scrivervi quest'umilissimo foglio. La ragione è che ormai si sa di certo essere in tale rovina il signor Leonardo, da non poter assolutamente supplire ai pesi di un maritaggio.”

GIACINTA:           Oh cieli! Che colpo è mai questo! Che sconvolgimento d'affari! Questa novità muta molte cose.

                               - AUDIO n.18   Voce registrata di Guglielmo

GUGLIELMO:      “Se vi trovaste disobbligata, sappiate che non ho ancora firmato il contratto di matrimonio con Vittoria e che mai m'indurrò a sottoscriverlo, se non quando vi vedrò maritata.”

                              

GIACINTA:           Poss'io credere a questo foglio? E se Leonardo è in rovina, sono io per questo in libertà di lasciarlo? Ogni ragione mi scioglierebbe da un tale impegno. E dopo? Potrei dare la mia mano a Guglielmo? No. L'aver io stessa procurato gli sponsali fra Vittoria e Guglielmo, mi vieta assolutamente di farmi l'origine del loro discioglimento. Che fare? Che dice il cuore? E la ragione? Ah, la ragione ed il cuore mi parlano con due diversi linguaggi! (parte)

SCENA  41

Vittoria, Guglielmo, Ferdinando, Costanza, Brigida

GUGLIELMO:      (Parleranno? Cosa decideranno? Quale sarà la mia sentenza?)

VITTORIA:            Signor Guglielmo, dormite?

GUGLIELMO:      Signora no, non dormo.

VITTORIA:            (Io non so come abbia da essere con quest'uomo. Egli è tutto flemma, io son tutta foco.)

BRIGIDA:             (entra) La signora Costanza. (esce)

FERDINANDO:   (a Vittoria) (Era avvertita della mia presenza qui?)

COSTANZA:        Serva vostra; ben trovati.

VITTORIA:            Serva sua.

GUGLIELMO:      Servitor vostro.

FERDINANDO:   (ironico) Riverisco la signora Costanza. Vi sono novità?

COSTANZA:        Ch’io sappia, no. Sono venuta a trovare mio fratello e Giacinta. Dove si son nascosti?

FERDINANDO:   Saranno subito con noi. Sono in colloquio col signor Leonardo e il signor Fulgenzio.

COSTANZA:        Parleranno di nozze. E quelle della signora Vittoria col signor Guglielmo? Quando si marita la signora Vittoria?

VITTORIA:            Cara la signora Costanza, spero presto. (guarda Guglielmo) Signor Guglielmo, dormite?

GUGLIELMO:      No signora.

VITTORIA:            Come rispondete alla signora Costanza?

GUGLIELMO:      Che se si vuol maritare di bel nuovo, ha la grazia e la presenza per farlo.

                               Tutti guardano Ferdinando.

FERDINANDO:   Una scritta si potrebbe fare, ma dovrebbe essere accompagnata da…

COSTANZA:        Oh! Eccoli: il congresso è finito.

FERDINANDO:   (piano a Costanza) …una donazione.

GUGLIELMO:      (s’alza) (Sono in ansietà di sapere.)

VITTORIA:            (a Guglielmo) Pare che ora vi risvegliate.

GUGLIELMO:      Credetemi, non ho mai dormito.

                      

                            Tutti si alzano.


SCENA  42

Vittoria, Guglielmo, Ferdinando, Costanza, Giacinta, Leonardo, Filippo, Fulgenzio, Brigida,

 Paolo, Custode

                               Entrano Filippo, Leonardo, Fulgenzio, Giacinta.

FILIPPO:               Siamo qui. Belli come il sole.

COSTANZA:        Padrone, signor Filippo.

VITTORIA:            Che nuove abbiamo, signor fratello?

LEONARDO:       Buonissime, signora sorella. Domani di buon mattino partirò per un’altra città.

VITTORIA:            Partite?

LEONARDO:       Sì, signora.

VITTORIA:            Solo, o in compagnia?

LEONARDO:       In compagnia.

VITTORIA:            Di chi, se è lecito?

LEONARDO:       Della signora Giacinta.

VITTORIA:            M'immagino che prima vi sposerete.

LEONARDO:       Senz'alcun dubbio.

VITTORIA:            E noi, signor Guglielmo?

GUGLIELMO:      Va a vivere in un’altra città la signora Giacinta?

GIACINTA:           Sì, signore. Vi stupirete tutti ch'io mi sia lasciata condurre ad una sì violenta risoluzione. Confesso che il distaccarmi dalla persona ch'io amo più di me stessa, mi duole... Parlo di voi, caro padre. Partirò, scorderò i miei deliri,  le mie debolezze... Voglio dir, l'ambizione e il fanatismo delle mie superbe vacanze. Ecco il mio sposo.

                               Signor Leonardo, alla presenza del padre mio, di tutti questi signori, vi esibisco la mano, e vi ridomando la vostra.

FILIPPO:               (A Fulgenzio.) Che dite? Mi fa piangere per tenerèsa, la mia bambina.

LEONARDO:       Eccovi la mano accompagnata dal cuore.

COSTANZA:        Nozze, nozze, evviva!

LEONARDO:       Signor Guglielmo, prima ch'io parta, mi lusingo che si stabilirà un po' meglio l'impegno vostro con mia sorella. Questa sera non si dovea sottoscrivere la carta del matrimonio?

VITTORIA:            Dormite, signor Guglielmo?

GUGLIELMO:      Non dormo, signora mia, non dormo. Sono bastantemente sveglio per intendere gli altrui detti e per conoscere i miei doveri. Merita lode la signora Giacinta, meritano lode i di lei consigli. Ho sempre ammirato la di lei virtù, e per ultimo contrassegno della mia stima, eccomi, signora Vittoria, eccomi pronto ad offerirvi la mano.

VITTORIA:            Per la stima che avete di lei, non per l'amore che voi provate per me?

GIACINTA:           Ha ragione la signora Vittoria, e mi maraviglia che siate così poco compiacente...

GUGLIELMO:      Non v'inquietate, di grazia; son ragionevole più di quel che credete. Signora Vittoria, assicuratevi di avere in me un conoscitore del vostro merito, uno sposo fedele, un rispettoso consorte.

VITTORIA:            Tutto, fuor che amante.

COSTANZA:        (a Vittoria) (Su, mia cara, non fate troppo la sofistica. Vedrete che l’amore verrà, se voi saprete farlo innamorare.)

VITTORIA:            Signor Guglielmo, col miglior cuore del mondo vi do la mia mano.

GUGLIELMO:      E per mia sposa vi accetto.

FILIPPO:               Grande giornata! Due matrimoni.

                               Entrano Brigida e Paolo per mano.

BRIGIDA:             Tre, signore, se ci è concesso.

                               Tutti applaudono. Giacinta va ad abbracciare Brigida e Leonardo stringe la mano a Paolo.

COSTANZA:        Ha ragione il signor Filippo, oggi è giorno favorevole ai matrimoni.

FERDINANDO:   Tenga, mia cara, che gliene faccio un presente.

COSTANZA:        Cosa mi date?

FERDINANDO:   Una scritta di matrimonio.

COSTANZA:        È per me forse?

FERDINANDO:   Veramente non è per lei. Perché nella sua ci ha da essere una donazione.

COSTANZA:        (incollerita) Orsù, questa è un'insolenza, e ne sono stufa. Avete avuto il mio cuore. Se non vi è basta, lasciatemi in pace.

FERDINANDO:   (agli altri, divertito) (La vecchia è in collera. La donazione è in fumo. La commedia per me è finita.)

                               Durante il seguente e ultimo monologo, lentamente Leonardo indosserà la sciarpa, il cappello e il bastone; mentre il Custode, nel limite del fattibile, riporterà la scena in casa di Leonardo, coprendo poi con i teli bianchi sedie e quant’altro possibile.

                               Poi, insieme, si avvieranno all’uscita, dove si fermeranno un istante: Leonardo a guardare con tristezza un mondo ed un tempo che non potrà più rivivere, il Custode a dare un’ultima occhiata alla sala.

GIACINTA:           Compatisco la signora Costanza, s'ella desiderava un maritaggio che può essere criticato. Ma gli affetti delle vacanze nascono e muoiono con la troppa libertà che loro offre la villeggiatura.

Desidero poi per la mia cara Vittoria quella pace e quella tranquillità ch'io bramo per me medesima.

Supplico il caro mio genitore di amarmi sempre, benché lontano.

Ringrazio il signor Fulgenzio del bene che ci vuole.

Auguro che anche il signor Ferdinando metta la testa a partito.

Saluto col cuore la mia cara Brigida, che corona il suo sogno d’amore.

Riverisco infine il signor Guglielmo, amico e futuro cognato.

Parto, col mio caro sposo; ma prima di andarmene, permettete ch’io mi rivolga a chi ci ascolta.

Vedeste le smanie per la villeggiatura, le avventure dei villeggianti e infine il ritorno dalla vacanza; tre commedie, acconciate in una sola, per mostrarvi che i vacanzieri son sempre quelli, ieri, oggi, domani.

E se aveste occasione di ridere dell'altrui cattiva condotta, consolatevi con voi stessi della vostra moderazione.

Infine, se non siete di noi malcontenti, dateci un cortese segno del vostro gradimento.

- AUDIO n. 19   Stessa spiaggia, stesso mare  (Mogol, Soffici)

                               Sugli applausi, chiamati da Giacinta, il Custode spegne la luce.

F I N E