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ZERO

ZERO

Di 

Laura Vittoria Sicignano

(registrato alla SIAE)

La scenografia non deve essere realistica.
Elementi molto stilizzati indicano i diversi ambienti (casa di LUCIO con bagno e sala con veduta su un giardino; casa di Simone con stanza da letto e cucina; tetto della casa di Simone; giardino della casa di SIMONE). Il quadro nella sala della casa di LUCIO potrebbe essere l'unico elemento decorativo, ma di dimensioni irreali: forse utilizzato con diverse illuminazioni diventa uno sfondo variabile anche per altre scene. Forse potrebbero esserci dei rampicanti che via via invadono lo spazio.

LUCIO, detto Zago ha 25 anni, 
DENIS SUPERBI ha 20 anni, 
SIMONE BIANCHI ha 20 anni,
L'UOMO, un adulto terribile.

SCENA I
(Appartamento di buona borghesia. LUCIO è In una vasca da bagno) 

LUCIO ­ Forse si tratta solo di eseguire delle azioni quotidiane. Nutrirsi, defecare, dormire e le altre. Risolversi in questa semplicità. Trovare la pace nella cura del corpo. Eliminare. Dimenticarsi. Diventare idioti come arbusti, come sterpi. Elisa con quelle piccole mani mi strappi parole e sangue come rami spezzati...

(Suona il citofono. LUCIO spegne il registratore su cui stava incidendo queste parole, esce lentamente dalla vasca, indossa un accappatoio, va al citofono ad aprire, poi va in sala lasciando la porta di casa aperta. Si prende cura dei bonsai. Ombra. Arriva SIMONE)

SIMONE ­ Ave.

LUCIO – Ciao.

SIMONE - Dominare la natura con paziente perizia, attendere i germogli, reciderne le radici e modellare i rami. Una forma inestimabile di sadismo sui vegetali. Considerato che non hanno facoltà di protesta, l’arte del disporre i bonsai è un sublime balsamo per lo spirito.

LUCIO – Mi rilassa.

SIMONE ­ Si potrebbe raggiungere un più sottile piacere con gli animali, badando prima a reciderne le corde vocali. (Indicando il quadro) ­ Schifano? 

LUCIO ­ Già. 

SIMONE - Eccellente. Un memento che per noi trasgredire è sempre più arduo. 

LUCIO - Hanno già strafatto i nostri padri. Quanta?

SIMONE ­ Un grammo basta. Domani tornano i miei. 

LUCIO (estrae da una tasca una bustina e la dà a SIMONE) ­ E’ l'ultima: in regalo. Ricette ne puoi prendere ancora a tua madre?

SIMONE – Basta Roipnol per un po'. Al farmacista è parsa sospetta la questua di giovanotti, tutti forniti di regolari ricette tutte firmate dalla stimabile dottoressa mia madre. Allora le ha telefonato, per verificare la curiosa coincidenza. Lei non pensa che il furto del ricettario sia opera del suo bambino. (Lucio guarda Simone come a interrompere il fiume delle sue parole) Ma non bisogna esagerare. Per un periodo basta.

LUCIO ­ Esagerare sempre. Se me ne procuri ancora un paio.

SIMONE ­ Vedremo. Fra un po', magari. Perché questa passione per le piante?

LUCIO – E’ vita senza memoria e senza linguaggio.

SIMONE – Quando Elisa veniva qui, stava in giardino anche d’inverno. La vedevo dalla strada, magrolina come una fontanella in mezzo a tutti tuoi arbusti.

(LUCIO mette un disco a volume alto)

SIMONE - Questo è nuovo? (abbassa il volume)

LUCIO ­ No.

SIMONE ­ Preferisco Wagner. La musica classica…

LUCIO (interrompendolo) ­ Vuoi fartela qui?

SIMONE ­ La cavalcata delle Valchirie, epica, sontuosa. Se si può.

LUCIO ­ Sono solo fino a domenica sera.

SIMONE ­ Bene. Però cambiamo musica.

LUCIO ­ No.

SIMONE (si siede) ­ Hai un'insulina?

LUCIO ­ Una.

(suona il citofono. LUCIO smette di occuparsi delle piante)

SIMONE ­ Chi è?

LUCIO (Spegne la musica e va al citofono) ­ Non so. Bossa. (SIMONE nasconde la roba. Al citofono) Sì? (Pausa) Sì. 

(LUCIO apre la porta di casa. Entra DENIS)

DENIS ­ Ciao.

SIMONE (a Lucio) ­ Gli sciacalli sono sempre in agguato. 

DENIS ­ 'fanculo.

SIMONE ­ Il tuo. Hai seguito l'odore dell’oscuro oggetto dell’unico reale desiderio?

LUCIO (a DENIS ) ­ A cosa devo l’onore? 

(LUCIO dà l’insulina a SIMONE e si siede. Anche DENIS si siede)

SIMONE ­ Ce l'hai un'insulina per te?

DENIS ­ Qui?

SIMONE ­ Il capo è cortese e offre ospitalità.

DENIS ­ Sì. Una, però.

LUCIO ­ Io passo.

SIMONE ­ Perfetto!

(SIMONE e DENIS si preparano a farsi, scaldando la roba eccetera. LUCIO li guarda)

LUCIO ­ Non voglio smarroni in casa. Metteteveli in tasca e fuori buttateli in un’altra strada.

SIMONE ­ La saggezza del capo. E’ buona?

LUCIO ­ Devi dirmelo tu.

SIMONE ­ Non l'hai provata?

LUCIO ­ A te l'onore.

SIMONE (assaggiando la polvere con un dito) ­ Jus primae noctis. Mi pare eccellente.

DENIS (che si è già fatto) ­ Se lo dici tu.

LUCIO (a Denis) ­ Non gradisci? 

DENIS ­ Mah.

SIMONE (a Lucio) ­ Denis ostenta un palato fino, ma si è appena svezzato dal tirare di colla.

DENIS ­ Io vado. (a Simone) Tu che fai? 

SIMONE ­ Hai scroccato, come sempre, e già te ne vai. Fingi almeno qualche minuto di conversazione. 

DENIS ­ A ognuno secondo i suoi bisogni, ognuno secondo le sue possibilità. (si fruga in tasca per cercare le sigarette. Non le trova. Ne prende una dal pacchetto di SIMONE)

SIMONE ­ Carlo Marx. Lascia stare le mie sigarette! A parte le poche citazioni liceali, la tua conversazione si riduce a grugniti beluini. Inoltre i tuoi bisogni chimici eccedono qualsiasi ragionevole possibilità.

DENIS ­ Sono ambizioso: le possibilità che aspiro ad esaurire non sono le tue, ma quelle di tuo padre. 

SIMONE – E’ lui che produce in misura eccessiva. 

DENIS - E io ho diritto a consumare non meno di te

SIMONE - Un’etica sociale impeccabile.

DENIS - Cosa ne sarebbe di tutta questa ricchezza, senza il nostro inutile spreco? 

LUCIO – Vanità delle vanità. E’ il destino delle cose.

DENIS – Produci, consuma e crepa.

SIMONE ­ La mia famiglia produce ricchezza da generazioni.

DENIS ­ Ma come ti manca il titolo nobile! “Simone Bianchi” è un vero squallore, e lo sai anche tu. O a tuo padre hanno dato in omaggio un blasone insieme alle mazze da golf?

SIMONE ­ Tu taci che siete dei barboni.

DENIS ­ Ma senti il cognome: Superbi. (tira fuori dalla tasca un fazzolettino di carta tutto stropicciato) Asciuga la bava, Bianchi.

SIMONE ­ Barboni. Tuo padre fino a ieri faceva il poliziotto.

DENIS - Menomale. Se lo faceva oggi, ci capitava alla porta (ridono). 

SIMONE - “Ci capitava”!!! Perché vogliamo dimenticare i congiuntivi?

DENIS - Perché non si usano. Per economia.

LUCIO – Neanche il cervello si usa. Eliminiamolo. Sarebbe l’unico vero progresso umano negli ultimi duemila anni. 

SIMONE – Così parlò Zarathustra.

DENIS - Non è male (riferito alla roba).

LUCIO - No, non è male. 

DENIS – Allora esiste un male che porta giovamento.

SIMONE – Giovamento, oblio e dolce senso di voluttà.

DENIS – Meglio di una scopata. Vi saluto e mi annullo.

SIMONE – Una frase già sentita, cristiana.

LUCIO – Significa che l’uomo cerca di perdere ciò che lo caratterizza banalmente, ciò che lo rende opaco. Per potersi presentare a dio, il giorno in cui morirà, in pura trasparenza. 

(Pausa)

SIMONE – Amen.

DENIS – Non ho capito un cazzo. E me ne frego.

SIMONE (a Denis) – Allora attieniti ai tuoi grugniti. (a LUCIO) Ma tu sei fatto o no? Non si capisce mai.

LUCIO ­ E’ il mio bello.

DENIS ­ Un vero duce.

SIMONE (a Denis) ­ A te si vede benissimo: sei un barbone. (a Lucio) Secondo me, Denis piace alle donne perché vedono in lui la bestia primordiale. 

DENIS (si alza) ­ Io vado.

SIMONE ­ Sei un ospite del cazzo. Ti si offre, ne approfitti e te ne vai.

DENIS ­ Sono un barbone.

SIMONE ­ E poi dove vai in quello stato. Sei fattissimo. Si vede.

DENIS ­ Tu invece sei fattissimo, si vede e ti vai a schiantare con la macchina.

SIMONE (a LUCIO) ­ Sai che mi sono schiantato? Ero fattissimo!

LUCIO ­ E’ il destino delle cose.

SIMONE ­ Io non mi sono fatto niente, ma l’auto è sfracellata, così (schiaccia il pacchetto di sigarette). Quasi. Mia madre dice che certi incidenti sono come dei lapsus.

(LUCIO si alza di scatto ed esce dalla stanza)

SIMONE (ridacchiando) ­ Ora gli chiedo se giovedì la sua macchina ha avuto migliore destino.

DENIS (ironico) ­ Una domanda garbata, intelligente. 

SIMONE ­ E’ fuori.

DENIS ­ Tu no?

SIMONE ­ Voglio dire che lui è fuori sempre. 

DENIS ­ Il tuo mito. Ognuno ha la mitologia che si merita.

SIMONE ­ No, amore, il mio mito sei tu, fatti baciare il culo.

DENIS ­ Caccia le mani, fai schifo.

SIMONE – Ho capito perché tu ed Elisa vi sieti trovati: avete lo stesso odore!

DENIS - Toglimi quel naso schifoso dal collo.

SIMONE – Affinità elettive con me e affinità corporali con te. Noi tre siamo una coppia perfetta.

DENIS – Tu con Elisa non sei proprio niente.

SIMONE - Lei è il mio fuoco fatuo, la prima stella della sera, la nostalgia dell’Eden prima della cacciata...

DENIS – Ormai parli come Zago. Ti ha completamente plagiato.

SIMONE ­ Patetica invidia per il fulgore del nostro linguaggio. Io se fossi in te non mi farei la roba che ti dà lui. Magari è avvelenata.

DENIS – Elisa ha ragione a dire che hai le mani da prete. 

SIMONE – Perché le conosce bene…

DENIS – Tu sogni..

SIMONE - Per me è avvelenata

DENIS ­ Io c'ho nove vite. E poi te la sei fatta anche tu. 

SIMONE ­ Otto. Una te la sei giocata giovedì. (simula con pacchetto di sigarette e accendino la dinamica dell’incidente). Brum, brum. Qui c’è il nostro eroe, splendido, è Lucio, ma lo chiamano Zago, sul suo rombante squalo nero. Qui ci sei tu, sul tuo rottame da bulletto di periferia…

DENIS – La vespa non è mia, è di mio fratello.

SIMONE – Pardon, sul rottame di quell’idiota di tuo fratello. L’eroe ti vede mentre tenti una patetica sgommata. Ti ha visto. Ha mirato. Ti centra. Ti stende. Si ferma. Ti guarda. Ti ammazza? No, magnanimo come un dio, Zago ti lascia sull’asfalto. Quasi vivo.

DENIS – Purtroppo.

SIMONE ­ Pensa se ti accoppava. Magari. 

DENIS ­ Vaffanculo (si tocca le palle). E poi è stato un caso.

SIMONE ­ Prima pagina: “Zago uccide per amore!” Magari restavi paralizzato. 

DENIS ­ Vaffanculo.

SIMONE – Elisa avrebbe spinto la tua carrozzella sul lungomare nelle tiepide sere d’estate.

DENIS – Mi sembra di sentire la musica di sottofondo.

SIMONE – E ti sei perso anche la vespa.

DENIS ­ La vespa è di mio fratello. Se la fa rifare nuova.

SIMONE ­ Era un rottame.

DENIS ­ Tanto, va.

SIMONE ­ Andava.

DENIS ­ Se la fa rifare nuova.

(torna LUCIO vestito, con una bottiglia grande di Coca Cola e si siede).

SIMONE ­ Quanta Coca bevi? Posso averne un po'?

LUCIO ­ E’ in frigo. 

(SIMONE esce. LUCIO e DENIS restano soli in silenzio. Aria di tensione. Denis prende una sigaretta, ma non trova l’accendino. Nel cercarlo è nervoso. Lucio lo guarda)

LUCIO – Hai perso qualcosa?

DENIS – E tu?

LUCIO – Tutto. 

SIMONE (da fuori) - Sei tu il bambino grasso della foto?

(Nessuna risposta. LUCIO tira fuori dalla tasca un taglia unghie e si taglia le unghie)

SIMONE - (rientrando con una lattina) Sei tu il bambino grasso nella foto 
di là?

LUCIO ­ No. E’ mio fratello gemello.

SIMONE ­ Hai un gemello?

DENIS (a SIMONE) ­ Sei veramente deficiente. Fammi accendere. (gli prende l’accendino)

SIMONE ­ Stai zitto, tu, barbone. (a LUCIO) Eri grasso, da piccolo.

LUCIO ­ Paffuto.

DENIS (a SIMONE) - Te, eri obeso: ti esplodevano i bottoni della camicia.

SIMONE (a LUCIO) ­ Questa l'ha raccontata sei milioni di volte. E’ come i vecchi.

DENIS ­ Io sono nato vecchio. (prende la lattina di SIMONE e beve)

SIMONE ­ Chi ti detto di bere dalla mia lattina, barbone? Vatti a prendere la tua, sempre che il padrone di casa acconsenta, visto che non ti ha invitato nessuno.

DENIS (si alza) - Appunto, io vado. Ciao.

SIMONE ­ Sai che Zago fa colazione con un litro e mezzo di Coca Cola? (a LUCIO) Ma cos'hai nello stomaco, una marmitta? (a DENIS) Dove vai con quel brutto cipiglio?

DENIS ­ Cazzi miei. Ti è salita logorroica. 

SIMONE ­ Stasera?

DENIS ­ Cazzi miei (esce).

SIMONE ­ Ti chiamo stasera.

(Si sente la porta chiudersi. SIMONE rutta. Pausa)

LUCIO ­ E’ arrivata lei?

SIMONE ­ No, arriva dopodomani. (Beve) E’ gelata questa Coca. (Pausa) Lui non so dove stia andando. Ma lei, la vado a prendere io. 

SCENA II

LUCIO – Cara Elisa, le cose che sono fuori di noi e il nostro stesso corpo, ciò che succede in noi e ciò che succede di noi si fa predominante. Gli oggetti devono essere la prova che i nostri simili non sono entità isolate rispetto a noi, gli oggetti devono dimostrare che le persone sono o non sono insieme con noi. Le testimonianze di se', della propria vita, l’intera sfera del privato impiegati come materiali di repertorio. Tutto diventa recuperabile: una qualunque azione, un qualsiasi momento di una qualsiasi giornata, le proprie foto, radiografie, le scorie, la propria voce, tutti i possibili rapporti con gli escrementi e con i genitali. Ricostruzioni di fatti del proprio passato o messa in scena di sogni, la ginnastica, il giardino, le minacce, le acrobazie, le percosse e le ferite.Troppa roba: cancellare. (Pausa) Ma non riesco a fare a meno di te. LUCIO.

SCENA III
(Questa conversazione si svolge mentre i due compiono un’azione sportiva, forse squash, tennis, freesbie. DENIS è più abile.)

DENIS ­ La storia è questa. Spiaggia di Acapulco. Sole allo zenit. Ci va allo zenit il sole ad Acapulco?

SIMONE ­ Che ignorante.

DENIS ­ Sole allo zenit. Io e mio cugino stiamo pescando paguri, con le ciabatte. Lei è stesa su una chez longue e sorseggia caipirinha da un calice di cristallo.

SIMONE ­ Caipirinha da un calice di cristallo?

DENIS ­ Elisa sorseggia solo da calici di cristallo.

SIMONE ­ E’ vero.

DENIS ­ Occhiali a farfalla e monokini francobollo.

SIMONE ­ Ovvio.

DENIS ­ Non ti eccitare, stronzo. Io e mio cugino sciacquettiamo sul bagnasciuga con il retino. A caccia di paguri. Ma con la coda dell’occhio non la perdiamo di vista. Le sue guardie del corpo.

SIMONE ­ Sembri un film di serie zeta.

DENIS ­ Gli intellettuali siete voi. Dunque: lei sente un po' caldo, allora si alza, si avvicina alla riva, assaggia col piede le tiepide acque di Acapulco e si immerge. Nuota. 

SIMONE ­ La testa fuori dall’acqua se no si bagna i capelli.

DENIS ­ No, nuota come una sirena immergendosi e riemergendo grondante di gocce perfettamente equidistanti una dall'altra. Ma a un certo punto… un granchietto, no, una medusina, quando è molto al largo, le pizzica una coscia.

SIMONE ­ MMMH...

DENIS ­ "Ah” fa lei. Un suono impercettibile, a cui sono sensibili: a) i diapason, b) le marmotte c) io. Ecco, lei è in pericolo! Bisogna intervenire. Io e mio cugino saltiamo sul pattìno e iniziamo a pedalare velocissimo per andarla a soccorrere. Le ciabatte ce le dimentichiamo a riva.

SIMONE ­ Col pattìno.

DENIS ­ Siamo barboni noi. Abbiamo anche un costume da bagno di quelli vecchi, a mutanda. Ma mentre sudiamo come cani, ecco sentiamo avvicinarsi il rombo di un motoscafo. Sempre più vicino, sempre più potente. Eccolo.

SIMONE ­ Sono io!

DENIS ­ Si, sei te, oltre a me e alle marmotte anche tu puoi percepire l'impercettibile. Sei te, in piedi, al volante di un motoscafo Ferrari (un po' da cafoni).

SIMONE ­ Vaffanculo.

DENIS ­ Sì, con i Ray Ban, ci sorpassi, ci sommergi con un'onda, noi ci capotiamo e ci troviamo a mollo con i paguri che ci mordono il culo.

SIMONE ­ E io traggo in salvo la principessa, io, Lancillotto. 

DENIS ­ No, caro. Dall’alto improvvisamente si ode avvicinarsi una musica. E’ la Cavalcata della Valchirie. Nana nananananá nanananá naná nanaa

SIMONE ­ Ná naná nanaa

DENIS ­ Zitto merda, stoni. E’ un elicottero. A bordo c’è Zago. Splendido, con il giubbotto da aviatore e le cuffie. Nana nana nanaaa. Si pone esattamente allo zenit, lui sì, su di lei e cala una fune prensile. Lei con gesto elegante si infila nel cappio e come le acrobate del circo si eleva sulle acque. Un trionfo.

SIMONE ­ E i delfini applaudono festosi.

DENIS ­ Tu gli fai un cenno di intesa, sta a dire "Cedo il passo, sei il migliore". Il sole tramonta e l’ultimo raggio si riflette sulla carena del tuo motoscafo. La musica si allontana. 

SIMONE ­ The end. Anche lui percepiva l'impercettibile. Ma non è andata così.


SCENA IV
(Questa scena non deve essere recitata con un telefono in mano). 

SIMONE ­ Ciao, piccolina, come stai? ... Qui è bellissimo, quando arrivi andiamo al mare, voglio vedere il tuo corpo dorato dal sole. Ma sì che fa caldo! Sei sempre pallida come un piccolo fantasma. Chissà perché non riesco ricordarmi il tuo viso, quando parti. Vedo solo le punte dei tuoi capelli, che mi piace tanto succhiare. Sanno di zucchero sciolto nell’acqua, come quando ero piccolo, prima di addormentarmi… L’uinica perversione che mi concedi… No, i miei tornano domani, ma se vuoi possiamo stare lo stesso a casa mia, ci mettiamo sul tetto… Come vuoi… Nessuna novità: Zago è inconsolabile e il porco sta bene. Si strafà… come al solito, l'idiota… Dostoevskij? Tu sei Natascia, ma lui non c’entra un cazzo, lui magari è un qualche servo della gleba... siamo andati a giocare… io sano come un pesce!… vengo a prenderti io al treno, mettiti qualcosa di provocante che ti abbordo al binario come se non ti conoscessi… ma tu continui ad andare a letto con un barbone… No, non mi arrenderò mai, mia cara. E poi a letto con me è come se ci fossi già stata.

SCENA V
(Lucio si prende cura delle piante)

SIMONE – Quale libro delle Bucoliche stai scrivendo?

LUCIO – (passandogli un vaso) Reggi qui. 

SIMONE - Non si è mai visto un giardino così: non ci sono fiori.

LUCIO – Sarà un giardino vuoto e silenzioso.

SIMONE – Il giardino dell’Eden. Ho portato la panacea.

LUCIO – Fra due giorni è l’inizio dell’estate.

SIMONE - Fermati un attimo.

LUCIO – Devo fare pulizia.

SIMONE (preparando la roba) - Prova questa: è arrivata stamattina. Il miglior frutto di qualsiasi giardino.

LUCIO – Ho da rivoltare tutta la terra, poi devo seminare e là ci sono da legare i rampicanti sulla spalliera. La siepe sta crescendo e cancellerà la ringhiera. Mi piacerebbe vedere l’edera cancellare tutta la casa e poi la strada e piano piano l’intera città.

SIMONE - Ti tremano le mani.

LUCIO - Questo giardino diventerà come il mondo prima dell’uomo. Il terzo giorno. Un gran silenzio e pace, solo il vapore della terra sull’erba. E il mio corpo silenzioso sotto le felci del giardino.

SIMONE – Ma tu sei fatto o no? 


LUCIO – Non si capisce mai. E’ il mio bello. La vite selvatica cresce velocemente e ricoprirà ogni cosa.

SIMONE - E’ arrivata Elisa. Si è tagliata i capelli. (porgendogli la roba) Tieni, è pronta.

LUCIO – Adesso vattene.

SCENA VI

LUCIO - Chiudo in fretta le tende, che non passi nulla e poi, nel buio a capofitto, vado a sconciarmi di nascosto nella mangiatoia sotto l’armadio. Elisa sei in quella striscia di luce che filtra dalle imposte socchiuse all’alba? Ti intravedo mentre mi ingozzo. O sei quella tenda gonfia come una palpebra stanca? Come mi consola quel disegno di righe parallele sul muro: scrive che nessuna notte è infinita e che è quasi estate ed è mattina presto e il cielo della nostra città, per un’ora, un’ora soltanto, è pace e se io volessi uscire, troverei una solitudine buona e troverei un tenero dio di pace che trascorre su qualche spiaggia accanto ad anziani a passeggio sul lungomare, là proprio là, negli stessi luoghi dove durante la notte ho trascorso tempi feroci, caparbie chirurgie. Ma non so uscire, mi pesa l’indecenza della mia abbuffata. Posso appena tentare di vomitare il pastone nella mangiatoia nascosta sotto l’armadio, dicendo “mai più” e sapendo che domani tornerò a mangiarlo. Mentre rigetto riesco a immaginare pallidamente quella pace, il giardino intatto, dove vorrei seppellirmi in una vecchiaia che non ci unirà mai. Vomito acqua ormai. Poi mi riaddormento senza sonno, nell’odore stantio del mio buio, coi crampi. Ci sono tante cose da fare fuori, è giorno pieno, ma io sono stanco.

SCENA VII
(Sul tetto di casa di SIMONE. Notte. Bevono birra, fumano hascisc. SIMONE durante le battute passeggia pericolosamente sul ciglio del tetto)

SIMONE ­ Si potrebbe calcolare la traiettoria e decidere con la massima precisione dove cadere.

DENIS ­ Il suicidio non si progetta, si fa.

SIMONE ­ No. L’unico modo possibile. Suicidarsi scientificamente. Questa è vera classe.

DENIS ­ Speculazioni da liceali, da giovane Werther dei poveri.

SIMONE ­ Dei poveri non lo puoi dire, barbone.

DENIS ­ Arricchiti e depravati. Io possiedo ancora una legge morale: le mie origini proletarie.

SIMONE ­ Banale. E poi piccolo-borghesi: ma non sai ancora che “la classe proletaria nei Paesi industrializzati non esisite più”? Non sai che “si va verso l’omologazione globale”? Se ne deduce che ci si salva solo attraverso la De-pra-va-zione. Ma di certo sai che la depravazione non se la possono permettere tutti…

DENIS ­ Io so solo essere quello che sono (Rutta)

SIMONE ­ Eccolo. Tutto inutile: ti manca quel quid che fa di un uomo un iperboreo. Banale. Roba che se muore chissenefrega.

DENIS ­ Perché‚ se muori tu chissenefrega?

SIMONE ­ Tu. E anche Elisa.

DENIS ­ Lei solo perché in nero sta male.

SIMONE ­ E Raissa.

DENIS ­ Raissa sì. I cani soffrono come cani. Uguali a se stessi. Beati loro.

SIMONE ­ Scientifico. La casa è alta 10 metri. Il mio peso corrisponde a 70 chili. Una massa di 70 chili lanciata ad una velocità di 3,6 km orari accelera del 2% e compie una parabola valutabile in 41 gradi. Considerato un minimo influsso del vento, direi che la caduta potrebbe verosimilmente avvenire a 12 metri di distanza dal giardino.

DENIS ­ Nel volo ti agiteresti scompostamente, mandando in malora la tua metafisica da seghe. Uno fa un progetto, una cosa qualsiasi, una passeggiata da qui a lì, arriva un fulmine e ti fotte come una mosca sulle lampade a scarica.

SIMONE ­ Un fulmine divino che depura il mondo dalle sue scorie.

DENIS ­ Un fulmine del cazzo che ti si infila su per il midollo spinale.

SIMONE ­ No. La mia sarebbe una planata perfetta. Aerodinamico. (si atteggia al volo). VVVVh...

(pausa)

DENIS ­ Dai.

SIMONE ­ Non mi provocare.

DENIS - Agli occhi di Elisa entreresti nell’Olimpo.

SIMONE – Non mi provocare.

DENIS ­ Dai. Secondo me finisci sulla ferrovia.

(Pausa)

DENIS ­ Non hai il coraggio. Se ti suicidassi davvero, dovresti smetterla di menartelo con queste seghe sul suicidio. E ti piace tanto farti le seghe.

(SIMONE si avvicina sempre più pericolosamente al bordo)

SIMONE ­ Il mio corpo silenzioso sotto le felci del giardino.

(pausa)

DENIS ­ Il giovane Werther l’avrebbe già fatto. 

(SIMONE è vicinissimo al vuoto. Pausa) 

SIMONE ­ Mi viene da vomitare.

DENIS ­ Cacciati due dita in gola.

SIMONE ­ Vado al cesso.

(SIMONE scende dal tetto. DENIS resta solo. Prende dei soldi fasciati in carta di giornale dalle mutande, li conta rapidamente e li mette nel portafoglio. Poi si alza e butta la carta di giornale appallottolata dal tetto, prendendo la mira.)

DENIS (sottovoce) – Bingo! Sulla ferrovia, C.V.D.

SCENA VIII
(Suono prolungato del campanello. Pausa)

SIMONE ­ DENIS! DENIS scendi, scendi, fai presto!

(DENIS scende molto lentamente. Entra in casa e trova LUCIO in una maschera di sangue)

SIMONE ­ Cazzo, cazzo, cazzo, aiutami, prendi qualcosa, in cucina, del ghiaccio, uno straccio, vai.

(DENIS va in cucina con calma) 

SIMONE (a LUCIO) ­ Siediti qui, no, sdraiati, alza le gambe. Com’è?

LUCIO ­ Insomma. 

(DENIS torna con il necessario)

SIMONE ­ Hai un sopracciglio aperto, bisogna cucire. Perché non sei andato al Pronto Soccorso? Proprio aperto. 

DENIS ­ Che domanda idiota.

LUCIO (a SIMONE) - Tu non sei capace?

SIMONE ­ Io? Non è che un esame di anatomia… E’ sulla faccia...

DENIS ­ Io sono capace.

SIMONE ­ Ma che cazzo dici?

DENIS ­ Io le bestie le cucio in ambulatorio, è un anno che cucio bestie: qui è tutto sguarato. Ma se volete andare all'ospedale. Oppure lasciate così.

LUCIO ­ S'è un po' fermato il sangue?

SIMONE ­ Un po'. Sta gonfiando. Cazzo, sei verde.

LUCIO ­ Ho bisogno di bere. Se no svengo.

SIMONE ­ Hai la pressione bassa? (a DENIS) Prendi della vodka. Quanto sangue. (Cerca di pulire)

DENIS ­ Prendila tu. E’ casa tua. 

SIMONE ­ 'Fanculo. (va a prendere la vodka)

DENIS ­ Prendi anche dell'alcool.

LUCIO ­ Allora mi cuci tu?

DENIS ­ Se ti fidi.

LUCIO ­ Va bene.

(SIMONE torna con vodka, alcool e uno straccio per pulire. Dà le prime due cose a DENIS e si mette a pulire)

SIMONE ­ Cazzo, cazzo domani tornano i miei...

DENIS ­ Con cosa lo cucio?

SIMONE (smette di pulire, guarda LUCIO) ­ Come volete.

(SIMONE esce di nuovo e torna con ago e filo)

LUCIO ­ Non fa infezione?

SIMONE ­ E che ne so. So che se non bevi, svieni.

(LUCIO beve. DENIS beve e si appresta a cucire, si mette dietro a LUCIO e gli prende la testa fra le gambe)

DENIS ­ (a SIMONE) Piantala con quello straccio, lo fai dopo. 

(SIMONE smette di pulire)

DENIS ­ (a LUCIO) Chiudi l'occhio.

SIMONE ­ Ma chi è Clint Eastwood? (beve)

LUCIO (a occhi chiusi) - Un barbone.

SIMONE (a DENIS) ­ Disinfetta un po' prima, è pieno di sangue, non si vede niente.

DENIS (a SIMONE) ­ Chiuditi la bocca su questa faccenda.

SIMONE ­ Figurati se mi perdo quest'occasione.

DENIS (a SIMONE) – Vuoi cucire tu?!?

LUCIO ­ Vedi di startene zitto con Elisa. 

SIMONE ­ Con Elisa è ovvio, è ovvio.

(DENIS cuce)

LUCIO ­ Cristo.

SIMONE (a DENIS) ­ Stai attento!

DENIS ­ Faccio quel che posso.

SIMONE ­ Che cazzo di punti!

LUCIO ­ Sbrigati… (geme piano)

SIMONE ­ E’ svenuto!

DENIS ­ Io ho finito.

SIMONE ­ E’ svenuto, cazzo, che facciamo?

DENIS ­ Lo facciamo rinvenire. Dai (prende la bottiglia della vodka e la rovescia in faccia a LUCIO). 

SIMONE – Che animale.

DENIS - Disinfetta.

LUCIO - Ahh...

SIMONE ­ Com’è?

LUCIO ­ Eh. Ho bisogno di soldi.

SIMONE ­ Adesso è meglio che dormi. Alzati ti porto di là

LUCIO ­ Ho bisogno di soldi.

DENIS ­ Tiralo su, non ce la fa. E’ in astinenza, anche.

(LUCIO e SIMONE escono. Resta DENIS. Si siede per terra. Mette una mano nella macchia di sangue per sbaglio. Si guarda la mano sporca di sangue)

DENIS ­ Che bestia.

SCENA IX

LUCIO ­ Vari pensieri dondolano su varie altalene. Ma le altalene non sono sincronizzate nel mio cervello. Non c'è pace. Muoversi con attenzione per limitare i brividi. Sudore chimico sulla pelle. Troppa saliva in bocca. La faccia. La faccia è fredda e priva di sensibilità. Aghi gelati bucano la pelle. Si tendono i muscoli erettori dei peli dalla schiena fino alla faccia. Il corpo. Braghe calate fino alle ginocchia. Cara Elisa, le ferite bruciano, restano ferite permanenti. Tutti le cercano sul corpo per guardarle a lungo. Il letto come un sudario. Il mio odore di tabacco svizzero e di sudore chimico ti darà l'esatta dimensione della mia incapacità. Questa fuga è faticosa. Una parte del cervello resta sveglia: delle lamette da barba in bocca; un uovo di ferro da inghiottire. La solita ossessione si gira intorno. A forza di mangiarsi la coda. Sembra la coda di un ratto sanguinante nella tagliola. La coda che il ratto si mangia per scappare dalla tagliola. Scappare e lasciare un pezzo sanguinante di te. E a forza di lasciare pezzi, finalmente un giorno ti accorgi che non ci sei più. Ciao Elisa.

SCENA X
(SIMONE pulisce il sangue. DENIS si prepara una canna)

SIMONE ­ Che brutta scimmia.

DENIS ­ E un calcio in faccia. 

SIMONE - Fino a stasera può stare qui, poi arrivano i miei. 

DENIS ­ Cazzi vostri.

SIMONE ­ Credo si sia infilato in una storia un po’ grossa.

DENIS ­ Mah?

SIMONE ­ No?

DENIS ­ Vuoi sapere cosa penso io? 

SIMONE ­ Sì.

DENIS ­ Io penso che si è fatto tutta la roba che doveva vendere e ora non ha più i soldi per ripagarla. Quelli si sono incazzati, lo hanno menato e lui, in più, adesso ha una brutta scimmia che gli rosicchia le orecchie.

SIMONE ­ Può darsi. Sono tre giorni che non si fa. E’ rivoltato.

DENIS ­ Allora no.

(Pausa. Fumano)

SIMONE ­ Io un po' roba ce l'ho. Potrebbe farsela, almeno per arrivare a domani. Poi vediamo.

DENIS ­ Chi “vediamo”? Sono cazzi vostri. 

SIMONE – Che eloquio da barbone. 

DENIS - Ne hai? 

SIMONE ­ Sono un ragazzo giudizioso.

DENIS ­ Tirala fuori.

(prende la roba e preparano)

DENIS ­ Ce n'è per tre.

SIMONE ­ Bestia famelica.

DENIS ­ Potresti darglieli tu i soldi. In fondo è il tuo idolo.

SIMONE ­ Ci stavo pensando.

(SIMONE prende un vassoio su cui dispone tre piste)

DENIS ­ Ti sarebbe grato per tutta la vita. (Vede il vassoio) Perché non gli chiedi di sposarti?

SIMONE ­ 'fanculo. E’ un amico.

DENIS ­ Sei tu che sei amico suo, lui non è amico tuo.

SIMONE ­ Tu sì?

DENIS ­ Io sono una bestia.

SIMONE ­ Vieni di là.

(SIMONE e DENIS si alzano e vanno nella stanza in cui si trova LUCIO. LUCIO è a letto al buio. SIMONE accende la luce)

SIMONE ­ Breakfast is ready.

LUCIO ­ Spegni la luce. 

(SIMONE spegne, DENIS accende la tv senza sonoro e si siede sul letto a guardarla, dando le spalle a LUCIO)

SIMONE ­ Ho una sorpresa. (Gli mostra il vassoio)

LUCIO ­ No.

SIMONE ­ Ti rifà la faccia.

DENIS ­ Sei hai finito con la tua cazzata del breakfast, io vorrei la mia roba.

(SIMONE dà la roba a DENIS a si prende la sua. Si fanno una pista) 

LUCIO ­ Quanto posso stare qui?

SIMONE ­ Fino a stasera. Tornano i miei. Stai da cani. 

LUCIO ­ Ce l'hai del Valium?

SIMONE ­ Ora te lo porto. Con quella faccia non tornerei a casa. Cosa gli racconti a tuo padre?

LUCIO ­ Che mi hanno investito.

SIMONE ­ Una scimmia gigante ti ha investito. Se ti fai, almeno smetti di sudare e cagare.

(SIMONE esce)

LUCIO (a DENIS) ­ Una sigaretta.

(DENIS prende una sigaretta da un pacchetto poggiato lì vicino e gliela lancia. Ne prende una anche per se')

LUCIO ­ Da accendere?

(DENIS si fruga nelle tasche)

DENIS ­ Non ce l'ho.

LUCIO (estrae un accendino particolare). E’ questo?

DENIS ­ E’ un accendino.

LUCIO ­ L'hai lasciato in giardino a casa mia. Vicino al buco scavato sotto la ringhiera. Te lo rendo (lo lancia verso DENIS, che non lo prende e lo lascia sul letto)

(pausa)

DENIS ­ (guardando sempre la tv) Se avessi preso io la tua roba, me la sarei già fatta.

LUCIO ­ Io ho detto che nel mio giardino c’era un buco e vicino ho trovato questo. Di roba hai parlato tu.

DENIS ­ Non abbiamo altri argomenti in comune.

LUCIO ­ Prendi anche il tuo accendino

(DENIS prende l'accendino, se lo infila in tasca, senza accendersi la sigaretta, si alza e se ne va di scatto. Quasi scontra sulla porta SIMONE che torna)

SIMONE (a LUCIO) ­ Non ho Valium in casa, mi dispiace.

LUCIO ­ Non è possibile! Sto male.

SIMONE ­ L'occhio?

LUCIO ­ Lascia stare l'occhio.

SIMONE (esanimando l'occhio) ­ Ti resterà una brutta cicatrice. Un vero uomo ha sempre qualche brutta cicatrice. L’importante è che non faccia infezione. 

LUCIO ­ Ah! Non toccare.

SIMONE ­ Se vuoi, la roba c’è.

LUCIO (sbotta) - Ho detto no! Possibile che non ci sia un Valium, un Alcion, qualsiasi cosa?! Non puoi andare in farmacia con il ricettario di tua madre?

SIMONE ­ Ti ho detto che non mi va per un po’ di usare il ricettario. C’è del whiski, se vuoi. 

(pausa)

LUCIO ­ Dammi la roba.

SIMONE ­ Se hai bisogno di soldi te li posso prestare io.

SCENA XI

DENIS ­ Per te ho imparato una lingua, una lingua che non ti insegna nessuno. E’ la lingua dell’ombra di certi vicoli neri, di certe cabine del telefono che sanno di tabacco, da cui chiami guardandoti alle spalle. La lingua del silenzio e del tradimento. Il silenzio che ti giochi come un asso al poker. Il tradimento che ti salva. E’ la lingua che ho trovato scritta sulla mia pelle, questa pelle che ti aspetta nelle notti afose, che aspetta le ferite acute che saprai infliggermi. Non c’è riscatto alle tue frecce, e neppure potrà esserci vendetta, perché sono doni, i momenti bianchi di torpore e felicità. Ho imparato bene questa lingua, l'ho imparata scartando 10.000 pacchetti di sigarette nelle attese, e nelle brevi frasi di intesa agli angoli di certe strade, nelle bianche domeniche pomeriggio, lungo spiagge piene di detriti umani in lontananza, sulla statale di notte ad aspettare l’appuntamento che forse non ci sarà e nella solitudine, quando non ci sei, per ritrovarti nelle vene come una lenta funivia, come dice la canzone, come un’altra madre che non ho.

SCENA XII
(DENIS sta sfogliando un giornale di ippica. Bevono, si fanno delle piste. Arriva SIMONE. DENIS durante la scena si accende una sigaretta coll'accendino visto prima)

SIMONE ­ Dimmi tu se ti sembrava il momento per smettere? No! Non era il momento per smettere.

DENIS ­ Sei il serpente.

SIMONE ­ Adamo non aspettava altro che essere tentato. E se non fosse per l'occhio, adesso avrebbe una faccia decente. L'hai cucito come un cavallo.

DENIS ­ Potevi farlo tu, dottore.

SIMONE ­ Per me doveva andare all'Ospedale. Con la polizia inventarsi una storia. A suo padre dovrà raccontarla, comunque. E poi anche spiegargli perché si è fatto cucire da un veterinario

DENIS ­ Io non esisto.

SIMONE ­ 'Fanculo.

(Pausa)

DENIS ­ Giochi cinquanta su Mancino?

SIMONE ­ A quanto lo danno?

DENIS ­ (aprendo il portafoglio) Lo danno bene. E poi mi piace il nome.

SIMONE ­ (fa per prendere i soldi) Va bene. (gli cade l’occhio sul portafogli di DENIS). Dove hai trovato tutti quei soldi?

DENIS ­ Ho vinto.

SIMONE ­ Quando?

DENIS ­ Giovedì. Martedì. Non ricordo.

(Pausa)

SIMONE (con sospetto) ­ Alla tris?

DENIS – Io gioco Mancino vincente, Salvo e Miracolo piazzati. Ci ho studiato su. Ci stai cinquanta e cinquanta?

SIMONE ­ Salvo e Miracolo sono nomi che combinano. Mancino che c'entra?

DENIS ­ E’ il tiro del vincitore.

SIMONE ­ Il tiro mancino. Dietro ad ogni vittoria c’è sempre un tradimento. Mi piace, ci sto. (Gli dà i soldi) 

SCENA XIII
(Si apre improvvisamente la porta della stanza dove riposa LUCIO. Luce.
Urlo soffocato di LUCIO. 
Entra un UOMO armato. L’UOMO è esaltato) 

SIMONE ­ Cos’è?

DENIS ­ E’ entrato qualcuno. 

(LUCIO si sveglia, è abbagliato dalla luce, si muove come un insetto spaventato)

SIMONE ­ Andiamo a vedere.

DENIS ­ Stai fermo.

(SIMONE e DENIS spiano da un punto non visti)

UOMO ­ (urlando) Uno due tre quattro.

DENIS ­ (a bassa voce) Aspetta! Non capisci?!

UOMO ­ Cinque sei sette otto.

(LUCIO cerca faticosamente di alzarsi, si alza. L’UOMO lo blocca contro il muro)

LUCIO (debolmente) ­ No...

UOMO ­ (prende una mano a LUCIO e puntandogli la pistola alla testa) Nove. Dieci. Ora recitiamo insieme le preghiere del contrario. Nove. (Gli spezza un dito ad ogni numero).

LUCIO ­ AHHH..

SIMONE ­ Bisogna aiutarlo...

DENIS (ferma SIMONE, facendolo cadere e gli tappa la bocca) ­ Fermo! Zitto! Ci ammazza tutti e tre!

UOMO ­ Facciamo piano piano. Otto.

LUCIO ­ Non ce l'ho, me l'hanno rubata...

UOMO ­ E questo è Male. Sette. Diciamo insieme l'atto di dolore...

LUCIO ­ Ho i soldi, aspettate, li ho. Ahh...

UOMO ­ Sei. I soldi allo zero. Pazienza, adesso, la pazienza è virtù cardinale e la parola pazienza ha la stessa radice della parola passione. Passione è amore e patimento. Cinque. Chiediamo perdono nell'atto di confessarci. Quattro.

(LUCIO riesce a divincolarsi, scappa. L'UOMO spara disordinatamente, ma non lo centra)

UOMO ­ (con un ruggito) Tu devi lasciar compiere al signore la sua volontà.

SIMONE ­ Dobbiamo fare qualcosa, quello è un pazzo...

DENIS ­ Sta’ fermo. Quello è uno a cui devono dei soldi.

(LUCIO scappa e si arrampica sul tetto. 
L'UOMO, un po’ disorientato, spara a vanvera e lo segue. 
Sono sul tetto. 
Durante la battuta seguente l'UOMO si avvicina sempre più a LUCIO)

UOMO ­ Tu hai mangiato del frutto dell’albero del quale ti era stato comandato di non mangiare.

LUCIO ­ Basta...

UOMO ­ (L’UOMO ha afferrato LUCIO. Sono sul bordo del tetto) Quattro. Nessuna donna ti ha indotto, nessun serpente ti ha tentato. Il frutto dell’albero che hai provato ti produrrà spine e tribolazioni, finché tu ritorni nella terra donde fosti tratto.Tre 

LUCIO ­ Dio...

UOMO ­ Perché sei polvere e polvere ritornerai. Due. Siamo quasi all'assoluzione, stai buono. Pagato l’obolo, sarai libero. Uno…

(LUCIO si è liberato e indietreggia verso il bordo del tetto)

LUCIO - Né al di sopra, né al di sotto, né accanto, né all’interno, né al bene, né all’onore, né alla soddisfazione, né al piacere, né all’utilità, né all’interiorità, né alla santità, né alla ricompensa e neppure al regno dei cieli. Zero.

(LUCIO si lancia dal tetto. 

Buio sull’UOMO e su LUCIO)

SIMONE ­ (alzandosi in piedi e scagliandosi contro DENIS) No!

(pausa)

SIMONE - Andiamo a vedere.

DENIS ­ E se quello fosse ancora in casa? 

SIMONE ­ Quello il suo l'ha fatto, ormai! 

DENIS ­ Forse sì.

SIMONE ­ Dobbiamo vedere cosa è successo!

DENIS ­ Cosa succede a uno che si butta da un tetto?!

SIMONE ­ Piantala! 

(Vanno in giardino con molta circospezione. Si guardano in giro. Non c’è nessuno)

DENIS ­ Se n’è andato.

SIMONE ­ Ma Zago dove è finito?

DENIS ­ Che cazzo ne so. 

SIMONE ­ Forse è ancora vivo da qualche parte. 

DENIS ­ Non c’è più. (fa per andarsene)

SIMONE ­ Cosa vuol dire non c’è più? 

DENIS – Vuol dire così.

SIMONE - Cosa vuol dire così?

DENIS – Che forse ci siamo sognati tutta la storia: Ci siamo strafatti e abbiamo fatto un bel viaggio con la testa.

SIMONE – Dici?

DENIS – Forse sì. Io me ne vado.

SIMONE (come risvegliandosi) ­ Tu non te ne vai! Tu non mi lasci in questa merda! La roba gliel'hai presa tu, l'ho capito, tu pensi che io sia deficiente, ma io l'ho capito subito, sei stato tu a metterlo in questa merda, se lui è morto… (DENIS accenna ad andarsene. SIMONE lo assale alle spalle. Cadono, lottano) Bastardo, barbone, bastardo!

(Nessuno ha la meglio. Estenuati, si separano)

DENIS ­ Idiota.

SIMONE ­ E stasera tornano i miei.

(DENIS si alza, si accende una sigaretta, affacciandosi al parapetto del giardino) 

DENIS - Simone...

SIMONE ­ Cosa. 

DENIS ­ L'ho trovato.

(SIMONE si alza e si affaccia anche lui)

SIMONE ­ Oh Dio. (chiude gli occhi)

(pausa)

SIMONE ­ Ci passerà sopra il treno.

DENIS ­ Non resterà granché. S'è sdraiato da solo sul binario. Crisi di astinenza, problemi esistenziali, la ragazza l’ha mollato. (Pausa) Nessun cucito, nessuna roba, niente tetto. Sulle rotaie ci si è sdraiato da solo. 

SIMONE ­ Ho capito. Non è esistito.

DENIS ­ Bravo.

SIMONE ­ Niente.

DENIS ­ Bene. Simone, apri quegli occhi. Adesso andiamo a fare la giocata. 

SIMONE ­ Magari vinciamo questa volta. 

DENIS ­ E facciamo un regalo a Elisa.

SIMONE – Domenica è il suo compleanno.

DENIS – E una bella festa qui da te, con i lumini cinesi in giardino, tanta birra, ormai fa caldo anche la sera.

SIMONE – Solo noi tre nel giardino, musica bassa e parlare fino all’alba, come ai tempi della scuola. Elisa zampillerà di gioia.

DENIS (ridendo) – Ma come parli…

SIMONE – Le faremo una festa di leggerezza, di dolce pace, la sua festa è così, tu farai i giochi di prestigio, e io vi fotograferò una volta per tutte, che non riesco mai a ricordarmi il suo viso, appena appena il profilo quando parte il treno.

DENIS – Oggi è il primo giorno dell’estate…

(appare brutalmente l’UOMO con la pistola in mano, 
prende SIMONE e gli punta la pistola alla gola)

UOMO ­ Caronte vuole il suo obolo. Se non glielo paga il morto glielo pagheranno i vivi.

SIMONE ­ I soldi ci sono. Calma, per favore, si calmi. I soldi ci sono.

UOMO ­ In questa bella casa da ricchi ci sono tanti soldi. La casa del padre del figlio ricco. (a DENIS, che fa l’atto di scappare) E tu, stai fermo. 

SIMONE (all'UOMO) ­ I soldi sono di sopra. Denis, per l'amor di Dio, stai calmo. (all'UOMO) Ci sono anche argenteria e monete antiche e può prendere tutto quello che vuole.

UOMO ­ Grazie, grazie. Forza, (a Denis) tu davanti, noi seguiamo.

(vanno in casa) 

SIMONE ­ Ecco, questa è la cassaforte di mio padre. Se mi lascia un attimo, la apro, lei prende tutte le cose e abbiamo finito.

UOMO ­ Seguo una voce che dice “Non devi lasciarlo, ha paura, potrebbe cadere”. Apri, sii sereno, questo vecchio ti abbraccerà per tenerti saldo sulle tue lunghe gambe.

SIMONE ­ La combinazione la so…allora… sette, ventotto… no… ventitré… no… ventotto, il ventotto c'era, sono sicuro… o Dio… non si apre...

UOMO ­ Apri quest’affare o ti sparo in testa.

DENIS ­ Simone, concentrati.

SIMONE ­ Non mi ricordo...

UOMO ­ Allora ti sparo in testa.

SIMONE ­ Il sette c'era. Poi c’era un numero con il venti… ventidue… o Dio… Denis, non mi ricordo… DENIS! Tu hai i soldi! Dagli i soldi, daglieli, i soldi della roba di Lucio, dagli i tuoi soldi...

UOMO (lascia la presa su SIMONE e punta la pistola prima su uno poi sull’altro ragazzo) – Chi è, chi è che si sta prendendo gioco di questo povero vecchio?

(DENIS prende molto lentamente il portafoglio dalla tasca. 
Estrae i soldi e li dà all'UOMO. 
Ma mentre l’UOMO prende i soldi, DENIS lo aggredisce e fa per prendergli la pistola. 
Colluttazione tra i tre)

SIMONE ­ No! Denis! Lascia stare! Te li faccio restituire dai miei...

(l’UOMO spara caoticamente. 
Uccide involontariamente SIMONE. 
Spinge brutalmente DENIS che cade. 
Spara ancora colpi caotici, poi scappa)

SCENA XIV
(DENIS resta a terra quasi sdraiato accanto a SIMONE moribondo. 
Lo guarda. 
Lo tocca. 
Simone rantola per pochi istanti, poi smette. 
E’ morto. 
Denis si siede lentamente per terra vicino a lui. 
Esegue tutte le seguenti azioni lentamente, come in trance, ma allo stesso tempo con naturalezza. 
Prende il pacchetto di sigarette. 
Ha finito le sigarette. 
Prende l'accendino. 
Gioca con l'accendino. 
Appoggia distrattamente l’accendino accanto a Simone. 
Si guarda la mano sporca di sangue. 
Il monologo seguente sarà ricco di pause) 


DENIS (piangendo silenziosamente) ­ Non è come la coda della lucertola che si dibatteva nel giardino. L’aveva troncata il coperchio di una cassapanca che nel trasloco stava sbaraccando i rimasugli di felicità. 
(canticchiando) “Ciò che rimane da spartirsi e litigarsi nel setaccio della penultima ora…” 
Non è quella coda che mio padre per raggranellare i pezzettini del mio orrore, disse che poi alla lucertola sarebbe ricresciuta. 
Qui non ricresce niente. 
E in giro c’è chi si porta le cicatrici trasversali e i fori dei tubi di plastica. E chi non si porta in giro più nulla. 
(si asciuga le lacrime. Geme piano) 
Ah, che male. 
La vita mi pesa sulla testa come una colonna verticale. La devo tenere in bilico, perché se casca mi schiaccia. 
Ma se non casca resta a pesare proprio sulla testa e mi preme la spina dorsale. 
Un po’ come cristo in croce, ma la croce ce l’hai sulla testa, come un equilibrista, sai Elisa? (ride) 
Ti ricordi quel tipo fattissimo che per raccogliere i soldi per la roba girava con l’immaginetta di Cristo appesa al collo e chiedeva “Cento lire per Gesù Cristo, cento lire per Gesù Cristo”, sperando di infinocchiare qualche beghina. Che commedia! E la cosa più divertente era che lui assomigliava da matti alla faccia di Cristo, con la barba, i capelli e quello sguardo da cane bastonato. Nella disperazione ti esce quell’umorismo… 
E’ di vita che soprattutto si muore. 
Lo dicono le statistiche (ride). 
Che fare? 
Subire, ribellarsi, mordere, e poi finire sempre con la coda mangiata, sanguinante e un urlo che ti nasce dalla nuca dove, si sa, non ci sono corde vocali. 
Se esistessero le corde vocali nella nuca quell’urlo spaccherebbe i vetri di tutta la città e arriverebbe fino dall’altra parte del mondo dritto nel cuore di chi so io. 
Mi piacerebbe fare un viaggio dall’altra parte del mondo. 
Su una di quelle navi cargo che partono al mattino presto, uno scarto di qualche importante spedizione.
Soli io e te, Elisa, equipaggio zero. 
Gli altri sarebbero tutti morti, perché c’è stata una grande guerra. 
Partire dalla città per andare a vedere il mondo. 
Nel mondo non ci sarebbe più nessuno, solo grandi macchine abbandonate. 
Qualcuna ancora funzionerebbe da sola, facendo un gran rumore, poi piano piano si spegnerà. 
Avremo tutto il mondo pieno di silenzio e del ricordo di quella madre che ti dice vai e torna quando vuoi che io rimango. 
Potremo entrare in tutte le case vuote, anche nelle più belle e tutto sarà nostro, potremo consumare tutto il cibo che vogliamo, e ne avanzerà ancora. 
Potremo metterci tutti i vestiti, oppure girare nudi. 
Diventare vecchi senza lavorare mai. 
Solo noi due.
Io penso che… credo… sì, insomma… sono quasi sicuro… tutti gli altri ce li dimenticheremo presto.

(si alza, si sistema, fa un gesto che gli abbiamo visto fare spesso durante lo spettacolo, una specie di tic, come toccarsi i capelli)

FINE