Zona Cesarini

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“Pronto

 

CANZONE DELL’EMIGRANTE

 Video extra 0’09”

Sulla musica entrano dalla platea gli attori e il musicista.

Il palco rappresenta la tolda della nave da cui comincia il viaggio…

Così cantavano una volta i temerari agli inizi del ‘900, che per una ragione o per l’altra, ma soprattutto per fame lasciavano l’Italia per inseguire un sogno. E quel sogno si chiamava “Merica”. Tempi duri, tempi di fame nera. E allora i più giovani, i più coraggiosi, o i più disperati, quelli che non avevano più niente da perdere, prendevano le loro poche cose e partivano, stregati da quel sogno.

“Di peggio di come stavo non mi può capitare.

Tutt’al più mi toccherà di far la fame laggiù, come la pativo a casa.”

Confida un emigrante ad Edmondo De Amicis, che, sul suo taccuino di  giovane  giornalista, appunta frasi e impressioni di quell’orda di poveracci all’imbarco del porto di Genova.

 Il fenomeno migratorio era letteralmente esploso e dalle campagne, dai monti, il popolo degli emigranti si riversava lungo le coste, confluendo e congestionando i porti: il picco massimo delle partenze si ebbe tra il 1905 ed il 1914, poco prima della guerra mondiale.

“Anche  Giovanni Cesarini, marchigiano, calzolaio, decide di tentare la fortuna e così, agli inizi del 1907, con la moglie Annetta  e il piccolo Renato di soli pochi mesi, si arma di coraggio e parte. Raccolte le loro poche cose, si allontanano per la prima volta dal loro paesino. 

Fu già un’impresa raggiungere Genova, ma immaginate l’emozione quando Giovanni e la moglie, si ritrovarono nel mezzo del porto: tanta gente messa assieme non l’avevano mai vista in vita loro...In mezzo a quella folla le incertezze della vita si potevano addirittura accarezzare. Tanti sembravano persi, smarriti, indifesi, esattamente come loro. Ancora non lo sapevano, ma quella era l’angoscia indefinibile e profonda che ogni emigrante, ogni uomo strappato alla propria terra, è condannato a portarsi addosso per tutta la vita, come un vecchio vestito.”

Immagini navi  FOTO 01 FOTO 02 FOTO 03

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Eccolo il Mendoza! Un bastimento che non aveva prima, seconda o terza classe. Il Mendoza era la nave degli emigranti e basta. Niente orchestrine, ragazze con i cappellini alla moda e feste da mille e una notte. 7000 tonnellate di solitudine, paura, angoscia e speranza che viaggiano a 14 nodi. E non sai neanche se rivedrai mai più quelle persone che ti salutano dalla banchina sventolando un fazzoletto. Il biglietto era di sola andata. Più di un mese di viaggio. Immaginate i disagi, lo sconforto, le notti di tempesta…

Ma per arrivare dove?,  che cosa è, questa“MERICA”?

Sì, perché le americhe delle grandi emigrazioni sono due, gli Stati Uniti e l’AmericaLatina

Mentre l’emigrazione al nord, negli States c’è tramandata da migliaia di  film, romanzi, documenti dell’epoca e popola in qualche modo il nostro immaginario, l’epopea delle immigrazioni in Argentina è ben più curiosa e assai meno conosciuta. L’arrivo di stranieri in terra argentina è addirittura auspicato dalla costituzione del 1853.

Ma già a partire dal 1872  si avverte nell’opinione pubblica un certo fastidio verso gli immigrati. È chiaro che all’origine di questo fenomeno vi è un malinteso di fondo: in quegli anni chi possedeva in patria una buona posizione, un sapere scientifico o letterario, difficilmente abbandonava tutto e affrontava un salto verso l’ignoto. La grande maggioranza del flusso migratorio era composta da disperati, da poveri, da reietti. Nel 1910 c’è chi, addirittura in sede universitaria, suggerisce che “La scienza ci insegna che nel carattere intraprendente, intelligente, libero, inventivo e artistico degli italiani c’è il residuo della sua alta criminalità di sangue .“ Così sentenzia il professor Cornelio Moyano Gacitùa, lombrosiano convinto, che si rifà ai testi di eminenti antropologhi ed eugenisti, anch’essi ahimè italiani, per stabilire che nel sangue dei nostri  antenati è presente  quella tanto temuta “goccia nera”…Gli “Oliva”, come incominciano a chiamarci i giornali, in breve diventano delinquentes, gente  “che non ha altra passione, se non per le rapine,le battaglie e le risse, con costumi da tribù arabe anteriori a Maometto” .

Per una sorta di mania di semplificazione ogni singolo reato aveva il suo specialista, ma sempre stranieri: ebrei o rusos per la prostituzione, gli  uruguayani, orientales, per le risse e l’alcolismo, spagnoli ed italiani , “napolitanos” , per gli omicidi e gli scontri sindacali e politici.

I malavitosi in generale venivano definiti “lunfardos”,e ancora oggi il lunfardo è un dialetto tipico dei bassifondi di Buenos Aires.

Dalle critiche, si passa a misure restrittive,anche molto violente.

L’immagine stessa dell’immigrato, inteso come ultimo arrivato, subisce un graduale cambiamento. Lo straniero comincia a rappresentare nelle credenze comuni e sui quotidiani dell’epoca un portatore di delinquenza e di caos.

E sì che all’inizio viene considerato un simpatico colto e parsimonioso lavoratore accorso a fornire nuova linfa alla nascente società argentina o a quella che veniva definita in maniera forse un poco inquietante la”nueva raza blanca dominante”.

 

(filmato nave)VIDEO EMIGRANTI 1’35”

Scesi dalla nave i Cesarini, come tutti gli altri, fanno una lunga coda e poi finalmente entrano in un enorme edificio a ridosso del molo. Era l’Hotel des  Emigrantes dove si era sottoposti ad una visita medica alquanto approssimativa.

STRANIERI SI DIVENTA   partenza a  0’10”

Veniva consegnato a tutti un libricino con le principali regole da rispettare in quella terra lontana: “ Per far sapere agli inquilini di una casa che siete arrivati non si grida, ma si bussa con le mani.

Per farsi servire nel bar non si deve colpire il bancone con un bicchiere. Chi cammina giù dal marciapiede sarà definito un mendicante”. 

In quel periodo un terzo degli abitanti di Buenos Aires, era composto da emigranti Italiani, la maggior parte raccolti nel quartiere di Boca,  soprattutto genovesi, e al bàrrio Palermo .

E qui si stabiliscono i Cesarini . Trovano un buco di casa in un conventillos ,una di quelle grandi abitazioni padronali, ,nella zona del porto, con una corte centrale che venivano suddivise in una serie infinita di minuscoli alloggi, composti a volte anche da una stanza sola, magari senza finestra. Niente bagni. I servizi igienici si trovano nel cortile e servono per tutti quelli che vi abitano. Tutti i vicini sono Italiani e così si riprendono gli usi di casa e anche il mestiere di calzolaio o meglio di “zapatero” come si dice da queste parti.

Se prima si sognava, ora  si lavora, si lavora e basta. Ma quando, dopo una giornata di lavoro massacrante, arriva la sera il cortile si anima si riempie di gente e di parole. Qualcuno tira fuori uno strumento. La fatica lascia il posto ai sogni.

COMPARSITA( anche durante il testo)

 In quelle notti lo spirito di Buenos Aires si spandeva nell’aria e si materializzava in una melodia sensuale e profonda che accarezzava tutto  e tutti. Quello era il momento del tango; il tango era la sorpresa di trovarsi abbracciati, senza mediazioni. Era un suono che mescolando carne, sangue, nostalgia e desiderio, si faceva l’anima del popolo migrante. Il tango porteno, il ballo proibito, quello che spuntava dai vicoli del porto, entrò irreparabilmente nel cuore di quella gente, compreso quello del piccolo Renato Cesarini. Lui e il tango non si sarebbero lasciati mai più.”

COMPARSITA

Renato è un bambino quando inizia a lavorare nella  bottega del padre, ma vi resiste ben poco soffocato fra montagne di scarpe e l’odore pregnante del mastice. Non ce la faceva proprio a stare chiuso fra quattro mura e fin da subito fu chiaro a tutti che si trattava di un ragazzo speciale. Insofferente alle costrizioni, curioso e affamato di vita, di voglia vedere, di conoscere, di capire,  Renato cresce  alla scuola della strada. E allora eccolo Renato che, poco più che adolescente, gira di  quartiere in quartiere esibendosi come acrobata con la faccia tosta di un grande.

Era incredibile come quel bambino fosse rapido sia nel fisico che nella mente. 

La vita era dura, ma quel ragazzino aveva talento, fantasia e una personalità vulcanica.

Era così bravo che venne addirittura  scritturato da un  circo.

E a quel bambino così sveglio, figlio di un calzolaio emigrato dall’Italia in cerca di fortuna, non poteva certo sfuggire , che in quel periodo nell’aria polverosa di Buenos Aires, oltre alla fame si respiravano altre due cose:  il tango e il pallone…

(Vale tira il pallone)

Il calcio era stato  importato sul finire dell’  800 dai marinai Inglesi che dopo settimane di navigazione trasformavano le piccole strade del porto di Buenos Aires in improvvisati campi da gioco. Quel pallone di cuoio marrone affascinò  subito tutti.

Come il tango, anche il calcio partì dai quartieri del porto arrivando in un attimo fino alle sterminate periferie e grazie al suo linguaggio universale iniziò un processo inarrestabile. Di quartiere in quartiere iniziarono a spuntare squadre, colori sociali e giocatori. Il primo campionato Argentino risale addirittura al 1891.

CESARINI FOTO FOTO 04

Si è fatto grande Renato e fisicamente è una roccia. 1,72 per 70 chili di cuore, nervi e muscoli.

Renato inizia a giocare a pallone nelle strade delle periferie e tra lui e il pallone è amore a prima vista.

PARTE IN CONTEMPORANEA TESTO E BRANO ReNTINTIN

PARTE IN CONTEMPORANEA TESTO E BRANO ReNTINTIN

El Tano ,l’italiano come lo chiamano qui, il pallone, lo addomestica,  lo accarezza, lo rende suo complice per Renato il campo di calcio è il palcoscenico, lui è l’attore, il danzatore, il ballerino, gioca in avanti a ridosso delle punte,  è una mezz’ala destra, tutta polmoni e fantasia. Il suo dribbling è secco ed armonioso come un passo di tango. In campo è un trascinatore, uno che dà sempre tutto se stesso, fino all’ultimo minuto di gioco. Renato ha coraggio da vendere, e non si tira mai indietro e quando serve picchia come un terzino. Lui però è innanzitutto il colpo che non ti aspetti. L ’essenza e la filosofia di questo gioco chiamato futbol Renato, figlio di immigrati ce l’ha nel sangue da quando è nato.

ReNTINTIN

Inizia a giocare nella squadra del suo quartiere, il Borgata Palermo, ma ben presto passa al Chacarita.

Il Chacarita è una squadra particolare,  la sua divisa aveva tre colori

nero bianco e rosso.

Il nero, perché lo stadio era stato costruito sopra un cimitero (la squadra era soprannominata el Funebrero), il bianco perché ricordava la purezza del giglio,  ed il rosso, perché il Presidente che era socialista, voleva ricordare il sangue versato dal popolo.

Sottofondo di musica malquerida

“ Buenos Aires e Renato avevano la stessa anima, erano fatti l’uno per l’altro. La Parigi del Sud America era invitante, sensuale e provocatoria.  Per quel ragazzo bello e famoso che fumava vita e sigarette con la stessa avidità, non rispondere ai suoi richiami sarebbe stata una follia. Era facile incontrarlo nei locali alla moda mentre, elegantissimo, teneva banco a un tavolino, avvolto dalle dense volute di fumo e dalle note del tango. El Tano piaceva a tutti: lo ammiravano gli uomini in campo, lo adoravano le donne e lo fermava la gente per strada, ma la sua stella non era ancora la più luminosa; c’era infatti chi era più famoso di lui, c’era chi, con la palla al piede, aveva già dimostrato di poter compiere impreviste magie.”

…impreviste magie.”

Nel frattempo in italia  prese il potere Mussolini e lo sport, il calcio in particolare divenne un veicolo di propaganda. Nel 1930 vennero aboliti i due gironi (nord e sud): dal dilettantismo il calcio passò al professionismo. Le varie società iniziarono ad acquistare giocatori stranieri. Così  alcuni figli di emigrati, geni con il pallone tra i piedi e già delle star nel paese che li aveva accolti, furono acquistati anche se non nati in Italia grazie alle loro origini:iniziava l’epopea degli oriundi.

La più potente fra queste società la Juventus, che in quegli anni era passata in mano alla famiglia Agnelli, che la comprò dal barone Rezzonis, si assicurò tre fra i giocatori più formidabili di tutti i tempi.

Filmato arrivo Cesarini Orsi Monti 0’17”

Raimundo “Mumo” Orsi, il più conosciuto, era un ragazzo esile, modesto e silenzioso, cresciuto nell’Indipendiente di Avellaneda, anche lui di origini italiane, ma nato in Argentina nel 1901. Due cose sapeva fare nella vita: giocare a pallone e suonare il violino. Mumo, quella che in molti tuttora definiscono l’ala sinistra più forte di tutti i tempi, era approdato 27enne in Italia per giocare nella Juventus. Nell’ottobre del 1928 sbarcò a Genova con moglie, figlio neonato  ed tanto di violino, ma la federazione Argentina era così imbestialita per le fughe verso l’Europa dei propri giocatori che Orsi per un anno non ebbe il nulla osta e non potè giocare partite ufficiali…ma i soldi erano un gran richiamo.

Di certo per chi giocava al calcio l’Italia rappresentava un sogno. Orsi in Argentina era un impiegato delle ferrovie che arrotondava con i premi partita lo stipendio, arrivato alla Juve diventò ricco immediatamente guadagnando uno stipendio mensile che equivaleva a 15 mensilità di un maestro elementare e ci scappò pure una fiat 509 e un bell’appartamento…

Mumo Orsi, amico fraterno di Cesarini, convinse prima Renato e poi la Juve, che quel ragazzo nato a  Senigallia in Italia  doveva essere acquistato. El Tano inizialmente fu titubante perché lui in Argentina stava benissimo, ma alla fine, non sapendo resistere alle scommesse della vita, decise di accettare.

Partì il 27 gennaio del 1929 a bordo del transatlantico Duilio, sbarcò a Genova il 13 febbraio. E fu così che per un ingaggio di 40milalire più 4milalire al mese Renato Cesarini arrivò alla Juve.

(FOTO CESARINI SUL TRANSATLANTICO)

“Era bellissimo El Tano quando sbarcò al porto di Genova, dove lo attendevano giornalisti, curiosi e un’automobile della Juve con tanto di autista. Quando mise piede sul ponte dei Mille, Renato sembrava un divo del cinema. E un divo lo era sul serio, ma un divo allegro e anomalo che amava la vita, la gente e il pallone. Scendendo dal Duilio, raccomandò ad uno dei facchini di fare molta attenzione a una valigia morbida e nera; era la sua valigia delle cravatte, ne possedeva a centinaia. Renato non era ricco, ma era fatto così; vivere alla grande era per lui come respirare. “

Con Renato Cesarini prese  così corpo la Juve dei sogni, , la Juve da leggenda che dal 30 al 35 fu capace di vincere 5 scudetti consecutivi e che dette un’impronta indelebile allo spirito ed alla filosofia della Juve, partendo innanzitutto da un controverso “primo: non prenderle”. Da allora la Juve rimarrà la squadra più amata ed odiata dagli italiani.

Filmato Boriel 0’45”

Tra i tanti ci sono Combi in porta (forse il portiere italiano più forte di tutti i tempi, con un senso della posizione incredibile) Virginio Rosetta detto Viri, Vercellese, terzino fortissimo e marcatore implacabile, non colpiva il pallone di testa. Celebre la sua battuta “tanto prima o poi la palla casca per terra!”. C’è Calligaris, c’è gente dura come Luisito Monti, uomo dal senso tattico eccezionale, anche lui italo argentino, un armadio (centromediano) che giocò ad Higbury una partita contro l’Inghilterra con un piede fratturato..

Di quella squadra Renato   rappresentava la classe e la fantasia mentre il suo grande amico Orsi aveva un dribbling devastante. Il sinistro era un rasoio e celebri restano i suoi goal segnati direttamente su calcio d’angolo. Superstizioso oltre ogni limite, sotto il calzettone sinistro teneva una carta da gioco, un jolly! Orsi e Cesarini  sapevano inventare giocate memorabili. In campo li univa il pallone, fuori  il tango.

Sonoro- formazione quinquennio  0’16”

Combi, Rosetta, Calligaris, Monti, Varglien, Bertolini, Munerati, Cesarini, Vecchina, Ferrari, Orsi.

 

“Ci sono formazioni che nel tempo si trasformano in una filastrocca e questo significa far parte della storia. Sono poche le formazioni che vengono recitate a memoria. Nella maggior parte dei casi sono inghiottite da un libro e non riescono più a venirne fuori. Il tempo le sbiadisce e le cancella. Quando invece una squadra diventa filastrocca non può più essere dimenticata; rimane per sempre in alto, tra preghiera e poesia. “

 Brano musicale

Renato amava la notte perché la notte è sempre stata dei poeti, degli amanti e dei sognatori. Lui spesso tentava d’ignorarla e di tradirla con il letto, ma non ci riusciva quasi mai. La sua anima portena lo tormentava, e alla fine se lo prendeva sotto braccio trascinandolo in giro a godersi la vita. Impedirglielo era impossibile, sarebbe stato come tentare di fermare il vento. Era bello, profumato ed elegante, El Tano”

CESARINI FOTO 07

El Tano, che a Torino diventò il Cè, inquieto allora usciva di casa disegnando dribbling tra le strade di Torino. Ogni sera un percorso diverso, ogni sera storie sempre nuove , emozioni dense di sguardi ruffiani, di partite a poker e di trepide bocche da baciare. Su di lui circolano mille storie ed aneddoti. Famosa quella volta che

Si presentò in campo in pigiama di seta bianca,  elegantissimo, avvolto da una scia di profumo … Non ci fu neanche il tempo di una ramanzina, perché come un fulmine si era già diretto agli spogliatoi e di lì a poco segnò 5 goal di seguito…o quella volta che in un salotto bene torinese ad una compassata signora, che si complimentava con il suo italiano, se ne uscì dicendo di aver fatto progressi grazie e delle pazienti metresse. Non era difficile incontrarlo con una graziosa scimmietta, che acquistò da un ambulante. In una di queste notte brave, mentre si trovava al tavolo di un night in chissà quale compagnia, arrivò al suo tavolo una bottiglia di champagne, omaggiata addirittura dal presidente della Juve Edoardo Agnelli e accompagnata da un bigliettino ”Mi raccomando: domani si gioca”. Per tutta risposta il Cè contraccambiò con dodici bottiglie di champagne,esagerando come suo solito!

 A Torino aprì un locale da ballo  nella centralissima Piazza Castello, il Florida. La prima milonga italiana, La tangheria, così amava definirla il Cè, si trovava sopra il bar che apparteneva alla famiglia del portiere Combi; camerieri e ballerini erano vestiti da gauchos. Sul palcoscenico si alternavano due orchestre e si andava avanti per notti intere tra musiche, tango, donnine e champagne. 

Spesso Renato e Mumo Orsi scalzavano l’orchestra, Orsi correva al suo violino e Cesarini imbracciava l’ inseparaile chitarra, e allora, solo allora scendeva il silenzio, perché il loro tango diventava poesia. 

Cesarini locali di tango 0’30”

Cesarini locali di tango 0’30”

La favola di quella Juve si chiude nel 1935 con la vittoria del quinto scudetto consecutivo.,  Nel ’35 il Presidente Edoardo Agnelli muore precipitando con un’idrovolante e metaforicamente assieme a lui muore quella grande Juve. Per fatale coincidenza, sempre in un incidente aereo,nel giugno di quell’anno muore anche il leggendario Carlos Gardel…

“Carlos Gardel era più che una voce: era il tango stesso che una mattina si era vestito e fatto uomo.”poesia

Brano di Gardel

Il Cè dopo 6 stagioni, 147 presenze e 54 goal abbandona la Juve assieme a Combi e all’inseparabile Orsi, primo e ultimo ribelle nella storia della Juventus Football Club.

 Scriveva allora la Gazzetta dello Sport:

“Cesarini ha espresso senza mezzi termini, com’è solito fare, la sua aperta disapprovazione per il tipo di gioco che si và sempre più comunemente praticando in Italia, dedicato soprattutto alla difesa, al cercare di non perdere piuttosto che di vincere; Cesarini ha preferito lasciare l’attività e L’Italia, piuttosto che adattarsi ad una tattica di gioco che non sentiva e che quindi non poteva approvare”.

Il trentenne Cesarini non vuole rimanere prigioniero dei successi bianconeri e allora nel 1936 rientra in Argentina, torna per giocare nel Chacarita, ma accetta quasi subito un ingaggio per il mitico River Plate come mezz’ala destra. Lui è una stella calata in una squadra di stelle e il River vince facile i campionati del 36 e del 37.

CESARINI FOTO 06

Nel 1937, Cesarini  a soli 31 anni nel momento di massimo splendore  reduce da 5 scudetti vinti in Italia e due in Argentina, abbandonò il calcio giocato, come si dice in gergo, appese le scarpette al chiodo.

Antonio Liberti, presidente del grande River Plate  affidò a Cesarini il settore giovanile. Cesarini fondò  la scuola di calcio del River Plate. 

E proprio nell’insegnare ai ragazzi, che ha dato il massimo di sé stesso, lo chiamavano il “Maestro dei Maestri” perché le sue erano lezioni di vita e quindi anche di calcio, perché la sua filosofia   era quella di far crescere prima di tutto degli uomini e poi eventualmente degli atleti, forse è per questo che tutti quelli che hanno avuto la fortuna di essere allenati dal Cè, si sono portati e si porteranno dietro le sue parole per tutta la vita.  

. “Il campo è la vita e il giocatore è l’uomo” diceva sempre, “l’uomo deve saper fare tutto nella vita, perché non può fare lo stesso nel campo?”. “La palla è come una fidanzata, bisogna curarla, accarezzarla e mai prenderla in giro”.

“Sapete cosa sarei io con un po’ di Università? Sarei Presidente della Repubblica. Io sono uno che ha studiato poco ma ha imparato tutto camminando…”

 “il calcio non deve partire dai piedi ed arrivare alla testa, questo è uno sport che dalla testa deve scendere ai piedi”

Cesarini continuava a ripetere ai suoi giocatori “non abbandonate gli studi o il  lavoro, perché quello che veramente conta è diventare uomini”. 

Cesarini prese in mano la prima squadra,il mitico River Plate. Nasce così la leggenda della”maquina”.

Giocavano divertendosi, spesso si dimenticavano addirittura di fare gol, presi com’erano dalla gioia del gioco.

E da quel momento per tutta l’Argentina, in segno di rispetto diventò Don Renato.

Musica: MEDIA LUZ

È nel 1944 che Renato conosce la donna importante della sua vita. Lei è bellissima, fa l’attrice ed ha appena 17 anni. Il suo nome è Yuky Nannmba.

“E’ un nome d’arte. Era breve e suonava bene. Mi ci sono affezionata e alla fine quello è diventato il mio unico nome.

Avevo l’arte nel sangue ed ero bellissima. Mi creda, bellissima…

Quando mi muovevo, era seguita da una scia di corteggiatori. Quanti mazzi di fiori nel mio camerino! Mio fratello Osvaldo teneva tutti a debita distanza. Ma con Renato fu subito diverso, tutto così chiaro, come fosse stato scritto in uno dei miei copioni. Eravamo due artisti inciampati l’uno nelle braccia dell’altro . La nostra fu subito di passione vera. Ero felice, non esistono parole per descriverlo. Per sentirlo ancora più mio gli proposi un patto di sangue: ci facemmo un piccolo taglio sul palmo della mano e poi le unimmo. Sangue su sangue. Legati per sempre.”

MEDIA LUZ

Dopo due anni di fidanzamento, nel ’46, Renato venne chiamato dalla Juventus per allenare e fu allora che mi chiese di sposarlo. Mi colse di sorpresa, ma Renato era fatto così, la sua mente correva più veloce di quella degli altri. Lo adoravo. Ora sono anziana e convivo con una montagna di ricordi, ma il nostro matrimonio all’hotel Victoria di Montevideo rimane il giorno più bello della mia vita. Ero raggiante tutta vestita di bianco compreso il cappellino e i guanti di seta. Ecco, quella è la vera felicità, perché non ci sono ombre, non ci sono condizioni da rispettare. Avevamo tutto. Quella sera organizzammo una splendida festa e tutti ballarono fino all’alba. Tutti tranne noi due, perché anche se può sembrare strano, né io né Renato conoscevamo un solo passo di danza. Passammo la luna di miele ad Atlantica: fu una luna di miele indimenticabile.

Potevo finalmente averlo tutto per me e perdermi nell’incanto delle sue parole. Fu l’unica volta in tutta la sua vita, che si separò dalla palla. “

Fine MEDIA LUZ

Il grande amore per la Vecchia Signora è sempre radicato nel suo cuore e dal 46 al 48, per 2 stagioni, Don Renato accetta di  tornare alla Juventus, ma questa volta lo fa da allenatore. A Torino arriva un Cesarini completamente diverso da quello che tutti ricordavano. Questo è un signore con qualche ruga che sa parlarti di vita e di calcio. Questo è il Maestro dei Maestri, la Bibbia del Futbol in persona.

La Juventus in quelle due annate non vincerà nulla ,anche se arrivò seconda, ma l’avversario si chiamava Grande Torino, l’unica formazione che eguagliò il record dei 5 scudetti consecutivi.

Chiusa l’esperienza con la Juve, Don Renato torna a Buenos Aires e lì, dopo un paio d’anni tra Banfield e Boca junior, dal 50 al 58 oltre condurre una trasmissione radiofonica di grande successo è totalmente preso dal settore giovanile del River Plate.

Nel 1952 ottenne un provino per il River Plate un ragazzino perennemente spettinato, che viene da San Nicòlas, sulle sponde del fiume Paranà. Orfano da quando ha tre anni ha un’unica fede, il calcio, adora da sempre il grande River e nella squadretta del suo paese, il Teatro Municipàl, ha già fatto vedere cose egregie.

 “Quando arrivò il giorno sognato da una vita, quel ragazzino e suo fratello Carlos presero posto in uno scompartimento di terza classe. Non c’erano molte cose da dire, erano già tante quelle da pensare, e così il ragazzino e suo fratello Carlos se ne stettero zitti a fissare il panorama che scorreva veloce davanti a loro.

 

Arrivarono a Buenos Aires  poi finalmente il Monumental, lo stadio: troppo grande per essere vero Il provino andò male, al ragazzo non reggevano le gambe,  l’emozione era troppo forte i piedi gli si piantavano nel terreno.

Il rientro a San Nicòlas fu molto triste, poi inaspettato arrivò un telegramma …..”presentarsi sabato alle ore 14 al campo Talleres”. Poche parole per rialimentare una speranza.

Questa volta l’emozione sparì, giocò come sapeva e segnò tre dei 5 gol segnati dalla sua squadra. Il grande Don Renato in persona pronunciò le parole magiche…”Omar Sivori, da oggi sei uno del River Plate”.

                                    

Leggio – Passato il primo momento di euforia, Cesarini disse al ragazzo di san Nicòlas: “Sai una cosa Sivori? Sette giorni fa, quando hai sostenuto il primo provino, nove membri su dieci avevano dato parere negativo, avevano deciso di non concederti una prova d’appello. Vedi, io sono il decimo uomo di questa nostra commissione interna e mi sono impuntato, perché avevo capito che la tua era solo emozione. Quel giorno, dentro lo spogliatoio, Omar Sivori giurò a sé stesso, che non avrebbe mai deluso quell’uomo fantastico, che aveva saputo vedere l’invisibile. Lo avrebbe sempre onorato e rispettato. Prima ancora che un’amicizia era nata una devozione.”  

Da quel giorno le loro vite non si separarono. Renato come un padre. spiegò a Sivori i segreti del calcio e quel ragazzo ascoltava pieno di ammirazione. Don Renato lo faceva sognare, raccontandogli della Juventus del quinquennio e di mille altre cose.

Dopo aver fatto tutta la trafila, calzettoni abbassati e maglia numero dieci, Omar divenne uno dei punti di forza del River Plate, poi, il 12 giugno del 1957 la partenza per Torino, la Juventus del Presidente Umberto Agnelli lo aveva pagato la stratosferica cifra di 160 milioni di lire. Con quei soldi il River Plate rinnovò completamente lo stadio Monumental.

Sivori lo scostante,lo sbruffone, Sivori che dopo averti fatto un tunnel provava a fartene un altro per umiliarti definitivamente, non degnava neanche di uno sguardo il suo allenatore a Torino.

Gli mancava suo padre, gli mancavano le sue parole,gli mancavano gli sguardi che lo seguivano dalla panchina, gli mancava Don Renato.

Il sogno divenne realtà  nel 1959, Umberto Agnelli affidò la Juventus a Renato Cesarini e così padre e figlio si ritrovarono nuovamente uniti in campo e nella vita.

 (filmato)CESARINI ALLENATORE 0’30”

Renato Cesarini, il “maestro dei meastri” era divenuto un esempio, rispettato da tutti e venerato da molti. Lui parlava e l’intera squadra lo seguiva; compreso il pallone.

GALLO CIEGO

GALLO CIEGO

Dal 1961 al 1965 un’altra emigrazione, questa volta in Messico alla guida dell’Universidad de Mexico, ancora il River ed un’apparizione i Ecuador, Per circa un anno, nel 68, diventa selezionatore della Nazionale Argentina, quando si trova di fronte la commissione d’esame per ottenere il patentino, ha un’uscita geniale. Gli domadano su quali testi si è preparato. “su nessuno – risponde lui – ma se volete darmeli, eventualmente ve li correggo io”. 

Abbandona l’incarico da CT nel luglio di quello stesso anno per contrasti insanabili con la federazione.

Allora Don Renato si và a riposare, come faceva spesso nella sua “Estancia di general Belgrano”, la tenuta agricola di 100 ettari che aveva acquistato a circa 150 chilometri da Buenos Aires,   una mattina del gennaio 1969 Don Renato cade a terra privo di sensi.

Viene subito ricoverato alla clinica “Anchorena” di Buenos Aires, ma la diagnosi è impietosa: emiplegia. Don Renato ha subìto una brutta lesione cerebrale.

Omar Sivori si precipitò da suo padre, ma il corpo inerte che trovò steso su quel letto era solo la parodia di Renato; una maschera che non parlava non rideva, e con gli occhi fissava un qualcosa di tristemente lontano. Non quello, non era El Tano, non aveva neanche la sigaretta in bocca. Neanche il tempo per un ultimo poker era rimasto. Niente di niente. “

Renato Cesarini, l’uomo che con il suo destro aveva disegnato progetti memorabili in mezzo al campo, l’uomo che con le sue parole aveva forgiato uomini e campioni, con quella malattia dovette rendere in anticipo a Dio proprio ciò che gli era stato concesso con maggior generosità: l’emiplegia gli aveva compromesso quasi completamente l’uso della gamba destra e della parola.

Scrive testualmente la Gazzetta dello sport del 27 marzo 1969:

“L’operazione ebbe buon esito e già al momento di lasciare la sala operatoria Don Renato aveva ripreso conoscenza. Un miglioramento così soddisfacente permise a Cesarini di lasciare lunedì sera la clinica per continuare le cure in casa del suo amico Juan Giacchio. E fu appunto poco dopo, in casa di questi, che Don Renato fu improvvisamente colto da malore e spirò prima ancora che giungesse il medico chiamato d’urgenza. Il decesso sarebbe avvenuto per collasso cardiaco, ma c’è chi afferma che sia stato provocato dalla soddisfazione di Don Renato di avere lasciato la clinica, dove si sentiva come prigioniero”.

Suono lugubre

Ai funerali, nel cuore di Buenos Aires, lo piansero in migliaia, perché come sempre la morte di un maestro lascia tutti più grandi e più soli. A fianco della bara c’era Omar Sivori .  Piangevano le centinaia di giocatori, brocchi e campioni, che Don Renato aveva innanzitutto fatto diventare uomini. Tutto il River passò accanto alla bara sfiorandola con la mano.

 Yuki appoggiò il palmo della mano sinistra su quel legno lucido, travolta da un pianto senza fine.Al di là dell’oceano, nella chiesa di San Carlo a Torino, quel giorno venne officiato un funerale senza salma, ma l’anima di Cesarini era lì .C’era tutta la Juventus, compresi quella della filastrocca. La famiglia Agnelli al completo, Boniperti e mille altri. Ricchi e poveri, nobildonne e vecchie maitresse piangevano per il ragazzo dal ciuffo impertinente, per l’uomo dal volto solcato di rughe, per quel grande che tra un dribbling, un whisky e una capriola, aveva saputo spiegare le cose che contano nella vita.  

“In tutte le cose che mi sono successe in seguito, c’è sempre stata la sua mano. Renato ha molto sofferto per me…  Ero molto più giovane di lui. Ero un po’ pazza, imprevedibile come tutti gli artisti. Eravamo due spiriti liberi, io amavo il teatro non meno di quanto lui amasse il calcio. Avrei dovuto stargli più vicino ma le cose le capisci sempre troppo tardi…Come quel pomeriggio,quando lo vidi morto, mai avrei pensato che si potesse piangere così tanto per un uomo. Ma per quanti rimpianti io possa avere, è stata la storia della mia vita .

Tutto qui…”

Cesarini foto 05

Cesarini foto 05

Non vi lasciamo con la morte di Don Renato, ma con la nascita della leggendaria Zona Cesarini… era il 13 dicembre 1931…

su Torino stava cadendo una fitta pioggia, sul campo dei granata si stavano affrontando la nazionale Italiana e la fortissima Ungheria, squadra solida e talentuosa.   Arbitrava lo Svizzero Mercèt. 

L’Italia stava strameritando la vittoria, Orsi era riuscito a fare il goal del 2 a 1 ma Avàr riuscì a mettere dentro la palla del 2 a 2.

Siamo esattamente al 90°, è l’ultima occasione, l’ultima palla della partita. Costantino, ala destra, detto Faele, si trova al limite destro dell’area avversaria, ma perde preziosi secondi, forse  non ha il coraggio di tirare, Cesarini con una spallata allontana il suo compagno di squadra, entra in area sulla destra,  come una freccia vede entrare dalla parte opposta Mumo Orsi, finge il traversone e invece scarica in porta un rasoterra velenoso, il portiere Ujvari, preso in controtempo non ha potuto nulla. E’ la rete del 3 a 2, quella della vittoria meritata. Non ci fu neanche il tempo di riprendere il gioco, perché il signor Mercèt puntuale da bravo svizzero, fischiò immediatamente la fine. 

“- Il goal segnato in Zona Cesarini è un lampo, che ti proietta in paradiso, mentre la palla muore in fondo alla rete e l’arbitro fischia la fine. La partita termina lì. Rimane solo un tempo sospeso, infinito, per ridere o piangere. La storia è stata scritta.

Per Don Renato però aver segnato quel goal è stato un semplice dettaglio. Zona Cesarini significa altro. Zona Cesarini vuol dire non lasciare nulla d’intentato, perché di rimpianti si muore, perché chi rinuncia a sognare è sconfitto in partenza. Perché, come insegnava il maestro ai suoi ragazzi, i novanta minuti di una partita sono il riassunto perfetto di una vita intera.

ZORRO GRIS

FINALONE