IL CILINDRO

 

IL CILINDRO

Eduardo (1965)

PERSONAGGI

Rita

Rodolfo

Agostino

Bettina

Attilio

Antonio

Roberto

Arturo

Gli uomini e le donne del vicolo

ATTO UNICO

Le due stanze e cucina di Agostino Muscariello. L’ambiente che vediamo ha tutte le caratteristiche di quei locali sotto il livello stradale, tipici delle costruzioni di fine settecento, destinati a deposito, cantina o, nel migliore dei casi, alla sistemazione del « guardaportone ».

Una scala di circa dieci gradini parte dal fondo della stanza, a sinistra, e raggiunge la parete di destra, dove un vano con una porticina conduce nella seconda stanza che si trova, per necessità di livello stradale, piú in alto della prima.

Al centro del pianerottolo che si viene a formare partendo dall’ultimo gradino in alto fino al vano sopraindicato, si scorge, attraverso un balconcino, il campionario di portoncini, finestre e botteghe dei palazzetti ammuffiti che, insieme alla gradinata del vicolo, s’arrampicano fin sopra ai « Crístallini ».

Il sottoscala è profondo due metri e mezzo circa e largo tre. Se non fosse stato «incartato» da don Agostino Muscariello in .persona con una modesta carta da parato, sarebbe piú tetro della grotta di Betlemme. Ora però quello spazio ripulito e « intolettato », ha consentito la dignitosa sistemazione di un letto matrimoniale.

Il resto dell’arredamento è misero, ma ordinato e lindo. Quando comincia l’azione, l’intemo del sottoscala è nascosto da una vecchia tenda che scorre su di una corda tesa e fermata ai lati del vano con due rampini. Nella stanza ci si vede appena; dai battenti accostati del balconcino entra pochissima luce, sufficiente però ad illuminare di taglio la provocante figura di Rita’ la quale, sul pianerottolo trasformato in un improvvisato gabinetto da toilette, a piedi nudi e in una succinta sottoveste, versa acqua da una brocca in un bacile; s’insapona il collo, le braccia, le spalle, la faccia, poi finalmente sguazza nell’acqua fresca fin quando è costretta a ricorrere di nuovo alla brocca per il ricambio, dopo aver svuotato il bacile in un secchio. Nel compiere l’azione, specialmente quando dovrà servirsi dell’ asciugamani – che troverà sulla spalliera di una sedia – di tanto in tanto Rita apre uno dei battenti del balconcino. Qualche volta lo fa per scrutare nel vicolo, qualche altra per mostrarsi a qualcuno. Si pettina, si profuma le ascelle con qualche goccia di colonia, si incipria abbondantemente sollevando intorno a sé leggere nuvolette di borotalco.

Gli atteggiamenti di Rita sono artefatti, voluti; si capisce chiaramente che lo spettacolo del lavaggio viene inscenato puntualmente ogni giorno, ad ora fissa. Ci accorgiamo infatti che quando la poveretta non sa piú che fare per attirare l’attenzione dei passanti, piú sconfortata che indispettita, brandisce la brocca e ricomincia da capo.

Finalmente due timidi colpettini battuti sul vetro dall’esterno fanno sorridere maliziosamente Rita.

RITA (falsamente sorpresa, si ritrae in un angolo del balcone, coprendosi il seno con l’asciugamani aperto) Chi è? (Antonio, il tipo che ha bussato, fattosi audace, sporge la testa nell’interno della stanza e fissa sulla donna uno sguardo estasiato e pieno di desiderio. Nel riconoscere il giovane,,Rita cerca di mostrarsi rinfrancata e ricambia quello sguardo-con un sorriso invitante) Siete passato pure ieri.

ANTONIO E ieri l’altro.

RITA Ieri vi ho visto, ieri l’altro no.

ANTONIO E passerò pure domani.

RITA (delusa dalla timidezza di Antonio) Sí … ? E dopodomani?

ANTONIO Alla stessa ora mi vedete qua.

RITA Non vorreste dirmi perché avete deciso di farvi vedere ogni giorno? (Intanto indossa una vestaglietta, se la stringe attorno al corpo, sfilando poi dalla scollatura l’asciugamani che le copriva il seno).

ANTONIO Debbo sentire l’odore.

RITA L’odore … ?

ANTONIO L’odore dell’acqua e sapone; quello del borotalco…

Quel borotalco che quando ve lo mettete addosso si spande nell’aria, esce per questa « senga » di balcone, se ne va per il vicolo… e io mi fermo a guardare le nuvolette che salgono al cielo e che diventano piú bianche quando vengono attraversate dai raggi del sole.

RITA Ecco perché venite ogni giorno.

ANTONIO Non solo per questo.

RITA C’è un’altra ragione?

ANTONIO (svíando il discorso) Domani vi porto un mazzo cli rose.

RITA Grazie.

ANTONIO Rose di maggio. Rose incappucciate, le chiamiamo noi.

Incappucciate perché hanno la forma della cappuccia e sono fitte fitte di petali grandissimi che si restringono e diventano piccoli piccoli al centro.

RITA Profumate?

ANTONIO Profumatissime. Sono rosse come il fuoco e spandono intorno un profumo cosí acuto che certe volte fa venire dolore di testa. E i napoletani perciò le offrono alle donne.

RITA Per fargli venire il mal di testa?

ANTONIO No. Per seguire un’antica tradizione del nostro paese. La donna che riceve le rose di maggio dal suo innamorato, fresche come le riceve, le sfronda e mette tutti i petali in una grande bacinella piena d’acqua gelata; la bacinella la mette fuori al balcone per tutta la notte; l’indomani mattina si lava la faccia, le braccia, le spalle e tutto quello che vuole lei in quell’acqua profumata. Questa usanza si può seguire solamente in primavera, quando escono le rose di maggio.

RITA Che poesia! Tutti poeti, qui a Napoli.

ANTONIO Voi di dove siete?

RITA Sono fiorentina.

ANTONIO Firenze… Che bella città!

RITA Ci siete stato?

ANTONIO No, ma una mia cugina, che ci andò in viaggio di nozze, mi fece vedere una serie completa di vedute a colori. A Firenze ci dovevo andare da soldato. Poi fui riformato.

RITA E come sapevate che vi avrebbero mandato a Firenze?

ANTONIO Lo sognavo sempre. Dicevo fra me e me: quando esco di leva farò fuoco e fiamme per farmi mandare a Firenze. Ci sarei riuscito, perché un mio zio maresciallo…

RITA (stufa ormai di quel colloquio e ansiosa di realizzare qualcosa di pratico, gentilmente richiama Antonio alla realtà) Scusate, ma debbo rientrare. Stare a parlare qui sul balcone, con uno sconosciuto, non è conveniente.

ANTONIO Allora me ne vado.

RITA (dopo una breve pausa, fingendosi delusa) Ve ne volete andare?

ANTONIO Avete detto che non è conveniente parlare qua.

RITA Qua no.

ANTONIO E dove?

RITA (ardita, per vincere la timidezza di lui) Dentro. Non vuoi entrare?

ANTONIO In casa … ?

RITA Shhh! Parla sottovoce. Da me.

ANTONIO Da… te?

RITA (taglia corto) Scendi otto scalini, entra nel portoncino: la prima porta a sinistra. Non suonare il campanello, apro io.

Antonio, dopo un’occhiata d’intesa alla donna, scompare, mentre Rita chiude i vetri, abbassa una leggera tenda trasparente bianca che lascia entrare la luce, ma non permette che dall’esterno si veda ciò che succede dentro. Poi scende in fretta le scale, raggiunge l’ingresso – a sinistra della stanza -, fa scattare lo scivolo della serratura e rimane in attesa lasciando la porta accostata. Dopo una breve pausa, la porta viene spinta dall’esterno e appare, prima a mezza figura, poi a figura intera, Antonio.

ANTONIO (impacciato) Eccomi qua.

RITA Entra. Antonio obbedisce, Ríta chiude la porta.

ANTONIO (cerca di darsi un contegno) Lo volevo portare stamattina, il mazzo di rose di maggio…

RITA Come ti chiami?

ANTONIO Mi chiamo Antonio. Siamo al dieci di maggio, fra trentaquattro giorni è l’onomastico del nome mio!

RITA Auguri anticipati.

ANTONIO Grazie.

RITA Sono sicura che di solito tu non offri le rose a tutte le donne che incontri.

ANTONIO A te sí.

RITA Ho bisogno, Antonio… Solo il bisogno mi fa fare quello che sto facendo. Tu soldi ne hai?

ANTONIO Per comprare le rose?

RITA Ma che rose! (Spiega con pazienza) Tu le rose perché me le vuoi dare? Per farmi la corte. E perché si fa la corte a una donna? Per andarci a letto. E allora! E presto fatto: dammi i soldi e andiamo a letto. (Antonio rimane colpito dalla sua brutalità; non risponde e abbassa gli occhi). Scusa… Sono stata brutale, non dovevo parlarti cosí… Sono nei guai, mi trovo in una situazione terribile. Ti prego in ginocchio: vieni a letto con me e dammi qualche cosa di soldi. (Antonío tace). Non sono una prostituta, credimi, non faccio questo mestiere… Antonio: tu sei il primo.

ANTONIO (sbarrando gli occhi) Sei zitella?

RITA No, questo no. Sei il primo, dopo mio marito… Ma la mia vita non ti deve riguardare. Sii generoso, dammi un po’ di soldi.

ANTONIO Ma… presso a poco… quanto?

RITA Che ne so… Non me ne intendo. Mi hanno detto… Diecimila.

ANTONIO (la cui timidezza è vinta da un imparziale senso di giustizia) A via Roma! Ma qui siamo sopra ai Cristallini…

RITA (con intenzione) Sei il primo.

ANTONIO (l’idea lo eccita) Certo, è un fatto che non capita tutti i giorni… Diecimila ce l’ho.

RITA Spogliati.

ANTONIO Spogliati prima tu.

RITA Solo la vestaglia mi debbo togliere. (Nel girare lentamente su se stessa, lancia uno sguardo invitante al giovane per deciderlo ad aiutarla, mentre abbandona le braccia lungo il corpo, lasciando che la vestaglia s’apra da sola) Vuoi … ?

ANTONIO (le sfila la vestaglia, guarda per un attimo le spalle ben tornite, poi vi appoggia delicatamente la guancia sinistra, socchiudendo gli occhi) Quanto sei bella…

RITA (con gesto rapidissimo si allontana, raccatta la vestaglia e si ferma di fronte al giovane, spaurita e ansiosa allo stesso tempo) Dobbiamo fare presto. Presto, presto, presto. Non ci debbo pensare sopra.

ANTONIO (pronto a tutto) lo quando mi tolgo la cravatta e la giacca e mi sbottono il colletto… (E porta le mani alla cravatta in tutta fretta).

RITA (quasi allarmata) No!

ANTONIO (confuso) La cravatta no?

RITA Nemmeno la giacca.

ANTONIO t questione che fa caldo…

RITA Ma certo… ti puoi togliere tutto quello che vuoi, ma dopo.

ANTONIO Dopo?…

RITA Dopo che mi hai dato i soldi.

ANTONIO (dopo breve pausa) Non hai fiducia?

RITA Ti ho spiegato che io questo mestiere non l’ho mai fatto. Mi hanno detto che si paga prima. Ed è meglio, non ti pare? Meglio per me e meglio per te. Sono disperata, i soldi mi occorrono. Se mi tranquillizzi su questo punto, potrò essere piú carina con te. Quando te ne andrai, avendo già compiuto un atto cosí avvilente per tutti e due, avremo l’illusione di esserci amati davvero.

ANTONIO (si mostra convinto, sorride; prende il portafogli) Sí, hai ragione, hai ragione! (Sfila un biglietto da díecimila e lo porge alla donna).

RITA (col mento tremante di emozione e la gola gonfia di pianto, balbetta) Grazie… (Un grazie che però contrasta col gesto fulmineo con cui fa scomparire la banconota nel reggiseno. Poi prende per mano Antonio e se lo tira dietro con energia) Vieni.

ANTONIO Dove?

RITA (indica il sottoscala) Là. Cammina! (Arrivata alla tenda, Rita si ferma, compie un mezzo giro su se stessa, in modo da trovarsi faccia a faccia con Antonio; sbarra gli occhi in quelli di lui, fissandolo con uno sguardo tragico, poi cade in ginocchio e scoppia in un pianto dirotto) Schifosa! Lurida! Fetente! Piú schifosa di me la fatalità, piú lurido il destino! Piú fetente la vita! Non ne posso piú… Non ne posso piú…

ANTONIO (smarrito) Che è stato?

RITA (si piega in tre, faccia a terra, battendo i pugni sul pavimento) Perché, perché, perché?

ANTONIO Ti fai male…

RITA Perché c’è il vento crudele del destino che può entrare in casa tua e spazzare in un attimo ogni traccia di felicità… Ce l’avevo un marito, giovane, forte, innamorato… Stanotte il vento è entrato e se l’è portato via. Guarda! (Con gesto deciso fa scorrere rapidamente la tenda e mostra ad Antonio una scena tragica). –

Sul letto matrimoniale giace supino il corpo di un giovane uomo dal volto cadaverico, reso piú spettrale dalla fiammella di un’unica candela accesa e messa sul marmo del comodino; tra le dita del giovane, incrociate sul petto, spicca uno striminzito mazzolino di fiori. La visione di quella squallida camera ardente pietrifica Antonio; il poverino non crede ai suoi occhi, e ci mette qualche attimo prima di poter ritrovare il proprio equilibrio mentale.

ANTONIO (finalmente riesce a balbettare) Ma… che sta facendo quello là?

RITA Niente, non sta facendo niente. Non può fare piú niente. Stanotte, dopo una crisi di pianto che gli è venuta mentre mi confessava che non ce la faceva piú ad andare avanti, a scervellarsi ogni mattina per cercare un sistema qualunque che riuscisse a procurare un pezzo di pane per le nostre tre creature, tre… tre, gli è mancato il cuore e se n’è andato. E tu mi domandi che sta facendo! Sta facendo quello che gli uomini schifosi come te, quelli che gettano via i biglietti da diecimila per comprarsi le mogli oneste dei poveri disgraziati, invece di stendere una mano generosa ai loro mariti, hanno voluto che facesse: sta facendo il padre morto, il marito morto, l’impiegato morto, l’operaio morto, l’imbroglione morto, il parassita morto, lo scocciatore morto. Contento? (Con improvvisa energia afferra Antonio per una mano e lo trascina verso il letto) Hai pagato, hai diritto. Vieni, facciamo presto. ,

ANTONIO (ritrae la mano con violenza e si allontana dalla donna) Ma state scherzando? Vicino a lui?

RITA E che t’ importa? Non ti fanno piú paura i moribondi che ti passano accanto per strada e ti fissano negli occhi per accusarti della loro fine imminente? Che paura può farti lui che non può accusarti piú?

ANTONIO (offeso nel suo intimo dalle gratuite affermazioni sociologiche di Rita, trova la forza per ribellarsi) Ma voi che volete da me? Ma guarda che bella mattinata Chi mi ha cecato di passare per i Crístallini… Donna come vi chiamate, i guai li teniamo tutti quanti. Se vi racconto quelli di casa mia, quando avrò finito vi saranno cresciuti i capelli fino a terra. Che c’entro io con i moribondi che passano per la strada, «gli occhi negli occhi », « l’accusa »? La disoccupazione sta in tutto il mondo. Sentite condoglianze, e fatemi uscire.

RITA La porta sta là.

ANTONIO E le diecimila lire?

RITA (in tono fermo, battendosi una mano sul petto) Stanno qua. (Poi prende dal reggiseno la banconota, la infila sotto la schiena del morto) E adesso stanno qua, e se tieni il coraggio vieni a prendertele tu stesso.

ANTONIO Sia fatta la volontà del Padre Eterno! (Poi rivolto alla donna, con tono brusco) Statevi bene. (Apre la porta d’ingresso ed esce in fretta).

RITA Va’ all’inferno, bischero! (Apre un tiretto del comò, prende sigarette e fiammiferi, accende una sigaretta per sé ed un’altra per Rodolfo, suo marito, il morto, che nel frattempo si è seduto in mezzo al letto e si sta stropicciando gli occhi).

RODOLFO (mentre la donna tira profonde boccate, soddisfatta di come sono andate le cose, fumando anche egli con gusto, allunga una mano, afferra quella di sua moglie e l’attira a sé) Giuggiola…

RITA Giuggioletto mio, aspetta… (Raggiunge rapidamente la porta d’ingresso, si mette in ascolto per un attimo, poi l’apre per guardare fuori, la richiude e sale svelta la scala che porta al pianerottolo; raggiunto il balconcino, l’apre quel tanto che le consente di sporgere la testa e scrutare nel vicolo).

Dalla destra del pianerottolo, proveniente dalla stanza accanto, entra un uomo sui sessant’anni: cupo, accigliato, patito nel fisico, ma ossuto e ben piantato. Indossa una maglietta azzurra a mezze in maniche, su cui spicca il rosso vivo di un paio di logore bretelle, che reggono un pantaloni nero scolorito, con toppe alle ginocchia e al sedere. L’uomo è di statura normale, ma diventa altissimo agli occhi altrui, per via di un cappello a cilindro che porta a raso testa; il suo contegno, estremamente dignitoso e quasi pomposo, s’intona a meraviglia con quel copricapo tanto impegnativo. Silenziosamente Agostino Muscariello, tale è il suo nome, raggiunge il lavabo, svuota il bacile nel secchio, prende il secchio e la brocca e si avvia per uscire dalla stessa porta da cui l’abbiamo visto entrare.

RITA (rientra e riaccosta le imposte del balconcino) Non c’è: è scappato. (Rivolta ad Agostino) Scusate… (Prende il barattolo del borotalco e glíelo porge) Ci vuole il borotalco. Lo scatolo grande sta in camera vostra. (Agostino solleva il braccio destro e indica col mento a Rita dove potrà collocare il barattolo; infatti Rita glielo infila sotto l’ascella; Agostino, senza parlare e tutto compreso del suo incarico, esce per la destra. Alla porta d’ingresso si bussa. Rita, allarmata, risponde dal pianerottolo) Chi è?

ANTONIO (dall’interno) Amici, amici. Aprite.

RITA (raggiunge rapidamente l’ingresso, mentre Rodolfo spegne la sigaretta, nasconde il mozzicone sotto il materasso e si rimette a fare il morto) Che volete?

ANTONIO Aprite un momento.

RITA E io apro senza sapere chi siete?

ANTONIO Sono quello di prima.

RITA Un nome. Un nome e cognome, una qualifica. « Quello di prima» non significa niente.

ANTONIO Voi aprite la porta solo quando vi dovete prendere diecimila lire? Quando le dovreste restituire chiedete la qualifica?

RITA (apre e affronta l’uomo) Hai capito che la mia situazione è disperata? Vuoi o non vuoi capire che mi sento impazzire?

ANTONIO Io mi immedesimo nel vostro stato d’animo, ne sono addolorato profondamente, ma perché ci debbo rimettere diecimila lire?

RITA Hai fatto un’opera buona.

ANTONIO Non mi trovo in condizioni da potermi permettere di fare diecimila lire di beneficenza.

RITA Per fare il mandrillo schifoso, le potevi spendere?

ANTONIO Almeno ne facevo salute. Intanto, dall’altra stanza, entra Agostino con la brocca piena e il secchio vuoto e la scatola di borotalco. Mette tutto a posto e rimane in ascolto.

RITA Le diecimila lire sai bene dove stanno. Se non sei un vigliacco, puoi ficcare una mano e pigliartele. (E lo pianta in asso a riflettere su quella possibilità. Quando la donna si accorge che Antonio è sul punto di tentare, interviene freddamente) Il morto è ancora caldo.

ANTONIO (smontato) Ma non la potete ficcare voi, la mano? (La sua attenzione viene attirata dalla dignità con cui l’uomo in cilindro sta scendendo le scale; rimane affascinato da quella figura sconcertante, da quello sguardo pieno di fatalità puntato su di lui; gli sorride e gli fa un inchino quasi reverenziale. Agostino si ferma ai piedi della scala; segue un attimo d’imbarazzo, poi Antonio si fa coraggio e si rivolge all’uomo, eleggendolo arbitro della controversia) Voi forse non siete al corrente di quello che mi è successo… (Agostino tentenna lentamente la testa, sorridendo ambiguamente, come per comunicare al giovane la sicurezza che egli ha nella propria natura di veggente). Con diecimila lire vado avanti tre giorni… (Il cilindro oscilla di nuovo, lentamente, due o tre volte). Diecimila lire possono salvare una famiglia…

AGOSTINO (medita un attimo, si incupisce, poi con tono pacato)

E’ la lotta del bene e del male, la crudele vittoria sui giusti da parte della insaziabile avidità della vigilanza notturna. Giorno verrà che un raggio di luce veritiera verrà a squarciare la coperta tenebrosa, disperdendo nel nulla il fetore che ti circonda.

ANTONIO (Confuso) Sí… ma…

AGOSTINO (prende per mano Antonio e l’accompagna alla porta senza lasciargli il tempo d’aprire bocca) è la lotta del bene e del male…

ANTONIO Ho capito, ma…

AGOSTINO Giorno verrà… Addio, fratello. (E chiude la porta alle spalle di Antonio, il quale si è trovato fuori senza rendersene conto). è, fatto.

RITA Quello torna.

AGOSTINO Se torna, lo faccio scivolare per le scale, chiudo la porta e quando strilla per chiedere aiuto lo vado a sollevare io stesso e lo porto al pronto soccorso.

RODOLIFO Il cilindro si è comportato bene.

AGOSTINO Caro Rodolfo, i nostri padri, i nostri nonni, i nonni dei nonni, gli avi nostri e prima ancora…

RODOLFO Sí, ho capito, andate avanti.

AGOSTINO Voglio dire che questo (indica il cilindro) è un cappello che ha fatto il suo dovere attraverso i secoli, e lo sta facendo ancora oggi e continuerà a farlo nei confronti delle generazioni future, pure quando l’epoca dell’energia atomica sarà per gli uomini un ricordo lontanissimo.

RODOLFO Secondo voi, la prima cosa che porteranno su Marte o sulla luna sarà il cappello a cilindro?

AGOSTINO La prima no. Non si parte dal cappello a cilindro, ci si arriva. E quello che lo inventò, chi sa che accoglienza dovette avere dal re dell’epoca, quando gli presentò il progetto. « Maestà, guardate questo disegno » « è una botta? » « No, Maestà ». « è una cassarola? »

« Nemmeno, Maestà » « è un cimíniero? » « Siete lontano, Maestà ». Sapete, in tutte le epoche i regnanti sono sempre stati un poco tardivi. «Ma allora dimmi tu stesso di che sangue della marina si tratta, non mi fare perdere tempo ». « Maestà, si tratta di un cappello ». « E lo porti a me? Che niente niente hai saputo che faccio il cappellaio? Esci fuori, buffone!» «Calmatevi, Maestà. Questo è un cappello che in qualunque momento, non si sa mai come vanno le cose, può salvare il trono di vostra Maestà. Prima di tutto, la potenza di questo cappello la potranno capire solamente gli uomini istruiti. Gli analfabeti lo troveranno esagerato per la loro condizione, e non si permetteranno mai non dico di portarlo abitualmente, ma nemmeno di metterselo in testa per un solo momento. Questo cappello a cilindro, Maestà, lo porteranno i ministri per le cerimonie ufficiali; i dottori per i consulti; gli sposi e gli invitati ai grandi sposalizi per fare vedere che il matrimonio è una cosa seria; non ci sarà un duello senza cilindro; un funerale di un pezzo grosso che ne farà a meno per il popolo non sarà mai un funerale importante; l’esercito di Vostra Maestà, col cilindro in testa, diventa il doppio, spaventa il nemico e lo mette in fuga». Insomma, caro Rodolfo, questo è un cappello eterno e miracoloso. E ogni famiglia bisognosa ne dovrebbe tenere uno, sempre pronto, appeso alla cappelliera. Io me lo tengo geloso, e lo porto sempre in testa, perché mi ha salvato in diverse occasioni. A Natale e a Pasqua, per esempio, si presenta il portalettere per la regalia? Io mi metto il cilindro, e ci dico: « Non tengo spicci, buon uomo… se ne parla un’altra volta». Lui risponde: « Non vi date pensiero… Buon Natale, Buona Pasqua », e se ne va. Se la stessa cosa ce la dico con un cappello qualunque in testa, o con una coppola, quello non solo se ne va con la faccia storta e senza salutare, ma mi fa pure i morti sott’ a lingua… Quando il padrone di casa veniva per avere le mesate arretrate, il cilindro pure si comportava bene… Si trattava di un vecchio ignorante, di uno che firmava con la croce… Ma come tutti gli uomini analfabeti ha voluto un figlio istruito, e il guaio è successo quando al posto del padre si è presentato il figlio… Sempre cosí: gli uomini istruiti nascono da padri analfabeti, e gli analfabeti da padri istruiti… Ad ogni modo, ci difenderemo anche dagli uomini istruiti. A quanto siamo arrivati?

RODOLFO Settantamila.

AGOSTINO A settantamila ci eravamo arrivati ieri, tanto che io dissi: in tre giorni

settantamila lire non c’è male. Adesso ho rifornito la scatola di borotalco, ho cambiato l’acqua

la somma dovrebbe essere salita a ottanta.

RITA Diecimila le ha prese vostra moglie, stamattina.

AGOSTINO E perché?

RITA Le ha volute.

AGOSTINO Che ragionamento… Allora, se vi chiedeva tutte le settantamila, voi gliele davate?

RODOLFO Ha parlato di un pagamento urgentissimo.

AGOSTINO (chiamando verso l’alto) Bettina!

BETTINA (dall’interno) Austi’?

AGOSTINO Affacciati un momento. (Rivolto ai giovaní) E sempre col solito sistema di tenermi all’oscuro… Questa donna o è scema o è una mia nemica. (Chiamando) Bettina!

Bettina entra e si affaccia al pianerottolo. è vicina ai quarantacinque anni, ha gli occhi luminosi e furbi, è ancora attraente e piena di energia che ella smaltisce in mille atteggiamenti popolareschi di buona razza. Se spende pochi soldi per vestire, in compenso è abile nella scelta dei colori e dei disegni, per cui un abito di stoffa scadente ideato e confezionato da lei stessa suscita sempre una certa invidia tra le donne del vicinato.

BETTINA Agosti’, che vuoi?

AGOSTINO Qual è questo pagamento urgentissimo?

BETTINA Quale?

AGOSTINO Non rispondere con un’altra domanda, per prendere tempo e pensare alla risposta che devi dare.

BETTINA Agosti’, noi stiamo ancora a questo, fra me e te? Stiamo ancora al punto che dobbiamo prendere tempo per pensare alla risposta che ci dobbiamo dare?

AGOSTINO E tu fai l’ingenua.

BETTINA Non ho capito, Agosti’, questo è tutto. Io l’ingenua non la faccio, perché se mi accorgo che fai l’ingenuo tu con me, piglio quello che mi trovo a portata di mano e te lo scasso in testa. Che vuoi sapere?

AGOSTINO Che ne hai fatto delle diecimila lire.

BETTINA Sia lodato Iddio, l’abbiamo saputo.

AGOSTINO Tu non devi perdere la pazienza. Devi capire che io, tu e questi poveri giovani stiamo contando le ore e i centesimi per arrivare a completare la cifra. Abbiamo ancora sette giorni di tempo: se ti metti a pagare i debiti, da una parte entrano i soldi e dall’altra li fai uscire, scadono i termini, la somma non la raggiungiamo, si perde tutto il ben fatto.

BETTINA Ma se non mi fai parlare.

AGOSTINO Aspetta, fammi finire… Senza contare che ormai i creditori si sono rassegnati e non ci stanno dando fastidio: basta che uno solo viene soddisfatto, quello passa la voce e qua succede l’assedio della Bastiglia.

BETTINA Non ho fatto nessun pagamento. Fammi parlare. E’ venuta a prima mattina donna Fortunata, quella che sta di casa al numero I7. Tu non l’hai sentita perché dormivi. è venuta tutta spaventata che mi ha fatto paura. «Donna Bettina mia, salvatemi; il Signore ve ne accresce di salute! Aiutatemi. Da tre giorni mio marito non vuole andare in cantiere perché tiene un dolore di mola che lo fa uscire pazzo… » Dice che sbatteva le sedie, che ha rotto la campana di vetro della Sant’Anna che tengono sul comò… Poi, a un certo punto straziato dal forte dolore, datesi che fa il muratore, ha preso il palo di ferro e voleva uccidere la moglie e i figli. «Donna Bettina mia… – mi ha detto, – fosse una mola intera ce la tiravo io o se la tirava lui stesso, perché il coraggio lo tiene, ma quella è una radice fraceta zuffunnata sotto sotto che appena si vede qualche ponta nera da fuori». Ha voluto tremila lire per portarlo dal dentista.

AGOSTINO Mi dispiace, povero Matteo. Il dolore di mola è tremendo.

BETTINA Che facevo, ce le negavo?

AGOSTINO Capisco…

BETTINA Come hai visto, non ho pagato nessun creditore, ma le ho prestate.

AGOSTINO Peggio! Si sparge la voce che prestiamo i soldi, i creditori si accaniscono e si presentano qua con altre intenzioni. Chi li affronta?

RODOLFO Li affrontate voi. Vi mettete il cilindro.

AGOSTINO E me lo scassano.

BETTINA (scendendo le scale) E questo è il resto delle diecimila lire. (Prende il danaro dalla tasca del grembiule e lo mette sul tavolo) Seimila cento.

AGOSTINO Come? Tu tremila ne hai prestate a donna Fortunata.

BETTINA Tremila cinquecento. Cinquecento per il taxi.

AGOSTINO Non poteva andare a piedi?

BETTINA Con quel dolore di mola?

AGOSTINO Perché, tiene le mole sotto i piedi?

BETTINA Non ce l’ho potuto negare. Pure lei, spesso e volentieri ha avuto scocciature da noi.

AGOSTINO Va bene, tremila cinque. Allora queste dovrebbero essere seimila e cinquecento.

BETTINA Ho preparato un ruoto di patate, cipolle e pomodori; cerchiamo il piacere al pizzaiolo all’angolo che ce lo inforna.

AGOSTINO Un’altra risposta per prendere tempo. Che c’entra il ruoto di patate con le quattrocento lire?

BETTINA E come lo facevo il ruoto di patate senza le quattrocento lire? Anzi, è meglio che mi spiccio. (Sale svelta le scale ed esce per la destra).

AGOSTINO Allora, seimila cento sono queste..

RODOLFO Diecimila eccole qua. (Mette sul tavolo il biglietto che Rita gli ha messo sotto la schiena).

RITA E sessanta le ho conservate io.

AGOSTINO Dove le avete messe?

RITA (indicando il comò) Là.

AGOSTINO Statevi attenti.

RITA (prende la somma dal tiretto e la mostra) Eccoli. Li conto tre, quattro volte al giorno e prima di andare a dormire li conto un’altra volta.

RODOLFO (consegnando a Rita l’ultima diecimila) Tieni queste.

RITA (mettendo sul tavolo, via via che le conta, le banconote) Dieci, venti, trenta… trentacinque, quaranta, quarantacinque, quarantasei, quarantasette, quarantotto, quarantanove, cinquanta,… sessanta. (Mostrando la banconota che le ha dato Rodolfo) Con questa, settanta. E con il resto delle dieci mila di stamattina: settantaseimilacento. Bettina esce da destra, reggendo tra le mani un enorme ruoto di rame colmo di patate, cipolle e pomodori, il tutto affettato, mescolato e pronto per la cottura; raggiunge il balcone e si affaccia nel vicolo chiamando:

BETTINA Michele, Miche’! Che stai facendo?

MICHELE (dal vicolo) Niente!

AGOSTINO In questo vicolo l’occupazione è uguale per tutti.

BETTINA (a Michele) E non correre… Don Vincenzo sta in bottega?

MICHELE (sempre dall’interno, ma piú vicino) Sí, sí. Ce sta pure donna Concetta. (Ha raggiunto il pianerottolo della scala del vicolo, e si trova di fronte a Bettina) Che vi debbo servire, donna Betti’?

BETTINA (mostrandogli il ruoto) Il solito favore… MICHELE Addò ‘o pizzaiuolo?

BETTiNA Non dal primo, da don Orazio alla voltata del vicolo.

MICHELE Sissignore. (Prende il ruoto ed esce svelto).

BETTINA Fra una mezz’ora te lo vai a riprendere. MICHELE (dall’interno) Va bene.

BETTINA Di’ a don Orazio che poi passo io da là per ringraziarlo.

MICHELE (ormai lontano) Sissignora.

BETTINA (rientra e scende le scale per raggiungere gli altri) Cosí, ci siamo tolto pure il pensiero del mangiare. Ho comprato pure un bel cocomero.

RODOLFO Abbiamo contato i soldi. In tre giorni non c’è male. Se andiamo avanti con questo ritmo, io dico che possiamo raggiungere la somma che ci serve prima dei sette giorni.

RITA (riponendo il danaro nel comò) Lo spero proprio. Comincia a mancarmi il coraggio.

AGOSTINO Voi, cara signora, avete dimostrato una superiorità di prontezza e una presenza di spirito da grande artista. E voi sapete che sotto i miei occhi, per trentasette anni, sono passati artisti di tutti i generi, grandi e piccoli, puliti e fetenti.

RITA Si tratta di sconosciuti, di tipi che ti avvicinano con uno scopo preciso… Con il pervertimento che c’è in giro… può capitare un maniaco, un criminale… Trovi il fesso che rinunzia alle diecimila lire e se ne va, ma puoi anche trovare quello che tira una coItcHata.

AGOSTINO E io non ci sono?

RODOLFO Eio?

RITA Sí! Non mi fate ridere. Prima che voi scendete da là sopra e che lui si alza dal letto… E poi, la’ fatica che faccio, non la contate? Provatevi voi a piangere un morto tutta la giornata, a lavarsi e a insaponarsi e sciacquarsi continuamente… Anzi, procuratemi qualche polvere da bagno senza profumo, perché l’odore del borotalco mi fa rivoltare lo stomaco.

RODOLFO (dà un’occhiata a un vecchio orologio attaccato a una parete) Manca un quarto alle dodici. Il ruoto di patate sarà pronto fra una mezz’ora. Verso l’una, l’una e un quarto ci mettiamo a tavola. Non perdiamo tempo, io mi metto sul letto e tu te ne vai sopra e ti fai un’altra lavatina.

RITA Uffà!

AGOSTINO Dopo mangiato vi riposate due, tre ore, e verso le quattro e mezza affrontate nuovamente l’acqua, il sapone e il borotalco.

RODOLFO Le ore del pomeriggio sono le piú redditizie.

AGOSTINO E quelle della sera, fino a dopo la mezzanotte, possono dare sorprese grosse, per questo genere di « lavaggio ».

RITA- Si, mettiamoci pure la sera e la notte! Io stasera voglio andare al cinema.

BETTINA Brava. Tu vattene al cinema, stasera quattro, cinque lavate me le faccio io.

AGOSTINO (con allusione ambigua) Cosí ci ricordiamo dei tempi passati.

BETTINA (ne rimane ferita, ma si finge índífferente e cambia discorso. (A Rita) Tengo un mezzo pacco di polvere da bagno quasi inodore. La vado a prendere e te la metto nella scatola al posto del borotalco.

RITA Grazie. Bettina va verso la scala.

AGOSTINO (ha capito che Bettina è ferita, ed è pentito del suo comportamento. Raggiunge la scala per primo e cerca di rientrare nelle buone grazie della donna) Hai comprato pure un cocomero? (Bettína non lo degna di uno sguardo, continua la sua strada). Betti’! Ho parlato con te.

BETTINA (raggiunto il pianerottolo, si affaccia alla ringhiera) Ho comprato quello che mi pare e piace e non voglio rispondere alle domande di fetenti schifosi come te.

AGOSTINO Questo è tutto?

BETTINA E io faccio finta di niente, e quello mi sfotte una prima e una seconda volta.

RODOLFO Ma ch’è successo?

RITA Bettina?

]3ETTINA Non cadete dalle nuvole, perché pure voi avete capito di che si tratta.

AGOSTINO (ai due giovani, minimizzando) Quando ho detto: ci ricordiamo dei tempi passati.

BETTINA Come se dei tempi passati ci avessi nascosto qualche cosa ‘ e come se lui stesso non era al corrente di tutti i fatti miei, fin dal primo giorno che ci siamo conosciuti: che facevo, che dicevo e come campavo. Dopo tanti anni, fa ancora lo spiritoso, e ancora mi tortura per sapere con quanti uomini sono stata a letto.

AGOSTINO Ma c’è bisogno di scendere in questi dettagli? E poi, se un uomo domanda una cosa di questo genere, vuol dire che ha interesse per la donna.

]3ETTINA E io te l’ho detto quanti sono stati. AGOSTINO (ai due giovani) Lei dice quindici… RODOLFO Ma allora…

BETTINA Lui però non ci crede, perché fa passare un poco di tempo, e poi me lo domanda un’altra volta.

AGOSTINO Perché il quindici è un numero che dà poco affidamento.

RODOLFO Don Agostino, i numeri sono tutti uguali. AGOSTINO Per contare i giorni della settimana o una partita di fiaschi di vino, sí: ma qui si tratta di altro. E poi, lei non dice sempre lo stesso numero. L’altro giorno disse ottanta. BETTINA Perché mi ero scocciata di sentire la stessa domanda. AGOSTINO (salendo le scale per raggiungere Bettina) E io questa domanda non te la faccio piú, e ti prometto che se mia moglie se ne va all’altro mondo, ti sposo. (Si avvicina a Bettina, apre le braccia) Un abbraccio e non ne parliamo piú. BETTINA (gli assesta un manrovescio che manda il cilindro rotolando fino ai piedi del balcone) Teh i

AGOSTINO (stropicciandosi la guancia colpita) Betti’ … ?

BETTINA Aspettiamo la morte di tua moglie! Cosí, dopo la carretta di corna che t’ha fatto, sentiamo dire: « Ci ricordiamo dei tempi di quando era viva quell’anima santa! » E quello se ne viene: « è, un numero che dà poco andamento » Va trovando: quindici, ottanta… (Esce per la destra).

RODOLFO Voi non la dovete esasperare.

RITA Donna Bettina vi sta facendo buona compagnia.

RODOLFO Nel vostro caso, come in mille altri casi del.genere, il numero non conta.

AGOSTINO Rodo’, ma stai scherzando? Tu vuoi mettere quindici con ottanta? (Entra nella stanza attigua, senza raccogliere il cilindro).

Attraverso il balcone s’intravedono le sagome di due uomini che si sono incontrati e che si stringono la mano cordialmente.

ARTURO (dall’interno) Don Roberto carissimo.

ROBERTO (C. S.) Salute a voi!

Nell’udire le voci dei due uomini, Rodolfo fa capire a Ríta con una strizzata d’occhio e indicando il posto di «lavoro» che sarebbe un peccato perdere l’occasione presentatasi; infatti la donna raggiunge svelta il lavabo, mentre Rodolfo va nel sottoscala e fa scorrere la tenda.

ARTURO Prima di andare in Tribunale, sono andato a trovare una mia zia che abita da queste parti e che sta poco bene. E voi? Vi fate tutte queste scale con il caldo che fa oggi?

ROBERTO Amministro i beni di casa De Ferrante. Mi hanno pregato di venire a vedere un palazzetto che si vende, verso la salita di San Gennaro.

Intanto Rita ha già compiuto il rito del «lavaggio» ed ha già aperto il balconcino un paio di volte per stendere al sole l’ asciugamani bagnato.

ARTURO Buoni affari.

ROBERTO Grazie. (Arturo se ne va per i fatti suoi, mentre Roberto, avendo notato il traffico di Rita, spinge un battente per curiosare e prendere, se è il caso, contatti con lei) State facendo toletta?

RITA Già.

ROBERTO A quest’ora?

RITA Quante cose volete sapere. Vuol dire che solo adesso ho avuto il tempo di fare toletta.

E poi… ognuno sa i fatti suoi.

ROBERTO Siete una bella ragazza, e io me ne intendo.

RITA Grazie.

ROBERTO (con intenzione) Dobbiamo fare niente?

RITA Dipende.

ROBERTO Già, dipende… A che ora vi si può visitare?

RITA Quando c’è gusto, qualunque ora del giorno è buona.

ROBERTO Sei spassosa, mi piaci. Quanto ti debbo dare?

RITA Entra prima.

ROBERTO No, no, è meglio sistemare prima il quantum

RITA Mi dài diecimila lire.

ROBERTO (ironico) Questo è tutto? Ma è regalato! Tu ti rovini, figlia mia. Diecimila lire, due pasti, compresi dolce e caffè… (In tono rude e offensivo) Presentati ad una agenzia di collocamento per fare la serva, cosí capisci come devi gettare il sangue per guadagnare un centesimo e se è giusto chiedere diecimila lire facendo la prostituta!

Rita chiude i battenti in faccia all’uomo, fermandoli con le spalle per tenerli ben chiusi, e si copre il volto con le mani, avvilita.

RODOLFO (dal sottoscala, parlando verso l’alto) Che è stato?

ROBERTO (dall’interno, sbraitando) Diecimila lire… Cose ‘e pazzi! E non ci sta un agente di pubblica sicurezza…

Entra Agostino.

AGOSTINO (entrando) Che è successo?

RODOLFO (raggiunge Rita, cerca di farla scostare per aprire il balcone e affrontare l’uomo) Fammi passare.

RITA No, no!

AGOSTINO il cilindro… avete visto il cilindro?

Dall’interno giunge la voce di ATTILIO Samueli, altro conoscente di Roberto, che, trovandosi a scendere per quelle scale, si sarà fermato a parlare con lui dell’accaduto.

ATTILIO (dall’interno) Sono cose che succedono, non vi prendete collera, don Robe’!

ROBERTO No, e io collera non me ne piglio. Vi ho voluto far capire a che punto siamo arrivati.

ATTILIO Buona giornata.

ROBERTO Altrettanto a voi.

RODOLFO Ma che fetente!

RITA Shhh! Mentre i passi di Roberto risuonano per le scale del vicolo silenzioso e assolato, dall’esterno si bussa ai vetri del balconcino.

RODOLFO E chi sarà?

RITA Vattene giú. Rodolfo comincia a scendere.

AGOSTINO Se mi trovate il cilindro, m’affaccio io. Si bussa di nuovo ai vetri.

RITA (ad Agostino) Andatevene.

RODOLFO (è già sul letto; scosta la tenda) Altro che cilindro, qua ci vuole la rivoltella! (E riabbassa la tenda).

RITA (aprendo uno spiraglio del balconcino, timida) Chi è?

ATTILIO (dall’interno, sommessamente) Sono un galantuomo, state tranquilla, potete aprire. (Rita, ancora sull’avviso ma alquanto rinfrancata, apre un po’ di piú il battente. Da quello spazio si riesce a vedere soltanto il cupolino e un pezzo di falda di un Panama nuovo fiammante). Mi ero fermato in mezzo alle scale, per riposarmi un poco; ho aperto il giornale e mi sono messo a leggere i titoli… ma non è meglio che mi fate entrare in casa? Sarebbe meglio per voi e per me.

RITA Vi siete messo a leggere i titoli, e poi?

ATTILIO Siccome conosco quel signore che se n’è andato, e prima di andarsene… Fatemi entrare, e vi dico il resto.

RITA Sono una donna sola…

ATTILIO E io perciò voglio entrare.

RITA E io perciò voglio sapere che volete.

ATTILIO Allora ve lo dico presto presto. Se ci sta il vostro piacere, io sono disposto a darvi le diecimila lire che quello là non vi ha voluto dare.

RITA Se è per questo…

ATTILIO Da dove si entra?

RITA Scendete otto scalini, entrate nel portoncino; la prima porta a sinistra. Non suonate il campanello. (Chiude il battente e raggiunge l’ingresso; la scattare aperta la serratura e attende).

Dopo una breve pausa la porta viene spinta dall’esterno; Rita si sposta per lasciarla aprire del tutto e far passare l’uomo.

ATTILIO entra, si ferma un attimo sulla soglia per curiosare nell’interno della stanza. t, un uomo tra i sessanta e i sessantacinque, ben conservato: arzillo e di un aspetto gradevole. Non soltanto il Panama è nuovo fiammante pure il vestito grigio chiaro, indossato con disinvoltura, è di stoffa pregiata, leggerissima e molto ben tagliato. Di antiquato, forse in omaggio a qualche caro scomparso, porta con orgoglio una catena d’oro che spicca sul gilet. I modi dell’uomo sono cortesi, ma quando increspa gli occhi per guardare in faccia le persone e giudicarle, il suo sguardo diventa vigile e diffidente. Nell’entrare si toglie il Panama.

ATTILIO Allora… Posso?

RITA Certo. (Chiude la porta mentre ATTILIO raggiunge il centro della stanza).

ATTILIO (togliendosi la giacca) Il letto dove sta?

RITA (presa di sorpresa, indica timidamente il sottoscala) Là… ATTILIO (con intenzione) Dietro la tenda… Ho capito. Un’alcova perfetta. (Snodandosi la cravatta) Spogliati.

RITA Ma…

ATTILIO Non ti vuoi spogliare?

RITA Volevo prima chiudere bene il balcone…

ATTILIO E là sotto, chi ci vede? Lascialo aperto, passa un poco d’aria. (Mette la cravatta sulla spalliera della sedia dove aveva già sistemata la giacca).

RITA Veramente io volevo…

ATTILIO (sbottonandosi il panciotto) Adesso ti dò pure le diecimila lire, cosí ci togliamo il pensiero. (Piega il panciotto e lo mette sulla sedia, poi estrae dal portafogli un biglietto da diecimila e lo mostra alla donna, dopo aver rimesso a posto il portafogli) E se sarai paziente e carina con me, dopo ti farò pure un regalino extra. Toh! (Rita tende la mano). No, aspetta: togliti prima la vestaglia. (La vestaglia scivola lungo il corpo di Rita. ATTILIO increspa gli occhi e rimane un attimo in ammirazione di quel bel tocco di ragazza; poi con gesto deciso e gli occhi scintillanti di desiderio, porge la banconota alla ragazza) Teh, piccire’: te le meriti. (Ríta prende il danaro, e non fa in tempo a fermare il gesto repentino di ATTILIO che fa scorrere la tenda. Nel vedere Rodolfo, rimane confuso per un momento, poi si riprende e volgendosi verso il letto, con evidente disappunto dice) Be’, e che facciamo? (A Rita) Sveglialo, e mandalo via.

RITA (fissando tristemente ATTILIO) Lo mando via?

ATTILIO Per lo meno sveglialo: lo fai aspettare fuori la porta. RITA (c. s.) Lo sveglio?

ATTILIO Ma perché, tiene il sonno pesante?

RITA (con la gola gonfia di pianto) Non lo sveglia piú nessuno, a quello là.

ATTILIO Ma chi è?

RITA (cade in ginocchio e scoppia nel solito pianto dirotto) Schifosa! Lurida! Fetente! Piú schifosa di me la fatalità, piú lurido di me il destino… la vita… non ne posso piú!

ATTILIO Ma che ti succede?

RITA (indicando il letto) Non lo vedete che mi succede? Quello è mio marito… è morto stanotte da un minuto all’altro…

ATTILIO (spaventato) Uh, mamma mia! (Indietreggia meccanicamente).

RITA E io ho bisogno di soldi per sotterrarlo e per pagare qualche debito che ha lasciato… Sono sola, sola come la luna… (Piange).

ATTILIO (afferra giacca e panciotto, in preda a un tremito nervoso)

Figlia mia, a te il forte dolore ti ha fatto impazzire. Vicino al morto? Nello stesso letto? A me mi viene una sincope. Statte buona, figlia mia: buona fortuna… (E muove svelto verso la porta d’ingresso. Rodolfo afferra la mano di Rita e gliela bacia ripetutamente, con trasporto. ATTILIO porta la mano al collo, istintivamente, e s’accorge che manca la cravatta; si gira verso la sedia, e nel girarsi nota l’azione di Rodolfo e rimane strabiliato. Non dice nulla, però, e dopo un attimo d’immobilità prende la cravatta da terra, dov’era caduta, guardando di sottecchi i due che si sono ricomposti, fermamente convinti che il vecchio non s’è accorto di nulla; Attilío si avvia verso la porta, lentamente. Raggiunta la soglia si ferma e gira la testa e guarda Ríta socchiudendo gli occhi) In fondo in fondo penso che hai ragione tu: che male c’è? Quello non vede e non sente. Ci sarebbe soltanto il pericolo di una morte apparente… ma sono casi rarissimi. (E gelidamente torna indietro, e rimette sulla sedia giacca, gilet, cravatta, curando con ostentazione la sistemazione degli abiti).

RITA (allarmata) Ma voi vorreste…

ATTILIO No, non vorrei: io voglio. Ci sto. Le diecimila te le ho date… facciamo presto presto e me ne vado.

RITA Vicino al morto?

ATTILIO Non mi fa impressione. Ci sto. Ti ho detto che ci sto.

Agostino e Bettína entrano in punta di piedi e si fermano sul pianerottolo per seguire la scena, non visti.

RITA(con fermezza) E adesso sono io che non ci sto.

ATTILIO No? Azione di Agostino e Bettina.

RITA No. Queste sono le diecimila lire. (Mette il danaro sul tavolo) Ve le potete riprendere e lasciarmi in pace.

ATTILIO Ho capito. In un primo momento tu hai creduto di potercela fare, adesso che ti trovi davanti al fatto, hai paura di commettere un sacrilegio. Stai pensando che diecimila lire te le può lasciare pure un altro che si spaventa del morto e se ne scappa. Ma io non mi sono spaventato e per farti superare questa piccola crisi di coscienza, su quel biglietto da diecímila ce ne metto un altro. (Posa un’altra banconota sulla prima).

RITA No, no… no!

ATTILIO (serio, convinto) Piccire’, io non tengo quindici anni.

Prima di bussare ai vetri di quel balcone ci ho pensato molto bene; se mi trovo qua, è per una ragione seria. La salute è salute.

RITA Che c’entra la salute?

ATTILIO Tu sei troppo giovane e non puoi capire. E poi sono fatti miei che non ti debbono riguardare. (Deciso) Una parola: io metto altri tre biglietti da diecimila là sopra: ti do cinquantamila lire, e non ne parliamo piú. (Esegue).

RITA(fissando la somma, combattuta) Come faccio a decidere… (Indicando il letto) C’è lui…

ATTILIO Lui è passato a miglior vita.

RITA Ma può darsi che sia piú presente da morto che da vivo, in questa casa.

ATTILIO (ironico) Che sia presente non c’è dubbio.

RITA (volutamente mistica) Anche voi credete nell’immortalità dell’anima?

ATTILIO (C. S.) Certamente…

RITA E allora datemi il tempo di rivolgergli una preghiera: se non deciderà lui, deciderò io.

ATTILIO Brava, rivolgetevi a lui. Quello, adesso, sta nel mondo della verità, e allora i conti se li può fare bene.

RITA Però allontanatevi… lasciatemi sola con lui: non me la sento di pregare in presenza vostra.

ATTILIO Fate, fate, mettetevi d’accordo. lo aspetto. (Si allontana e gira le spalle ai due).

RITA (s’inginocchia accanto al marito, giungendo le mani in atto di preghiera) Anima santa, che faccio? Tu sai tutto e puoi vedere tutto, ne sono certa… Sai pure per quali motivi sei morto, e in quali condizioni mi hai lasciata… (Alzando la voce) E lo sa pure Santo Agostino! (Agostino freme, smania, guarda Bettina che a sua volta si tortura le mani dall’ansia). Un segno, dammi un segno della tua volontà! Aiutamí! Un minuto di silenzio assoluto significherà diniego. Un rintocco di campana lontano, un fruscio di vento in questa stanza, un rumore insolito… sarà la tua approvazione al mio sacrificio…

ATTILIO (dopo una pausa di circa venti secondi) Diglí che le cinquanta possono diventare pure cento! (La cifra colpisce a tal segno Agostino da deciderlo a sbattere due volte i battenti del balcone producendo in tal modo il rumore insolito richiesto da Rita al marito; poi si rifugia nell’altra camera, seguito da Bettina.

ATTILIO, superato il piccolo trauma che gli ha procurato il rumore improvviso, si rivolge a Rita, scettico e sbrigativo) Hai avuto il permesso. Facciamo presto.

RODOLFO (a denti stretti torcendo la bocca verso Rita) Mandalo via se no l’ammazzo.

RITA (si alza, si avvicina ad Attílio. Questa volta il suo tono di voce è dolce, supplicbevole e «vero») Fatemi la carità di non torturarmi piú… Avete l’aspetto di una persona per bene… Guardate: sto piangendo veramente. (Infatti due lacrimoni le rigano le guance) Siate buono, siate generoso… Vi chiedo perdono: prendetevi i soldi e andatevene. (Singhiozza senza pudore, con le braccia ciondoloni lungo il corpo, immobile, come piangono i bambini).

Rodolfo alzandosi a sedere e puntando i pugni chiusi sul letto decide di intervenire in quella assurda controversia, con i diritti e i doveri d’un marito che crede sia giunto il momento di difendere la sua donna e il suo nome. Per un lungo istante Rodolfo rimane fermo in quella posizione, fissando

ATTILIO. Il vecchio non si scompone, e lo guarda a sua volta increspando gli occhi e piegando le braccia.

RODOLFO (alla fine si decide a parlare) Abbiate pazienza, ma a me pare che la vostra insistenza sia fuori di posto. Dove volete arrivare? Questa povera donna è sconvolta, sta piangendo… Vi ha chiesto perdono… io stesso vi prego di scusarmí… Che altro volete?

ATTILIO Ma, egregio… signore… (Sul pianerottolo appaiono di nuovo Agostino e Bettina). Io non so chi siete e come vi chiamate…

RODOLFO Sono il marito di questa donna. Come mi chiamo non ha importanza.

ATTILIO E un marito espone sua moglie a questo genere di lavoro, mettendosi a fare il morto e risuscitando quando gli fa comodo?

RODOLFO Giusto. E su questo punto potrei essere d’accordo con voi. Ma perché non cercate di capire che certe volte la vita si accanisce talmente contro un disgraziato da metterlo di fronte a due vie d’uscita: o fare il morto finto o il morto vero?

ATTILIO Ma che mi venite a raccontare! Non si arriva a un punto di abbrutimento tale da mettersi in condizioni di violare il Codice Penale.

AGOSTINO (ha trovato il cilindro, se l’è messo in testa e, d’impulso, s’affaccia alla balaustra del pianerottolo) Ci si arriva!

ATTILIO (sorpreso) Chi è?

BETTINA (cerca di fermare Agostino che va verso la scala) Aspetta…

AGOSTINO Lassame fa’, Betti’. (Si libera dalla stretta della donna e scende velocemente le scale. e a due passi da ATTILIO; dietro di lui c’è Bettina) Ci si arriva!

ATTILIO (a Rodolfo) Chi è questo?

AGOSTINO Siete analfabeta, voi?

ATTILIO (risentito) Io? Per regola vostra ho fatto il liceo, l’università e tengo due lauree.

Agostino, deluso, si toglie il cilindro.

BETTINA (ad Attilio) Buon uomo, sentite: questa è una casa col fitto bloccato Noi stiamo qua da prima della guerra. Solo per morosità il padrone di casa ci poteva sfrattare.

RODO’LFO E c’è riuscito. Ha fatto causa e il giudice s’è pronunziato in suo favore.

RITA Dieci giorni di tempo: o sanare la morosità o uscire di casa. Senza proroghe e senza diritto di appello.

BETTINA Trecentomíla lire di morosità… voi capite…

RITA (ha preso una carta dal tiretto del comò, e ora la mostra ad ATTILIO) Ecco, questa è la notifica.

BETTINA Noi siamo stati sempre puntuali nel pagamento dei mensili, ma con gli aumenti che ci sono stati…

AGOSTINO (improvvisamente turbato) lo mi sento cosí umiliato di fronte a questi due ragazzi… che mi prenderei a schiaffi con le mie stesse mani.

RODOLFO Ma don Agostino, perché vi volete angustiare? Noi sappiamo benissimo che quei pochi soldi che vi abbiamo dato mensilmente, sono serviti giornalmente per accendere il fuoco e per fare un piatto di minestra.

BETTINA Perché noi, per avere un aiuto alla fine del mese, l’anno passato affittammo questa stanza a loro due.

RODOLFO Io venni a Napoli per frequentare la scuola dei camerieri, perfezionarmi nel mestiere e concorrere poi per un posto sui vagoni ristoranti. Il concorso l’ho fatto: riuscii tra i primi, ma il posto lo sto ancora aspettando.

RITA (carezzando teneramente i capelli di Rodolfo) Nel frattempo accetta qualunque lavoro saltuario, per andare avanti.

RODOL.FO Faccio il cameriere aggiunto nei giorni festivi, mi chiamano per un rimpiazzo, per qualche matrimonio… faccio il lavapiatti stagionale… Quando si parla di abbrutimento e Codice Penale, senza sapere i fatti…

AGOSTINO Ma che volete sapere! Ho fatto il custode del teatro Apollo per trentasette anni. Un teatro popolare, ma sempre un teatro… E non lo buttano a terra per fare un albergo, mi danno quel poco di liquidazione e mi mettono in mezzo alla strada? Che mi sono trovato di trentasette anni di lavoro? La rivoltella a tamburo che mi serviva per la notte e che un anno fa mi vendetti a Piazza Francese, e il cappello a cilindro che un prestigiatore lasciò nel suo camerino. Con due guerre sulle spalle, con la svalutazione che c’è stata e il rincaro della vita… con le autorità hai voglia di scrivere lettere e stendere domande, non ti rispondono… Voi siete un signore, si vede che non avete bisogno e che anzi il Padreterno ha voluto essere generoso e ha benedetto la vostra casa… Se io fossi in voi, di fronte a un quadro cosí disperato, direi: «Ma io adesso perché debbo peggiorare la situazione di questa povera gente? Mo’ faccio conto di avere fatto una spesa sbagliata, tanto a me centomila lire non mi levano e non mi mettono: pigliatevi i soldi che ho messo sul tavolo. Buona fortuna: io me ne vado ».

ATTILIO E io proprio cosí mi vorrei regolare, ma non posso. La situazione mia è piú disperata della vostra. Io sono vedovo da venti mesi. Dopo trent’anni di matrimonio – durante i quali la buonanima mise al mondo sette figli tuttora viventi, e dodici gravidanze interrotte, dato il fisico indebolito, la poverina, incinta di cinque mesi, morí di parto prematuro, sotto i ferri del chirurgo.

BETTINA Uh, povera donna!

ATTILIO Ho portato un anno di lutto strettissimo, e sei mesi di mezzo lutto, rispettando tutte le regole, tutte le astinenze, compresa quella che un marito che perde la moglie ha il dovere sacrosanto di rispettare. Soltanto due mesi fa chiamai il sarto e mi feci rinnovare il guardaroba, perché avevo il diritto di smettere il lutto e pure le astinenze. Lascio i soldi e me ne vado? E che sono centomila lire di fronte alla mia vita? Lo capite che sto nelle mani di un medico che controlla giornalmente la mia salute e che mi dice continuamente che se non riprendo un sistema di vita normale me ne vado all’altro mondo? Nella mia vita ho conosciuto soltanto mia moglie, e vi posso dire che dopo la buonanima, questa (indica Rita) è l’unica donna che mi piace e che desidero veramente.

RODOLFO (scattando) Amico, ma dove volete arrivare?

ATTILIO Lo sapete voi dove voglio arrivare. Lo sa vostra moglie che mi ha adescato da quel balcone, e che prima di me ha trattato il prezzo con un altro signore.

RODOLFO Ma si trattava di una trovata, ve l’abbiamo detto.

BETTINA Vi abbiamo spiegato tutto.

ATTILIO Ma si è spogliata! E voi lo dovete sapere meglio di me che cos’è vostra moglie quando si spoglia. Debbo rischiare una trombosi cerebrale per la bella trovata che avete avuto? Non voglio morire. Tengo sette figli, tutti sposati, e dodici nipotini! Quando riunisco la famiglia, è una popolazione che mi festeggia. La mia vita è nelle vostre mani: non mi uccidete. Su queste centomila lire ne metto altre duecento, cosí voi sanate la morosità, e restate in casa, e io in seno alla mia famiglia.

AGOSTINO (Stupito) Trecentomila lire… (Interroga con lo sguardo Bettina).

BETTINA (incredula) Trecentomila… (E ricambia lo sguardo di Agostino con stupore).

ATTILIO Centomila in contanti, e un assegno circolare di duecento; lo firmo e ci metto pure: per conoscenza, cosí uno di voi si va a ritirare la somma. (Firma l’assegno che aveva tirato luori dal portafogli, e lo mette sui contanti). Segue un silenzio imbarazzante. Agostino e Bettina sono attratti irresistibilmente da quella somma di danaro. Rita, mordendosi a sangue il dorso della mano sinistra, guarda il marito, cercando di prevedere le sue reazioni.

RODOLFO (dopo aver valutato il giusto significato di quel silenzio, specie quello di Agostino e Bettina, gelido, con la bocca tirata, si rivolge a loro) Be’? Don Agostino… Donna Bettína… non parlate?

AGOSTINO (senza distogliere lo sguardo dai soldi) E noi che possiamo dire…

BETTINA (spazzolandosi il vestito con lievi colpetti, prima sul petto, poi sulla manica) La cosa è delicata… siete voi che… certamente…

RODOLFO (ora scatta come una molla e comincia a saltare da un punto all’altro della stanza, in preda a crisi isterica) Eeeeeeeh! Ma siete impazziti tutti? Che cosa dovrei decidere io? Che cosa dovrei fare? Dovrei prendere mia moglie e mandarla a letto con quello lí? Fetenti! Schifosi! Maledetti! E don Agostino: zitto! Donna Bettina: zitta. Certo! Perché don Agostino sa che il quindici è un numero insignificante, e donna Bettina sa beníssimo che si può cominciare con uno, e si può tranquillamente superare gli ottanta… Tutti in attesa che questo fesso firmi il suo decreto di cornuto! A chi aspettate per metterlo fuori di casa? Se non lo fate uscire voi, lo farò uscire io, con il cranio spaccato!

Due o tre persone, abitanti del vicolo, e un paio di passanti spingono i battenti del balcone e si affacciano nell’ínterno della stanza.

UNA DONNA Donna Betti’, ch’è stato?

UN uomo Don Austi’ … ?

BETTINA Niente, niente… Nun è stato niente. Agosti’, chiude ‘o balcone.

RODOLFO No, che chiudere! Aprite invece. Spalancate il balcone e aprite anche la porta di casa. Quello che sta succedendo qua dentro lo debbono sapere tutti. (Corre all’ingresso, spalanca la porta) Ecco, cosí: entrata libera! Questo non è un fatto che si può concludere a porte chiuse. Si fa presto a infamare una donna onesta e a mettere una croce addosso a un marito, quando la voce passa e arriva travisata. (Rivolto al balcone) Affacciatevi, entrate: venite a vedere questo vecchio pazzo che vuole andare a letto con mia moglie.

ATTILIO Io non sono entrato dal balcone, ma dalla porta, e mi ha fatto entrare vostra moglie dopo avermi detto quanto voleva per farmi entrare. Avete voluto mettere in piazza i fatti vostri? Tanto peggio per voi: a me non mi ha fatto né caldo né freddo. (Un altro gruppetto di gente, vicini di casa, s’è radunato sul pianerottolo dell’ingresso, mentre quello del balcone è diventato piú numeroso). Avete parlato giusto solo quando avete detto: « Venite a vedere questo vecchio pazzo ». Proprio cosí: sono uscito pazzo. So’ pazzo! So’ uscito pazzo!

FOLLA (al balcone e all’ingresso si ride ‘e si schiamazza sguaiatamente) ‘0 viecchio pazzo… ‘0 viecchio pazzo!

ATTILIO Dove c’è gusto non c’è perdenza. La mia offerta è arrívata a trecentomila lire, e sono pronto, adesso, ad arrivare a mezzo milione. Al balcone e all’ingresso non si ride piú. La piccola folla di straccioni rimane per un attimo sbalordita da quella cifra, tanto sproporzionata all’impiego; conquistata poi dall’audacia e dal tono fermo con cui il vecchio ha lanciato la sua sfida, nel silenzio che è piombato nella stanza, corre un bisbiglio di bocca in bocca, dall’ingresso al balcone: « Mezzo milione… mezzo milione… mezzo milione… » Questo bisbiglio in crescendo accende la fantasia di quei cervelli eccitati, e li decide a parteggiare per colui che ormai, per loro, è il vero eroe di quella vicenda piccante; compatto e immediato, scoppia un fragoroso applauso in onore ad Attilío. Segue un silenzio penoso, durante il quale tutti fissano Rodolfo. Dopo una breve pausa, dal gruppo assiepato oltre il balcone, parte una voce roca: «Fatevi pagare prima! » Poi un’altra, piú squillante, di un giovane: « Pagamento anticípato ». Poi le voci si confondono con quelle del gruppo dell’ingresso, tutte, press’a poco, sullo stesso concetto delle prime due. Infine predomina la voce di una donna: «Quello che è detto è detto: la parola è una ».

ATTILIO lo mi chiamo ATTILIO Samueli, e sono uomo d’onore. Questo è un altro assegno di duecentomila lire: lo firmo e lo metto sulle trecentomila che stanno sul tavolo. (Altro applauso al suo indirizzo, mentre Attilío firma l’assegno e lo lascia cadere sul primo) Quando avete deciso me lo dite. (Si toglie la giacca e il panciotto, sbattendoli con forza su di una sedia, e fila dritto nel sottoscala, chiudendo per metà la tenda, in modo da scomparire alla vista del pubblico. Si sente il tonfo del suo corpo che si abbandona di peso sul letto).

Altri applausi della folla, urla e schiamazzi.

RODOLFO (quando il chiasso s’è calmato, avverte l’interesse morboso che tutti hanno per quel che lui farà; pallido come un morto vero, ormai vinto, schiacciato dalla crudezza della realtà, con un filo di voce comincia a parlare a se stesso) Ha vinto lui. E che, volevi vincere tu, pezzo di fesso? Lui doveva vincere, con la banda in testa e i fuochi d’artificio… E quando avrà vinto completamente, pure la lapide si metterà su questa casa, e ogni anno ci sarà la cerimonia ufficiale con discorsi commemorativi e relativa corona d’alloro. Il primo discorso lo farà don Agostíno, col cilindro in testa. Quando gli abitanti del vicolo vi vedranno col cilindro in testa e con i fogli del discorso in mano… perché ve lo farete scrivere, il discorso… in una occasione simile non si può parlare a vanvera… gli abitanti del vicolo, suggestionati dal cilindro, vi faranno un applauso piú forte di quello che hanno fatto al vecchio pazzo. Anzi, mettetevelo adesso. (Prende il cilindro e lo mette in testa a Agostino, il quale rimane immobile) Prendete per mano mia moglie e portategliela. (Prende la mano sinistra di Rita e la mette nella destra di Agostino) Io, nel frattempo, tiro qualche boccata di fumo. (Si allontana e siede voltando le spalle al sottoscala).

Rita si allontana da Agostino e raggiunge Rodolfo.

AGOSTINO (intanto ha scostato un poco la tenda per dare un’occhiata al letto; allarmato) Betti’, il vecchio non si muove. Non respira proprio… ti dico che fa impressione!

RODOLFO Che è stato?

BE’RTINA Dice che il vecchio non si muove.

AGOSTINO (sempre piú preoccupato, apre completamente la tenda,

e mostra a Bettina, Rodolfo e Rita che si sono avvicinati, il corpo di ATTILIO, steso supino sul letto ed immobile) Non si muove… (Batte delicatamente la mano sulla spalliera del letto) Signore … ? Signore … ? (Agli altri) Non sente.

BETTINA Fosse morto?

AGOSTINO E ti pare difficile.

UNO DALL’INGRESSO Ma che è stato?

AGOSTINO ‘0 viecchio nun -se move. Dall’ingresso al balcone la folla si passa la voce.

FOLLA muorto ‘o viecchio… Non se move… nun respira… AGOSTINO Ma questo si deve muovere: qua passiamo un guaio serio.

FOLLA P, muorto ‘o viecchio… è muorto ‘o víecchio… BETTINA (alla folta, sommessamente) Shhh! Statevi zitti! Tutti tacciono.

AGOSTINO (battendo piú forte la mano sulla spalliera) Signore … ? Signore? (ATTILIO mormora qualche parola ingarbugliata, sbadiglia, si gira da una parte, s’accomoda meglio e comincia a russare). S’è addormentato … !

BETTINA (rivolgendosi a quelli dell’ingresso) Sta dormendo… FOLLA (passandosi la voce) S’è addormuto… S’è addormuto…

Agostino come folgorato da un’idea, fa dei cenni a Rodolfo, Rita e Bettina, invitandoli ad assecondarlo; poi guadagna il centro della stanza e fa la stessa azione con la folla all’ingresso e al balcone; ottenuto il consenso generale, sale su una sedia e mette l’orologio a muro avanti di due ore; l’orologio che sta nel panciotto di ATTILIO lo regola sul primo; sotto gli occhi attenti e interessati di tutti, entra nel sottoscala, prende la candela, la spegne; con un coltellino la taglia fino a ridurla a un mozzicone, lo conficca nel candeliere, lo ríaccende e lo rimette a posto. Finíta l’azione, prende Rita per mano e la porta accanto al letto, le slaccia la vestaglia, e le fa cenno di darsi da fare. Poi, insieme a Bettina e Rodolfo, pregando a mani giunte quelli dell’ingresso e quelli del balcone di nascondersi e di non far rumore, sale sul pianerottolo. La porta di casa viene chiusa e la folla di fuori rimane in ascolto. Quelli che sono sul pianerottolo si nascondono alla meglio. In quel momento la figura di Michele appare al balcone.

MICHELE ‘O ruoto ‘e patate!

Tutti lo zittiscono, impauriti; infatti ATTILIO si sveglia. Rita rimane immobile, terrorizzata, e con lei tutti quanti… ATTILIO si stira, sbadiglia, si guarda attorno. Vedendo Rita, le sorride, ancora sonnacchioso. Le prende una mano, e in tono intimo le parla.

ATTILIO Ti sei alzata? Ho dormito assai? (La fa sedere sul letto, le gira il viso, per guardarla negli occhi) Sei stata straordinaria. Eh! Ma io l’avevo capito subito! (Rita non capisce bene che sta succedendo, ma sorride riassicurata dal tono amichevole di ATTILIO, il quale comincia a ridacchiare) Ah, ah, ah! Ti sei impressionata della cicatrice che tengo qua, sulla nuca! Questa è un’operazione che ebbi quand’ero giovanotto… Un favo… Ti ho visto ritirare la mano con un senso di ribrezzo… Mi dispiace! Pure la buon’anima, le prime volte… Ma poi col tempo si abituò…

RITA (ha capito che ATTILIO crede realtà ciò che ha sognato, e tira un sospiro di sollievo) Già…

ATTILIO Mi fai un piacere?

RITA Certo.

ATTILIO Vorrei un bicchiere d’acqua. Tengo una sete! Una bocca amara… Sempre cosí, sai? Sempre cosí…

RITA Subito. (Da una mensola vicina prende una bottiglia e un bicchiere, riempie quest’ultimo d’acqua).

ATTILIO (guardandola incantato e un po’ orgoglioso) Che donna che sei! Piccere’, mi hai ricordato veramente la buon’anima. RITA (porgendogli il bicchiere) Ecco.

ATTILIO (dopo aver bevuto) Ah! E che sete!

RITA Vuoi un marsala, due uova sbattute? Mandiamo Don Agostino.

ATTILIO No, e perché? lo mi sento fresco come una rosa… (Si alza) Ma quanto tempo ho dormito?

RITA Una decina di minuti, un quarto d’ora…

ATTILIO (guarda l’orologio a muro) Ma che ore sono? Salute! Le tre e mezza! E io debbo scappare.

RITA E riposati un poco.

ATTILIO Ma se non mi sento stanco, perché mi debbo riposare… Ti ho detto che mi sento fresco come una rosa. (Indossa panciotto e giacca) Ha ragione il medico quando dice che devo riprendere la vita di un tempo. (Si mette il panama, si avvicina a Rita, le porge un biglietto da visita) Ecco il mio indirizzo e il telefono. Chiama quando vuoi, tanto vivo solo… Qua, tu lo capisci, non ci posso tornare.

RITA Sí, hai ragione. (E infila il biglietto nel reggiseno).

ATTILIO Dammi un bacetto. (Rita alza il viso e glíelo dà;

ATTILIO attira la testa di lei sul suo petto) E mi telefoni?

RITA Ti telefono…

ATTILIO (si allontana, raggiunge la porta d’ingresso, si gira, le butta un bacio) Statte bona, piccere’! (Rita gli manda un bacio.

ATTILIO esce richiudendo la porta. Viene accolto da acclamazioni dalla folla che è fuori) Siete rimasti qua fuori?

Gran parte della folla lo segue applaudendolo; un’altra parte rimane ad osservare i quattro personaggi. Bettina scende col ruoto di patate; aiutata dagli altri prende piatti e posate e tutti e quattro vanno a sedere al tavolo.

BETTINA (autorevole, parlando verso l’alto) Miche’! (Michele, sottomesso e servizievole, scavalca il balcone e si precipita giú per le scale, per andare a prendere ordini.)

MICHELE Comandate!

BETTINA (porgendogli un biglietto da diecimila) Arriva fino ‘a trattoria, e ti fai dare quattro bistecche con contorno e un fiasco di Chianti « Roffino ».

MICHELE Subito vi servo. (Prende il danaro e scappa).

AGOSTINO Pigliami pure due toscani.

MICHELE (dall’interno) Va bene!

BETTINA (facendo le porzioni delle patate al forno e distribuendole ai tre in attesa, si rivolge gioviale alla folla) State serviti? FOLLA (in coro) Buon appetito!

E vanno via tutti, da dove sono entrati.

RITA (dopo che tutti sono andati via, e dopo aver mandato giú qualche boccone) Contento, Don Agostino? Trecentomila si danno al padrone di casa e ce ne rimane d’avanzo. Chi l’ha mai viste duecentosettantaseimila lire tutte insieme? Mi faccio qualche vestito, due tre paia di scarpe… (A Rodolfo) E si va pure a Firenze per sei sette giorni.

AGOSTINO Veramente voi potete disporre di settantaseimila cento.

RODOLFO No, Don Agostino: duecentosettantaseimilacento.

AGOSTINO (evasivo) Mangiamo prima, i conti li facciamo dopo.

RITA Perché dopo? Facciamoli adesso.

BETTINA No, perché Agostino dice che le settantaseimílacento fanno parte del lavoro dei giorni passati. E quelle ti spettano,

RITA Ma che discorsi fate, Donna Bettina? Noi si è pagato puntualmente il fitto della camera, fin dal primo giorno che siamo entrati in casa vostra. Se arriva lo sfratto è perché Don Agostino non ha fatto il suo dovere.

BETTINA Non l’ha fatto, perché la mattina il fuoco si deve accendere.

AGOSTINO Siamo stati nella stessa barca tutti e quattro.

RITA E noi si paga il fitto di casa due volte?

AGOSTINO Ma niente affatto. I soldi stanno là… Si paga quello che si deve pagare e si tira a campare, come abbiamo fatto fino a ora. Se cominciamo coi vestitini e le scarpette.., RODOLFO Don Agostino, Rita l’ha detto cosí per dire…

RITA (ironica) Ma poi si rimette le scarpe rotte e i vestiti che fanno schifo…

AGOSTINO Ma voi avete tutto il diritto di desiderare l’indesiderabile, perché siete giovane, siete una bella ragazza e, come si dice… la vanità è compatibile. Ma non potete pretendere il totale dei soldi che stanno là dentro. Se io non mettevo avanti l’orologio e se non tagliavo la candela…

RITA Ma perché, il vecchio ha lasciato il mezzo milione perché avete tagliato la candela? Ma quello sarebbe arrivato a un milione, e, se volevo, pure a due.

AGOSTINO E che c’entra? Quello era un pazzo.

RITA Il mondo è pieno di pazzi. Se una ragazza come me mette un annuncio sul giornale:

« Cercasí vecchi pazzi milionari», se ne presentano a centinaia.

BETTINA Mangiamo prima, e poi si parla d’interessi.

RITA (alzandosi) Io non ho piú fame.

RODOLFO Rita…

RITA Stai zitto, che pure tu m’hai rotto le scatole.

RODOLFO Giuggiola…

RITA Ecco la pappamolla! « Giuggiola »… (S’infila cappotto e scarpe) Il vecchio vi ha messo a terra tutti quanti…

RODOLFO Rita, stai scherzando?

RITA Sta’ zitto, t’ho detto! Il vecchio ha pagato quello che non ha avuto, non perché lui ha tagliato la candela, ma perché gli è venuto sonno, se no…

RODOLFO Se no?

RITA Se no, niente! Se no, tu ti fumavi la sigaretta, seduto là; il mezzo milione sarebbe entrato lo stesso e si sarebbero fatti i conti di « questo è mio e questo è tuo » senza nessuna differenza da come li abbiamo fatti adesso. Continuate a farli… Donna Bettina, vi ci mettete voi al balcone, con acqua, sapone e borotalco… e vediamo se arrivano i milioni. (Va verso la porta).

RODOLFO Rita…

RITA (lo scansa e continua a camminare) Tu rimani con questi due schifosi a fare il morto finto. Ti conviene di piú.

AGOSTINO (si è messo il cilindro e s’è piazzato davanti alla porta)

Fermati, Rita!

RITA (lo scansa, apre la porta) Non mi fate paura, Don Agostino. Sono una ignorante, ma ho capito che il vero cilindro ce l’ha il vecchio pazzo. (Esce, sale e traversa il vicolo verso destra). RODOLFO Don Agostino… Donna Bettina… se ne va…

AGOSTINO E corri, fermala!

(Gli fa infilare la giacca di frac da cameriere).

BETTINA (corre al balconcino) Rita, Rita!

RODOLFO (sale le scale, va al balconcino, s’accorge di essere senza scarpe) Le scarpe!

BETTINA (ad Agostino, che è rimasto di sotto) Le scarpe!

AGOSTINO (afferra la prima scarpa che trova, la getta verso l’alto)

Ecco qua!

RODOLFO (guardando verso il punto dove è sparita Rita) Rita! Rita!

S I P A R I O