IL SINDACO DEL RIONE SANITA’

Il sindaco del rione Sanità

(Eduardo de Filippo)

tre atti

Personaggi

Antonio Barracano, il « Sindaco»

Armida, sua moglie

Geraldina, sua figlia

Gennarino ,Amedeo,suoi figli

Dottor Fabio Della Ragione

Arturo Santaniello, ricco panettiere

Rafiluccio Santaniello, suo figlio

Rita, fidanzata di Rafiluccio

Immacolata, governante in casa Barracano

Vicienzo ‘O Cuozzo, falegname

‘O Palummiello

‘O Nait

Catiello, guardiano di Terzigno

Pascale ‘O Nasone, strozzino

La moglie di Pascale

Peppe Ciucciù ,Zibbacchiello,guappi fedeli a don Antonio

Luigi, portiere

Vicenzella, sua f iglia

ATTO PRIMO

Uno stanzone gradevole, luminoso, il soggiorno di un grande appartamento a pian terreno, situato ai piedi del Vesuvio, verso Terzigno o Somma Vesuviana. L’ar­redamento è costituito da oggetti vistosi e mobili mas­sicci. Da un’ampia vetrata si scorge il rigoglioso agrume­to e i filari d’uva che si stagliano sul turchese argenteo del mare di Napoli. Alba imminente di una serena not­te dei primi di settembre. Immacolata Campese, in ca­micia da notte e infilandosi una vestaglia, entra per rag­giungere la parete centrale della stanza e nel frattempo stride il trillio soffocato di un campaneikxicala. Il suo­no si ripete e diventa più irritante non appena la donna stacca un quadro dalla parete anzidetta. Nella piccola nicchia che il quadro nascondeva, oltre al campanello-ci-cala c’è pure un portavoce antico: di quelli di latta a forma di imbuto. Immacolata preme prima un bottone, poi avvicina l’orecchio al portavoce.

immacolata (da una parola che le è stata trasmessa ha compreso e risponde) Va bene. (Raggiunge un altro punto della stanza, stacca un altro piccolo quadro, pre­me un altro bottone: una seconda cicala stride, imme­diatamente la donna trasmette, avvicinando la bocca a un secondo portavoce simile al primo) Aprite il cancel­lo. (Ora accende una candela, la infila in una bugia, poi con passo affrettato entra in una stanza attigua. Dopo poco torna, apre un’altra porta e scompare. Il giucco si ripete ancora con un’altra stanza).

Finalmente da quella in cui è entrata Immacolata la prima volta, vediamo giungere Geraldina. Costei è la mi­nore dei figli di Don Antonio Barracano. Come carat­tere assomiglia al padre: istintiva, generosa, fiera, stoi­ca, decisa: per un atto di giustizia non si piegherebbe nemmeno di fronte al plotone d’esecuzione. È bella:

bruna, slanciata, piedi e mani di buona razza. Negli oc­chi grandissimi e neri ha uno sguardo sconcertante per la sua impenetrabilità. La ragazza è stata svegliata al­l’improvviso; infatti è assonnata, ma presente a se stes­sa. Anche lei, come Immacolata, indossa una vestaglia. Ammucchiando i capelli e fermandoli con una forcinella raggiunge un mobile lo apre e prende un ampio qua­drato di mussola bianca e un camice da intervento chi­rurgico; il primo lo stende sul tavolo centrale, come per imbandire una mensa, il secondo lo adagia sulla spal­liera di una sedia. Da un’altra stanza entra Gennarino, suo fratello, ventitré anni, capelli in disordine e pigia­ma. Un po’ più pigramente di sua sorella, apre un secon­do mobile e prende un grande scatolone di latta rettan­golare che contiene ferri chirurgici, una pila sterilizzatri-ce cromata, due grandi bottiglie, una piena di iodio, l’altra di sublimato, e un fornello ad alcool. Intanto tor­na Immacolata recando due bacinelle di ferro smaltato bianco, una certa quantità di bende arrotolate, un gran­de pacco di cotone idrofilo e una pila di candidi asciuga­mani di lino. Da questo momento i tre, muti e compre­si della gravita del momento, con movimenti ritmati e precisi in ogni particolare, improvvisano una vera e pro­pria camera operatoria. Non mancano quattro resisten­ti sedie da cucina che fanno da base a due tavole da letto, sulle quali le due donne hanno steso un candido lenzuolo, mentre Gennarino vi ha sistemato accanto un lume a stelo di fortuna.Dall’ingresso sopraggiunge Fa­bio Della Ragione, il dottore. È un uomo sui sessanta-cinque anni di aspetto piacevole: volto espressivo, oc­chi furbissimi, carattere freddo, fatalista. È in giacca di pigiama e pantalone, si avvicina al tavolo dando una rapida occhiata a tutto quello che c’è sopra per vedere

se manca qualcosa; aiutato da Immacolata indossa il camice bianco. Geraldina versa una certa quantità di alcool nella bacinella. Gennarino raccoglie tutti i ferri chirurgici che sono nella scatola di latta e li lascia cade­re nella bacinella. Immacolata accende un fiammifero e brucia l’alcool che divampa improvviso e illumina di riverbero i quattro personaggi facendo danzare sinistra­mente le loro lunghe ombre sulle pareti. Dall’interno, a distanza, giunge il vocio sommesso di tré uomini assie­me a uno scalpiccio pesante e trascicato. I tré uomini sono: ‘o Palummiellò, ‘o Nait e Catiello, custode e por­tinaio fedele della tenuta Barracano.

palummiellò Mamma d’ ‘o Carmene… Mamma d’ ‘o Carmene! (Si tappa egli stesso la bocca per soffocare il grido di dolore a cui si abbandona. Ha una ferita d’ar­ma da fuoco alla gamba destra).

catiello E zitto… e zitto! Siamo arrivati.

palummiellò Mannaggia ‘a Culonna… nun pozzo cammenà.

‘o nait Fatte curaggio.

catiello Ma sei uomo o figliola zetella?

palummiello Fatemi riposare un poco.

Il calpestio cessa.

catiello Ma che, si’ pazzo? ‘o nait ‘A ferita fa infezione

catiello ‘O dottore sta aspettando,

palummiellò Mamma d’ ‘o Carmene… Mamma d’ ‘o Carmene!

Il calpestio riprende e si avvicina sempre più.

catiello Nun ce penzà: si ce pienze è peggio. ‘o nait Canta, canta…

palummiellò E chi se fida ‘e canta. Mamma d’ ‘o Car­mene!

Finalmente vediamo entrare i tré. Il ferito viene adagia­to sul tavolo operatorio, con sistemi e accorgimenti da ricordare gli infermieri più esperti di un pronto soccor­so. Ognuno ha il suo compito e sa quello che deve fare. Immacolata chiude le imposte della veranda. Gennari-no preme l’interruttore del lume a stelo per illuminare il campo operatorio, e infatti una violenta luce investe il corpo di ‘o Palummiello. Geraldina porge al dottore i guanti di gomma. Immacolata, con passo svelto, se ne va in cucina.

fabio (rivolto a ‘o Nait) Tu chi sei?

‘o nait Sono il feritore, ‘o Nait.

fabio (rivolto a Geraldina} La siringa.

Geraldina prepara la siringa e poi la riempie con il medi­cinale che Fabio stesso le ha indicato.

palummiello (grida come colto all’improvviso da una fit­ta lancinante) Mamma d’ ‘o Carmene!

fabio Non gridare perché sta dormendo don Antonio. (Si rivolge di nuovo a ‘o Nait) Gli hai sparato tu?

‘o nait Sissignore, Dotto’.

fabio (mentre prende dalle mani di Geraldina la siringa pronta) E che fai qua?

‘o nait Perché il fatto è successo verso l’una e tré quarti alla fine di via Marina, in prossimità dell’incrocio che a destra porta a San Giovanni a Teduccio e a sinistra all’autostrada di Pompei.

palummiello (e. s.) Aiutatemi!

fabio (flemmatico) Ti ho detto di non gridare. (Rivolto a Gennarino) Abbassagli il pantalone. (Dopo che Gen-narino ha eseguito l’ordine, Fabio con mano sicura prati­ca la puntura a Palummiello) Adesso vedrai che il dolo­re si calma. Geraldi’, le forbici. (Geraldina ha compre­so: si munisce di un paio di forbici adatte allo scopo e incomincia a tagliare dal basso in alto la gamba destra del pantalone di Palummiello. Velia bacinella la fiam­ma dell’alcool si accorcia. Fabio ne approfitta per intro-

durvi una pinza, con la quale sceglie e raccoglie a uno a uno i ferri adatti per l’intervento. Frattanto si rivolge di nuovo a ‘o Nait) E allora?

‘o nait E allora… Quando ci siamo sparati… perché pu­re lui ha sparato. (Trae di tasca una pistola) Questa è la sua. (La mostra intorno come per consegnarla a qualcu­no). ^

fabio (consapevole di certe insidie ammonisce pron­to) Non la toccate. L’hai raccolta accanto a lui?

‘o nait Sissignore.

fabio E tè la tieni in tasca tu: a chi la vuoi dare? (‘O Nait intasca di nuovo l’arma) Dunque?

palummiello (con le mascelle serrate, come per sopraffa­re il dolore acuto che lo tormenta) Perdevo sangue e cercavo aiuto: ma non passava anima viva. Lui, quan­do ha capito che io ero caduto, se n’è scappato.

‘o nait E che dovevo aspettare, che m’arrestassero? Ho voltato un vicolo che porta alla Ferrovia e m’allontana­vo a passo normale. Più m’allontanavo e più sentivo che lui gridava: «Aiuto… Aiuto…» Nel cuore della not­te fa impressione. E poi, che Madonna! Siamo amici. Ho fatto una corsa, professore mio, che tengo ancora il cuore che mi batte. Finalmente ho trovato un taxi e di tutta velocità sono tornato da lui. L’ho preso in brac­cio, l’ho caricato a bordo e l’ho portato qua.

palummiello Io non l’ho riconosciuto: l’ho scambiato per un passante volenteroso. Se no ti sparavo.

‘o nait Ma io ti potevo lasciare a terra senza sapere la gravita della ferita?

palummiello Grazie. (Con uno sforzo tende la mano a ‘o Nait).

‘o nait (gliela stringe affettuosamente) Per carità, è dove­re. Adesso devi pensare solo a guarire.

palummiello Quando guarisco ti sparo.

‘o nait E perché, io so’ fesso?

fabio Finitela! E sono sicuro che la sparatoria è avvenu­ta per motivi insignificanti.

‘o nait No, no: la ragione è importante. Dovete sapere che lui…

fabio (sgarbato) Non m’affliggere, non voglio sapere niente. (Biasimando la condotta dei due che è poi quel­la dell’intera categoria di uomini a cui essi appartengo­no) Bei sistema: «Ci spariamo», «Ti sparo»… Già, non è colpa vostra. Ignoranti siete e ignoranti resterete.

Immacolata entra recando un vassoio con la cuccuma del caffè e tutto l’occorrente. La donna serve prima il dottore, poi gli altri.

palummiello (implorante) Un sorso d’acqua…

fabio Non puoi bere.

palummiello (grida per il dolore) Mamma d’ ‘o Car-mene!

fabio Ti ho pregato, stai zitto. Adesso ti lamenti? Ci pensavi prima della sparatoria.

palummiello (alludendo a ‘o Nait) Questo è un feten­te ricchione…

‘o nait ‘O ricchione si’ tu.

fabio (sorseggiando il caffè) Va bene, siete ricchioni tut­ti e due.

‘o nait Sapete la questione com’è nata?

fabio Non m’interessa. La bacinella! (Infanto Geraldi-na ha -denudato la gamba di Palummiello, ripiegando la stoffa dal pantalone fino alla sommità della coscia, met­tendo in mostra la ferita d’arma da fuoco. L’intervento ha inizio. Geraldina, Immacolata e Gennaro funziona­no da assistenti. Tutti e tré immergono le mani in un recipiente pieno d’alcool, poi le sollevano per lasciarle asciugare. Fabio mette via la taluna vuota, calta i guan­ti ài gomma e immerge le mani nel recipiente dell’al­cool. Chi prepara l’ovatta e i tamponi di garza; chi spen­nella di tintura di iodio la zona da operare; chi, più pra­tico, porge a Fabio i ferri che il caso richiede, tutto que­sto senza battere ciglio, e con gesti appropriati. Il muto intervento avrà la durata di cinque minuti scarsi. Palum­miello si contorce ma le forti broccia di Gennarino lo costringono all’immobilità. Il giovane si lamenta; pron­ta, Immacolata gli tappa la bocca con una mano. Fabio



 

opera con calma e perizia professionale. Ora è sul pun­to di introdurre nella ferita un ferro adatto per estrarre il proiettile. Prima di farlo chiede) II fazzoletto.

Immacolata ne prende uno candido di bucato, lo spie­gazza e, svelta, lo introduce tutto intero, appallottolan­dolo via via, nella bocca di Palummiello. Fabio opera, nessuno fiata. Dalla strada provinciale giunge il suono chioccio di sonagliere sospese al collo di denutriti caval­li che stentano a tirare i carretti colmi di ortaggi destina­ti ai mercati generali, e roche voci di conducenti asson­nati che ripetono i monotoni canti popolari tramandati di padre in figlio. Fabio ha messo via il proiettile estrat­to dalla ferita. Dopo la medicazione, Immacolata e Ge­raldina provvedono alla fasciatura. Subito dopo Imma­colata va ad aprire le imposte della veranda. È più chia­ro fuori; dalla veranda, oltre la distesa d’alberi, la luce bianca dell’alba scolora e respinge il blu cobalto della notte. Palummiello è svenuto, ma il polso è gagliardo. Gennarino molla la stretta con cui ha immobilizzato il paziente e ne approfitta per sorseggiare il suo caffè.

‘o nait (ansioso) Come sta?

fabio (invece di risponderai gli mostra il proiettile affer­mando) Calibro sei.

‘o nait (evasivo) Embé… (Alludendo al miracolo di cui si è giovato l’amico, sentenzia misticamente) Lo deve portare a Pompei.

fabio Ma non al Santuario. Non credo che la Madonna vuole arricchire di un altro esemplare la collezione di pallottole che tiene. (Ironico) La deve mettere fra gli scavi, a dimostrazione dei passi giganteschi che sta fa­cendo la civiltà. (Alludendo a Palummiello) Portiamo­lo fuori… piglia un poco d’aria. Immacola’, mettete una poltrona fuori. (Immacolata esegue). Gli mettete una coperta addosso. Appena rinviene se ne va.

palummiello (con un filo di voce) Ma… io voglio parla­re col sindaco.

‘o nait Io pure,

immacolata (fermamente, come per far capire ai due che il sonno di don Antonio è sacro} Don Antonio sta an­cora dormendo!

gennarino E più tardi si sveglia meglio è.

fabio (a Immacolata) Si è addormentato subito, ieri sera?

immacolata Lui non parla, ma da come si muove io capisco quello che pensa. Il fuoco è cominciato alle un­dici e mezza.

gennarino Ci stavano tré fuochisti in gara: ‘o Turrese, Pachialone e ‘o Nano d’ ‘a Siberia.

geraldina (.ammirata) ‘O Turrese è stato entusiasmante.

gennarino Pure Pachialone.

geraldina E lo vuoi mettere con il primo? Le granate del primo fuochista erano veramente guappe. Prima di tutto salivano a un’altezza che ti faceva male il collo qua dietro per seguirle, e poi si aprivano a ventaglio e a rosa, con una precisione che sembravano disegnate;

e quando ti credevi che era finito, se ne apriva un’altra, e poi un’altra ancora… Verso la fine ne ha sparate tré o quattro a sei aperture e tré botte finali che hanno fatto tremare i vetri: sembrava che se ne cadeva la casa.

immacolata E don Antonio si consolava. Quando si apriva una granata tutti gli amici guardavano a lui per vedere che faccia faceva, e lui muoveva la testa così (tentenna il capo imitando il gesto di approvazione di don Antonio) come per dire: «È buono, è buono».

catiello Quando è entrato in gara Pachialone, don An­tonio già ha incominciato a fare la faccia schifata. Dopo due o tré granate del terzo poi, ‘o Nano d’ ‘a Siberia, ha detto: «Buonanotte», come se avesse voluto dire:

«Questo è un fetente», ha salutato gli amici e se ne è andato a letto. . –

immacolata Naturalmente, per rispetto se ne sono an­dati tutti quanti. Poteva essere la mezza. Dopo dieci minuti, un quarto d’ora, sono andata e ho aperto la porta piano piano, come faccio sempre, e ho visto che già dormiva a scialacore.

fabio Sicché non è a conoscenza del fatto di donna Ar-mida?

immacolata E no. Don Antonio se n’era andato a letto da più di un’ora.

fabio E come sta? Avete saputo niente?

immacolata L’hanno medicata al pronto soccorso, a Na­poli: dice che ha avuto dodici punti.

fabio Cose da pazzi. E io, proprio stanotte, sono torna­to da Napoli dopo che era successo il fatto… Se no la medicavo io.

gennarino L’abbiamo accompagnata io e Amedeo.

fabio E l’hanno ricoverata?

gennarino No. Dopo la medicazione, siccome mammà soffriva e non ce la faceva a tornare un’altra volta in macchina fino a qua, Amedeo ha pensato bene di portar­sela a casa sua. Ha detto: «Domani, appena si sente meglio, la metto in automobile e l’accompagno». Pure perché mammà si lamentava e se tornava qua, subito dopo il pronto soccorso, si svegliava papa e buonasera.

immacolata Verso le tré Amedeo ha telefonato dicen­do che ‘a signora Armida si sentiva meglio e che s’era assopita.

fabio Ma io gliel’ho detto tante volte a don Antonio… Lui tiene la passione per quelle bestie, le alleva, ci per­de la salute e non vuole capire il pericolo che rappresen­tano per una famiglia: quelli sono animali feroci. Ci sta Malavita che non è un cane, è una belva.

immacolata Quando apre la bocca sembra l’inferno:

quant’è brutto!

gennarino Ma io lo mando all’altro mondo con un col­po di rivoltella in mezzo alla fronte. Questa volta o Munaciello o Malavita devono fare i conti con me.

geraldina Se ti sente papa stai fresco.

gennarino Quando appura che ha ridotto mammà in quelle condizioni, piglia lui stesso la rivoltella e lo am­mazza.

fabio Di questo ne sono sicuro.

immacolata Don Antonio tiene un’adorazione per don­na Armida: figuriamoci se il cane la passa liscia.

Durante questo dialogo i tré uomini hanno sollevato Palummiello a braccia e lo hanno sistemato nella poltro­na che Immacolata ha messo fuori, oltre la veranda. Poi, insieme alle donne, hanno smontato l’improvvisa­to tavolo operatorio, e rimesso in ordine la stanza.

gennarino Mo me faccio una doccia, mi vesto, poi mi met­to in macchina e me ne vado a Napoli, al negozio. Im­macolata, preparami due uova sbattute col caffè e latte.

immacolata Va bene.

gennarino Permettete, dotto’.

fabio Prego.

Gennarino esce.

geraldina Io voglio un caffè e latte. (E se ne va in camera sua}.

immacolata E voi, dottore, volete niente?

fabio Ho preso adesso il caffè.

immacolata Più tardi, allora?

fabio Quando si sveglia don Antonio, insieme alla cola­zione che portate per lui, portate un bicchiere di latte freddo per me. Così gli faccio compagnia.

immacolata E porto pure qualche biscotto.

fabio Fate voi.

catiello Io me ne vado. Mi voglio mangiare qualche cosa perché mi è venuto un poco di languidezza di sto­maco… Tengo nu piattiello di pasta e fagioli di ieri al giorno… State servito?

fabio Buon appetito.

catiello (indicando il quadro sulla parete di destra) Se mi volete, mi chiamate.

fabio Stamattina viene gente?

catiello Poca. Sarebbero stati una decina, ma don An­tonio ieri mattina mi ha fatto cancellare dalla lista sette persone. Ha detto che lui quando viene a Terzigno vie­ne per riposare.

fabio Ha ragione. Quando penso che fra una ventina di giorni ce ne torneremo a Napoli mi viene il freddo.

catiello Ma è naturale. Lui, nel quartiere Sanità, rap­presenta una potenza.

fabio Certi giorni si fa la folla sul portone.

catiello Stamattina devono essere ricevute tré perso­ne: Pascale ‘o Nasone.

fabio Chi è?

catiello Na carta ‘e munnezze. Ma si tratta di una cosa sbrigativa. Non appena ha saputo che don Antonio si occupava del fatto si è precipitato. Non ci saranno com­plicazioni. Con lui viene pure la parte avversaria: Vin­cenzo ‘o Cuozzo. Si stringono la mano in presenza di don Antonio e tutto è fatto. Il terzo è Rafiluccio Santa-niello, il figlio del panettiere che sta in una traversa di via Giacinto Albino, don Arturo, quello che si è sposa­to due volte. È venuto ieri e l’altro ieri, e stamattina finalmente don Antonio lo riceve. Come vedete, giorna­ta liscia.

fabio Meno male.

catiello (indicando ‘o Naif e ‘o ‘Palummiello) Ci stan­no quei due.

fabio Mo che tè ne vai chiudi. Se vogliono aspettare, aspettano fuori.

catiello Permettete.

fabio Sfatte buono.

catiello (nell’uscire si rivolge a ‘o Nait) Se mi date una mano, mettiamo l’amico… (allude a Palummiello) un poco più in qua. (Indica un punto più lontano, ver­so il pergolato a destra) II primo sole là arriva. (E tutti e due trasportano la poltrona su cui è seduto ‘o Palum­miello nel punto indicato. Il punto è nascosto, per cui i tré scompaiono. Dopo poco Gattello torna e si affaccia alla veranda per dire a Fabio) Io vado.

fabio Chiudi.

Infatti Catiello chiude la veranda.

immacolata (entrando) Don Antonio si è svegliato.

fabio Cosi presto? Sono le cinque e tré quarti.

immacolata Ha suonato tré volte, una appresso all’al-

tra: significa che stava già sveglio da più di un quarto d’ora. (E fila diritto verso la camera di don Antonio, ma si ferma perché lo vede arrivare) Uh, sta venendo qua fuori. fabio Stanotte ha fatto caldo.

Don Antonio compare sulla soglia. I settantacinque an­ni dell’uomo sono invidiabili: è alto di statura, sano, asciutto, nerboruto. La schiena inarcata gli conferisce un’andatura regale; il colorito bronzeo della sua pelle darebbe più risalto al bianco vivo degli occhi, se un senso di difesa istintiva non lo costringesse a sorveglia­re, più che a guardare, intorno a sé appesantendogli le palpebre, come se avesse perennemente sonno; ma nei rari momenti in cui quegli occhi si aprono e si increspa­no ai lati per sorridere con voluta bonomia si scorge in essi uno sguardo agghiacciante che ricorda molto da vici­no quello apparentemente mansueto della belva intristi­ta perché costretta a vivere in cattività. Indossa con dignitosa disinvoltura una vestaglia di taglio perfetto e di colore sobrio, verde scurissimo. Dagli ampi risvolti di questa appare il candido collo della camicia da not­te, bordato di galloncino vermiglio; i legacci dei mutan-doni all’antica pendono dalle caviglie e sfiorano i piedi nudi infilati in comode pantofole. Il dottore scatta in piedi alla vista di don Antonio e lo saluta rispettosamen­te con un mezzo inchino. Immacolata indietreggia di qualche passo accennando un timido sorriso all’indiriz­zo del suo padrone per dargli l’augurio di buona giorna­ta, ma rimane sul chi vive, in attesa di una parola, un segno qualunque di don Antonio, che le possa chiarire di quale natura sia l’umore della «bestia», ai fini di prendere, con la certezza di non incorrere in errori irre­parabili, un atteggiamento adeguato. Don Antonio, enigmatico, ricambia il saluto ad entrambi con un dop­pio cenno del capo, poi si avvicina lentamente al tavolo e vi siede accanto. Lunga pausa durante la quale si svol­ge una scena muta, piena di interrogativi, fra Immacola­ta e il dottore. Finalmente Antonio fissa Fabio per un attimo indicandogli col mento la sedia che si trova all’al­tro capo del tavolo, come per dire: «Sedetevi». Fabio capisce e siede.

 



 

antonio (si massaggia un piede e domanda al dottore, sen­za guardarlo) Vi siete svegliato presto, stamattina? (Fabio e Immacolata si guardano, non avendo ben capi­to chi dei due sia stato interrogato. Don Antonio, sem­pre massaggiandosi il piede, ha girato impercettibilmen­te gli occhi sotto le palpebre pesanti e ha capito l’incer­tezza dei due. Per un attimo sorride appena, poi chiari­sce) Immacolata si sveglia sempre presto la mattina. Dovete rispondere voi, professo’.

fabio Già, avete ragione: devo rispondere io.

antonio Allora?

fabio C’è stato un intervento.

antonio (indifferente) Ah…

fabio Arma da fuoco. Si sono sparati ‘o Nait e ‘o Palum-miello. (Come per iniziare il racconto) Verso le quattro e mezza…

immacolata Erano le quattro meno un quarto…

fabio Si, si. Dunque…

antonio (solleva appena la mano sinistra per interromper­lo} Sss… Professo’, ne parliamo dopo. (Il dottore si tappa la bocca con la destra, mentre con la sinistra fa un gesto come per dire: «non parlo più»), Mmacula’!

immacolata (pronta) Dicite, don Anto’.

antonio Purtateme ‘o scostumato.

immacolata (che non ha compreso) ‘O scostumato…?

antonio ‘O parlanf accia.

immacolata^. s. chiede spiegazione al dottore) Dotto’…?

Fabio non può aiutarla perché neanche lui ha capito,

antonio L’unica cosa di questo mondo che quando parla

dice la verità: ‘o specchio.

immacolata Ah! E io non avevo capito. (Esce svelta). antonio (dopo un momento di meditazione) No, mi sba-

glio: c’è un’altra cosa che non dice mai bugie: ‘a mor­te. L’uomo che appartiene alla streppegna schifosa e fal­sa dell’umanità, per commettere ingiustizie si può finge­re sordo, muto, cecato, malato ‘e core, paralitico, tisi­co, pazzo… se po’ fa credere in punto di morte… e i medici, compreso voi professo’, devono fare prove e controprove per assodare se l’infortunio o la malattia sono veraci o no; ma quanno è morto, ‘o core dice ‘a verità: se ferma. E allora è l’unico momento che il medi­co curante è sicuro di quello che dice, senza paura di sbagliare: il decesso è avvenuto per paralisi cardiaca. Ve truvate, professo’?

fabio Eh… come no.

immacolata (torna recando uno specchio portatile) Qua sta il parlanfaccia. (E lo porge ad Antonio).

antonio (specchiandosi e rivolgendosi direttamente allo specchio) Neh, scustumatone! E se dice chesto? E che tengo sittantacinc’anne c’aggia da’ cunto a qualche-duno? Questo? (Indica a se stesso il solco profondo che si trova tra le sopracciglia) E questo non ha niente a che vedere con l’età. Questo si chiama Giacchino, ‘o guardiano d’ ‘a tenuta Marvizzo, a Scafati… T’ ‘o ricuor-de? (Poi si rivolge a Fabio, pronunciando ancora una volta quel nome, con la mascella inferiore protesa e le palpebre completamente abbassate) Giacchino…

fabio (ironico) Sta bene dove sta.

antonio A diciott’anni già tenevo questa ruga in mezzo alla fronte. Queste altre qua (ne indica altre) pure si ricordano qualche cosa. Professo’, i settantacinque an­ni si vedono da questo, guardate: se faccio cosf col dito sulla faccia e spingo, quando lo tolgo rimane un incavo, come se lo avessi affondato in una pagnotta di pane crudo, e ci vuole un po’ di tempo per rimettersi la car­ne a posto. , –

fabio (convinto) Don Anto’, voi avete una fibra d’ac­ciaio e una salute di ferro.

antonio Possiamo aprire un’officina. (Porgendo lo spec­chio a Immacolata) Tie’, tie’. Le verità non sempre fan­no bene. (Immacolata ripone lo specchio). Mmacula’!

IMMACOLATA Dicite.

antonio Me voglio vestì.

immacolata Pronto. E a doccia non ve la fate?

antonio Già fatta.

immacolata (delusa) E nun m’avete chiamata?

antonio Non l’ho creduto necessario, e poi volevo stare solo. Voglio fare colazione e poi mi vesto.

immacolata Subito vi servo. (Esce).

antonio (sbadigliando) Prufesso’, con tutta la pillola che mi avete dato, ho dormito precisamente tré ore… A me basterebbero cinque ore di sonno: tré ore so’ poche.

fabio Di quelle pillole ne potete prendere anche due:

una prima di cena e una dopo.

antonio Ho sentito pure quando è arrivata la macchina al cancello, la voce di Catiello, il traffico qua fuori. Ho capito che si trattava di un intervento, ma ho pensato:

se hanno bisogno di me mi chiamano.

fabio Non ce n’era bisogno. Abbiamo fatto tutto da noi.

antonio Ci stava pure Geraldina?

fabio Geraldina, Gennaro e Immacolata.

antonio E Amedeo?

fabio Amedeo no.

antonio E perché?

fabio È andato a Napoli.

antonio Ieri sera, dopo i fuochi, siccome si fece tardi, disse che dormiva qua…

fabio Poi c’è stato l’incidente.

antonio L’incidente?

fabio Fate prima colazione e poi parliamo.

antonio Tanto che è grave?

fabio Grave no, altrimenti vi avrebbero svegliato, ma fastidioso si. Io non c’ero e m’è dispiaciuto assai.

antonio (lievemente preoccupato, come un presentimen­to, domanda) Armida addò sta?

Immacolata entra recando un vassoio ovale, fine seco­lo, decorato a fiori variopinti, con sopra una brocca di

latte, due bicchieri, un coltello da cucina con lama affila-tissima e una pagnotta di pane casareccio, fresco.

immacolata Ecco servito. (Colloca il vassoio al centro del tavolo) Adesso vi porto prosciutto e fichi.

antonio Aspetta. (Rivolto al dottore) Allora?

fabio Immacola’, voi eravate in casa: parlate voi.

immacolata ‘E che cosa?

antonio (gelido) Insomma, è successo qualche cosa a mia moglie?

fabio La signora Armida è stata morsicata da un ma­stino.

antonio Quando? [Impugna il coltello e affetta la pa­gnotta).

immacolata (versando il latte nei bicchieri) Verso l’u-na dopo mezzanotte. Ce ne eravamo andati a letto tutti quanti. (Porge i bicchieri colmi ai due uomini) L’ulti­ma è sempre donn’Armida, perché le piace di mettere a posto la casa senza scocciature… di preparare qualche cosa per il giorno appresso. Ho sentito strillare, e quan­do sono arrivata l’ho trovata più morta che viva, col vestito stracciato e sporco di sangue. (Antonio ascolta come se il fatto non lo riguardasse direttamente: intin­ge il pane nel latte e mangia. Fabio mangia e beve an­che lui). Gennarino e Amedeo l’hanno accompagnata a Napoli con la macchina, al pronto soccorso. Io vi vole­vo chiamare, ma donn’Armida ha detto: «No, no: quel­lo dorme, se lo svegliate perde pure quelle tré o quat­tro ore di sonno che si fa».

antonio (gelido, ma intimamente colpito) È buono, stu latte… Pane e latte, la mattina, è la più migliore co­lazione.

immacolata E questo è genuino.

fabio Ne dovreste bare- un bicchiere pure la sera.

antonio No, la sera no. (Alludendo alla moglie) E mo addò sta?

immacolata A Napoli, a casa di Amedeo. Dopo la medi-cazione l’ha portata là.

antonio Ha telefonato?

immacolata Come no. Ha telefonato verso le due e mez­za dicendo che donn’Armida s’era assopita e che appe­na si sentiva meglio la metteva in macchina e la riporta­va qua.

antonio Chi è stato, Munaciello o Malavita? immacolata No, questo la signora non me l’ha detto. antonio (dopo breve meditazione) Munaciello no. Muna­ciello è giudizioso e tiene una certa affezione per Armi­da. Malavita è una selvaggia: non conosce a nisciuno. fabio Sono cani pericolosi.

Immacolata esce e poi torna a suo tempo.

antonio (come per autorizzare Fabio a riprendere il rac­conto di Palummiello) Poi c’è stato l’intervento?

FABIO Già. ANTONIO E ‘O fatto?

fabio Stanno qua fuori. (Indica la veranda) So’ due fe­tenti, ‘o Nait e ‘o Palummiello. Si sono sparati per moti­vi equivoci. Secondo me il caso non vi potrà interes­sare.

antonio E perché stanno qua fuori?

fabio Vogliono parlare con voi, evidentemente per appia­nare la questione.

Immacolata torna recando un attaccapanni portatile, di quelli con le rotelle, con sopra il vestito di don Anto­nio, ben stirato; e tutto l’occorrente per completare il-suo abbigliamento: cravatta, fazzoletto, camicia e scar­pe; reca pure una scatola rettangolare coi gioielli: cate­na d’oro, orologio, polsini e anelli.

antonio (aiutato da Immacolata si libera della veste da

camera e poi della camicia da notte) E voi, professo’,

avete deciso? fabio Don Anto’, voi conoscete la mia natura. Sono un

uomo sincero dalla punta dei piedi a quella dei capelli. antonio Vi ho domandato se avete deciso. fabio Don Anto’, non ci burliamo: la mia partenza v’ad-

dolora. Dopo trentacinque anni e più di collaborazione, diciamo, e mi permetto dire, di amicizia, si capisce che la mia decisione vi mette in imbarazzo, in quanto rende più difficile il compito che vi siete prefisso di portare a termine e che finora abbiamo svolto insieme. Sarò pre­suntuoso, ma dovete ammettere che vi viene a mancare il braccio destro della funzione pratica di un’idea che ha impegnato nella sua attuazione quasi tré quarti della vostra vita. Siamo d’accordo?

antonio (sempre aiutato da Immacolata, si è infilato i pan­taloni, ha calzato i pedalini e le scarpe. Ora si accorge che Immacolata prende dalla scatola i gemelli d’oro per infilarli ai polsi della camicia) Mmacula’, vi ho detto che questo non è servizio che dovete fare voi: tenite ‘e mmane sudate e sporche ‘e cucina.

immacolata (mostrando le mani aperte ) Cheste so’ spor­che?

antonio (taglia corto} Chiamate Geraldina.

immacolata (si rassegna} E mo vi chiamo Geraldina. (Esce svelta).

antonio (ripigliando il discorso interrotto) Siamo d’ac­cordo. E allora?

fabio (riassumendo in una sola frase la sua intima convin­zione) Sono stanco di girare a vuoto.

antonio Quando partite?

fabio Dopodomani.

antonio Con l’aeroplano?

fabio Ho fatto pure il biglietto.

antonio (ambiguo) Dopodomani è venerdf. Vi conviene partire di venerdì? Di Venere e di Marte… mah! Se avete deciso… Ad ogni modo, qualunque aeroplano prendete, nella giornata di sabato siete arrivato a Nuo­va York.

fabio (sospettoso) E che significa?

antonio (e. s.) Che è mio dovere farvi trovare all’aero­porto degli amici che vi riceveranno come si conviene.

fabio (si rende conto dell’insidia e impallidisce. Dopo una breve pausa balbetta) Don Anto’, questa è una minaccia.

antonio Un avvertimento, volete dire. (Sincero e convin­to della legittimi/,’, del particolare senso di giustizia con cui ha sempre affrontato e risolto i casi umani della vita) Prufesso’, io la notte devo mettere la testa sul cuscino e devo dormire. Per fare questo devo tenere la coscienza a posto. Quando piglio un provvedimento de­finitivo nei confronti di una persona, in questo caso nei confronti vostri, prima di tutto devo essere convinto che non potevo agire altrimenti; secondariamente deb­bo avvertire l’interessato. E mi spiego…

Geraldina entra seguita da Immacolata.

geraldina Papa, buongiorno! (Corre dal padre e lo ab­braccia con infinito amore),

antonio (intenerito) Geraldi’, bella ‘e papa, tengo ‘a cam-misa stirata…

geraldina Allora, tanti baci. (Lo bacia ripetutamente) Avete dormito bene?

antonio Non c’è male.

geraldina (mostrando le mani) Guardate come sono pu­lite. ‘E gemelli v’ ‘e mett’io. (Comincia ad infilare i gemelli nella camicia).

antonio E Gennaro?

immacolata Vi sta scegliendo la cravatta. Ha voluto sa-pé ‘o culore d’ ‘o vestito, e ha ditto che ‘a cravatta che avevo preparato io (la mostra) non è adatta.

antonio (compiaciuto) Gennarino tiene gusto. Mo ne porta quattro o cinque per farmi scegliere… po’, tanto fa e tanto dice fino a che me fa mettere chella che piace a isso.

Entra Gennarino, reca infatti sei cravatte differenti, ma tutte adatte al vestito che indosserà Antonio quel giorno.

gennarino Buongiorno papa. antonio Buongiorno. Damme nu bacio.

Si baciano.


gennarino (mostrando le sei cravatte al padre) Vedete quale vi piace. 

immacolata (mostrando quella scelta da lei) Pecche, questa non è buona?

gennarino La cravatta è una cosa personale, e uno se la deve scegliere a gusto proprio. Papa non ha mai avuto bisogno di consigli. (Rivolto al padre) Scegliete.

antonio A tè quale ti piace?

gennarino Se vi devo dire la verità; mi piacerebbe que­sta. (Indica la più vistosa delle sei).

antonio Gennari’, io tengo sittantacinc’anne… T’ ‘o vuó mettere ncapa, sf o no? Faccio fa’ e nummere cu’ sta cravatta!

gennarino Vuie ve site fissato cu’ sti sittantacinc’anne:

dove si vedono?

antonio Nun se vedono, ma m’ ‘e sento.

geraldina Papa mio è giovane. (Abbraccia con slancio il padre e lo bacia come prima).

gennarino Per conto mio questa è la cravatta che vi do­vete mettere con quel vestito, e nessuno vi può dire niente.

antonio E va be’, me metto chesta, abbasta che tè staie zitto. (Prende la cravatta indicata dal figlio e la fa scor­rere sotto il collo della camicia e comincia ad annodar­la) A che ora tè ne vai?

gennarino Se vi sbrigate ce ne andiamo assieme.

antonio No, io non esco. Tengo che fa’ in casa.

gennarino E io tengo che fa’ a Napoli. Aggio combinato tré arredamenti completi per tré matrimoni. Contrattofatto. M’hanno dato pure l’anticipo. Prezzo chiuso. Sa­pete quanto guadagno?

antonio So’ affari tuoi.

gennarino Ma pure per soddisfazione.

antonio ‘A soddisfazione mia è che tu sei soddisfatto.

gennarino E ‘a mia è quando vi vedo allegro e di buona salute.

antonio (rivolto a Immacolata} ‘E cane hanno man­giato?

immacolata Non ancora.

geraldina Avete saputo ‘o fatto ‘e mammà?

immacolata Sì, l’ha saputo.

gennarino Papa, se mi date il permesso, il cane lo soppri­mo io.

geraldina Povera bestia!

immacolata M’ ‘a chiamme povera bestia? Chella pove­ra signora n’ato poco moriva di paura.

gennarino Ma io ve l’ho detto: un colpo di rivoltella in fronte non ce lo leva nessuno.

immacolata Sia lodato Iddio! Mi dispiace perché certa­mente uno s’è affezzionato, ma nu bestione ‘e chillo è meglio ca more. Don Anto’, io non l’aggio fatto mangia ancora perché voglio sapere da voi se devo preparare due zuppe o una sola.

antonio (rivolto al figlio) ‘E cane so’ ‘e miei. Tu fatte ‘e fatte tuoie. (A Immacolata) E voi preparate le due zup­pe, come avete fatto sempre.

immacolata Va bene.

Don Antonio è completamente vestito. Ora Geraldina gli porge l’orologio d’oro con la catena e gli anelli.

geraldina (ammirata) Quanto site bello, papa! (L’ab­braccia e lo bacia di nuovo) La gente poi dice: «Ma tu quando ti sposi?» E addò se trova n’ommo comm’ a papa? (Intanto raccoglie le pantofole, ripiega la vesta­glia, e riporta tutto in camera di Antonio).

Immacolata sbarazza il tavolo, mentre Gennarino ripor­ta in camera sua le cinque cravatte.

fabio (timido) Don Anto’, mi stavate spiegando…

antonio In merito alla partenza?

fabio In merito alla partenza.

antonio Prufesso’, voi siete padrone tanto di vivere gli anni che vi ha concesso nostro Signore, tanto di chiude­re la vostra esistenza fra dieci minuti. Se ve ne partite, ve lo dice Antonio Barracano: avete chiuso. (Fabio im­pallidisce). Secondo voi questa è una minaccia? Mi sie-

tè stato vicino per tanti anni… Conoscete la mia natu­ra… come potete pensare una cosa simile? L’omino ‘e niente minaccia, siamo d’accordo. Lo fa per intimidire la persona e ottenere lo scopo, e se non l’ottiene può essere pure che rinunzia di mettere in esecuzione la mi­naccia, e tutto torna come prima. Cioè, non come pri­ma, perché la persona ha fatto una bella figura in quan­to non ha mollato, e quello che ha minacciato conferma la sua qualifica d’omino ‘e niente. Ma io ho deciso. Adesso dovete decidere voi. Come vedete non è una minaccia, ma un avvertimento.

fabio E non avete nessun dubbio sui fatti che si sono svolti da trentacinque anni in qua, che vi potrebbe far modificare la decisione che avete preso?

antonio (dopo una breve meditazione) Sf, ce l’ho. Mi dovete spiegare che significa: «Sono stanco di girare a vuoto».

fabio (fissa don Antonio con uno sguardo timido e accora­to; finalmente decide di vuotare il sacco una volta per tutte) Don Anto’, finalmente ho capito. Ho capito chi siamo io e voi: io un incosciente fesso, e voi un de­mente.

antonio (calmo) Che so’?

fabio (esasperato da quella calma diventa più aggressi­vo) Siete un pazzo, un illuso. Questo siete. E io sono uno sventurato che a trentadue anni ha avuto la disgra­zia d’incontrarvi, di credere in quello che dicevate, di seguirvi, di aiutarvi, e che ora si trova, a sessantaquat-tro anni, vecchio, deluso e rincoglionito; trent’anni rap­presentano la vita di un uomo, e noi li abbiamo spesi per proteggere una rete di delinquenti che fa vergogna al nostro paese; abbiamo rischiato la galera, io e voi, non una ma milioni di volte, per agevolare una classe di uomini spregevole e abietta, che è poi la vera” piaga di una società costituita.

antonio La vera vittima, volete dire.

fabio Vittima?

antonio È naturale. Perché si tratta di gente ignorante, e la società mette a frutto l’ignoranza di questa gente.



 

Professo’, sui delitti e sui reati che commettono gli igno­ranti si muove e vive l’intera macchina mangereccia del­la società costituita. L’ignoranza è un titolo di rendita. Mettetevi un ignorante vicino e campate bene per tutta la vita. Ma l’ignorante ha capito. Ha capito che «chi tiene santi va in Paradiso », e dice: « Se vado in tribuna­le per appianare questa vertenza, con tutto che ho ragio­ne, può darsi che la parte avversaria o si serve dei san­ti” che probabilmente tiene in paradiso, o presenta tré o quattro testimoni falsi…» I quali si pagano, lo sape­te: stanno all’entrata del tribunale stesso: si affittano. «Non dire falsa testimonianza! » questo l’ha detto Ge­sù Cristo. Per dirlo lui vuoi dire che si faceva… e si fa ancora, prufesso’! (imita il tono severo di un magistra­to) «Giurate di dire la verità, tutta la verità, nient’al-tro che la verità», e i quattro fetentoni giurano. Allora c’è il mezzo, dite voi: si attaccano di falso. Prove non ce ne sono, e se ce ne sono spariscono perché ‘e denare teneno ‘e piede, ‘e denare teneno ‘e rote e l’ignorante non solo perde la causa ma si piglia pure quattro quere­le per diffamazione. Ora mo, l’ignorante invece di corre­re il pericolo di andare in tribunale va direttamente, di persona, dalla parte avversaria per farsi giustizia con le sue mani. Lui va carcerato lo stesso, è vero, ma la parte avversaria se ne va al camposanto. Professo’, e io non sono un assassino? Giacchino, ‘o guardiano d’ ‘a tenuta Marvizzo chi l’ha ucciso, non l’ho ucciso io? E la ragio­ne la conoscete?

fabio No, e non ve l’ho mai chiesta.

antonio Se vi dico che la ragione era dalla parte mia mi dovete credere. Avevo diecimila volte ragione. Quel­la carogna doveva morire. Mi creai tutti gli alibi, pre­sentai otto testimonianze false. Fui assolto per legit­tima difesa, e oggi sono incensurato e tengo il porto d’arme.

fabio E che significa?

antonio Che chi tiene santi, va in paradiso, e chi non ne tiene…

fabio va all’inferno.

antonio No, viene da me.

fabio E mentre noi ci adoperiamo per mettere pace con giustizia, gli ignoranti continuano ad amma2zarsi come tanti conigli.

antonio Ma in trent’anni quanti ferimenti e delitti abbia­mo evitati.

fabio Sono assai: è un mare di gente. Come potete pre­tendere di portare a termine un’impresa cosi sproporzio­nata, assurda! E poi, io sono stanco di aggiustare teste, ricucire pance, estrarre proiettili da gambe, braccia, spalle… (Comincia a perdere il controllo dei suoi gesti. Un tremito nervoso si impossessa del braccio destro e si propaga pian piano in tutto il corpo, la voce gli si altera via via fino a caratterizzare quella stridula e scroc­cante di coloro che sono attanagliati da veri e propri attacchi d’isterismo) Ho pagato a caro prezzo il giorno maledetto che vi ho conosciuto. Mi tenete con voi da trent’anni come un prigioniero, in ostaggio. È la terza volta che mio fratello mi paga il biglietto per farmi andare in America con lui, dove troverei finalmente ri­poso e vita dignitosa, ed è la terza, volta che mi fate perdere l’occasione. Invece di farmi uccidere in Ameri­ca, uccidetemi qua… (Spalanca le braccia e mostra il petto a don Antonio) Avanti, uccidetemi, così non se ne parla più. (Ora grida con tutte le sue forze) Ero un professionista onorato. Mio padre, Oreste Della Ragio­ne, ottenne la cattedra e fu insegnante all’Università di Napoli per quarant’anni. (Pesta i piedi e piange come un bambino) Ho disonorato un cognome… Faccio schi­fo, sono una chiavica! Un fetente! (Barcolla e cade a sedere, miracolosamente, sulla sedia) Un fetente fottu­to, questo sono!

geraldina (accorrendo allarmata) Ch’è stato, papa?

Immacolata sopraggiunge e si mette in ascolto.

gennarino (accorrendo) Geraldi’ che c’è? fabio (come preso da un irresistibile freddo nervoso, bat­te i denti per cui stenta a pronunciare le parole) Mi



 

devo mettere a lett-tto… (Si tasta il polso) Fra

cin-n-que minu-ti mi scoppia la fe-b-bre… immacolata (premurosa) Prufesso’… gennarino Volete un bicchierino di cognac? fabio Prepa-ra-temi il le-t-to e una borsa d’acqua

ca-l-da… (Immacolata esce svelta). Accom-pagna-te-mi

in ca-mera mia.

Geraldina e Gennaro gli si avvicinano per aiutarlo.

antonio (che è rimasto impassibile, interviene ambiguo e fermo nella sua idea) Se vi scoppia la febbre, per parti­re dovete aspettare che state bene, non vi pare?

fabio Già… (Aiutato dai due si sta avviando alla sua stanza).

antonio E se vi passa la febbre, che fate… partite?

fabio (dopo una breve pausa) Non lo so. Per ora speria­mo che mi passi la febbre. (Esce sostenuto dai due ra­gazzi).

Gattello spinge garbatamente la porta a vetri della ve­randa e la richiude dietro di sé. Scorge don Antonio e gli si avvicina togliendosi il berretto.

catiello Don Anto’, se state comodo…

antonio (bofonchia appena) Chi è?

catiello È venuto Pascale ‘o Nasone, Vicienzo ‘o Cuoz-zo… Poi ci sta pure Rafiluccio Santaniello con una ra­gazza.

antonio Rafiluccio Santaniello?

catiello ‘O figlio d’ ‘o panettiere.

antonio Ah. E po’?

catiello Qua fuori poi, ci stanno ‘o Nait e ‘o Palum-miello che pure vogliono conferire con voi.

antonio (rivolto a Geraldina che sopraggiunge) Geral­di’.

GERALDINA Papa?

antonio Piglia l’incartamento e trova la pratica Cuozzo-Nasone.

geraldina {prende da un mobile dei grossi fascicoli, siede al tavolo e comincia a cercare la pratica. Scorrendo i nominativi) Nasone, Nasone, Nasone… Cuozzo, Cuoz-zo, Cuozzo… e addo sta?

antonio {a Gattello} Fa entrare questa gente.

catiello Tutti quanti?

antonio Gnorsi.

catiello Pronto. (Esce per la veranda).

geraldina {ha trovato la pratica) Eccola qua.

antonio Di che si tratta?

geraldina Una cambiale di trecentomila lire che si tro­va nelle mani di Pascale ‘o Nasone, a firma di Vicienzo ‘o Cuozzo.

antonio Ah, sì, con l’interesse del dieci per cento alla settimana, che diventa il quaranta dopo un mese.

GERALDINA Già.

antonio E Santaniello?

geraldina Di Santaniello non c’è scritto niente, perché non ha ancora parlato con tè.

antonio E ‘o Nait e ‘o Palummiello?

geraldina Sono i due che si sono sparati stamattina.

antonio Quelli dell’intervento. Ho capito. Embè, vengo­no da me dopo che si sono sparati?

Catiello spalanca tutt’e due le porte a vetro della veran­da e introduce le persone che ha annunciate nella scena precedente.

catiello Entrate.

Uno dopo l’altro entrano: Vicienzo ‘o Cuozzo, Pascale ‘o Nasone, ‘o Nait, ‘o Palummiello, per ultimi entrano Rafiluccio Santaniello e Rita Amoroso. La ragazza è ve­stita di poveri indumenti che rendono più commovente il suo stato di avanzata gravidanza. Ha il volto di un pallore cadaverico e sono evidenti in lei i segni di una vita stentata fatta di continue rinunzie e privazioni del cibo. Per fortuna ha due grandi occhi neri per sorri­dere ancora. E lo fa volentieri, continuamente, per evi­



 

tare agli altri il disagio di sentirsi responsabili del suo stato miserevole. Il suo passo è malfermo; ma Rafiluc­cio, il suo uomo, un bei ragazzo povero come lei, la sostiene amorosamente.

vicienzo (e un falegname, veste decorosamente. Si nota in lui un certo umore nero: infatti l’amarezza che ha dentro gli si legge in faccia, dell’entrare si toglie il berretto e si rivolge rispettosamente a don Anto­nio) Don Antonio, i miei rispetti.

pascale (è un uomo privo di moralità. Lo si potrebbe inquadrare tra il biscazziere e il tenutario di bordello. Indossa abiti sofisticati e ostenta preziosi; se parla, si ascolta; se c’è uno specchio, è suo. Verso Don Antonio si scappella da vigliacco e untuoso) Don Antonio, vi sono servo devoto.

rafiluccio Don Antonio, buongiorno.

antonio (a tutti i saluti ha risposto con un breve cenno del capo) Tu sei Santaniello?

rafiluccio A servirvi. (.Indicando Rita) La mia fidan­zata.

antonio (dopo una breve pausa durante la quale avrà pun­tato un occhio sul pancione di Rita, mastica un incom­prensibile monosillabo) Uhm… Se aspettate un altro poco fate matrimonio e battesimo tutto assieme.

rapiluccio {apparentemente compiaciuto) Già.

antonio Dice che mi devi parla…

rafiluccio Veramente la faccenda mia è un poco com­plicata e…

antonio Ho capito, è una cosa lunga. Allora vattene cu’ a fidanzata fuori ‘a masseria, ve fate na passeggiata, pigliate un poco d’aria; io mi sbrigo queste piccole fac­cende e poi ti chiamo.

rafiluccio Come volete voi, don Anto’. (A Rita) Vie­ne. (Esce con Rita).

antonio Tu si’ ‘o Nait e tu ‘o Palummiello?

‘o nait A servirvi.

palummiello A servirvi.

antonio Sedetevi là, ‘o nait Col vostro comodo. (Siede in disparte con Palum-miello).

antonio (rivolto a ‘o Nasone) Che si dice a Napoli?

pascale La solita vita. Mia sorella ha avuto un altro bambino… e con questo sono la bellezza di sei; due maschi e quattro femmine.

antonio Dove ci sono figli c’è provvidenza.

pascale Facciamo la volontà di Dio, sempre sia lodato. Non ci potiamo lamentare.

antonio (indicando Vicienzo} E vogliamo aggiustare que­sta faccenda?

pascale Quale faccenda?

antonio Pure Vicienzo tiene i figli.

vicienzo Sei.

pascale Vuoi dire che la Provvidenza non mancherà nemmeno in casa sua.

antonio Pasca’, a me nun me piace ‘e parla assai, e po’, la giornata è corta. Il fatto è andato cosi: l’altro giorno sono stato a Napoli per fare certe spese. Al Rettifilo ci siamo incontrati io e lui. (Indica Vicienzo} «Vicienzo bello», «Caro don Antonio». Io conoscevo il padre, un grande galantuomo e amico. «Vicie’, ch’è stato? Tie­ne na brutta faccia». Basta, per parlare brevemente, Vicienzo qui presente mi dice che era venuta la distru­zione della sua famiglia, in quanto lui, per causa di una cambiale di trecentomila lire, sulla quale stava pagando un interesse di trentamila lire alla settimana da sette mesi… per farla finita, doveva sparare a Pascale ‘o Na­sone.

pascale A me?

vicienzo (in uno scatto di sincera disperazione) M’ha di­strutto, don Anto’… Ha distrutto ‘e figlie mieie. Cento-ventimila lire al mese io nun ‘e guadagno, m’avita crede­re, e sto pagando ‘da’ sette mesi… E tengo sempre un debito ‘e trecentomila lire ncopp’ ‘e spalle. ‘E figlie mieie se mòreno ‘e famme! E sta carogna nun sente pietà… Ogne fine ‘e mese, nu guaio. Mia moglie ha ven­duto pure ‘e materazze. Tenevo nu bello vestito nuovo



 

nuovo, m’ ‘o mettevo ‘a domenica: me so’ venduto pu­re chillo!

pascale Ma io non capisco. Quando ti servivano i soldi tè li sei saputi pigliare? Non lo sapevi quello che dove­vi pagare? Se me li restituivi dopo una settimana, fa­cevi un affare, perché trecentomila lire ti sarebbero co­state trenta. Don Anto’, è gente che non si sa regolare.

vicienzo ‘E solde m’ ‘e pigliale pe’ fa’ fa’ l’operazione a mia figlia.

pascale Hai ragione, ma se mi vengono meno i paga­menti mi devo fermare… e io pure tengo famiglia.

vicienzo Tu si’ nu Dio. ‘e fetente! E tiene ‘a macchina pecche affitte ‘e cammere a ore, e tua moglie riceve clien­ti in casa pure quando ce staie tu.

pascale Tu dammi i soldi che mi devi e poi discuti e ti metti all’altezza.

antonio Vogliamo concludere?

pascale Eh… concludere… lui ha detto che mi vuole spa­rare… se la sente di pigliarsi trent’anni di galera?

antonio L’altro giorno mi disse che ti voleva sparare. Ma poi ha cambiato idea, e ieri è venuto da me per mettermi al corrente del nuovo programma.

vicienzo (cadendo dalle nuvole} Ieri sono venuto da voi?

antonio (freddo} Sfatte zitto. Ieri sei venuto da me e mi hai portato le trecentomila lire.

vicienzo (più meravigliato di prima) Io…?

antonio Stavamo dicendo. Vicienzo ha consegnato nelle mie mani le trecentomila lire.

pascale Don Anto’, mai per diffidenza: ma perché non le ha portate a me?

antonio Perché gli interessi dell’ultimo mese non li vor­rebbe pagare, e allora ha pregato me di intercedere pres­so di voi. Naturalmente e umanamente, se voi tenete presente che in sette mesi le vostre trecentomila lire vi hanno fruttato lire ottocentoquarantamila, a mio avvi­so potete chiudere un occhio.

pascale (rabbonito e soddisfatto, soprattutto d’incassare le trecent


mabilità di don Antonio Barracano? Una vostra preghie­ra è un comando per me. 

antonio Avete portato il titolo?

pascale Eccolo qua. (Lo estrae dal portafoglio e lo mo­stra).

antonio (glielo toglie delicatamente di mano) Facciamo qua le pezze e qua il sapone.

pascale Precisamente.

antonio Vi dovete accontentare di tutti biglietti da die­cimila…

pascale Non vi preoccupate. Io tengo la tasca segreta nella fodera della giacca.

antonio E allora siamo a posto. (A Geraldina) Bella ‘e papa, apri ‘o tiretto.

geraldina Quale tiretto, papa? (Guarda il tavolo che non ha ombra di cassetti).

antonio Questo tiretto qua, figlia mia. (finge di aprire un cassetto al centro del tavolo) Ecco qua, questi sono tré pacchi da centomila lire ognuno, (finge di prendere i tré pacchi) Uno, due e tré. (Li mette sul tavolo con lo stesso sistema) Don Pasqua’, io li ho contati: volete avere l’amabilità di contarli voi, adesso?

pascale (non avendo ancora capito il gioco, guarda Anto­nio non sapendo se dubitare delle proprie o delle facol­tà mentali dell’altro) Don Anto’, e che conto?

antonio Le trecentomila lire.

pascale (e. s.) Ma… Don Anto’…

antonio Contate. (E punta con insistenza negli occhi del­l’uomo il suo sguardo d’acciaio).

pascale (impaurilo e quasi affascinato da quello sguardo tremendo, capisce che l’unica via di salvezza per lui è quella di contare l’immaginaria somma. E sotto gli oc­chi vigili di Antonio e quelli divertiti degli altri, Pasca­le, con la morte nel cuore, finge di mettere l’uno sull’al­tro trenta fogli da ‘diecimila) Uno, due, tré, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci…

antonio E sono cento. Contate.

pascale Uno, due, tré, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci.



 

antonio Duecento. Contate.

pascale Uno, due, tré, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci.

antonio Trecento. Siete soddisfatto?

pascale Sissignore.

antonio Stringetevi la mano, e la pace è fatta.

vicienzo Per me sono pronto. (Stende la mano a Pasca­le).

pascale Come volete. (Stringe la mano a Viciemo).

antonio Molto bene.

pascale Io me ne andrei… (E infatti muove per andarse­ne).

antonio E le trecentomila lire le lasciate qua? Pigliate-ve ‘e soldi.

pascale (come dire «finiamola») Don Anto’,..

antonio Pigliateve ‘e soldi. (Pascale si avvicina al tavo­lo e finge di prendere i tré pacchi da centomila, poi esce lentamente. Antonio prende la cambiale dal tavolo e la mostra a Viciemo) II titolo è questo?

vicienzo Sissignore.

antonio E allora si può strappare. (Esegue).

vicienzo (è fuori di sé dalla gioia: non riesce a pronuncia­re con facilità le parole) Don Anto’, avita campa cien-t’anne. Don Anto’, avete salvato la mia famiglia… ‘e figlie mieie… (S’inginocchia ai piedi di don Antonio, gli prende una mano fra le sue e gliela bacia ripetutamen-te) Cheste so’ ‘e mane ‘e nu santo! (Non pago, si china con la faccia verso terra, s’aggrappa ai piedi di don An­tonio e glieli bacia).

antonio Ma che m’ ‘e pigliato, pe’ San Pietro?

Geraldina e Catiello a viva forza strappano Vicienzo da quella posizione.

vicienzo (commosso fino alle lagrime) Don Antonio è ‘o paté nuosto! È ‘o paté ‘e Napule! E tè vulimmo be­ne, Totò… tè vulimmo bene!

catiello (accompagnando Viciemo verso l’uscita) Don Antonio ha capito. Vattènne, mo.

omila lire) E si può negare qualche cosa all’a- geraldina {seguendo il gioco di Gattello) Papa tiene da fare. C’è altra gente che aspetta.

vicienzo (ancora una volta riesce a ripetere, prima di usci­re) Tè vulimmo bene Totò! (Poi esce, e dall’interno grida ancora due o tré volte, da esaltato) Don Antonio è ‘o paté nuosto. È ‘o paté ‘e tutte quante! È ‘o paté ‘e Napule!

antonio E andiamo avanti. (Rivolto a Geraldina) Chi ci sta?

geraldina (consultando il fascicolo) Santaniello.

‘o nait Ci siamo pure noi.

antonio Tu chi sei?

‘o nait ‘O Nait.

antonio (scorgendo Palummiello che avanza zoppican­do) Tu sei stato sparato nella gamba?

palummiello Sissignore. ‘O Palummiello, a servirvi.

‘o nait Io sto al Porto. Quando arrivano gli americani, li avvicino, e quando trovo l’elemento adatto l’accompa­gno al «Colorado», il locale notturno che sta a via Mari­na. Ora mo, io sono un poco cagionevole di salute… la vita di notte, l’umidità… sono stato a letto venticinque giorni con bronchite e polmonite. (Indicando ‘o Palum­miello) Stu f etentone s’è presentato alla dirczione del «Colorado» e si è proposto per fare il lavoro che face­vo io. Don Anto’, la pagnotta è pagnotta.

palummiello Non mi sono presentato: mi hanno invi­tato.

antonio (rivolto a Palummiello) Di quale rione sei tu?

palummiello Montecalvario.

ANTONIO E tu?

‘o nait Sanità.

antonio (a ‘o Nait) Tiene ‘a rivoltella dint’ ‘a sacca?

‘o nait Sissignore, don Anto’.

antonio Miettele ncopp’ ‘a tavola. (‘O Nait esegue). Le mancanze sono due: una l’ha commessa ‘o Palummiel­lo nei confronti d’ ‘o Nait. (Rivolto a Palummiello) ‘O «Colorado» è zona sua. (Indica ‘o Nait) Non ti avvicina­re più da quella parte. ‘A pagnotta è pagnotta. Siamo intesi?



 

palummiello Sissignore.

antonio Ti devo far sorvegliare?

palummiello Non c’è bisogno.

antonio E un’altra l’ha commessa ‘o Nait nei confronti miei.

‘o nait (preoccupato) Don Anto’…

antonio ‘O Palummiello ha «sgarrato», ma il suo «sgar­ro», diciamo, non si punisce con un colpo di rivoltella. Tu sei del rione Sanità? E perché non sei venuto da me prima di sparare? E perché dopo sparato non l’hai por­tato al pronto soccorso? Tè si’ miso paura d’ ‘o referto medico?

‘o nait Nossignore don Anto’: perché se lui vuole soddi­sfazione…

antonio Spara isso a tè? E nun fernesce cchiù? ‘O vuli-te capi che ‘a vita se rispetta? Io sparo a tè, tu spari a me… poi escono in mezzo i fratelli, i cognati, ‘e paté, ‘e zie… una carneficina: ‘a guerra! Non ti permettere più se no ti faccio andare in galera. Tu sei del rione Sani­tà… non ti faccio arrivare nemmeno un sorso d’acqua là dentro… nemmeno un fazzoletto pulito; ti faccio fa­re i pidocchi nella camicia. L’incidente tra voi due è chiuso: stringetevi la mano. (I due si guardano per un attimo, poi si stringono le mani con sincera effusione), E mo sienteme buono… (Si toglie dalla mano destra un anello con una grossa pietra dura e lo tiene nella sini­stra).

‘o nait Dite a me?

antonio (repentinamente assesta a ‘o Nait uno schiaffane da togliergli il fiato, mentre lo ammonisce dicendo) E n’ata vota, si vuó spara pe’ conto tujo, scordate ‘o nom-me ‘e Totonno Barracano. Ma si t’ ‘o ricuorde, primma ‘e spara devi cerca permesso a me. (Prende la rivoltella dal tavolo e la porge a ‘o Nait) Pigliate ‘a rivoltella e vatténne.

‘O Nait mezzo intontito prende l’arma dalle mani di Don Antonio.

palummiello (dopo una lunga pausa, azzarda sommessa­mente all’orecchio di ‘o Nait) Vogliamo andare? (E senza attendere risposta sospinge verso l’uscita l’amico che si lascia trascinare macchinalmente come in un so­gno).

Don Antonio è rimasto indifferente alla scena e pare che non si accorga dei due. Con calma rimette l’anello al dito.

‘o nait (giunto sul limitare della veranda si ferma, ha un attimo di esitazione, poi con un mezzo giro su se stesso si volge verso Antonio e gli fissa lo sguardo ad­dosso. ‘O Palummiello, guardingo, studia ogni movi­mento del compagno. Infatti ‘o Nait, con un gesto va­go, solleva lentamente il braccio destro come se volesse puntare la rivoltella verso il suo schiaffeggiatore, ma poi la volge verso se stesso per osservarla e restare un attimo in muta considerazione dei fatti. Una coscienza nuova è forse nata in lui. Infatti intasca la rivoltella mentre dice un po’ a tutti, con un mezzo sorriso all’an­golo della bocca) Buona giornata. (Esce seguito da ‘Pa­lummiello).

antonio Chiamate Santaniello.

Entra Rafiluccio dalla veranda, seguito da Rita.

rafiluccio Sto qua, don Anto’.

antonio Siediti e fammi sentire questo fatto complicato.

rapiluccio Grazie. (Porge una sedia a Rita e siede a

sua volta, accanto a lei). antonio Dunque?

rafiluccio Voi non vi ricordate di me. geraldina Io si. Vostro padre tiene la panetteria in via

Giacinto Albino… rafiluccio Adesso ne tiene due. geraldina Ah, si è ingrandito? rafiluccio La panetteria a Giacinto Albino è rimasta

com’era; ma quella che ha aperto due anni fa a via



 

Roma è un locale moderno, a due entrate; fa affari d’o­ro… serve la migliore clientela di Napoli.

geraldina Io andavo a scuola a Giacinto Albino, e la mattina compravo sempre il panino per la merenda da voi. Non vi ricordate di me?

rafiluccio Comme no.

geraldina E quella bella donna bruna che serviva al ban­co, che portava un bei laccio d’oro al collo?

rapiluccio Quella era mia madre. Mi lasciò quando io tenevo sei anni. Durante la guerra i bombardamenti erano forti… lei soffriva di cuore e non poteva resistere nel ricovero. Abitavamo al primo piano il palazzo ac­canto a noi fu colpito da tré bombe… Quando si dice il destino… una scheggia entrò dalla finestra e colpi mia madre qua (indica la gola} alla ortica. In tré minuti se ne andò all’altro mondo.

geraldina Povera donna!

antonio Vogliamo venire al busillis?

rafiluccio Don Anto’, io vorrei parlare con voi da solo a solo: la cosa è molto delicata.

immacolata (entrando) ‘A signora. È arrivata ‘a signo­ra Annida.

geraldina È arrivata mammà! (Si alza e corre verso la veranda chiamando) Mammà!

In quel momento Armida entra sorretta dal figlio Amedeo.

Armida è una donna di quarantacinque anni ancora pia­cente. È in sottoveste, sottana e golf di lana sulle spal­le. Ha il volto pallido e gli occhi arrossati dal sonno. La folta capigliatura nera se l’è ravviata in fretta con le mani e fermata di fortuna con qualche forcina e qual­che pettine di tartaruga. Una benda di garza le fascia il torace fino a proteggere la mammella sinistra. Nel vede­re Geraldina si commuove.

armida Figlia mia! (Geraldina vorrebbe stringere la ma­dre fra le broccia, infatti le si avvicina di più, ma Armi­da con un gesto opportuno ferma quel moto istintivo)

No… no… per carità… (Geraldina si ritrae comprensi­va). Tengo ‘o ffuoco ccà. (ìndica il seno sinistro, poi scorge il marito e si rivolge a lui, implorante, chiaman­dolo col diminutivo del suo nome) Totò…! antonio Armi’… mannaggia ‘a capa toia. immacolata Che faccia bianca che tene! amedeo Ha avuto dodici punti, (insieme alla madre si è

avvicinato ad Antonio). armida Totò, ‘e visto? (Trattiene il pianto abbozzando

un sorriso per dare coraggio al marito). amedeo Questo è stato servizio ‘e Malavita. gennarino (che è entrato assieme agli altri) Papa, se mi date il permesso, a Malavita la sparo io. (Trae di tasca la rivoltella). amedeo Se non ti dispiace, questo sfizio lo vorrei avere

io. (Estrae anch’egli la rivoltella). armida (seriamente e maternamente preoccupata) Nun

ve fate male con queste rivoltelle… antonio Un momento! Armi’, bella ‘e Totonno, voglio sapere una cosa e poi la rivoltella che deve servire per Malavita è una sola: ‘a mia. Quando Malavita t’ha fat­to ‘o malamente, t’è venuta a truvà dint’ ‘a cammera toja? armida No.

antonio A che ora è successo il fatto? armida All’una dopo mezzanotte. Mentre pigliavo le uo-

va dal gallinaio. antonio Armi’, bella ‘e Totonno, quanto ti voglio bene

io?

armida (convinta) Assale. antonio E tu a me, me vuó bene? armida (come per dire «puoi metterlo in dubbio?») To­tò…

antonio Tu stanotte hai sofferto, ma in questo momen­to chi sta suffrendo cchìù assale, io o tu? armida (convinta) Tu. antonio E ‘a cicatrice ca tè resta ncopp’ ‘a mammella

sinistra, addò me resta a me? armida (e. s.)Ncopp’ ‘o core.



 

antonio Malavita sta nella Masseria per difendere la ca­sa, la famiglia e le galline. Sei stata tu che hai provoca­to Malavita. (Rivolto ai figli) Mettetevi la rivoltella in tasca. (I figli ubbidiscono). ‘Ave ragione ‘o cane. (Nessu­no fiata, Armida rimane soddisfatta di quella conclusio­ne). Adesso come ti senti?

armida (minimizzando la sua sofferenza) Meglio. Me vu-lesse mettere ncopp’ ‘o lietto.

immacolata Venite, Signo’, ve pigliate pure na bella taz­za ‘e brodo.

Si avviano tutti per accompagnare Armida in camera sua.

armida M’hanno detto che debbo fare la cura antirab-bica.

amedeo Nossignore, nun l’avit’ ‘a fa’. Perché io oggi deb­bo esibire la dichiarazione del veterinario che i cani stanno bene.

Sono usciti tutti, tranne Antonio che è rimasto per ultimo.

rafiluccio Don Anto’…

antonio Santanie’, mi dispiace, ma come vedi oggi non è cosa: ci vediamo domani.

rafiluccio Don Anto’: è una cosa urgente e seria.

antonio Ventiquattr’ore non sono la fine del mondo. (S’avvia per uscire).

rafiluccio Don Anto’, domani mattina devo uccidere mio padre.

antonio (si ferma a un passo dall’uscio, si gira verso i due e fissa sul ragazzo lo sguardo incredulo. Dopo una lun­ga pausa dice) Non ho capito bene.

rafiluccio (con più distacco) Domani mattina devo uc­cidere mio padre.

Rita sbotta in un pianto che ormai non è altro che un lamento sommesso e rassegnato, che ne il ragazzo ne Antonio raccolgono.


antonio {si accorge finalmente di quell’insieme pietoso, e in un lungo silenzio ne studia i dettagli. Lo colpiscono soprattutto la dolcezza dello sguardo del ragazzo e il tono innocente del lamento di Rita. Poi dice convin­to) Secondo me, hai deciso. 

rafiluccio (sereno) Si.

antonio E allora il discorso è lungo. Puoi tornare fra due ore?

rafiluccio Fra due ore, si.

Rita sente un braccio di Rafiluccio che le striscia amoro­samente per le spalle e cosi capisce che se ne devono andare. Il suo lamento s’interrompe a momenti, ma poi riprende prolungato e senza alterazione di tono, lungo tutto il percorso che dalla veranda conduce i due giù giù, lontano dalla tenuta Barracano, ma Antonio non aspetta che quel pianto si disperda completamente. Ri­mane in ascolto per poco, poi a passo lento e a capo chino, se ne va in camera di sua moglie.

ATTO SECONDO

Siamo sempre in casa di Antonio Barracano, nella mede­sima stanza del primo atto, poco meno di due ore do­po. Con le spalle ben coperte da uno scialle di lana, sprofondata in una poltrona, Armida prende aria e sole sul limitare della veranda; Geraldina e Immacolata seg­gono presso di lei per farle compagnia. Fabio sta sedu­to accanto al tavolo, di fronte alle tré donne, volgendo le spalle alla quarta parete.

armida Che ore so’?

fabio (dando un’occhiata all’orologio) Le nove meno un quarto.

armida E che fa Totonno… quanno torna?

geraldina Ma il tempo ci vuole per andare e venire dal canile municipale.

immacolata È lontano. Non è nemmeno un’ora che so­no venuti a prendere il cane.

armida Ma pecche nun l’ha accompagnato Gennaro?

geraldina Tu lo sai che se Gennaro non va al negozio la mattina, gli manca la terra da sotto i piedi. S’è messo in macchina e se n’è andato.

armida E Amedeo?

immacolata Don Antonio l’ha fatto correre a Napoli per una commissione urgente. Non ho potuto capire di che si trattava, ma ho sentito che ha detto: «Mi racco­mando, Amede’: t’ ‘o miette dint’ ‘a macchina e t’ ‘o puorte ccà».

armida A chi?

immacolata Questo non lo so.


armida (rivolta a Fabio} E perché non l’avete accompa­gnato voi? 

fabio Donna Armi’, io ho avuto un attacco di febbre violentissimo, mi battevano i denti… è vero. Immaco­la’?

immacolata Ho dovuto correre con le borse di acqiu calda.

fabio Solamente un quarto d’ora fa mi sono ripreso e mi sono alzato dal letto.

geraldina Voi ogni volta che dovete partire vi sentite male, pure l’altra volta vi scoppiò la febbre.

fabio Si vede che l’aria americana non mi giova, la sen­to a distanza e mi fa male.

armida (sempre in pena per il marito) ‘O canile munici­pale sta luntano?

fabio Ma di che avete paura? Non è la prima volta che i cani di Don Antonio finiscono in quarantena.

armida Ma voi lo sapete Totonno com’è fatto. Tiene nu core quanto a na casa, è buono, ma vede la legge a modo suo. Se succede che là sopra maltrattano ‘o cane, perde ‘a capa, non considera addo se trova, non calcola che si tratta di autorità, anze, se calcola chesto, s’imbe­stialisce peggio, e fernesce malamente.

fabio Allora, mi permetto di dire, non conoscete bene Antonio Barracano. Conoscerete bene vostro marito, ma Antonio Barracano lo conosco meglio io. Lo avete visto mai in Tribunale quando s’inchina e dice: «Illu­strissimo Signor Presidente»? (E finge di scappellarsi, imitando l’inchino servile con cui don Antonio si acchi­to alla presenza di un magistrato).

armida (giustificando il marito) Ma quello è il magi­strato.

fabio No, no… lo fa pure con l’usciere, lo fa con tutte le persone che occupano una carica nel campo legale, autorevole o modesta che sia. Lui capisce, per esempio, che l’usciere non è un uomo libero da trattarsi da pari a pari, ma è un funzionario che ha la sua parte di dovere e di responsabilità. Don Antonio sa benissimo come de-

ve comportarsi. Può darsi pure che riesce a riportarsi il cane.

geraldina No, questo no, l’altra volta se lo tennero in esperimento per due settimane.

Rafiluccio entra quasi correndo e si ferma, ansimando, presso il gruppo delle donne.

rafiluccio Scusate…

ARMIDA Chi è?

immacolata È un giovanotto ch’è venuto pure n’ora fa; ha parlato cu’ don Antonio.

geraldina È Rafiluccio Santaniello, mammà.

rafiluccio A servirvi, signo’.

geraldina Ma vi è successo qualche cosa?

rapiluccio (sorride per nascondere il disagio che pro­va) Quella giovane che stava con me…

immacolata Ah, sf… e non è uscita con voi?

rafiluccio Si, perché don Antonio mi ha detto di torna­re dopo due ore. Siamo usciti insieme e ci siamo tratte­nuti nella masseria perché non sapevamo dove andare. Le due ore non sono passate, ci vogliono ancora una ventina di minuti. Sarà stato il sole… Rituccia è delica­ta. Si è sentita male, mi sono messo una paura…

immacolata Povera figlia!

geraldina Dove sta?

rafiluccio Dietro il secondo frutteto, a destra.

immacolata (esortando Fabio a intervenire) Dotto’…

fabio E portatela qua. Io pure sono stato male, e il sole non mi fa bene.

geraldina (avviandosi) Immacola’, venite. (Ed esce).

immacolata Andiamo, giovano’. (Ed esce appresso a Ger aldina seguita da Rafiluccio).

fabio Questo dev’essere il figlio del panettiere che sta a Napoli, in via Giacinto Albino.

armida E ‘a giovane?

fabio Non la conosco. Donn’Armi’, come vi sentite?

armida Un poco meglio, grazie.

fabio Mi è dispiaciuto tanto che non mi sono trovato qua, stanotte. Più tardi mandiamo in farmacia e vi fac­cio prendere delle gocce calmanti, caso mai stanotte vi dovesse far male la ferita. armida Grazie professo’.

immacolata {dall’interno) Nenne’… siamo arrivati. geraldina Piano, piano e appoggiatevi a me. rita Grazie. Ma adesso sto bene. Quello è stato un gira­mento di testa.

Immacolata entra sorreggendo Rita che si appoggia pu­re al braccio di Geraldina.

immacolata Questo e niente è una cosa. (Le donne avanzano verso il centro della stanza, e fanno sedere Rita accanto al tavolo). È stato il sole, come ha detto quel giovanotto. Adesso vi riposate un poco qua, al fresco, e subito vi ripigliate.

armida Ma non è meglio che ‘o professore le fa na visi­ta? A me, me pare che ‘a ragazza è incinta.

rita (fiera, col solito sorriso, e spalancando i grandi occhi consapevoli) Di setti mesi.

armida (rivolta a Rafiluccio) È vostra moglie?

rapiluccio (rettifica, con virile senso di responsabili­tà) È ‘a femmena mia.

immacolata Prufesso’, e visitatela.

fabio E che la visito a fare? Il fatto che sia incinta non significa niente, qua si tratta di denutrizione. (Avvi­cinandosi a Rita) Non vedete com’è pallida? Che razza di occhiaie che tiene? (Le prende una mano) Guarda qua… questa povera figlia muore di freddo (controlla il polso) e lo credo: il polso si avverte appena. (Rivolto alla ragazza) A che ora hai mangiato? (Rita abbassa gli occhi evadendo una risposta precisa, poi viene colta di sorpresa dal suo solito pianto lamentoso). Non hai man­giato? • •

rafiluccio (dalla veranda, senza muoversi dal suo posto, afferma con infinita amarezza) No, professo’.

fabio Ma questo è appetito arretrato. Sono mesi che la ragazza manca di nutrizione adeguata.

rafiluccio Proprio cosf.

fabio Embè, tu poco fa hai detto con tanta spavalderia:

«È ‘a femmena mia» e poi mi vieni a dire che sta digiuna?

rapiluccio (avanza con passo sicuro, poi si ferma di fron­te a Fabio) Professo’, quella ragazza che avete visita­ta, la vedete? Nunn’è niente. So’ quattro ossa messe insieme che una persona sbadata può fare così con le mani (fa un gesto come per raccogliere dei rifiuti), e dice: «Questa è roba inutile, non serve». E senza pen­sarci sopra le butta in un angolo, in mezzo ai rifiuti e non ci pensa più. Veste alla moda? Nossignore. Porta le calze di seta? Non le porta. Va dal parrucchiere? Non ci va. Eppure, quelle quattro ossa messe insieme proprio come sono state messe, in quella posizione, cu’ chille duie uocchie, cu’ chella pelle, ‘e chillo stesso culo-re… sta cosa ‘e niente, ‘a vedite? È ‘a femmena mia. E a me, guardate a me. Tengo ‘e scarpe rotte. (Solleva un piede e mostra una scarpa con la suola a pezzi) E guardate ‘o vestito… (Piega il braccio e lo solleva mo­strando il gomito della giacca sdrucito) E volete vedere la camicia? (Si toglie la giacca per mostrare gli innume­revoli rammendi e le diverse toppe che vi sono state applicate) E pur’io che rappresento? Quattro ossa schi­fose che chiunque farebbe col piede così… (Muove velo­cemente la gamba destra in avanti strisciando il piede sulle mattonelle come per allontanare da sé qualche co­sa di nauseabondo) per farle finire nell’immondizia. Ma per lei queste quattro ossa schifose sapete che rappre­sentano? L’ornino suio.

rita (rapita, in uno slancio d’amore, quasi tra sé) Quan-

t’è bello!

rafiluccio Lavoro al porto come facchino, saltuaria­mente… e quando non entro in quota, perché siamo as­sai, mi chiudono il cancello in faccia. Mi propongo co­me mancale, come portabagagli, come uomo di fatica, guardiano, guardacesso… faccio qualunque cosa. Quan­do guadagno una lira ‘a porto mmano a essa. Un pezzo


di pane si divide in due, quando ci sta… e quando non ci sta: niente per lei, niente per me. fabio E morite di fame tutti e due? rafiluccio No: tutti e tré. Perché la creatura che Rita 

tiene nella pancia è figlio a me.

fabio Questa paternità che senti con tanto orgoglio ti fa onore e va bene, ma signori miei, qua se la ragazza non mangia subito qualche cosa perde completamente i sensi.

armida (premurosa) Immacula’… immacolata (coglie a volo l’intenzione di Armida e s’av­via svelta in cucina} Ma che si deve vedere sulla fac­cia di questa terra. (Ed esce}.

fabio (strappa il foglietto del ricettario tascabile su cui ha scritto le indicazioni di un medicinale adatto al caso di Rita, e si rivolge a Rafiluccio} Andate in farmacia e fatevi dare questo. rafiluccio (un po’ impacciato, col foglietto in mano} A-

desso? fabio Adesso. Hai paura di lasciare la «femmina tua»

qua? rafiluccio No, ma…

rita (apparentemente disinvolta} Lui non porta mai i sol­di. Dice ca si no li perde… li fa portare a me. (Trae dal corpetto un piccolo involto fatto con un fazzoletto anno­dato, tenta di snodarlo, ma non vi riesce: vede doppio;

un secondo tentativo fallisce come il primo). rafiluccio Faccio io, damme ccà. (Scioglie abilmente quei nodi e rovista fra le povere cose che il logoro fazzo­letto racchiude} Questi sono i biglietti della Circumve­suviana. Per venire qua abbiamo fatto i biglietti di anda­ta e ritorno. Se si perdono questi restiamo a Terzigno. (Ripone di nuovo i due biglietti) Questo è ‘o braccialet­to tuo. (Mostra un braccialetto di variopinti corallini spaiati e falsi).

rita S’è spezzato ‘o filo, nun fa’ perdere ‘e curalle. rafiluccio I soldi dove stanno? Ah, eccoli qua. (Pren­de le uniche tré monete da cento che trova e si rivolge al dottore} Trecento lire abbastano?

fabio E che ne so?

armida Dite che siete persona della signora Barracano, noi paghiamo il conto a fine mese.

rafiluccio E per quale motivo dovete pagare voi la me­dicina?

armida Una sciocchezza.

rafiluccio Mi dovete scusare, ma non lo posso permet­tere.

geraldina E io tengo un debito con voi.

rafiluccio Un debito?

geraldina Quando andavo a scuola e venivo a compra­re il panino, voi mi davate sempre un tarallo di nasco­sto di vostro padre. Io me lo mangiavo con una gioia! Fate il conto di quanti tarallini mi avete dati e vedrete che oltre la medicina vi dobbiamo dare pure il resto.

armida Andate, e fate presto.

rafiluccio (un poco commosso} Permettete. (Ed esce svelto}.

Immacolata entra recando un vassoio con sopra una sco­della di brodo fumante, un piatto di mozzarella, latte e frutta.

immacolata II brodo è bollente, e ci sta pure un pezzo

di carne dentro. (Colloca il vassoio sul tavolo}. armida (rivolta a Rita) Donna… come vi chiamate, man-

giateve qualche cosa.

Rita abbassa la testa e non risponde.

fabio Un poco di brodo caldo. Prima un poco di brodo. geraldina Ma sì, il brodo, la carne, un bei bicchiere di latte… ci sta pure la mozzarella fresca.

Rita rimane a testa bassa, senza rispondere.

armida Non volete mangiare?

immacolata Comme no. Piano piano mangia. Povera figlia, sta comme fosse in soggezione.


geraldina Vuoi rimanere sola? 

rita Voglio a Rafiluccio.

geraldina È andato in farmacia. Comincia a mangiare tu.

rita (arrendevole, suo malgrado) Sì…

geraldina {in disparte agli altri) È meglio che la lascia­mo sola. Se no non mangia.

immacolata Si, è meglio.

armida Stanotte faccio ‘a nuttata. M’accumencia a fa’ male tutt’ ‘a spalla. (E s’avvia verso la sua stanza).

immacolata {seguendo Annida) Voi vedete il diavolo!

fabio Adesso vi mando a prendere, per Catiello, le goc­ce calmanti. (E se ne va insieme alle tré donne).

Rita dopo una breve pausa, si guarda intorno, poi pren­de una forchetta e l’affonda nel brodo, per pescare e tirare da esso il tocco di carne; non appena ci riesce lo guarda attentamente considerandone il volume. Quella constatazione la lascia alquanto delusa. Non c’è da sta­re allegri: la razione di bollito è appena sufficiente per una sola persona; di buon grado allora, adagia in un piatto quel pezzette di carne versandoci sopra con un cucchiaio una certa quantità di brodo bollente, poi capo­volge un altro piatto e ricopre il tutto. Finalmente inge­risce qualche sorso di brodo: ne prova sollievo, e via via accelera sempre più il gesto, cedendo così, istintiva­mente, al sacrosanto diritto del suo stomaco. Entra Antonio.

antonio (scorgendo Rita sorride e interviene ironico) Piano… nessuno ti corre appresso, nenne’.

rita (impaurila lascia cadere il cucchiaio nel piatto, si alza di scatto e si allontana dal tavolo come una ladra dal corpo del reato)’ “È stata ‘a signora ca m’ha voluto fa’ mangia, io non volevo niente.

antonio E vai avanti con buon appetito. (Si avvicina al­la ragazza, la fa sedere e le porge il cucchiaio) Brava, cosi. Il brodo si beve caldo.

rita No. Grazie. Il brodo già l’ho preso. Adesso mi vor­rei mangiare un poco di mozzarella.

antonio E mangia con buona salute. (Taglia egli stesso un pezzo di mozzarella e lo porge a Rita).

rita Grazie. (E comincia a mangiare timidamente).

antonio Tu sei la fidanzata di Rafiluccio Santaniello?

rita La fidanzata proprio… no.

antonio Lui cosf ha detto.

rita Così dice quando c’è gente estranea e mi deve pre­sentare, ma se ce lo domandate in confidenza vi dice che io sono la femmina sua.

antonio E tu sai che significa quando un uomo dice:

«Questa qua è ‘a femmena mia»?

rita Lo so perché me l’ha spiegato lui.

antonio E che significa?

rita E voi non lo sapete?

antonio Ma voglio sapere se quello che so io significa lo stesso di quello che ha spiegato Santaniello a tè.

rita E dite prima voi quello che sapete, cosi io intanto mi mangio la mozzarella, e poi parlo io.

antonio E va bene. Dunque: «’a femmena mia» non si usa ne per la fidanzata ne per la moglie. In tutti e due i casi l’affermazione, diciamo, sarebbe un’offesa per la donna. ‘A mugliera è mugliera, e quando si vuole parla­re di lei si dice: «La mia signora». Un uomo serio di conseguenza si serve della denominazione: «’a femme­na mia» in due casi solamente. Primo, quando tiene la necessità assoluta di parlare della sua amante o concubi­na che dir si voglia; ma l’interlocutore dev’essere un uo­mo positivo, responsabile e di provata fedeltà. Secon­do: per un caso pietoso in cui un uomo sveglio e provo­catore che vuole salvare una donna qualunque, mettia­mo pure una prostituta, dalle insidie di una comitiva allegra di uomini provati al litigio e lesti di mano, allo­ra si dichiara possessore provvisorio dell’oggetto di ses­so femminile e dice: «questa qua non si tocca: è ‘a femmena mia».

rita No, all’epoca vostra, forse, significava quello che ave­te detto voi… e vuie site vicchiarello. Adesso, no. Quel


lo che m’ha spiegato Rafiluccio significa un’altra cosa. Ecco qua. Io non ho conosciuto i genitori. Sono stata allevata e cresciuta dalle suore di carità nell’ospizio del­la Misericordia, a Torre del Greco. A quindici anni, otto anni fa, adesso ne tengo ventitré, entrai come dome­stica in casa di una famiglia per bene che aveva fatto richiesta all’ospizio, dando tutte le garanzie. Devo dire la verità che mi trattavano bene e m’ero affezionata a questa famiglia. Sta di casa in una traversa di via Giacin­to Albino. E in via Giacinto Albino, per tutto il tempo che sono stata a servire in quella casa, andavo a compra­re il pane nella panetteria del padre di Rafiluccio. Per­ché, per quasi sette anni, io non guardavo Rafiluccio e Rafiluccio non guardava me? Io entravo: «Due chili di pane». Lo pesava, mi pigliavo il pane, «Buongiorno» e ti saluto. 

antonio Ma, questo che c’entra con…

rita Aspettate, mo sentite. Una mattina, questo un an­no e mezzo fa, stavo comprando il pane come al solito:

«Posso offrirvi il cinematografo, stasera?»

antonio Chi questo, Rafiluccio?

rita No. Un meccanico che si era comprato certi tarali!. «Mi dispiace, diss’io, ma non vado al cinematogra­fo con chi non conosco». «Non fa niente, disse il meccanico. Vuoi dire che ce ne andiamo io e Rafiluc­cio. Rafilu’, ci sei? » «No, disse Rafiluccio, stasera è impossibile», e me guardava fisso dentro agli occhi. «Tengo un appuntamento alle nove precise, all’ingres­so del cinema Santa Lucia». E me seguitava a guarda. Io capii. Alle nove precise, all’ingresso d’ ‘o Santa Lu­cia, sentette ‘o braccio ‘e Rafiluccio che passava sotto ‘o braccio mio. Io camminavo con gli occhi chiusi: nun vedevo niente. Aspettavo che mi diceva qualche cosa. Finalmente mi disse sottovoce: «Me vuó bene?» «’A sett’anne!» dicett’io. «E fu quanno ‘e penzato a me ‘a primma vota? » «Sett’anne fa». Due persone, uno pen­siero. Da quella sera mi è diventata indifferente qualun­que cosa: ‘a gente p’ ‘a strada non m’interessa, nun guardo ‘e magazzino, nun desidero nu cinematografo,

si me parlano, nun sento chello che me diceno. Quando sto cu’ Rafiluccio so’ cuntenta e me pare lécita qualun­que cosa. E Rafiluccio m’ha spiegato che questo succe­de quando una persona è fatta esclusivamente per un’al­tra persona. In altri termini, la donna allora diventa completa e può apprezzare le cose belle, quando incon­tra l’uomo fatto proprio per lei, e l’uomo la femmina:

10 ho trovato Rafiluccio e Rafiluccio ha trovato me.

antonio Ho capito. Si sono incontrate le anime gemelle. E dimme na cosa. Tu sai niente di questa decisione che ha preso Rafiluccio?

rita (annuisce con due brevi cenni del capo poi confer­ma) Si. (Ma un singhiozzo improvviso provoca in lei

11 solito pianto lamentoso e rassegnato. E prosegue co­me può, mentre trae di tasca un logoro fazzoletto per asciugarsi gli occhi e soffiarsi il naso) È testardo. Quan­do dice croce è croce. Oramai, sono tré mesi che a Rafi­luccio l’è venuta questa fissazione.

antonio Ma secondo tè avrebbe ragione di fare quello che ha deciso?

rita (sempre in preda alla crisi di pianto) Quando stia­mo insieme e parliamo, me pare che ‘ave ragione, quan­do resto sola e penzo a quello che m’ha detto, me pare ca nun ‘ave ragione cchiù…

antonio E tu non sei riuscita a fargli cambiare idea?

Rafiluccio entra e rimane sulla soglia della veranda.

rita E che faccio, che pozzo fa’? Per Rafiluccio non è più un’idea, è na malattia. Penza sempe ‘a stessa cosa… ‘a notte nun dorme… Salvatelo, don Anto’… Soltanto voi potete fare questo miracolo.

rafiluccio (avanzando verso il tavolo, rivolgendosi a Ri­ta) Siamo venuti perché dovevo parlare io con don An­tonio, no tu. Perdonate, don Anto’, ma la ragazza non ha capito la personalità che si trova di fronte. (Di nuo­vo rivolto a Rita) Ti ho detto che quando non ci sono io devi tenere la bocca chiusa.

antonio Veramente sono stato io che l’ho interrogata.


rafiluccio E rispondeva: «Non so niente, quando vie­ne Rafiluccio parlate con lui». (Rita piange sommessa­mente). E non piangere più, basta!… Tè fa male. E que­sto fa, la vedete, piange continuamente. 

antonio Santanie’, se mi vuoi parlare io sono pronto.

rafiluccio Rita, fatti una passeggiatina fuori mentre parlo con don Antonio.

rita Famme sta’ presente, famme senti che dice don An­tonio.

rafiluccio (irremovibile) Cammina, va’ piglia un poco d’aria.

rita (implorante) Don Antò, dicitencello vuie ca me fa­cesse sta presente, ve voglio bene.

Entra Geraldina.

geraldina Papa, com’è andata? antonio Mi sono assicurato che il cane sta bene e che

fra sette giorni me lo devono restituire… tutto a posto. geraldina (rivolta a Rita) E voi avete mangiato qualche

cosa? rita Sf grazie.

Entra Immacolata.

immacolata (alludendo a Rita) Ha mangiato?

antonio S’ha pigliato un poco ‘e brodo e s’ha mangiato ‘a muzzarella. Accompagnatela dentro ‘a cucina, qual­che altra cosa se la mangia là.

immacolata (sbarazzando il favolo) Venite bella fi­glio’, venite con noi.

rita (interviene pronta quando Immacolata prende il piat­to con il pezzo di bollito per portarlo via) No, no… questo l’ho conservato a Rafiluccio. Mangiatélla, Rafi-lu’, è carne bollita.

rafiluccio Grazie, non tengo appetito. (Rivolto a Im­macolata) Potete togliere.

geraldina E mangiatela, pure per fare un piacere a lei. (Indica Rita).

rita Famme cuntenta…

rapiluccio Non tengo appetito.

antonio Va bene, lasciatelo qua, può darsi che l’appeti­to le vene. E andate perché dobbiamo parlare.

immacolata (a Rita) Venite. (E s’avvia seguita da Ge­raldina).

rita Un momento, vengo subito. (Si stacca dalle due don­ne e si avvicina a Rafiluccio, gli stringe le mani, lo sguar­do fisso negli occhi, finalmente gli dice) Rafilu’, io me ne vado come hai voluto tu. Parla con don Antonio che certamente ti darà un consiglio buono. Ricordati che io so’ ‘a femmena toia. (Sotto tono e in disparte) E mangia-tillo ‘o piezzo ‘e bullito… stammatina nun t’ ‘e mangia­to niente.

rafiluccio Si, si.

rita (rivolta alle due donne) Dove sta la cucina?

geraldina Da questa parte.

E le tré donne escono.

antonio (alludendo a Rita) Dev’essere una brava figlia.

rafiluccio È una santa.

antonio Santanie’, siediti.

rapiluccio Grazie. (Siede).

antonio Allora?

rapiluccio (impacciato) Don Anto’… ecco… don An­to’…

antonio Santanie’, io conosco uomini e cose. Ho girato il mondo e modestamente la vita l’ho campata pratica­mente. Tu due ore fa mi hai detto freddamente e con una sicurezza matematica: «Io devo uccidere mio pa­dre». Adesso ti vedo impacciato e reticente. In queste due ore hai riflettuto, e adesso non trovi le parole per dirmi che ci hai pensato meglio…

rapiluccio No, don Anto’. Se mi vedete impacciato è perché ho sentito sempre parlare di voi, ma non avevo avuto mai l’onore di avvicinarvi. Quando si nomina An­tonio Barracano: bocche chiuse e cappelli a terra. È il rispetto che sento per voi che non mi permette di parlare, diciamo, sfacciatamente. Voi mettete in soggezione, ecco. Ma l’uomo è uomo. E quello che vi ho detto due ore fa lo sostengo ancora adesso, e lo sostengo fino a domani mattina.

antonio Con questo vuoi dire che per domani mattina hai bello e liquidato tuo padre?

rafiluccio Per forza.

antonio Ma pecche, addo sta scritto? E mettiamo pure che sta scritto a qualche parte. Tu l’hai trovato scritto e hai deciso. Allora che si’ venuto a fa’ addu me? Me lo vieni a dire cosi, a titolo di cronaca? E che me ne mpor-ta a me? Che faccio, ‘o confessore? Se mi vieni a dire:

«Don Anto’, mi trovo in queste condizioni, cosf e co­si… datemi un consiglio…» io intervengo e ti aiuto. Ma se mi dici che sei fermo nella decisione perché « l’uomo è uomo» io ti rispondo che l’ommo è ommo solamente quando non è testardo. Quando capisce ch’è venuto il momento di fare marcia indietro e la fa. Quando ricono­sce un errore commesso, se ne assume la responsabili­tà, e cerca scusa. Quando apprezza la superiorità di un altro uomo, e ce lo dice. Quando amministra e valoriz­za, nella stessa misura, tanto il suo coraggio quanto la sua paura: Santanie’, l’ommo songh’io. Tè ne vuoi anda­re o vuoi un consiglio?

rapiluccio (indeciso) Don Anto’…

antonio (con tutto il peso dell’affermazione) Siete padre e figlio lo capisci si o no?

rafiluccio (ribelle, come vittima di un’ingiustizia) Ma perché non capisce prima lui che siamo figlio e padre? Quando sono venuto al mondo io, mio padre già stava in casa. Quando venne al mondo mio padre, io in casa non c’ero. Don Anto’, Arturo Santaniello non è un pa­dre: è una carogna.

antonio Se sei venuto da me per un consiglio, sono io che stabilisco se tuo p’adre è carogna o no. Pò essere pure che ‘a carogna si’ tu.

rafiluccio Don Anto’…

antonio E andiamo avanti. Da quanto tempo non vi ve­dete tu e tuo padre?

rafiluccio Da tredici mesi.

antonio E come vi siete lasciati l’ultima volta?

rafiluccio Mi disse testualmente: «Non ti riconosco più come figlio. Trovati lavoro in un’altra panetteria, e stasera non mettere il piede in casa mia».

antonio E d’allora c’è stata gente ch’è andata da tuo pa­dre a dire: «Vostro figlio dice questo e questo di voi», e altra gente ch’è venuta da tè a dire: «Tuo padre dice questo e questo di tè». E non vi siete più incontrati?

rafiluccio No.

antonio Sei stato a scuola?

rafiluccio (mortificato) Poco. Ho fatto la terza elemen­tare… poi mio padre disse che era meglio il mestiere e mi prese subito con lui in bottega. Ma so leggere e scrivere.

antonio Io no. (Ride) Io so leggere, ma non posso scri­vere. So leggere il giornale, specialmente le lettere stam­pate, quelle grandi. Ma la scrittura a penna me la de­vo fare leggere. Insomma tu quattro ciappette le sai fare?

rafiluccio Mi arrangio.

antonio E mi sono arrangiato pur’io. Santanie’, io non ti domando qual è stata l’origine di questo dissidio fra tuo padre e tè. Le campane sono sempre due, e io sono abituato di sentirle suonare insieme. Una campana sola suona per i morti: io so’ vivo.

rafiluccio (sollevando l’indice della destra) Don An­to’, permettete?

antonio (autorizzandolo a parlare) Beh?

rapiluccio La vostra parola conta; mio padre deve sape­re da voi come stanno le cose e qual è la mia intenzio­ne. Se non mi da quello che mi spetta come diritto di figlio…

antonio Ti ho detto che le campane devono suonare in­sieme. Staie armato?

rapiluccio (dopo breve pausa) Sissignore.

antonio Tiene ‘o rivolvere?

RAFILUCCIO (C, S.) SÌ.

antonio Miettelo sopra ‘o tavolo.

rapiluccio (trae di tasca la rivoltella e la poggia sul tavo­lo) È fatto.

ANTONIO È tutto? RAPILUCCIO È tutto.

Entra Amedeo.

amedeo Io sto qua, papa. Tutto fatto. (Scorgendo Rafi-luccio) Buongiorno.

rapiluccio Buongiorno.

antonio La persona?

amedeo Sta qua fuori, lo faccio entrare?

antonio Aspetta. (Rivolgendosi a Immacolata che so­praggiunge) C’è una persona qua fuori. (Indica un pun­to oltre la veranda} Fatela entrare.

immacolata Va bene! (Esce svelta).

antonio Santanie’, si tratta di una cosa urgente. Ame-de’, falle tu compagnia.

amedeo (rivolto a Rafiluccio) Ce ne andiamo in camera mia, venite.

rafiluccio (contrariato) Mi fate chiamare voi, don An-to’?

antonio Ti faccio chiamare io.

I due giovani escono. Immacolata torna introducendo Arturo Santaniello.

immacolata Entrate, don Antonio sta qua. arturo (entrando) Grazie,

L’aspetto dell’uomo è grossolano, ma gradevole. È fie­ro dei suoi sessanta anni, in quanto l’imponente struttu­ra fisica e l’ottimo stato di salute non gli dettero mai motivo di maledire il calendario. Ha lo sguardo fisso degli ottusi. Indossa abiti e indumenti di buona qualità e di colori riposanti; qualche prezioso.

antonio Voi siete don Arturo Santaniello? arturo A servirvi.

antonio Mi favorite, per carità.

arturo (dando ancora uno sguardo ammirato verso l’ester­no) È tutta proprietà vostra?

antonio Da qua non si vede, ma fino all’olivete che sta a quattro chilometri, e da quest’altra parte lo stesso e fino al mare, laggiù, è tutta proprietà mia.

arturo Buona salute.

antonio Quando tornai dall’America, quarant’anni fa, fe­ci l’affare.

arturo Allora la terra costava niente…

antonio Una miseria. Poi, piano piano, l’ho valorizzata fabbricando palazzine, villette.

arturo E questa è una zona di Paradiso. E già, si chia­ma un architetto, un ingegnere…

antonio No, per carità… chiamo l’ingegnere e l’architet­to per andare all’elemosina. Faccio tutto io. Tengo un capomastro, un vecchietto della vecchia guardia, i mano­vali non mancano… e costruisco in economia. Mia figlia porta la contabilità… cemento, pietre, mattoni, ferro, infissi…

arturo Ma un progetto lo dovete presentare.

antonio Questa è una zona fuori tiro. E poi il progetto è di carta.

arturo Beh?

antonio La più grande scoperta non è stata la Radio, la Televisione, l’atomica, lo Sputnik… Don Artu’, la sco­perta più grande è stata la carta.

arturo (divertito) Sentiamo.

antonio Quante cose si fanno con la carta?

arturo (e. s.) Eh… quante cose…

antonio Voi mi direte: le cambiali, i contratti, la carta bollata, libri, giornali…

arturo Passaporti, licenze, manifesti…

antonio Biglietti di banca.

arturo Ah, sì… il denaro…

antonio Ma se fa pure un’altra cosa.

arturo Che cosa?

antonio C’è stato uno, un uomo certamente geniale… chi sa chi è stato… che ha tagliato un pezzo di carta quadrata, ha piegato i quattro angoli, tré l’ha incollati e uno l’ha lasciato aperto. Su quest’ultimo, poi, ci ha passato col pennello due striscette di una carta gomma­ta che si asciuga immediatamente e che diventa attacca­ticcia di nuovo soltanto quando ci si passa sopra la sali­va con la lingua.

arturo La busta!

antonio Diventa busta quando prima di chiuderla ci si mettono dentro i biglietti di banca che anche sono di carta. Don Artu’: senza la busta si ferma pure la bom­ba atomica. Non c’è bisogno dell’ingegnere e dell’archi­tetto. Questa gente qua conosce il codice edilizio a me­moria, e quando arrivano a incatenare un povero igno­rante in materia che vuole costruire, allora lo lasciano quando l’hanno portato diritto diritto al fallimento o al manicomio. E campano bene perché l’ignoranza è assai. E stanno sempre a posto legalmente, perché «la legge non ammette ignoranza». E non è giusto. Perché, secon­do me, allora, la legge non ammette tré quarti di popola­zione. Ma se, per esempio, si cambiasse la frase e si dicesse: «La legge ammette l’ignoranza», vi garantisco che più della metà di questi signori farebbero sparire la laurea e diventerebbero immediatamente ignoranti.

arturo (poco convinto) E già… Io vi conoscevo di no­me e come persona fisica, ma non avevo avuto mai l’ono­re di parlarvi personalmente.

antonio L’onore è mio.

arturo Vi vedo passare spesso per via Giacinto Albino, perché so che abitate alla Sanità.

antonio Precisamente.

arturo Poi mi ricordo di voi giovane, molti anni fa.

antonio In America?

arturo No… a Napoli… una quarantina d’anni fa, al pro­cesso.

antonio Ah, stavate in tribunale?

arturo Prima di tutto il vostro fu un processo che appas­sionò tutta la cittadinanza, e poi, in quell’epoca, mi piaceva di seguire i fatti di cronaca nera…

antonio E fui proprio io a chiedere la revisione del pro­

cesso. Perché dopo il fatto, tenevo diciotto anni, con l’aiuto di un conoscente, ch’è ancora vivo e sta in Ameri­ca, tiene ottantatre anni, ci scriviamo spesso, stiamo in contatto…

arturo Come si chiama?

antonio Adesso volete sapere assai.

ARTURO È giusto.

antonio Mi imbarcai clandestinamente per l’America, e qua fui condannato in contumacia. In America ci rimasi diciassette anni. Mi feci benvolere da questo conoscen­te, e con l’aiuto suo andavo avanti. Che facevo? Lavora­vo con lui. (Coglie a volo un cenno ambiguo ài Arturo) No, niente cose disoneste. Fatti di sangue, si, ma per giustizia. Ho lavorato al Porto, ho fatto il lustrascarpe, il pizzaiolo, il friggitore, l’attacchino… mi sono indu­striato in tutti i modi. I dollari che avevo messo da parte, in America erano una miseria, in Italia, col cam­bio di allora, erano una fortuna. Comprai la tenuta, e chiesi la revisione del processo. Mi feci difendere da De Fonzeca; prove controprove e testimonianze: otto testimoni a discarico. Fui assolto per legittima difesa.

arturo E i testimoni erano genuini?

antonio No.

arturo Ah… E De Fonzeca?

antonio Non sapeva niente. Se volete vincere la causa, la prima persona che non deve sapere i fatti veri è l’av­vocato vostro. Come si dice: «l’avvocato è come il con­fessore». E io non mi confesso. I testimoni erano falsi, ma io no. Io ero genuino, avevo ragione. Tengo due cestole spezzate e mezza mascella inferiore di metallo… me le spezzò Giacobino d’ ‘a Tenuta Marvizzo. Chella carogna! Muorto e buono… carogna! Tenevo diciotto anni, facevo il capraio… io, sapete, sono umilo di origi­na… portavo le capre al pascolo. Per tutti andava bene, per me no. Antipatia, impuntatura… va’ ti pesca la ra­gione. «Giacchi’, ma perché proprio le capre mie non possono pascolare nella tenuta? » E lui, col fucile pron­to: «II guardiano sono io. Gli altri si, e tu no, cammi­na, se no ti sparo». Una mattina, m’ero mangiato tanto’e pane e tanto ‘e formaggio, mentre le capre pascolava­no presi sonno. Si vede che per abitudine le capre sconfi­narono nella tenuta Marvizzo. Mi svegliale sotto un ter­remoto di mazzate: cazzotti, schiaffi e calci in tutti i po­sti della vita mia. Nun capivo se me lo stavo sognando o era un fatto reale. Sentivo la voce di quella carogna:

« Accussi tè ricuorde del guardiano della Tenuta Marviz­zo». Don Artu’, questa faccia era una maschera di polve­re e sangue. Al pronto soccorso non fiatai, dissi che ero caduto in una scarpata. I giorni passavano, non dormi­vo più, non mangiavo. Mia madre, buon’anima: «To-tò, ma ch’è stato?» Mio padre: «Ma non ti senti be­ne?» Mi comincia la febbre. Don Artu’, la febbre a trentotto, trentanove… diventai ossa e pelle… Chiama­rono due o tré medici, nessuno sapeva spiegare il males­sere. Camminavo per la strada, e vedevo Giacchino. N’amico me salutava? Me pareva Giacchino. La notte, vicino al letto: Giacchino! Ero diventato una pila elet­trica. E penzavo: si nun more Giacchino, io nun pozzo campa. Io moro… io moro… e nun voglio muri, o io o Giacchino. (E ripete l’affermazione con l’ossessione di allora} O io o Giacchino… O io o Giacchino, o io o Giacchino… Don Artu’, mi procurai un coltello a serra­manico: passo passo m’allungai fino alla Tenuta Marviz­zo. «Guè, Giacchi’». Non fece in tempo a puntare il fucile. «Si’ stato tu!» «Nun so’ stat’io, nun m’accide-re». «Nun si statu tu? » «No! » «E giura». «T’ ‘o giu­ro». «Ncopp’ ‘e figlie?» «Ncopp’ ‘e figlie». «Nnanzo a Dio?» «Nnanzo a Dio!» Se mi avesse detto: «Si, so’ stato io», beh lo avrei perdonato. So’ passate cinquanta-sett’anne: don Artu’, l’ultima coltellata a Giacchino nun nce l’aggio data ancora.

arturo Ma, scusate don Anto’, due cestole rotte, tré denti spezzati, una maschera di polvere e sangue, e non lo potevate denunziare’alle autorità?

antonio E quello negava. Al momento dell’aggressione stavamo io lui e le capre… le capre non parlano, dun­que? Lo chiamavano a giuramento e quello giurava da­vanti a Dio. L’umanità si divide in due parti: gente in

buona fede e gente carogna come Giacchino. E la legge non può essere elastica. Il codice penale tiene 266 pagi­ne e 734 articoli. La gente carogna come Giacchino sa­pete come dice? «Approvata la legge, trovato l’ingan­no». E un magistrato che può fare? Queste sono le prove, questi sono i documenti e questi i testimoni. Anche se come uomo lui è convinto della colpevolezza o dell’innocenza dell’imputato, la sentenza deve rispon­dere come un totale di un’operazione di matematica. La legge è fatta bene, sono gli uomini che si mangiano fra di loro… come vi posso dire… ecco: è l’astuzia che si mangia l’ignoranza. Io difendo l’ignoranza.

arturo (poco convinto, ma con un mezzo sorriso opportu­nista) Già.

antonio II discorso ci ha portato fuori strada e vi sto facendo perdere tempo.

arturo Per carità, ho avuto l’onore di una vostra confi­denza.

antonio Perché il colloquio si è svolto fra me e voi. Se invece di due eravamo in tré, la bocca mia rimaneva chiusa.

arturo Ho capito.

antonio Dunque don Artu’, io vi ho incomodato per chiedervi un favore personale e per contribuire con il mio intervento alla composizione di una vertenza che non piace a nessuno, nemmeno a voi se fate ricorso ai sentimenti sani di uomo onesto quale siete.

arturo Dite pure don Anto’. Qualunque cosa, sono a vostra disposizione per servirvi.

antonio Voi mi favorite. Ecco qua, so che fra voi e vo­stro figlio non corre buon sangue.

arturo (ipocrita) Tengo un figlio?

antonio Don Artu’, con me queste «recitate» nun fun­zionano, voi siete un uomo e dovete rispondere da uo­mo. Voi tenete un figlio che si chiama Rafiluccio.

arturo Tenevo. Tenevo un figlio che si chiamava Rafi­luccio. Se non mi dicevate voi il nome non me lo ricor­davo nemmeno.

antonio È cosi insanabile, diciamo, la frattura?

arturo Don Anto’, io ho cominciato a dodici anni a fare il fornaio. Con il lavoro e col sacrificio personale e sa­pendo fare il mestiere, oggi tengo due panetterie che rendono. All’età mia, lavoro ancora; mi sveglio alle cin­que ogni mattina. Lui invece è uno scanzafatiche vaga­bondo scostumato e pure disamorato. Ma come, io ti dico… questo per il passato, perché poi, in seguito, me ne sono guardato bene di trattarlo come figlio… io ti dico: «Stasera non uscire, mi fai un poco di compa­gnia: vediamo la televisione, ci facciamo una partita a carte». Nossignore! Un sacco di scuse: «tengo un ap­puntamento, se me lo dicevi stamattina». E preferisce gli amici a me?

antonio È giovane… va in cerca di compagni giovani co­me lui.

arturo «Si deve presentare questa domanda al Comu­ne, domani scadono i termini: mi raccomando, Rafi-lu’». «Non ci pensate». Dopo tré giorni la domanda la tiene ancora in tasca… ma scusate… Per dirvene una:

io tengo l’abitudine che il venerdì mangio baccalà in bianco. «Rafilu’, hai messo a spugnare il baccalà? » Que­sto il giovedì al giorno: «Come no», fa lui. Torno la sera a casa, l’avete messo a spugnare voi il baccalà? E nemmeno Rafiluccio. Ma volete vedere quanto è disamo­rato? Io tengo un ingrandimento della buonanima di mia moglie, lo feci fare della stessa grandezza dell’in­grandimento del ritratto mio che sta in bottega, ogni venerdì di mese ci metto i fiori, la lampada, e le cande­le… è una devozione che tengo. «Rafilu’, per domani ci vogliono le candele». Niente, come se uno parlasse al vento. Se non le compro io le candele sta fresca la buo­n’anima di sua madre. Questo che significa? Che quan­do si sono chiusi gli occhi miei resta all’oscuro l’ingran­dimento mio e quello di sua madre. È svogliato, è pi­gro. Io sono un lavoratóre e lui è un parassita; non pos­siamo andare d’accordo. E poi ve l’ho detto: è disa­morato.

antonio Ma se voi lo aiutate…

arturo Ah, ecco… se apro la borsa…

antonio Non è un estraneo: è vostro figlio. Io vi capi­sco. Voi dite: se apro la borsa mio figlio diventa affezio­nato.

arturo Ecco.

antonio E voi non lo sapete questo? Don Arturo mio, i figli prima si fanno e poi si comprano.

arturo E io non voglio spendere.

antonio Ma voi tenete due botteghe…

arturo Se parlate della bottega a via Roma, lui non ci può nemmeno accostare. È un locale moderno dove non ci sono impiegati uomini, ci sono tutte ragazze, vestite celeste con le cuffie, che servono al banco, a Na­poli ha fatto effetto… e c’è una forestiera, una svizzera, che bada a tutto l’andamento e porta i conti a me. A Giacinto Albino ci sono io e dove ci sono io è meglio che non c’è lui. E poi… I fatti di casa mia, con tutto il rispetto che sento per don Antonio Barracano, devono rimanere in casa mia. E non tengo nessuna intenzione di mettere i manifesti. Una cosa vi voglio dire: qua non si tratta di due estranei: ma di padre e figlio. E se mio figlio è venuto da voi per farsi proteggere, dovete pensare che questa protezione non l’ha chiesta nei con­fronti di un estraneo, ma nei confronti del padre. Vi pare bello?

antonio Un momento. Vostro figlio non è venuto per questo. La ragione che ha spinto vostro figlio fino a me è un’altra, e per il momento non ve la posso dire.

arturo Io vi credo perché siete la persona che siete, ma devo pregarvi di non occuparvi in questa faccenda in quanto non è un fatto pubblico, ma un fatto privato, di casa mia. Non vi offendete, don Anto’.

antonio Niente affatto.

arturo Nella propria casa ognuno è padrone. (D’un trat­to iroso) Ma ‘e denare miei, Rafiluccio s’ ‘e ppò scurdà!

antonio Troppo giusto, voi siete il padrone. (Lunga pau­sa, durante la quale Antonio cerca un argomento futile per cambiare discorso. Infatti lo trova fingendo di am­mirare la smagliante catena d’oro che Arturo ostenta, a festone, sul panciotto) Avete una bella catena d’oro.


arturo La comprai tanti anni fa all’asta pubblica del Banco di Napoli. 

antonio Con tutto il berlocco?

arturo No. Il berlocco lo comprai a parte quando mori mia moglie… ci sta il ritratto suo dentro.

antonio E questo facciamo: compriamo sempre, com­priamo sempre… Mobili, oggetti, vestiti.

arturo Una casa piena di roba.

antonio Proprietà… Io pure… la stessa mania.

arturo Ma poi uno si ferma, passa quel bisogno irresisti­bile di comprare.

antonio Bravo. A un certo punto mi fermai pur’io. Do­po la revisione del processo mi ammogliai. Vennero i figli… e io compravo. Armida diceva: «Totò, basta:

stiamo bene. La proprietà quando è troppo grossa da fastidio». Mio figlio Gennaro teneva otto anni. Una mattina mi dice: «Papa è vero che quando tu vai al camposanto questa proprietà è tutta roba mia? »

arturo A otto anni?

antonio Ma allora ‘e figlie aspettano ‘a morte d’ ‘o pa­dre? Gennaro, Amedeo, Geraldina… ‘e figlie miei, quan­do saranno più grandi aspettano ‘a morte mia? «No, Genna’, figlio mio… No quando vado al camposanto:

adesso. È tutta roba tua adesso». Chiamai il notaio, feci fare tré parti di tutto, pagai la tassa e feci donazio­ne in vita ai figli miei. Adesso, quando mi chiamano:

«Papa», io e loro sappiamo veramente che significa que­sta parola. Mi concedete un minuto di permesso?

arturo Accomodatevi. (Antonio esce svelto e torna do­po poco seguito da Rafiluccio, il quale, ignaro della pre­senza di suo padre, avanza di qualche passo senza veder­lo, poi lo scorge e rimane come impietrito. Dal canto suo Arturo riceve lo stesso colpo nel vedere suo figlio. Lunga pausa. Torvo, rivolgendosi al figlio) Ti sei mes­so sotto la protezione…’

antonio Non è venuto per questo.

rafiluccio (mal celando l’odio e il rancore che sente per suo padre} Io sono venuto per un’altra ragione.

arturo E allora che c’entro io?

antonio No, c’entrate. Voi siete parte in e fuori causa.

arturo Don Anto’, io non vi capisco. Capisco solamen­te ca stu schifuso non si doveva permettere di incomo­dare a voi e a me. I ponti fra me e lui si sono rotti, è uscito di casa mia, dalla bottega se n’è andato… è mag­giorenne: la vita sua non mi riguarda. E ricordati che quella puttanella in casa mia nun entra.

rafiluccio (velenoso) E chi entra?

arturo (taglia corto) Buona giornata, don Anto’. (E s’av­via per uscire).

rafiluccio Entra quella prostituta schifosa che prima t’ha rimbambito e mo se sta mangiando ‘e denare? En­tra ‘a svizzera, ‘a vacca svizzera.

Entra Amedeo, seguito da Rita.

amedeo Ch’è stato?

rafiluccio E io non trovo lavoro perché a qualunque parte me presento mi dicono: «Ma vostro padre per­ché vi ha licenziato?» E mi chiudono ‘a porta nf accia. E lui mi discredita, parla male ‘e me per giustificare il licenziamento. Ma p’ ‘a puttana soia spenne senza limi­ti. Qualunque somma p’ ‘a puttana soia ce sta.

arturo In casa mia entra chi voglio io. ‘E denare so’ ‘e mieie hai capito? E basta. E nun tè fa vede cchiù ‘a me. Via Giacinto Albino nun esiste cchiù pe’ tè. (Violento) Nun tè voglio vede!

rafiluccio Ma io nun tè voglio sentì! Mannaggia… (Af­ferra una sedia e fa l’atto di lanciarla contro Arturo, ma Amedeo gli ferma in tempo il gesto).

rita (accorre spaventata verso Rafiluccio) Rafilu’ per ca­rità! Nun me fa mettere paura.

arturo (ironico) C’è pure la fidanzata, con la relativa prossima prole.

rafiluccio (sempre trattenuto da Amedeo, cerca dispera­tamente d’inveire) Sangue d’ ‘a Marina!

Entra Armida.


armida Totò, che d’è? 

antonio È niente, è niente.

arturo Povero a tè! (Rivolto agli altri) Guardatelo… al padre! Voi capite? Mi fai schifo! Io me ne vado; don Anto’, mi dispiace che non ho potuto addivenire al co­mando che mi avete dato. Sono a vostra disposizione per qualunque altra cosa; vi stimo e vi rispetto come meritate, ma per quanto riguarda la mia famiglia vi devo dire: fatevi i fatti vostri.

antonio Avete parlato tutto sbagliato. Ma non mi riferi­sco a queste ultime cose che avete detto: da quando siete entrato fino adesso.

arturo Questa è una vostra opinione.

antonio Statte zitto. Quando parl’io: statte zitto. D’al­tra parte se parlavate giusto sarebbe stata la stessa co­sa… e già… perché voi, nei miei confronti, siete andicap­pato da nu fatto: mi siete antipatico.

armida (prevedendo il peggio) Madonna! (Scambia oc­chiate con Amedeo e cenni d’intesa}.

Amedeo afferra il significato di quella mimica e si allon­tana dalla stanza.

antonio Panettie’, a me: «Fatevi i fatti vostri» non me l’ha detto mai nessuno.

arturo Perché forse non siete mai entrato nel vivo di una questione che riguarda un fatto privato di famiglia.

antonio Perché ti ho accordato confidenza, e tu t’ ‘e pi­gliato ‘o dito cu’ tutt’ ‘a mano. La confidenza che ti ho dato t’ha fatto scurdà ‘o nommo mio. È meglio ca t’ ‘o ricordo: io mi chiamo Antonio Barracano.

arturo (visibilmente spazientito) E c’aggia fa’? Io so­no un uomo onesto, un lavoratore, rispettò la legge e mi chiamo Arturo Santaniello.

antonio (cupo} Staie armato?

arturo No, don Anto’.

Geraldina, seguita da Immacolata, entra e si ferma per seguire la scena.

GERALDINA Papa…

Antonio fa cenno alle due donne di scostarsi.

arturo Non sono armato. (Amedeo torna con Fabio e insieme seguono con interesse apprensivo la scena tra i due uomini). Don Antonio Barracano non ha bisogno di suggerimenti, sa come si deve regolare di fronte a un uomo disarmato.

antonio (flemmatico, tira fuori la rivoltella di Rafiluccio, la posa sul tavolo e fa un gesto di invito ad Arturo, che rifiuta l’offerta; Antonio poggia anche la sua sul tavolo e si avvicina lentamente ad Arturo puntandoci negli occhi uno sguardo sprezzante; arrivato a un passo da lui, Antonio si ferma e dopo una pausa dice) Tu si’ na schifezza d’ommo.

arturo (ipocritamente, servile) La valutazione mi viene da un uomo come voi, e l’accetto di buon grado.

antonio Si’ nu fetentone!

arturo (e. s.) Prendo nota e faccio ammenda.

antonio Si’ na munnezza!

arturo Vi bacio le mani e vi chiedo perdono se la mia presenza in casa vostra ha potuto compromettere, per un momento, il suo candore. Me ne vado ringraziando­vi dell’ospitalità e dell’ammaestramento che mi avete impartito. I processi si possono addomesticare… fino a un certo punto. Le prove si procurano… non sempre. I testimoni si comprano, ma ci stanno pure quelli che non si fanno comprare. Un poco di pazienza da parte mia e un poco di prudenza da parte vostra. Buona gior­nata a tutti. (Esce).

antonio È un verme, una carogna. Non è un uomo: è una carogna!

rafiluccio Madonna mia, nun me fido manco d’ ‘o vede!

antonio È tuo padre. Questa è la forza sua. Lui l’ha capito, e tu no. Ci sta l’ergastolo, ‘e capito?

armida (allarmatissima) Ma che d’è?…

fabio Ergastolo?

AMEDEO Papa?

rita Nun fa niente, Rafilu’… (Implorante) Pensiamo a noi… ma perché dobbiamo distruggere la vita nostra?

rafiluccio Don Anto’, salvateme!

antonio È tuo padre.

rafiluccio E che me ne importa?

antonio Si nun tè mporta, si’ n’atu verme pure tu. Santa-nie’, spieghiamoci… Tu non hai capito bene il meccani­smo. Prufesso’, sentitemi pure voi. Amede’, siente. (Al­le donne) Sentite pure voi. Se Antonio Barracano ti aiu­ta, Arturo Santaniello se ne va all’altro mondo in venti­quattro ore. E mi spiego. Tu passi per via Giacinto Albi­no, la bottega… mettiamo… sta là. (Indica un punto della stanza) Tu t’avvicini e ti fermi fuori. Appena sei sicuro del fatto tuo, spare cinque colpi, quattro a desti­nazione e t’ ‘o lieve ‘a tuorno, e uno deve colpire la vetrina della bottega di fronte… la rivoltella? La tene­va tuo padre. Appena t’ha visto, t’ha sparato un colpo, tu sei stato svelto, l’hai disarmato e hai fatto il resto. Licenziamento abusivo, rifiuto di alimenti, convivenza con una prostituta, legittima difesa con prove e testimo­nianze. O tè la faccio cavare con poco o ti assolvono con formula piena.

rafiluccio E allora…

antonio Uh, mamma mia… allora aggio parlato tede­sco? Ma è tuo padre! Non lo puoi fare tu, e non ti posso aiutare io. (Tutti gli altri si scambiano occhiate, approvando il concetto di Antonio) Non ti fissare sulla questione di principio. Alle volte uno si inguaia perché avendo sbilanciata una parola si preoccupa di quello che possono dire gli amici nel caso in cui… eccetera.

fabio Ma gli amici si rendono conto.

immacolata Ma se capisce. Voi siete giovane… tenete tutta la vita, davanti a voi.

armida Bellu gio’, ‘a Madonna v’aiuta… mo vene pure un figlio. E quando ce stanno ‘e figlie ‘a Madonna non abbandona nessuno.

rita Lui guida bene l’automobile… e se si piglia la paten­te di terzo grado…

amedeo Un posto lo troviamo, che diavolo! Vi diamo una mano noi, io, Gennaro, papa.

E tutti attorniano Rafiluccio per confortarlo e convin­cerlo a desistere dal suo folle proposito.

antonio Pensaci bene, Rafilu’. E ricordati quello che ti ho detto mezz’ora fa… « L’ommo è ommo soltanto quan­do capisce che deve fare marcia indietro, e la fa».

rafiluccio (dando sfogo a una disperazione sincera che l’intimo dubbio di una decisione gli ha fatto crescere dentro) E non la posso fare marcia indietro… Don An­to’, non è colpa mia… credetemi… Io quando penzo a quell’uomo… non lo posso chiamare nemmeno padre! Guardate… guardate ‘e mmane… Tremmo tutto quan­to. ‘O penziero è fisso… e ‘a notte nun dormo. (Si esal­ta e pian piano rivive qualche momento dell’idea ossessi­va) Non mangio, non dormo, non parlo… penso sem­pre ‘a stessa cosa. (Come intimando l’ordine a persona viva) Vatténne, penziero! ‘E capito? Vatténne! E nun se ne va, don Anto’. N’amico me parla… e io sento ‘a voce ‘e papa. Chiudo l’uocchie, e ‘o veco, l’apro, e ‘o veco ‘o stesso. ‘A notte, ‘o veco vicino ‘o lietto… Don Anto’, guardate che so’ ridotto, in due mesi ho perduto undici chili. Nun pozzo campa! Nun pozzo campa, cu’ na freva a trentotto, trentanove, continuamente, ca se sta mangianno ‘a vita mia. Nun voglio muri! Sono giova­ne… nun voglio muri! O isso o io, tutt’e duie nun pu­timmo campa. (Pallido e in preda a tremito nervoso si accascia sulla sedia coprendosi il volto con le mani e puntando i gomiti sulle ginocchio}.

antonio (si è incupito, le parole infuocate di Rafiluccio lo hanno riportato nello stato d’animo in cui si trovava allorché l’idea di far fuori Gioacchino, il guardiano del­la tenuta Marvizzo, s’impossessò di lui. Non sa sfuggire a quel turbamento e gli vien detto, quasi senza voler­lo) Povero giovane. Tu hai ragione, in queste condizio­ni non puoi campare. Tu sei come un ammalato grave. E il germe di questa malattia si trova nella polvere del-


la terra. S’attacca alla scarpa dell’uomo, penetra nel pie­de attraverso le ossa e arriva al cervello. Quando sta là comincia a parlare, ti dice il posto adatto, l’orario propi­zio, l’arma che devi usare. E allora sparisce quando t’ha cunsignato mmano ‘e carabiniere. Non c’è niente da fare: o isso o tu! Mi hai pregato d’intervenire? E io intervengo! Ma Giacchino era Giacchino solamente. Ar-turo Santaniello è tuo padre. Come tale deve sapere le tue intenzioni, deve sapere per quale ragione sei venu­to da me, deve sapere perché mi occupo di questa fac­cenda. Mmacula’, cappello e bastone. 

immacolata Sì. (E provvede).

antonio Quando si vuoi disporre di una mercé si fa la richiesta al proprietario e si aspetta la domanda. In que­sto caso, il possessore della mercé è Arturo Santaniello, dalla sua domanda dipende la tua offerta… l’offerta può determinare la sua decisione. E poi decidi tu… e poi decido io… Prufesso’, voi guidate la macchina: m’ac­compagnate?

fabio Sono con voi.

Escono.

ATTO TERZO

L’ampia stanza da pranzo dell’appartamento sito nel rio­ne Sanità a Napoli, residenza invernale della famiglia Barracano.

Come per tradizione, all’inizio della stagione estiva, la signora Armida ha fatto ricoprire tutti i mobili e le tende con delle lenzuola e togliere i quadri dalle pareti. In sostanza, l’appartamento è smontato e appare inabi­tabile. Soltanto il tavolo centrale è stato apparecchiato festosamente per un pranzo ed è pronto per otto com­mensali. È sera. Lampadario acceso. Sdraiato in una pol­trona vediamo Antonio Barracano col volto pallido, su cui sono evidenti i segni di una sofferenza fisica soppor­tata con stoica rassegnazione. Seduto accanto a lui, da­vanti alla macchina da scrivere collocata su un’altra se­dia, intento a battere ciò che gli sta dettando Antonio, si troverà Fabio.

fabio {dopo di aver battuto le ultime lettere per completa­re la frase) E adesso la dovete firmare.

antonio E fatemi sentire prima che abbiamo scritto, se ci vuole qualche altra cosa.

fabio Quello che mi avete detto, quello ho scritto. Tem­po non ne possiamo perdere. Ad ogni modo… (Toglie il foglio scritto dalla macchina…} sentite se va bene. (All’ingresso si suona). Chist’è Luigi. {Esce svelto. Tor­na dopo poco seguito da Luigi e Vicenzella) Bravo, bra­vo Luigi e brava pure Vicenzella.

luigi (reca un pacco con otto polli arrosto e una grande torta incartata) Tutto a posto. Otto pollastri, come


avete detto, insalata, formaggio e dolce: un gatto spe­ciale. 

fabio Portate tutto in cucina. I pollastri li mettete nei piatti grandi da portata.

vigenza [con un cesto di verdura, frutta e ghiaccio} La frutta la metto sotto ghiaccio; l’insalata la preparo, la taglio, poi si condisce al momento.

fabio Andate e fate presto.

luigi Prufesso’, il dolciere non ci voleva credere che il gatto serviva per don Antonio. «Tu qua’ don Antonio, diceva, quello sta a Terzigno con la famiglia». E non c’è voluto poco per fargli capire che don Antonio era tornato veramente.

fabio Non ci voleva credere?

luigi Siamo ai primi di settembre, don Antonio torna dalla villeggiatura sempre alla metà di ottobre.

fabio Ma noi ci tratteniamo a Napoli solamente stasera, domani mattina ce ne torniamo a Terzigno.

luigi Don Anto’, cu’ salute, tornate presto… qua sola­mente quando ci state voi si vede la faccia di una lira. {Avviandosi verso la cucina) Vicenze’, viene.

vigenza Permettete. (Ed esce insieme a Luigi).

fabio Come vi sentite?

antonio Prufesso’, io non mi sento niente.

fabio Non è possibile. Avete un fisico eccezionale, que­sto è vero, ma siete fatto di carne e ossa come tutti quanti. Don Anto’, la lama è entrata in cavità per sei centimetri circa. Qua, in casa, non sono attrezzato… senza ferri, senza tintura di iodio… che potevo fare? Ho fatto una fasciatura stretta, questo è tutto. Benedet­to uomo! Appena è successo il fatto, invece di venirmi a dire che vi eravate sentito male improvvisamente e che volevate venire qua per riposarvi, mi dicevate la verità e con la stessa macchina facevamo una corsa al pronto soccorso. ‘ “

antonio E allora dovevo fare la denunzia? Dovevo sco­prire le carte accusando indicando e facendo nomi di persone per mettere in movimento un processo pena­le? E perché? Perché questa volta il danneggiato sono

io. Quanti fatti e misfatti ho messo a posto e sistemato senza ricorrere alle autorità. Adesso che si tratta di me: «Signora maestra, mettete in castigo a quello».

fabio Facevate la denunzia contro ignoti senza fare no­mi. Dicevate che uno sconosciuto vi aveva aggredito. « Se lo vedo lo riconosco ma i connotati non me li ricor­do».

antonio Questo per quanto riguarda le autorità. E la mia famiglia? I figli miei? I figli miei lo sapevano che

10 ero andato a parlare con Arturo Santaniello… avreb­bero immediatamente stabilita la verità. Gennaro e Amedeo contro Santaniello. Altro sangue, altre vendet­te. Basta, professo’… basta!… Noi abbiamo lavorato in­sieme trentacinque anni per restringere il più possibile la piaga dei reati, non per allargarla. fabio Ma non vi ha dato il tempo di parlare? antonio Appena sono entrato in bottega… chi sa, forse ha creduto che io tenevo brutte intenzioni… Ho detto:

«Don Artu’, vi volevo pregare». «Entrate», ha detto lui. In bottega, non c’era nessuno. Io mi sono avvicina­to a lui e lui a me. Professo’, come succedono le cose?

11 coltello o lo teneva già in mano o lo ha preso dal banco, non lo so, mi ricordo solamente che quando mi ha dato la botta qua (indica il lato sinistro dell’addo­me), in quello stesso momento è entrato un comprato­re. E sapete chi era? ‘O Cuozzo. Quel falegname ch’è venuto da me stamattina, quello della cambiale…

fabio Quello che strillava: «Don Antonio è ‘o paté ‘e Napule! Don Antonio è ‘o paté nuosto… Tè vulimmo bene, Totò! » Io l’ho sentito dalla camera mia.

antonio Santaniello se n’è andato nel retrobottega e ‘o Cuozzo se n’è scappato.

fabio E voi non eravate armato?

antonio Tenevo ‘a rivoltella, ma ho pensato immediata­mente ai figli miei. «Se sparo, la catena dei delitti conti­nua e si allunga». Mi sono messo una mano sulla ferita, e me ne sono venuto in macchina, dove mi stavate aspet­tando voi. Il pericolo adesso sapete qual è? ‘O Cuozzo. Se ‘o Cuozzo parla, ‘e figlie mieie vanno ngalera.

fabio Io ho fatto tutto quello che mi avete detto. Quan­do sono sceso per invitare gli amici e dare le disposizio­ni per Santaniello, mi sono allungato fino alla bottega del Cuozzo e mi ha dato assicurazione che sarebbe ve­nuto.

antonio Voi partite dopo domani. (Coglie a volo un’azio­ne di Fabio) Potete partire. Con questa cena vi diamo l’augurio di buon viaggio e di buona permanenza in America. (Breve pausa}. Ma io veramente nun me sen­to niente. (Si passa una mano sulla fronte) Un poco di sudore… Mah, andiamo avanti. Ci vuole molta calma perché dobbiamo calcolare tutto e fare diverse altre co-sette. Mi date un sorso d’acqua?

fabio Lo vedete? Incominciate a bere. (Dandogli da be­re) Voi avete il peritoneo spaccato e la milza forata.

antonio Volete leggere la lettera?

fabio (disponendosi a leggere il foglio scritto a macchina} «Caro Bastiano… la persona che ti consegnerà la presen­te è il dottor Fabio Della Ragione che mi è stato vicino per tanti anni, mi ha curato e ha servito la causa comu­ne con sacrificio e fedeltà. Se ne viene in America da suo fratello, perché stanco e avanti negli anni cerca un poco di pace e di riposo. Presentalo agli amici, fallo rispettare e trattalo come se fosse la stessa persona mia. Se vuoi sapere notizie sulla mia salute le puoi do­mandare a lui. Non sto tanto bene col cuore e credo che me ne andrò presto all’altro mondo; non ti dispiace­re perché non dispiace nemmeno a me; tengo settanta-cinque anni e li ho saputi campare, li ho spesi bene e se li dovessi spendere un’altra volta li spenderei nella stes­sa maniera, compreso Gioacchino. Questa forse è l’ulti­ma volta che ti scrivo. Lo faccio per baciarti la mano in segno di gratitudine per tutto quello che hai fatto per me da quando avevo diciotto anni fino adesso. Mantieni­ti forte e salutami gli ‘amici tutti, tuo affezionatissi-mo…» Va bene cosi?

antonio Dateme ‘a penna. (Fabio gli porge la biro e lui firma) Antonio Barracano. (Si toglie un anello e lo por­ge a Fabio) Questo è per voi.



 

fabio (confuso) Don Antò’…

antonio Vedete se vi sta.

fabio (lo prova) Si.

antonio Questo me lo regalò Bastiano quando me ne tornai in Italia; mi disse: «Tè lo devi far togliere da una persona amica quando hai chiuso gli occhi per sem­pre. Questa persona lo porta a me, se sono ancora vi­vo; e se no, se lo tiene lui». È un anello che appartene­va al padre, il quale subì un processo ingiusto e morì in galera. È una storia lunga. Glielo fate vedere e lui si toglie il cappello. E se non lo tiene, se lo va a mettere, torna e se lo toglie davanti all’anello. Fatemi bere. (Fa­bio gli porge il bicchiere con l’acqua). Porta sete ‘o fat­to d’ ‘a milza. (Beve) II fatto è successo un’ora fa… un’altra eretta di tempo ci sta?

fabio Sì.

antonio II tempo di andare a Terzigno domani, voi ce

10 avete. I due mastini: Munaciello e Malavita… non li fate soffrire. Ci pensate voi, la famiglia mia non vede di buon occhio quelle due bestie. Mia moglie certamen­te li regala. L’umanità si divide in due categorie, buona fede da una parte, malafede dall’altra, come fosse: An­tonio Barracano e Arturo Santaniello… a voi non manca modo con un paio di siringhe… (Fa il gesto di spedire qualcuno all’altro mondo) Può darsi che capitano in ma­no a un Arturo Santaniello.

fabio State tranquillo.

antonio (indicando il vestito che indossa) Questo vesti­to, questa camicia, le mutande… mi devo cambiare. Non vorrei farmi trovare questa roba addosso domani mattina… In casa ci sono altri vestiti e altra biancheria. Questa roba ve la mettete in valigia e ve la portate voi.

Il referto medico lo fate adesso?

fabio Non c’è necessità.

antonio Lo prepariamo.

fabio Lo faccio quando è il momento.

antonio Che diciamo?

fabio Come volete voi.

antonio Collasso cardiaco.


fabio Va bene. (Si suona all’ingresso. Vicenzella entra e attraversa la stanza}. C’è qualcuno all’ingresso. 

vigenza Sto andando. (Esce).

fabio Dev’essere ‘o Cuozzo.

antonio Speriamo. (Beve un sorso a’acqua).

fabio No, viene certamente.

vigenza (introducendo Rafiluccio e Rita) Entrate, don Antonio sta qua.

rafiluccio Buona sera, don Anto’.

rita Buonasera.

antonio Mbé?

rafiluccio Don Anto’, avevo necessità di vedervi. Non sapevo dove trovarvi. Per fortuna ho incontrato ‘o Cuozzo, e lui mi ha detto che stavate in casa perché vi siete fermato a Napoli, tanto è vero che l’avete invitato a cena stasera qua.

antonio Bé?

rafiluccio La vostra signora donna Armida, è stata una santa. Me ne ha dette tante e tante che non vi dico… mi ha commosso… mi sembrava di sentire parla­re mia madre.

rita Ha detto che ci da un quartino di due stanze e cuci­na, che tiene sfitto…

rafiluccio Ha preso simpatia per Rituccia e ha detto:

«Quando vi sistemate cominciate a pagare la pigione».

rita Vostro figlio si piglia a Rafiluccio nel negozio a lavo­rare con lui.

rafiluccio Io poi mi sono ricordato delle parole vo­stre: «L’uomo è uomo quando capisce che deve fare marcia indietro e la fa». Voglio essere uomo, don An­to’. E vi sono venuto a dire di non preoccuparvi più della faccenda di mio padre.

rita È stata ‘a Madonna!

antonio (con amara ironia) E brava ‘a Madonna! Mi fa piacere. Tanto più che’la’conversazione con tuo padre ha avuto un esito positivo.

rafiluccio Ah?

rita C’ha ditto?

antonio E che doveva dire? Si è dovuto piegare. Ha det­



 

to: «Va bene… ditemi qual è la somma che devo dare a mio figlio». Io ho sparato una cifra: due milioni. Sul principio è rimasto male, voleva risparmiare… ma poi ha dovuto cedere.

rafiluccio Vuie che dicite?

antonio In quel momento non aveva liquidi. Ho detto:

«Va bene, don Artu’… provvedo io, poi mi restituirete la somma con vostro comodo». Fra galantuomini basta una stretta di mano. I due milioni tè li dò io, e poi me li faccio ridare da tuo padre. Prufesso’, volete prendere il portafoglio dalla tasca della mia giacca… tengo un dolore in questo braccio, non lo posso muovere.

fabio Faccio io. {Prende il portafogli dalla tasca della giacca di Antonio).

antonio Aprite. Ci sta il libretto di assegni.

fabio (esegue) Eccolo.

antonio Riempitelo voi e io firmo. Fate: Napoli io set­tembre 1960. (Fabio scrive sull’assegno). Raffaele Santa-niello. Due milioni.

fabio Ecco fatto.

antonio Date a me. (Fabio gli porge l’assegno e lui fir­ma) Tieni Rafilu’… e con buona salute.

rapiluccio Don Anto’, io non so come ringraziarvi. (A Rita) Bacia ‘a mano a don Antonio.

rita Tutt’e ddoie… (Bacia le mani di Antonio).

antonio Grazie, piccere’. Pensate a voi e a fa’ figli assai. E adesso se ve ne andate fate bene perché aspetto gente.

rafiluccio Andiamo, Ritu’. Don Antonio ha da fare. Buona sera prufesso’.

fabio Buonasera.

rafiluccio Grazie e di nuovo. (Esce con Rita).

antonio La lettera dove sta?

fabio Quella di don Bastiano?

antonio No, quella la dovete portare voi in America; la prima che vi ho fatto scrivere.

fabio Eccola qua. (La mostra).

antonio Tenetela voi, quando è il momento ve la chiedo e me la date.


Entra Vicenza. 

vigenza Prufesso’, abbiamo preparato tutto. Il vino bian­co o rosso? fabio Polli arrosto: vino rosso. (Campanello interno).

Apri la porta. (Vicenzella esce). Come vi sentite? antonio Bene, prufesso’. Sudo… questo si. vigenza (introducendo ‘o Cuozzo} Entrate.

‘O Cuozzo entra senza parlare, si ferma a tré passi dal­l’ingresso e abbassa lo sguardo.

fabio Don Antonio diceva che non saresti venuto, ma io ero sicuro di vederti qua.

•o cuozzo Chiamato da don Antonio, vi pare che potevo mancare?

fabio Tanto più che il momento è grave. Forse è l’ulti­ma volta che vedi Antonio Barracano.

‘o cuozzo Voi che dite, dotto’?

fabio Non c’è niente da fare.

‘o cuozzo Madonna!

fabio Piangeremo un grande amico. Dunque, si tratta di una cosa delicata. Il fatto ch’è successo un’ora fa. Tu sei l’unico testimone. In bottega non c’era nessuno è vero don Anto’?

antonio Lui è entrato proprio nel momento giusto.

fabio Don Antonio di questo si preoccupa. Sa benissimo chi sei e la devozione che senti per lui.

‘o cuozzo Ma di che cosa state parlando?

fabio Del fatto ch’è successo nella panetteria in via Gia­cinto Albino.

‘o cuozzo Quale fatto?

antonio Aspettate, prufesso’… Come: «Quale fatto?» Non sei entrato tu nella panetteria in via Giacinto Albi­no, un’ora fa, mentre stavamo parlando Santaniello e io?

‘o cuozzo No. Un’ora fa io stavo a casa, avete preso uno sbaglio.

antonio (con amarezza} Ho capito, non eri tu… non sai



 

niente e non hai visto niente. E io questo volevo, per­ciò ti ho fatto venire. Prufesso’, possiamo stare sicuri:

questo fetente non parla… Quando sei entrato mi hai guardato in faccia e hai capito… il professore t’ha spie­gato la situazione… e staie sicuro… ‘O panettiere t’ha minacciato… e hai ragione pure tu.

fabio Avete visto che avevo ragione io? Si gira a vuoto.

antonio No. Ho ragione io. Un don Antonio Barracano oggi, uno domani, un altro dopo domani… può darsi pure che i figli dei figli dei figli miei e di questo fetente (indica ‘o Cuozzo) trovano un mondo che gira lo stes­so, ma un poco meno rotondo e più quadrato. Siete d’accordo?

fabio No!

antonio È un pezzo che io e voi non andiamo d’accordo. Mi voglio cambiare il vestito; mi date una mano.

fabio Certamente.

antonio Dobbiamo fare presto perché vengono gli ami­ci. Festeggiamo il dottore che parte per l’America. Que­sta è la scusa, ma con tè si può dire la verità… tanto tu non parli. Trovandosi gli amici qua, domani possono te­stimoniare e dire perché mi sono sentito male. «Ma c’è stato? Ma ch’è successo a don Antonio?» «Nien­te… Quello era vecchio… settantacinque anni… collas­so cardiaco…» Resta pure tu, ti trovi e puoi fare da testimone pure tu. Falso però. (Esce sonetto da Fabio).

Dopo breve pausa si suona all’ingresso. Vicenza entra e attraversa la stanza.

vigenza V’hanno lasciato sulo sulo?

‘O Cuozzo non risponde; Vicenzella torna dopo poco e se ne va di nuovo in cucina.

Entra Arturo pallido, stravolto, allucinato; lo conduco­no due misteriosi personaggi: Peppe Ciucciù e Zibac-chiello. I due non parlano, sorridono enigmatici,

arturo (implora} Ma mi volete dire di che si tratta? Che volete? Dove mi avete portato? Con chi devo par­lare?

peppe Siamo amici; non vi preoccupate.

arturo Ma dove siamo? Di chi è questa casa?

zibacchiello È una casa, non la vedete?

peppe C’è una tavola apparecchiata, una cena pronta, al­tri invitati che verranno, state tranquillo.

arturo (sbottando) Io sono un uomo! Non sono un bam­bino che si preleva e si porta dove si vuole. (Esaspera­to} Ma c’è una giustizia o no? Ma veramente un libero cittadino deve sottostare agli abusi di gente prepoten­te, di fuori legge che ti mettono in condizione di passa­re un guaio? Sono un lavoratore! Un uomo onesto! La­sciatemi andare; tengo la febbre, sentite… (Allunga il braccio) Sono febbricitante. Mi sono fatto sempre i fat­ti miei: casa e bottega, senza domandare niente a nessu­no. Ogni venerdì di mese vado al cimitero da mia mo­glie… Quella santa donna… che se fosse viva sarebbe differente. Campo solo, senza una parola di conforto, con un delinquente di figlio che mi ha messo in queste condizioni. Mo è contento… l’ha mannato ngalera ‘o pa­io, l’ha distrutta finalmente ‘a casa mia… (Rivolto ai due, supplichevole} Voi siete uomini, avete un cuore, un cervello, aiutatemi. (S’inginocchia ai piedi dei due} Io vi bacio le mani, i piedi, tengo il biglietto fatto, devo partire per la Svizzera… (Trae di tasca il libretto degli assegni} Dite voi la cifra… quanto volete? (I due non rispondono}. Rispondete, rispondete! Non sono de­gno nemmeno di una risposta?

fabio (entrando} Che c’è? Ah, voi siete Arturo Santaniel-lo… bravo… Vi siete ridotto bene.

arturo Io ero un uomo onesto e mi facevo i fatti miei…

fabio E questo è il guaio, avete chiuso gli occhi, vi siete otturate le orecchie e avete vissuto come se al mondo ci foste stato voi solo. Poi si meravigliano quando la vita li scova, li piglia per il colletto e li mette di fronte alla realtà della convivenza civile. Quando succedono i guai: «Io mi facevo i fatti miei». E adesso perciò state



 

qua, per un fatto che vi riguarda. Per un fatto che ave­te iniziato con gli occhi chiusi e che adesso lo dovete concludere con gli occhi aperti. (Campanello: Fabio chiama) Vicenze’.

Entra Vicenza.

vigenza Sto qua.

fabio La porta.

vigenza Permettete. (Esce e torna introducendo Palum-miello, ‘o Nait, ‘o Nasone e sua moglie) Venite, entrate.

‘o nasone Grazie. (Scorgendo ‘o Cuozzo) Tu pure staie ccà? (‘o Cuozzo non gli risponde}. Che bella educazione.

la moglie Sei scemo tu che gli dai confidenza.

‘o nasone Hai ragione: non vale la pena.

‘o nait Stasera perdo un affare importante. Ci sta l’arri­vo di un piroscafo inglese. Potevo dire di no a don Antonio Barracano?

‘o nasone Per una sera ne puoi fare passaggio.

Entra Fabio.

fabio Possiamo prendere posto. (Chiamando} Vicenze’, potete servire. (Tutti seggono intorno al tavolo, Artu­ro rimane in disparte}. Don Artu’, voi qua. (Indica il posto accanto a quello riservato a don Antonio) Vici­no a me.

Peppe e Zibacchiello accompagnano Arturo al posto in­dicato da Fabio e lo fanno sedere.

luigi (recando i polli} Ecco i pollastri. vigenza E l’insalata.

fabio Sedetevi pure voi. Ho avuto ordine di farvi sedere a tavola con noi.

Luigi e Vicenzella prendono posto.

luigi Buona salute a tutti.

fabio Permettete. (Esce svelto e torna dopo poco dando il braccio ad Antonio).

La presenza del vecchio Barracano provoca un silenzio pieno di apprensione e interrogativi. Lo sguardo dell’uo­mo non è più acceso e combattivo, il volto è pallidissi­mo e il passo malfermo, tuttavia Fabio riesce a condur-lo e a farlo sedere al posto suo. Un freddo applauso conclude l’arrivo del vecchio. Arturo e ‘o Cuozzo sono rimasti a testa bassa.

antonio Scusate, ma non mi sento tanto bene. La natura umana così è. Il nemico sta sempre in agguato: mentre stale bello e buono ti tirala pugnalata. È cosa ‘e niente. Noi stasera facciamo un poco di allegria al dottore che deve partire. Il dottore per noi è stato un amico che per molti anni si è sacrificato per aiutarci in tutte le eventualità. Noi lo ringraziamo e gli siamo riconoscen­ti. (Tutti applaudono il dottore). Sarebbe rimasto anco­ra in mezzo a noi e avrebbe fatto ancora il suo dovere se non fossi stato io a dire: Professo’, è venuto il mo­mento che la dobbiamo smettere. Tengo un’età, sono stanco, qualche acciacco ci sta, e mi voglio ritirare pu-r’io a vita privata. Da questa sera il rione Sanità non dipende più da me.

peppe Don Anto’, e ci lasciate cosi da un momento all’al­tro?

antonio Non poteva continuare eternamente. La igno­ranza è assai. È un mare di gente che ha bisogno di essere istradata, protetta; un uomo solo come fa? La resistenza umana tiene i limiti suoi. È l’umanità, è il mare di gente che deve capire che gli animali tengono ancora il pelo addosso e noi, invece, ci siamo messi i vestiti, scarpe, camicie,’cravatta. Non dico che quello che ho fatto io in trentacinque anni è stato inutile, anzi è servito a restringere una catena alla quale si potevano attaccare tante altre maglie… speriamo che col tempo non vi sarà più bisogno di un Antonio Barracano.

‘o nait Insomma, veramente ci volete lasciare?

antonio Tutto finisce, e finisce bene quando finisce con un pranzetto e in buona compagnia. Ci ha onorati don Arturo Santaniello che tutti conoscete. (Consenso di tut­ti}. Mi ha fatto piacere di vederlo, cosi ho potuto sape­re che è finito il malumore che c’era con suo figlio Rafi-luccio. Don Arturo era angustiato per una questione che era sorta fra lui e il figlio. Fortunatamente ho potu­to appianare ogni cosa. Don Artu’, vi ho servito: ho consegnato a vostro figlio i due milioni che voi stesso mi diceste di dargli, e vi ringrazio della lettera che mi avete scritto. Prufesso’ ‘a lettera.

fabio Pronto. (Trae di tasca la lettera e gliela consegna).

antonio Prufesso’, leggetela voi, non ci vedo tanto bene e po’… sto stanco.

fabio (legge) Carissimo don Antonio, vi accuso ricevuta di lire 2 ooo ooo e prendo nota che li avete consegnati a mio figlio Rafiluccio. Mi avete fatto un grande favore perché in questo momento non mi trovavo liquidi in casa. Va senza dire che vi restituirò la detta somma non appena me la richiederete. Grazie ancora e con tut­ta stima mi dico vostro…

antonio (per un attimo gli lampeggiano gli occhi e li pun­ta tremendi su Santaniello) Vi siete dimenticata la fir­ma… volete firmare?

arturo (con un filo di voce) Si.

Fabio gli porge la biro e lui firma.

antonio Avete il libretto di assegni?

arturo Eccolo qua.

antonio Intestatelo alla signora Armida Barracano. (Ar­turo riempie l’assegno, lo stacca dal libretto e lo porge ad Antonio). Prufesso’ questo lo consegnate a mia mo­glie.

fabio Va bene. (Intasca l’assegno).

antonio E mangiate, bevete. (Ma lentamente si piega su se stesso comprimendo il braccio sinistro sull’addome, poi strabuzza gli occhi e reclina il capo).

tutti Don Anto’!

fabio È niente, è niente, adesso vedo io. (Solleva Anto­nio} Don Anto’, andiamo in camera da letto, vi stendete un poco, là vi posso visitare meglio… (E senza attende­re una risposta lo costringe ad alzarsi e seguirlo} Quel­lo adesso si riprende, voi continuate a mangiare. (E s’avvia con Antonio verso la camera da letto}.

‘o cuozzo (si alza piangendo e si avvicina ai due} Don Anto’… Don Anto’…

antonio (riesce appena a dire} Che vuó?

‘o cuozzo Don Anto’, so’ stato minacciato.

antonio ‘O ssaccio. (E s’avvia di nuovo}.

‘o cuozzo (insistente} Don Anto’, non me lassate accus-si…

fabio Ma che vuoi?

‘o cuozzo Don Anto’, salutatemi.

antonio (fissandolo con gli occhi spenti) Tè saluto.

‘o cuozzo E dateme ‘a mano…

antonio (dopo breve pausa, sorride ironico e trova la for­za per dire} No, ‘a mano no. (finalmente esce, sorret-to da Fabio}.

‘o nasone A me don Antonio non mi persuade.

la moglie Che brutta faccia che teneva.

‘o nait Ci sta pure l’età.

luigi Don Antonio è forte.

palummiello (al Nait) Damme chella bottiglia.

‘o nait (la porge) II pollastro è squisito.

‘o nasone Io un pollastro me lo mangio come fosse niente.

vicenzella Papa l’insalata.

Cominciano a mangiare e a discorrere allegramente. Fabio torna a testa bassa, si avvicina al tavolo al posto di Antonio, ci si ferma in piedi, guarda con disprezzo tutti i commensali analizza’ndoli uno per uno, come se li vedesse la prima volta, dopo una lunga pausa duran­te la quale il silenzio intorno è diventato fitto di ansio­sa attesa, annunzia con voce opaca.

abio Don Antonio è morto! Tutti si guardano costernati.

pascale Povero don Antonio!

la moglie È stato il cuore?

fabio Proprio cosi. Aveva un cuore enorme, con una por­ta che si apriva puntualmente quando c’era qualcuno che ci andava a bussare,

‘o nait Uomini come Antonio Barracano non ne vengo­no più.

fabio Gli sono stato vicino per trentacinque anni, gli ho voluto bene, l’ho stimato… e so io che cosa provo di dolore in questo momento. E adesso parlate voi. (Ar tu­ro non fiata}. Don Artu’, dovete parlare! (Rivolto a ‘o Cuozzo} Allora parla tu. (‘O Cuozzo abbassa la testa e rimane a bocca chiusa). Tu gridavi: «Don Antonio è ‘o paté nuosto! Don Antonio è ‘o paté ‘e Napule». (Gli si avvicina e lo prende per il collo) E perché non parli adesso?

‘o cuozzo E che devo dire? Io nun saccio niente.

fabio Non sai niente? Don Artu’, voi nemmeno sapete niente? Qua abbiamo preso l’abitudine di mandare con­tinuamente la coscienza in lavanderia. Ma non soltanto noi: tutti senza salvare la faccia di nessuno, dal pezzo grosso fino all’ultima ruota del carro. E io dovrei esegui­re scrupolosamente la volontà di don Antonio per salva­re chi? Due carogne che hanno paura di dire la verità, due schifosi che preferiscono la bugia, l’ipocrisia, la mi­naccia, il ricatto… Fa comodo a tutti un Antonio Barra­cano che se ne va all’altro mondo per collasso cardiaco dopo avere speso una vita intera per limitare la catena dei reati e dei delitti. Avrebbe dovuto spenderla per allargarla. Come spenderò i miei ultimi anni. Io non parto, resto qua. (Va al telefono e forma un numero, la comunicazione arriva) Pronto… vorrei chiamare al cen­tralino di Terzigno il numero del telefono della tenuta Barracano. Qui 31 40 21. Grazie. (Riattacca, trae di ta­sca l’assegno di due milioni e lo consegna a Santanie lo) Questo lo darete alla vedova, se sentirete il bisogno di fare il vostro dovere. (Rivolto a ‘o Guazzo} Tu parle­rai se vorrai. (Rivolto a tutti gli altri} Voi racconterete quello che avete visto e sentito stasera, se lo volete raccontare. Io faccio il referto medico come mi detta la coscienza. Usciranno i figli di don Antonio, i parenti di don Arturo, i compari, i comparielli, gli amici, i protet­tori: una carneficina, una guerra fino alla distruzione totale. Meglio cosi. Può darsi che da questa distruzione viene fuori un mondo come lo sognava il povero don Antonio, «meno rotondo ma un poco più quadrato». E comincio io col firmare il vero referto col mio nome e cognome: Fabio Della Ragione. Scannatemi, uccidete­mi, ma avrò la gioia di scriverci sotto: in fede. (Siede davanti alla macchina da scrivere e comincia a battere il referto).

fine