LE BUGIE CON LE GAMBE LUNGHE

 

 

LE BUGIE CON LE GAMBE LUNGHE

di

EDUARDO De FILIPPO

 

Personaggi:

 

Libero Incoronato esperto in filatelia

Costanza sua sorella

Carmela portiera

Graziella

Roberto Perretti

Benedetto Cigolella piccolo industriale

Olga sua moglie

Cristina madre di Olga

Guglielmo Caputo maschera del cinema

Angelina Trombetta sua moglie

La balia

La levatrice

Lo zio Benedetto

Primo figlio

Secondo figlio

Il fratello di Benedetto

 

 

 

ATTO PRIMO

In casa Incoronato.

Tre camere, cucina e bagno, al quinto piano, interno 84, scala C, sito al Vasto alla Ferrovia n. 186. Il più meschino e mode-sto appartamento della lunga serie di cui dispone l’immenso fabbricato stile Novecento, costruito in altra epoca a scopo spe­culativo. Da un ampio vano praticato alla parete di fondo, al centro si scorgerà il terrazzo, ricoperto e pavimentato con rettangoli di vetro cemento per dare luce alla camera che vedia­mo, e al terrazzo sottostante. Da questo si scorgono, come un alveare, le finestre dei due versanti dirimpettai, ‘con al centro incolonnate quelle delle cucine che, a guardarle a distanza, dàn­no l’impressione di tale fragilità da far pensare a «casarelle» fatte con cento mazzi di carte da giuoco, costruite pazientemen­te da un virtuoso, il quale sia riuscito a realizzare un miracolo di equilibrio. In fondo, a destra, la comune. In prima quinta a sinistra ed in prima quinta a destra, porte. Quella di sinistra introduce nella camera di Libero, quella di destra nella camera di Costanza. La stanza che vediamo è stata adibita un po’ a tutti gli usi. Ci si mangia, ci si lavora, ci si intrattiene. Mentre la struttura delle pareti, sia nel movimento che nel colore, è de­cisamente di stile Novecento, l’arredamento, al contrario, è costituito da poveri mobili del secolo scorso. Vediamo: un tavo­lo, al centro, ricoperto da un vecchio tappeto turco. Metà del tavolo, quella di sinistra, è apparecchiata per due coperti, con una tovaglia rattoppata e con stoviglie spaiate. Un cassettone, un buffet con alzata, un’ottomana, una macchina da cucire, una sedia a dondolo e altre sedie impagliate. Qualche quadro insi­gnificante alle pareti. Si nota, però, una certa dignità special-mente nell’ordine e nella pulizia. Se qualche mobile è troppo grande in proporzione della parete sulla quale è addossato, per cui sconfina a danno dello stipite di una porta è, in compenso, spolverato e lucido. Libri curati e ben disposti, un po’ dappertutto. E‘l’ora della cena. Il lampadario centrale, di stile Li­berty, ha una sola lampada accesa. Le altre quattro sono state svitate, in modo da tenerle spente per economizzare la corren­te. Quando va su il sipario, la scena sarà vuota: Dopo una picco-la pausa si udrà, dall’interno, la voce di Costanza che parla rivolgendosi a Carmela, la portinaia.

COSTANZA (di dentro)Entra, Carme’. (Entra dal fondo a destra seguita da Carmela che reca un fiasco di acqua. Costanza è una donna sui quarant’anni. Poco piú che misera nel vestire. Carat­tere docile, umile, mite)Potevi aspettare ancora un altro poco. Mio fratello non è rincasato ancora; mo succede che quando torna e ci mettiamo a tavola per cenare, l’acqua si è fatta calda.

CARMELA Embè, signuri’: chella ‘a padrona ‘e casa ogni volta che si usa l’ascensore si fa attaccare per pazza. Comme si ‘o tirasse essa. Dice che se ne devono servire solo gli inquilini… «E nuie? » «Salite a piedi! » Comme si fosse ‘o palazziello ‘e tre piane! Aggio approfittatoca saglieva ‘a signurina Graziella,affianco a voi, e sono salita con lei.(Alludendo all’acqua) Ma è gelata, sentite. (Le porge il fiasco per farle constatare la verità di quanto asserisce).

COSTANZA Si, ma averla fresca al momento di mettersi a tavola è un’altra cosa.

CARMELA Capisco… ma io sei piani a piedi, ve dico ‘a verità, nun me fido d’ ‘e ff a’. (Fa per poggiare il fiasco sul tavolo).

COSTANZA (allarmata) Fosse bagnato sotto?… (E senza attendere risposta colloca un piatto su cui poggia il fiasco)Se no, si rovina il tappeto.

CARMELA (pettegola) ‘Asignurina Graziella si è ritirata piú presto, stasera. E quanta pacche e pacchette ch’ha purtato! Ma quanto spenne, viat’ a essa! Chella mo è sola, essa e na camma­rera?… Embe’: io dico che pe’ mangià sulamente, spenne due-mila lire ‘o giorno. Ha vuluto sapé si eravate in casa. Anze m’ha ditto ‘e ve dicere ca se vene a misura ‘o vestito.

COSTANZA Quando viene, qua sto.

CARMELA (insinuante)Pure n’aiuto è pe’ vvuie, è vè?

COSTANZA (infastidita) Naiuto?… Io a sarta faccio.

CARMELA (non disarma)Nun s”e mmette nemmeno… tene tan­ta vestite… nun l’aggio vista maie ‘e purtà nu vestito fatt’ ‘a vuie.

COSTANZA (dominandosi) E’vuol dire ca s”e ffa fa e po’ ‘e ‘rrega­la… che t’aggia dicere?…

CARMELA E ched’è?. Uno se fa fa’ ‘e vestite e po’ ‘e ‘rregala?

COSTANZA Carme, tu sei bella e cara, ma tieni un solo difetto: allora sei felice quando puoi raccontare i fatti degli altri. Tanto io quanto mio fratello, di quello che succede nel palazzo non ne vogliamo sapere niente. Perciò andiamo d’accordo con tutti quanti: «Buongiorno», «Buonasera», e basta.

CARMELA E nun ve pigliate collera. Vuoi dire che io unaltra volta non parlo più.

COSTANZA È molto meglio.

CARMELA (cambiando discorso)Per domani, vi serve niente?

COSTANZA No, niente. Poi, del resto, se serve qualche piccola cosa, quando scende mio fratello te lo dirà. Lui scende presto la mattina. Mi fa meraviglia che non è tornato ancora. A quest’ora sta sempre a casa.

CARMELA E mo ‘o vedite ‘e veni. (Campanello interno).Questo sarà lui.

COSTANZA (avviandosi verso la comune)E no, lui ci ha la chia­ve. (Esce per il fondo a destra. Dopo una piccola pausa ritorna seguita da Graziella).

GRAZIELLA una giovane donna sui venticinque anni. Veste con eleganza sobria. Lineamenti delicati, occhi un po’ tristi)Se non disturbo, Costanza. Non voglio darle fastidio.

COSTANZA Ma niente affatto, non mi date nessun fastidio.

CARMELA (rispettosa, strisciante)Buonasera, signuri.

GRAZIELLA Buonasera, Carmela.

COSTANZA Il vestito è quasi pronto, Io devo solamente stirare. Se lo vogliamo provare un’altra volta…

GRAZIELLA Non credo che sia necessario. Volevo solamente dirle che per domattina vorrei averlo.

COSTANZA E quello è pronto, ve l’ho detto. Adessove lo faccio vedere. (Prende un abito da donna che si troverà sulla macchi­na da cucire e lo mostra a Graziella) Ecco qua, si deve solamen­te stirare. Domani mattina, prima delle dieci, ve lo mando.

GRAZIELLA Grazie, Costanza. (Siede accanto al tavolo, osservan­ do ,il vestito, soddisfatta)Molto carino.

COSTANZA (un po mortificata) Voi dite cosí, e poi non ve li mettete nemmeno una volta.

GRAZIELLA(con un sorriso incoraggiante)Non è esatto. Qualche volta li indosso. Mi piacepila di averli che di indossarli.

LIBERO (entra dalla comune. L un uomo sui quarantasette anni. Modesto, dignitoso. I suoi movimenti sono compassati, lenti. Temperamento calmo, tranquillo. Giustifica e considera chiunque: «Tútti possono sbagliare!» La sua filosofia ingenua gli viene da una vita trascorsa nell’indigenza e, talvolta, nella ri­nunzia delle sue piú modeste aspirazioni. In fondo è contento, fiero della sua miseria. Si occupa di filatelica..È un esperto cono­scitore di francobolli. Presta la sua esperienza in un negozio del genere a Via Toledo, dove la clientela paga in misura equa i suoi consigli. Nell’entrare, si toglie il cappello e lo poggia su di una sedia in fondo, accanto alla macchina da cucire. Ha con sé una bottiglia ravvolta in un giornale ed un piccolo pacchetto di formaggio groviera)Buonasera.

COSTANZA Buonasera, Libero.

CARMELA Buonasera, signo.

LIBERO (nel vedere Graziella ne riceve un piccolo disappunto) Signorina Graziella.

GRAZIELLA Buonasera, Libero.

LIBERO (collocando il pacchetto e la bottiglia sul tavolo, osserva il vestito)Un altro vestito? Molto bene.

GRAZIELLA Vi dispiace?

LIBERO No, sono contento per voi.(A Costanza) Ho preso il vino.

COSTANZA (allarmata, sbarrando gli occhi) He pigliato ‘o vino?

LIBERO (scartoccia la bottiglia e mostrando a Costanza la picco-la quantità del contenuto, come per dire: «Questo è tutto»)Un quarto! La giornata mi ha fruttato trecento lire: il vino ci voleva. (Prende da un mobile una bottiglia da un litro e un imbuto) Ecco qua. (Mostrando il fiasco dell’acqua chiede)Questa è acqua?

CARMELA (premurosa) È gelata. Mo ll’aggio purtata.

LIBERO Io sono un infelice, cara signorina Graziella, perché capi­sco troppo. Capisco oltre la capireria. Guardo le persone e capisco quello che pensano. Il vinaio, quando gli ho chiesto: «Un quarto di vino da settanta» e cioè diciassette e cinquanta di vino, ha guardato la moglie e io ho capito. Prima di tutto voleva dire che un quarto di vino si e no serve a bagnare la punta delle labbra, quindi disprezzo e commiserazione nei miei confronti da parte del vinaio e consorte; poi, in seconda, vo­leva dire: «In un quarto di vino vi sono, per lo meno, tre quarti di quarto di acqua messi da me». Io ho pagato e ho sorriso cosí… (Sorride con intenzione)Ma siccome a lui manca la mia perspicacia, non ha capito che il mio sorriso significava: «He ‘a vedé chello che ce mett’ ‘i’…» (Prende il fiasco con l’acqua e riempie la bottiglia da litro, dove in precedenza aveva travasato il vino. Le donne lo guardano e sorridono)Cara Costanza, facciamo conto che il vinaio sia dieci volte piú disonesto e che in quel quarto di vino, invece di mettervi tre quarti di quarto di acqua, ne abbia messi tre quarti di litro., più tre quar­ti di quarto: lui piú disonesto, io piú fesso. Ma io, piú fesso, ho comperato per diciassette e cinquanta, dal più disonesto dei vinai, un litro di vino. Vale la pena essere tanto disonesto per essere fatto fesso da un fesso?

CARMELA (ironica)Statev attiento, vavisseva mbriacà?

LIBERO (sostenendo l’ironia)Non c’è pericolo, mia sorella mi controlla.

CARMELA(ricordando d’un tratto)Signo’, mio fratello m’ha dato ‘e francobolle p”e ffa’ vedé a vvuie. (Trae dalla tasca del grembiule una busta con dentro dei francobolli) ‘E vvedite ccanno, vedite si so’ buone.

LIBERO (osservando i francoholli, deluso) Carme’, nun me fa perdere tiempo. Sti francobolle ccà, se iettano.

CARMELA Nun so buone?

LIBERO Ma c’hann’ ‘a essere buone. Questi sono recenti. (Ironi­co, come una considerazione fatta a ‘se stesso, mostra i franco-bolli alludendo alle incisioni)Tiene mente ccà! Quante inven­zioni pe’ ffa’ denaro…: l’incudine, la bilancia, l’aquila reale… (Li porge a Carmela)Astipatille. Fra duie, treciento anne t’’e vvinne e ffaie denare.

CARMELA Vuie pazziate… Foss ‘a Madonna! Allora ce ‘o ddico a mio fratello ca se levasse ‘o penziero?

LIBERO Si, ce ‘o puo’ dicere. Stammatina s’è vennuto nu francobollo ‘o negozio, ca si era d’ ‘o mio cagnavo posizione. L’ho consigliato ad un cliente ed ho guadagnato trecento lire.

CARMELA Io me ne scendo. Buona serata a tutti. (Via per la comune).

COSTANZA Buonasera.

LIBERO Il vino l’ho comprato, ed ho comprato pure il formag­gio. Cinquanta grammi. (A Costanza)E tu, che hai preparato? (Costanza non risponde). Costa’, che hai preparato per cena? (Costanza, infastidita, gli fa dei gesti. come per fargli intendere che in presenza di Graziella non vuole parlare delle loro miserie). Costa’, ma tu fai sul serio? Ma perché ‘a signurina nun ‘o ssape ca stammo nguaiate e ca Dio o ssape comme campam­mo? Secondo te, se non mi dici che cosa hai preparato per cena, ‘a signurina Graziella se ne. va convinta ca stasera man­giammo dèntice e aragosta.

GRAZIELLA Che c’entra?

LIBERO No, perché mia sorella è rimasta ancora con la mentalità di trent’anni fa: «Pare brutto! » Non vuole capire che c’è stata una guerra; una guerra che ha distrutto tutte le illusioni, tutte le apparenze. Qua viviamo di realtà ora per ora, minuto per minuto. Voi, adesso, per la strada, incontrate ‘e meglie signure ca se vanno a ffa’ ‘a spesa pe’ cunto lloro. Si ‘e vvulite vedé: dagli erbivendoli, dai salumieri, dai droghieri… L’altro giorno, lho vista io, una signora anziana: sera comprata na scopa e s’ ‘a. puntava sott’ ‘o braccio. In altra epoca ne avrebbe avuti fischi e pernacchi dai ragazzi. Oggi, invece, niente: i ragazzi per conto loro e ‘a signora, cu”a scopa, indisturbata. Aggiòrna­ti, sora mia. Oggi tutto è chiaro. Le illusioninun s”e ffa nisciu­ nocchiú.Il signor «pare brutto» è morto sott’ a nu bumbarda­mento. La signora «dignità» è stata fucilata. Io ti domando: «Che ce sta per cena…» e tu, pure si ce sta presente ‘o Presiden­te d”a Repubblica, m’ he ‘a risponnere!

COSTANZA (scattando)Libero, tu come sei lungo! Piú passano gli anni, piú diventi pesante. Ma che c’entra il discorso che hai fatto? Tu vuoi sapere che ce sta pe’ cena? E io te lo dico: una scodella di brodo riscaldato… brodo mo, na schifezza. Una fritta­ta di due uova, che adesso la vado a fare, e per frutta cinque fichi secchi: uno, due, tre, quattro e cinque. Il brodo io non me lo bevo, perché ci ho trovato un topo dentro. L’hai voluto sapere? E te l’ho detto. Il brodo te lo bevi tu, perché a me mi fa schifo ! (Esce per laprima a destra).

LIBERO (niente affatto disorientato, pizi calmo che mai)Io hoportato il vino ed il formaggio; siamo a posto!

GRAZIELLA Ma perché la trattate male, povera Costanza?

LIBERO Eh, cara Graziella… ho fatto tutti gli esperimenti per andare d’accordo con mia sorella, mo ve ne venite voi e scoprite l’America. L’unico modo per tenerla tranquilla è l’aggressio­ne. Io l’aggredisco. Appena arrivo a casa, la sera, ingrano la quarta e parto: la stordisco; in modo da farle pensare che le sue lamentele, di fronte ai miei guai sono sciocchezze. Si mortifi­ca di non essere abbastanza infelice, nei miei confronti, e dopo le prime scaramucce, ci mettiamo di buonumore e passiamo la serata.

GRAZIELLA Divertente!

LIBERO Non tanto.

GRAZIELLA Voi parlate cosí perché, in fondo, siete uno scon­tento.

LIBERO Neanche per sogno. Mi accontento di quello che sono : rancori non ne ho per nessuno. Sono un uomo modesto, quasi insignificante.

GRAZIELLA (escludendo l’affermazione)Perché?

LIBERO Cosi, serve per parlare, per divertirvi. Non avete detto che siete venuta per divertirvi?

GRAZIELLA Non ho detto precisamente questo. Ho detto che mi diverte sentirvi parlare, ma sono venuta per vedervi. (Libero ne rimane lusingato).Ieri sera volevo stappare quella bottiglia di rosolio di mandarino che mi regalaste.

LIBERO Già, voi lo trovaste ridicolo.

GRAZIELLA No, vi sbagliate, non mi piacciono i liquori dolci, ve lo dissi.

LIBERO (quasi scusandosi)Non sapevo cosa regalarvi per il vostro compleanno e pensai di mandarvi quella bottiglia che mi stava molto a cuore. La trovai in un armadietto della povera mammà. L’aveva conservata come una cosa rara.

GRAZIELLA Perché ve ne siete privato?

LIBERO Vuie nun ve ne ncarricate. Sono affari miei. Vuoi dire che mi faceva piacere di regalarvela.

GRAZIELLA È lìche aspetta. Non mi prometteste che l’avremmo bevuto insieme?

LIBERO E a voi i liquori dolci non piacciono.

GRAZIELLA (con uno slancio di sincerità)Libero, perché parlia­mo cosí?

LIBERO Grazie, Grazie… è mmeglio ca parlammo accussî. Tu sei una buona ragazza e io, te l’ho detto, sono un uomo insignifi­cante.

GRAZIELLA Non è vero. Vuoi esserlo. Ti sarai accorto, spero, di come è cambiata la mia vita, di come ti aspetto, di come ti cerco…

LIBERO (dopo averla guardata lungamente, come una constatazione che lo diverte, completa ad alta voce il suo pensiero)Ma che stranezza! Magari chi ti osserva, chi ti vede, chissà che pensa. Una donna come te, qua, dint’ ‘a casa mia, assettata vicino anu tavolo ricopertocu’ nu tappeto turco, a ffa’ dichiara­zioni d’amore a Libero Incoronato, intenditore di francobolli che, come età, comincia ad avere quasi il valore di una serie completa dell’incoronazione di Vittorio Emanuele III.

GRAZIELLA (semplice) Perché non ci sposiamo?

LIBERO (niente affatto sorpreso)Io e te?

GRAZIELLA E perché no?

LIBERO E perché… Pecché ndringhete ndrà!

GRAZIELLA Non mi vuoi bene.

LIBERO (sincero, escludendo)No, io te voglio bene assaie, e ti ammiro pure. Stamme a senti, Grazie’. Io una sera mi sono trovato in casa tua, in camera tua, vicino a te, senza sapere nemmeno come. Perun uomo come me, bottega e casa, conun passato di miseria dignitosa che, ti giuro, è piú dura, piú demo­ralizzante ‘e chillo ca se riduce a cercà l’elemosina all’angolo della strada… per un uomo come me, ti dicevo, Graziella rappresentava il sogno, l’irraggiungibile: profumo, vestite belle, educazione… significava, infine, quello che noi a Napoli dicia­mo : ‘o terno sicco! Na sera io pigliaie ‘o terno sicco! Perché insistere nel giuoco del lotto? Il terno, forse, la gente te lo perdona, ma ‘la quintina, il mondo non me la perdonerebbe mai. Tu sei ricca, l’appartamento è di tua roprietà….e, parliamoci francamente, sei una donna intelligente, comprensiva e posso parlare senza paura di offenderti: questi soldi come li hai fatti?

GRAZIELLA Ma io te lho detto, tu sai tutto.

LIBERO Ma ‘o guaio è ca o ssanno tutte quante. Lo so, so benissi­mo che tu mi vieni incontro con tutta la sincerità, che sei stanca di fingere… Che te cride ca nun te veco, che non ti osservo? Dopo la perdita del tuo bambino… scusami se ti ricordo una cosa dolorosa per te, sei diventata un’altra. Il dolore ti ha messo di fronte alla realtà. E tu sai bene che io ti accoglierei con lo stesso sentimento e senza pensare ai tuoi soldi. Ma la gente? La gente direbbe: «Libero Incoronato, per fare onore al suo cognome, s’è aggiustato quatt’ova dint’ a nu piatto!»

GRAZIELLA Ma vuoi pensare alla gente? Ascolta, Libero: sono sola, ho bisogno di un affetto serio, di un uomo che mi aiuti…

LIBERO … che amministri…

GRAZIELLA E perché no?

LIBERO (amaro) Già, un bel libro mastro: entrata e uscita.

GRAZIELLA Sei un imbecille!

LIBERO (calmissimo)Può darsi; ma fare da amministratore non mi va. A certe cose bisogna farci l’abitudine. Se avessimo inco­minciato insieme…

GRAZIELLA (abbassando lo sguardo, punta) Sei molto gentile.

LIBERO (pentito)Te si’ dispiaciuta?

GRAZIELLA (sincera) Un po, si.

LIBERO (tenero, per rabbonirla, ma irremovibile nelle sue convin­ zioni)He ‘a capi. Fossi solo, non me ne importerebbe niente. Ma io tengo a mia sorella, povera figlia: un’altra vita infeli­ce! Si deve sposare, e tu lo sai. Un uomo che sta molto bene di posizione… si mette a posto, povera Costanza.

GRAZIELLA Perché dici: povera Costanza?

LIBERO Un uomo quasi di sessant’anni, mezzo malato. Roberto Perretti. Lo conosci, lo avrai visto qualche volta salire o scende-re, perché abita nel palazzo. Lui trova una guida, una compa­gnia, e mia sorella si sistema.

GRAZIELLA Che malinconia!

LIBERO Tu la chiami malinconia? Io la chiamo praticità! Posso, ancora, avere mia sorella a carico? Qùando si sarà sposata, potrò sgranchirmi un pocò perché dovrò pensare soltanto per me.

GRAZIELLA (seguendo il filo logico della sua convinzione) E… gli accordi?… Gli accordi sono stati precisi?

LIBERO In che senso?

GRAZIELLA Vedi, tu mi hai detto sinceramente: il nome di Graziella all’orizzonte manderebbe a monte il matrimonio di mia sorella. Ecco che io ti domando se, con la stessa sincerità, tua so­rella abbia detto al signor Perretti: «Io ti sposo per avere la sicurezza di un piatto di minestra, per liberare mio fratello dal peso della mia presenza» e se, a sua volta, il signor Perretti sia stato altrettanto sincero da dire a tua sorella: «Ti sposo per avere in casa la più fedele delle serve».

LIBERO (escludendo l’assurdo)Ma no…

GRAZIELLA Lo credo bene. Le vere intenzioni se le son tenute nascoste, scambiandosi, al contrario, promesse di amore : «Ti voglio bene…» «Sei la donna che sognavo…» «Sei l’uomo che attendevo…» E tutti, tu compreso, tutti, dimostreranno buona fede e convinzione nell’ammettere la sincerità dei loro senti-menti… Come sono felice di essere quella che sono, e quanto mi addolora che tu sia… come sei.

Campanello interno.

LIBERO (avviandosi verso la comune)L’ingresso, permetti. Gra­zie’, si sapisse come me ne addoloro io. (Esce, poco dopo rien­tra introducendo Roberto Perretti)Entrate, don Robe’, en­trate.

ROBERTO (entra e si ferma sul limitare dell’uscio. È un uomo sulla sessantina, malaticcio, malinconico. Sfiducioso per natura e sem­pre preoccupato di ciò che gli altri pensano di lui. Crede fermamente di saperne piú degli altri e di superare chiunque in sag­gezza e furbizia. Reca un pacchetto di carta velina sapientemen­te confezionato. Dopo aver guardato intorno, con lieve senso di contrarietà, per avere scorto Graziella)Grazie.

LIBERO Accomodatevi. (Roberto avanza di qualche passo verso il tavolo centrale)Don Robe’, voi conoscete la signorina Gra­ziella?

ROBERTO Non ho il bene.

LIBERO ( presentando pronuncia il nome di Roberto con Significati allusione)Il signor Roberto Perretti, la signorina Graziella che abita affianco a noi.

ROBERTO (freddo) Piacere tanto.

GRAZIELLA E a quando le nozze?

ROBERTO (rabbuiato con un’occhiata di rimprovero a Libero) Quali nozze?

GRAZIELLA Scusate, non avrei dovuto dirlo.

LIBERO (a Roberto)L’indiscreto sono stato io e ve ne chiedo scusa.

ROBERTO (dubbioso) Voi o Costanza?

LIBERO Io, io… E poi, anche se lo avesse detto Costanza, non mi sembra un gran male.

ROBERTO Non sembra a voi, ma a me si. Se Io avete detto voi, è un conto; se lo ha detto Costanza è un altro… (Collerico)Andiamo piano con queste nozze. La mia decisione non è anco­ra per il «no », ma nemmeno per il «si». Capirete che, avendo pregato vostra sorella di mantenere il segreto, durante tutto il tempo delle mie riflessioni: «Mi conviene? » «Non mi convie­ne? »… «’O faccio?..» «Nun ‘o faccio?…» e constatare, invece, che la cosa già dilaga…

COSTANZA (venendo dalla destra)La frittata l’ho fatta, l’ho messa in caldo.

ROBERTO (cogliendo a volo, aspro)Proprio così: avete «fatto la frittata», signorina Costanza.

LIBERO Ma Costanza non sa niente. Vi ripeto che la colpa è mia.

COSTANZA (allarmata)Chè successo?

ROBERTO È successo che vostro fratello, per scagionarvi, vuoi rendersi colpevole di quello che non ha fatto.

COSTANZA (eroica come alla presenza di un giudice)Che ho fatto?

ROBERTO (rimproverandola) Vi siete regolata molto male. Io vi pregai di non fare parola con nessuno dei nostri progetti. Una donna che non sa reggere tre ceci in bocca non potrà essere mai una buona compagna. Senza prenderci collera restiamo buo­ni amici, io a casa mia e voi a casa vostra.

COSTANZA Ma io non ho detto niente a nessuno, ve lo giuro.

LIBERO Vi ripeto: è stata una mia leggerezza.

COSTANZA Perché avrei dovuto dirlo? (Non può contenere Uno scoppio di pianto).

ROBERTO (soddisfatto)Brava, piangete. È l’unica cosa che possia­te fare.

GRAZIELLA (urtata, dopo di aver scambiato una occhiata significati-va con Libero) Va bene, don Roberto: Non è la fine del mon­do. Per convincervi dell’innocenza di Còstanza, vi basterà pen­sare che il fidanzato siete voi… e che qualunque donna, che abbia in minima parte il senso del ridicolo, ha tutto l’interesse di non farlo sapere ad anima viva.

ROBERTO (rivolgendosi a Libero con indifferenza apparente senza degnarla di uno sguardo)Se entrare in casa vostra per procurarsi il piacere di venirvi a trovare, significa avere il dispiacere di fare certi incontri ed essere gratuitamente offeso, vuoi dire che ne farò a meno per l’avvenire e vi tolgo il fastidio. (Muove verso la comune per uscire).

GRAZIELLA (fermandolo col gesto) Ma neanche per sogno. Vado via io. Buonasera Costanza, arrivederci Libero. M’auguro che possiate rimettervi d’accordo e realizzare al più presto il vostro sogno d’amore. Quel giorno, fra i biglietti d’auguri e di felici­tazioni, troverete anche il mio: «Cara Costanza, condoglianze vivissime». (Roberto iroso la fulmina con un lungo sguardo sprezzante)Cosa guardi? … Brutto scimunito, egoista, schifoso(Sottovoce con odio aperto e sincero)Va’ a mori ammazzato!…(Esce per la comune).

LIBERO (dopo un attimo di smarrimento)Non dovete raccogliere. È una stravagante. Vi chiedo scusa.

ROBERTO (ipocrita) Non ho neanche sentito quello che ha detto. Mi sento troppo superiore. Io sono Roberto Perretti, uomo di commercio e di studio, mentre lei non è che una volgare prosti­tuta. Perché la ricevete?

LIBERO (quasi giustificando)Per noi è un aiuto. Si serve di Costanza per qualche abituccio.

ROBERTO (sedendosi) Mi è dispiaciuto, e il mio risentimento deve essere per voi una prova della mia serietà e della mia corret­tezza. Il matrimonio è una cosa molto seria. Prima di fare que­sto passo, bisogna ponderare, riflettere: piedi e mani di piom­bo. Sono sei mesi, da quando vi parlai delle mie intenzioni, dell’amore che sentivo per voi, che tutte le sere vengo a trovar-vi, per parlarvi, conoscervi e farmi conoscere. Voi non ve ne accorgete; ma io, piano piano, vi sto trasformando. Voi già non siete la stessa di sei mesi fa. Poco per volta state diventan­do la donna che io desideravo al mio fianco. Vi pare niente questa goccia continua, questo mio lavorio tenace, penetran­te?… Sono noioso, Io so, ma se non si semina non si può racco­gliere. Di solito accade che il fidanzamento è tutto rose, mentre il matrimonio tutte spine.

LIBERO Già.

ROBERTO (a Costanza) Voi, ormai, conoscete molte mie abitudi­ni, ma non tutte.

COSTANZA Il mio desiderio è di accontentarvi.

ROBERTO Non basta il desiderio. È la buona volotà, è l’indole che conta. La natura: uno nasce ‘e na manera e uno nasce n’ata. (Fingendo di ricordare sul momento qualche cosa a cui vuoi dare ad intendere di attribuire relativa importanza) A pro­posito, mo me scurdavo… (Disfacendo il pacchetto che aveva con sé e traendone una logora camicia bianca) Ho portato que­sta camicia. Volete essere gentile, Costanza, di farci un rammen­do? (Indicando il punto sdrucito) Qua, sotto il colletto. Vedia­mo come rammenda Costanza. E pure ai gomiti. Sarebbe un peccato buttarla via.

COSTANZA (prende la camicia dalle mani di Roberto e osservandola) Ma certo, ci penso io.

ROBERTO E stiratela pure, vi dispiace?

COSTANZA No.

ROBERTO (sorridendo furbo) Quante cose dovrà fare Costanzuc­cía, quando saremo sposati! Non avrà mai tempo. La camerie­ra, come vi dissi, ci sarà, ma la dovrete sorvegliare voi. Senza contare che certe determinate cose le dovrete fare materialmen­te voi. Per esempio, sono stato un appassionato compratore di scarpe. Ne posseggo piú di trentacinque paia di tutte le forme. A parte il fatto che oggi trentacinque paia di scarpe rappre­sentano un capitale, ma le posso mai affidare ad una persona estranea? A chella che lle mporta? O ci mette il lucido cattivo, o dice che le ha ingrassate e non è vero… che succede? Che un bel giorno, Roberto Perretti trova ‘e scarpe schiattate! No, invece, questo non succederà. La moglie che fa? Ci sta attenta. Non che le debba pulire tutti i giorni, ma un paio di volte al mese le spolvera, le lucida, le sistema con quella manutenzione che le fa durare cento anni.

COSTANZA (ingoiando la pillola, paziente)Certo.

ROBERTO So che cucinate benissimo e questo è un grande vantag­gio. Poi tengo nu difetto. È meglio parlare chiaro. La sera vado a letto presto. ‘E nnove stongo dint’ ‘o lietto. Però, siccome da accordi già presi, dormiremo in due camere separate, io vado a letto e voi per qualche altra mezz’ora dovrete stare sveglia nel-l’altra camera. Insomma, mi piace di sentire in casa, quando mi sto appapagnando, il movimento di una persona che traffica… Il silenzio mi mette tristezza. Voi, dopo dieci minuti che sono andato a letto, cautamente, aprite la porta della camera mia e vi venite ad assicurare. Se dormo, vi coricate pure voi, se sono ancora sveglio, seguitate a dare segni di vita, fino a quando mi addormento.

LIBERO Ho capito.

ROBERTO Poi, c’è l’ora dei piselli.

LIBERO L’ora dei piselli?

ROBERTOE mi spiego. L’ora dei piselli sarebbe dopo la seconda tazza di caffè, perché io la mattina prendo due tazze di caffè. Una alle sei e un’altra alle sette e mezzo. Siccome io, la sera, torno a casa dopo aver fatto i conti col ragioniere, allo studio, e porto con me la borsa dei soldi, che sarebbero i piselli… men-tre, dopo la prima tazza di caffè, quella delle sei, mi fa piacere che Costanza resti un poco con me, per dirci: «Buongior­no…», «Come hai dormito?», «Che tempo fa? », «Che vuoi cucinare? », «Che vuoi scendere a comprare? »; dopo la secon­da tazza, invece, quella delle sette e mezzo, voglio rimanere solo, perché conto i piselli. Non per sfiducia, ma quando conto i soldi voglio rimanere solo.

LIBERO (cercando di reprimere lo sdegno)Certo, quando si conta il danaro, basta una distrazione.

ROBERTO Proprio cosí. Quando i patti sono chiari, non si posso-no avere sorprese. Come vedete, piano piano, possiamo raggiun­gere l’accordo perfetto. (Alzandosi) E per questa sera, basta. Me ne vado perché è l’ora di cena per voi e per me.

COSTANZA (timida, preoccupata)Se volete rimanere a cena con noi, non vi possiamo offrire gran che…

LIBERO Una scodella di brodo…

ROBERTO Grazie no. Arrivederci Costanza. Domani sera, dopo un altro discorsetto che vi terrò, forse stabiliremo la data. A domani sera. E sappiate che vi voglio bene e che siete la donna che sognavo. (Pausa). E voi, Costanza, non mi dite niente?

COSTANZA (senza convinzione)Siete luomo, che aspettavo.

ROBERTO Buonasera.

COSTANZA Buonasera.

LIBERO A domani.

ROBERTO A domani. (Esce per la comune).

Libero lo segue per accompagnarlo all’ingresso. Costanza, tri­ste, esce per la prima a destra. Dopo una piccola pausa, Libero ritorna e siede accanto al tavolo centrale. Dalla destra entra Costanza. Lentamente si avvicina al tavolo, e dopo avervi collo­cato sopra il piatto con dentro la frittata, che aveva portato con sé, tristemente siede senza commenti, disponendosi a divi­dere in due la povera cena. Libero osserva tutti i movimenti della sorella e ne considera, teneramente, tutta la tristezza e l’avvilimento. Prende il pacchetto col formaggio, lo apre, spia­nandone la carta intorno, collocando poi il tutto in un piatto.

 

LIBERO Te l’aspettavi, stasera, il formaggio? (Costanza a stento riesce a sorridere, ma la piena dei sentimenti le si addensa alla gola costringendola, dopo di aver contenuto a stento i singhioz­zi, ad abbandonarsi in un pianto aperto, sincero. Libero perde il controllo abituale dei suoi nervi. Depone la sua forchetta sul piatto e obietta, decisamente)Ma scusa, Costa’, si nun t’ ‘o vuó spusà chi ti forza?… Non è uscita nessuna sentenza. Miseria per miseria, come abbiamo fatto fino adesso, continuiamo a fare.

COSTANZA Già, che ti credi che non lo capisco che ti sono di peso? Che la mia presenza in casa comporta spese che non puoi sostenere? Quando me ne sarò andata…

LIBERO Costa’, nun me fa’ ridere! Quando te ne sarai Andata tu, l’unico mio vantaggio sarà questo: invece di mangiarmi venticinque grammi di formaggio, ne mangerò cinquanta. Uno sacrifica na sora pe’ venticinque grammi ‘e formaggio?…(Campanel­lo interno). Venticinque grammi ‘e furmaggio ca nun t’ ‘e puo’ mangià nemmeno in santa pace.


Costanza esce per la comune. Dopo piccola pausa, durante la quale Libero versa del vino nel suo bicchiere e ne beve un sorso, rimanendone disgustato, Costanza torna introducendo la signora Cigolella.

 

COSTANZA Ma ci fate un piacere. Questo dicevamo con mio fra­tello: «La signora Cigolella non si è vista piú». Olga è una signora giovanissima, simpatica, svelta, occhi furbi. Indossa un elegante abito da casa. Agita volentieri un piccolo fazzoletto di tessuto velatissimo, impregnato di un penetrante ed insopportabile profumo che, evidentemente, ella predilige. Entra disinvolta con quella sicurezza di donna che sa di piace-re. Si dirige verso il divano, mal simulando una seria agitazio­ne che le conferisce, sul volto, un’espressione alterata.

OLGA Ho avuto tanto da fare. (Siede).

LIBERO (che si è alzato)Buonasera, signora Olga.

OLGA Buonasera, Libero.

LIBERO Finalmente vi siete fatta viva.

OLGA Vi ho lasciati un poco tranquilli.

LIBERO Per vedervi qua, dobbiamo aspettare che arrivi vostro marito.

COSTANZA La portinaia mi ha detto che è arrivato oggi.

OLGA (Sprezzante) Sì è arrivato (Campanello interno) Questo deve essere lui. Ne poteva fare a meno, di salire.

Costanza esce per la comune per andare ad aprire.

LIBERO Che d’è, nuvole?

OLGA Temporale!

LIBERO (scherzoso)Come? Vostro marito ritorna dopo un mese e mezzo: siete giovani tutti e due…

OLGA Se non mi volete intossicare non mi parlate di mio marito. Io perciò sono salita da voi.

BENEDETTO (dalla comune, seguito a breve distanza da Costanza. È un uomo sui trentacinque anni. Alto, di piacevole prestanza fisica, ma niente di singolare. Tipo di «banconista» in un nego-zio di mode. Veste con eleganza media. Quando parla si ascolta e si supervaluta. Non sono ancora spenti in lui gli accenti di un dibattito animato. Entra con il preciso scopo di incontrare sua moglie là, e riprendere i fili della discussione troncata con lei pochi momenti prima)Buonasera.

LIBERO Caro don Benedetto, ben tornato.

BENEDETTO Grazie. (Dando un’occhiata alla cena, con lieve di­sappunto)Mi dispiace… Stavate a tavola.

COSTANZA Nooo,abbiamo finito. Ci siamo mangiati anche il formaggio. Questo (indica i cinquanta grammi di groviera) èquello che è rimasto.

BENEDETTO (invidioso) E io sto digiuno. Dopo un viaggio in au­tomobile niente affatto indifferente: Grosseto-Napoli non è uno scherzo, non ho assaggiato nemmeno un sorso d’acqua. (Parlando taglia un tocco di pane dal pezzo grande e vi colloca in mezzo i cinquanta grammi di formaggio) Voi permettete?

LIBERO (guardando significativamente Costanza)Fate. Avete fatto.

BENEDETTO (masticando i primi bocconi e rivolgendosi, decisamente, a sua moglie)Olga, te lo dico in presenza degli amici, ca, mo nce vo’, stimo fraternamente: un’altra volta che mentre stiamo parlando mi lasci in tronco e te ne vai, ti dò uno schiaf­fo che te lo ricorderai mentre campi.

OLGA (con provocazione) Sicuro! È passato uno con uno schiaf­fo in mano!

BENEDETTO E poi vedi. E non è a dire che la discussione fosse stata oziosa o insignificante. Stavamo parlando di una cosa scottante in cui sono coinvolti interessi vitali, finanziari ed umani.

OLGA Ma va llà, vattenne! Che parli di umanità, tu, che sei un egoista, «fatto mio»!

BENEDETTO Io sono un uomo fatto di carne ed ossa come tutti quanti gli altri. (A Libero indicando la bottiglia del vino)Permesso?

LIBERO No, questo ve lo voglio offrire io personalmente. (Pren­de la bottiglia del vino, ne versa il contenuto in un bicchiere riempiendolo fino all’orlo e l’offre con un sorriso a Benedetto)A voi !

BENEDETTO Grazie. (Beve avidamente. A metà si ferma disgustato, corrugando le sopracciglia)Avevo sete.(Colloca il bicchiere sul tavolo).

LIBERO Qua sta. Bevete pure tutt’ ‘a butteglia, tanto noi abbia­mo mangiato.

BENEDETTO (continuando il discorso con la moglie)Di carne ed ossa, capisci. Non te Io avessi avvertito, ma ti parlai chiaro, l’anno scorso. Non puoi negare che te lo avevo predetto.

OLGA Tu approfitti che sono una ragazza ancora inesperta, che non si sa risolvere; ma domani, quando avrò detto tutto a mia madre, quando avrò chiesto consiglio ad un legale, non credo che potrai vantare ancora superiorità. (D’improvviso si abban­dona ad un attacco di isterismo. Emette delle grida laceranti che disorientano i presenti, mettendoli su un piano di perplessi­tà nervosa) Ah… aaaah… aah! (Con lo stesso suono lacerante delle grida) Ho ragione… Toglietemi questo mostro da vicino… Linciatelo! Liberatemi da questo assassino!… (E sviene).

COSTANZA (allarmata)Signora Cigolella… per amor di Dio!

LIBERO Signora Olga… signora Cigolellal… (Ed insieme alla so­rella cerca di aiutare in qualche modo la donna).

BENEDETTO Un poco di acqua, una spruzzatina di acqua in fac­cia. (A Libero che è corso a prendere il bicchiere col vino che aveva versato a Benedetto)Questo è vino…

LIBERO È lo stesso!… (Introduce nel bicchiere due dita, spruzzando il contenuto a gocce sul viso di Olga, che piano piano rinviene. Poi, mentre Costanza si adopera presso Olga, deponendo il bicchiere sul tavolo)Sono veramente costernato!

BENEDETTO Mannaggia ‘a guerra, mannaggia!

LIBERO E che c’entra la guerra?

BENEDETTO Per Io strascico che porta e per le complicazioni che ne derivano. Si nun era p”a guerra, mo nun me truvavo accussi nguaiato!… Olga, cerca di essere calma, ragioniamo sul da farsi. Qua ci sta Libero che è un uomo serio e che può darci un consiglio.

LIBERO (premuroso) Dite, don Benede’, voi sapete che Parlate ad un amico.

BENEDETTO E perciò sono venuto da voi. (Indicando la frittata)Chesta ve serve?

LIBERO (pronto per salvare il salvabile)È salata. Mia sorella ha sgarrato ‘a mano e l’ha carrecata ‘e sale. (Mette il piatto con la frittata in un cassetto di un mobile, al sicuro da qualunque insidia)Dunque?

BENEDETTO Voi sapete che, durante loccupazione tedesca, io mi trovai a Grosseto, tagliato fuori da Napoli. Dopo un certo tempo, l’occupazione durava, la liberazione non veniva, e quel poco di scorta di danaro che avevo, giorno per giorno si ridus­se a niente. Quello che avevo qua, era nelle mani di mia moglie e capivo benissimo che a stento, e facendo la piú stretta econo­mia, poteva bastare a farla vivere durante il tempo che io dove­vo rimanere lontano. A Grosseto, giunto al limite massimo del-le mie risorse, per grazia della Madonna di Pompei, incontrai un amico che mi prestò una somma con la quale rilevai il pri­mo cinema. La cosa andò bene e ne rilevai un secondo. Or-mai, i miei due cinema a Grosseto mi fanno guadagnare como­damente dalle duecentocinquanta alle trecento mila lire al me-se. Che faccio?… Lascio Grosseto per venire a fare la fame a Napoli?

LIBERO (comprensivo) E già… quella, la signora, vi vuole vicino… Dice: «Tu Ila.., io qua…».

BENEDETTO Ecco che io, lanno scorso, durante una delle mie corse a Napoli, glielo dissi: «Lasciamo Napoli. L’appartamen­to qua sotto lo affittiamo e ci stabiliamo a Grosseto»,

OLGA E già, io poi, alla mia età, mi andavo a chiudere a Gros­seto.

BENEDETTO E io posso starmene a Napoli?… E quelli, gli impie­gati, questo stanno aspettando per rubarmi pure la camicia. La guerra ha spostato un poco tutti gli interessi. Ormai il mio centro di affari è Grosseto?… Si va a Grosseto!

LIBERO Non è la fine del mondo. Una sistemazione che incontri il favore dell’uno e dell’altra la potete trovare lo stesso: un mese viene la signora a Grosseto; un mese venite voi a Napoli.

BENEDETTO (non raccoglie, poiché il «nodo» facilmente risolto da Libero non è quello) Io parlai molto chiaro l’anno scorso. «Olga, bada che io sto solo… Ho preso un appartamentino ma ho bisogno di una persona che mi fa una guida, che mi cucini un boccone per non costringermi al ristorante che, dàlle e dàl­le, ti rovina lo stomaco… Ho dovuto prendere una cameriera… Ora, — le dissi, — questa cameriera è giovane… è una ragazzadi campagna…»(Serio, convinto) A me interessava che fosse di buona salute per i lavori di casa.

LIBERO (ambiguo) È naturale. Prima di tutto, badare alla salute.

BENEDETTO Sapete, una ragazza formosa… Luomo è fatto di carne e ossa…

LIBERO (Che ormai ha compreso) E poi?

BENEDETTO Glielo dissi… (Come a giustificare a se stesso il fatto)«Trovandomela in casa… sott’ ‘o musso… la solitudine è solitudine… ormai la ragazza non è piú ragazza… e sta con me». Sapete che mi rispose lei?… (Indicando Olga) È viva e sta llà. Se dico una bugia, mi può smentire. Fece un po’ di storie e poi disse: «Benede’, tu quanti anni vuoi campare? Fai quello che vuoi con questa cretina. Io non lascio Napoli». Ed io aggiunsi, sempre da uomo quadrato e previdente: «E se vie-ne un figlio?… Tu figli non me ne hai dati…» «Salute a noi. Se viene, te Io tieni». (Pausa). Il figlio sta per venire. Stasera gliel’ho confessato e s’ha fatto veni ‘o svenimento. (Lunga pausa).

LIBERO È grave. E come pensate di regolarvi?

BENEDETTO (incerto, con una punta di vanità)Domando. Io non ho il coraggio di mettere fuori quella povera ragazza, nelle condizioni in cui si trova.

LIBERO (alludendo allo stato interessante della ragazza di Grosseto)Da quanto tempo?

BENEDETTO (precisa) Non è un mese.

LIBERO E bisogna vedere che atteggiamento prende.

BENEDETTO È una buona diavola. Non mi metterebbe mai nei pasticci.

LIBERO (che ha una visione pizi chiara della situazione) No, quella nei pasticci già vi ha messo.

OLGA Perché non hai calcolato che avevi una moglie giovane. Malgrado tutto sono innamorata di te, lo sai… e questo è il male !

BENEDETTO Allora, se sei innamorata di me, come dici, andiamocene insieme a Grosseto. Io sistemo la ragazza, con un poco di danaro provvedo per questo bambino che dovrà arrivare e si chiude l’incidente.

OLGA (che non intende chiudere in questa maniera la partita) Io sono una ragazza inesperta. Permetterai che prima di prendere una decisione ne parli con qualcuno che abbia piú esperienza di me.

BENEDETTO (coglie a volo il pensiero di Olga)Tua madre?…(L’idea lo irrita) E io ti dico che qualunque decisione possa prendere tu, d’accordo con tua madre, io non lascio Grosseto. In quanto all’amore che dici di nutrire per me, ho tutti i miei dubbi. Un’altra donna al tuo posto si precipiterebbe per evita-re il peggio, ma il tuo atteggiamento mi dice chiaro e tondo ca nun te passa manco p’ ‘a capa; mentre invece io a Grosseto trovo l’affetto sincero di una donna e l’amore di un figlio che è sangue mio!

OLGA E tu vattene a Grosseto!… Però, io sono sempre tua mo­glie e sopporterò fino a quando .ne avrò la forza.

BENEDETTO E poi?

OLGA Non ti posso rispondere perché sono una ragazza ine­sperta!

BENEDETTO E risponderai quando ti avranno aperto gli occhi. Io me ne vado a letto perché sono stanco. Tu quando vorrai scendere sei la padrona. (A Libero e Costanza avviandosi verso la comune)Scusate, ma voi siete come fratelli. Buonanotte! (Via per la comune).

COSTANZA Vi accompagno. (Esce con lui).

LIBERO Certo, la situazione è complicata. Mannaggia ‘a guerra!

OLGA Proprio cosí.

COSTANZA (tornando, comprensiva a Olga) Mi dispiace…

LIBERO Un po’ di colpa ce l’avete pure voi. La moglie deve seguire il marito.

COSTANZA Lui ve laveva pure avvertito.

OLGA Già, si fa presto a dire. Andavo a Grosseto?… e qua?

LIBERO Qua, che?

OLGA (come per dire: «Fate gli innocenti»)Non sapete niente? COSTANZA Che cosa?

OLGA Il capitano, il capitano che ho conosciuto dopo la liberazio­ne… (I due si stringono nelle spalle come dire: «Noi non cinté­ressiamo »; al che, Olga ribatte)Come? Ve ne ho mandate sca­tole di carne e formaggio, volete fingere di non sapere?

COSTANZA (ammettendo in parte)Qualche indiscrezione della portiera…

OLGA (esaltandosi si alza e si avvicina al tavolo sedendo) Un uo­mo straordinario! Innamorato di me come un pazzo. Ma, inten­diamoci, quello non mi ha toccato nemmeno con un dito. È figlio di italiani naturalizzati in America. Un pezzo di giovane: un uomo che ha tutto per essere desiderato da una donna. Italiano di sangue, con una mentalità moderna, giovanile. È stato in America ed è tornato. È tornato come aveva promesso, e dice che mi vuole sposare. Mi fa divorziare e mi sposa. Voi capite che, se andavo a Grosseto, perdevo il capitano. E a me, francamente, mi fa piacere di andare in America.

LIBERO Certamente: volete mettere lAmerica con Grosseto.

OLGA Potrei dirlo apertamente a mio marito; così dopo il divor­zio, lui potrà sposare la madre del suo bambino.

LIBERO Se permettete questo è l’appunto che vi si può fare: si parla chiaro, si dice: questa è la situazione…

OLGA E se il capitano un bel giorno sparisce e non si fa vedere piú… Io perdo mio marito?

LIBERO (sempre calmissimo) Già.

OLGA Ho la testa nel fuoco, credetemi, e sono salita da voi perché solo voi mi potete dare un aiuto.

LIBERO Dite.

OLGA Mio marito, adesso, ha una posizione perché in circa quat­tro anni ha guadagnato quello che ha voluto. Dato il fatto del bambino, io vorrei dire che non mi sento più sicura del suo comportamento e del nostro avvenire. Per conseguenza deve mettere su di una banca a mio nome… nu tre milioni e farmi donazione della casa di sua proprietà. Cosí, se viene a sapere del fatto del capitano, mettiamo, in modo che si offende e se neva, io perdo mio marito, ma tengo il capitano, la casa di proprie­tà e tre milioni. Se sparisce pure il capitano, io tengo sempre tre milioni e la casa di proprietà.

LIBERO Signo’, avete già parlato con mammà?

OLGA No, mammà non sa niente. E voi dovreste farmi il favore di convincere Benedetto. Gli dite: «Tu cosí sistemi tua moglie che in fondo vuole salvare una parte del tuo danaro che, secon­do lei, potrebbe finire male».

LIBERO Va bene.

OLGA Insomma a voi non manca modo di fargli capire…

LIBERO Credere, di fargli credere…

OLGA Ecco, che sono preoccupata per la nostra casa e per quello che può succedere, dato il fatto della ragazza di Grosseto.

LIBERO Va bene.

OLGA E adesso vi lascio. Buonanotte e grazie anticipate.

COSTANZA Buonanotte, signora.(Si avvia verso lingresso accom­pagnando Olga insieme a Libero).,

LIBERO (riepilogando calmissimo)Se vostro marito sparisce…

OLGA … mi resta il capitano.

LIBERO Se sparisce pure il capitano…

OLGA … Mi restano i tre milioni e la casa.

LIBERO Se poi il capitano mantiene la promessa…

OLGA … mi sposa e ce ne andiamo in America.

LIBERO E i tre milioni e la casa di proprietà?

OLGA La casa me la vendo e con il ricavato e i tre milioni ne compro brillanti e me li porto.

LIBERO Buonanotte signora. (Olga esce seguita da Costanza. Li­bero, dopo essere rimasto un istante assorto nelle diverse ipote­si prospettate da Olga, si dirige verso il mobile dove aveva conservato il piatto con la frittata. Prende il tutto deponendolo sul tavolo davanti al suo posto e siede. Costanza ritorna e siede anche lei a tavola. Libero, disponendosi a fare le porzio­ni) Hai capito, Costanza? Se non vuoi sposarlo, dillo sincera-mente. Dillo sinceramente ora, se no, poi, sarai costretta a tra­scinare la tua finzione per tutta la vita… E ti conviene?… (E continua a parlare, mentre cala la tela).

ATTOSECONDO

La stessa scena dell’atto precedente.

Calda e luminosa mattinata primaverile. Qualche settimana più tardi. I guanti, il cappellino e la borsetta di Costanza si troveranno sul tavolo centrale. Sulla macchina da cucire vi sarà una camicia da uomo.

COSTANZA (in un misero ed arrangiato abito scuro, consegnando dei soldi a Carmela, che si troverà, in piedi, accanto a lei) Mi raccomando: queste sono cinquanta lire. Compra un poco di burro e un poco di parmigiano. La pasta in casa c’è e mi sem­bra che ci sono pure due aranci. Per l’acqua calda non ti preoc­cupare perché ci pensa mio fratello. Tu basta che, verso la mez­za, porti il burro ed il parmigiano.

CARMELA State senza pensiero.

COSTANZA (parlando verso la prima a sinistra, con un tono di voce un po’ più forte) E che mangi, solamente pasta al burro?

LIBERO (di dentro) E ci dev’essere una polpetta di ieri sera. Tu vattene senza pensiero, io resto solo e passo una mattinata tran­quilla.

CARMELA (alludendo a Libero) Quant’è buono… Io ‘o ddico sempe: e n’ommo ‘e casa.

COSTANZA Non ha bisogno di nessuno. Quando, qualche volta, che so, io sono stata a letto con un poco di febbre, ha fatto tutto lui. E quante volte rassetta la casa, cucina… cucina me­glio di me!

LIBERO (dalla prima a sinistra, sempre calmo e gioviale, rivolgendosi a Costanza) Voglio passa na giurnata comme dich’i’. Non ho da fare, non aspetto nessuno… ‘o sole ce sta… che ato vaco truvanno? Giornata di riposo assoluto. Voglio mettere a posto certe carte mie. Verso l’una mangio e poi mi metto al sole fuori al terrazzo. Tu a che ora torni?

COSTANZA Non lo so. Dipende da quello che vuoi fare Roberto.

LIBERO Ma mangiate fuori?

COSTANZA Si, lui ha detto che mangeremo da quelle parti. Ma non ho capito se allude a qualche panino ripieno, o pranzare proprio in una trattoria.

LIBERO (escludendo in modo assoluto la seconda ipotesi di Costanza) ‘O panino… ‘O panino… Allora due maccheroni te li con-servo.

CARMELA Addó ve ne iate ‘e bello, signuri’?

LIBERO La prima uscita dopo il fidanzamento. Il fidanzato ci ha tenuto a portarla a conoscere la famiglia.

CARMELA Bravo.

LIBERO Un dovere. Deve conoscere tutti: il padre, la madre, i nonni, i prononni… Vanno al cimitero!

CARMELA (incredula) O cimitero?

COSTANZA (alludendo a Roberto con tono che vuoi giustificare il ridicolo) Lui è solo, ed ogni primo venerdí di mese va al cimitero a trovare la sua famiglia. Mi ha detto di accompagnarlo, potevo dire di no?

LIBERO È naturale, non ti conviene di metterti in urto con la famiglia dello sposo.

CARMELA (cercando di indorare la pillola) Chella po’ è na bella passeggiata…

LIBERO Comme no! S’incontrano tutti quei bei funerali che van-no, carri funebri vuoti che tornano…

COSTANZA (un po urtata) Libero, tu vuoi scherzare? Io devi vedere comme stò addirosa…

LIBERO (pentito) . Se ti sei arrabbiata, ti chiedo scusa. (Cambian­do argomento) La camicia mia?

COSTANZA Te l’ho aggiustata. Sta sopra la macchina da cucire. LIBERO Grazie. (Prendendo la camicia) Sta bene. Questa era ridotta in uno stato deplorevole. Costanza con le sue mani d’oro… (Osserva la camicia e la fa osservare anche al pubblico dalla parte anteriore) I polsi ed il colletto sono venuti nuovi. Comm’he fatto?

COSTANZA Ho preso la stoffa dal di dietro.

LIBERO (rivoltando la camicia dal lato posteriore, rimane interdet­to nel constatare che il di dietro di essa è stato completamente sostituito con tela ricavata dalla cimosa di una intera pezza. Infatti risultano trasversalmente, in alto e in basso, diverse strisce di colore rosso vermiglio e due scritte stampate in corsi­vo inglese: «Madapolam» ed «Excelsior») Neh, Costa’… E che vaco facenno accussi cumbinato?

COSTANZA E che debbo fare? Questa era la tela che ci avevo: le cimose che mi avanzarono quando feci le lenzuola per unasigno­ra che me le aveva ordinate.

LIBERO (più umiliato che risentito) Ma scusa, la potevi lavare almeno.

COSTANZA Come, non l’ho lavata?!

CARMELA Non si leva. Quella è stampata con la gnòstia speciale. COSTANZA Che t’importa? Chi ti deve vedere?

LIBERO (questa volta piú risentito che umiliato) Questi non sono affari che ti riguardano. A parte il fatto di chi mi vede e chi non mi vede, con o senza la mia complicità, ma una disgrazia può capitare: un malore improvviso, vaco sott’ a n’auto, me portano all’ospedale… me spogliano, che figura faccio?!

COSTANZA Allora, non la dovevo aggiustare la camicia?

CARMELA Ma che ve ne mporta?… A chi avit’ ‘a da’ cunto?

LIBERO (ironico) Ma naturale! E questo è niente. Ccà va a ferri ca nce vestimmo ‘e carta… (Depone la camicia su di una sedia).

 

Campanello interno. Libero esce per andare ad aprire.

 

CARMELA Ogge nun cè scuorno. Qualunque pezza si deve utiliz­zare.

LIBERO (introducendo Roberto Perretti) Entrate, don Robe’, mia sorella è pronta e vi sta aspettando.

ROBERTO (in abito di lutto, guanti, cravatta nera) Ho fatto un po’ tardi perché non trovavo la cravatta nera. Buongiorno, Costanza.

COSTANZA Buongiorno.

CARMELA Buongiorno, don Robe’.

ROBERTO (un po’ seccato della presenza di persona estranea le risponde appena) Buongiorno. (A Costanza) Sembra strano che, come prima uscita dopo il fidanzamento, vi conduca al cimitero. Ma io l’altra notte me sunnaie a mamma, ma cosi naturale che ho dovuto per forza esaudire il suo desiderio. (De-scrivendo il sogno che lo ha impressionato, atteggiando l’espres­sione del volto alla visione stessa) Mia madre accigliata, che mi guardava come per rimproverarmi, come per dirmi: «Robe’, ti sei fidanzato senza farmi conoscere la sposa». «Bravo Rober­to!» E dietro a lei, su di uno sfondo nero, le sole teste di mia nonna, mio nonno, gli zii, le zie… e pure quelle degli antenati. Il mio bisnonno che fini in galera perché era un seguace di Mazzi­ni, il mio prozio che mori sparato perché voleva bene a Vittorio Emanuele II… Tutte queste teste che, insieme a mamma, ribattevano: «Bravo Roberto!» Poi mia madre: «Pòrtala da noi la sposa!» E tutte le teste (con un tono lugubre come per dare l’impressione di un coro): «Pòrtala da noi!» Ed io la porto. Vogliamo andare, Costanza?

COSTANZA Volevo comprare dei fiori.

ROBERTO Non c’è bisogno. Li troviamo là. Accanto alla tomba di famiglia, di mia proprietà, ce n’è un’altra. Ogni venerdi la tro­vo ricoperta, colma di fiori… Forse sarà morto da poco qualcu­no che avrà lasciato una grande eredità ai suoi… Mi sembra una grande ingiustizia: una parte di quei fiori l’offro ai miei cari defunti. Andiamo, Costanza. (Insieme si avviano). Al ritor­no mangeremo un bel panino a piazza Carlo III. Arrivederci, Libero.

LIBERO Tornate presto.

CARMELA E buon divertimento.

ROEERTO Grazie,(einsiemie a Costaza esce per la comune).

CARMELA Mamma d’ ‘a Sanità’… Chino m’ha chiuso ‘a vocca d’ ‘o stommaco! Io me ne scendo. (Avviandosi) Povera sora vo­sta… E comme fa?… (Alludendo a Roberto) Manco si tenesse ‘e brillante a tutt”e pizze d’ ‘a vita soia… Stateve buono. (Esce).

LIBERO (rimasto solo, va sul terrazzo a respirare una boccata d’a­ria, poi torna) si avvicina al mobile dove sono i suoi libri e aie sceglie qualcuno. Siede e prende a leggere, dopo essersi tolta la giacca che depone su di una sedia presso il tavolo. Dall’interno si ode il prolungato suono del campanello, che poi seguita a trillare a brevissima intermittenza, come suonato da qualcuno che abbia urgente bisogno di entrare. Libero, preoccupato, con passo svelto esce per la comune dopo aver indossato di nuovo la giacca. Dopo poco torna introducendo Olga) Signora Ol­ga, prego.

OLGA (entra in fretta come per rifugiarsi, indicando verso tinter­no la porta d’ingresso) Avete chiuso la porta?

LIBERO Si.

OLGA Assicuratevi che sia ben chiusa.

LIBERO (esce e torna dopo poco fermandosi sull’uscio) E chiusa benissimo. Non c’è pericolo di niente. Ma di che si tratta?

OLGA (rincuorata entra e siede affranta sull’ottomana a destra) Credevo di non reggere.

LIBERO (la guarda con ammirazione come se la vedesse per la pri­ma volta. Olga è in vestaglia da camera fermata alla vita da unacintura della stessa stoffa, ma che lascia scorgere, allo scollo, la camicia da notte abbastanza trasparente. Piedi nudi in pantofo­le scendiletto. Non ha dimenticato il profumato e velatissimo fazzoletto che è di colore differente da quello del primo atto) Ma è successo qualche cosa?

OLGA Dal pianerottolo di casa mia, ho aspettato quando se ne è andata vostra sorella e gli altri. Che paura! Perdonatemi se ho suonato il campanello in quel modo sconveniente, ma non vole­vo che mi vedessero fuori della vostra porta. Venite qua. (Libe­ro le si avvicina). Sentitemi il cuore. (Ella stessa prende una mano di Libero e se la colloca sul cuore, un po’ piú a sinistra del necessario) Sentite?

LIBERO (ambiguo) Come!… Si sente!… Mi perdonerete se vi do-mando ancora una volta che vi è successo.

OLGA (fissando lungamente lo sguardo su di lui, con amarezza) Perché voi non lo sapete?

LIBERO Io, signora bella? E che cosa dovrei sapere?

OLGA (delusa) Già, perdonatemi, sono io una stupida.

LIBERO (sincero) Mi mortificate. So che siete angustiata con vo­stro marito, che vostro marito vi ha intestata la casa e vi ha donato i tre milioni che chiedevate. E non ci fu bisogno del mio consiglio perché già lo aveva fatto per conto suo, non so… per le tasse… la patrimoniale… nu pasticcio c’ha fatto per non pagare.

OLGA (fissandolo lungamente di nuovo,questa volta con tristez­za) Avísseve domandato ‘o capitano che se n’è fatto!

LIBERO (sconcertato) Signo’, io di solito non mi occupo dei fatti altrui; ma se ci tenete, fatemi sapere che se ne è fatto ‘o ca­pitano.

OLGA (sorride commiserandolo) Quale capitano?

LIBERO Signo’, io forse so’ asciuto pazzo. Voi due settimane fa, di sera, saliste qua e facisteve chella scenata con vostro marito. Poi, lui se ne andò dopo avervi detto che la sua cameriera di Grosseto gli avrebbe regalato un bambino; voi po’ me diciste­ve ‘o fatto d’ ‘o capitano e quello che pretendevate da vostro marito.

OLGA (senza guardarlo, quasi offesa) E voi ci avete creduto. Io vi ho detto che ci avevo il capitano e voi ci avete creduto!

LIBERO Io, signora mia, credo a quello che mi si dice. Special-mente quando non me ne deve venire niente in tasca.

OLGA (come per rimproverare se stessa) Come siete vigliacchi, voialtri uomini! (Pausa. Libero è come smarrito, non sa cosa dire). Tutto il tempo dell’occupazione tedesca sono stata da voi, ci siamo passati i migliori bombardamenti insieme, chel­li paure, quelle speranze. Nelle ore di attesa vi ho confidate tutte le mie pene. Mio marito mi vuole a Grosseto e io non ci vado. Mi dice che si è innamorato di una cameriera ed io gli rispondo: «Fai quello che vuoi!» Mi dice che avrà un bambi­no… e io manco p’ ‘a capa. Vi apro gli occhi dicendo che amo un capitano… (Scoppia a piangere e tra i singhiozzi) Come si deve spiegare meglio una donna nei confronti di un uomo?

LIBERO Ma io mi sento umiliato… E vi giuro che non arrivo a comprendere.

OLGA Meglio, meglio cosí.

LIBERO (incredulo) Olga, ma voi siete innamorata di me?

OLGA (pronta, con dispetto) No!… (Con espansione) Quanto ti ho voluto bene!

LIBERO Ma io non mi spiego!

OLGA (romantica) Che cosa?…Cosa vuoi spiegarti se non me lo spiego neanche io. Ho sofferto, ho sofferto come tu non potrai mai credere. E tu non l’hai capito!

LIBERO Ma ‘o fatto d’ ‘o capitano nun è overo?

OLGA E come avrei potuto… Tu capisci che da quando ti cono­sco non so più” immaginare un altro uomo accanto a me. (Agita il piccolo fazzoletto profumato).

LIBERO (lusingato) Veramente?

OLGA Una pazzia. Mi piace la tua vita, come pensi, il tuo modo di parlare, la tua professione.

LIBERO (scettico) Olga, ma voi mi volete prendere in giro. La mia professione? Io a stento riesco a guadagnare quel poco per non morire letteralmente di fame, io e mia sorella.

OLGA (rapita) E che vuoi dire?

LIBERO Vuol dire che se, per un paio di settimane, non trovo una diecina di fessi che si comprano un centinaio di francobol­li, ci trovano stecchiti, a me e a Costanza.

OLGA La conoscenza che tu hai dei francobolli… Di tutto, con te si può parlare di tutto!

LIBERO (lusingato, con falsa modestia) Non esagerare. Certo che il filatelico deve avere una conoscenza vasta degli aspetti della storia mondiale. Poco per volta è costretto a documentar-si. E uno Stato oggi, uno Stato domani; e mo na Repubblica, nu Regno; chiste so’ ‘e Pape, chiste so’ ‘e Rre; ‘e Presidente, a poco a poco t’ ‘e ffaie: si finisce con l’avere una infarinatura di tutte le fasi storiche del mondo… (Serio) Olga, tu devi capire il mio stato d’animo. (Siede sul divano vicino a lei) Tu mi piaci e se non ti ho mal manifestata la mia ammirazione è perché sono un uomo che si controlla, che capisce fin dove può giungere il suo passo. Pensare di poterti avere accanto a me, come in que­sto momento, un’ora fa sarebbe stato assurdo.

OLGA Tienimi stretta. (Libero la stringe a sé). Quante volte so-la, nella mia camera, mi sono sentita stretta fra le tue brac­cia…

GRAZIELLA (dalla comune avanzando verso il centro, scorge i due) Scusate…(Ed avanza verso il tavolo con apparente calma. Reca con sé la chiave dell’ingresso. I due rimangono inchiodati nelle loro stesse posizioni. Solamente dopo poco Libero rallenta la stretta e Olga si ricompone in un atteggiamento indifferente). Costanza non c’è?

LIBERO (con lieve disappunto) Perché, non lo sapevate che Costanza doveva andar fuori?

GRAZIELLA Non sapevo che fosse già uscita.

LIBERO (come per suggerire una giustificazione plausibile) For-se, siete venuta per la misura di qualche abito?

GRAZIELLA (non la intende tosi. Con lieve disprezzo per luomo affronta il caso nella piena crudezza della sua realtà) No, cre­devo di trovarti solo e sono entrata. È ben per questo che mi desti la doppia chiave dell’ingresso. Per giustificare alla signo­ra la mia presenza in casa tua, basterà dire che io e te siamo stati amanti, che ci vediamo qualche volta in casa tua, quando so di trovarti solo, e qualche altra volta in casa mia, quando sai di trovarmi sola. Tutto è chiaro nella mia vita come sotto la luce del sole. e tu lo sai! Ho vissuto liberamente ed intensamen­te. Poi, perdetti il bambino. Da un’ora all’altra. Senza nessun motivo al mondo. Pensavo di poterti essere vicino da buona compagna e rispettarti per quantovaleva il nostro amore… ma, come vedi, vale ben poco.

LIBERO (conciliante, mostrando Olga) La signora…

GRAZIELLA … era qui per chiederti un consiglio. Vedrai Che te ne chiederà ancora. (Lascia cadere la chiave sul tavolo) Ec­co, signora, la conservi lei. Le sarà più agevole incontrarsi conlui.(Esce per la comune. I due rimangono senza parlare. Pausa. Internamente, come rivolgendosi a qualcuno che entrava, mentre lei usciva, si ode la voce di Graziella) Si, signora, entri pure. Sua figlia Olga è di là col signor Libero.

CRISTINA (di dentro con orgasmo) Quella pazza!

OLGA (sorpresa, a Libero) Mammà.

CRISTINA (in un elegante abito da mattina. Ha ancora delle velleità, nonostante il «precipizio» del suo fisico. Cinquantadue an­ni «intontiti» dal trucco, dagli espedienti, dagli intonaci di qualche Istituto di Bellezza. Entra con passo deciso) Dove sta?… (Chiamando) Olga… (Scorgendola) Ah, stai qua! (A Li­bero) Scusate se entro in casa vostra in queste condizioni. (A Olga) Sono stata giù e la cameriera mi ha detto che eri salita dai signori Incoronato. Sono arrivata prima di tuo marito. Tuo marito sa tutto. Mentre tu stamattina in casa mia mi facevi la confessione, lui, prima di entrare, ha detto alla cameriera che ci voleva fare una sorpresa. Si è occultato dietro l’uscio della mia camera da letto, ed ha sentito pane pane, vino vino, tutto quello che hai detto.

OLGA (inviperita) Ha sentito? Salute a noi! Pare che cosí, finalmente, me lo tolgo da torno.

CRISTINA (autoritaria) Tu non capisci nemmeno quello che dici. (Rifacendola caricaturalmente) «Me lo tolgo da torno!» Evvivaa essa!..E non te ne devi mettere un altro? Non devi trovare uno qualunque che ti stia vicino, che ti rappresenti?!… Una donna che vuol significare una cifra nella vita se lo deve saper guardare un salciccio di uomo vicino. Perché se non è quel cretino, sarà un altro. Tanto, ll’uommene so’ tutte ‘o stesso!

OLGA (dispettosa) Embè, Iui ha fatto la spia? E io glielo dico in faccia!

CRISTINA (scattando) Mai!… E un errore gravissimo confessare. Negare, negare sempre, negare pure l’evidenza. Tu dirai che noi sapevamo che lui stava ad ascoltare, e che, per punirlo… Il dubbio: ‘e capito?… piccere’, creare il dubbio! Allora Amleto perché è grande? Giura ‘e Sante, ‘a Madonna, ‘a vista ‘e ll’uoc­chie, ‘e muorte ‘e chi vuó tu, ma non confessare mai. Mio marito che poteva sapé quacche cosa? Niente c’era da dire sul mio conto, perché gli fui fedelissima; ma non lo doveva sape­re. È morto, e non ha saputo si ll’aggio fatto ‘e ccorna o no. ‘O tengo nnanz’ all’uocchie, agonizzante. (Rifacendo il tono di voce supplichevole) «Dimmelo, Cristina, dimmelo!» E io, prevedendo che poteva pure guarire, scoppiai a piangere, copren­domi il volto con le mani. E lui mori senza sapere se io piange­vo per il rimorso di averlo tradito o per la mia imminente vedo­vanza. Questo significa essere donna di carattere.

OLGA (c. S.) Ma isso tene n’ata femmena, dalla quale aspetta un bambino.

CRISTINA (esasperata per l’inesperienza della figlia) …E che te ne… Uh! Mo che dicevo?… (Attenuando la frase) E che te ne importal… S’ ‘ha da chiagnere isso. La moglie sta su di un piedistallo. ‘O piedistallo sta qua… (indica a terra). Tu staie ‘a coppo… e sotto c’è scritto: «Moglie!» Vuoi dire che lui butta il sangue a lavorare per provvedere al mantenimento di due famiglie… «Tu donna partorirai con gran dolore e tu uomo lavo­rerai con gran sudore!» Quando sarà schiattato per 1a fatica, l’altra donna, con la prole, se ne andrà fuori dai piedi, e la moglie rimane inattaccabile, illesa, trionfatrice sul suo piedistal­lo! Quello che hai fatto è deplorevole non per il «che», per il «come». (Piagnucolando) Mi hai tolto dieci anni di vita… (A Libero, confidenziale) Con voi si può parlare, perché siete un amico ed un uomo di mondo. Sapete che ha fatto questa sciagu­rata?

OLGA (troncandole la parola col tono della voce) Mammà; stai zitta.

LIBERO Vi ha confessato tutto, e il marito ha sentito. (Con di­gnità quasi orgogliosa, non volendo escludere la sua responsa­bilità) Signora cara, al cuore non si comanda. Ne abbiamo parla-to fino adesso.

CRISTINAMa mettetevi nei panni del marito che sente parlare la moglie di un altro uomo.

LIBERO Come me la sbrigherò io con don Benedetto, il marito…

CRISTINA Se viene a parlare con voi, direte che non siete al cor­rente di niente. (Indicando Olga) Lei, voglio vedere come se la sbriga! Mi stava venendo un colpo, stamattina, quando è venu­ta a casa a farmi la confessione. Voi capite che, con la inco­scienza della generazione moderna…

OLGA (scattando come una molla, invelenita) Ti ho detto stai zitta… (E incomincia a gridare come nel primo atto, questa volta, però, con rabbia sincera) Voglio morire… Non ne posso più… ah… ah…! (E continua con alte grida laceranti e isteri­che, finché sviene e si irrigidisce sull’ottomana).

CRISTINA (preoccupata si avvicina alla figlia per soccorrerla) Ol­ga, Dio mio… Olga, non farmi paura…

LIBERO Signora Olga…

CRISTINA (aspettando che la crisi cessi, riprende il suo raccon­to) Con l’incoscienza della generazione moderna, mi confessa nientemeno…

OLGA (stizzita) Stai zittal… (E per la rabbia addenta la mano sinistra di Libero).

LIBERO (straziato dal dolore) Mamma d’ ‘a Sanità!.(Ed ingaggia con Olga una strenua lotta per liberare la sua mano) Signo’, lasciate!…

OLGA (finalmente molla. Rivolgendosi a Cristina, con ira) Lo sai che quando mi pigliano i nervi non capisco pii niente. (E rimane imbronciata in un angolo della ottomana).

LIBERO (livido, osservando la mano, preoccupatissimo per le com­plicazioni di carattere profilattico che ne possono derivare) Ma cheste so’ cos’ ‘e pazze!

CRISTINA Vi ha dato un morso?! Un poco d’alcool!

LIBERO (indicando un mobile) Là, signo’, abbiate pazienza, c’è una bottiglia.

CRISTINA (prende una bottiglia dal mobile indicato da Libero e gliela mostra) Questa?

LIBERO (osservandola) Sí. (Cristina stappa la bottiglia e ne ver­sa abbondantemente il contenuto sulla ferita di Libero. Il bru­ciore è quasi insopportabile). Mamma d’ ‘o Càrmene! Piano, piano, signo’. E pure questa ci mancava, oggi. Ma poi, cosíinaspettatamente…

CRISTINA Fermateci sopra il fazzoletto imbevuto di alcool.

LIBERO (seriamente allarmato) No, signo’, ccà ‘o fatto è serio. E meglio una fasciatura.(Si fascia la mano col fazzoletto. Cristi­na lo aiuta ad annodarlo).

CRISTINA E io glielo dissi: «Assicurati di questo capitano, infor­mati, scrivi in America…»

LIBERO (sospettoso) Quale capitano?

CRISTINA Il capitano che le aveva promesso di farla divorziare dal marito e di portarla in America.

LIBERO (amaro e guardando significativamente Olga) Ah, ma al­lora esiste veramente questo capitano?

OLGA (seccata) Parla, mamma, parla…

CRISTINA Esiste, per disgrazia nostra. Ed è partito pure. Se n’è andato in America, abbandonandola, non appena ha saputo del-la sua maternità.

LIBERO (grave, cosciente) Come, come, come…

CRISTINA (accusando Olga di qualche cosa che, in fondo, è a cono­scenza di Libero) Èmadre… È madre da poco tempo. E vo­glio vedere come se la sbriga col marito, che vive a Grosseto da tanto tempo e che, quando tornò, due settimane fa, litigando s’incontrarono e litigando si lasciarono.

LIBERO (ambiguo) Già, perché se no…

CRISTINA … quattro cerimonie… (Recriminando) Ma lei ignorava il suo stato. Se ne è accorta da poco. «Se tuo marito ti lascia, che fai?» elei: «Ci ho tre milioni e la casa di proprietà». « Si, ho detto io, ma senza un imbecille che prenda la responsabi­lità di questa creatura che nasce, che figura fai?» E lei: «L’ho trovato, ce l’ho per le mani!» Chissà di chi parlava!

LIBERO (masticando fiele) Mah… Non saprei a chi pensare. Non sono abbastanza astuto, sono un filatelico: conosco ‘e francobol­le. Vivo dando dei consigli… La storia si ripete e il filatelico ha vita lunga. Lina detronizzazione di cento anni fa determinò una Repubblica? E su quella Repubblica io vivo. Vivo sulle incoro­nazioni, sulle commemorazioni, sulle celebrazioni, sugli eventi rivoluzionari… Ed ho capito che, vendendo i francobolli, in buona fede io appiccico la patacca al cliente. (Campanello interno). Permesso. (Esce per la comune. Dopo poco internamente si udrà la sua voce) Brava, m’ha fatto tanto piacere. (Ritorna Introducendo Carmela, la quale reca con sé una bottiglia di­ rosolio di mandarino).

CARMELA (entrando, seguendo Libero) Ha ditto: «Dincéllo ca s’ ‘a bevesse isso!»

LIBERO E io ma bevo!

CARMELA V’ ‘a metto ccà. (Indica un mobile in fondo).

LIBERO Miettela addó vuó tu.

CARMELA (collocando la bottiglia sul mobile stesso che aveva indi­cato) Sta ccà, ‘a vedite. Io me ne scendo. Permettete. (Esce per la comune).

 

Dopo un attimo si ode dall’interno la voce di Benedetto.

 

BENEDETTO (di dentro come parlando a qualcuno) Libero sta dentro?

CARMELA Sissignore, don Benede.

CRISTINA (allarmata, ad Olga) Tuo marito.

OLGA (inviperita) Non lo voglio vedere. Se ci volete parlare, ci parlate voi. (Esce svelta per la prima a sinistra).

CRISTINA( escludendo in modo assoluto la soluzione di Olga) No, mi dispiace; queste sono cose che si sbrigano fra marito e mo­glie. (E segue la figlia).

 

Benedetto dalla comune, affranto, pallido. Entra e per un atti­mo si ferma sull’uscio, fissando lungamente Libero, come per dirgli: «Che schifo, la vital…»

 

LIBERO (imbarazzatissimo) Buongiorno, don Benede’, accomoda­tevi. Siete arrivato da Grosseto?

BENEDETTO (muove verso Libero. Dopo pochi passi si ferma di nuovo, poi con tono grave e coprendosi il volto con tutte e due le mani) Che schifo!

LIBERO (comprensivo) Non c’è che fare, bisogna essere filosofi, caro don Benedetto.

BENEDETTO Fino ad un certo punto. Tutto, intorno, è diventato ostile, inaccettabile, esasperante. Un’ora, capite, un’ora ho aspettato per prendere il tram!

LIBERO (torvo) Embè, che ci volete fare?

BENEDETTO Mi sembrava dimpazzire, alla fermata. Ad un certo punto, ho pensato: «Mo me ne vaco a pede e buonanotte». Che schifo!… Quando sei sereno di spirito,transeat, accetti tutto; ma con l’animo in tumulto, come ce l’ho io… (Siede sull’ot­tomana a destra).

LIBERO Siete stato già da vostra moglie?

BENEDETTO No, sono venuto direttamente qua. Prima di vede-re lei, ho voluto vedere voi. Ma come, un uomo vissuto come voi: «Sentite a me, vostra moglie, in fondo, vuoi salvare un po’ di danaro. Fatele donazione della casa e intestatele un con-to in banca». Io, invece, già lo avevo fatto per le tasse e tante altre rotture di scatole…

LIBERO E mo e denare stanno mmano a signora?

BENEDETTO (approvando) Tutto murano a essa. Ad ogni modo cominciai a pensare: «Ma, allora, questa donna mi vuole be-ne?… Cerca di salvare il mio, per me e per lei… Mi conviene dilasciarla per una donna estranea che ad un certo punto mi potrà dare dei dispiaceri? No, ‘a mugliera è sempre mugliera. Liqui­do la ragazza di Grosseto e resto con mia moglie»… Aveva un amante! Un capitano italo-americano conosciuto durante la mia assenza e che se l’è squagliata non appena è venuto a sapere della sua paternità. Voi siete stato colto nella buona fede, come me, perché io sono sempre in buona fede, in ogni momento, in tutte le mie manifestazioni. Pure adesso: all’ulti­mo, all’ultimo!(D’un tratto si alza, raggiunge la porta d’ingres­so e con voce ferma chiama) Guglielmo… (Torna al suo posto, senza sedere, e attende).

GUGLIELMO (dalla comune. E un giovane sui ventottanni, rispetto-so e strisciante. Il suo modo di parlare e di presentarsi alle persone di una certa importanza gli conferiscono un certo aspet­to voluto, ingenuo e svagato. Lo si direbbe mezzo tonto, al contrario è astuto e furbo. Per diffidenza atavica, teme l’insidia del piú forte, allora preferisce assumere un’aria incerta che gli dia quell’attimo di tempo per riflettere prima di rispondere. Indossa una giacca grigia su di un pantalone di panno turchino filettato giallo. Ha in mano un berretto dello stesso colore del pantalone, con la scritta frontale «Cinema Aurora». Entra svel­to e si f erma sull’uscio sberrettandosi)Comandi.

BENEDETTO Entra. (A Libero) Voi permettete?

LIBERO Come no.

GUGLIELMO (avanza fino a guadagnare il centro della scena, pian­tandosi tra i due e guardandoli con la sua aria svagata. Guardan­do Libero con un sorriso melenso) Io sono Guglielmo Ca­puto.

LIBERO (dopo una piccola pausa) Bravo.

BENEDETTO Fa la maschera in uno dei miei due cinema. Non perché sia presente, ma è un uomo utile a tutto. Onesto sino all’inverosimile. Il seme della sua onestà si è perduto. Dunque,tu non sai mentire. Se in questo momento dico una sola bugia, ti autorizzo a rompermi una sedia in testa.

GUGLIELMO (sorride come dire: «E chi ci si mette!») Eeeh!

BENEDETTO (testardo) No, se dico una bugia, mi devi rompere una sedia in testa. (Guglielmo ride). Non ridere. Quando hai avuto la mia autorizzazione, non devi temere niente. Se vuoi te lo scrivo.

LIBERO (che non intende reggere oltre il giuoco di Benedetto)Ma non c’è bisogno. (A Guglielmo)Facciamo cosí: se dice una bugia, tu lo dici a me, e la sedia in testa gliela rompo io.

BENEDETTO (preoccupato, svia) Insomma, mi può smentire.

LIBERO Ecco, limitiamoci alla smentita.

BENEDETTO (a Guglielmo) Una sera sei entrato in Direzione, come mi hai trovato?…

GUGLIELMO Ah si, quella sera che piangevate. (A Libero, grave) Come piangeva!

BENEDETTO (rinfrancato per l’affermazione di Guglielmo) Pian­gevo per la rivelazione che mi aveva fatta Angelina Trombetta,la cameriera di Grosseto, e per la confessione che avrei dovuto fare a mia moglie.

GUGLIELMO Ci avevate la rivoltella puntata qua… (Indica la tem­pia destra) Iomi misi quella paura! (Si dispone a raccontare) Potevano essere verso le dieci e mezza, stava per finire l’ultimo tempodell’ultimo spettacolo. Io mi stavo mettendo il soprabi­to per andarmene a casa. Cinque minuti piú tardi e sarebbe successa la disgrazia. Quando sento il campanello della Direzio­ne. (Ne imita il suono) Driiin… driiin… driiin…

BENEDETTO (premuroso) Che non suonai io.

GUGLIELMO (escludendo, senza convinzione) N000… Fu un con-tatto. Già, un contatto? Fu un miracolo. (Riprende il raccon­to) Sento suonare il campanello e dico: «Lasciami andare a vedere il padrone che vuole». Entro e te lo trovo con la rivoltel­la puntata alla tempia. (Sincero) Qui c’è poco da scherzare. Se lui non suonava il campanello…

BENEDETTO (pronto) E che lo suonai io? In quel momento pen­savo proprio a ‘o campaniello…

GUGLIELMO (scusandosi) Ho sbagliato. Volevo dire: se non face-va contatto il campanello, io me ne sarei andato e succedeva la tragedia.

LIBERO (ingoiando il rospo) Volevate uccidervi?!

BENEDETTO (pronto, indicando Guglielmo) Gli devo la vita. Fu lui a distogliermi. Gli raccontai tutto, quella sera avrei parla­to con chiunque. Gli dissi la tragedia della mia vita e ci mettem­mo d’accordo: lui avrebbe sposato Angelina Trombetta e io sarei tornato da mia moglie. (Falsamente commosso) La sua spontanea generosità mi fece piangere, e allora, dopo, dissi: «Voglio ricompensarti. Ti nominerò direttore di questo Cine-ma e ti darò cinquecentomila lire in contanti».

GUGLIELMO (rettificando) No. Dicemmo prima che mi nominava-te direttore del Cinema e che mi davate le cinquecentomila li re, e poi io accettai.

BENEDETTO (seccato) È lo stesso.

GUGLIELMO (sincero) Gnernò. E io come avrei potuto mantene­re una famiglia ed un bambino con quello che guadagno?

BENEDETTO (tagliando corto) Vattene fuori e aspettami.

GUGLIELMO (pronto) Agli ordini. (Muovendo verso la comune e rivolgendosi a Libero, alludendo alla serata del tentato suici­dio, con falso interessamento) Mi fece paura! Voi scherzate? Bastava un secondo… Con la rivoltella puntata alla tempia… Se lui non suonava il campanello, era fatta… Permesso. (Esce).

BENEDETTO Capite, adesso, la mia situazione? Avevo appianato tutto, avevo legalmente sanato la piaga. Si dice: «Nun me mporta di mia moglie». «Facesse ‘o commodo suio!» Ma nun è overo. Quando vieni a sapere che la donna alla quale hai dato il tuo nome è stata di un altro, e che verrà al mondo il frutto di questo tradimento, è come se il fuoco si sostituisse al sangue. E pensi a una sola cosa: la vendetta!

CRISTINA (dalla prima a sinistra, disinvolta e padrona della situa­zione) Mo basta, mo. (Parla verso la camera dalla quale è venuta) Olga, ti dico: basta. Qualunque scherzo ha un limite. (A Benedetto) Buongiorno, Benede’. Ho fatto male io ad asse­condare mia figlia…(Irridendolo) Scemo! Quando sei venuto acasa mia, stamattina, Olga ti aveva veduto dal balcone. Sapeva­mo benissimo che origliavi: ti ha voluto ingelosire. (Semplice) ‘O fatto d’ ‘o capitano nun è overo. Domanda a Libero, che sta d’accordo con noi.

BENEDETTO (che non se l’è bevuta) Che cosa? ‘O scherzo?… (Alludendo a Olga) Sta na dinto, è ove’? A chi vulite fa’ sce­mo? Come si nun ve cunuscesse a vvuie e a essa. Ma nun se credesse ‘e s’ ‘a fa’ franca, perché io l’accido. (Furente muove deciso verso la prima a sinistra) Lle spacco ‘o core… Schifosa, prostitutal… (portando la mano destra alla tasca posteriore dei pantaloni, esce per la prima a sinistra, richiudendo a chiave la porta di divisione).

CRISTINA (allarmata, fa per seguirlo, ma si accorge che la porta è stata chiusa a chiave dal di dentro) Uh, Madonna! Chilo ha chiuso ‘a porta a chiave! Libero, fate qualche cosa!

LIBERO (disorientato) E che faccio?

CRISTINA (autoritaria, cosciente del suo diritto) Sfondate la por­ta. Dentro c’è mia figlia che corre pericolo!

OLGA (di dentro, gridando come nel primo atto) Ah! Ho ragio­ne! Toglietemi questo mostro da vicino! Linciatelo! Liberate-mi da questo assassino!… Aaaah!

CRISTINA (sconvolta) La sentite, quello l’ammazza! Chiamate gente!

LIBERO (corre verso la comune e chiama Guglielmo) Guè, a te viene ccà!

GUGLIELMO (entrando) Comandi.

LIBERO (indicando la porta) Mènate nfaccia a chella porta, e vide si ‘a può sfunnà!

GUGLIELMO (dopo aver provato a forzare la porta che non cede) Ma un’altra chiave non ci sta?

LIBERO E si tenevo n’ala chiave chiammavo a te?

CRISTINA (girando per la scena come un’anima in pena) Non vi perdete in chiacchiere. Chiamate un fabbro.

COSTANZA (dalla comune, allarmata per le grida) Ch’è successo?

CRISTINA Sto perdenno a mia figlia! E non si può far niente. La porta è chiusa e nessuno fa qualche cosa per evitare la tragedia. Silenzio. Fatemi sentire. (Tutti si mettono in ascolto). Niente. Non si sente pii niente. La polizia, chiamate la polizia.(Gridan­do contro tutti) Muovetevi, che fate llà? Scuotetevi!

BENEDETTO (afacciandosi dalla prima a sinistra) con rilievo) Scu­sate, un poco di silenzio. Stiamo discutendo. (Rientra).

Cristina lo segue, richiudendo la porta dietro di sé. Tutti si guardano significativamente in silenzio, ognuno per quello che, secondo il suo interesse, pensa.

 

COSTANZA (dopo una piccola pausa, indicando Guglielmo e parlan­do sottovoce per non disturbare quelli che sono nell’altracamera, chiede a Libero) Chi è?

LIBERO (con lo stesso tono sommesso di Costanza) E persona di don Benedetto Cigolella.

GUGLIELMO (anch’egli sommessamente) Sono maschera di uno dei due cinematografi di sua proprietà. (Guardando verso la porta di sinistra e dubitandodel suo avvenire) Dovevo diventare Direttore, ma adesso chissà!

LIBERO (sedendo accanto al tavolo, sempre con tono di voce soni-messo) ‘O core che te dice?

GUGLIELMO E che m’ha da dícere, signo’? La vita è dura. Dipen­de dalla signora che sta là dentro. Se divento Direttore mi metto a posto definitivamente. Ho sofferto, caro signore. Alle dipendenze di quel birbante là… (Indica la prima a sinistra) si soffre.

LIBERO Come?… Hai detto che gli sei tanto affezionato?!

GUGLIELMO Voi scherzate. Io si ‘o putesse accidere e ‘o pavasse tre sorde, ‘o ffaciarría cu’ tutt’ ‘o core. Una borial…

LIBERO Si, è borioso. Quando s’incontra per le scale, non saluta mai. Fa vedere che non ti conosce e abbassa gli occhi. È su­perbo.

GUGLIELMO Si sapisseve quante volte devo abbozzare! Come Di-rettore è un’altra cosa. V’avíssev’ ‘a credere ca io songo sce­mo? Mi faccio fare un contratto di ferro, e po’ vedimmo si isso è buono di umiliarmi e di offendermi. (Con ineluttabilità) Eh, che volete fare, caro signore, se no restate sempre cu’ ‘a stessa camicia addosso.

LIBERO (amaro) Excelsior e Madapolam.

GUGLIELMO A parte il fatto, poi, che mi sposo una bella ragaz­za, Angelina Trombetta è una buona figlia. Chella faceva l’amo-re con un amico mio che mori, salute a voi, di bronchite e polmonite il mese scorso. Un giovane d’oro che se l’avrebbe pure sposata. (In tono confidenziale e con circospezione) E il bambino che deve nascere, è della buon’anima.

LIBERO (interessandosi) Non è di don Benedetto?

GUGLIELMO (escludendo tassativamente) Noo. Angelina cosí gli ha fatto credere.

LIBERO (a Costanza) He capito ‘a cafonal… (A Guglielmo) E tu, perché non gli hai detto la verità?

GUGLIELMO E per quale interesse? A me che me mporta. È lo stesso ca vuie me dicite: «Guglie’, io sono il re di Francia». Io, pur sapendo che voi il re di Francia non l’avete visto mai neanche in fotografia, dico appresso a voi che lo siete.

LIBERO (convinto, come se gli si aprisse davanti un orizzonte sco­nosciuto fino a quel momento) Eh già. Cosí la voce corre e per quelli che sanno e non hanno interesse di smentire, la bu­gia cammina. Per quèIli che non sanno, poi; passato il tempo, io divento veramente il re di Francia.

GUGLIELMO Proprio cosí. (Indicando la prima a sinistra) Là den­tro si decide la mia sorte; se resto maschera o se divento direttore.

LIBERO (stendendogli la mano che Guglielmo stringe) Auguri!

Olga, dalla prima a sinistra, ipocritamente indispettita, parlan­do sommessamente a sua madre, la quale cingendole le spalle con il braccio destro, ascolta soddisfatta i suoi ragionamenti, attraversa la camera, dirigendosi verso l’ingresso. Dopo pochi passi, fingendo di scorgere solamente allora Libero e Costanza, rivolge ad essi un compunto:

OLGA Buongiorno.

CRISTINA (pronta, con la medesima intenzione di Olga) Buongiorno. (Ed escono).

BENEDETTO (entra svelto per seguirle. È impacciato, vuol darsi un contegno, guarda tutto e niente. Finalmente, con un mezzo sorriso, a Libero e Costanza) Buongiorno. Scusate il fastidio.

LIBERO (assumendo un’aria vaga) Vi pare.

COSTANZA Siete il padrone.

BENEDETTO (a Guglielmo, con un cenno dintesa, per rasserenarlo) Tu, aspettami al caffè Brasile dove abbiamo preso il caffè quando siamo arrivati.

GUGLIELMO (rinfrancato, strisciante) Va bene.

BENEDETTO (ora fissa lo sguardo su Libero, scrollando lievemente il capo con un risolino ambiguo, insinuante, minaccioso) E bravo don Libero! Molto bene. Vi farò ricordare chi è Benedet­to Cigolella. (Libero non osa interrompere, quasi gli sorride). Una sola cosa devo stabilire: se siete un ingenuo o un verme. Se siete un ingenuo, io v’insegnerò a vivere… (Decisamente minaccioso) Voi mi conoscete! Se siete un verme… don Libero, faccio cosí col piede… (stropiccia lievemente e ripetutamente la punta del piede destro su di una mattonella del pavimento, come per distruggere ed annientare un insetto di cui si è sicuri di disperderne casi ogni traccia) …e vi schiaccio! (Poi rivolgen­dosi di nuovo a Guglielmo, quasi chiedendo indulgenza per Libero) Andiamo, Guglielmo.

GUGLIELMO (che ha mangiato la foglia, saluta con improvvisa vita­lità) Buongiorno. (Esce, seguendo Benedetto).

 

A bocca aperta, Libero e Costanza, s’interrogano con uno sguar­do pieno d’accorata, timida curiosità.

ATTO TERZO

La. stanza sottostante a quella degli atti precedenti. .

Mentre a sinistra le pareti presentano la medesima struttura e le stesse ubicazioni, a destra, invece, è stato praticato un ampio vano per formare ù S61 ambiente con la camera accanto ve­diamo quindi, rimpicciolita e spostata a sinistra, l’intera came­ra da pranzo dei signori Incoronato, con in piú l’architrave rica­vato dalla parete di destra, il quale, sostenuto all’inizio dalla spalletta di fondo, trova sostegno al proscenio su di un pilastro immaginario, per non togliere la visibilità al pubblico. L’am­bientino di destra, ricavato dalla eliminazione della parete, pre­senta una porta in prima quinta e un’altra in fondo. Questa lascia vedere una finestra del corridoio, comunicante con l’ap­partamentino. L’arredamento è di lusso, sia nell’ambiente di sinistra che in quello di destra. Tutto un soggiorno, con il picco-lo angolo da gioco. Infatti il nuovo ambientino che vediamo è stato arredato per l’esigenza e festosamente decorato, alle pareti, con elementi allusivi: due racchette incrociate, una scacchie­ra, i dadi, il ping-pong, ecc. Tende alle finestre. Tappeti, ninno-li e quadri. Sono trascorsi nove mesi circa. È una luminosa mattina di maggio. Sul parapetto della terrazza, vasi fioriti. All’alzarsi del sipario si troveranno al centro della stanza, in piedi, di fronte al pubblico, Guglielmo Caputo e Angelina Trombetta. Angelina si riconosce subito. Tipo di serva provin­ciale. Indossa un abito fastoso ma pacchiano nella foggia e nel colore, ed ostenta, forse per la prima volta in vita sua, un cap­pellino «invadente» nel bel mezzo del capo. Il braccio sinistro, nel quale è infilata una borsa utilitaria in cretonne, aiuta il destro a sostenere, maternamente, il peso di un neonato di poco più di un mese. Guglielmo Caputo è abbigliato vistosamente. Tutti i suoi «paramenti» sono nuovi di zecca. Dalle scarpe scrocchianti, alla cravatta «audace»; dal cappello grigio perla, che rigira nelle mani, al pedalino vistoso. Ogni tanto, du­rante la lunga pausa che seguirà il levarsi del sipario, osserva l’orologio a braccio e solleva le sopracciglia in atto d’impazien­za. Guarda teneramente Angelina palpeggiando il culetto del neonato e, con un gesto descrittivo della mano destra, lascia indovinare che il marmocchio «se l’è fatta addosso». Sorride bonario a sua moglie per indurla ad avere pazienza nell’attesa. Dopo il giuoco scenico voluto dall’autore e limitato all’indispen­sabile dal regista, entra dalla comune Cristina, seguita da Car­mela. Cristina è tutta in ghingheri, felice di poter praticare la sua opera e la sua esperienza, affinché il rito familiare abbia a svolgersi con tutte le regole consuetudinarie.

CRISTINA,(entrando, come continuando a parlare con Carmela) Ti sei perduta una funzione magnifica. La fonte battesima­le in chiesa era decorata tutta a fiori bianchi: un trionfo di fioribianchi: Il prete ha parlato come un Dio! Dammi una mano adaggiustare la camera da letto, perché adesso arriva il bambino e voglio far trovare tutto pronto. (Fingendo di scorgere soltanto in quel momento Guglielmo e Angelina, con freddezza) Voi state aspettando ancora? Mi dispiace, ma mio genero adesso viene con gli altri.

GUGLIELMO (niente affatto scoraggiato dalla freddezza di Cristi­na) Non ha importanza. Io lo voglio salutare prima di partire.

CRISTINA (osservando amorosamente il neonato) Quantè bellil­lo. Statevi attenti, in viaggio, di non fargli prendere aria. Com’è tranquillo!

GUGLIELMO (affermando) Una pace.

CRISTINA Pure il nostro non piange mai. (Chiamando verso la prima a sinistra) Balial… Balial…

LA BALIA (dalla prima a sinistra, mastodontica e ingombrante, nell’abito classico. Fermandosi a due passi dall’uscio, incrocia le mani sul ventre e chiede svogliatamente, con il parlare lento dei provinciali) Mi avete chiamato?

CRISTINA (A Carmela, in disparte) Quanto è antipatica. (Poi, rivolgendosi alla balia, cambiando repentinamente espressio­ne, falsamente amabile) Adesso arriva il bambino. Avete chiu­so le finestre in camera?

BALIA (senza scomporsi, con lo stesso tono lento) Ne ho chiusa una sola, perché la seconda ci ha un ferramento, come si dice… ca struppéa le mane.

CRISTINA Bisogna spingere prima e poi girare il ferro.

BALIA E devo spingere io?… Sono venuta per allattare o per spingere?

CRISTINA (dignitosa, subisce) È giusto. Adesso vengo e spingo io.

BALIA (risolve) E spingete voi. (Esce per la prima a sinistra, con passo lento, pomposo).

CARMELA (seguendo Cristina che sí avvia) E che ce vo’ a chiudere na fenesta… Mo vengh’io! (Ed esce anche lei con Cristina per la prima a sinistra).

OLGA (dalla comune, preoccupata, seguita a breve distanza dalla levatrice. È in abito da mattina. Nulla piú di superficiale si nota nel suo carattere, nulla piú di lezioso si scorge nel suo abbigliamento. È completamente cambiata dai primi due atti. È diventata mite e dolce. La levatrice è giovanissima. Veste decorosamente, da professionista seria. Reca fra le braccia il bambi­no di Olga) Sta tutto bagnato.

LA LEVATRICE Non si preoccupi, signora. Vedrà… Troppe volte bisognerà cambiargli la biancheria.

GUGLIELMO (sorridendo ad Olga) Noi stiamo aspettando ancora.

OLGA Mio marito viene subito. Perdonate se vi lasciamo soli, ma il bambino ha bisogno di biancheria pulita.

GUGLIELMO Signo’, perdonate. Pure il nostro avrebbe bisogno di cambiare la biancheria.

OLGA Entrate dentro. (Indica la prima a sinistra) Fate il comodo vostro.

ANGELINA Io ci ho con me tutto loccorrimento.

OLGA (avviandosi verso la prima a sinistra, seguita dalla levatri­ce) E venite.

GUGLIELMO Va’, Angeli’, t’aspetto qua.

 

Olga, la levatrice ed Angelina escono per la prima a sinistra.

 

BENEDETTO (dalla comune, introducendo Libero) Vengo adesso dalla chiesa, sono proprio felice di vedervi. Entrate. Ma che fate, cerimonie?

LIBERO (con il suo solito, modesto vestito degli atti precedenti. Soltanto la camicia è quella che al secondo atto è stata aggiusta­ta da Costanza con le cimose. In una benda nera, legata e sospe­sa al collo, adagia il braccio sinistro e la mano fasciata)Con voi? Vi pare che faccio cerimonie con voi? Sono arrivato in questo momento da Roma e mi farebbe piacere rimanere un poco in vostra compagnia, dato pure l’evento del battesimo; ma sono stanchissimo, don Benede’… e vorrei andarmi a ripo­sare.

BENEDETTO (invogliandolo a restare) Non ci vediamo da tanti mesi!

LIBERO (precisando) Nove. Non ci vediamo da nove mesi. (Fa­cendo mentalmente i conti) Anzi, precisamente, otto e mezzo…(Scorgendo Guglielmo, lo indica) Da quando vidi l’ultima vol­ta lui.

GUGLIELMO (salutando con gioia sproporzionata) Buongiorno, si­gnor Benedetto.

BENEDETTO (con lieve disappunto) Buongiorno. Voi perché sie­te venuto qua?

GUGLIELMO E ho portato pure mia moglie ed il bambino, stan-no di là. Io velo dissi che dovevo venire a Napoli, perché miamadre e i parenti volevano conoscere la sposa e la prole. Cosí, prima di ritornare a Grosseto, ho pensato di venirvi ad osse­quiare e faivi gli auguri per il battesimo del vostro bambino.

BENEDETTO Grazie. (Traendo in disparte Guglielmo, con rilie­vo) Hai fatto male. Ti avevo detto di evitare.

GUGLIELMO (convinto e con tono strafottente) No, io ho fatto bene. Prima per la mia famiglia, e poi per la vostra, voi mi capite… Adesso vado a prendere mia moglie e vi togliamo il fastidio. (Scorgendo Libero che, significativamente, lo saluta da lontano, cerca di evitarne il contatto) Permesso. (Esce per la prima a sinistra),

LIBERO (in buona fede, alludendo a Guglielmo) Non mi ha rico­nosciuto.

BENEDETTO È direttore di uno dei miei due cinema a Grosseto. LIBERO (come a dimostrargli di essere al corrente) Quello che una volta era maschera.

BENEDETTO (falsamente ingenuo, come se lapprendesse in quel momento) Era maschera?

LIBERO E voi non lo sapete?

BENEDETTO No.

LIBERO Don Benede, me lo diceste voi!

BENEDETTO Io?… non mi ricordo. Lho assunto come direttore perché ne ebbi delle buone informazioni. (Libero rimane dub­bioso. La semplicità con cui Benedetto gli parla lo sconcerta, gli fa quasi avere dei dubbi sulle proprie facoltà mentali). E voi ve ne siete stato a Roma, tutto questo tempo?

LIBERO Partii dopo il matrimonio di mia sorella, sei mesi fa, per consegnare certi francobolli di valore alla succursale di Roma,e sarei tornato prima se non avessi avuto delle complicazioni alla mano.

BENEDETTO A proposito, non ho mai domandato che avete alla mano. Una caduta?

LIBERO (amaro) No.

BENEDETTO Nu frungolo?

LIBERO (con allusione) Una flèmone.

BENEDETTO (rettificando) Un flèmone, volete dire… Si dice flèmone.

LIBERO Ce ne sono di due specie: c’è il flèmone maschio e la lèmone femmina. A me è capitata la femmina, don Benede’, e non c’è peggio.

BENEDETTO Overo?

LIBERO Ci sto cantando ancora. Fece infezione e non sono serviti cataplasmi, pomate, unguenti… Mi sono dovuto decidere e cinque giorni fa, a Roma, ho dovuto ricorrere all’intervento chi­rurgico: taglio, raschiamento ed asportazione della terza falange caudale.

BENEDETTO Voi che dite?

LIBERO Che dico? So io quello che ho sofferto!

BENEDETTO Tiene mente na flèmone che te combina…

LIBERO E capace di tutto! (Come seguitando un discorso troncato da poco,, convinto di trovare immediata comprensione) Per me, vi siete regolato benissimo: siete stato umano e saggio.

BENEDETTO (cadendo dalle nuvole) In che cosa?

LIBERO Come avete risolto la situazione.

BENEDETTO (c. s.) Quale situazione?

LIBERO (cocciuto, precisando) Veramente sarebbero due: quella della cameriera di Grosseto e quella di vostra moglie, qua.

BENEDETTO (seriamente rabbuiandosi) E scusate, che centra la cameriera di Grosseto con mia moglie?

LIBERO (comincia a comprendere il giuoco di Benedetto, ma non vuoi darsi per vinto) Dico che avete fatto bene a dare un marito alla cameriera di Grosseto ed a riunirvi con vostra moglie, riconoscendo il bambino.

BENEDETTO (come di fronte a una enormità) Libero, ma voi state scherzando?

LIBERO (eroico) No!

BENEDETTO (offensivo) Allora siete impazzito. La cameriera di Grosseto, Angelina Trombetta, ha sposato il direttore di uno dei miei due cinema, Guglielmo Caputo. Hanno avuto un bam­bino, sono felici e mi fa tanto piacere per loro. In quanto al mio ravvicinamento con mia moglie, con il conseguenziale rico­noscimento del bambino, perché vi fa tanta meraviglia? Non lo dovevo riconoscere? Libero, una creatura vostra, sangue del vostro sangue… sangue del mio sangue…?

LIBERO (lí lí per scoppiare, dominandosi) Ma quale sangue di sangue… don Benede’… io non voglio bestemmiare! Voi mi raccontaste tutta la tragedia: ‘a rivoltella alla tempia… ‘o capita-no che avevate sentito dall’altra camera in casa di vostra suocera!

BENEDETTO (ribattendo) E secondo voi, uno sente una cosa dall’altra camera e ne deve creare un altro Vangelo di Dio?… Libero, se oggi sono stato al battesimo e sono padre di un bam­bino, mettitevello bbuono ncapo, la colpa è vostra! Quando io volevo uccidere mia moglie, vi ricordate? Quel giorno ero in buona fede perché avevo creduto fermamente a quello che ave­vo sentito in casa di mia suocera. E giustamente, perché pensavo: «Vivo diviso da Olga a Grosseto, lei a Napoli… Quella volta che la venni a vedere, litigammo e partii l’indomani come se non ci fossimo visti… Se aspetta un bambino, questo bambi­no non può essere mio!…»

LIBERO (ammettendo, soddisfatto)Ecco!

BENEDETTO ( fissandolo lungamente, con ironico rimprovero) Dove lo comprate il vino?

LIBERO Quale vino?

BENEDETTO Quello che usate per casa vostra…

LIBERO Ah… qualche volta… Dal vinaio all’angolo.

BENEDETTO (alludendo alla sera che bevve il vino in casa di Libero) Che sbornia, quella sera! Quella sera che salimmo da voi e che, a mia moglie, Ile venette ‘o svenimento!

LIBERO Vi sborniaste col vino di quella sera?

BENEDETTO (con convinzione) Una sbronza che non prenderò mai piú in vita mia e che mai uomo al mondo abbia presa! Quando vi lasciai con mia moglie, che dopo poco mi raggiunse, la poverina mi venne a trovare per seguitare a parlare. Il vo­stro vino fece il suo effetto: nascita e battesimo dell’erede.

LIBERO (rodendosi il fegato) Già.

BENEDETTO Quando poi io, accecato dalla gelosia, volevo ucci­derla in casa vostra, fu lei che mi fece ricordare quello che era avvenuto fra noi, la sera della sbronza.

LIBERO (c. s.)Galeotto fu il vino!

BENEDETTO (accompagnando col gesto della mano un risolino accusatore)Che v’avess’ ‘a fa’, mo io a voi?

LIBERO Fate voi. Accetto tutto.

OLGA (di dentro) Benedetto, puoi venire un momento?

BENEDETTO (premuroso) Vengo subito. (A Libero) Permesso.

LIBERO Accomodatevi.

CRISTINA (dalla prima a sinistra) Benede’, Caputo e la moglie se ne vanno, ti vogliono salutare.

BENEDETTO Vado subito. (Ed esce per la prima a sinistra). CRISTINA (nel vedere Libero ha un attimo di smarrimento e gli va incontro con esuberante cordialità) Don Libero bello. Che piacere di vedervi. Quando siete arrivato?

LIBERO (freddo) Da poco!

CRISTINA (con falso interessamento) Da dove, da dove?

LIBERO (c. s,) Da Roma.

CRISTINA(entusiasta) Quantè bella Roma. Io cí feci il viaggio di nozze con la buonanima di mio marito. Me la fece girare tutta: il Colosseo, il Pantheon, il Vaticano, Villa Borghese, il Pincio… Che bella città! Mi portò persino nella palla di S. Pietro.(Pausa). E l’abbacchio?… Lo fanno ancora a Roma l’ab­bacchio?!

LIBERO (che non ha capito) Che cosa?

CRISTINA L’abbacchio… Il capretto.

LIBERO Ah, ‘o crapetto!… E voi dite l’abbacchio!… Credo. Perché non lo dovrebbero fare?

CRISTINA Quanto è buono… Ne ho mangiato tanto… (Altra pau­sa. Vedendo languire la conversazione, riprende) E l’orologio ad acqua?… Ci sta ancora l’orologio ad acqua?…

LIBERO Dove?

CRISTINA Al Pincio.

LIBERO (affatto interessato, ma tanto per parlare) Ah si, quell’orologio che funziona ad acqua… Sembra un castelletto, col laghetto sotto…

CRISTINA … Ci sta pure la paparella.

LIBERO Già… E perché lo dovevano togliere?

CRISTINA (come accorata) I tedeschi. Nove mesi di dominazio­ne… Siccome io l’avevo visto con la buon’anima di mio marito, e m’era rimasto impresso, pensavo sempre: «Vuò vedé ca chil­li brutte tedesche s’hanno purtato l’orologio ad acqua…»

LIBERO (c. s.) Non credo. Con tante cose che cera da portare via si portavano proprio l’orologio ad acqua? Poi, si dovevanoportare pure l’acqua… come se la portavano, con i fiaschi? E ‘a paparella? Quello fu un brutto momento: l’esodo dei tedeschi fu tragico… Ve l’immaginate un tedescoc”a paparella mmano, l’orologio sopra la spalla… e gli altri tedeschi, appresso, con i fiaschi d’acqua… No, non credo… sta ancora llà.

CRISTINA Pensandoci bene, no, non può essere.

LIBERO (cambiando discorso) Vi faccio tanti auguri per il bat­tesimo.

CRISTINA Grazie. Per me, poi, voi capite che ci può essere nel mio cuore, in un giorno come questo. Il primo nipotino. E quant’è bello, tranquillo. Non si vede e non si sente. Sarei felice se avesse preso il carattere del padre.

LIBERO (ambiguo) Quale?

CRISTINA (allarmata) Come quale?

LIBERO Voi che avete detto?

CRISTINA (seccata) Sarei felice se avesse preso il carattere del padre…

LIBERO (c. s.) E io ho detto: quale?

CRISTINA (che incomincia a capire il pensiero di Libero) Come _quale?

LIBERO (precisando) Voglio dire: quale carattere?

CRISTINA (un po rinfrancata, ma sempre dubbiosa) Il carattere di

Benedetto. Voi lo conoscete cosí bene: generoso, lavoratore.

LIBERO Speriamo bene, signo

CRISTINA (a denti stretti) Cosi speriamo…

LIBERO Cosi speriamo!

CRISTINA (fingendo di notare solo ora la mano fasciata di Libero) Che avete alla mano?

LIBERO Niente, signo’. (Come per chiederle innocente solidarie­tà) È uno scherzo. Voglio impressionare mia sorella. Quando mi vede, sapete che paura si mette? Le voglio dire che ho avu­to un morso da una cagna arrabbiata.

CRISTINA (ha mangiato la foglia, ma non si perde d’animo) E voi la fate svenire di paura.

LIBERO Ma poi le dico subito che il morso non esiste, e che la cagna arrabbiata è stata una mia invenzione.

CRISTINA (reggendo il giuoco anche questa volta) Comè bello ve­dere fratello e sorella che sí fanno gli scherzi.

GUGLIELMO (dalla prima a sinistra, seguito da Angelina, la quale ha tra le braccia il suo bambino) Andiamo, Angeli’, si no se fa tarde.

CRISTINA Ve ne andate?

GUGLIELMO Per forza. Grazie di tutto, auguri, e quando verremo a Napoli, la prossima volta, non mancheremo di venirvi a fare una visitina.

CRISTINA (carezzando fuggevolmente il bambino) Quant’è bellil­lo! Statte buono, nenni’… Tenetelo ben coperto. Buon viaggio!(Esce per la prima a sinistra).

LIBERO (a Guglielmo) Ve ne andate a Grosseto?

GUGLIELMO (Si f erma e guarda Libero con aria incerta, dimostran­do di non conoscerlo, freddamente) Sí.

LIBERO (con solidale complicità) Avete fatta ‘a botta?!

GUGLIELMO Quale botta?

LIBERO (c. s.) Da maschera a direttore?

GUGLIELMO Me stisseve danno e nummere?

LIBERO Quando la signora era al servizio di Benedetto Cigolella a Grosseto…

ANGELINA Io sono la moglie di Guglielmo Caputo qui presente, mi chiamo AngelinaCaputo fu Concetta e Giammaria Trombet­ta, nata a Bénèvento, di condiiónecasalinga e serva non l’ho fatta mai!

GUGLIELMO Andiamo Angeli’, ‘o signore ha pigliato nu sbaglio! (Avviandosi e spingendo Angelina verso la comune, a Libero) Buona permanenza. (Ed esce con la moglie). Libero, rimasto solo, siede a destra con evidente nausea per tutto quello che lo circonda. Forse pensa a tutta la sua vita trascorsa in miseria, a tutte le buone occasioni che gli si presen­tarono negli anni della sua gioventú e che, onestamente, mise da parte, perché ognuna di esse presentava aspetti morali poco puliti. Rimpiange, forse, quei tempi e si rammarica per non aver saputo, allora, transigendo sui suoi sentimenti retti, cogliere il «momento». Il suo pensiero corre alla sua camicia rifatta con la tela «Madapolam» e china il capo come per piegarsi ad un destino scelto con le sue stesse mani.

GRAZIELLA (dalla comune. Reca un pacchetto di carta velina ben confezionato. S’incontra con Carmela ed entra dalla prima a sinistra) Scusa, Carmela, vuoi dire alla signora Olga se posso vederla un momento?

CARMELA Vi servo. (Ed esce di nuovo per la prima a sinistra).

Graziella nel vedere Libero domina un lieve sussulto, fingendo di non averlo scorto. Libero dal canto suo prova quasi una gioia, un beneficio nel vedere Graziella, ma non osa affrontarla. Rimane muto nella sua posizione.

 

OLGA (dalla prima a sinistra) Buongiorno.

GRAZIELLA (sinceramente laffronta) Non si meravigli, signora, della mia presenza in casa sua. Vorrei vedere il suo bambino. visibilmente commossa. Disfacendo il pacchetto) Guardi, signora. (E le mostra un minuscolo corpettino, e poi scarpette e guantini di lana) Lavoro bene a maglia. Vuoi permettermi di offrirlo al suo piccolo?

OLGA (commossa a sua volta le porge la mano) Grazie.

GRAZIELLA (grata, gliela stringe) Molto gentile, signora.

OLGA (facendole strada verso la prima a sinistra) Si accomodi.

GRAZIELLA (avviandosi) Grazie. (Esce).

OLGA (guardandolo e volgendosi teneramente a Libero) Libero, come state?

LIBERO(livido) Come vogliono i Padreterni.

OLGA (osservando la mano fasciata di Libero, affettuosamente e sinceramentepremurosa) Il morso che vi diedi alla mano, quel giorno, ancora vi dà fastidio?

LIBERO (sospettoso, incredulo) Vi ricordate di avermi morsica­ta la mano?… (Olga accenna di sí con la testa). Grazie signo’, grazie…

 

Siedono.

 

OLGA (semplice) Tutto mi ricordo io, e mi siete molto caro… Un veleno, Libero… ero come avvelenata. Non riesco a ricono­scermi. Vi giuro che le cose piú assurde mi sembravano facili, realizzabili. Quanti progetti fantastici! I valori piú belli li consi­deravo trascurabili, inutili.

LIBERO Mannaggia ‘a guerra, mannaggia…

OLGA Non lo so, non so niente. Saccio sulo ca tengo nu figlio… E sapeste il bisogno che ho di parlarne con voi. Ditemi quello che volete, ma io non vedo l’aspetto ridicolo della situazione. Quando mio marito prende tra le braccia il bambino e ci giuo­ca, sento una grande tenerezza e gli voglio bene… (Si ferma, timida, come chi sta per dire una enormità, chiede) Lo pos­so dire?

LIBERO (incoraggiandola) Dite, signo.

OLGA Gli voglio bene, piú che se fosse realmente il padre di mio figlio. (Alludendo alla mano) Vi fa ancora male?

LIBEROSi, signo, ma passerà.

OLGA (con una mossettina vezzosa bacia ripetutamente la mano fasciata di Libero come sulla «bua» ai bimbi) Ecco, è passata la bua.

LIBERO (ammirato e riconoscendo il potere magico e diabolico della donna) Ci tenete stretti in una mano. Cu’ na mussetell’ ‘e chesta, site capace ‘e v’accattà nu reggimento ‘e surdate prussia­ne. (Si ferma incredulo, come per constatare una realtà strana-mente verificatasi) Signo’, sarà suggestione, ‘a mano veramen­te nun me fa male cchiù!

OLGA (tenera) E io mo so’ mamma. I baci miei toccano e sanano.

LIBERO (commosso) E overè!

OLGA Non mi serbate rancore?

LIBERO E vvuie site mamma! Si può serbare rancore a na mam­ma? Vedete, avete dato i bacetti che hanno fatto chiudere la ferita e calmare il dolore!

OLGA (sconoscente) Grazie. Permesso.

 

Libero rimasto solo si guarda la mano e prova a muoverla non sentendo pila dolore.

 

BENEDETTO (dopo poco, dalla prima a sinistra, come per annunciare qualche cosa di fastidioso e inevitabile insieme) I parenti. Stanno venendo i parenti. Il rito, caro Libero. Dopo la chiesa, il saluto in casa. Permettete. (Esce per la comune. Dopo una pausa ritorna introducendo i parenti) Entrate, intrattenetevi un poco qua. Il bambino sta facendo toeletta per presentarsi degnamente a voi. Vado a fare un poco di premura, accussí dopo ci pigliammo nu bello rinfresco.(Esce per la prima a sini­stra).

 

I parenti sono entrati muti e comprensivi della loro missione. Il più vecchio, lo zio di Benedetto, ha un’espressione rassegna­ta e sprezzante. Uno dei suoi due figli porta gli occhiali, l’altro indossa, come il fratello, dignitosamente, abiti poveri. Tutti e due malaticci e malnutriti. Il fratello di Benedetto non brilla per la sua eleganza. Si nota subito dal suo abito malandato, chenon naviga in buone acque. Verde di colorito, sfoga la sua invi­dia disprezzando e definendo fortunati coloro i quali sanno me­glio di lui guadagnarsi da vivere. Il loro ingresso genera fred­dezza e disagio. Infatti Libero li saluta appena con un cenno del capo e si mette in disparte.

 

IL FRATELLO (risoluto, allo zio) No, ma io ce ‘o ddico. Lo zio Che cosa? Che vuoi dire?

FRATELLO C’ o’ figlio nun è figlio a isso e che ‘a mugliera è na schifosa. zio (navigato) Te lo vuoi fare nemico? Attacca l’asino dove vuo­le il padrone.

FRATELLO Già, viene un estraneo e ti toglie quello che tuo fratel­lo ti deve per legge! A voi non ha tolto?… Chilli guagliune nun hanno perso?… (Mostra i gigli).

ZIO Noi con la nostra miseria, lui con la sua ricchezza.

COSTANZA (dalla comune, muove incontro a Libero) Libero, sei arrivato! Me l’ha detto il fratello della portiera. Ma come, senza avvertirmi con un telegramma?

LIBERO Roma-Napoli… E poi ho deciso all’ultimo momento. Ro­berto sta bene?

COSTANZA Non me ne parlare, Libero, non me ne parlare!

ROBERTO (di dentro) Sta dentro?

COSTANZA ‘O vi’ lloco. Scusa Libero, io t’invito a pranzo per stasera in presenza sua, ma tu rifiuta… se no poi dopo se la prende con me.

LIBERO Ma nun minvita proprio.

COSTANZA No, se no dice che «pare brutto».

ROBERTO (entrando, burbero) Costanza.

COSTANZA Sto qua… (Indicando Libero) C’è Libero.

ROBERTO Guè, caro Libero.

LIBERO Buongiorno, caro cognato.

COSTANZA Lho invitato a pranzo per stasera.

ROBERTO Ah… e lui?

LIBERO Non posso, don Robe’, e non posso nemmeno domani.

ROBERTO Ah, e dopodomani è vigilia!

LIBERO Non vi preoccupate. Io, dopodomani, ho mal di testa.

ROBERTO Ah… e va bene… (Riflettendo) Come?

LIBERO Sí, un chiodo solare che ho da quando ero bambino…

FRATELLO (che guarda verso la prima a sinistra, velenoso) E vvi’ lloco… Infatti dalla sinistra entra Cristina, seguita da Olga, Benedet­to, Graziella, Carmela. L’incontro diventa cordialissimo. Le pa­role accompagneranno i gesti. Sorrisi, complimenti, abbracci. La confidenziale mano destra dello zio batte qualche colpettinosignificativo sulla rassegnata spalla sinistra di Benedetto. Baciamano dei figli alle signore. Carmela si mette in disparte prendendo postoin fondo verso la comune. Il giuoco cessa, non appe­na dalla prima a sinistra entra la balia con il neonato fra le braccia, seguita dalla levatrice. Tutti allora formano un semicer­chio, curando ognuno di scegliersi il posto che, per anzianità ed importanza morale, gli spetta, dando, con gesti di falsa mode-stia, l’impressione di non volerlo accettare. Olga fra Benedetto e Cristina in primo piano a sinistra. Accanto a Benedetto, ver­so destra, il fratello, subito dopo lo zio. Al centro i due figli, accanto ad essi, fino a giungere in primo piano a destra: Costan­za, Roberto, Graziella e Libero.

La levatrice, pratica del rito e dei suoi diritti, avvicinandosi alla balia, allunga sapientemente gli avambracci, affinché quella possa adagiarvi sopra il neonato, il quale è tutto adornato di merletti e fiocchi, e disteso in ricco e immacolato port-enfant. Abbozzandouno stereotipato sorriso di occasione, inizia il giro da sinistra a destra. Ad uno ad uno i presenti baciano il bimbo e mettono convenientemente dei biglietti di banca sul pori-en­fant ai piedi del neonato. La levatrice, falsamente disinteressa­ta, accentua il sorriso: «Grazie… Grazie…» Compiuto il giro, la balia riprende tra le braccia il bambino, mentre la levatrice esce per la prima a sinistra. Tutti ormai si affollano intorno alla balia per vedere meglio il neonato e prodigargli complimenti.

 

COSTANZA Sentite, io ne ho visti bambini ben nutriti e di buona salute, ma come questo è impossibile.

CRISTINA Ne farà piangere ragazze!

ZIO (più filosofo) Guaglio’, àrmati di santa pazienza e comincia il tuo viaggio nel mondo.

BENEDETTO (a Libero che è in disparte) Don Libero, e voi non dite niente? Chisto è nato mmano a vuie!

LIBERO (bonario) E se permettete gli farò il compare di cresima quando sarà grande.

BENEDETTO (accettando la proposta) Con gioia!

LIBERO Il compare di cresima è importante, perché viene ad essere il secondo padre del bambino.

FRATELLO (rettificando, maligno) Ilterzo! (Tutti ammutoliscono). Il terzo padre del bambino, perché ci sono io: lo zio di sangue.

LIBERO (che ha compresa l’insidia, guardandolo con disprez­zo) Già, voi siete il fratello del padre. È giusto. (Indica Benedetto) Ma scusate, come fratello, non vi ha scelto. Il compare si sceglie, ed è lui che, in mancanza del padre, consiglia e mette sulla buona strada il compariello. (Al bambino) Come diceva lo zio, àrmati di santa pazienza e comincia il tuo viaggio nel mondo. Cumparie’, avrai che vedere!… Se vuoi trovarti bene, scie c’he ‘a fa’? Devi legare l’asino dove vuole il padrone. Il padrone sai chi è? È l’uomo nero. È il mammone, quello piú forte di te, che ti può far paura se non leghi l’asino dove vuole lui. L’asino invece è il tuo orgoglio, il tuo onore, e quasi sem­pre il tuo diritto. Non dire mai una verità, lasciala in fondo al pozzo, e quando dici le bugie, le devi scegliere fra quelle che sono di gradimento del tuo padrone, perché se non piacciono a lui, sai che fa? Lle spezza ‘e gamme e dice ca so’ ccorte e tu, con il tuo povero asino, corri sperduto e svergognato per il mondo. Se, al contrario, sono interessanti per lui, le aiuta, le fa correre e non le fa fermare piú. Pensa che ce ne sono certe che camminano da quando è nato il mondo. (Prende un tono alle­gro come per dare una buona notizia) E adesso, voglio darvi una notizia. Mi sposo! (Meraviglia e approvazione dei presenti). La sposa è una giovane ereditiera di una grande famiglia aristocratica dell’alta Italia. Rimasta orfana dei genitori, volle chiudersi nel suo dolore e visse parecchi anni in solitudine, nel suo castello, con poca servitú ed una governante che le era rimasta fedele. Avendo, poi, io, durante gli anni di lavoro, accu­mulata una discreta fortuna, mi sono fatto animo ed ho chiesto la sua mano. L’accoglienza è stata favorevole, e se permettete vi presento la mia fidanzata… (Chiamando a sé Graziella) Gra­zie’, vieni qua.

GRAZIELLA (ritraendosi) Libero!

LIBERO (la prende per mano e la conduce davanti a tutti) Ecco la mia futura moglie!

TUTTI (Si guardano sorpresi tra loro e si accenna a un piccolo applauso) Ah!

LIBERO Che c’è, freddezza?

TUTTI No…

 

Il battimano riprende piú forte fino a diventare un’ovazione, mista a complimenti striscianti all’indirizzo dei due fidanzati.

 

BENEDETTO (invitando) Allora credo che sia venuto il momento di prenderci un rinfresco.

TUTTI Molto bene…

BENEDETTO Andiamo di là, venite. (Tutti parlottando escono per la prima a sinistra. Libero è rimasto in disparte con Graziella, ed ora si avvia verso la comune con lei) Libero, voi non venite? Ve ne andate?

LIBERO Sono stanco, don Benede’. (Poi avvicinandosi a lui) Vi voglio far vedere una verità con le gambe corte.

BENEDETTO (che vuol comprendere meglio) Una verità?

LIBERO … con le gambe corte! Don Benede’, una verità sacrosan­ta, con certe gambette piccole piccole, costretta a camminare lentamente, a passettini impercettibili. Per arrivare, impiega Dio sa quanto, ma… arriva! (Si toglie la giacca e mostra a Benedetto il di dietro della sua camicia arrangiata e rifatta da Costan­za).

BENEDETTO (meravigliato e divertito insieme) E ched’è, Libe­ro?… Che avete fatto?… (Ride)Che andate facendo cosí combi­nato?… (Ride ancora mentre, con amarezza infinita, Libero lo guarda fisso negli occhi) Libero… (Tenta ancora di sorridere, ma lo sguardo severo di Libero lo costringe a mutare, definitiva-mente, espressione. Da ironico diventa di una serietà dispetto-sa) Libero, non venite dentro?

LIBERO (comprende il complesso di lui, si rimette la giacca, e per trarlo d’impaccio) No, grazie. Ho da fare. (Poi a Graziel­la) Cammina, tu.

 

Benedetto segue con lo sguardo i due che, lentamente, escono per la comune.