Anno domini

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ANNO DOMINI

Parabola in un atto

di ION MARIN SADOVEANU

                             traduzione di Enzo Loreti         

                      

                                                          

PERSONAGGI

LA SIGNORA MATILDE

MARGA

HINOG

CLAUDIO

SPIRI

IL FIGLIO

L'ASSISTENTE

IL VECCHIO (non entra in scena).

L'azione si svolge ai giorni nostri.

Sala comune, che serve anche da stanza da pranzo, in una modesta pensione. A sinistra, grande finestra contro cui batte la pioggia e la luce di un fanale della strada. In fondo, porta (Fingresso dell'appartamento ; vicino, nella parete, un lavandino con rubinetto. In fondo, a destra, alcuni gradini che, attraverso una porta, conducono verso Vappartamento degli inquilini. A destra, porta che dà nella camera del vecchio. Tavola con gli avanzi della cena; su di essa una lampada grande, a petrolio. Cre­denza con stoviglie. Poltrone disparate. Tutto dà l'im­pressione di povertà e di pulizia. Fuori si ode ogni tanto il vento, che si ripercuote sui vetri.

(La signora Matilde, Marga, Hinog, Spiri e Claudio, ognuno al suo posto, dopo cena, conversano tranquilla­mente).

Hinog                          - Qualunque «osa si dica, miei cari, sempre meglio a casa che fuori! Non «omo il primo a dirlo... Una bella casetta, un fuocolino che ti riscaldi le ossa... brrr! E? un tempaccio, «he non si vede un cane per la strada! Non c'è che dire, si sta (bene qui da voi, signora Matilde.

Matilde                       - Vi sarete raffreddato al Ministero, e per questo avete tale impressione.

Hinog                          - E' più che possibile. M'ha rovinato quella finestra dietro la scrivania. Se Spiri volesse mettermi qualche impiastro stasera... Spiri! Cosa stai a fare qui? Non vai via? Cosa fa il cinematografo senza di te?

Spiri                            - (pulendo il clarinetto) « Relache, relache, mon cher... ». Riposo per le riparazioni...

Hinog                          - E lo stipendio? Come va lo stipendio? Corre egualmente?

Spiri                            - Corre, corre.

Hinog                          - Così mi piaci! Cosa t'importa del resto? Ci vivi di rendita, caro Spiri. Ce ne abbiamo uno nuovo, nella vostra pensione, «ignora Matilde. Non come noialtri, poveri impiegati, «he per un pezzo di pane lavoriamo tutto il giorno. E' bello sul serio, vivere di rendita! Mica come questi qui da noi... quelli veri, dico. Amici miei, la vita non è così per tutta la gente, con due pietanze a pranzo e a cena, e con i tacchi di gomma alle scarpe-Questa è la nostra vita... Ce ne stiamo un po' a chiac­chierare, fino a che ci s'incolla la lingua... Poi, a letto... Si dorme senza sogni, e domani si ricomincia daccapo... (Silenzio. L'orologio di un campanile vicino batte nove tocchi) Le nove. A quest'ora, nei circoli di lusso, di quelli che ho visti anch'io, si comincia a tener banco... Caldo, luce, bibite rosse, gialle, verdi, che sanno di fiori, e soldi, soldi da tutte le parti... ci sono certi che appena adesso si alzano e si vestono. Lo sapete voi, che cosa vuol dir questo? E come lo potreste sapere? E' tutta una concezione diversa, sentire la sera odori di sapone e di dentifricio invece che al mattino!...

Marca                          - (sovrapensiero) Le nove di sera... in autunno! Le prime rappresentazioni: nella sala soltanto la mi­gliore società; sulla scena ci dev'essere molta anima-zione; autori, giornalisti... Infine si alza il sipario... Suc­cesso, fiori... Poi il ristorante notturno... Spumanti, or­chestrina, danze...

Hinog                          - (trasportato dai sogni) Io vengo dal circolo a prendervi in automobile...

Marca                          - Io mi affretto, ma nel camerino, molti fiori, le grandi ceste di orchidee, quasi mi impediscono di vestirmi.

Hinog                          - Io fumo avana carissimi e vi aspetto...

Marca                          - Io mi passo sulle labbra il tappo di una bottiglia di profumo... e sono bella, bella, bella... e gli uomini mi girano tutti intorno,... moltissimi uomini...

Hinog                          - (come destandosi) Buon prò vi faccia! Guarda a cosa pensa una signorina di conservatorio!...

Claudio                       - Con un impiegato delle Finanze!

Hinog                          - Finalmente! Anche vostra eminenza teo­logica si è degnata di aprire bocca! Senti un po', Claudio: tu, come futuro missionario, che cosa vedi, alle nove, di 6era, d'autunno, come dice la -signorina Marga?

Claudio                       - Niente di quello che potreste vedere anche voi, signor Hinog...

Hinog                          - Una volta « impiegato alle Finanze », una volta « signor Hinog ». Lo sai che hai cominciato a sec­carmi con tutta questa sdolcinatura, con questa com­punzione?

Claudio                       - Ognuno vede quello che può.

Matilde                       - (intervenendo) Eh!, ragazzi, non vorrete litigare ora?, che diavolo! (Dalla camera del vecchio si sentono lamenti) Poveretto! sentite un po' come si la­menta. Di nuovo non dormirà tutta la notte!

Hinog                          - Come va, il vecchio? Sempre lo stesso?

Matilde                       - Male. Deve essere la fine... Chi l'ha più visto, da quando è avvenuto l'accidente?

Hinog                          - Ma come è stato? Ho sentito qualcosa, ma non so niente di preciso...

'Matilde                      - Una disgrazia... Alla fabbrica... è scoppiato un tubo, e lo ha colpito al viso. Gli ha portato via un occhio e mezza guancia. Da allora anche il figlio se n'è andato...

Hinog                          - Bel mascalzone!

Spiri                            - Mi ricordo quando l'hanno portato a casa il vecchio... tu non c'eri, Hinog. Faceva spavento, a ve­derlo...

Marca                          - - Quell'occhio spaccato non lo dimenticherò mai!

Hinog                          - E suo figlio?

Matilde                       - L’ha visto, gli ha parlato un po' ed è an­dato via. Non s'è più visto... Ecco, sono più di otto giorni, da allora...

Hinog                          - Hai capito! Lasciare suo padre in quello stato, qui! Sta con noi, è vero, ma chi siamo noi, per lui?... Gente estranea, nient'altro. Ha qualche soldo... e con questo? Sempre vecchio è, il disgraziato! Se l'in­contro io, quel signorino che se la svigna, glielo faccio vedere!

Matilde                       - Lasciate perdere, signor Hinog, è un ra­gazzaccio, un fannullone.

Claudio                       - E voi che cosa ne sapete di lui?

Matilde                       - Come se ci fosse bisogno di sapere; non si vede forse?

 Claudio                      - Non si vede, purtroppo! Specialmente voi, non vedete niente...

Matilde                       - Signor Claudio, alla fine mi farete anche arrabbiare! E' come v'ho detto io: un fannullone! Pec­cato. Ma cosa gli si può fare? Niente...

Hinog                          - Come sarebbe a dire, signora Matilde, che non gli si può fare niente? Voi approvate?

Matilde                       - Bravo! E come posso approvarlo? ma, dico io, come ti puoi mischiare nelle loro faccende? Se la spiccino fra di loro!

Hinog                          - La politica delle braccia incrociate! E' que­sto che ci porterà alla rovina...

Spiri                            - Ha ragione Hinog. Il vecchio è ora come una donna... più debole di una donna... Chi lo difende? «La justice permanente ».

Claudio                       - (correggendo) Immanente!

Spiri                            - (contrariato) Permanente!

Hinog                          - Immanente, permanente, è tutt'uno! Basta che ci sia giustizia. E che cosa ci fai con questa giustizia per­manente? Vale a dire, lui, io, tu?

Claudio                       - Io no.

Hinog                          - Quale Dio servi tu? Credi che questa giu­stizia permanente non abbia anch'essa il suo Dio? Che, ci avete messo il monopolio voi?

Claudio                       - iA me, lasciatemi in pa«e.

Hinog                          - Bravo, non c'è che dire! Questa è proprio una risposta da teologo, bravo! E ci sto a meravigliarmi, io! Giovinezza senza ideali! Ab! La mia generazione avrà avuto molti difetti, ma siamo stati tutti idealisti. Io, almeno, della morale me ne sono fatto un ideale. E non della mia, no; idi quella altrui. Sono stato un cane da guardia tutta la vita, sappilo bene, amico mio. Cane da guardia della morale sociale. Il mio sogno, il sogno di tutta la mia vita, è stato di piombare giù an­ch'io, una volta, così, come un arcangelo della giustizia!

Claudio                       - E su chi siete piombato?

Hinog                          - Su nessuno, finora... Ma lascia stare, che non è tempo perduto... Eh, caro teologo, la legge non scritta, questo è tutto! Essere giudice della legge non scritta, cosa meravigliosa! Che diavolo! Non vi ribolle il san­gue, soltanto a questo pensiero? E’ incredibile! Non v'interessa questo caso? E' proprio da snaturati... Soltanto che lo incontri da lontano, quel signorino, e lo vedrete chi sono io! Quel povero infermo, disgraziato, abbandonato solo...

Marca                          - Solo non è. iL'as3Ìstente non si muove giorno e notte, è sempre accanto a lui.

Hinog                          - Ah, dite bene. Ma lui che dice?

Matilde                       - L'assistente? E ehi può tirargli fuori una parola?

Hinog                          - E' uno strano essere, anche questo assistente!

Matilde                       - Un uomo a due facce! Con il vecchio, come un cane fedele; con noi, scontroso, taciturno, e qualche volta, chi lo direbbe, anche sfacciato.

Hinog                          - Che vuol 'dire?

Claudio                       - Non vedo in che cosa!

Matilde                       - Ve lo dico da. Era al principio, un paio di giorni dopo la disgrazia. Un'afa che non si poteva respirare. All'improvviso una tempesta con tuoni e ful­mini, da farti rabbrividire... Io, come ho imparato dai vecchi, cosa faccio? Vado subito ad accendere una can­dela per allontanare la tempesta. Ed ecco che lo sento dietro di me; non mi ha detto neanche una parola, ha soffiato sulla candela, mi ha guardata a lungo e se n'è tornato nella camera del vecchio. Cosa ne dite?

Hinog                          - E' incredibile!...

Claudio                       - Perchè incredibile? Ha cercato di correg­gere una superstizione!...

Matilde                       - Superstizione o no, mi ha però impres­sionata! Mi sembra ancora di vederlo!

Marca                          - E con me, non è stato lo stesso? Si mischia nella vita altrui, così di punto in bianco.

Hinog                          - Perchè? Cos'è successo a voi?

Marga                         - Qualche giorno fa, quando mi sono separata da quello scioperato 'di Dino, lo sapete, !con quello scan­dalo... Io stavo lì al posto .del signor Claudio. Quando Dino se n'è andato sbattendo la porta, imi sono sentita il sangue alla testa ed ho preso un vaso di fiori per cor­rergli dietro e scaraventarglielo in testa. Quando ecco, a quella porta (indica l'ingresso dell'appartamento), l'assi­stente. Come se fosse sbucato dalla terra. Ha steso le due braccia, icon le mani appoggiate agli stipiti, e mi ha ta­gliato la strada... M'ha .guardata a lungo, ed ho sentito a un tratto che mi calmavo... Poi se n'è andato piano, verso la camera del vecchio... Ci sono rimasti anche i segni sulla porta.

Spiri                            - Segni? Che segni?

Matilde                       - Ha ragione lei. Il giorno dopo ho trovato segni di sangue sul legno. Come? Non avete visto che è ferito nel palmo delie mani? M'ha fatto proprio schifo! Chissà che porcheria di male avrà... Sono stata a strofi­nare la porta, fino a indolenzirmi le braccia!

Hinog                          - E' la prima volta che lo sento! Insomma, si­gnora Matilde, comprendo la compassione per il vec­chio per quanto gli è accaduto, ma che gli si può fare? Niente. Poi lui non ha un male contagioso: ma l'altro che avrà? Che ne sappiamo noi? Sapete che ci possiamo ammalare tutti? Bisognerebbe consegnarlo al servizio sanitario, sul serio! Mica si scherza, con la salute della gente !

Matilde                       - Forse avete ragione, signor Hinog!

Hinog                          - Certo che l'ho, non forse!

Claudio                       - (sovrapensiero) Curioso! Io resto sempre ultimo iqui, la sera, quando voi andate a letto. Leggo fino a tardi. Il lume si fa sempre più debole e, nel buio, da qualche tempo, lì dove la signora Matilde diceva che ha strofinato fino a che le sono indolenzite le braccia, nel­l'ombra nera ideila porta, appaiono due segni, come idue stelle luminose...

Matilde '                     - Ma state zitto, signor Claudio, che mi mettete paura, con le vostre idee... Davvero! Volete scherzare, o che interpretazione volete 'dare a questa storia? Dite un pò!...

Claudio                       - Niente! Niente! Idee, fantasmi forse...

Hinog                          - O stravaganze, anche.

Claudio                       - (alzandosi) Vi prego, signor Hinog...

Matilde                       - Di nuovo litigate? Signor Claudio... Signor Hinog... Per gentilezza, sono una povera donna che si guadagna il pane onestamente. Non voglio scandali nella mia pensione. E poi, voi che eravate così buoni amici...

Hinog                          - Ditegli di stare zitto, signora, altrimenti... Io ho la mia età e so quel che mi dico!

Spiri                            - (prendendo Hinog) « Allons, allons », a letto, « imon cher ».

Matilde                       - Davvero, è meglio andare a letto; è tardi. Gli sarà sembrato, al signor Claudio. Abbiamo spette­golato tutta la sera. Vedremo domani, cosa sarà. Andiamo Manga, figlia mia, va a letto. Buona sera, signor Claudio! (Tutti meno Claudio si avviano verso la porta di destra, in fondo, quando si apre la porta della camera del vec­chio e sulla soglia appare Tassistente. E' un uomo di circa trentanni, vestito di un camice bianco. E' secchissimo, una piccola barba rossastra. Ha in mano una scatola di nichel, con garza. Senza vedere nessuno si avvia verso il lavandino. Nel suo passo lento, nel suo silenzio c'è qual­cosa di solenne che fa arrestare tutti gli altri. Hinog rompe per il primo il silenzio, rivolgendosi violente­mente all'assistente).

Hinog                          - Insomma, signore! Che razza di dottore o laureato in medicina siete voi, a quanto mi dicono? Dimenticate che ci siamo anche noi, qui? Volete farci ammalare tutti? Io non ho autorità, ma alla fine vi de­nuncio al servizio sanitario! Che porcheria è questa? Fateci vedere le mani! (L'assistente lo guarda a lungo, immobile) E' possibile? Voi, nonno istruito, non avete un po' di cura per coloro che vi circondano? Che cosa vi abbiamo fatto, noi? Perchè vi comportate così? Par­late! Dite qualcosa! (L'assistente non gli toglie lo sguardo di dosso) Ci fate anche paura, lo vedete bene! Perchè tacete e mi guardate così? Chi siete? Siamo dei poveri uomini, noi. (L'assistente ha messo la scatola sulla tavola ed alza le braccia in un gesto vago) Tanti poveri uomini ; non comportatevi «osi con noi! Abbiate pietà di noi! (Hinog e tutti gli altri escono piano, con la faccia verso l'assistente. Soltanto Claudio rimane in piedi presso la sua poltrona. Per un po' l’assistente resta al lavandino, poi, con gli stessi passi lenti, si avvia verso la porta del vecchio).

Claudio                       - (attraversandogli timido il cammino) Dot­tore, io credo, dottore... ma ditemi una sola parola... aiutatemi... Il pensiero mi fa impazzire, così com'è al confine di due mondi. Qual èi il vero?... Parlate, dottore. Perchè, dal pensiero con cui vi seguo, pensiero banale, di come si vede un medico - camice bianco, bottiglie colorate, strumenti lucenti e taglienti - sorge ad un tratto un palmizio? Perchè sembra che portiate in spalla l'orizzonte ideila Tiberiade ed intorno la Ifrescura del monte Carmelo?... Questa mia ossessione mi tiene in delirio! Sono studente in teologia... vi prego, toglietemi dalla mia ossessione torturante! Capite? Mettetevi al mio posto. E' vero? Ditemi: li ho visti quei segni, li ho visti, sì o no? Ditemi: li ho visti? Altrimenti diverrò pazzo!

L’Assistente               - (lento) Se non credi, non li hai visti.

Claudio                       - Dunque aveva ragione Hinog. E' un nomo normale, lui! Mi avete fatto bene; avete tolto da me quell'altro mondo, quello che mi cresceva fra i pensieri, come le erbe su una strada abbandonata. Domattina chie­derò scusa a Hinog. Sono morto di stanchezza. Se sapeste quanto mi sono torturato, dottore! Ma la colpa non è vo­stra. E' di mio cervello «he immagina tutto; ora però sento come mi calmo. Sono stanco. Vado a letto anch'io. Dev'essere tardi. E ancora una volta, vi ringrazio; adesso almeno so una cosa con sicurezza: non li ho visti! Buona notte, dottore! (Esce anche lui dalla porta a de­stra, in fondo).

(L'assistente rimane un po' sulla scena, con le mani incrociate sulla scatola di garza, poi si avvia verso la porta del vecchio. In questo momento, qualcuno batte alla porta d'ingresso: l'assistente rimette la scatola sul tavolo e va ad aprire. Entra il figlio. Un giovane sui vent'anni, pallido, dall'aspetto sofferente. Trema di freddo ed è bagnato di pioggia. Ha il bavero del pastrano rial­zato).

Il Figlio                       - Sono andati a letto? Posso entrare? (L'as­sistente fa segno di sì) Da due ore aspetto all'angolo. Sono bagnato fino alle ossa. Credo che non mi abbia visto nessuno quando sono entrato. Come sta il babbo?

L'Assistente                - Malissimo.

Il Figlio                       - (quasi gridando) Non voglio che muoia 3enza che io gli sia vicino! Tutta la vita ha avuto paura di morire solo!

L'Assistente                - Lo so!

Il Figlio                       - (cadendo su di una poltrona) Ah!, che miserabile, iche miserabile sono! Ha ragione la gente quando dice che sono uno scioperato! Ma se non posso? Non posso vederlo, non posso stargli vicino! Non so cosa sia! Compassione, amore, paura... Non posso... Da quando l'ho visto l'ultima volta con quella (ferita nera e profonda in faccia, grande che ci potevi mettere il pu­gno, con un occhio fuori e l'altro in lacrime, non ho più potuto! E la ferita è andata rodendo piano, giorno per igiorno, la sua faccia ed il mio cervello. Ora lo vedo orribile... e così deve essere... Mi sono sentito male di nuovo. (L'assistente gli apre il pastrano, la giacca, e gli ascolta il cuore) Batte forte? Lo sentite?...

L'Assistente                - La prima forte emozione. (Fa un gesto, come se tagliasse).

Il Figlio                       - Povero cuore mio! Poveretto! (Di nuovo, quasi gridando) Non voglio! Ho paura, non voglio morire!

L'Assistente                - Calmati!

Il Figlio                       - (fra le lacrime) Non ho un pezzo di pane né un letto come hanno tutti... Da quando non sono stato più qui, con che potevo vivere? Con quello che ho potuto rimediare... Giro tutto il giorno per le strade, come un cane battuto... Vi confesso che ho pen­sato seriamente alle vostre parole ed ho cercato... Che diavolo, mi sono detto... non sono più un {bambino. Ho passato i vent'anni ed amo mio padre, lo amo, e mi fa tanta pena! Soffre molto?

L'Assistente                - Molto.

Il Figlio                       - Gli fa molto male?

L'Assistente                - Quanto non è più possibile sopportare.

Il Figlio                       - (Poveretto! Che cosa dirà di me? Certa­mente che sono uno snaturato! Non ho più soldi... Ho fatto amicizia con il portiere di un albergo. Albergo per modo di dire; piuttosto una locanda, e dormo così, ve­stito, su una sedia, vicino a lui. Sapete cosa mi ha detto il portiere, che alla fine ho dovuto raccontare tutto anche a lui... Mi ha detto che la colpa è idei babbo se mi sono ridotto così. Certo! Perchè mi ha tirato su con questa paura dei morti e dei malati. Non ha pensato che anche lui sarebbe morto un giorno, che si sarebbe ammalato? Eppure, ecco, con voi ha avuto fortuna... Men­tre io...

L'Assistente                - Calmati!

Il Figlio                       - Io, io sono un mostro! Soltanto il por­tiere non me l'ha detto. Tranne lui, tutta la gente; quelli di qui, almeno!... Un figlio che fugge via dal padre in punto di morte è un mostro, non è vero?

L'Assistente                - No.

Il Figlio i                     - Voi mi dite così per darmi forza. Mi ve­dete malato di cuore, sfinito... Ma, lasciate stare, so ben io quanto valgo. Perchè me lo dicono tutti? Perchè dalla mattina alla sera tutta la gente infierisce contro di me? E non posso, non posso fare altrimenti. Vi dicevo prima che ho pensato alle vostre parole. Sì, vi ho pen­sato! Ho stillato da me stesso tutto ciò che ho potuto: l'amore per mio padre,  i ricordi dell'infanzia, quelli di più tardi, quand'ero un ragazzetto. Non mi è stato diffi­cile: papà è sempre stato così buono, specialmente con me. Comprendete, ora? Sono andato anche oltre le vo­stre parole. Ho cercato una soluzione efficace da mettere in pratica; quasi cercavo di ricostruire tutta la mia vita accanto al babbo, un amore grande da opporre a questo orrore che mi tiene ora lontano da lui. Sì. E quasi c'ero riuscito: da più di una settimana non soffro più che per questo mio terrore. Forse sarà da malato, questa mia paura! Certo non sono un uomo sano, ma che cosa importa in fondo, ed a chi importa quello che accade in me? Ma voglio salvare le apparenze! Non voglio pas­sare per uno scioperato... Questo vorrei, ma nessuno mi aiuta. Niente!

L'Assistente                - Ti ascolto.

Il Figlio                       - Come potrebbero sapere gli altri che io amo mio padre? E papà stesso, da che cosa può com­prendere il mio amore di figlio? Vedendomi fare proprio quello che io non posso fare? Credete che io non me ne renda conto? Debbo fare tante cose, perchè il mondo mi creda e mi perdoni... Ho o non ho ragione? Crede­temi... Vedo molto limpidamente. Come vi dicevo, ho cercato di stillarmi il cuore fino all'ultima goccia d'a­more... Si lamenta? Di nuovo soffre? (Fa per alzarsi dalla sedia) No! M'è sembrato. Vedete come mi batte il cuore! Sì, d'amore, non di compassione. La pena per papà mi tormenta tanto! Di questa cosa mi sono accorto poco fa, per la strada. Qualche minuto fa ero sul punto di vincere il mio terrore. Mi ero preparato, ma poi, man mano che salivo le scale e rivedevo le cose conosciute, ricadevo nel mio ossessionante terrore. Quando vi ho scorto, tutto era finito.

L'Assistente                - Hai patirà anche di me?

Il Figlio                       - No, al contrario. Ma voi siete il più le­gato al mio spavento. E d'altra parte, ai miei occhi, avete lo stesso prestigio di una icone che sia stata un giorno sul petto di un morto. Per tutti (gli uomini e tutte le cose che vengono in contatto con questo terri­bile mistero, io ho curiosità e rispetto. So che voi siete un essere diverso da tutti e che nessuno ha voluto stare vicino a mio padre, all'infuori di voi! Dev'essere terri­bile, a vederlo! Ecco, questo pensiero mi fa impazzire, e su di esso non posso passare... Il mio cervello lavora senza posa. Sapete come ne vedo la faccia? Come un le­gno, senza forma, negro ed arso, che sanguina e parla! Ed è mio padre, mio padre che amo!

L'Assistente                - Ma non è così; la fantasia ti porta lontano. Da quando non l'hai veduto?

Il Figlio                       - Dal primo giorno della sciagura. Perchè nessuno gli voleva stare vicino?

L'Assistente                - Tutta la gente fugge dal dolore.

Il Figlio                       - Ma io non dovevo fuggire! Io sono suo figlio!

L'Assistente                - E chi dice questo?

Il Figlio                       - Tntti, meno il portiere e voi! Perchè voi non dite come gli altri?

L'Assistente                - Cosa ne so?

Il Figlio                       - Sono o non sono un mostro? E se lo sono, perchè non lo sono per tutti? Perchè per loro sì e per voi no? Perchè avete due misure? Mi amate di più voi? No! Vi faccio pena! Ah, questa pena che c'intralcia il cuore a tutti, come un'erbaccia! Ho fame, non ho mangiato niente da ieri; il portiere non mi può dare anche da mangiare, ne ha appena per sé.

L'Assistente                - Aspetta: ti darò qualche cosa.

Il Figlio                       - Qui?

IL'Assistente              - Sì, aspetta.

Il Figlio                       - Anch'io come tutti gli altri. Essi non man­giano due volte al giorno in questa stanza? Sì, ima essi sono estranei. Cosa importa, a loro? Sono suoi figli? Hanno verso di lui doveri che non soddisfano? Per me, anche l'aria è tormento, qui... Come se i nervi mi si distendessero fuori del corpo. Ma certo non potrò man­giare. Mi fa schifo. C'è un'aria pesante che mi fa sve­nire, ho ribrezzo. Piuttosto, datemi qualche soldo, quan­do me ne andrò, mangerò qualcosa fuori. (Si alza) Papà avrà vita fino a domani?

L'Assistente                - Forse.

Il Figlio                       - Come, forse? Certamente! Deve vivere... Non vedete che oggi non ci sono riuscito? Domani debbo tentare di nuovo. Forse ci riuscirò! Oh, se potessi! Che gioia sarebbe per papà... Ed io stesso mi stimerei di più. Ed anche gli altri si ricrederebbero su di me. Non è vero che ora comprendo meglio la lotta che è in me?

L'Assistente                - Sei un povero ragazzo spaventato dagli uomini.

Il Figlio                       - Non vi comprendo. (Il vecchio si lamenta).

L'Assistente                - Ora si lamenta davvero. Non te ne andare. Vado soltanto a vedere come sta. (Va in camera del vecchio. Il figlio rimane rannicchiato in una pol­trona. Dopo un po' viene dal fondo Claudio, pronto ad uscire).

Claudio                       - Ah, eri tu? L'hai visto?

Il Figlio                       - No, ma... Domani sicuramente...

Claudio                       - Non ci credo. Te l'ho detto anche stamat­tina, per la strada.

Il Figlio                       - Perchè non ci credi? Debho poter supe­rare questa stolta repulsione fatta di sgomento e di paura... E' infantile, infine!

Claudio                       - Deciditi una buona volta, in un modo qua­lunque: o stagli vicino, o abbandonalo! Ti logori in una lotta inutile. Finiscila, dunque!

Il Figlio                       - Tu mi parli così?

Claudio                       - Io, certo. Che cosa vuoi far credere? Ed a chi? E perchè? Sono tutte bestie, qui, meno uno... Cosa t'importa se ti 'giudicano infame? Tu ami tuo padre?

Il Figlio                       - Sì.

Claudio                       - Lo vuoi rivedere, hai pietà di lui?

Il Figlio                       - Sì.

Claudio                       - Allora, avanti, va' a vederlo!

Il Figlio                       - Non posso, non posso vederlo così!

Claudio                       - Allora cosa cerchi qui? Andiamo via.

Il Figlio                       - Dove? '(Pausa) Allontanarmi da lui? Non so perchè, <ma stando qui, vicino e lui, è come «e mi sentissi meno 'colpevole... Come «e espiassi un po' della mia colpa.

Claudio                       - Ho cercato .di dormire e non ho potuto. Andiamo, andiamo via 'da qui.

Il Ficlio                       - Dove vuoi che andiamo?

Claudio                       - Non so... Dovunque... Per la strada. Questa vostra faccenda ha cominciato a farmi male. O meglio, la tua faccenda.

Il Figlio                       - - Perchè?

Claudio                       - E' difficile spiegarti. In questa casa di uomini mediocri e tranquilli, di cui faccio parte anch'io, avete portato un seme 'di terrore e di pazzia che si è moltiplicato. L'aria di qui è come l'acqua stantìa in una caraffa: vi si muovono i vermi... I vostri sentimenti, i vostri pensieri, i vostri uomini, sento che cominciano a farmi impazzire.

Il Figlio                       - (quasi piangendo) Anche tu mi abbandoni?

Claudio                       - Cosa vuoi? Sento che ho cominciato ad abbandonare anche me stesso. Tu non vedi che per noial­tri, giovani, la guerra ha tolto la carne di sulle ossa degli uomini, e l'indifferenza da Dio? Ed ora viviamo fra sche­letri e miracoli... Tu eri pronto ad una cosa simile? No! Neanche io! La miglior cosa è di fuggire. Non vedi? Cerchi un briciolo d'eroismo in te stesso e non lo trovi! E non lo troverai mai, perchè anch'io non l'ho trovato.

Il Figlio -                     - lo voglio, voglio, e domani potrò! Gli andrò vicino e lo curerò!

Claudio                       - Né domani, né in sèguito. La tua mente e il tuo corpo sfiniti non potranno volere! Ed essi vince­ranno, credimi. Piuttosto, 'da' ascolto a loro. Fuggi e la­scia che t'insegna la (maledizione.

Il Figlio                       - Credi dunque che io non potrò mai?

Claudio                       - Mai, come io non potrò mai dire di averli visti (indica il punto dei segni, sulla porta).

 Il Figlio                      - (con disperazione) Papà, papà mio!

Claudio                       - Dovresti nascere una seconda volta. Il mon­do in cui noi siamo cresciuti era tiepido e molle. Non t'intenerire, che non perverrai a nessuna mèta... L'acciaio ha balenato intorno a noi, e tutto è divenuto più aspro. E noi siamo rimasti molli come le lumache.» Scivola sulla tua bava e fuggi... fuggi...

Il Figlio                       - Giornate lunghe, giornate lunghe  di soffe­renze, per arrivare qui!

Claudio                       - Andiamo, andiamo via, finiscila una volta! (Vuole prendere il giovane, ma muovendosi, calpesta un batuffolo di ovatta).

Il Figlio                       - Cos'è questo? Cos'è?

Claudio                       - Un batuffolo d'ovatta. Poco fa l'assistente l'ha fasciato. Non lo guardare più!

Il Figlio                       - Gettalo via! Gettalo via!

Claudio                       - Smettila! Impazziremo tutti e due! (Prende Vovatta e la getta nel lavandino).

Il Figlio                       - (cade su di una seggiola) Lasciami stare, non posso andarmene da qui.

Claudio                       - Per l'ultima volta: vieni?

Il Figlio                       - (sordamente) No. (Claudio esce).

(Pausa. Poco dopo dall'appartamento degli inquilini, in fondo, appare Hinog; è senza colletto, ma col pan­ciotto; piano, con una bottiglia in mano, va verso il la­vandino. Dopo aver preso l'acqua, mentre fa per rien­trare, scorge il giovane).

Hinog                          - Oh, guarda, guarda! Gente nuova. Cosa cer­chi qui da noi, giovanotto? O hai avuto nostalgia di papà? Questa è davvero una fortuna. A cena abbiamo mangiato un non so che di salato... e mi è venuta una sete... Vengo a prendere l'acqua, e guarda chi incontro! Combinazioni... E che vento ti porta dalle nostre parti?

Il Figlio                       - Mio padre ha bisogno di ime.

Hinog                          - Oh, senti, senti! Deve star male assai quel poveretto. Sono contento di saperlo da te... Vale a dire, no... Cioè, sì... Insomma capisci cosa voglio dire?

Il Figlio                       - Capisco.

Hinog                          - Proprio così... o quasi. E non soltanto io. Tutti quanti, qui da noi. Manchi da un po', un po' troppo.

Il Figlio                       - Una settimana.

Hinog                          - Sei stato in qualche parte?

Il Figlio                       - No.

Hinog                          - Ti ha trattenuto qualcuno?

Il Figlio                       - No.

Hinog                          - E allora, affari... affari, naturalmente!

Il Figlio                       - Sì.

Hinog                          - Lo sapevo, io. E lo dicevo pure agli altri. Non era possibile, che diavolo! Hai un cane alla porta, eppure ti fa pena quando lo vedi che soffre. Cosa dire del padre!

Il Figlio                       - (evasivo) Sì!.

Hinog                          - Certo che sì... (Silenzio imbarazzante) Come età ora?

Il Figlio                       - Non l'ho visto.

Hinog                          - Non l'hai visto? Ma lo vedrai, però!

Il Figlio                       - Certamente.

Hinog                          - Ora?

Il Figlio                       - Domani.

Hinog                          - Io credo che sarebbe meglio ora.

Il Figlio                       - (vuole andarsene) Buona notte! Forse tornerò di nuovo!

Hinog                          - Hai molta fretta!

Il Figlio                       - Mi aspettano.

Hinog                          - Lascia che ti aspettino. Non vuoi restare un poco con me?

Il Figlio                       - Ma sì... (Silenzio, imbarazzato).

Hinog                          - Eh sì... brutta infermità!

Il Figlio                       - Brutta. Me ne vado.

Hinog                          - Di nuovo? (Silenzio) Quando lo fascia più tardi, come stasera, si lamenta tutta la notte, poveretto. Verso giorno non ne può più e comincia a piangere. Piange singhiozzando, come un bambino, con quell'u­nico occhio che gli è rimasto. (Il figlio vuole alzarsi; Hinog gli mette una mano sulla spalla) Sei tutto bagnato, caro. Come puoi andartene così? Sta ancora un po', ad asciugarti, così! Levati il pastrano e sta' lì. (Hinog va alla porla d'ingresso, vi gira la chiave e se la mette in tasca).

Il Figlio                       - (spaventato) Che cosa fate? Che cosa fate, in nome di Dio?

Hinog                          - Chiudo la porta. Perchè, non è permesso? Siamo vicini a mezzanotte.

Il Figlio                       - E... volete rinchiudermi qui dentro?

Hinog                          - Sarebbe tempo, mi pare...

Il Figlio                       - E poi?

Hinog                          - Dopo che saremo stati un po' a parlare, ed uscirà l'assistente da tuo padre, andrai tu a sostituirlo!

Il Figlio                       - (fuggendo in un altro canto della scena) No, questo no! E' impossibile! (No, non posso, non posso!

Hinog                          - Lo vedrai, come potrai! Piuttosto ringra­ziami, che ti aiuto a fare una buona azione; non ti ver­gogni?

Il Figlio                       - Sì, ma non così! Non posso così! Perchè, non volete darmi retta, anche voi? L'assistente mi ha compreso !

Hinog                          - L'assistente! Oltre tutto, sei anche ingenuo, giovanotto mio. Non hai capito che si tratta 'di soldi? E' chiaro che quello guadagna di più ad assisterlo da solo che a (dividere con te la guardia al malato. Lascia stare, che l'ho visto io, poco fa, questo vostro assistente! Aveva messo paura a tutti, qui in casa. E' bastato che facessi un po' la voce grossa, io, per fargli mettere la coda fra le gambe!

Il Figlio                       - Sì, ma...

Hinog                          - Nessun «ma»... Sei qui e ci resterai! (Va verso il fondo e chiama piano) Spiri! Spiri!

Il Figlio                       - Cosa volete fare?

Hinog                          - Lo vedrai, e più tardi mi ringrazierai. Vo­glio darti la possibilità di riabilitarti e perchè la riabi­litazione sia intera occorrono i testimoni. (Richiamando) Spiri!

Il Figlio                       - Signor Hinog, state attento! Sono malato! Lo sa anche mio padre!

Hinog                          - Maialo, tu! Chiacchiere! L'ammalato è di là, tuo padre; quello sì, che è malato, non tu!

(Il Figlio                      - Signor Hinog, vi prego, credetemi: sono ammalato. Lasciatemi andare.

Hinog                          - Ah! Ah! Te la vuoi svignare? Elh, no, caro mio, questa volta no! Spiri! (Si odono gemiti nella ca­mera del vecchio).

 Il Figlio                      - Signor Hinog, sentite!

Hinog                          - Già, si lamenta, geme... non lo sapevi, vero? Ma già, tu non potevi saperlo! Non ti piace? Vedrai come ci farai l'abitudine, col tempo. L'abbiamo fatta anche noi, l'abitudine! E sì che siamo estranei, e non ce ne siamo andati di casa! E tu, ohe sei suo figlio, non ci vuoi stare? Devi rimanere qui con lui, devi ararlo; questo è il tuo dovere!

Il Figlio                       - Signor Hinog, per Dio, badate a quello che fate!

Hinog                          - Cosa faccio? Un delitto? Vorrei vedere chi potrebbe accusarmi se chiudo un figlio indegno accanto a suo padre che è in punto di morte! Vorrei vedere anche questo !

Il Figlio                       - Non vi mischiate in ciò che non vi ri­guarda!

Hinog                          - Benone! Ora divieni anche aggressivo!

Il Figlio                       - Ve l'ho detto nel migliore dei modi, vi ho pregato, non avete voluto darmi retta! Signor Hinog, per carità, non fatemi perdere la ragione!

Hinog                          - Ed a chi vorresti mettere paura? Alla fine dei conti, 'che credi? di scampartela con le minacce? Ti sbagli, ragazzo mio!

Il Figlio                       - Datemi la chiave, voglio uscire di qui.

Hinog                          - No.

Il Figlio                       - Lo ripeto ancora una volta datemi la chiave! Se rifiutate ancora idi darmela la prendo da me! (Fa un molo verso Hinog).

Hinog                          - (gridando) Spiri! Spiri! Vieni, dunque!

Il Figlio                       - (sempre più irritato) Sentite: non pren­dete giuoco di me! Non scherzate col mio terrore! State attento : potrei non rispondere più .di questa forza che è in me... Aveva ragione Claudio: siete tutti delle... Non avete compreso che, se finora non mi sono potuto vin­cere da solo, non sarete voi a guarirmi? Perchè voi mom potete avere più ribrezzo e disperazione di quanto ne ho io per il mio essere e la mia disperazione. E nemmeno più amore di me, per quello di là; mi volete capire una buona volta? Restate al vostro posto e datemi la chiave!

Hinog                          - (andando a' sedersi più lontano) Finalmente cominci a sentire! Sei di pelle dura, però !

Il Figlio                       - Non vi permetto d'insultarmi! Mio padre non ha mai permesso a nessuno d'insultarmi!

Hinog                          - Tuo padre? E' lui, tmo padre? Ah, questa è bella davvero? E così si comporta uno con suo padre? Cerca piuttosto qualche peccato in famiglia, giovanotto. Sono sicuro che lo troverai.

Il Figlio                       - (balzando verso Hinog) Canaglia!

Hinog                          - (spaventato) Ho voluto dire soltanto che...

'Il Figlio                      - Canaglia, vecchia canaglia!

Hinog                          - Spiri! Spiri! Aiuto!

Il Figlio                       - (precipitandosi su Hinog) Chiami aiuto? Hai paura? Dammi la ehiave, la chiave, che poi ci rive­dremo, non aver timore...

Spiri                            - (entra dal fondo, si precipita, ed afferra il gio­vane per le braccia) «Mon Dieu! » Sei pazzo!

Hinog                          - (liberandosi) L'hai visto? Era pronto ad uc­cidermi. E perchè? Perchè ho voluto fare una buona azione e portarlo al capezzale di suo padre.

Il Figlio                       - (fra i denti) Canaglia!

Hinog                          - Lo senti?

Spiri                            - Ora non ci scappa più. Lo portiamo dal padre?

Il Figlio                       - Lasciatemi! Lasciatemi andare!

Spiri                            - Tienilo stretto !

Hinog                          - Ora non c'è più paura. Andiamo!

Il Figlio                       - Lasciatemi!

Hinog                          - Andiamo da tuo padre!

Il Figlio                       - (dibattendosi) Voi non siete uomini!

Hinog                          - Lo tieni Itene, Spiri? Ah, ah, non è così facile prendermi la chiave da qui, hello mio!

Il Figlio                       - (ormai al parossismo) Finitela! Tacete, tacete insomma!

Hinog                          - Mi prendi anche per il collo, farabutto? Mi aggredisci «osi?

Il Ficlio                       - Mi farete impazzire!

Spiri                            - (con rimprovero) Hinog, per Dio, «osa signi­fica tutto questo?

Hinog                          - Lascialo soffrire! Lascialo soffrire!

Il Figlio                       - Lasciatemi andare, lasciatemi... aiuto! Papà! Papà! Aiuto! ({La porta del vecchio si apre ed una gran luce si riversa sulla scena).

La voce del Vecchio   - Giovanni, Giovanni, figlio mio!...

Il Figlio                       - Papà!

Hinog                          - Ah!

La voce del Vecchio   - Giovanni, figlio mio, sei qui?

Il Figlio                       - Aiuto, mi uccidono...

L’Assistente               - (apparendo sulla soglia) Lasciatelo venire a me!

La voce del Vecchio   - Giovanni, vieni, vieni!

Il Figlio                       - Papà! Papà m'ha udito! M'ha udito! (Liberatosi da Hinog e da Spiri, fa qualche passo verso Fas-sistente, ma non giunge fino a lui, e con gli occhi fissi nei suoi occhi, cade a terra. L'assistente lo abbraccia, poi lo distende in terra, gli ascolta il cuore, gli abbassa le pal­pebre, gli dispone le braccia in croce, sul petto e lo bacia in fronte. Spiri e Hinog, atterriti, si stringono Vuno presso l'altro).

Hinog                          - (guardando spaventato Spiri) Ha detto la ve­rità! (Pausa) ... il cuore...

La voce del Vecchio   - Giovanni, Giovannino, dove sei? Aspettami, vengo io da te, come posso, figlio mio! Non aver paura idi me... Ecco, vengo, vengo... (Attesa ansiosa di chi è sulla scena. A un tratto si ode un corpo cadere) Ma non posso! Non posso venire! (Pianto del veccliio; l'assistente entra nella camera. Poco dopo, nel silenzio, batte qualcuno alla porta. Hinog apre. Appare Claudio).

Claudio                       - Dov'è Giovanni? Sono venuto a prenderlo con me... Ma cosa è successo?

Spiri                            - (confuso) Hinog ha voluto soltanto...

Claudio                       - (comprendendo) Lo vedo! '(A Hinog) Be­stia! (Si avvicina al corpo steso) Giovanni! Perchè sei caduto nelle loro mani?

La voce del Vecchio   - Lasciami! Lasciami! Voglio andare a vederlo!

La voce dell'Assistente - Calmati! Giovanni se n'è andato di nuovo... (Pausa) E' andato via... Tornerà... (L'assistente appare sulla soglia. Claudio fa un passo verso di lui. L'assistente si inette un dito sulle labbra e lo guarda fisso).

Claudio                       - (chino sul cadavere di Giovanni, la voce spen­ta a metà) Tornerà, padre, per te... Perchè tu non sia solo nell'ultimo attimo, che dicevi di averne paura... Ora Giovanni sa molto più di noi delle «ose di questo mon­do. Di là ci sono voci che solo la morte porta fino a noi. Giovanni... te ne sei andato...

L’Assistente               - (alzandolo di sul cadavere) Vuole dormire in pace

Claudio                       - Si, dottore... dot...to...re..., lo lascio..-, te lo lascio, come lascio l'altro, di là... Ora Giovanni veglierà al capezzale di suo padre, ne sono sicuro... Sento due mondi che si uniscono nella tua mano...

La voce del Vecchio   - (con dolorosa disperazione) Giovanni!

Claudio                       - (con convinzione di illuminato) Aspettalo, padre, aspettalo... E sii certo che tornerà... Forse sol­tanto la sua ombra... Perchè nessuno rimane solo fino alla fine... sento una forza che passa come un'onda tiepida tra .di noi!... Io non ti mento!... Credere... Credere sem­pre!... perchè ora lo so: quei segni, li ho visti!

FINE