Antigone Lo Cascio

Stampa questo copione

 


Dramma in tre atti  di Giulio GATTI

(Rossana Gatteschi)

da IL DRAMMA n. 318 - Marzo 1963

LE PERSONE

CESIRA,moglie del massaro Santino

MIMMA, moglie del capo massaro Pietro Russo

GIUSEPPINA, moglie di Saro

LA RAGAZZA, figlia sedicenne di Pietro

PALMIRA, moglie di Rino, nuora di Pietro

UNA CONTADINA della masseria

CHIARINA SALVAGGIO, cugina dei Lo Cascio

DUE CONTADINE che accompagnano Teresa

TERESA, governante di casa Lo Cascio

MADDALENA OROFINO

FRANCO SALVAGGIO,marito di Chiarina

NUZZO LO RE, notaio e amico di famiglia dei Lo Cascio

PIETRO RUSSO, capo massaro

ANTIGONE LO CASCIO, detta Nene

UN CARABINIERE

IL SINDACO

UN UOMO CHE PORTA UN MESSAGGIO

CALOGERO GRAVINA, detto Gegé

RINO RUSSO

LUIGI RUSSO

SANTINO, massaro

SARO, suofiglio

DON FILIPPO CANNISTRACI, arciprete

Uomini - Donne - Ragazzi

ai nostrigiorni


ATTO  PRIMO

Il vasto soggiorno al pianterreno d'un palazzotto secentesco, sulla strada principale d'una cittadina del sud. L'ambiente potrà essere am­mobiliato in qualunque stile, purché si usino mobili antichi e suppellettili d'un certo gusto. Da evitare il fasto.

Necessari per l'azione: due porte, una sulla si­nistra e una sul fondo, la prima immette nella entrata della casa ed è per essa che gli ospiti raggiungeranno la scena. La seconda collega il soggiorno coll'interno. Sulla parete di destra, due grandi porte-finestre che danno su un giar­dino. All'inizio dell'azione saranno ermetica­mente chiuse, ma s'apriranno via via, lasciando intravedere le foglie di una palma e dei tralci di rampicanti. Tra le due finestre, un bel ca­minetto di stile neo-classico, alto e sobrio: so­pra uno specchio. Sulla mensola un orologio di forma elaborata: segna le sei. Delle poltrone e un divano, vicino al caminetto. Più indietro, un tavolo rotondo con quattro sedie d'aspetto mae­stoso. Un mobile, d'angolo, fra la porta di fondo e quella di sinistra. Un lume con « abat-jour » di seta nette vicinanze del caminetto. All'aprirsi del sipario le persiane chiuse lasce­ranno appena filtrare un po' di luce rossastra fra le stecche. L'ambiente, immerso nella pe-nombra, è rischiarato dal lume rosato della lampada d'angolo e da quello giallastro di due candele accese, poste su degli alti candelieri d'argento dinanzi ad una enorme fotografia, che troneggia sul lato del tavolo. È il ritratto d'un uomo ancora giovane, sorridente; un gran nastro nero, che corre fra i due angoli supe­riori della cornice, mostra che è morto di re­cente. Dinanzi a lui, due vasi sovraccarichi di fiori. Appoggiata sul ritratto fa spicco una let­tera, con molti francobolli variopinti, sicura­mente proveniente dall'estero. Su di una sedia, accanto al tavolo, Chiarina Salvaggio, trentenne, belloccia, anche se un po' ingrassata. È in lutto strettissimo e porta un cappellina con veletta, di un certo gusto pro­vinciale. Ha il viso leggermente congestionato dal pianto e tiene fra le mani un fazzolettino ricamato, bianco, insieme ad un rosario con i grani neri. Sembra immersa netta preghiera: di tanto in tanto volge degli sguardi sconsolati alla fotografia.

Verso la finestra, un gruppo di quattro donne, tutte in nero, con lo scialletto in testa e dei grandi fazzoletti bianchi a portata di mano. Vanno dai venticinque ai sessant'anni. Verso il proscenio Palmira e una contadina, in piedi, e Mimma Russo, la più anziana, seduta. All'aprirsi del sipario saranno tutte rivolte verso Cesira, la matura moglie di Santino: staccata da loro, è di fazione alla finestra e cerca di spiare fra le stecche delle persiane quello che avviene nella strada. Alla fine si volge verso le compagne, che la fissano intente.

Cesira            Eccole. Sono alla porta.

(Al gesto del capo di Mimma, la nuora Palmira corre fuori per la porta di sinistra. Si udranno dei rumori e delle voci soffocate fuori scena).

La Contadina          C'è Teresa con loro?

Cesira             (tornando verso il gruppo)   No. Solo mia nuora, con la figlia di Mimma.

(Entrano Giuseppina, Palmira e la figlia sedicenne dei Russo.  Anche le  due  sopravvenienti sono  in nero, tutte accaldate. Si asciugano il viso col fazzoletto).

La Ragazza   (passando dinanzi a Chiara Salvag­gio)   Benedite. Benedite.

Chiarina         (a mezza voce)   Buona sera.

Mimma           Dov'è Teresa?

La Ragazza  Sta tornando, con le sorelle di zi' Giovanni Manca.

Giuseppina     In chiesa s'era quasi svenuta.

(Costernazione fra le donne) 

Sì, ma la cono­scete: non s'è mossa da vicino alla bara, fino all'ultimo.

La Ragazza  Adesso l'hanno trattenuta in piazza per le condoglianze. C'era lei sola, di famiglia!

Mimma            (aspramente)   Ma cos'hai, in testa? E don Franco, il marito della signora? (Indica col gesto verso Chiara).

La Ragazza  Che c'entra? (A Chiarina)  Scu­sate, lo so che siete l'unica parente. Io parlo della gente nostra, di campagna. Chi conoscia­mo, noi? Teresa. E mio padre. Stavano tutti intorno a loro. I signori sono un'altra cosa.

Giuseppina     Gente ce n'era assai.

Cesira            Eh, l'abbiamo veduta, dietro al carro.

Giuseppina     In chiesa non si poteva respi­rare, tanti eravamo.

Cesira            Si capisce: è stata una cosa... Gesù mio. Un giovanotto come lui, che neanche li aveva quarant'anni.

(Molte si volgono istintivamente verso la fotografia).

Giuseppina     Chissà Teresa con che cuore tor­nerà in questa casa. Poveretta.

(Tutte le donne le fanno eco, chi sospirando, chi scuotendo il capo).

Mimma           Teresina. Me la ricordo quando ar­rivò qui, giovane giovane: la governante del barone Lo Cascio. Ero giovane anch'io, allora. E lei una bella ragazza, con due occhi che parlavano: sempre fiera e sicura, come adesso. Teneva la bambina della baronessa che sem­brava un fiore. Infatti, donna Marcella buona­nima che ne sapeva dei suoi figli? Che li aveva fatti. Poi c'era Teresa: lei a nutrirli, lei a cre­scerli.

Cesira             (allargando le braccia, con gesto di pie­tà)   E adesso ne ha vestito uno, nella bara.

Mimma            (scrollando il capo)  Ah, che cosa, che cosa! Sembrava la Madonna Addolorata, ieri sera. Figlio suo, ecco. Figlio suo.

Giuseppina     Però don Tano l'ha onorata dav­vero, come una seconda madre. Ha sempre co­mandato lei, qui.

Cesira            E come tutte le madri ha avuto i suoi dolori.

La Ragazza   (rincarando col tono)   E umilia­zioni, in ultimo.

Mimma            (severa)   Tu parla quando la fanno le galline.

La Ragazza  Eh, mammà! L'hai sempre detto pure tu.

Giuseppina     E non è vero, Mimma? Verità sacrosanta. Non ci ha aperto lei, quella sver­gognata? Ha fatto senso a noi, che qui veniamo solo per le feste... e in giorni come questi. Ma pensate a Teresa! Tenersela sempre qui, davan­ti, a far la signora... E senza poter dire una parola.

Palmira         Dalla stalla, dove stava, a palazzetto Lo Cascio. L'ha fatta svelta la carriera, Maddalena.

Cesira            Se penso a zi' Michele, allora! Povero padre! È scappato su, al nord. Per la vergo­gna di quella figlia storta.

Mimma            (con mestizia)   Eh. Quando non c'è più una mamma, dentro casa, addio figli! Ne ho viste tante finire come Maddalena Orofino, in vita mia.

La Ragazza  Intanto ha comandato... e c'è chi si rodeva. (Ammicca verso donna Chiarina, che, pur restando apparentemente immersa nel­la preghiera, s'è fatta attenta ai discorsi).

Mimma            (a bassa voce, minacciosa)   Fuori fac­ciamo i conti, io e te.

Giuseppina     Un po' era colpa della buonani­ma, siamo giusti. A don Tanuzzo le donne... si sapeva. (E ammicca anche lei verso Chiara Salvaggio).

Mimma            (facendole un severo cenno di disap­provazione)   Voi no, di certo. Cesira Vero o non vero, Mimma, era un gran bell'uomo. Quando penso che non lo ve­dremo più, alla masseria, dritto, su quel cavallo nero. Morto così; e senza neanche la sorella al funerale.

Mimma           Ah. (Giunge le mani e scuote il capo)  Che cose. Gesù, che cose!

Giuseppina      Mimma:   questa   sorella,   poi, verrà? (Mimma ammicca verso donna Chiarina e non risponde. Giuseppina insistendo)  Vostro marito lo dovrebbe sapere.

Mimma           Pietro, a casa sua, non parla mai dei fatti altrui.

(Cesira e Giuseppina alzano gli occhi al cielo, come per implorare sopporta­zione).

Giuseppina     Ma sono fatti nostri, non vi pare? Quando si cambia di padrone!

Mimma           Donna Nene è stata sempre padro­na, pure lei.

Palmira         Andiamo, mamma! La conosci solo tu, qui dentro.

Cesira            Per questo la conosco anch'io.

La Contadina          E io no? Partì dieci anni fa, quando venimmo a lavorare anche noi alla mas­seria. Chi non se la ricorda, la baronessina? Con quei capelli biondi, chiari chiari...

La Ragazza  Rino m'ha detto che hanno tele­fonato là... là dove sta, insomma. Ed hanno ri­sposto che non c'era.

Giuseppina     È in America, vero?

Mimma           Macché America e America! Tutto è America, per voi. Sta in Francia.

Giuseppina     Lontana è lontana.

Mimma           Non è questo. Quando l'hanno chia­mata era partita, in viaggio. Insomma, non ce l'hanno trovata.

Cesira            Ma ci pensate che colpo? Poveretta! Non vederlo neanche. Dio ci liberi.

(Una breve pausa).

Giuseppina     A me fa più pena don Tano. Era un brav'uomo. Viveva qui da sempre e cono­sceva tutti. Ci capiva a volo e Dio lo sa se conta fra chi è padrone e chi lavora. Se c'era una che gli augurava cent'anni, ero io.

(Mormorii d'assenso fra le donne).

La Contadina           (scuotendo il capo)   Certo, an­che per noi, se non fosse morto! A parte l'af­fezione, il rispetto... Insomma: ci aveva fatto sperare bene, a tutti quanti.

La Ragazza  Papà dice sempre che anche la signorina è brava.

Palmira         Dieci anni fuori. Ormai è un'estra­nea a tutto.

Mimma           Ma che ne sai? Qui è nata e qui ha vissuto. E qui ha sofferto, purtroppo. Che ne sai tu? Noi sì, la conosciamo. Pietro, Teresa, io. L'abbiamo tenuta in braccio, quando aveva due mesi.

La Ragazza  Come si chiama? Antigone. Che nome curioso. Un nome vecchio.

Mimma           Vecchio o giovane, tu pensa al tuo.

Giuseppina     Dite quello che vi pare. Io so che è donna. Siamo tutte femmine e ci conosciamo.

Mimma            (accennando di nuovo verso Chiara Salvaggio)   Quando parli d'Antigone Lo Cascio, pulisciti la lingua.

Giuseppina     È padrona, chi non la rispetta? Noi viviamo del suo; lo so. Ma so pure che don Tano era un uomo giusto. Aveva trovato l'ac­qua e voleva darla anche a noi. Cesira Me lo ricordo come fosse oggi, Mimma! Fu per il matrimonio di Valerio, a tavola. La festa era più per la scoperta che per gli sposi. Lui ci parlò dell'acquedotto, delle case, delle... delle macchine, quelle che lavorano.

Giuseppina     Ecco: non è malanimo, Mimma. Voi lo sapete quanto fatichiamo, tutti quanti. E se adesso si cambiano le carte? (Mimma scuo­te il capo).

Mimma           Lui è morto. A lui non poteva an­dare peggio. E noi... noi speriamo in Dio, come sempre.

(Un silenzio segue quelle parole: le donne sembrano tutto meditare su quanto ha detto la vecchia).

La Contadina           (con voce profonda)   Dio v'a­scolti e ci aiuti, tutti quanti.

La Ragazza   (con un sorriso)   E dite un po': padrona sarà per tutti, no? Anche per donna Maddalena.

Mimma            (con sprezzo)   Quella non conta. Farà di nuovo la serva, al posto suo. Basta. Tenia­moci la lingua a posto. (Ammicca verso Chia­rina Salvaggio per l'ennesima volta).

Cesira            Speriamo che donna Antigone arri­vi... e che sia presto.

Mimma           Ecco. E Dio aiuti anche lei. Ne avrà bisogno poveretta.

(Un leggerissimo trillare di campanello, fuori scena. Mentre la ragazza cor­re fuori ad aprire, Cesira torna alla finestra).

Cesira             (alle compagne)   È lei! Ora entra.

Mimma           Lei?

Cesira             (meravigliandosi della domanda)   Te­resa!

(Mimma e tutte le donne muovono verso la porta d'entrata con viso di circostanza ed atteggiamenti di ansia premurosa. Dalla porta entrano la ragazza e tre donne pure in nero. Due di esse, sulla cinquantina, sorreggono la vecchia governante Teresa. Questa, però, non ha gran bisogno di loro: cammina in avanti, cupa, assorta nella propria sofferenza e nel do­loroso ricordo del funerale da cui viene. Chia­rina, vedendola entrare, abbassa precipitosa­mente il capo sul rosario. Mimma si stacca dal gruppetto e le si accosta. Un silenzio. Teresa si ferma dinanzi a Chiarina Salvaggio ed al tavolo con la grande fotografia).

Mimma            (incerta)   Teresa...

Un'accompagnatrice(voce bassa, sospirosa)  Non le dite niente.

Mimma           Ma deve rassegnarsi.

(Teresa, a quel­le parole, dà in un gran sospiro e fissa donna Chiara che prega. Prende a parlare con gran lentezza).

Teresa           Avete fatto bene, donna Chiara. Avete fatto bene a non venire.

Chiarina         (con voce soffocata)   Non ne ho avuto il coraggio, Teresina. (Alza il viso verso la vecchia)  Ho pregato qui, accanto al suo ri­tratto. Tanto è questo che conta, più di tutto.

Teresa           Avete ragione. Ma che volete? Sono io che l'ho portato in chiesa, la prima volta, in fasce... E oggi è toccato ancora a me. (Con un sospiro)  Da sola.

Giuseppina     Ma che dite? Abbiamo visto cosa era dietro al carro. Tutto il paese, la gente di città...

La Ragazza  E il sindaco? Non l'avete visto?

Teresa           Tutti, sì. Tutti gli estranei. (Con ge­sto quasi involontario, prende la lettera e la riaggiusta dinanzi al ritratto)  Meno chi ci do­veva essere: per prima, avanti agli altri. (Ag­giusta anche i fiori, vicino al ritratto, con un gesto tenero).

Chiarina        È una lettera di Nene, vero?

Teresa           Arrivata il giorno che... lo riporta­rono a casa. Voi sapete come.

Chiarina         (osservando i bolli)   E non vedete? Viene dall'Inghilterra. Era fuori posto. Teresa. Che ne possiamo noi? È inutile farsene una croce.

Mimma           La baronessina verrà presto.

Teresa           Verrà. Sono dieci anni che l'aspetto. E ogni volta, invece di lei, arriva una lettera... così. (Indica la busta).

Chiarina        Vi siete angustiata al funerale? Hanno mormorato?

Teresa            (con amarezza)   E voi perché siete rimasta qui, allora? Nessuno ci ha creduto che fosse fuori posto, nessuno. Li sentivo tutti, die­tro a me. Vostro marito l'avrà dovuto spiegare mille volte: e don Nuzzo, il notaio, insieme a lui. Ma loro continuavano: « E la sorella? Ma la sorella, come mai? E perché? ». Con quella faccia di sasso del barone Gravina, uno fra i primi dietro il carro, scomunicato... rideva sotto ai baffi come per dire a tutti: « Guardatemi, ci sono io. Ecco perché ».

Chiarina        Teresa, per l'amor di Dio, calma­tevi.

Mimma           Non fate così. Ormai l'avranno rin­tracciata... avvisata.

Teresa           Ah sì. Avvisata. (Porta le mani al viso, in un gesto dolente)  Figlia mia. Si sarà vista scoppiare la folgore davanti.

(Le donne hanno dei mormoni di pietosa costernazione).

Giuseppina      (si segna)   Poveretta. Qualunque sbaglio abbia commesso, l'ha pagato caro. Io... (Si ferma, nell'imbarazzo generale, guarda la governante che la fissa con occhi scintillanti d'ira. Impappinandosi)  Io... (Riprendendo co­raggio)  Non guardatemi così, Teresa! L'avete no­minato voi, il barone Gravina.

Mimma            (nervosamente alla nuora)   Palmira, per l'amor di Dio... è già il tramonto? Dov'è Pietro? Era con voi, Teresa?

Teresa            (rialza il capo, col gesto di chi cerca di controllarsi come meglio può)   Sì, sì... ma s'è fermato con gli altri, nella piazza.

Mimma           Bisogna proprio andare. Io non vor­rei lasciarvi ma... la strada è lunga. Sarà già notte, prima che arriviamo.

(Tutte le donne fan­no eco con dei mormoni: « È vero »; « È tar­di », « Vengo anch'io », rassettandosi gli scialli in capo).

Cesira            Teresa, lo sapete: se aveste bisogno...

Teresa           Lo sappiamo, Cesira, lo sappiamo. E apprezziamo. Se ci sono notizie, manderò da Pietro, ad avvisare. Ora andate, pensate alle vostre case. E grazie tanto.

Mimma           Allora... (S'avvia, scuotendo il capo)  Dio sia con voi, Teresa.

Le Donne       State tranquilla. Riposatevi un po­co, se potete. Non pensate troppo.

Palmira          (fermandosi) Venisse la padrona... ditele che ci siamo state. Fate le condoglianze a nome nostro. Spiegatele che abbiamo lasciato i figli a casa, soli.

Teresa           Dirò che avete custodito la sua casa e pregato per lui. Grazie. A tutte quante. (Nel dire così, suona un lungo campanello d'argento che sembra quasi un giglio).

Le Donne        (sfilando dinanzi a Chiara)   Donna Chiara...

Chiarina         (scuotendosi)   Grazie, grazie a tutte. Buona sera.

(Sulla porta appare una giovinetta sui vent'anni, la cui avvenenza quasi aggressiva è appena alterata dagli occhi arrossati di pian­to e dall'espressione stravolta del viso. Chiarina la fissa con gli occhi rimpiccioliti dall'astio. Le donne si fermano e la squadrano silenziose, con manifesta ostilità).

Teresa            (rivolgendosi a lei, in tono glaciale)  Maddalena. Accompagna tu alla porta. Dopo, sai quello che devi preparare. I signori saranno qui a momenti.

(La giovane china il capo e ac­cenna col gesto di precederla).

Giuseppina      (a Palmira, mentre sfilano fuori)  Eh! Sono tante, qui, le vedove della buonanima.

(Escono, seguite da Maddalena che continua a tenere il volto basso, con una sua tetra dignità. Chiarina, che ha quasi sobbalzato dinanzi a quell'allusione evidente, la segue di sottecchi, con espressione di ira, pur facendo scorrere au­tomaticamente i grani del rosario fra le dita).

Teresa            (quando la porta si è richiusa dietro le spalle di Maddalena, da in un gran sospiro)  Finalmente. Se ne sono andate. Parlano, parla­no... e nessuno ha voglia di sentirle. (Si dirige verso la finestra e guarda fuori, al modo di Ce­sira).

Chiarina        Viene qualcuno?

Teresa            (mentre guarda)   No. Né dalla piazza, né dalla stazione.

Chiarina        Dio mio. Voi pensate sempre ad Antigone.

Teresa            (con calore)   Sono dieci anni che ci penso. Da quando se ne va in giro per il mondo, lontana da casa sua.

Chiarina        Eh, povera figliuola. Mi ricordo. Mancavano tre giorni al matrimonio di Gegé Gravina... Sparì, letteralmente. Povera Nene.

Teresa            (dura)   Se ne andò, perché così voleva.

Chiarina        Via, Teresa! Volete dirlo a me? So­no stata presente a ogni lite di famiglia. Allo scandalo che ci fu, nell'ultima riunione, quando lei raccontò tutto, con una calma! Perfino Gegé Gravina si vergognava: ma lei, niente. Imper­territa. Ah, furono molto deboli, tutti. Anche Tano, pace all'anima sua.

Teresa           Tanuzzo? Ma che poteva fare contro il padre? E contro quella bestia del barone? Neanche ammazzarlo, come meritava. Anche al­lora, come adesso, comandava lui in paese. Spa­rì, eh? Ma lo fece per salvare suo padre e suo fratello. Si sacrificò per tutti, anche per voi e la vostra famiglia.

Chiarina        Cara Teresa, d'altronde... lo sbaglio l'aveva fatto lei. Povera Nene. Sempre troppo generosa. Buttarsi via così, senza pensare a che malacondotta era Gegé Gravina. Debole, anche lei.

Teresa           Debole. Con quello che ha sofferto! Era innamorata come... Ah! Io non le ho mai provate, certe cose, e ne ringrazio Iddio. (Guar­dando la fotografia e riaggiustando la lettera, come per toccare qualcosa di Antigone)  Anche Tano, lo diceva sempre: quando ci s'innamora si diventa fuscelli in mano agli altri. (Breve pausa)  Si volevano bene, tra fratello e sorella... E ora non lo trova più. (Abbassa il viso).

Chiarina         (con le lagrime nella voce, guardando fissa la fotografia)   Teresa, per l'amor del cielo.

Teresa           Ma come volete che mi rassegni? È un destino maligno. Sono anni che le disgrazie arrivano come fulmini, che scoppiano sul tetto.

Chiarina         (a capo chino, voce bassa)   Io non riesco ancora a convincermi che non ci sia più.

Teresa           Ci ha preso tutti alla sprovvista. An­che lui. Una morte vigliacca, a tradimento. Ma io glielo avevo detto, donna Chiara! E così glie­lo avesse detto quella mala pianta di Maddalena, che invece rideva sempre, l'approvava sem­pre... Glielo dissi, io: non la prendete quella macchina rossa. Urlava, come il malaugurio. E così è stato.

(A quelle parole, Chiarina muove appena le labbra e scoppia in singhiozzi, na­scondendo il viso nel fazzoletto. Teresa la guar­da, senza troppa meraviglia, poi scuote il capo e le si fa più vicina, parlandole a voce bassa) 

Donna Chiara? (La cugina continua a singhioz­zare)  Donna Chiarina? (La voce stavolta ha avu­to maggior forza)  Su, su, calmatevi.  Era vo­stro cugino, è vero. Io... io capisco. Ma sta per tornare vostro marito. Dominatevi.

(Chiarina cessa di piangere ed alza il viso disfatto verso la faccia severa della vecchia. I suoi occhi tra­discono un'espressione di spavento) 

Siamo tutti deboli, donna Chiarina. Ma state tranquilla: Teresa resta fedele a Tano Lo Cascio... e a chi gli volle bene.

(Chiarina la fissa ancora con occhi scrutatori, poi china il capo).

Chiarina        Per me era proprio un fratello, Teresa.

Teresa           Si capisce. Un fratello. Asciugatevi gli occhi. (Suono di campanello, fuori scena)  Che vi dicevo? Eccoli.

(Voci fuori scena. Chiara si aggiusta con moto automatico il cappello e la veletta, passando le dita sugli occhi rossi. Con gesto breve nasconde il fazzoletto nella manica e mette bene in evidenza il rosario tra le mani, riprendendo la sua preghiera. Entrano Franco Salvaggio, Nuzzo Lo Re e il massaro Pietro Russo, tutti vestiti di scuro e cupi in volto).

Pietro(           entrando e togliendosi automaticamente il  berretto)   Benedite.

(Franco s'accosta alla moglie con un sorriso mesto, sedendole accanto con gesto di stanchezza. Nuzzo Lo Re, servito da Teresa, fa altrettanto. Pietro Russo resta in piedi come la vecchia governante).

Franco           (con un sospiro)   Eccoci qua, Chiarina.

Chiarina        Sarai stanco. Come ti senti?

Franco           (sempre col suo sorriso mesto)   E come ci dobbiamo sentire, tutti quanti? (Guarda anche gli altri, poi scuote il capo e allarga le braccia)  Diceva bene il sindaco: siamo scon­volti. Siamo storditi.

Chiarina        Ah, povero Gaetano. (Brevissima pausa)  Ha parlato il sindaco?

(Franco assente).

Pietro             (a Teresa)   Che discorso, eh? Che bel discorso. Gli ha fatto il ritratto, povero figlio mio. E don Filippo, anche lui. Delle parole... me le sentivo qui. Ha avuto una manifestazione proprio... (Muove le mani per indicare gran­diosità).

Teresa           Quella sì, povera anima, davvero.

Pietro            E fiori... a montagne.

Teresa           Gli ho lasciato accanto solo quelli che ho comprato per Nene. Almeno quelli, in­sieme a lui.

Franco          A proposito. Non è arrivato niente? Telegrammi, telefonate...

(Teresa scuote il capo).

Lo Re             Arriverà lei stessa, appena possibile.

Teresa           Figlia mia. Tutto quel viaggio, con quella notizia addosso.

(Il vecchio notaio scuote la testa, sempre più triste in viso) 

Ho un chiodo fisso, qui, don Nuzzo. (Indica la tempia)  Chi glielo avrà detto? E come? Sono stra­nieri, diversi da noi.

Lo Re              La gente per bene è uguale in tutto il mondo, Teresina.

Pietro             (a mezza voce)   Molti in paese hanno detto... (Si ferma: poi, più forte)  Beh, li avrete sentiti. Dicevano che non dovevano seppellirlo senza di lei.

Franco          Ah no? E come si poteva aspettare? Con questo caldo?

Lo Re              (stancamente)   Dicano quello che vo­gliono, Pietrino. Io ho dato tutto il mio appog­gio a don Franco e a donna Chiara. L'abbiamo fatto per Nene. Era almeno un anno che non s'incontrava col fratello. E non era il caso che lo rivedesse... in quello stato.

Pietro            Mah! Che vi posso dire io?

Lo Re             Che siete soddisfatto. Di averle rispar­miato una pena inutile e crudele. Lo sa Iddio cosa dev'essere, per lei, aver perso anche Tanuzzo.

(Teresa chiude il viso fra le mani, men­tre Franco Salvaggio sospira).

Franco          Giusto, purtroppo. Più che giusto.

Pietro            Tutta la notte ho pensato a lei, a don­na Nene. Mi dicevo: « Pietro: e se fosse suc­cesso a te, proprio? Viaggiare per mezzo mon­do, sapendo che tuo fratello se n'è andato ». Tutta la notte. Stavo male, me la sognavo ad occhi aperti. Mi sembrava che fosse appena par­tita e che questi anni non fossero passati.

Teresa           Ci sono stati, invece: tutti e dieci. Compiuti il tre di questo giugno.

Franco          Chiara: ma Tano non aveva detto che sarebbe tornata?

Chiarina        Sì. Mi sembra di sì.

Pietro            Doveva ritornare, come no?

(Teresa sospira, annuendo) 

La mattina che arrivò la lettera, mi vidi venire giù don Tano di galoppo, che sembrava a una corsa. E l'agitava, quel foglietto, come una bandiera. « Zi' Pietro - mi fa - l'ho persuasa! L'ho persuasa! ». E poi mi raccontò che donna Nene aveva dato le dimis­sioni e che presto sarebbe stata qui.

Teresa           Ma la civetta ci guardava la casa.

Chiarina        Chissà come sarà cambiata. Dieci anni sono molti.

Lo Re              Saremo cambiati anche noi, non dubi­ti. (Con un sospiro)  Adesso si troverà sola in questa casa... Non sarà piacevole, povera figliuola. Meno male che ci siete sempre voi, Teresa.

Chiarina        Abbiamo sperato che all'estero si sposasse. Là è un'altra cosa...

(Le parole sono seguite da un eco di silenzio imbarazzato. Teresa, dopo averla fulminata con gli occhi, scuote nervosamente il campanello a forma di giglio).

Teresa            (a Pietro)   Le vostre donne sono state qui, con le altre comari. Se ne sono andate che sarà sì e no un quarto d'ora.

Pietro            Le ho incontrate a...

(S'interrompe. Entra dalla porta interna Maddalena Orofino, che reca un gran vassoio carico di tazzine e d'un monumentale servizio da caffè in argento cesel­lato. Gli astanti si scambiano delle occhiate).

Teresa            (con la voce glaciale che usa per rivol­gersi alla ragazza)   Ah, Maddalena. Final­mente. Sul tavolino.

(La ragazza posa il vas­soio sul tavolino basso che è dinanzi alle pol­trone. Poi comincia a versare il caffè nelle taz­zine e a servire, iniziando da donna Chiarina, che però rifiuta, e continuando con Lo Re, che accetta. Nel frattempo, osservandola fare) 

Sarà bene che ti riabitui al grembiule e ai guan­ti. Fino a quando arriverà donna Antigone. Al­lora, si vedrà.

(La ragazza è così assorta nella propria pena, che sembra quasi non accorgersi di quelle parole. Continua a fare il suo servizio meccanicamente).

Lo Re               (sommesso)   Via, via, Teresa. Non è giorno, oggi.

Teresa            (come parlando in generale)   Don Nuzzo? Sempre è il giorno per sistemare le co­se. E fare pulizia, nelle case onorate.

Chiarina         (che segue Maddalena con occhi cat­tivi)   A mia cugina debbo parlare anch'io, di tante cose.

(Maddalena Orofino alza il viso e fissa Chiarina bene dritto in faccia. Poi crolla il capo e abbandona la stanza a testa alta, uscen­do da sinistra e lasciando aperta la porta).

Franco          Potevate lasciarla stare. Ha un viso...

Chiarina        Già. Si sente mancare la terra sotto ai piedi.

Lo Re              Via, via. Sono cose che non ci riguar­dano. E poi, Tano... quella ragazza non è stata la sola, che Dio lo benedica.

Teresa           Ma con quella s'è lordato. Avanti a tutti. Se la teneva in casa, capite? Dov'erano state sua madre e sua sorella. Tutto il paese ci ha riso dietro.

(Lo Re allarga le braccia come per dire « È difficile giudicare »).

Lo Re              Dio ci perdoni tutti, Teresina, se quella ragazza voleva bene a Tano come sem­bra. È disfatta dalla pena. Non l'avete vista?

Chiarina        La paura.

Teresa           No, non soltanto. Voglio ammettere anch'io che gli volesse bene... Di Tano, se ne innamoravano tutte: era quello che era. E oggi, avranno pianto in parecchie. Non gli ha mai resistito nessuna, a lui.

(Prima che Teresa abbia cominciato a parlare, è apparsa sulla soglia di sinistra, nel vano della porta aperta, una donna piccola e magra, non bella. Avrà circa quarant'anni: è pallida, del pallore delle bionde, con un che di stanco per tutta la persona. Il suo semplice abito grigio contrasta con il nero degli altri).

Antigone       Un bell'epitaffio, Teresa.

(La sua voce quieta è leggermente incrinata da un'emo­zione interiore. Tutti si volgono di scatto e re­stano come impietriti nel vederla; levando in alto un mazzetto di chiavi, con tono di ironica mestizia) 

Sono di casa, no?

(Pietro fa il gesto automatico di togliersi la berretta, che ha già in mano. Teresa fa un passo avanti, aprendo la bocca senza poter parlare. D'un tratto si cor­rono incontro e si abbracciano. La vecchia, per la prima volta, rompe in singhiozzi. Restano così per un momento, poi Antigone si stacca dolcemente).

Teresa            (guardandola fra le lagrime, col tono di chi non crede ancora ai propri occhi)   Tor­nata, tornata...

(Le prende le mani e le porta alle labbra, baciandole, come si fa con quelle dei bambini) 

Figlia mia, figlia mia... Tornata. A casa sua.

(Antigone si stacca da lei, con un mo­vimento che è brusco e dolce, al tempo stesso. Poi, senza guardare nessuno, muove svelta verso il tavolo dov'è la fotografia del fratello. Nel frat­tempo, tutti gli astanti si sono levati in piedi. Chiara, mentre la cugina resta così, ferma, fa come per dirle qualcosa ma don Nuzzo Lo Re la tira indietro, accennandole di tacere. Teresa, intanto, la guarda ansiosa, asciugandosi gli oc­chi e riprendendo la consueta padronanza di se stessa. Antigone, sola dinanzi a Tano - anche Franco s'è ritirato silenziosamente di lato - si guarda attorno per la stanza. Poi depone le chia­vi con gesto lento dinanzi al ritratto e appog­gia la borsetta sul tavolo. Passa la mano sugli occhi e resta ancora un istante ferma. Quando si volge verso gli astanti è di nuovo calma, come all'entrata).

Antigone        (con voce fredda)   Chiedo scusa.

(Gli altri le si fanno attorno, un po' incerti, me­no Pietro; questi è restato fermo, con gli oc­chi spalancati e un gesto di rispettoso ossequio nella positura della mano, che tiene la berretta schiacciata contro il petto. Rivolgendosi a Lo Re ed abbracciandolo) 

Ah, don Nuzzo!

(Il vecchio, staccandosi, la guarda un istante, rattri­stato, poi la bacia sulle gote con gesto pieno d'affezione) 

Lo so, lo so. Non dite niente. Sono sul filo del rasoio.

(Il notaio crolla il capo e si ritrae d'un passo. Si fa avanti Chiarina Salvaggio, le braccia tese in un atto un po' teatrale. Antigone si lascia abbracciare freddamente e si stacca subito).

Chiarina        Nene, Nene cara... (Sconcertata)  Oh, Nene... (Si volta, come in cerca di aiuto e pre­senta Franco, che le sta vicino, compunto)  Mio...  mio marito, Nene: Franco Salvaggio.

Franco           (stringendo la mano di Antigone)  Non sa quanto mi dolga, conoscerla in un gior­no come questo.

Antigone        (gli stringe la mano con molto più calore di quanto non abbia fatto con Chiarina)   

Caro Franco. Ho incontrato un momento fa don Filippo, l'arciprete. Ci siamo riconosciuti. Io la ringrazio. So che ha fatto tutto quello che era necessario, insieme a don Nuzzo... (Volgen­dosi al notaio)  Il grazie, a voi, è inutile dirlo: ci siete stato sempre accanto, meglio assai d'un padre.

(Lo Re si schermisce, crollando il capo).

Franco           (con voce profonda)   Ho fatto quello che ho potuto, per Tano. Gli dovevo molto.

(Antigone, tuttavia, non l'ascolta quasi più. I suoi occhi sono andati sul vecchio Pietro. Lo scruta un istante, incerta, poi gli muove incon­tro a braccia tese).

Antigone       Zi' Pietrino?!

Pietro             (balbettando)   Benedite...

(Antigone gli è vicina ed egli le prende la mano, per ba­ciarla. Ma quella non gliene dà il tempo e lo stringe a sé con effusione, stampandogli due baci sulle guance. Il vecchio la fissa con occhi inumiditi. La voce gli si rompe) 

Donna Nene mia. Che ritorno fate, figlia d'oro. Dio ci aiuti.

(Antigone abbassa la testa precipitosamente, sopraffatta dall'emozione. Tuttavia non cede: dà una scrollatina affettuosa al vecchio conta­dino e lo lascia andare. E poiché Pietro lascia scorrere le lagrime, senza vergogna, evita di guardarlo e si ritrae verso Lo Re, che la osserva impensierito).

Antigone        (con voce bassa)   Sapete... dopo il viaggio che ho fatto... Mi sembra meno difficile, ecco, qui, con voi. Certe volte, ad esser soli, c'è quasi da ammattire.

Teresa           Siete a casa vostra.

Antigone       E tu me lo scrivevi sempre di tor­nare. Ma io rimandavo. Ah! Non me lo perdo­nerò mai. Rimandare perché? Per tornare così. (Volgendosi verso Lo Re)  Don Nuzzo: chi l'ha veduto... ancora vivo? Voi?

(Il vecchio notaio scuote la testa).

Franco          Nessuno. È stato oltre il paese. Lo sa, aveva comprato un'altra macchina da qual­che tempo. E gli piaceva correre. Lei sa anche questo.

(Antigone assente, poi lo guarda come per invitarlo a proseguire) 

Non vuole parlarne più tardi? Domani?

(Antigone nega col capo) 

Avvisarono me, per primo. Aveva piovuto, si slittava. Chissà. Avrà perduto il controllo. Avrà cercato di evitare un animale. Basta. La mac­china è uscita di strada. Si sarebbe salvato ma... sotto c'era uno strapiombo. E rocce.

(Antigone ha chinato la testa: nessuno può vederne l'espressione).

Lo Re              (con voce quieta, dolcemente)   L'ho chiesto al medico legale, Nene. Io stesso. È morto sul colpo. Me l'ha assicurato.

Antigone        (annuisce prima col capo, poi, senza levare il viso, con voce soffocata)   Ecco. Ecco. Almeno questo.

Chiarina        Ma oggi... Avrei voluto che tu ci fossi stata. Ha avuto un funerale degno di lui, sai? Tutti gli amici... tutto il paese. Perfino il sindaco, venuto apposta da Roma.

Antigone       Se ne sarà consolato.

(Il tono è così pieno di amara ironia, che gli altri si guar­dano. Subito ella abbozza un gesto di scusa con la mano) 

No, no: abbi pazienza. Non credere che io non apprezzi... Dio mio! So che l'hanno voluto ricordare. Ma è che... che mi consumo dentro, da ore e ore. Per questa morte così as­surda, così ingiusta. (Le manca la voce, ma si riprende subito)  Io sono molto grata... a tutti. A tutti.

Franco          Ho temuto che le dispiacesse la no­stra iniziativa. Ci siamo sostituiti a lei, lo so. Ma non si poteva aspettare, lei capisce. E senza aver saputo nulla, da parte sua.

Antigone       Ma no, no. Capisco bene. E poi... io! Meglio senza di me, guardi. Io - don Nuzzo lo sa, vero? - detesto ogni cerimonia. Me lo sarei portato laggiù quasi in segreto. Da sola. E non sarebbe stato giusto, ché molta gente gli voleva bene... (Si volge verso Lo Re, che la fissa attento, sempre più preoccupato)  In certi mo­menti ho l'impressione di sognare... Non mi ren­do più conto che è tutto vero, quello che suc­cede. In certi altri, quando la realtà mi prende qui (porta la mano alla gola)  sento in cuore una rabbia, una rabbia... da spaccarlo, questo stupido mondo.

Lo Re             Non devi far così, Nene.

Chiarina        T'ammalerai.

Antigone       Fossi tornata prima, almeno! Avrei ritrovato questi luoghi col suo appoggio. Era rimasto così giovane, lui. Me lo ricordo ancora, l'anno scorso, in Svizzera. Stava appoggiato alla balaustrata, lungo il lago, e rideva, con quel suo riso limpido, giovane, vivo. Ah, Dio mio! Se pensate che io, invece, di questa vita ne ho abbastanza da un pezzo... E mi trovo qui. A fare cosa, poi. (In fretta)  No, no. Abbiate pazienza, non mi badate. Sto parlando a vanvera, ecco.

Teresa           Io so che siete tornata e che vostro fratello l'ha desiderato tanto. In qualche modo, stasera, deve sentirlo anche lui che siete a casa.

Antigone        (dopo averla guardata un momento)   Come mi conosci, tu. E forse è così. Forse sarà riprendendo contatto con queste vecchie mura, che lo ritroverò... in qualche modo. O in campagna. Quella campagna che lui amava tanto.

Chiarina         (accostandosi a lei)   Vuoi che an­diamo da lui, adesso? Vuoi che t'accompagni al cimitero?

Franco          Adesso?! Chiara?

Antigone       Io vengo dal cimitero. Ho aspet­tato che uscisse anche l'ultimo curioso: e sono entrata a vederlo, a modo mio.

Chiarina        Da sola?

Antigone       Sono così abituata ad esser sola.

Chiarina        Ma questa notte, no. Resto qui io, con te.

Antigone       No, Chiara, no: hai i tuoi figliuoli a casa. Qui con me c'è la mia Teresa. Ne avremo da parlare, io e lei...

(Teresa la guarda e Anti­gone le sorride appena, debolmente).

Franco          Non mi sento tranquillo, glielo con­fesso.

Antigone       Grazie, siete molto buoni. Ma non ho bisogno di niente. Davvero. Voglio solo che andiate a casa vostra, dove vi aspettano i bam­bini.

Franco          Ma lei deve prometterci che cercherà di riposare. Che prenderà un calmante.

Antigone       Farò così, Franco.

Lo Re              (prendendole la mano)   Vuoi proprio restar sola?

Antigone       Qui non sono più sola, don Nuzzo. Avete un viso, voi... Andate, andate a riposare. Però, domani, voglio rivedervi. Presto.

Lo Re             Certo. Abbiamo molto da parlare. (Le fa una leggera carezza)  Vorrei esserti d'aiuto, figlia mia.

Antigone       E non ve n'accorgete che lo siete?

(Gli stringe la mano. I tre s'avviano, lentamente: Teresa li accompagna).

Chiarina         (vicino alla porta, voltandosi)   Ti la­scio a malincuore...

Antigone       Per carità. Vai tranquilla.

(Escono tutti con la governante).

Pietro             (vedendo che Antigone lo guarda)   Co­mandatemi, donna Nene.

Antigone       Donna Nene. Sono anni che non lo sentivo. (Va a sedersi sul divano e accenna al contadino di raggiungerla)  Cosa fate lì, in piedi? Sedetevi un istante... O sarà tardi?

Pietro             (quasi correndo da lei)   Ma... donna Nene?! (Siede un po' impacciato, proprio sull'orlo del sofà).

Antigone       Sentite, zi' Pietrino.. Voi gli vole­vate bene. (Lo fissa, attenta)  È vero quello che m'ha detto don Nuzzo? Non nascondetemi la verità. Lo capite: ho bisogno di esserne sicura.

Pietro            Don Nuzzo l'ha detta. Ve lo giuro. Non ha sofferto.

Antigone        (chinando la testa)   Grazie.

Pietro             (con semplice mestizia)   Voi lo sapete, donna Nene. A me, mi è morto un figlio.

(Antigone mette una mano su quella del vecchio).

Antigone       Mi scriveva sempre, zi' Pietro. Ed ogni volta mi parlava anche di voi. Così io ve­devo  tutti:  voi,  la vostra famiglia...  la casa sotto il noce. Mi faceva vivere ancora qui, con le sue lettere.

Pietro            Vi siete accorta di com'era contento, ultimamente?

Antigone       Ho seguito giorno per giorno l'av­ventura dell'acqua. Le speranze, le prime delu­sioni. E quando trovarono la sorgente, alle Tre Punte, mi mandò un telegramma. Poi mi spedì anche i progetti: le cisterne, gli acquedotti, le migliorie alle case...

Pietro            Fu una giornata, per tutti... (Accenna con la mano a qualcosa di grosso)  Voi lo sa­pete che vuoi dire l'acqua, in queste terre. È più d'una benedizione. Un sogno è. Ecco perché vi chiese di tornare. C'era bisogno anche di voi adesso.

Antigone       Anche di me. Quasi incredibile. Ve lo giuro, zi' Pietro: aveva fatto venire la febbre anche a me, che sono un pesce morto.

(Entra Teresa dalla porta di fondo, recando una tazza fumante sopra un vassoio. È di porcellana, de­corata a rose, di forma antiquata e graziosissima).

Teresa           È un po' di brodo. Vi farà bene. (Al gesto di rifiuto di Antigone)  Per farmi piacere.

Antigone       Sì, Teresa, sì. (Prende la tazza e sorseggia di malavoglia).

Teresa           Ecco. Brava figlia mia, brava.

Antigone        (rivolgendosi al massaro)   Pietro, domattina voglio fare una visita alle Tre Punte. (Rende la tazza)  Grazie, basta. (Di nuovo, a tutti e due)  Sento... bisogno di andarci. Ho come idea che lassù ci sia una traccia viva di mio fratello.

Teresa            (deponendo la tazza sul tavolinetto bas­so)   Certo, lui ci stava giorno e notte in cam­pagna. (Pietro annuisce vivamente).

Antigone       Ecco, vedete? Mi ci accompagne­rete voi, zi' Pietro. Insieme a Rino, quel vostro figliuolo che ha scoperto la sorgente.

Pietro             (con meraviglia)   Tutto sa, tutto!

Teresa           Eh, le scriveva certi letteroni! « Al­la sorella li mandate, o alla fidanzata? ». E lui rideva. Rideva sempre, Tanuzzo. (La voce le s'incrina).

Antigone        (in fretta)   Allora, Pietro: v'aspetto all'alba domattina. Voglio muovermi, far presto. E vivere, come ha vissuto lui. (Gli appoggia di nuovo la mano sulla mano)  Ora andate. A casa v'aspetteranno e staranno in pensiero.

Pietro            Io vado e vengo. Ci sono abituati.

Antigone       Andate, andate. E grazie. Grazie per quello che... che m'avete giurato. Salutatemi Mimma.

Pietro             (già in piedi)   Vi ricordate anche di lei?

Antigone       Ho  avuto  sempre  pochi  amici, Pietro. (Gli tende la mano e stavolta il massaro gliela stringe, con dignità, guardandola in viso).

Pietro            Cercate di riposarvi, donna Nene. Qui, in casa vostra.

(Si volge per andare, quando An­tigone lo ferma).

Antigone       Dio mio, zi' Pietro...

Pietro             (voltandosi)   Che c'è?

Antigone       Ho lasciato la borsa da viaggio alla stazione delle corriere.

Pietro            Ci vado io, col carrozzino.

Antigone       Abbiate pazienza.

Pietro            Che volete che sia? Vado e torno! (Accenna un saluto e s'allontana rapido).

(Antigo­ne, che si è alzata a sua volta, va verso il tavolo e prende la borsetta. L'apre, ne tira fuori un pacchetto di sigarette e si serve. Intanto si guar­da intorno).

Antigone       Questa casa. Questa stanza. Non avete neppure mosso i soprammobili. Sembra che il tempo non ci sia passato... Fa paura.

Teresa            (vedendola accendere e tirare le prime boccate)   Ma... fumate?

Antigone       Da un pezzo. (Accennando alla let­tera, sopra il ritratto)  Chi l'ha messa lì?

Teresa           Io. È cosa sua e vostra.

Antigone       Perdiana, ma è così teatrale! (La prende e straccia la busta sul lato, tirandone fuori due foglietti)  Leggersi. Che cosa stupida. (Scorre la lettera con gli occhi)  Già: eccola, la data del mio arrivo. Quindici settembre. (Strin­ge la lettera nel pugno, nervosamente).

Teresa           Fra tre mesi.

Antigone       E forse, forse... avrei ancora riman­dato. Per questa mia stupida testa, piena di fantasmi. (Agitata)  Ma ci pensi, Teresa? Con quello che avevo saputo, con quello che sentivo in viaggio ... e Dio lo sa che schianto è stato! Eppure, quando ho visto la costa, dall'aereo... e dopo, in corriera, quando mi sono balzati in­contro tutti questi luoghi: Prato Assado, Fosso Maggiore... la Roccia di Ginestre, che mi ricor­dava il primo incontro, i primi appuntamenti. (China il capo)  Sarei fuggita, ecco. A te lo pos­so dire: c'era qualcosa di così sinistro in quella campagna ferma, sotto il cielo bianco. Ho tre­mato, guardandola, come se fossi stata dinanzi ad uno specchio. Stanca e riarsa: come me. Una donna invecchiata, senza più nessuno. Teresa Smettete di parlare adesso. Venite. Distendetevi un poco. La camera vostra è pronta.

Antigone       Là dentro? Perché mi saltino ad­dosso i ricordi, da ogni parte?

Teresa           Ma ci pensate ancora a... a quel serpe?

Antigone       Dieci anni senza guarire, eh? No, no. Sono fuori dalla... (sorride, ironica)  dalla passione, come dicevi tu. Ma il resto! Sono passata vicino alla torre dove m'aspettava. E sentivo quella sua risata bassa, piena di sot­tintesi. « Calmati ». Così mi disse, quando gli urlai che sapevo tutto, che avrebbe sposato Rosa Cannistraci. « Aspetta, no? Tanto è così malata. Che potrà durare? ». E mi risentivo la faccia rigata di lagrime. E la paura, la nausea: perché me lo vedevo davanti, così com'era. E sentivo che per anni s'era servito di me, per­ché costavo meno d'una...

Teresa            (quasi in un grido)   Nene!

Antigone        (crollando il capo)   Che importanza ha, ormai? Speriamo di non incontrarlo troppo presto... il barone Gravina. (Pronuncia il nome con sforzo evidente).

Teresa           In questo modo volevate tornare?

Antigone        (alzando la mano, dove stringe ancora la propria lettera)   Certo. Perché me l'aveva chiesto Tano. Aveva acceso una speranza anche per me, qui dentro. Capisci? Avevo il senso d'es­sere utile a qualcuno, a qualcosa. Non solo a me, me sola, sempre me, solo me... Poi, quando par­lai col direttore, al telefono... Ah, Teresa! Che tentazione di sparire per sempre, insieme a lui! Ma no. (Agita di nuovo la lettera)  No. Tano m'aveva chiesto qualcosa, finalmente. Lui a me. Me li aveva chiesti ed io glieli ho portati. Co­munque.

(Teresa la fissa, attonita, mentre Antigone fruga febbrilmente nella borsa, estraendone una sottile busta oblunga e porgendogliela) 

Apri. Apri!

(Teresa obbedisce, tirandone fuori un assegno giallastro) 

Vedi?

Teresa            (osservandolo)   Capisco solo il nu­mero... è tutto forestiero! Centoventimila. Antigone Centoventimila franchi svizzeri. Di­ciotto milioni, Teta. Tutto quello che ho guadagnato... o quasi.

Teresa           Ve li aveva chiesti lui?

Antigone       Certo. Volevi che ricorresse ad una Banca?

Teresa           Eh, lo diceva sempre Tano. Nene sa tutte quelle lingue... Dirigevate l'ufficio, le con­ferenze...

Antigone        (con ironia)   Scrivevo articoli... Ah! Mi sono mascherata per dieci anni da funzio­nario internazionale. Un nuovo tipo d'uomo, sai? Pasciuto e ben pagato, vive maestoso, come un gran pallone. Per cinque giorni alla settimana indossa l'armatura del salvatore del mondo... mentre il mondo resta com'è, sempre allo stesso punto.

(Guarda Teresa, che la fissa ad occhi sbarrati, sorride e accenna di nuovo all'assegno) 

Denaro suo, guarda. Perché lui, che faceva qual­cosa di vero, di utile, si preoccupava sempre di mandarmi un mensile, la mia parte... Non am­metteva che lavorassi per vivere, io, nata baro­nessa Lo Cascio. Grandi di Spagna, con le piume sul cappello.

Teresa            (le ridà l'assegno)   Ecco, tenete.

(Antigone lo getta nella borsa) 

Non siete cambiata purtroppo. In niente.

Antigone       No, eh? E i capelli bianchi? E la solitudine? Il dolore sta sempre lì, in agguato, a tutti gli angoli della vita. Anche se io, la vita, non ho ancora imparato bene a viverla.

Teresa           Mi fate male, quando parlate in que­sto modo.

Antigone        (prendendole affettuosamente un braccio)   Scusami, Teta. Scusa. Mi dimentico quanto soffri. Mi sembra che il dolore sia sol­tanto mio. (Le dà la lettera)  Buttala, butta via. Il tempo delle lettere è finito. Ora sono qui, da lui. Per vivere, a modo suo.

Teresa           Senza di lui?

Antigone       Eh, lo so. Per te sarà più difficile.

Teresa           Ma che dite?

Antigone       Tu gli sei stata sempre accanto. Viva, con lui vivo. Ma io? In dieci anni, l'avrò visto sì e no dodici volte. Un rapporto d'animo, ecco. Che potrebbe ancora essere. Ancora adesso.

(In quell'istante squilla il campanello di casa. Le due donne si guardano interrogativa­mente).

Teresa            (andando verso la finestra)   Pietro no. Ha le chiavi. (Guarda fra le stecche delle per­siane)  È donna Chiara.

Antigone       E che cerca a quest'ora?

Teresa            (andando verso di lei)   Devo aprirle? Voi... voi lo sapete come stavano le cose, fra lei e Tano?

Antigone        (cupa)   Sì.

Teresa           Vi scriveva anche questo?

Antigone       Credo d'aver capito cosa vuole. Apri.

(Teresa, senza nascondere il proprio stu­pore, esce per aprire. Antigone nervosa, riac­cendendo una sigaretta) 

Non poteva aspettare, non poteva.

(Sulla porta Chiarina, seguita da una accigliatissima Teresa).

Chiarina         (patetica)   Io... io non ce l'ho il co­raggio di lasciarti sola.

Antigone       Vieni, vieni.

Chiarina         (avanzando)   Franco è riuscito. Sai chi è venuto a prenderlo? Il barone Gravina.

Teresa           Ma che dite?

(Antigone la osserva, sempre calma, appena infastidita).

Antigone       E tu sei venuta qui. (Scuote il capo)  Eh, ci sarebbe voluto Tano, ora, al mio posto. Per sentire meglio quant'è ridicola, tutta questa storia.

Chiarina         (che si trova dinanzi alla grande foto­grafia del morto, la fissa e poi balbetta)   Ri­dicola? Ridicola? Oh, Dio mio!

(E chiude la faccia tra le mani, scoppiando in un pianto di­sperato. Teresa la fissa, sconcertata: Antigone è di nuovo innervosita e fuma fitto).

Antigone       Di nuovo. La tragedia. Ah, buon Dio, sì! Facciamo anche questa. (S'accosta alla cugina e la scrolla con una certa rudezza)  Chiarina. (Più forte)  Chiara, perdio!

(La cugina alza il viso sconvolto e fa per dire qualcosa: ma l'e­spressione di Antigone le fa morire le parole sulle labbra) 

Finalmente.      Questo è mio fratello, ti ricordi? E non mi fa piacere, no, che sia morto. Se cerchi modo di sfogarti, va' altrove.

Chiarina         (frenandosi)   Scusami, Nene. Tu lo capisci: sento quello che senti anche tu.

Antigone        (allontanandosi un po' da lei ma sem­pre guardandola bene in viso)   Io? Io sono la sorella. E tu, l'amante.

(Chiarina fa quasi un salto indietro e la fissa ad occhi sbarrati. Teresa giunge le mani e s'affretta a chiudere la porta).

Antigone       Cos'è? Non sto alle regole del gio­co? Dovevo aspettare che tu «mi confessassi»?

Chiarina         (abbassando il viso, con voce soffo­cata)   Tu sai che ci volevamo bene: dove­vamo sposarci. Fu per causa tua se...

Antigone       Causa mia?! Buon Dio! E che do­vevo fare io, più che sparire? Nemmeno per la morte di mio padre, son tornata. Tanto lui non m'avrebbe voluta. Di che avevate paura, in casa di mio zio? Che Gravina avesse fatto l'amore con tutta la famiglia?

(Chiarina chiude la faccia tra le mani e scuote il capo) 

Siedi. E siedi anche tu, Teresa! Smetti di fare la maggiordoma. Ho i nervi a pezzi. (Sospira e guarda le due donne allibite)  Il vostro sbaglio è quello di non aver capito i miei rapporti con Tano. Stretti. Stretti come in una sola persona. È la lontananza, sai. Toglie maschere, permette confessioni inaudite. Un foglio di carta e la tua coscienza, mille chi­lometri più a nord. E forse anche l'idea della morte, in questa famiglia... (Si ferma)  Famiglia! Ci sono solo io.

Chiarina        E io, Nene? Io?

Antigone       Tu? Non conti. Almeno per me. Fai parte dei ricordi. E di certe perfidie, mentre io soffrivo. T'ho capita dopo, a te, con quel viso dolce.

Chiarina        Sei... sei brutale.

Antigone       E tu inesorabile. Ah! Doverle dire, le cose! Ma l'hai voluto e ora ascolterai. (La fissa)  So perfino che gli sei costata, guarda. Quindi, evita la retorica.

Chiarina        Tu invece sai come ci si dà, per nulla.

Antigone       Sicuro. E me ne vanto.

Teresa           Non v'offendete così!

Antigone       Io? Me ne infischio. (Passa una mano sugli occhi)  Infine: tra me e Tano, sempre discorsi chiari, sempre istruzioni precise. Ognu­no lasciava all'altro la sua parte di responsa­bilità... per ogni evenienza. (Sospira)  E dunque anche per Maddalena Orofino so come devo agire.

(Chiarina e Teresa la guardano stupefatte).

(Con amarezza)  Come vi conosceva bene Tano! Tutti quanti. Perciò non vi temeva. (Ri­volgendosi a Teresa)  Eppure guarda: posso ca­pire lei (indica Chiarina), la sua gelosia. Ma a te? Cosa ti ha fatto?

Teresa           È disonesta.

Antigone       A me l'hai perdonata. Perché?

Teresa           Perché vi voglio bene.

Antigone        (abbassa il volto e sospira. Poi lo rialza con determinazione)   Ricordati allora che Tano voleva bene anche lui a quella ra­gazza. E molto.

Teresa           Me la terrete qui?

Antigone       Col tempo, la sistemerò altrove. Così non avrai dispiacere.

(E poiché Teresa le ha preso impetuosamente la mano per baciar­gliela, la ritira quasi con malgarbo) 

Se vuoi baciarmi ho le guance. Non sono un vescovo, io.

Chiarina        Con me non parli? (Le si accosta)  Rinneghi  il sangue tuo per una donnaccia? Metti Tano davanti... Ma lui non ci pensava a morire. E lo so io, come tu non puoi saperlo. Sei tu che non vuoi scacciarla. Sei tornata piena di mali­gnità, di vendetta. Ma sta' attenta, Nene: c'è chi te la può sempre piegare, quella tua superbia, ancora e sempre.

Antigone       E allora vagli a raccontare tutto. Ma fuori di qui. (Minacciosa)  Inteso?

Chiarina         (porta il fazzoletto alla bocca. Vor­rebbe ancora parlare, ma il viso della cugina gliene toglie il coraggio)   Tu... tu... Ah!  (Scop­pia in pianto e fugge via).

(Teresa rimane immo­bile. Si ode lo sbattere della porta di casa, fuori scena).

Teresa           Eh sì, vostra madre lo diceva sempre: Tano è mio figlio, diceva, Antigone è suo padre, l'uomo di casa.

Antigone        (guardando l'orologio)   Teresa: sarà meglio che io la veda subito questa... questa Maddalena Orofino.

Teresa            (suonando il campanelluzzo d'argento)   Come volete voi.

Antigone        (guardandola)   La campanella del pranzo.

Teresa            (accostandosi a lei, sussurra)   Badate! Se vi volesse far credere che è incinta... Non è vero. Io lo so. (Antigone la fissa)  Avete capito?

(La porta di fondo si apre ed entra Maddalena Orofino. Tiene la testa alta e fissa Antigone quasi con sfida).

Maddalena   Benedite.

Antigone       Sei tu Maddalena Orofino?

Maddalena   Sissignora.

(Teresa esce dall'altra porta, in punta di piedi).

Antigone        (continuando ad osservarla)   Il mio nome è Antigone.

Maddalena   Sì, donna Antigone.

Antigone       Come mi chiamava don Tano?

Maddalena   Nene... (Porta la mano alla bocca)  Oh! Scusate!

Antigone        (andandosi a sedere sul divano)  Vedo che mi conosci. Vieni qui.

(La ragazza obbedisce: è disorientata) 

Quanti anni hai?

Maddalena   Venti.

Antigone       E sei qui?

Maddalena   Da tre anni, quasi. (Facendosi co­raggio)  Un anno per quanto riguarda... ve l'han­no detto, no?

Antigone       Gli altri? No, no. A me l'aveva scritto Tano. Che ti voleva bene e molto.

Maddalena    (la fissa ad occhi sgranati, poi si co­pre il viso con le mani)   Non me lo dite. Non me lo dite, per carità! Non me lo dite.

(Antigone rimane a guardarla, senza parlare. È assorta, commossa).  

Maddalena    (levando il viso, più calma)  Perdonatemi.

Antigone       E di che?

Maddalena   Che volete? Le donne a me non parlano come voi. Voi mi fate... mi fate male.

Antigone       Non aver paura di me, Maddalena. Io sono come Tano ti avrà detto. Hai capito? Come diceva lui.

Maddalena   Certo. Vi voleva bene. E siete sangue suo, la unica. Ma io... io non so più quello che mi succede. Un po' mi dico che il Signore m'ha castigata. Ero troppo felice, trop­po cieca. E poi penso: « Chi me Io toglie più, quell'anno insieme a Tano? Quello che è stato resta mio, fino a che campo ». E Dio voglia sia poco.

Antigone       Già te ne sei accorta, alla tua età, che il passato è l'unica cosa che non ci possono toccare. (Osservando Maddalena che la guarda)  Non gli somiglio, eh?

Maddalena   Poco. Lui era bruno.

Antigone       No. Lui era un grande albero, coi rami sparsi. Io, un cipresso.

Maddalena   Appena sono entrata, ho udito la vostra voce, quieta quieta... mi sono calmata un poco, anch'io. Io le conosco le voci.

Antigone       C'è qualcosa che vuoi dirmi?

Maddalena   Io?

Antigone       Non c'è speranza... Non l'avrai pro­prio un bambino?

Maddalena   Ah no, signora. Quello no.

Antigone       Ma come parli?

Maddalena    (fosca)   No, signora. Io glielo dissi a Tano. Non voglio che ci maledica nessuno, a noi due. Qui, ai bastardi, non gliela perdonano.

Antigone       Tu credi? E invece io ho scoperto che si perdonano molte cose a chi ha denaro. Qui e altrove. Denaro e coraggio delle proprie azioni.

Maddalena   Forse. Ma in questi pochi giorni, c'è stata gente che m'ha insegnato cose... cose che a voi non avranno mai dette.

Antigone       A me non le dissero in faccia, ma... (Scuote il capo)  Tu devi stare tranquilla. Da questa casa non ti manderà via nessuno. Ed è Tano che vuole così, hai capito?

Maddalena   Sì. Ma voi ricordatevi questo. Non voglio soldi, né carità. Nemmeno Tano me ne ha mai dati. Io non sono quella che... che vi diranno.

Antigone       Non sospettare anche di me, Maddalena. E non pensare che io ti sopporti in casa per la memoria d'un morto. No. Per me sei solo la ragazza di mio fratello: una ragazza che egli non ha avuto il coraggio di sposare.

Maddalena   Signora?!

Antigone       Eh, figlia mia: la verità, qualche volta, è l'unico modo per intendersi. Sei una ragazza di campagna, lo so. La differenza, fra te e lui, c'era. Ma io penso che non sia colpa tua, se non hai avuto modo di raffinarti. Intanto tu, da lui, non hai voluto un soldo. E io so che è vero. Anche tu, per amore: con quel pudore che solo l'amore vero dà a una donna. Eh sì, sì. Eccola la ragione per cui ti rispetto, figlia mia. E per cui ti chiedo il permesso di pensare a te.

(Maddalena la guarda, sbalordita, poi si ritrae, quasi istintivamente).

Maddalena   Tano non era come voi.

Antigone       Era un uomo.

Maddalena   E la gente?

Antigone       Che gente?

Maddalena   Diranno che v'ho saputo prendere per il verso giusto. Che - bene o male - ho saputo stare col fratello e la sorella.

Antigone       Ma tu - tu, Maddalena - l'hai capito bene quello che t'ho detto?

Maddalena   Io? Sì. Sì, credo di sì.

Antigone       Ecco. E io t'insegnerò come si fa a infischiarsene della gente. Sarà il momento che ti rispetteranno.

(In quell'istante comincia a crescere, tutt'intorno alla casa, un vociare e uno scalpiccio confuso. Si odono voci virili e femmi­nili, ora acute, ora basse: rivelano, nell'insieme, una grande agitazione. Le due donne si fissano, sorprese. Poi Maddalena, quasi con gli stessi gesti di Teresa, corre alla finestra a spiare).

Maddalena   Ma che è? Tutto il paese per la strada? (Una scampanellata)  Fra la gente c'è Simone, il carabiniere. Lui ha suonato.

(Antigone scuote il capo, accennando un gesto di me­raviglia con le braccia. Da fuori scena si ode un parlottare confuso poi un grido lacerante).

Antigone        (sobbalzando)   Ma è Teresa!

(La porta si spalanca ed entra la vecchia governan­te, con le braccia levate, per la prima volta scomposta e fuori di sé. Ha il volto atteggiato a raccapriccio).

Teresa           Dio! La malasorte! La malasorte!

(Si getta piangendo dinanzi alla fotografia di Tano. Dietro di lei entrano Nuzzo Lo Re, pallidissimo, con Pietro, esterrefatto, che regge una grossa borsa di cuoio. Li segue un carabiniere piuttosto anziano. Fuori dalla porta si accalcano uomini e donne: alcuni entrano nella stanza. Antigone, allibita, li guarda interrogativamente: Maddalena torna indietro, dalla finestra, osservando spaventata Teresa, che continua a piangere. Il carabiniere si toglie il berretto, mentre Lo Re e Pietro si accostano ad Antigone).

Antigone        (al notaio)   Ma che succede ancora?

Il Carabiniere          La baronessa Lo Cascio?

Antigone       Sì, sì. Che c'è?

Il Carabiniere           (sulle spine)   Baronessa...

(Si ferma, mentre Teresa singhiozza più forte. Antigone guarda Lo Re e Pietro, che chinano il capo incapaci di parlare. Dalla folla sale un mormorio).

Antigone        (gridando)   Ma insomma, parli!

Il Carabiniere          Poco fa s'è presentato da noi il custode del cimitero...

(Tira fuori dalla tasca un gran pezzo di carta ruvida, da norcino, e la spiega: vi sono tracciate delle lettere a stampa­tello, in rosso fuoco. Glielo porge) 

Ecco, legga. E si faccia coraggio.

(Antigone prende il foglio, stupita, impaurita: Lo Re le si fa accanto, men­tre Pietro si chiude il viso tra le mani. Il brusio è cessato e regna un silenzio assoluto. Antigone legge, con la fronte aggrottata. D'un tratto dà indietro, come se l'avessero colpita fisicamente. Allontana il foglio da sé e fissa Lo Re ad occhi sbarrati).

Lo Re               (con voce rotta)   Figlia mia...

Pietro             (a parte, mormorando)   Maledizione, sopra loro e i figli.

Antigone        (con voce incerta)   Ma... è uno scherzo.

Il Carabiniere           (in tono dolente)   No, signo­rina. Abbiamo controllato.

Antigone        (passando una mano sulla fronte, co­me per orizzontarsi)   Avete controllato.

(Mad­dalena, che ha seguito a mani strette la vicenda, non resiste più e interviene).

Maddalena    (balbettando quasi, per l'orgasmo)  Non è a Tano. Non è a Tano. Che succede?

(Antigone le porge il foglio: la giovane scuote il capo) 

Non so leggere, io.

Antigone        (con voce incolore, leggendo)   « Il corpo di tuo fratello ce l'abbiamo noi. Tu paga diciotto milioni o ce l'avranno i cani ».

(Teresa alza il volto disfatto, levandosi a metà. Maddalena fissa Antigone ad occhi sbarrati poi crolla a terra senza una parola, svenuta. Alcune donne la soccorrono, pietosamente).

Teresa            (nel silenzio generale)   Diciotto mi­lioni. Tutto sanno, tutto!

Pietro            Ma nessuno ha fatto la guardia, al cimitero?

Il Carabiniere          Zi' Pietrino, con tanti vivi da badare! E poi, qui, non era mai successo.

(Maddalena, intanto, è rinvenuta ed è rimasta ginoc­chioni sul pavimento, piangendo silenziosamen­te col volto fra le mani).

Antigone        (che ha passato più volte la mano sul­la fronte, col gesto di chi si sente confuso)   E lei, voglio dire, i carabinieri. Che potete fare?

Il Carabiniere          Signora, quanto possiamo. Te­lefonerò al comando. Interrogheremo ancora il custode. Intanto lei sporgerà denuncia contro ignoti...

Teresa            (in piedi, fuori di sé)   Ignoti? Ignoti? Se li sappiamo tutti, i nomi, anche voi!

Pietro            Ma vi siete ammattita? State zitta!

Antigone        (tesa)   Zitta, Teresa. Zitta. Bisogna tacere, è vero. Non me ne ricordavo. I sorve­gliati siamo noi. Perché loro devono sapere tutto quello che facciamo. E specularci sopra.

Teresa           Oh, Nene; per l'amor di Dio. Pietro ha ragione. Ce l'hanno in mano loro.

Antigone       Già, già. (Guarda verso la gente raggruppata di lato)  Ma quello che interessa è il pagamento. (Passa di nuovo la mano sul viso)  Dio mio! Pare impossibile che sia tutto vero.

Maddalena   Ma è vero! Oh! state zitta.

Antigone        (raddrizzandosi su se stessa, con sfor­zo)   Eh ma! ragazza mia... Teresa! Noi siamo ancora fortunate. Mi ricordo di gente presa viva. Allora sì, allora era più terribile. Ma Tano è morto. E in questo momento, questa cosa tre­menda ci può dare anche sollievo.

Maddalena    (gridando)   Non lo dite! Volete che glielo facciano, lo sfregio? Perché l'hanno fatto, capite? L'hanno fatto! E nel paese ac­canto. (Antigone china il capo. Poi lo rialza, guardando il carabiniere).

Antigone       Come si fa a trattare con... con questi individui?

Il Carabiniere          Io, signora? Ma no. No. Do­vete sporgere denuncia, a noi.

(Dal fondo, si fa udire una voce d'uomo, quasi anonima).

Voce              Si faranno vivi loro, non dubitate.

(Un altro silenzio: Antigone guarda la gente e via via il suo volto s'anima d'una vampata di ros­sore).

Antigone        (rigida, al carabiniere)   Riferisca al maresciallo. E vada pure. (Volgendosi e andan­do verso la gente)  E voi, laggiù, a chi di dovere. E adesso fuori! Fuori!

(Mentre la gente esce alla spicciolata, con dei mormorii).


ATTO   SECONDO

La stessa scena dell'atto primo. È il pomeriggio del terzo giorno dall'arrivo di Antigone. La stan­za riceve un tono diverso dalla maggiore luce. Le persiane delle finestre sono accostate per il caldo, ma non chiuse, e lasciano passare abbon­dantemente il riflesso ardente del sole. La grande fotografia di Tano è stata sostituita con una di dimensioni minori, bene in vista sul mo­bile alto, senza listature a lutto né candele. Davanti ha un piccolo vaso di Sèvres, pieno di boccioli di rose. I vetri sono spalancati per la­sciar passare tutto il fresco possibile. Dalle persiane s'intravedono le piante del giardino. All'alzarsi del sipario saranno di scena Antigone e il vecchio Lo Re. Sono seduti sul gran divano ed hanno dinanzi a loro il piccolo tavolino, tutto coperto di mappe, carte e cartelle grigie, da stu­dio notarile. Lo Re ha un abito bianco, con cra­vatta grigio pallido. Antigone indossa un com­pleto da cavallo, composto da una maglietta leggerissima, aperta sul collo, e un paio di calzoni un po' sbuffanti, color kaki. Ha gli stivali mar­roni tutti impolverati. È bruciata dal sole e sembra molto stanca.

Lo Re              (finendo di leggere nella carta che tiene in mano)   ...così m'impegno a pagare al ba­rone Gaetano Lo Cascio la somma a lui dovuta entro anni quattro dalla presente scrittura pri­vata. Firmato, Franco Salvaggio. (Abbassa la carta e guarda Antigone, che ascolta fumando nervosamente)  Chiaro?

Antigone       Insomma, i sei milioni li potrò ria­vere fra tre anni.

Lo Re             Magari! C'è la postilla. Vedi? Se Fran­co non li trovasse, Tano gli concede di pagare in altri quattro anni. (Scuotendo il capo)  E tut­to senza interesse. Ieri, quando sono andato a parlargli, mi ha detto brusco brusco che per ora non può. Dovremmo fargli causa, ma ci mettiamo in bocca a tutto il paese...

Antigone        (scuotendo il capo)   E poi? Con che frutto? Ha quella carta, il più forte è lui. (So­spira)  Se fossi riuscita ad averli, i sei milioni, forse avrei potuto iniziare qualche lavoro; coi dieci che ha lasciato Tano, erano sedici.

Lo Re             Ma sui dieci di Tano non ci devi con­tare. Te l'ho detto: ci sono le tasse di succes­sione e alcuni vecchi pagamenti.

Antigone        (crollando il capo)   Potessimo ac­cendere un mutuo, ottenere un prestito...

Lo Re             Ma scherzi? E gli interessi? No, non dobbiamo metterci in mano né a banche, né a nessuno. Se a un certo momento, Dio non voglia, succedesse qualcosa alle campagne - lo sai, i raccolti stanno all'aria e al vento - sta­remmo freschi, con un debito addosso!

(Antigone sospira e spegne meccanicamente la siga­retta alzandosi. Ne accende un'altra e s'appog­gia al caminetto).

Antigone       La verità è che ci hanno tagliato le ali.

Lo Re              (alzandosi a sua volta)   Le ali, le ali... La tua situazione non è difficile; c'è solo da usar prudenza,  ecco!   Il  reddito,  quest'anno, sarà minore a causa della secca: ma ci sarà. E sufficiente, per una casa come questa.

Antigone       Tre donnette. Altro che casa!

Lo Re             Quest'inverno,  intanto, potrai  fare qualche miglioria al tinello. Tre o quattro botti di cemento, un'altra pompa... Roba che serve. Gli scassati in vigna nuova, li hanno già comin­ciati a braccia: così li finiranno, come si è sem­pre usato. Tutti i cambiamenti progettati da Tano li inizierai più tardi, quando Iddio vorrà.

Antigone        (passandosi una mano fra i capelli)   Dio... e il barone Gravina. (Fissa intensa­mente la fotografia del fratello, come se ne aspettasse un segno o una spiegazione)..

Lo Re             (le si fa più vicino) Vedi, Nene, se noi ragioniamo...

(Antigone si volge a guardarlo, come colta da un'idea improvvisa).

Antigone       E se vendessi? Intendo la parte ancora incolta.

Lo Re             A che ti servirebbero uno o due mi­lioni? Ti taglieresti una mano e niente altro. Dove la faresti, poi, la zona irrigua?

(Antigone ha un gesto d'impazienza e di sconforto) 

Ci tieni proprio tanto? Capisco, sei tornata per quelle migliorie. Tano ci s'era così entusiasmato! Però, figlia mia, i piedi bisogna tenerli sulla terra. Non scordarti che tuo fratello era un gran cuore, ma una testa calda. Hai visto come ha dato il suo! E non c'era predica che lo facesse ragionare. Tu... tu sei più saggia, più pratica. Sei una donna. Non ti dimenticare Maddalena: Tanuzzo ci aveva perso un po' la testa... Scu­sami se ti parlo così, in un momento simile. Ma sai che voglio il bene tuo e nient'altro.

Antigone        (assorta)   Lo so, lo so. (Torna len­tamente verso il divano).

Lo Re             La ragazza lo influenzava assai coi suoi discorsi. E quello che aveva patito, e le botte che avevano fatto morire sua madre, e la miseria nera. Tutta verità, poveretta... Ma, insomma, lui l'aveva presa a cuore. Troppo. E si vede da quelle migliorie.

Antigone       Perché? Avrebbero capovolto la situazione nei poderi. L'ho capito subito anch'io.

Lo Re              (con lieve impazienza)   D'accordo. Ma per chi, soprattutto? Per i contadini. L'acque­dotto comportava pozzi, cisterne. Senza contare i trattori e tutte le altre spese. Il lavoro, per i coloni, diventava metà. Poi, si capisce, dell'ac­qua ne avrebbero goduto anche gli altri, che non lavoravano per voi... Il reddito - gratta gratta - non sarebbe aumentato che del due per cento. Io feci i calcoli: li hai veduti anche tu. L'ammortamento del capitale è enorme.

(Antigone lo fissa, assorta. Poi riprende a par­lare, come se cercasse di spiegare anche a se stessa).

Antigone       Che volete, don Nuzzo? Farei qualunque cosa per realizzarlo quel progetto. Non mi giudicate un'esaltata. (E poiché il notaio ha alzato la mano, come per protestare, continua in fretta)  E non crediate che sia troppo influen­zata da quello che hanno fatto...

Lo Re              (interrompendola)   Ah no? Perché io sono cieco, vero? Io non vedo, che vivi sulle spine.

Antigone        (chinando il capo, con improvvisa stanchezza nel tono)   Sì, lo vedete. Perché è vero. (Passa la mano fra i capelli, col gesto che le è particolare)  Sulle spine, proprio. Sono tre giorni che sta in mano loro. Forse a pochi metri da me, senza che io lo sappia. Parlo, di­scuto, vado, sempre con quel pensiero fisso. E non è solo in me. Lo ritrovo negli occhi di chi mi guarda, di chi mi parla. Di chi mi spia. Eppure... Ah! Come posso dirvi? Ci sono dei momenti in cui tutto diventa così incredibile, che devo ripetermi che è un fatto, che è acca­duto. Finché quello stupore passa e ripiombo in questo stato d'attesa. Sono tre giorni che aspetto, così: senza poter indovinare quando e come verranno. E chi verrà. Neanche perché l'hanno fatto, ho potuto capire.

Lo Re             Perché? E perché si fanno queste cose? Per denaro.

Antigone       Quello, certo. Ma io mi chiedo se è soltanto lì, la ragione.

Lo Re             Non dimenticarti le mani che tirano i fili, in questa storia. Una è Franco. (Indicando le carte)  Tra moglie e denaro, aveva i suoi mo­tivi contro il povero Tano.

Antigone        (pensosamente)   E l'altro... ha i suoi motivi contro me.

Lo Re              (annuendo col capo)   Non scordartene mai e usa prudenza.

Antigone       Eppure... sapete qual è il sentimen­to più chiaro, in tutta la confusione che ho qui? (Indica la  testa)   Il  sentimento di  sba­gliare. Sbagliare ancora.

Lo Re             Sbagliare cosa?

Antigone       Eh, lo sapessi! Non mi vedreste così. Sembro uno che si dibatte nella melma, cercando di tener fuori la bocca. (Crolla il capo)  In questi giorni ho seguito come un filo con­duttore, una traccia di mio fratello. Ho fatto un po' del suo lavoro e m'è parso di capire meglio il suo carattere, le sue aspirazioni. Pian piano ho come ricreato un contatto con lui... e con una me stessa che non sentivo più da anni. Così ho corso per tutti i poderi a vedere la gente, le colture, le masserie. Ho visto mol­to, davvero; tanto che stanotte, mentre ero qui con quelle carte, mi sono chiesta, tutto a un tratto, se mio fratello si sarebbe piegato a darli, quei diciotto milioni.

Lo Re             Ma sei ammattita?

Antigone        (con impazienza)   Non per il dena­ro! (Guarda verso il ritratto del fratello)  È che lui se n'è andato così senza lasciare una sua traccia... (Accenna col gesto a qualcosa che pas­sa velocemente)  A me sembra che ognuno di noi lasci sempre qualcosa dietro di sé:   dei figli,  un'opera  compiuta...  magari  anche  nel male! E lui? Così. (Ripete il gesto)  Niente.

Lo Re             Nene cara, si viene al mondo e si va via. Non si sa mai perché.

Antigone       Eh, non so. Lui intanto se l'era tracciato, il suo disegno. (Indica le carte, sul tavolino)  Tano aveva trovato quello che cerca­va nella terra. E la terra era stata generosa con lui. Oggi sono tornata alle Tre Punte: là è tutto pronto, ormai, per i lavori... Dio mio!  Come glielo dirò, a Rinuzzo, che non possiamo an­dare avanti? E Luigi? Sono loro che hanno tro­vato la sorgente, insieme a Tano.

Lo Re             Capiranno. Lo sanno bene quello che è successo.

Antigone       Capiranno che è finita. Anche la loro speranza.

Lo Re             Nene, tu finirai coll'ammalarti. Sono cose che fanno perdere la pace. Bisogna rasse­gnarsi, affrontarle con calma. Tu, invece, ti consumi, ti rodi in mille idee. Ed è inutile, capisci? Perché le cose vanno come vanno e tu non puoi far niente. Niente. Che vuoi? Ab­battere i muri con le mani?

(Antigone lo guarda, poi china il capo).

Antigone       Ah, Dio mio! Ho una confusione, in questa povera testa. E questo aspettare, ora per ora. La conoscono, loro, l'anima della gente, e ci spingono dentro i ferri arroventati. (Strin­ge le mani sul petto, inquieta)  E poi... le cose che ho visto in questi giorni. Tutto insieme è un logorio, uno smarrimento che mi martella senza requie... Questa terra, don Nuzzo, questa gente... che debbo dirvi? Per dieci anni sono passata in mezzo al verde e ai boschi intorno a Parigi, e in certe campagne del nord, dove tutto sembra laccato, terso. Questo paese m'è sembrato accecante. Nel ricordo, in tanti anni, s'era come... come ammorbidito. Ma in questi giorni, così caldi, con questa grande luce... A cavallo ho sudato per ore, fino a soffrirne, men­tre correvo, correvo, senza mai incontrare un albero, un ciuffo verde... un rigagnolo d'acqua. Stamane sono andata con gli uomini, giù in vigna, a vedere gli scassati. La terra era aperta in grandi buche. Ma non dava quel senso di abbondanza,  quasi  di  rifugio.  Biancastra,  vitrea... come un corpo piagato. Là in Francia, della casa di Pietro, che vedevo? Il noce, la pergola: il paesaggio d'un quadro. Ma la mi­seria, dentro, l'ho ricevuta come uno schiaffo, in pieno viso.

Lo Re             Andiamo, Nene! Pietro e i suoi stan­no meglio di tanti altri. Hanno bestiame e qualche cosa in banca.

Antigone       E a che gli serve? Se non vivono come esseri umani. In casa mangiano e fanno figli. Per il resto, fuori, come gli animali... Una sporcizia antica, incrostata alle cose. L'acqua è lontana e prima di tutto c'è bisogno di bere, di cucinare. Io non lo so. Non ricordavo. For­se, prima, mi sembrava normale: o pensavo troppo a me stessa, per accorgermene. Anche i contadini, la prima volta, mi hanno dato quel senso d'incredulità... E invece sono uomini co­me me, don Nuzzo! Desiderano certo il fresco, la pulizia, mangiare bene, bere in abbondanza... come me.

Lo Re              (con una certa noncuranza)   È gente abituata.

Antigone       No, rassegnata. (Crolla il capo)  Nessuno s'abitua a stare male. Lo Re  Figlia mia, non puoi abbattere i muri con le mani.

(Antigone si lascia cadere sul di­vano e chiude la faccia tra le mani. Il vecchio notaio la guarda, scuote il capo e le fa una breve carezza sulla testa) 

Su, su, Nene. Devi farti forza. Ricordati che sono già passati tre giorni. Ormai possono venirti in casa ad ogni momento.

Antigone        (guardandolo)    E voi  passate  le giornate qui, per non lasciarmi sola. Siete sem­pre voi. D'altronde, quando dovrò vederli... è meglio che ci siate.

(Voci fuori scena, poi s'apre la porta di sinistra. Entra Teresa, accaldatissima, ancora con lo scialle nero in testa. Affanna leggermente).

Teresa           Benedite.

Antigone       Ma dove sei andata?

Teresa           Da don Filippo, in chiesa.

Lo Re             A quest'ora?

Teresa           Tante volte gli avessero detto qualche cosa, qualche notizia. Ma... niente.

(Antigone scuote il capo disapprovando).

Lo Re             Che sciocchezze! Guardate un po' in che stato siete! Vi volete ammalare?

Teresa           Don Nuzzo: qualcosa la dovevo pur fare. Ad aspettare così, mi si volta il cervello. Beata Maddalena. Piange e prega. Io mi sento tutto qui... ma non so piangere. M'hanno inse­gnato a non farlo, proprio in questa casa. (In­dicando Antigone)  Come a questa creatura mia, purtroppo. (Rivolgendosi ad Antigone, premurosa)  Avete preso almeno un caffè?

(Prima che Antigone possa rispondere, si ode chiaro, dalla strada, lo stridere dei freni d'una automobile che s'arresta. Tutti e tre alzano il capo) 

S'è fermata qui. (Corre alla finestra e guarda)  Gesù mio! Ma è l'onorevole... il sindaco!

(Una scampanellata fuori scena).

Teresa            (andando ad aprire)   Fatemi correre. (Sulla porta)  Fosse una buona notizia, figlia mia! (Corre fuori).

Antigone        (meravigliata, a don Nuzzo)   Allora, anche lui...

Lo Re             No, per I'amor del cielo! Sta quasi sempre a Roma. Come sindaco serve a poco, ma è un brav'uomo.

La voce di Teresa(grave, fuori scena)   S'acco­modi, eccellenza.

(Il Sindaco è un uomo alto e magro, d'aspetto niente affatto provinciale. Parla un italiano forbitissimo, scevro da ogni accento dialettale, e si muove con perfetta pa­dronanza di sé. Si dirige verso Antigone, men­tre la porta si richiude dietro alle sue spalle).

Il Sindaco    Cara baronessa.

Antigone        (porgendogli la mano)   S'accomodi, onorevole.

Il Sindaco     (baciandole la mano)   Mi duole conoscerla in circostanze così... così tragiche. Purtroppo, è la parola: tragiche. (Al notaio)  Caro Lo Re.  Vedo che non ha lasciato la baronessa. Ha dimostrato una volta di più la sua amicizia per questa famiglia.

Lo Re              (stringendogli la mano)   Grazie per essere venuto, onorevole.

Antigone        (indicandogli una poltrona)   S'ac­comodi, la prego.

Il Sindaco     (sedendo)   Sono corso da lei, ap­pena ho potuto. Cosa vuole: i miei doveri mi chiamano spesso anche a Roma e nei giorni in cui sono qui debbo accentrare, organizzare una massa di lavoro... Lei mi capisce.

(Antigone annuisce leggermente col capo) 

Ma non sa quanto desideravo vederla; dirle come ho sentito la scomparsa dell'amico Tano. E che orrore ha suscitato in me l'orribile misfatto, perpetrato contro di lui e la sua famiglia.

Antigone       Lei è molto buono. E io capisco pure quanto debba essere sconcertato, come nostro sindaco.

Il Sindaco     Sconcertato. È la parola, signo­rina. Anzi, allibito. Un luogo così tranquillo, come la nostra cittadina, tra gente mite, mo­desta...

Antigone       Caro onorevole, vedo che i suoi doveri la trattengono così spesso a Roma, da farle dimenticare l'ambiente in cui viviamo. È successo anche a me.

Il Sindaco     (dopo un istante di stupore)   Ma no, baronessa! No. Dio mio, capisco bene: lei, in questo momento, non può credere alle mie parole. Però la nostra piccola città è veramente tranquilla... Non è certo il paradiso! Ma, come si dice! il buono e il cattivo si trovano dovunque.

Antigone        (in tono più duro)   Certo. Però sem­bra che qui, i cattivi, si siano molto bene orga­nizzati. Non parlo solo per me. Ho sentito mol­te cose nelle campagne. M'è parso che i vivi non siano rispettati più dei morti.

Il Sindaco    Già, capisco. Capisco. Le solite storie che si raccontano fra contadini. Ed han­no approfittato del suo dolore, del suo smar­rimento... Mah! La gente semplice spesso è crudele. Forse è la stessa ignoranza ad abbas­sarne il grado di sensibilità.

Antigone        (con lo stesso tono)   Vivono in con­dizioni che non consentono raffinatezze. Non le pare?

Il Sindaco    Eh, cara baronessa! Come no? Capisco le sue impressioni. Lei viene dalla Francia, un paese civile. Eh, la France! Noi, qui, siamo quello che siamo. È la mia battaglia, sa? Sono comunque assai dolente che l'abbiano turbata di più con le loro sciocchezze. Io non mi nascondo l'enormità di quanto le hanno fat­to, mi creda. Ma sono convinto che si tratta di gente che non vive qui. Del resto le inda­gini lo proveranno.

Antigone       Se n'è interessato anche lei?

Il Sindaco    E me lo chiede? Sono venuto ad assicurarla anche di questo. A offrirle la mia collaborazione. Ho parlato di persona col no­stro maresciallo... e ne ho discusso lungamente con l'arciprete. Sconvolto anche lui, come può immaginare.

Lo Re              L'arciprete?

Antigone       Che c'entra don Filippo Cannistraci?

Il Sindaco    Mia cara baronessa, c'entra e come. Sono venuto qui da lei, dopo aver preso consiglio da chiunque mi potesse dare una garanzia di onestà, di sicurezza. Don Filippo è un uomo che vive qui da settant'anni. Co­nosce davvero anche le pietre del paese e di tutta la zona. Un sant'uomo. Ho cercato an­che lei, caro Lo Re, e sono contento d'averla trovata qui. Anche lei, uomo d'esperienza, di specchiata onestà, di saggezza...

Lo Re              (infastidito)   Onorevole...

Il Sindaco    Mi lasci dire, so di chi parlo. Ed è appunto alla sua saggezza che mi rivolgo. Meglio ancora: alla sua amicizia per la baro­nessa.

(Si ferma e tossisce per riprendere fiato e riordinare le idee. Dalla porta di fondo entra Teresa, spingendo avanti un carrello massiccio, coperto da una tovaglietta ricamata su cui bril­la il monumentale ed elaborato servizio da caffè in argento. Anche le tazzine, antiche e d'un azzurro pallidissimo, poggiano su piattini d'argento, coperti da un tovagliolino ricamato).

Il Sindaco    (in tono di chiaro sollievo, per l'in­terruzione)  Non era il caso...

Antigone        (con fastidio)   S'immagini.

(Accen­na a Teresa, rigidissima, di uscire e incomincia a servire lei stessa. Teresa esce, tutta impettita, chiudendo silenziosamente la porta).

 Il Sindaco    (mentre Antigone versa il caffè)  Dicevo, appunto: l'amico Lo Re le avrà riferito...

(Antigone gli porge la zuccheriera) 

Grazie.             (Si serve)  Le avrà riferito che suo fratello ed io siamo stati legati da una buona amicizia. Una buona e affettuosa amicizia. Perciò, mia cara baronessa; perciò, mio caro Lo Re, io ho agito di mia iniziativa. Ho impedito che per ora venisse fatto rapporto alla polizia.

(Antigone, che stava versando una tazza di caffè anche per sé, resta a guardarlo, ferma. Così fa anche Lo Re, che rimane con la tazzina a mez­z'aria. Il Sindaco, posando la propria) 

Ecco. Voi nel vostro affetto avrete già compreso cosa m'ha spinto a violare, in certo senso, la legge. Avevo troppa paura che una mossa falsa, da parte nostra, potesse compromettere la pace dell'amico scomparso. (Guarda i suoi interlo­cutori che lo fissano in silenzio)  Assicuriamoci prima che Tano sia restituito ai suoi, mi sono detto. E le garantisco che anche don Filippo ha confortato la mia iniziativa con la sua ap­provazione. Anche lui teme il peggio. (Pausa) 

E ora... ora mi consenta di dirle un'altra cosa. Lo faccio col cuore in mano, donna Antigone, anche se so che i Lo Cascio non hanno bisogno di nessuno. Tuttavia, io vorrei esibirmi ami­chevolmente, per quanto posso... Non mi fra­intenda, baronessa, la prego.

Antigone        (lentamente)   Affatto. Lei è venuto ad esibirsi. (Lascia trascorrere una piccola pau­sa)  La ringrazio. Ma forse lei già sa che quei signori m'hanno chiesto proprio la cifra che portavo con me dalla Francia. Cifra che i miei cugini Salvaggio conoscevano. (Lo guarda fisso).

Il Sindaco     (con l'aria del più profondo scon­certo)   Cosa mi dice!... Incredibile. C'è da pensare che sia gente di qui, gente nostra. I suoi cugini avranno parlato, inavvertitamente. Ah, ma... Non appena le spoglie di Tano sa­ranno restituite alla tomba, provvederò io. E tutti si metteranno in moto. L'indagine sarà celere e profonda, gliel'assicuro. Li troveremo.

Antigone       Immagino.

Il Sindaco    Naturalmente, per un riguardo a lei - che è donna e sola - eviteremo ogni pub­blicità sul caso.

Lo Re              (con un tono calmo e rassegnato, che fa volgere il capo ad Antigone, sorpresa)   Don Alvaro, io, dal canto mio, avevo già sconsigliato Antigone dal fare denuncia.

(Il Sindaco lo guarda, rinfrancato. Ma il suo imbarazzo torna, sot­to lo sguardo fermo con cui Antigone lo osserva).

Il Sindaco     (al notaio, con voce bassa)   Lei pure ha pensato che abbuiando...

Antigone       Abbuiando?

Lo Re              (con una vivacità che desta meraviglia, data la sua abituale pacatezza)   Nene, ma di che abbiamo parlato fino ad ora?

(Antigone lo guarda sbalordita. Il vecchio notaio allora si rivolge al Sindaco, in tono ben fermo) 

L'unica cosa che conta, per la nostra amica, è la resti­tuzione della salma: lei vede che è pronta a dare quello che le chiedono.

(Il Sindaco fa un ampio gesto d'approvazione; il notaio, scan­dendo le sillabe e guardandolo bene in viso, continua a parlare) 

Ma, dopo, spera di avere la tranquillità per se stessa, qui e nelle sue terre. Una tranquillità che lei potrebbe garan­tirmi, in questo caso: è vero?

Il Sindaco    Come no? Come no? Questo è un cantuccio di terra dove non si da noia a nessuno. Specie alla gente tranquilla. La baro­nessa può contare su tutta la mia amicizia... e sul mio pieno appoggio. Ora e sempre: mio e di tutti.

(Calca sulle ultime parole. Antigone abbassa il viso con un profondo sospiro. Il Sin­daco, guardando l'orologio al polso) 

Le quattro. Purtroppo non posso trattenermi. D'altron­de la baronessa avrà bisogno della massima quiete. (Si alza)  Mi tenga informato, mi racco­mando. E stia tranquilla. Tano le sarà restituito prestissimo. Lo sento. (Le prende tutte e due le mani, bacia la destra con compitezza e poi sorride)  Se lei me lo permette, tornerò a tro­varla. Poi, quando si sentirà, l'aspettiamo da noi. Mia moglie m'ha incaricato di salutarla e di porgerle le più sentite condoglianze.

Antigone       Grazie.

Il Sindaco    Ricordi, donna Antigone; lei, in paese, ha più amici di quanto non pensi.

Antigone       Me ne accorgo da lei, caro onorevole.

(Il Sindaco ha un piccolo gesto di mo­desta deprecazione. È tornato sicuro di sé, sen­za più alcun imbarazzo. Si volge al notaio e gli stringe calorosamente la mano).

Il Sindaco    Carissimo. Le faccia coraggio lei, mi raccomando. E grazie, grazie per avermi aiutato col suo valido consiglio.

Lo Re              (grave)   Ed io mi raccomando a lei, don Alvaro. Per la tranquillità. (Ad Antigone)  Stai, stai. L'accompagno io, l'onorevole.

(Il Sindaco s'inchina ancora ad Antigone, rigida, ed esce con Lo Re. Appena sono fuori, Antigone si lascia andare sul divano, chiudendo la faccia tra le mani, annientata. Rientra il vecchio notaio scuro in viso. Fermandosi dinanzi a lei) 

Ti chiedo scusa; sono un vecchio imbecille.

Antigone        (scuotendo il capo)   No. È che noi stessi non sappiamo mai fin dove arriva que­sta gente. (Si rialza, con moto nervoso)  Capisco quello che volevate dirmi: « Non puoi abbat­tere i muri con le mani », eh? Avete ragione. Sono muri, sì. E contro i muri bisognerebbe usare l'esplosivo, a costo di saltare insieme.

Lo Re              (si riaccosta al tavolino, e comincia a radunare le carte, quasi meccanicamente. È ancora tutto stupito per la propria mancanza d'intuizione)   Ma ti rendi conto? Ci ha fatto la commedia per mezz'ora... mentre tastava il terreno. Un bell'asino sono. E quello mi lisciava il pelo con la mia saggezza, la mia rettitudine. (Sospira)  Non bisogna più fidarsi di nessuno.

Antigone        (guardando l'orologio sul camino)  Ora comincerà il peggio: chissà con che velo­cità si seguiranno? Giusto il tempo perché lui riferisca d'aver inferto il primo colpo.

Lo Re             Parli in un modo... (Con ansia)  Per l'amor di Dio, Nene, sii prudente. Tu sei an­cora viva, hai capito?

Antigone       Già. Ed è un male peggiore. (Guar­da di nuovo l'orologio)  Chi si presenterà, dei vampiri? Dio lo sa.

Lo Re              (sempre guardandola, preoccupato)  Bada. Ormai c'è da temere che giochino a carte scoperte.

Antigone       Purché facciano presto. (Sospira)   In certi momenti non vedo l'ora d'aver già pa­gato. Così sarà finita. Le cose finite obbligano a darsi pace.

(Entra Teresa dalla porta di fondo) 

Porta via quella chincaglieria, su.

Teresa           Vi sto preparando la valigia.

Antigone       Ma... scherziamo?

Teresa           Ho sentito tutto. E stavolta, se avete cuore, mi portate con voi. Dove vi pare.

Antigone        (con violenza contenuta)   Teresa, guarda... Lasciami stare.

Teresa           Don Nuzzo: persuadetela voi.

Antigone        (perdendo la sua apparente tranquil­lità)   Basta, Teresa. Non mi spingere, alme­no  tu. O finirà che spaccherò qualcosa, che urlerò, che... (Chiude i pugni e abbassa il capo, con sforzo evidentissimo)  Insomma, finiamola. Questa è la mia casa ed io sto qui.

(Teresa abbassa la faccia e viene avanti a prendere il carrello. Quando le è vicina, Antigone l'abbrac­cia con atto spontaneo) 

Abbi pazienza, Teresina... (Le nasconde il viso nella spalla)  Abbi pazienza.

Teresa            (abbracciandola stretta)   Figlia mia, figlia d'oro. Maledetto sia chi vi fa il male. Gli si spengano gli occhi e chieda morte.

Antigone        (si stacca da lei, battendole la mano sulla spalla; quell'invettiva l'ha resa di nuovo padrona di sé)   Calmati, calmati.

(Teresa la guarda, con espressione addolorata. Scuote la testa, prende il carrello e lo fa scorrere lenta­mente verso la porta) 

A proposito... Teresina! (La vecchia si volge)  Sono venuti per quel col­lirio, i figli di zi' Pietro?

Teresa           Pietro e Rinuzzo sono giù, in cucina. Palmira, con la bambina, è andata dal medico della mutua. Povera creatura! Ha due occhi che sembrano di fuoco.

Antigone       Meno  male che  si  sono decisi. (Crolla il capo e parla volgendosi a Lo Re)  Chis­sà se guarisce. Dopo tanto. È incredibile: han­no perfino paura di curarsi.

Teresa           Eppure l'ospedale ce l'abbiamo.

Antigone       La fondazione del barone Gravina. Ospedale civico Santa Rosa. L'ho veduto, sì. Roba da... da medioevo.

Lo Re             Meglio quello che niente. Anche lui, quando si ricorda, fa del bene.

Antigone       Ma sempre a modo suo.

(Don Nuzzo scuote il capo sospirando e Teresa fa per respingere fuori il carrello, quando suona il campanello della porta. La vecchia s'arresta di scatto. Antigone e don Nuzzo si scambiano un'occhiata piena d'apprensione. Teresa, come al solito, corre in punta di piedi a spiare dalla finestra).

Teresa           È un contadino.

(Antigone, nervo­sissima, le fa il gesto di andare ad aprire. Poi si volta verso la finestra e aspira fortemente l'aria, quasi cercasse un mezzo fisico per cal­marsi. Teresa corre fuori).

Lo Re              Nene, per l'amor del cielo, tu lo sai...

Antigone        (si volta, con una maschera gelida sul viso. È pallidissima)   Non v'angustiate. La forza me la stanno dando proprio loro, con tutta questa messinscena da romanzo.

Teresa            (rientrando per prima)   Passate.

(Si fa avanti un contadino dai tratti mobilissimi, che si guarda intorno rapidamente, togliendosi il berretto).

Il Contadino             Buona sera. Siete voi donn'Antigone Lo Cascio?

Antigone       Io, sì.

Il Contadino           Ci sarebbe chi vi vuole parlare.

Antigone       Non siete voi?

Il Contadino           Nossignora.

Antigone       E allora venga... chi deve venire.

Il Contadino           Ai vostri ordini. (Accenna un saluto e fa per girare sui tacchi, ma si ferma per parlare a Teresa)  La strada già la so. Voi restate qui e non ci pensate.

Teresa            (restando, a malincuore, mentre quello esce)   Quand'escono le civette, mandano avan­ti i pipistrelli.

Lo Re             Zitta, Teresa.

Teresa            (ad Antigone)   Rino e zi' Pietro sono qui. Li faccio aspettare dietro l'uscio?

Lo Re              (adirandosi)   Ssst!

Teresa           Ma lasciateci dire! (Ad Antigone)  Ricordatevi. Il serparo, quando va per le vipere, fischia a modo loro.

(Sulla porta, un uomo sulla quarantina, non troppo alto, con due oc­chi penetrantissimi e un profilo nobile. L'insie­me, elegante e aggraziato, è appena disturbato da un'incipiente pinguedine. Ha l'aria molto sicura di sé e sorride lievemente. Antigone, nel vederlo, ha chiuso per un istante gli occhi, stringendo i pugni. L'uomo pare godersi mol­tissimo quella sorpresa. Dietro di lui sta Franco Salvaggio, bianco in viso; nel fondo, il contadino).

Il Contadino            (con voce profonda, come se an-nunziasse un principe)   Don Calogero Gravina.

(L'uomo s'inchina, senza mai staccare gli occhi attenti dal viso di Antigone. Anche l'impressione di don Nuzzo è grande. Teresa si segna addirittura, come se vedesse un demonio).

Gravina          (con estrema compitezza)   Buona sera. Posso vederla un istante da sola, « signori­na » Lo Cascio? (Calca ironicamente sul titolo)  Franco, fa' compagnia al dottor Lo Re.

(Il notaio, senza replicare, esce con Franco Salvag­gio, mentre Teresa obbedisce al ruvido gesto d'invito del contadino. La porta si richiude dietro di loro senza rumore. Antigone, silen­ziosa, resta a guardare il suo avversario. Dopo un istante di silenzio, Calogero Gravina si av­vicina a lei, inchinandosi) 

Donna Antigone. Sono molti anni che non c'incontriamo. Mi duole rivederla in una circostanza così triste.

(Antigone lo guarda e non parla. Il suo volto diviene quasi impenetrabile, come se vi si span­desse una maschera di freddezza. Gravina, sen­za nascondere l'ironia) 

Questa mia visita l'ha un po' stupita?

Antigone        (scuote il capo, come se decidesse qualcosa; poi con tono altrettanto pacato, an­che se la voce è vibrante)  Sei venuto tu stes­so. Bene. (Si drizza sulla persona)  Siedi, Calogero. Sono tre giorni che t'aspetto.

(Gravina la sogguarda, poi le si accosta di più, spiandone il viso).

Gravina          (con un sorrisetto)   Ci si dà del tu?

Antigone       Come a letto, dieci anni fa.

Gravina          (dopo una breve pausa, un po' scon­certato)   Non sono io a volerlo ricordare.

Antigone        (crollando il capo)   Una volta fatto... no? (Prende una sigaretta dal pacchetto sul ta­volino, senza tuttavia offrirne al suo interlocu­tore)  Siedi, siedi. Non fingere tutto quell'imba­razzo. Figuriamoci.

Gravina          (sedendo)   Ti dirò che lo sono, date le circostanze.

Antigone       Davvero? Per uno che ruba cada­veri, ne hai di delicatezza.

Gravina         Ecco! Purtroppo. Me l'immaginavo. Non sai ancora perdonarmi il passato:  così m'accusi della disgrazia d'oggi.

Antigone       Collego le mie sfortune. Ieri tu, oggi tu. Sempre tu, al timone. Monotone, certe vite.

Gravina         Eh, ma ti sbagli. È il tuo difetto, la esagerazione. Vedi nemici dappertutto. (E poi­ché Antigone lo guarda, senza rispondere)  Ho acconsentito a venire io, per altra gente. E l'ho fatto per risparmiarti un dialogo penoso.

Antigone       Grazie. Sapevi che era una gioia rivederti.

(Gravina sospira ed ha un gesto di deprecazione, come per dire « Che posso farci, io? ») 

Infine: se sei venuto per parlarmi, di' quello che hai da dire.

Gravina          (la osserva, con una certa insolenza: tuttavia ha una specie di dolcezza nella voce)  Immagino quanto devi  aver  sofferto, povera Nene. E quanto sei in pensiero per Tano.

Antigone        (con forza, guardandolo ben dritto in viso)   Meno di quanto credi.

Gravina         Anche cinica sei diventata?

Antigone       È incredibile sai? Dopo tutti questi anni. La tua tattica, i tuoi modi... quasi gli stessi. Solo l'aspetto è un po' cambiato. Meno del mio, comunque.

Gravina         Tu mi sembri cambiata soprattutto... dentro.

Antigone       E ti preoccupa, eh? Un fatto nuovo. Ma vedi, il mio non è cinismo. Se Tano fosse vivo, allora sì, suderei freddo. Come hanno sudato freddo e lagrime tanta altra gente, no, barone Gravina? M'hanno raccontato d'un punto fiammeggiante, che correva giù per Colle Bove... e risultò un contadino. E di molte altre leggende medievali, che ti fanno l'aureola (accenna col gesto)  come ai santi.

Gravina          (crollando il capo)   Naturale. Quando si ha più degli altri... tocca sempre a noi. È l'invidia di questa marmaglia. S'ammazzano fra loro? Fanno qualche sfregio a una famiglia? Chi è stato? E subito chi l'ha con me: « Don Gegé Gravina! ». Anche tu, figuriamoci! Come vuoi che si possa parlare in questo modo?

(Antigone starebbe per ribattere, ma si frena. Con gesto di stanchezza, si lascia cadere in una poltrona, dinanzi a lui).

Antigone        (dando in un gran sospiro)   Parlia­mo dunque.

Gravina         Ti pesa proprio tanto che sia venuto io?

Antigone        (con impazienza)   Calogero, se vuoi che si faccia a modo tuo, non continuare con quest'altalena. Nel gioco fra il cane e il gatto è sempre il cane che ha la meglio... finché il gatto si stanca.

Gravina         Povero gatto.

Antigone       Ho visto molti cani con un occhio di meno.

Gravina         Dipende. Io ho dei cani... (alza la mano da terra, con intenzione)  magnifici. Divo­rerebbero un uomo.

(Antigone socchiude gli occhi, mentre sbianca in viso).

Antigone        (con voce incolore)   Ti servono spes­so, allora. (Si alza e torna presso il caminetto, senza mai cessare di guardare il suo interlocu­tore, che la fissa ad occhi socchiusi, un po' inter­detto dinanzi a quell'inaspettata forza d'animo).

Gravina         Sei proprio cambiata, Antigone. Dav­vero. Non eri così, allora.

Antigone       Già. Mi ricordo: « Piangi troppo spesso! », era il tuo rimprovero.

(Gravina si serve del pacchetto di sigarette senza chiedere permesso, con un tranquillo gesto d'intimità).

Gravina         Eppure, che tu mi creda o no, ne ho sofferto di Tano. Era una cara persona. Anche se non sapeva vivere, nemmeno lui.

Antigone       Che io sappia, non ti salutava neanche.

Gravina         Giustificato. Con le storie che avevi fatto tu, allora! Io te lo dissi di star zitta, che poi il biasimo sarebbe stato tuo. È la donna che si deve guardare. (Scuote il capo)  Eh, l'esa­gerazione: un gran difetto, ce l'hai sempre avuto.

Antigone       Non me l'hai ancora perdonato, vero? Quello che ti dissi, avanti a tutti. Ti feci il ritratto.

Gravina         A chi è costato di più?

Antigone       A me, forse. Ma io dovevo farlo. Mio padre e mio fratello, almeno, hanno saputo chi eri. E tu non me l'hai perdonata. Appena hai potuto... zac! (Accenna il gesto di menare un colpo)  Ti sei rifatto.

Gravina          (sorridendo, con ironia)   Io non ho niente da perdonarti. Ho solo di che esserti molto grato.

Antigone        (alzando le spalle)   Certo. Non l'avrai più trovato un tappeto da calpestare, come me.

Gravina          (riavvicinandosi a lei)   Ah. Lo am­metti di avermi voluto bene.

Antigone       Lo ammetto? È la mia unica giusti­ficazione. Come si dice ai processi? La semi­infermità mentale.

Gravina          (osservandola con un sorrisetto d'am­mirazione)   Ossia, innamorata pazza.

Antigone        (fissandolo ben dritto negli occhi)  Io direi solo: stupida.

Gravina         Naturale. Ti sei inasprita. È suc­cesso anche a me, in tutti questi anni di solitu­dine.

(Antigone lo guarda, meravigliata, poi scuote la testa come fa chi sente delle assurdità) 

È così, è così. Gli affari non sono tutto... e neanche il lavoro. Mia sorella s'è sposata e sta a Milano. Non la vedo quasi più. Mia moglie... tu lo sai benissimo: è morta.

Antigone       E ti dispiace? Se ben ricordo ci contavi. Povera donna! Dio sa quello che avrà passato, visto che volevi liberartene al più presto.

Gravina         Dio mio! Tu non sei un'esaltata, sei una pazza. Accecata dall'odio e dal risentimento. Sei tu che non hai mai perdonato a quella pove­retta d'aver preso il tuo posto. Un posto che non sono affatto sicuro tu volessi.

Antigone       Carica, giù, sulle mie spalle. Ormai sono abbastanza forti. Più forti di quanto tu non creda.

Gravina         Attenta. Sai che non tollero le sfide. (Antigone alza le spalle, e lo fissa, senza rispon­dere, come per invitarlo a cambiare argomento) 

Lo so, lo so. Vuoi parlare d'altro: di quello che ti preme. Ma prima c'è una spiegazione che dovrai darmi.

(Antigone sospira, poi lo guarda, con aria di forzata rassegnazione) 

Quattro anni fa, proprio nel giorno in cui Rosina mi lasciò, io ti scrissi subito.

Antigone       Ah, certo! Sei stato di parola.

Gravina         E tu? Perché non sei venuta?

(Antigone, per tutta risposta ha una breve esclama­zione a denti stretti) 

Io ti chiamo e rifiuti di venire?

Antigone       Io? Non ho obbedito a mio padre. Non ho dato retta neanche a mio fratello!

Gravina         E allora perché fai la vittima, ades­so? Non ti sei neppure degnata di rispondere.

Antigone       Eh, sarà difficile spiegarti... (Lo guarda)  Ricordi quando andavamo a pesca, da ragazzi? Se dovevo toccare i vermi, smettevo subito.

Gravina         Sei una pazza. Hai rifiutato e intanto non ti sei sposata.

Antigone       Sempre il fatto del verme.

Gravina         Non sei più tu, davvero. Inasprita, indurita, piena d'idee esaltate... di storie false. Non c'intenderemo in nulla.

Antigone       Stai tranquillo che ti capisco a volo.

(Gravina, con gesto deciso, le si fa accanto e, nonostante Antigone si ritragga, riesce a pren­derle una mano fra le proprie).

Gravina         Nene. Cerchiamo di parlarci un po' più serenamente. Desidero conoscere la verità, capisci? Perché non hai risposto? Lo vedi, nep­pure io mi sono risposato.

(Antigone lo fissa, allibita, incredula: è incapace di parlare. Gra­vina avvicinandosi sempre di più) 

Tu non puoi credermi l'autore di quella mascalzonata. Tano era tuo fratello.

(Antigone continua a guardarlo, fissa, come affascinata) 

Pensi sempre al mio matrimonio con Rosina. Ti vedo l'espres­sione di allora dentro gli occhi. Non hai mai voluto capirlo, che lo dovetti fare. M'ero gio­cata anche la casa. Tuo padre non poteva darti la dote che serviva. Avremmo vissuto come due miserabili. Ti dissi d'aspettare, perché avevo trovata la persona giusta... Ma tu facesti il diavolo a quattro.

Antigone       La nipote del prete era persino gobba!

Gravina         Lo vedi? A te potevo abbandonarti, ormai; scegliermi una ragazza fresca, giovane, più ricca. Invece presi Rosina, perché sapevo che non avrebbe durato molto a lungo. Tu non immagini cosa sono stati quei sei anni, accanto a una malata sospettosa, maligna, incattivita. E tu, scomparsa in quel maledetto paese, così lontano. T'ho scritto il giorno dopo che la porta­rono al cimitero. In quella lettera c'era la veri­tà, Nene. Perché mi rimproveri di dirla? Non sono più onesto di tanti altri, io?

Antigone        (ritraendosi di scatto e arretrando d'un passo)   E allora perché non hai il corag­gio di arrivare in fondo? Dimmi perché l'hai preso... e che ne hai fatto di quel povero corpo?

Gravina          (con un gesto di deprecazione)   Vedi? Non « vuoi » credermi. Eppure il paese lo cono­sci: devi capirlo che ho dovuto venire. Per te, soprattutto. E per me: per obbligarti a rive­dermi, a parlarmi, a sentirmi... (Nel così dire, approfittando dello sconcerto di lei, le riprende le mani)  Guardami, Nene: guardami! Mi credi colpevole di quella mascalzonata?

Antigone        (lo fissa negli occhi, poi gli sibila in viso)   Sì.

(Per tutta risposta, Gravina ha una esclamazione e l'attira a sé di forza. Antigone, per un momento, resta inerte: poi, di scatto, si divincola, lo respinge e fugge dall'altra parte della stanza, verso il ritratto del fratello).

Antigone        (passando una mano sulla bocca, con un brivido)   Ma cos'hai dentro? Rubi cadaveri, fingi amore a comando... speculi, sopra morti e vivi. Mi fai talmente schifo... E che sei un mo­stro, lo sa il dio che t'ha fatto.

(Gravina la guarda, incattivito) 

Sei venuto a trattare il tuo sudicio affare. E tratta dunque.  Ma fa' presto, perché non ho la pazienza che hanno i santi.

Gravina         E tu bada, perché il padrone sono io. E ti faccio leccare la terra con la lingua, se voglio. Tuo fratello Tano, sì, che sapeva trat­tarle le femmine. L'unica cosa che sapesse. Io... (fa un gesto di deprecazione)  io ho avuto persino dei rimorsi, a causa tua! Ma tu la devi aver continuata in Francia, la carriera che hai cominciato qui con me. (Avvicinandosi a lei)  Meno male che sono stato almeno il primo, come m'è parso e piaciuto.

(Antigone alza le spalle, orgogliosamente, ma volta la testa di lato, per non guardarlo: Gravina la fissa un istante, poi passa la mano sulla fronte, in gesto di stanchez­za e sospira. Antigone allora lo guarda, inso­spettita. Gravina di nuovo in tono raddolcito) 

Dio mio, Nene... Mi fai dire cose che non penso. È colpa tua, certo. Provochi. (Di nuovo, con forza)  Lo sai che non sopporto i ribelli... specie se sono donne. Ho l'istinto per queste cose, io: mi conosci. Non c'è puledro libero, nei dintorni, che mi resista più di un'ora. Non c'è cane che non mi venga a leccare le mani, dopo un po' che lo chiamo. E così gli uomini. Ma tu mi guardi sempre con quell'aria. E mi lanci accuse da quattro soldi. A me. Ma l'hai domandato, in giro, chi è il barone Gravina? Sono io che ho dato a questo paesuccio di miserabili un po' di civiltà, un po' di benessere. Perfino l'ospedale gli ho fatto, a chi mi sputa dietro.

Antigone       L'ho visto, sì. L'avevo preso per una stalla.

Gravina         Le parole di tuo fratello, eh? Forse eri tu che soffiavi sul fuoco, dalla Francia.

Antigone       Io? M'ero perfino dimenticata che esistessero luoghi come questi. Laggiù la catti­veria era un'altra. E anche la miseria. Avevano un altro viso.

Gravina         E che vuoi dire? Che quella di qui ha il mio? (Riavvicinandosi sempre di più, spiandone attento le reazioni. La voce si è fatta di nuovo insinuante)  Eppure ti è piaciuto: e forse ti piace ancora.

(Antigone lo sogguarda poi scuote il capo).

Antigone       Guarda: ho deciso di non risponderti più, se non parleremo di ciò che m'inte­ressa. Ti stancherai, prima o poi.

Gravina          (incrocia le braccia, osservandola)  Ah, sì? E allora, se ti facessi una proposta...

(Si ferma: Antigone lo guarda fisso. Egli sorride) 

Non per quello che pensi. Qualcosa di ancora più serio ed importante.

(Si ferma di nuovo: Antigone sta immobile, apparentemente impas­sibile) 

Tu sai che non ho figli. E sono solo. Solo, come te. Pensavo, venendo qui... che po­tremmo sempre sposarci. L'età c'è ancora.

(Antigone lo guarda di sotto in su, minacciosa. Gra­vina sullo stesso tono) 

Potrei farti riavere quello che ti preme in poche ore. E per poco. Forse anche per nulla.

Antigone        (senza trattenersi più, con violenza)   Ma poi avrei te accanto. E per sempre.

Gravina          (con noncuranza)   Sei sicura di non volermi? Proprio sicura? (Sorride)  T'ho sentita bene, poco fa: ti conosco.

(Antigone china il capo, sfuggendolo con gli occhi) 

Ho la casa vuota, Nene. Prima d'essere vecchio, voglio almeno un figlio. E un figlio bello te lo dà solo una che s'innamora sul serio, come te. (Acco­standosi di più a lei)  Tu lo senti che hai bisogno di me. Lo sai che posso ridarti il senso della vita, io solo. Altro che viaggi all'estero! (Guardan­dola)  Altro che questo lavoro da mezzo uomo... e tutte le grandezze di Tano, con quella buffo-nata dei contadini, dell'acqua... Io.

Antigone        (interrompendolo, brusca, fissandolo in viso attentamente)   Perché? Che c'entra? Che te ne importa? Che importava a te, quello che voleva far lui?

Gravina          (un po' a disagio)   A me? Nulla. Era tuo fratello che ne parlava a tutti. Anche a chi non voleva sentire. Pace all'anima sua, era un bell'esaltato. Sembrava che i denari gli dessero noia, in tasca. (Ride)  Con terre come le vostre! Dove chi ci sa fare, ne tira fuori oro. Un anno in mano a me... ti farei ricca io, non dubitare.

Antigone        (portando la mano alla fronte, come per raccogliere i pensieri)   No. No. T'è sfug­gito. Te ne importa, invece. Ti sento. Ti conosco. T'importa anche di questo. Sono io che non ci avevo pensato... Mentre parlavi, mi sono chiesta cento volte a che miravi. Non è solo per me. Ti sei vendicato anche di lui.

Gravina         Ma sei pazza? Che vendette e ven­dette? Perché ti dico che era un matto? E non lo sei anche tu? Non te lo dico? Penso che Tano avrebbe fatto meglio a sposarsi e ad avere dei figli tutti suoi. (Ride cattivo)  Invece i figli, se ci sono, si chiamano... Salvaggio. (Sogghigna)  Morale, questa casa.

(Antigone lo osserva: s'è persino accostata a lui, senza più paura, come seguendo un filo invisibile).

Antigone       Ecco, ecco... io credo di capire. Hai deciso di metterti fra lui e la sua volontà. Sei... sei una mandragora contorta, ma l'hai afferrato lo stesso: hai sentito che lui s'era caricato del dolore degli altri. Andava contro il suo interesse e lo sapeva. E lo sai anche tu. Hai sentito che proprio lì sta la bellezza di quello che faceva.

Gravina         Vantati sì. Tutti i Lo Cascio uguali. Sepolcri imbiancati e banderuole al vento. Oggi portiamo a letto una contadina? Evviva il po­polo! E giù, sproloqui: acqua, cisterne, fontane, trattori... Come se il pane non lo rubassero ab­bastanza a chi possiede terre. E nella marmaglia già cominciava la zizzania: « E guardate don Tano!... Don Tano sì che va incontro alla sua gente... Beato lui, che lavora per don Ta­no! ». Baggianate, ma certa gente ci guazza dentro. E poi c'è chi ci pensa a sfruttare la situazione.

Antigone        (fredda, attenta, scrutandolo)   Insomma, pesavano te e pesavano lui.

Gravina          (con  orgoglio)   Chi  pesa  me,  sa quanto peso.

Antigone       No. No. Ti cominciava a mancare un po' di  terra sotto il piedistallo. È così? L'acqua delle Tre Punte ti stava diventando un bel torrente, che scavava sotto al tuo peso e alla tua  stessa  forza. Poi...  (Dolorosamente)  Poi Tano se n'è andato. Chissà come avrai ringra­ziato il tuo dio, in quel momento. (Si ferma, d'un tratto, e lo fissa ad occhi spalancati. Poi, quasi balbettando)  A meno che...

(Gravina la guarda, stupefatto. Poi alza il capo e parla con voce profonda, dignitosamente).

Gravina         No. Questo no, vedi? Il suo destino è stato come è stato. Destino.

(Pronuncia l'ulti­ma parola quasi staccando le sillabe. Antigone lo guarda a lungo, poi abbassa la testa).

Antigone       Preferisco crederti.

Gravina         O forse cominciamo a intenderci.

Antigone       Noi? Noi c'intendiamo sempre. In tutto. È una cosa che mi da una tale meravi­glia! Mi basta il modo di guardare, il cenno d'un dito... E per te è lo stesso. Noi c'intendiamo, sì: e ragioniamo all'opposto, ogni volta.

Gravina         Lascia ragionare gli uomini.

Antigone        (senza badargli)   Anche adesso t'ho compreso. Subito, dalla voce. E lo sento come fossi tu stesso, guarda: tu non vuoi che se ne parli più dei progetti di Tano.

Gravina         I progetti di Tano! I progetti di Tano! Cose ridicole. Lui aveva perlomeno una scusa, agli occhi della gente:  quella ragazza che teneva in casa.

Antigone       Io, invece, niente. E ti sono rimasta fra le mani io sola.

Gravina         Tu? Ma tu fai solo ridere. Sei una donna, tu. E alle donne, specie quelle del tuo stampo, non bisogna lasciarla fare la politica.

Antigone        (meravigliata)   Ma di che parli?

Gravina         E tu sei quella che capisce a volo? Vedi? Lo vedi che non sai proprio niente? Certe storie trovano sempre chi le butta in politica. Così finirebbe. Cara mia, devi imparare a vivere. Ad essere normale. Hai più bisogno di fare un figlio tu, che quell'isterica ignorante che hai per casa.

Antigone        (con meraviglia)   Non è nemmeno vendetta, la tua, no: è timore! Timore. (Gli si accosta)  Tutto deve restare come è sempre stato. (Con crescente amarezza)  Al punto di rapire un morto. Al punto di sposarmi.

Gravina         Sfuria, sfuria. Come ai bei tempi. È il livore che hai dentro. Perché ti metto il sale dove sei scottata. Ma credi davvero che io possa aver paura? E di te? Tu sei aria, per me. E poi! Già ti tengo qui dentro. (Le mostra la mano aperta, chiudendola).

Antigone        (guardandolo fissamente, tesa)   E se non pagassi?

(Gravina la guarda poi ha un sorriso che gli arriccia la bocca).

Gravina          (quasi dolcemente)   Comincerebbe con la restituzione di tuo fratello... Lo ritrove­resti in giardino, un bel giorno: quello che n'è rimasto, si capisce.

(Antigone arretra, chiudendo gli occhi. Gravina osservandola ma conti­nuando sullo stesso tono) 

Poi... dovrei andare a qualche altro funerale. E mi dispiacerebbe sul serio, questa volta.

(Antigone tace, a capo chino. Gravina sicuro di sé, con un breve sorriso) 

Ecco. Ora pensa a pagare per lui. Dopo avrai anche il tempo per riflettere sulla mia proposta... e accettarla. (Ride forzatamente) 

Quando penso che dovresti ringraziarmi! Ti restituisco l'onore, avanti a tutti. Ma capirai anche questo: il tempo è medico e avvocato. (Si avvicina e Antigone arretra, istintivamente) 

Dunque: stammi a sentire. Un'ora prima del tramonto verrà Franco e tu gli consegnerai la somma. Dai anche un assegno, ci penserà... chi ci deve pensare.

(Antigone lo ascolta con le mani strette, insicura. Vorrebbe parlare e non riesce, combattuta fra la pietà del fratello, la paura e l'orrore per se stessa) 

Hai capito, sì? Bene.  (Sorride di nuovo)  Sta' tranquilla. Un giorno mi ringrazierai per averti obbligata a ritornare in te. E a tempo. Saprò io come farmi perdonare... Quando te l'avrò fatto rifiorire, quel corpo, che già sembra di zitella.

(Antigone solleva la faccia, come chi abbia ricevuto un colpo. Poi crolla il capo, sottolineando le parole col gesto del pugno chiuso).

Antigone        (con violenza contenuta, in crescendo)   No... No. No! (Lo guarda)  No! Non ti lascerò mettere fra lui e la sua volontà. Non l'avrai quel denaro, non l'avrai. Glielo farò io il suo monu­mento, a Tano, lassù, sulle Tre Punte. Te lo farò scorrere a ogni costo, quel torrente d'acqua... foss'anche per un giorno! E scalzerò il tuo piedi­stallo, finché potrò. Perché la gente finalmente ti conosca... Perché tu sia punito, in qualche modo. Che puoi più fargli, a Tano? (E tende la mano avanti, come per formarlo)  Sì, lo so, lo so. Guarda: ho la pelle d'oca, se ci penso. E invece... invece che conta? Che conta? Come siamo stupidi, noi uomini, di fronte alla morte! O sono cani, o sono vermi... Ah! No, no. Mio fratello non Io hai nelle tue mani. Ma lo sareb­be davvero, e sarebbe per sempre, se io ti dessi quel denaro che gli portavo... Che era suo, che egli aveva destinato. Io ti darei nelle mani la sua volontà. Allora sì che sarebbe morto, finito.

Gravina          (con voce bassa)   Può sempre morire qualcun altro.

Antigone        (lo guarda, le braccia sui fianchi)  Sarebbe il mio riscatto, vedi? Perché sai... non si può sempre cedere. Non si può sempre rinun­ciare, scappare, chiudere gli occhi. Dietro di te, c'è tutto quello che odio: il mio passato, la mia solitudine, la mia stanchezza. Sei tu che hai spinto la mia vita al punto in cui si trova. E adesso me ne rido anch'io, come Tano. Tutti e due al di là.

Gravina         È la risposta?

Antigone        (quasi a mezza voce)   Sì.

Gravina         Ricordatelo: sei tu che hai sfidato. (Va alla porta di sinistra e l'apre di scatto).

(Teresa si fa avanti impetuosamente, guardando con sospetto Gravina)  Franco.

(Si fanno avanti Franco Salvaggio, stupito, e Nuzzo Lo Re, ma­nifestamente sconvolto. Dietro di loro, il con­tadino) 

Franco, mi duole, ma non possiamo prenderci nessuna responsabilità.

(Pausa: tutti lo guardano) 

Alla pace di suo fratello, tua cugi­na ha preferito diciotto luridi milioni.

(Un silenzio stupefatto fa eco a quelle parole. Teresa, che s'era accostata ad Antigone, si ritrae con gesto involontario e spontaneo) 

Per riguardo a te, chiederemo altri tre giorni di tempo.  (Ad Antigone)  Ha modo di venire a casa mia fino alla sera del terzo giorno. Dopo... (allarga le braccia) l'avrà voluto lei.

(Gira sui tacchi ed esce, seguito da Franco).


ATTO   TERZO

La stessa stanza: è l'ultimo dei giorni concessi dal barone Gravina. La stanza, non ancora ri­schiarata dalle luci elettriche, ha le tonalità un po' cupe del tramonto incipiente. Il cielo, ben visibile dalle finestre spalancate, ha già dei riflessi rosei. Sul tavolo rotondo è tornata la grande fotografia di Tano Lo Coscio, stavolta senza listature a lutto né candele, ma con dei grandissimi mazzi di fiori tutt'intorno. Sono di scena Pietro, sua moglie Mimma, la nuora Palmira, che tiene in braccio una bambina addor­mentata, i figli Rino e Luigi. Il primo, padre della bambina, ha una trentina d'anni: il se­condo non più di diciannove-venti. All'aprirsi del sipario alcuni sono seduti, altri in piedi, specie gli uomini. Luigi è vicino alla finestra e sembra intento a spiare fuori.

Palmira          (mostrando la bambina al marito)  Quieta quieta, guardala.

Rino               E tu dal medico non volevi portarcela.

Mimma           Il medico, il medico. Speriamo che riesca, questa cura. Ma se non c'è arrivato zi' Giovanni, coi decotti di ruta... (Scuote il capo). Rino  Il medico sa quello che fa. E l'ha pure consigliato donna Nene. Lei capisce più di noi. (Mimma sospira e crolla il capo). Luigi(continuando ad osservare fuori)   Ne venisse uno, dei nostri! Macché. Gironzolano intorno alla casa, insieme agli altri. Per curio­sità, si capisce. Vogliono vedere se lascia passa­re il termine o finisce per pagare. (Al padre)  Quasi quasi ne andrei a pescare un paio.

Pietro            Stai, stai. Al fegato non si comanda. Di dieci famiglie siamo solo noi? Meglio pochi gli amici.

(Luigi crolla il capo e si stacca dalla finestra, avvicinandosi al padre. Una scampa­nellata fuori scena).

Rino               Apro io, me l'ha detto Teresa. (Esce cor­rendo).

(Voci fuori scena).

Luigi                (ascoltando)   Uhm. Qualcuno s'è sentito la faccia rossa e c'è venuto. Questo è zi' San­tino: non l'ho visto fuori.

(Entrano Santino, suo figlio Sarò e la nuora Giuseppina: tutti e tre compunti e piuttosto circospetti).

 Santino        Buona sera a voi, zi' Pietro, e a tutta la compagnia.

(Saluti a soggetto. Santino e il figlio restano in piedi, mentre Giuseppina siede accanto a Palmira, facendo delle carezze alla bambina).

Saro              Che novità ci sono?

Mimma           Voi, piuttosto, come mai? L'avete detto a me che non sareste venuti.

Santino         Mia moglie. S'è messa a letto con la febbre: la solita. Mi fa: « Pietro sta su, dalla padrona. Stasera scade il termine ». « Cose nuo­ve » dico. « E allora, perché non vai? Bisogna sempre saperlo, il punto in cui si cade ».

Luigi               In gamba, la comare.

Santino         Eh, siamo noi e voi Russo a capo delle masserie. Purtroppo toccherà a noi infor­mare gli altri, quando verrà il momento.

Luigi               Sì, eh? Quei paladini di Francia, là fuori, non ce la fanno a camminare fino a qui?

Santino         Creanza, figlio, creanza. Mica possia­mo stare qua in cinquanta.

Luigi               Paura, zi' Santino, paura; paura di compromettersi.

Saro               (aspro)   E di che? Per pagare, la signo­rina, paga: sta' tranquillo. Hanno sempre pa­gato, tutti quanti.

(Dalla porta di sinistra, Te­resa. Reca un gran vassoio pieno di tazzine, fra cui troneggiano una cuccuma di peltro e una zuccheriera. È cupa in volto e pallidissima, anche se affetta una tetra indifferenza).

Teresa           Ah, zi' Santino. Buona sera a tutti. (Risposte a soggetto: Teresa depone il vassoio sul tavolino da fumo)  E Cesira? (Comincia a versare).

Santino         La febbre.

Teresa           Eh... (Scuote il capo).

Mimma            (indicando il vassoio)   Ma che vi siete messa a fare?

Teresa           Io? E che c'entro? È stata lei. (Accen­na al piano di sopra)  Loro, li ho già serviti. E poi... meglio fare qualcosa.

Giuseppina     Donna Nene è sopra?

Mimma           Col notaio. E c'è pure l'avvocato Favale. Saranno un paio d'ore buone, ormai.

(Teresa, intanto, comincia a servire Mimma).

Palmira         Quel signore che è venuto dal con­tinente, Teresa... l'ho visto rimontare in mac­china. È partito?

Teresa           Sì.

Giuseppina     Perché sarà venuto?

Teresa            (brusca)   Lui lo sa. (Col gesto di chi ricorda all'improvviso)  Ah, Pietro! Mi scordavo. Prima pigliatevi il  caffè.  Poi  andate  su,  in biblioteca. V'aspettano. Dovete firmare.

Pietro            Che cosa?

Teresa           Carte.

(Continua a servire, mentre Pietro beve e gli altri si guardano fra loro).

Pietro             (sconcertato)   Siete sicura?

(Teresa fa un breve gesto d'impazienza. Mentre serve Giuseppina e Saro, si ode uno scalpiccio di passi veloci, fuori scena. Poi vola per la stanza una gran zolla di terra, che si disfa sul pavimento con un tonfo sordo).

Voce di Ragazzo(f.s.)   Scomunicata!

(Si odono passi affrettati che s'allontanano: l'effetto sui contadini è enorme. Restano tutti come im­pietriti. Solo Teresa, che ha stretto forte le labbra, continua a servire).

Giuseppina      (vedendosi porgere una tazza)  Ma io...

Teresa           Eh, non vi spaventate. Prendete, su. (Con amarezza, accennando alla finestra)  È al­meno il terzo, già, da oggi.

Palmira          (indicando involontariamente il piano superiore)   E lei... niente? Non gliene importa niente?

Teresa            (senza badarle)   Andate, Pietro, an­date sopra. V'aspettano.

(Il massaro esce, dando una occhiataccia alla nuora: Palmira, confusa, abbassa il capo. Teresa, intanto, continua a ser­vire e porge la tazza anche alla giovane sposa che nega con la testa, mostrando la bambina addormentata).

Luigi                (aspro)   Attenta, eh? Anche il caffè sarà scomunicato. L'ha pagato lei.

(Palmira alza le spalle).

Giuseppina     E sta' zitto. La dovrebbe sve­gliare? (Sorride alla dormiente)  Guardala, sem­bra un bambin Gesù.

Saro               (rifiutando anche lui la tazzina)   Che poi... come dice il sindaco? Questo è un paese libero e ognuno la pensa come vuole.

Rino               Purché sia d'accordo con lui e con don Gegé.

Luigi               Già. E invece, noi, non possiamo. Dob­biamo pensarla come donna Antigone, noi.

Saro               (con fuoco)   Perché? Ci paga anche per pensare?

Luigi               Non dico questo. Dico soltanto che a noi toccherà l'acqua... con il resto.

Saro              Con il resto, eh? Voglio vedere. Dal dire al fare c'è di mezzo il mare. E stavolta è in burrasca.

(Teresa, intanto, è andata a sedersi vicino alla fotografia di Tano, assorbendosi in una preghiera).

Luigi               Intanto, ieri, abbiamo dato l'avvio ai lavori, alle Tre Punte. Diglielo, Rino.

 (Il fratello annuisce e Luigino si rivolge di nuovo a Saro) 

Tu stai sempre rintanato in vigna e quando vedi la padrona... tela! Fossi meno carogna, ci aiute­resti. E sapresti le cose come stanno.

Rino               Ma le sa, le sa: qui ci spiamo uno con l'altro.

Giuseppina      (risentita)   Noi? Facciamo i fatti nostri, noi. Ci spettano i lavori in vigna e là restiamo. Giusto, ci vuole poco tempo! Quanto a quell'acqua, maledetta sia, e chi la tocca? Perché ci muoiano i figli, chissà come?

Rino               Con dell'acqua pulita? Guardate mia figlia. (Indica la bambina addormentata)  Per lavarle gli occhi malati, il medico ci ha detto di bollirla, l'acqua del pozzo. E voi ci tenete a quella porcheria?

Palmira         Ecco: così ragiona, lui. (Con foga)  E se venisse la buon'anima, a tribolarci? Si sa: chi è senza sepoltura è senza pace.

(Si segna e Giuseppina fa altrettanto).

Luigi               Mah! Che ne so io? Una volta morto... L'anima di don Tano, benedetto sia, starà dove ha da stare. Spiriti, io non ne ho mai visti: acqua sì. Alle Tre Punte. Bella, limpida... abbon­dante. Voi, invece, ci sputate sopra?

(Gli altri chinano la testa).

Santino         Nessuno sputa sulla grazia di Dio: ma i morti sono morti e vanno rispettati, in­nanzi tutto.

Giuseppina     E poi, Luigino! Da' retta a me, che sono femmina e me ne intendo. La padrona fa quello che fa perché è donna: donna e bastonata.

(Teresa alza repentinamente il capo).

Luigi               E invece io dico che se uno si carica di guai, come lei, è perché deve aver capito molte cose. Soprattutto che qui non ne pos­siamo più nessuno.

Giuseppina      (ha un breve sorriso)   Ecco: bella, la scusa. E tu ci abbocchi. Ma la verità è che non vuole inchinarsi a chi sappiamo; costi quel­lo che costi, l'anima del fratello e anche la sua!

(Mimma ha un gesto scandalizzato, mentre Teresa si leva di scatto, come un cane che senta minacciare il padrone).

Teresa           Disgraziata.

Santino          (grave)   Via, via, Teresa. Quella lì par­la a caso. È matta, come le cavalle giovani.

Saro              Su, su. Io mi domando perché si debba discutere e arrabbiarci. Ché poi mia moglie non ha offeso nessuno. Avesse detto che si tratta di quattrini! Che il morto è morto e quella si tiene i milioni con il resto... Ma per l'amor di Dio! Lo sappiamo tutti che la signorina ha buo­ne intenzioni e crede di fare il bene anche per noi. Non bisogna preoccuparsi: su, gli avvocati, ci penseranno loro a farla ragionare. E in tempo.

Luigi               Ma lo sai che vorrebbe dire, se pagas­se? Che è finita: niente più acqua, niente macchine... niente.

Saro              Quando il meglio vuole dire guai, acci­denti al meglio e a chi lo fa.

Luigi               Ragioni bene, eh? Proprio a modo loro. Così ci potranno sputare sempre addosso: tanto noi c'inchiniamo a ringraziare.

Mimma            (con veemenza)   Zitto non ci puoi stare?

Teresa            (guardandolo quasi con odio)   No. Deve fare il gallo, lui. A parole, s'intende. Con la pelle degli altri. Non dovrebbe pagare donna Nene, eh? Sicuro: così t'accomodi meglio a guardare lo spettacolo. Che te ne importa, a te? Per te è « padrona », si capisce. Hai sempre detto che con le budella dei buoni c'impicche­resti i cattivi.

Luigi               Io vi giuro... No. Lei non è come gli altri. Ha lavorato, lei, e capisce.

Mimma            (aspra)   Basta ora. E vanta poco. Quelli  hanno mani anche per te. Tu sai... (S'interrompe: sulla porta di fondo è apparsa Maddalena Orofino. La giovine donna è disfatta, gli occhi arrossati di pianto. S'avvicina a Teresa, che la guarda senza più la stessa ostilità. Anche il malanimo degli altri sembra essere piegato da quel dolore evidente e profondo).

Maddalena   Teresa. Teresa, è il  tramonto. Fate qualcosa per l'amor di Dio. Ormai sca­dono i giorni!

(La vecchia scuote il capo, sospirando) 

Andate a parlarle voi! a voi vi sente!

Teresa           Non sente più nessuno.

Palmira         Perché non ne parlate a don Filippo, Maddalena? Ditegli che venga qui, che...

Teresa            (interrompendola, brusca)   Lasciate stare.

Maddalena    (con un riso tra i denti, aspro, da pazza)   Don Filippo? E credete che non sia già venuto? Oggi, alle cinque, stava qui.

Teresa           Sta' zitta!

Maddalena   E perché? Perché aiuti a sfre­giare il fratello e passi anche per santa? (Ai contadini)  È venuto, è venuto. Le ha detto che voleva consolarla confessarla. E lei... ha rispo­sto che aveva da fare. E parlava al telefono, con Milano, con l'avvocato, con l'inferno parlava!

(I contadini, allibiti, si guardano fra loro) 

Lui allora ha aspettato, ha cercato d'insistere, per­ché gli ha fatto pena. Le ha detto parole che... avrebbero smosso una montagna! Ma lei, lei grida: « Che vuole? Chiedere scusa al Dio che fa i signori Gravina? Dovrebbe scusarsi lui, con me! ».

(Luigi ha un gesto come per dire « Mica ha torto » e la madre gli fa un cenno brusco).

Giuseppina      (in tono dolente di meraviglia)  E don Filippo?

Teresa            (come per chiudere il discorso)   Ha capito che era sconvolta...

Maddalena   E se n'è andato, senza aver fatto niente! Niente! (Col pianto nella voce)  Ora non ci siete che voi, Teresina.

Teresa            (chinando la testa e stringendo le mani)   Lasciami stare, a me.

Maddalena   Andate di là. Vi prego. Che ne capisco, io, di ciò che fanno? M'hanno chia­mata, m'hanno letto le carte... Ma io non voglio niente, capite? Niente! Niente! Io penso a Tano: voglio pregargli sulla tomba, portargli i fiori... voglio sapere che sta lì, vicino a me. Fate presto, Teresa. Ma non ve n'accorgete che è già sera? (Chiude il viso tra le mani e riprende a piangere, sfinita).

Teresa            (voltando la testa, come chi non ne può più)   Che vuoi parlare, figlia; che vuoi dire-Che ci si dice, ormai, fra disperati? Possiamo solo pregare: che ci pensi il Signore, a tutti quanti. Va' di là, al posto tuo. E prega, se puoi.

Giuseppina      (dopo un'occhiata alle altre donne, in tono compassionevole)   Maddalena. (Si alza)  Fatevi coraggio: andiamo di là, dove c'è l'immagine del Sacro Cuore. Venite: diciamo un rosario, che gli faccia la grazia a don Tanuzzo.

Palmira          (alzandosi a sua volta)   Vengo an­ch'io. Datemi un posto per questa creatura. (Incamminandosi verso l'uscio di fondo)  Venite, Maddalena: il Signore vuole bene agli innocenti e ci ascolterà.

(Maddalena, stupita anche nel pianto per quell'esplosione di bontà nei suoi riguardi, fa loro cenno di entrare, quasi con ossequio. Poi le segue, silenziosa).

Rino                (mentre l'uscio si richiude)  Tutte gene­rose coi soldi degli altri, anche mia moglie. Vor­rei vedere se fossimo noi, a tirare fuori quei milioni.

Mimma           Milioni o no, speriamo che Dio ascolti la preghiera. E donna Nene sappia cedere. S'ag­giusterebbe...

(S'interrompe per il cenno di Teresa, che intanto s'è accostata alla porta di sinistra).

Teresa           Scende qualcuno.

Mimma           Questa è la voce di don Memé Favale, l'avvocato. Sta salutando...

(Entra Pietro. Tutti si volgono verso di lui, ma nessuno osa parlare. Il vecchio ha l'aria tesa e cupa. Appare sconvolto. La governante gli si avvicina, ansiosa).

Teresa            (a bassa voce, guardando verso la porta)   Pietro... ma che succede?

Pietro            Ha firmato. (Tutti pendono dalle sue labbra)  Lei. Poi l'avvocato. Poi don Nuzzo. Tante firme. Io, il testimone. Mi sembravano i medici, quando ti fanno la carta che uno è morto.

(Teresa porta le mani alla bocca, con gesto di spavento. Santino invece, si accosta, abbuiato. Gli altri lo seguono lentamente).

 Santino        Ma che avete firmato?

Pietro            Il testamento.

(Teresa, sempre nella stessa positura, scuote la testa, come se per lei quelle parole fossero altrettanti colpi. Mimma dà quasi indietro, mentre gli altri si guardano fra loro in silenzio, stupefatti).

Santino          (quasi balbettando)   Non... non paga.

Pietro            Di pagamenti, io, non ne ho sentito parlare.

(Santino e il figlio si fissano).

Saro               (con voce incolore e aria indifferente)  Papà: sarebbe ora di andare. A casa mamma è sola e con la febbre...

Luigi                (traducendo in parole l'occhiata che Pietro ha lanciato sul giovanotto)   Febbre da vermi.

(Saro alza le spalle)

Santino          (con noncuranza) Febbre come ci pare. (Avanzando ver­so i Russo)  Perché? Non lo sapete che quelli cominceranno subito? E siamo noi, gli stracci, a volare per aria. Non ci pensate al bestiame? Non è a metà?

Saro               (sempre calmo, ironico)   Domanda a Luigi come si fa a distinguere il suo, fra due asini o due buoi.

(Prima che Luigi possa rispon­dere, trilla il campanello. I contadini sobbal­zano letteralmente. Dopo un istante d'incer­tezza, Teresa va ad aprire, seguita da Pietro).

Mimma            (segnandosi)   Dio ci auti.

(Sulla porta, Chiarina Salvaggio. È assai pallida e stringe una lettera fra le mani. Non ha cappello né bor­setta ed è vestita in chiaro, come se fosse uscita d'un tratto di casa, per decisione improvvisa. Teresa e Pietro la seguono, osservandola con aria preoccupata. Anche i contadini sono imba­razzati, quasi increduli: tuttavia salutano a bassa voce).

Chiarina         (voce alta e tagliente) Buona sera. (Alla governante) Dunque, Teresa, chiamate mia cugina, è cosa urgente.

(Teresa annuisce e torna fuori, sempre più cupa).

Pietro             (umilmente)   Se disturbiamo, donna Chiara...

Chiarina        No, no, Pietro. Ma quando verrà la signorina, voi... (Accenna verso l'uscio ma si ferma, come colta da un'idea)  Anzi, no. No. Vorrei che vi uniste a me per chiederle... voi capite. Bisogna fare tutti il nostro dovere verso quella povera anima. E verso mia cugina.

Pietro             (lentamente)   Eh, donna Chiara. Forse è troppo tardi.

Chiarina        No, Pietro, ancora no.

Santino          (interloquendo rapido)   Sicuro! Col vostro permesso, zi' Pietrino io dò ragione alla signora. Che è cugina e affezionata... e vede chiaro. Se lei vuole e permette, noi siamo qui, prontissimi, a pregare donna Nene perché non faccia male a lei e a noi tutti. Proprio perché « c'è » ancora un po' di tempo... e perché la pace non ha mai avuto prezzo.

Chiarina         (pensosa)   Dite bene, Santino, la pace. Per i poveri morti... e per chi è ancora vivo.

(Entra Antigone, seguita da Teresa. Il silenzio è assoluto. Chiara fissa la cugina, spiegazzando quasi la lettera che tiene fra le dita. Antigone ha gli occhi brillanti e appare provatissima in tutta la persona; il viso è terreo, teso, con gli occhi cerchiati d'ombra. Dopo una breve esitazione, Chiara s'accosta e abbraccia senza spontaneità l'immobile Antigone, che la osserva) 

Nene. Siamo rimaste solo tu ed io di tutta la famiglia. Sono qui per parlarti. È il mio dovere e non puoi rifiutarmelo.

(Antigone si volge con un breve gesto di deprecazione. Nel far così, s'accorge della grande fotografia di Tano che è tornata a troneggiare sul tavolo, fra i mazzi di fiori. Con rabbia improvvisa si volta verso Teresa e i contadini).

Antigone        (fuori di sé)   Chi ha messo quella buffonata...

(Non finisce: dalla stanza accanto vengono delle grida acute, tra i singhiozzi. Antigone stringe i pugni, ammutolendo. Dalla porta di fondo irrompono Palmira e Giuseppina, ansanti).

Palmira         Venite papà, Rino...

Giuseppina     Bisogna tenerla! Vuole correre lei a palazzo Gravina!

Antigone        (la voce acuta di rabbia e di fastidio)   Zi' Pietro! Per l'amor di Dio, andateci voi... andate tutti! (Indica la stanza attigua da cui ora proviene un pianto convulso).

Pietro             (facendo cenno agli altri di seguirlo)  Sissignora!

(Esce quasi correndo, evidentemen­te con sollievo, incurante della mimica con cui Santino gli accenna alle due signore e gli ricor­da di dover parlare).

(Uscito Pietro, tutti lo seguono alla svelta: l'ultima è Teresa, che chiude la porta dietro di sé, lanciando una lunga occhiata preoccupata su Antigone e su Chiara. Le due cugine restano sole. Antigone è andata a gettarsi su di una poltrona: chiude il viso tra le mani, con un sospiro, quasi si stesse preparando all'inevitabile colloquio. Resta così, immobile, mentre Chiarina incerta e preoccupata rimane in piedi, in grande imbarazzo, spiegazzando e rigirando la lettera fra le mani).

Chiarina         (lentamente, quasi per avviare il di­scorso)   Hanno paura di te.

Antigone        (calma, rialzando il viso)   Di me? No. Di quello che faccio. (Con mestizia)  Proprio loro.

Chiarina        Avranno qualche ragione.

Antigone       L'abbiamo tutti una ragione, Chia­ra. Questo è il guaio.

Chiarina        Ma tu ci pensi ancora alle ragioni degli altri?

Antigone       Finché posso.

Chiarina        M'aspettavi, vero?

Antigone       Aspetto molte cose, oggi. Ma a te non ci avevo pensato.

Chiarina         (mostrando la lettera)   E questa, allora?

Antigone       Quella? L'ho buttata giù stanotte... proprio perché non credevo di vederti. Avrai capito che certe cose, finché è possibile, le comunico da me.

Chiarina        E io voglio farti contenta. (Antigone la fissa interrogativamente)  Franco l'ha letta: ci sei riuscita.

Antigone       Lo credo: era indirizzata a tutti e due.

Chiarina        Ma quello che t'interessava di più era Franco. Per mettere cane contro cane.

(Antigone crolla il capo: la cugina riprende, con calma, attenta a controllarsi) 

Eppure, Nene, credimi: non sono qui per questo. Sono venuta per te... e per tutti. Hai visto i contadini. Per­ché, Nene? A che ti serve fare tanto male? Seminarlo così, dappertutto. Sembri come... come impazzita. E forse lo sei: l'odio e certi uomini, a noi donne, ci mettono il cervello a fuoco.

Antigone        (lentamente, guardandola)   Questo sei venuta a dirmi. (Indicando la lettera)  E pro­prio quando hai saputo che ho lasciato ai tuoi figli quasi tutto quello che possiedo.

Chiarina         (con forza)   Perché? Perché tutti pensino quello che pensi tu. Quello che tu speri.

Antigone       Quello che nemmeno tu puoi sape­re, Chiarina.

Chiarina        Davvero, tu credi che una donna come me non sappia. M'hai preso per quella sgualdrina e bestia che tratti da cognata... che m'hai fatto coerede, insieme ai figli. (Agita la lettera esasperata)  Non la finirete mai, in questa casa, con la gran boria che vi dànno i soldi? Ti sei scordata che mio padre aveva nome e titolo e onore, come il tuo... e che anche io mi chiamavo Lo Cascio?

Antigone        (serenamente)   Come Tano.

Chiarina         (andandole vicino e soffiandole quasi le parole addosso)   Ma i figli miei si chiamano Salvaggio: hai capito? Salvaggio. E ricordatelo. Voglio che anche questo nome sia rispettato almeno in loro. Io gli volevo bene, a Tano, e lui sapeva quanto...

Antigone        (gelida, interrompendo)   ... sei milioni.

(Chiarina resta un attimo a bocca aper­ta, folgorata; poi stringe i pugni e abbassa il capo. Con enorme sforzo di volontà riprende a parlare. La voce è quieta, piena di mestizia).

Chiarina        Eh già. Già. Dovevi pensarlo. E chiunque altro, come te. Perché ho dovuto spo­sare un verme senza faccia, un cornuto conten­to. E chi gli si scappella, lo fa perché dietro a lui vede la mano di Gravina. Ma io sai? In quello non c'entravo. Glieli chiese lui. Se è vero che Tano ti diceva tutto, devi pur saperlo: glieli ha chiesti lui. La sera in cui si concludeva il prestito, io venni qui a pregarlo... perché non glieli desse, non glieli desse. (Ha il pianto nella voce)  Ma tuo fratello intendeva... liquidarmi, ecco. E glieli ha voluti dare. Il doppio, avrebbe dato, perché già aveva in casa Maddalena. Se non fosse morto, ti giuro che gli porterei ancora odio per ogni parola che m'ha detto quella sera.

(Antigone la fissa, turbata) 

E ora, Nene non mettermi di mezzo i figli. È inutile, capisci? E tanto più inutile... se credi quello che credi. Lasciali in pace.

Antigone        (calma)   I tuoi figli sono gli unici miei parenti con le mani pulite. Non avevo che loro cui dare il mio. Senza odi in mezzo, senza rancori: tutto limpido, fra noi. Ma se non vuoi assolutamente che siano i miei eredi...

Chiarina         (interrompendola, a precipizio)   Antigone! Tu non vuoi capire!

(La cugina la interroga con lo sguardo) 

Si vede che non hai mai avuto un figlio.

Antigone        (con un sorriso mesto, dopo aver an­nuito)   Avanti, Chiarina, va' avanti.

Chiarina        Dio, Nene, sapessi com'erano buo­ne le tue parole, adesso! Come se parlando di loro... t'intenerissi, ecco. Potessi crederlo. Po­tessi credere che hai agito così, d'impulso, per affezione verso due innocenti. Ma... (Si ferma e scuote il capo).

Antigone       Ma?

Chiarina         (agitando la lettera)   Questa clau­sola? Perché? Perché li hai vincolati così? Per­ché, se non per vendicarti di Gravina, anche in loro? (Con passione)  Tu lo conosci, il barone: va dritto per la sua strada e se lo sfidano... diventa inesorabile. Tu... tu sai quello che stai facendo: hai le tue ragioni, sei padrona di te. Ma non devi agire così, a tutti i costi: i miei figli che c'entrano?

Antigone        (alzandosi di scatto)   Ah, perdio, io ti...

(La cugina arretra istintivamente e quel gesto basta a ridarle padronanza di sé) 

Così sciocca mi credi. E non ti vergogni neppure di usare loro come scudo. I tuoi figli non c'entra­no: un giorno avranno le mie terre, ecco tutto. Terre fertili, le uniche, forse, in questo male­detto paese. No: la clausola non riguarda loro. Riguarda solo te e tuo marito. Per questo c'è e ci resterà. Dal giorno in cui m'accadesse qual­cosa... tre anni avete. V'ho dato tre anni di tempo per portare a termine tutti i progetti, quelli di Tano e miei. Se no, perderete fino all'ultima zolla, fino all'ultima lira. Questo è certo e questo non si cambia. Com'è certo che lo farete, perché non dipenderà solo da voi: vi conosco, conosco questo paese d'avvocati. Gli amici che m'aiuteranno sono fidati e lontani, nascosti dietro nomi di enti e di consorzi. Ho messo in moto una macchina pesante, che vi obbligherà a far scorrere quell'acqua sotto ai piedi vostri e del barone Gravina.

Chiarina         (quasi ferocemente)   E tu te la godrai anche all'inferno, vero? Che te ne im­porta di quello che verrà dopo? Di quello che accadrà a noi tutti? Hai già fatto impazzire Franco, con questa lettera: denaro, l'unica cosa che gli prema. E tu gliene hai offerto a mucchi, quanto non avrebbe mai sperato. Calogero Gra­vina e te: uno vale l'altra, sta' tranquilla. Dio prima li fa e poi li accoppia. Da quando sei venuta, hai seminato più zizzania tu che un esercito di streghe.

Antigone        (senza cessare d'osservarla)   Un brutto compagno, eh Chiarina? quella certa paura. L'hai detta finalmente la tua vera ragione. E allora, leggi bene quella lettera: v'ho la­sciata la più ampia facoltà di rifiutare. Porte aperte. Subentrerà l'altro erede. Ancora più inafferrabile, per voi: un Ente Morale. Rifiu­tate, Chiara, rifiutate: la pace, come tu dici, dipende da te sola.

Chiarina         (amaramente)   Tu sapevi benissimo che dopo questa... (agita la lettera)  Franco non rinuncerebbe mai. E io... Via! Anche su me, hai speculato. Sul rimorso che avrei, nel togliere il benessere ai miei figli.

Antigone       Il benessere: l'hai ammesso. E non solo per i bambini, ma per te, per tuo marito, la tua casa. Ma io, come avrei dovuto fare? Come potevo difenderla la volontà di Tano, se non pungendovi dove più vi duole? Il benessere. Il denaro. Ebbene, eccolo qui, è vostro. Che altro cerchi? Che ti si tolgano le castagne dal fuoco?

Chiarina        Dunque vuoi vendicarti. Lo vedi? Lo vedi?

Antigone       Vendicarmi, dandoti tutto quello che è mio? No. No. Voglio solo che tu combatta, a viso aperto per una sola volta. Perché in que­sto paese non ci sarà più modo di tenere i piedi in due staffe: ho pensato io, a far saltare i muri... (con amarezza)  e tra i barili di polvere ho messo anche me stessa. Ma questo a te, non è mai venuto in mente: mai, neppure un minuto. Ci vogliamo bene, eh? in casa Lo Cascio. Le ulti­me due rimaste. (Avanza verso la cugina)  E adesso, se vuoi farmi un favore va' a palazzo Gravina: ma attenta! Che tuo marito non ti veda. Va' a palazzo Gravina, come quella sera in cui presero Tano... quando forse già sapevi cosa succedeva e sei venuta qui, da me. Vacci anche ora: raccontagli che cosa t'ho scoperto dietro il grande scudo dei figli. E digli che quella clausola fate bene a temerla, tutti quanti: perché vi farà ballare a modo mio. Corri Chiarina: il barone ha fretta di sapere se sono tanto pazza da andare fino in fondo. (Si ferma, esau­sta. Via via, torna alla calma)

(Chiarina, dinanzi a lei, allibita, la fissa con le mani sulla bocca, scuotendo automaticamente la testa).

Chiarina        Tu sei pazza, sei pazza.

Antigone        (in tono di stanchezza, quasi di ver­gogna)   Eh, Chiarina, che può fare chi non ha furberia? Liberarsi, andare a fondo... Più tardi cerca di ricordare soltanto le parole che ho pronunciato per i tuoi figli. Sono quelle che contano, capisci? Perché anche chi è sterile lavora per quelli che verranno. È l'unico conforto. (S'accosta di più alla cugina, che indie­treggia involontariamente)  Eh, sì, sì: tu hai le tue ragioni per odiarci, Tano e me. Non preten­do che tu mi capisca, adesso. Io sono in fondo alla mia strada. Semmai, capirai dopo.

Chiarina         (voce bassa, capo chino)   Peggio per te, Nene. E peggio anche per me. Anch'io sto in fondo alla mia strada; e sei stata tu che mi ci hai spinto. Prima, però, voglio vedere se avrai davvero il coraggio d'andare fino in fondo.

(Antigone crolla mestamente il capo mentre Chiarina, dopo averle gettata un'ultima occhiata astiosa, s'avvia verso la porta. Dinanzi all'uscio si ferma improvvisamente, voltandosi a fissare la cugina) 

Io gli ho voluto bene, a Tano: più che lui a me.

(Esce).

(Antigone resta un attimo a fissare il punto in cui è scomparsa, poi scuote la testa e si dirige verso la finestra: intanto, fuori scena, la voce della cugina).

La Voce di Chiarina(f.s.)   Sì, è di là. Arrivederla.

(Entra Nuzzo Lo Re. Appare anche lui affranto e invecchiato).

Lo Re              (avvicinandosi ad Antigone, in tono som­messo)   Nene...

(Dalla porta di fondo, chiusa, giungono, sia pure in toni soffocati, delle grida, dei richiami concitati e delle parole sommesse).

Antigone        (voltandosi)   Ma sentitela, quella pazza. E con lei gli altri. E Chiarina...

Lo Re             L'ho incontrata: con la lettera.

Antigone        (con voce soffocata)   Ah, Don Nuzzo. Non l'avevo capito d'essere così sola.

Lo Re             Figlia mia, ti sei spinta così... così avanti. È così difficile seguirti! Per tutti, sai? Tutti. Sono corso un istante a casa mia, per chiudere le carte in cassaforte. Il paese è in subbuglio. Pare che non siano mancate le sas­sate nemmeno ai vetri di palazzo Gravina. Siete andati troppo oltre, tutti quanti: la gente, den­tro di sé, non sa più cosa pensare, né come giudi­carvi. E chi ti sta vicino, Nene! Ci si sente... ci si sente colpevoli, ecco. (E rispondendo all'oc­chiata interrogativa d'Antigone)  Colpevole, figlia. Di non averti saputo fermare.

Antigone        (dopo un breve gesto di fastidio, torna alla finestra e guarda in alto)   La sera sta precipitando. (Assorta)  Le cose, succedono e... si rivelano tutte, all'improvviso. (Sospira)  Calo­gero Gravina: e voi parlate di colpe. Se almeno credessi nella forza del maledire, gli scaglierei il cielo sulla testa. Ma la gente come lui è opera di Dio e l'ho sempre saputo.

Lo Re             Senti, Nene... Lasciami parlare, non guardarmi in quel modo. In questi giorni ci sono stati dei momenti in cui ho creduto di capire tutto: tutto quello che fai, tutto quello che ti spingeva a farlo... Ma di sopra, mentre si redi­geva il testamento... d'un tratto mi sono reso conto che era vero. E mi sono sentito fuori del mondo. Figlia mia, quello che vuoi fare è più che assurdo. La vita è la vita, Nene! Sei sicura? Non sbagli davvero, questa volta? (Le si accosta di più, abbassando la voce)  Siamo ancora in tempo e tu lo sai.

Antigone        (a testa china, senza guardarlo)   Ma voi sapete pure che ho già cambiato il mio asse­gno. E ieri abbiamo fatto i primi pagamenti.

Lo Re             Ma i denari ci sono! Ci sono! Non ostinarti così. Quando penso che io ti sto aiu­tando, che sono connivente a questa pazzia...

Antigone        (fissandolo)   Ve ne prego, don Nuzzo. Non ne voglio parlare.

Lo Re             Ma tu vedi...

Antigone        (interrompendolo di nuovo, come se avesse paura di ascoltarlo)   Vedo, sì. Vedo. Vedo la faccia di quel serpe, nel momento in cui gli consegnerei il denaro. La vita che m'aspetterebbe dopo. La rete che mi si strin­gerebbe intorno, fino al momento in cui dovrei sposarlo. E allora, don Nuzzo... (Passa la mano sulla fronte, come se volesse scacciarne il pen­siero).

Lo Re              Eppure ne sei stata innamorata.

Antigone        (con amarezza)   E credete che parli per nausea, per orrore? Ah, don Nuzzo! Con tutto quello che m'ha fatto e mi farebbe... quell'orrore, quella nausea, io non riesco a provarli.

(Il vecchio arretra d'un passo, guardandola) 

Anche questo mi ferma. (Abbassando il viso)  Che credete? Si pensa tutti a come si potrebbe cedere. Si pensa perfino a chiedere pietà. Di ragioni ce ne sono tante! Basterebbe quel bri­vido, quel dubbio che non riesco a superare, quando mi viene fatto di pensare a Tano... (Pausa)  Ah Dio mio, no! Che volete? Che torni a fargli da tappeto? Che mi lasci deridere, tormentare, per tutta la mia vita? E gli dia quella mia gente (indica col braccio nella direzione della porta da cui sono usciti i contadini)  nelle mani?

Lo Re             Guarda... io voglio anche ammettere che tu non possa rinunciare. - Io rinuncerei, sai? - Ma almeno pensa a te stessa. E pensa a vederla, quest'opera, per cui combatti e ri­schi. Perché stai qui, senza muovere un dito?

(Antigone lo fissa, come se non intendesse) 

Perché non vai via? Parti. Torna dove eri, anzi, più lontano. E fallo adesso, subito, tentando la sorpresa. Il mondo è grande, ci si può nascondere per anni.

Antigone        (con un sorriso mesto, accennando alla finestra)   Guardate. Guardate fuori. Una rete d'occhi. E sono giorni che mi stanno ad­dosso. (Lo fissa un istante, quindi, stancamen­te)  E poi, don Nuzzo, io devo restare. Per Tano. Devo sapere che cosa gli accadrà. Sono stata io a decidere, per tutti e due.

Lo Re             Ma tu sei viva ed è diverso! (Con forza)  Dio lo sa, quanto è diverso! Tu devi andare via.

Antigone        (con durezza, quasi con rabbia)   E scappare. Scappare. Scappare sempre, scappare ancora... No. No. Non è assurdo quello che ho voluto. È che debbo prenderla di petto, questa mia vita. Per sentire che l'ho vissuta anch'io, in qualche modo.

Lo Re              (guardandola, disorientato)   Figlia mia. Io sono vecchio e non ti so capire.

Antigone        (con umiltà)   Eh, don Nuzzo... (Crol­la il capo)  In questi giorni, qualunque cosa fa­cessi, l'ho sempre avuto qui, quel vuoto nello stomaco. Sapete, come quando si era bambini e ci portavano dal medico. Quella porta bianca, chiusa davanti a noi: quell'attesa. Poi, d'un tratto, la voce: tocca a te.

(In quel momento, sulle sue parole quiete, scoppia il grido affan­noso di Maddalena, vicinissimo all'uscio).

Maddalena   Salvate Tano, zi' Pietro. Correte voi, correte voi...

(E le parole si rompono nel pianto. Antigone chiude gli occhi, batte un pu­gno sulla mensola del caminetto ed ha un'escla­mazione).

Antigone        (alzando la voce anche lei)   Teresa! (Silenzio nella stanza accanto. Don Nuzzo le fa un gesto come per placarla. Dalla porta di fondo non viene nessuno. Antigone fra i denti, esa­sperata)  Teresa!

(Un'altra breve pausa. Poi Pietro e tutti gli uomini. La porta si richiude dietro a loro) 

Teresa, ho chiamato.

Pietro             (guardando per terra)   È di là, donna Nene. Noi... (Si ferma).

Antigone       Voi? (Poiché Pietro non parla)  E va bene: diteglielo voi a quella bestia, di là, che smetta di strillare. E mi rispetti. Qui, tutti stanno piangendo per sangue che non è loro. (Silenzio).

Pietro             (lentamente)   Ci umiliate.

Antigone        (fredda)   Ah sì? E che fate, voi? Non m'accusate con gli occhi, con le parole... con quel viso?

Pietro             (stringe fra le mani il berretto come per trovare coraggio, poi esplode tutto insieme)  Non la vogliamo l'acqua, donna Nene! Né le altre cose... Niente! Dicono che porteranno la disgrazia. Che vedremo l'anima benedetta... e la sentiremo maledirci. Abbiate pietà di quel povero ragazzo. E a noi, lasciateci in pace, co­me stiamo.

Antigone        (guardandolo ben diritto negli occhi)   Pietro: io ho agito secondo coscienza. E lo so. Ma quello che è peggio, lo sapete anche voi, tutti quanti. E parlate così? Ma che bisogna fare, con voi, perché vi s'aprano un po' gli occhi?

(Gli uomini restano di sasso, allibiti. Antigone continua a fissarli, adirata, quando la porta si apre ed entrano anche le donne, esclusa Maddalena) 

Finalmente.

(La governante si fa avanti, nonostante il gesto con cui Lo Re tenta di fermarla).

Teresa           Spero che il rimorso v'abbia toccata, Antigone Lo Cascio. Siete ancora in tempo.

Pietro             (quasi supplichevole)   Datelo a me, il denaro, donna Nene! Andrò io... Fatelo per voi, figlia, fatelo per voi!

(Da tutti i contadini parte un cupo mormorio d'assenso; Antigone li guarda fissi, immobile).

Santino          (perdendo il controllo)   Ma come vi si deve dire? Non vogliamo! Ci andremo noi di mezzo, lo capite?!

Antigone        (con uno scatto)   Voi? Ma in questo gioco voi avete contato per me sola. State tran­quillo: non siete voi a rischiare.

(Teresa porta le mani alla faccia, mentre tutti i contadini chinano il viso. Non vista, sulla soglia è apparsa Maddalena pallida, scarmigliata, anelante).

Maddalena   No. Sei tu che hai da scontare. (Muove incontro ad Antigone, la prende per il polso e la trascina verso la finestra, indicandole in alto) 

Guarda: è finito il giorno, lo vedi? È finito. E ora manterranno la promessa. Anche lui è di parola, sta' sicura. Ma tu, quel poco che ti resta, l'hai da vivere male. Col rimorso addosso e quello che vedrai di tuo fratello den­tro gli occhi.

(Porta le mani alle tempie, come se si sentisse impazzire)  Tano mio. Tano mio!

                        (Chiude il viso fra le palme, scoppiando di nuovo in singhiozzi, mentre alcune donne le si fanno accosto pietosamente, guardando impaurite Antigone, immobile, terrea, con gli oc­chi fissi sulla luna che è spuntata in cielo. In­tanto mentre Maddalena parla si è levato un rumore dalla strada. Il vocio confuso cresce tutt'intorno alla casa, mentre si odono grida e richiami. Una scampanellata. Tutti restano a guardarsi, impauriti, incerti. Il suono si ripete).

Pietro             (con decisione, alzando la mano)   Io, io.

(Corre fuori. Il mormorio confuso, fuori, au­menta e decresce a tratti. Si ode un'esclama­zione di Pietro, poi entra per la porta di sini­stra don Filippo Cannistraci, l'arciprete, seguito dal massaro. Don Filippo è un vecchietto smilzo, con gli occhiali a stanghetta sul volto scavato).

Lo Re             Don Filippo! (Tutti lo fissano ansio­samente).

Don Filippo    (è ancora ansante, come se avesse corso)   Baronessa. Iddio l'ha voluta consolare. (E poiché Antigone lo fissa, muta, senza capire)  La malvagità umana non s'è accanita contro suo fratello. Vengo dal cimitero. Il custode m'ha condotto nella cappella. Era aperta... e dentro la bara: intatta.

(Un mormorio di schiet­to sollievo da parte di tutti i contadini: le donne si segnano devotamente).

Teresa           Dio mio, grazie.

(Maddalena, che s'è ravvivata dall'arrivo del prete, ha un breve grido e corre da lui, inginocchiandoglisi davanti. No­nostante che quello si schermisca, gli afferra la destra e gliela bacia convulsamente. Il prete si libera, leva il braccio come per chiedere silen­zio e calma).

Don Filippo   Il guardiano, prima, ha parlato con due sconosciuti. Gli hanno detto che... cer­te cose nessuno s'è sentito di farle e che... un morto può esserti fratello, se la sorella l'abbandona.

Luigi                (facendosi avanti, gli occhi brillanti)  L'abbandona? Ma ha vinto!

Don Filippo    (sempre calmo, quasi risponden­dogli)   E hanno detto che... a pagare, c'è sem­pre tempo.

(La frase cade in un silenzio asso­luto. Antigone chiude gli occhi, come per sfug­gire agli sguardi che si sono tutti appuntati su di lei).

Teresa           Dio ci ha fatto la grazia. Ci ha per­donati. (Facendosi vicino ad Antigone)  Figlia: bisogna inginocchiarsi e non sfidarlo ancora. Voi siete rinsavita, è vero? (Ha le mani giunte, come se pregasse)  È vero?

Lo Re             Ecco, Nene. Hai sentito? Nene! Ora sei tu a dover decidere... anche per loro.

Antigone        (chinando la faccia)   Don Nuzzo. Loro hanno già deciso.

Lo Re             Ma abbiamo Tano, ormai... Si può trattare. Hanno rinunziato al ricatto. Possiamo venirci incontro, uno con l'altro.

Antigone       Perché? Cos'è cambiato? In loro? In me? Che cosa?

Don Filippo   Si lasci consigliare, donna Nene. Chi voleva il male ha saputo fermarsi. Ora, a che serve un'altra sfida? Io sono qui. Posso an­dare e venire, perché cerco solo pace. Dica a me. Andrò io. Lei sa che cosa chiedono. Il de­naro non ha più molta importanza. Mi dica che lei fermerà qualcosa, qualcosa che ha già cominciato, e riavremo la tranquillità, tutti quanti.

Antigone       Don Filippo. Quando uno si gioca la faccia, in questo paese, può tornare indie­tro? In coscienza, lei crede a quanto dice?

(Il prete china il capo sotto lo sguardo diritto di lei).

Don Filippo   Vale sempre la pena di tentare.

Antigone       Certo. L'importante è che si ceda, prima. Poi... (col tono di lui)  a pagare c'è tempo.

Luigi                (di slancio)   Avete ragione, donna Nene. Non date retta. Quando trovano chi ha fegato, l'abbassano anche loro la testa, quelle serpi. Vi faremo la guardia noi: io, Rino, Saro. V'accompagniamo noi, dove volete.

Santino          (torvo, ma deciso)   Parla per te. Noi, in questa faccenda, non c'entriamo: e l'abbia­mo anche detto. Saro viene via subito, con noi, a casa sua.

(Antigone lo guarda. Poi scorre con gli occhi sui volti di Pietro e Mimma, carichi di supplica e d'apprensione, su quella aggron­data di Rino e su quella di Saro, che sfugge, chinando il viso sul petto).

Antigone        (quasi tra sé)   Già. È come avere la lebbra, in mezzo a gente sana.

(E poiché Pietro ha fatto per parlare, alza la mano) 

Nessuno starà con me, zi' Santino. E te ne andrai anche tu, Luigi, con tuo fratello e i tuoi. Luigi Non me lo dite, a me. Qui non siamo tutti vigliacchi.

Antigone        (scuotendo il capo)   Non ti montare con le parole, Luigino. Io l'ho fatto e so come trascinano. Non biasimare Santo. Se qui ci fosse un figlio mio o di Tano, mi vedresti cor­rere anche a me a palazzo Gravina. E dare tutto quello che pretendono: e piegarmi a sposare il barone, come lui m'ha chiesto.

(Mormorio di meraviglia fra tutti. Antigone sempre più dol­cemente) 

Sì, Luigi: chi ha figli va in giro con il petto scoperto. E i prepotenti lo sanno. Sono i cani randagi, come me, che possono azzan­narli. E tenere in bocca quello che hanno morso, mentre gli danno  l'ultima bastonata.

(Luigi china il capo e così fanno zi' Pietro e gli altri. Solo Teresa le si avvicina, guardan­dola fissa).

Teresa            (con voce rotta in cui si sente il pian­to)   Parlate come allora, come dieci anni fa. Pensando a ciò che volete fare, non a chi vi sta vicino. Perché voi non ci avete mai pensato a me! Neanche io ho avuto figli miei: perché c'eravate voi due! Giorno e notte con voi, men­tre il tempo passava: quello di prendere ma­rito, d'avere dei bambini... C'eravate voi due. E ora? Che mi resta? Non ci pensate voi a me?

Antigone       Ci penso, Teta. E anche Tano. È come... come per giustificarci di quello che ave­te fatto: tu, zi' Pietro, Maddalena. Noi l'ab­biamo accettato... quasi fosse dovuto.

Teresa           Non a questo prezzo. Non lo voglio. Nessuno qui lo vuole.

Antigone       E che conta quello che vogliamo? I fatti camminano, Teta, per conto loro. A un certo punto, vedi? Scatta qualche cosa ed ogni uomo se ne va al suo posto: o col passato o col futuro. A me, non puoi più chiedere di cambiarlo il posto. (Le fa una breve carezza sulla guancia)  Non è più possibile.

Lo Re              (angosciato)   Nene, ci ha preso la ma­no a tutti quanti. Fermati. Sei ancora in tempo per decidere.

(Antigone crolla leggermente il capo, come fa appunto chi prende una deci­sione e muove verso la porta: Teresa e Lo Re avanzano, tendendo il braccio con gesto spon­taneo, come se volessero fermarla. I contadini sono stretti in un gruppo spaurito e incredulo).

Don Filippo   Ma che fa? Che fa?

(Antigone si ferma e si volta: è già vicinissima alla porta) 

Vuole sfidare fino a questo punto? Attenta, fi­glia, attenta! Dio ci guarda sempre e non ac­cetta sacrifici per odio, o per orgoglio.

Antigone        (fissandolo bene dritto negli occhi)  Eppure lei dovrebbe saperlo: sono sempre le vittime ad aver ragione in questo mondo.

(Pausa. Il prete resta allibito) 

Io vado da Tano. (S'avvia a testa alta, sola).

F I N E

Questa commedia viene pubblicata inedita perché vincitrice del primo premio per un'opera drammatica, al Concorso indetto dall'Istituto del Dramma Italiano (IDI). Il premio stesso è stato assegnato a Giulio Gatti, su 194 concorrenti, da una Giuria presieduta da Salvatore Quasimodo e della quale hanno fatto parte: Mario Apollonio, Sandro Bolchi, Fabio Borrelli, Ezio d'Errico, Mario Federici, Stefano Pirandello, Raul Radice, Roberto  Rebora,  Lorenzo Ruggì,  Giulio Trevisani.

• Copyright  1963 by Giulio Gatti