Assilbam

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ASSILBAM

di Khalil Gibran

Il sipario si alza su una sala della dimora di Yousif Mussirrah, un'ampia e bellissima stanza con i tavoli coperti di libri, rivi­ste e giornali. Khalil Bey Tamer sta fumando una pipa turca, Helen ricama e Yousif Mussirrah fuma una sigaretta.

KHALIL (rivolgendosi a Yousifl)  - Oggi ho letto il tuo articolo sulle belle arti e mi è piaciuto molto. Se non fosse per quel tono europeo, lo giudicherei il migliore che ho mai tetto. Ma vedo qualcosa di sbagliato nell'influenza della cultura occidentale,

YOUSIF -  Forse hai ragione, amico mio, ma le tue azioni sono in contraddizione con i tuoi principi. Indossi abiti europei, usi utensili occidentali nella tua cucina, e stai seduto su se­die europee. Ma soprattutto, passi più tempo a leggere letteratura occidentale che libri arabi.

KHALIL - Questi sono argomenti superficiali e non hanno nes­suna relazione con la vera cultura.

YOUSIF -  Invece sì, hanno una relazione vitale ed essenziale, Se ci pensi più a fondo, vedrai che le arti si riflettono ed in­fluiscono sugli usi, gli stili, sulle tradizioni religiose e sociali - su ogni aspetto della nostra vita.

KHALIL -  Io sono orientale e così resterò a dispetto degli abiti europei che indosso. E mio sincero desiderio che la lette­ratura araba rimanga libera da influenze europee.

YOUSIF- Allora condanneresti all'estinzione la letteratura araba?

KHALIL -  Da cosa lo deduci?

YOUSIF - Le antiche culture che non riescono a rinvigorirsi at­traverso produzioni culturali moderne, sono condannate alla morte intellettuale.

KHALIL - Come puoi provarlo?

YOUSIF - Posso presentarti migliaia di prove. (In quel momento entrano Paul Assilban e Salem Mowad e tutti, rispettosamente, si alzano in piedi.)

YOUSIF - Benvenuti nella nostra casa, fratelli (e rivolgendosi a Paul Assilban:) Benvenuto, usignolo della Siria.

(Helen guarda Paul, arrossisce e sul suo volto compaiono segni di gioia.)

SALEM -  Per favore, Yousif, frena le tue lodi per Paul.

YOUSIF - Perché?

SALEM (con finta serietà) - Perché ha fatto qualcosa che non merita onore e rispetto. Ha preso a comportarsi in uno strano modo; è un pazzo.

PAUL (a Salem) -  Ti ho forse portato qui per sottolineare le mie mancanze?

HELEN -  Che succede, Salem? Quali sono le nuove pecche che hai scoperto in Paul?

SALEM -  Niente di nuovo, ma un vecchio difetto è stato porta­to a tali estremi da farlo sembrare nuovo.

YOUSIF - Dicci che è successo.

SALEM (rivolgendosi a Paul) -  Preferisci che ne parli io, Paul, o vuoi essere tu stesso a confessarlo?

PAUL    - Avrei preferito che tu rimanessi muto come una tom­ba, o meglio, come il cuore di una donna vecchia.

SALEM - Allora parlerò io.

PAUL - Vedo che sei deciso a rovinarci la serata.

SALEM - No, ma vorrei raccontare ai nostri amici cosa è suc­cesso, in modo che sappiano che tipo di uomo sei.

HELEN (parlando a Salem) -  Dicci che è successo. (Rivolta a Paul:) Forse i] grande misfatto di cui vuole parlarci Salem dimostrerà soltanto le tue virtù, Paul.

PAUL -  Non ho commesso nessun crimine, ne ho dimostrato virtù; ma ciò di cui è tanto ansioso di parlare il nostro ami­co non è neanche degno di menzione. Inoltre non mi pia­ce essere al centro di una conversazione così inutile.

HELEN  - Bene, sentiamo la storia.

SALEM (si arrotola una sigaretta e si siede vicino a Yousif)  -  Si­gnori, avete sicuramente sentito della festa nuziale che Jalal Pasha ha organizzato per il matrimonio di suo figlio. Ha invitato tutti i notabili della città, compreso questo fur­fante (indicando Paul), e anche me.

La ragione per cui io sono stato invitato è che tutti pensano che io sia come l'ombra di Paul, e inoltre, che Paul, benedetto lui, non vo­glia cantare se non sono io ad accompagnarlo, Siamo arrivati in ritardo, secondo la regale abitudine di Paul. Alla festa abbiamo trovato il governatore e il vesco­vo, bellissime signore e studiosi, poeti, nababbi, e capi. Ci siamo seduti fra i bracieri per l'incenso e i boccali di vi­no; gli altri ospiti guardavano Paul come se fosse stato un angelo sceso dal ciclo. Le belle dame gli offrivano vino e fiori, come facevano le donne di Atene quando gli eroi tor­navano dalla battaglia. Per farla breve, Paul era oggetto di onori e rispetto... Ho preso il liuto e ho suonato un po' prima che Paul aprisse la bocca e intonasse una strofa del poema di Al Faridi. Gli astanti erano tutti orecchie come se El Moussoli in perso­na fosse tornato dall'aldilà per sussurrare loro arie magi-che e divine. Improvvisamente Paul ha cessato di cantare. II pubblico si aspettava che continuasse dopo essersi rin­francato la gola con un po' di vino. Ma Paul è rimasto in si­lenzio.

PAUL - Basta, non andare oltre con queste assurdità. Sono si­curo che ai nostri amici non interessano.

YOUSIF -  Vi prego, sentiamo il resto.

PAUL - Sembra che tutti voi siate più interessati alle sue chiac­chiere che a!la mia presenza, addio.

HELEN (guardando Paul con tenerezza) - Siediti, Paul, non im­porta come andrà a finire la storia, siamo tutti dalla tua parte. (Paul si siede, rassegnato.)

SALEM (riprendendo il suo racconto) -  Stavo dicendo che il po­vero Paul ha cantato un verso del poema di Al Farid, e poi ha smesso. Tanto valeva offrire ai suoi poveri, bramosi ascoltatori un solo assaggio del pane della dea per poi ro­vesciare con un calcio il tavolo rompendo vasi e coppa. Lui rimaneva seduto lì, silenzioso come la Sfinge sulle sabbie del Nilo. Le graziose dame si sono alzate dalle se­die, una dopo l'altra, implorandolo di continuare a canta­re, ma lui ha rifiutato, dicendo che aveva male alla gola. Poi gli altri dignitari sono andati a pregarlo, ma lui è rima­sto impassibile come se Dio avesse trasformato il suo cuo­re in pietra e il suo canto in una semplice frivolezza. Era passata la mezzanotte quando Jalal Pasha lo ha chiama­to in un'altra stanza, gli ha messo in mano una gran quan­tità di dinaro e gli ha detto: «Senza i! tuo canto l'atmosfera della festa si intristisce. Ti supplico di accettare questo do­no, non come pagamento, ma come pegno di affetto e di ammirazione per tè. Non ci deludere». Paul ha gettato a terra il denaro e ha detto col tono di un re trionfatore: «Tu mi insulti. Non sono venuto qui per vendermi; sono venu­to per portare un buon augurio».

Jalal Pasha, perdendo la pazienza, ha cominciato a pro­nunciare rudi parole e il nostro sensibile Paul se ne è an­dato imprecando pesantemente. Ho raccolto il mio liuto e l'ho seguito, lasciandomi alle spalle le dame, il vino e il ci­bo del banchetto. Ho sacrificato tutto questo per amore del mio testardo amico, che non mi ha neanche ringrazia­to ne ha dato segni di apprezzare la mia devozione nei suoi confronti. ,

YOUSIF (ridendo) - Ho una storia molto interessante, degna di essere incisa in punta d'ago sulle pupille degli occhi.

SALEM -  Non ho ancora finito. La parte più interessante deve ancora venire. Non esiste narratore indiano o persiano che abbia mai inventato un finale così demoniaco.

PAUL (rivolgendosi ad Helen) -  Rimarrò per amor tuo, ma ti prego, di' a quella ranocchia che smetta di gracidare.

HELEN  - Lascialo parlare, Paul; ti assicuro che siamo tutti dalla tua parte.

SALEM (si accende un'altra sigaretta e continua) -  Abbiamo dunque lasciato la dimora di Jalal Pasha con Paul che in­veiva contro i ricchi, ed io che, in cuor mio. inveivo contro Paul. Ma pensate che siamo andati a casa dopo la festa? State a sentire e meravigliatevi! Tutti voi sapete che dalla parte opposta alla casa di Jalal Pasha c'è quella di Ha-beeb Saadi. Sono separate solo da un giardinetto, Ha-beeb ama bere, cantare e sognare; ed ha una vera e pro­pria adorazione per il suo idolo (indicando Pau!). Dopo aver lasciato la casa di Pasha, Paul era rimasto in mezzo alla strada, strofinandosi la fronte come un generalissimo allo studio di una tattica di attacco contro un regno ribelle. Poi, improvvisamente, si è incamminato verso la casa di Habeeb, e ha suonato il campanello.

 Habeeb è comparso in camicia da notte, fregandosi gli occhi e sbadigliando. Quando ha visto Paul e me con il liuto sotto il braccio, gli si sono illuminati gli occhi di gioia come se il cielo avesse spalancato i cancelli per farci accogliere da lui.

«Che cosa vi porta qui a quest'ora benedetta?», ci ha det­to. E Paul ha risposto: "Siamo qui per festeggiare il matri­monio del figlio di Jalal Pasha, a casa tua". E Habeeb: «La casa di Pasha non è forse abbastanza grande per voi?». «A casa dì Pasha non ci sono orecchie abbastanza sincere per ascoltare la mia musica, per questo siamo venuti da tè», ha continuato Paul. «Porta l'arak' e qualcosa da man­giare, e non far più domande.»                                                                    '  Brandy libanese.

Ci siamo seduti comodamente e dopo essersi versato da bere due volte, Paul ha aperto le finestre che danno sulla casa di Pasha, e mi ha porto il liuto dicendo: «Questo è per tè, Moses. Trasformalo in una vipera, suona bene e a lungo». Ho preso i! liuto ed ho cominciato a suonare, ob­bediente. Paul si è rivolto verso la casa di Pasha e ha can­tato a piena voce. (Salem fa una pausa, poi riprende con tono più serio.) Conosco Paul da quindici anni. Siamo sta­ti a scuola insieme. L'ho sentito cantare quando è allegro e quando è triste. L'ho sentito intonare lamenti degni di una vedova privata del suo unico figlio; l'ho sentito canta­re come un amante ed innalzare inni come chi riporta una vittoria. L'ho udito, nel silenzio della notte, sussurrare arie che incantavano i dormienti- Ho udito la sua voce in­nalzarsi nelle valli dei Libano all'unisono con campane di chiese lontane, e riempire l'aria dì magia e devozione. L'ho sentito cantare migliaia di volte e pensavo di aver or­mai conosciuto l'ampiezza della sua potenza- Ma l'altra notte, quando ha cantato rivolto verso la casa di Pasha, mi sono detto: "Quanto poco sapevo della sua vita!». Adesso comincio a capirlo. In passato ho sentito cantare con la bocca, ma l'altra notte ho percepito il suo cuore e la sua anima...Paul ha cantato un verso dopo l'altro. Ho avuto la sensa­zione che le anime degli amanti sorvolassero le nostre te­ste sussurrando, portando i ricordi di un lontano passato, le speranze dell'umanità. Sì, signori, quest'uomo (indican­do Paul) ha raggiunto gli scalini più alti della scala dell'ar­te, l'altra notte, ha raggiunto le stelle, e non è tornato fra noi sulla terra finché non è giunta l'alba. A quel punto ave­va soggiogato i suoi nemici, riducendoli alla stregua di panchetti su cui poggiare i piedi. Udendolo cantare, gli ospiti della casa dì Pasha si sono affollati alle finestre. Al­cuni sono usciti per sedersi sotto l'albero dei giardino, per­donando il loro idolo che li aveva precedentemente offesi e insultati e che adesso riempiva i loro cuori di melodie di­vine e incantatrici. Vi era chi lo festeggiava e lo lodava, al­tri inveivano contro di lui. Ho saputo da alcuni invitati che Jalal Pasha era infuriato come una belva e camminava nervosamente avanti e indietro nel salone, mentre male­diceva Paul e imprecava contro gli ospiti che avevano la­sciato il banchetto per andarlo ad ascoltare. Ebbene ades­so che avete sentito la conclusione della storia, cosa pen­sate di quest'uomo geniale e pazzoide?

KHALIL BEY -  Non biasimo Paul, perché non pretendo di capire i suoi segreti e i suoi intenti; so che sono questioni perso­nali che riguardano lui solo. Mi rendo conto che il caratte­re degli artisti, ed in particolari modo dei musicisti, è diver­so da quello degli altri. Non trovo giusto misurare il loro comportamento con il metro del senso comune. L'artista, e per artista intendo colui che riesce a dar nuove forme ai suoi pensieri e ai suoi sentimenti, è uno straniero fra la sua gente e persino fra i suoi amici. Guarda ad est quando gli altri guardano ad ovest. Lui stesso non può capire quel che lo tocca dentro. E triste fra chi si diverte, ed è felice fra chi è malinconico. Si sente debole fra i forti, e forte tra i de­boli. E al di sopra delle regole, che agli altri piaccia o no.

KHALÌL - Le tue parole, Yousif, non differiscono molto in signi­ficato dall'articolo che hai scritto sulle belle arti. Lascia che lo ripeta; «Lo spirito europeo che difendi tanto stre­nuamente, un giorno sarà la nostra rovina, come popolo e come nazione".

YOUSIF -  Pensi di poter attribuire il comportamento di Paul, ['altra sera, all'influenza europea che accusi tanto?

KHALIL -  Sono stupito da ciò che ha fatto Paul. nonostante il rispetto che ho per lui.

YOUSIF -  Paul non ha forse tutto i! diritto e la libertà di far ciò che gli aggrada della sua arte e della sua musica?

KHALIL -  Sì, in teoria egli ha il diritto di fare ciò che preferisce, ma mi sembra che il nostro sistema sociale non approvi questo tipo di libertà. Le nostre tendenze, i nostri usi, le nostre tradizioni non permettono a un individuo di com­portarsi come ha fatto Paul senza esporsi a critiche.

HELEN -  Dal momento che il soggetto di questo interessante dibattito è proprio qui di fronte a noi, perché non lo faccia­mo parlare? Sono sicura che sarà capace di difendersi,

PAUL (dopo un silenzio)  -  Avrei voluto che Salem non inizias­se questa discussione. Quel che è stato è stato. Ma sicco­me adesso sono oggetto di critiche, come ha detto Khalil, vi dirò quali sono le mie posizioni in merito.

Sapete tutti che sono stato a lungo criticato, per essere vi­ziato, capriccioso e indegno di onore. Quale può essere la ragione dì osservazioni così dure? Vanno contro qualco­sa che fa parte del mio carattere, non lo posso cambiare, e anche se potessi, non vorrei farlo. Si tratta della mia indi­pendenza che si rifiuta di essere assoldata o sedotta dalle adulazioni. In questa città ci sono tanti cantori e musicisti, ci sono tanti poeti, critici e studiosi, tanti portatori di incen­so e mendicanti. Tutti vendono la loro voce, i loro pensie­ri, e la loro coscienza, per una moneta, per del cibo, o per una bottiglia dì vino, I nostri nababbi e dignitari comprano a poco prezzo artisti e intellettuali, per esibirli nelle loro di­more come fanno con i loro cavalli e carrozze per le stra­de e nei parchi.

E vero, i cantori e i poeti in Oriente valgono un po' di più degli schiavi e dei portatori di incenso. Li chiamano per cantare ai matrimoni, fare discorsi ai banchetti, lamentare le perdite ai funerali, e pronunciare encomiastiche orazio­ni sulle tombe. Sono come macchine parlanti che sanno esprimere gioia o dolore. Se non ci sono occasioni che ri­chiedano la loro presenza, sono accantonati come utensi­li di seconda mano. Non accuso i ricchi, la colpa è dei can­tori, dei poeti e degli intellettuali che mancano di rispetto per se stessi. Li biasimo perché non disprezzano le cose triviali e frivole. Li biasimo per non preferire la morte al­l'umiliazione.

KHALIL (infervorato): Ma gli invitati ed il padrone di casa ti hanno supplicato di cantare l'altra sera. Come puoi dire che il tuo canto era un'umiliazione?

PAUL: Se l'altra sera, a casa di Pasha, fossi stato in grado di cantare, l'avrei fatto con gioia. Ma guardandomi intorno non vedevo altro che ricchi dalle orecchie piene del suono dell'onnipotente denaro, per i quali la saggezza nella vita sta nel promuovere se stessi a spese degli altri. Quella gente non poteva distinguere una poesia da una sciocca cantile­na, la vera musica e il rumore di una pentola di latta. Non voglio creare immagini da mostrare a chi è cieco o lascia­re che la mia anima canti per chi non può udire, la musica è il linguaggio dello spirito. Il suo flusso più profondo vibra fra il cuore di chi canta e l'anima di chi ascolta. Il cantore non può offrire ciò che racchiude il suo cuore a coloro che non hanno la capacità di sentire e di capire. La musica è un violino dalle corde tese e sensibili; se la tensione si allenta, non funzionano. Le corde del mio spirito si sono allentate l'altra sera a casa di Pasha, quan­do ho visto i suoi ospiti. Vedevo solo gente falsa e superfi­ciale, stupida e arida, pretenziosa ed arrogante. Mi suppli­cavano di cantare perché li avevo rifiutati- Se avessi canta­to come un ranocchio prezzolato, nessuno mi avrebbe da­to ascolto.

KHALIL (scherzando) -  E per far loro dispetto, sei andato a ca­sa di Habeeb a cantare da mezzanotte fino all'alba,

PAUL: Ho cantato per esternare ciò che racchiudevo in cuo­re, per dar la colpa alla notte, alla Vita e al Tempo. Sentivo un urgente desiderio di tendere di nuovo le corde della mia anima, che si erano allentate a casa di Pasha. Ma se pensate che io abbia fatto per dispetto, siete liberissimi di dirlo. L'arte è un uccello che si innalza libero nel cielo o va­ga felice sulla terra. Nessuno può cambiare il suo compor­tamento. L'arte è uno spirito che non si può comprare ne vendere- Noi orientali dobbiamo imparare questa verità. I nostri artisti - che fra di noi sono rari come lo zolfo rosso - dovrebbero rispettare se stessi, poiché sono vasi pieni di vino celestiale.

YOUSIF - Sono d'accordo con tè, Paul. Questo mi insegna qualcosa di nuovo. Tu sei un vero artista, ma io sono uno che cerca e ammira l'arte. La differenza che c'è fra noi è la stessa che c'è fra il vino invecchiato e l'uva acerba.

SALEM -  Ancora non sono convinto, e mai lo sarò. La vostra fi­losofia è una malattia nata dalla contaminazione di agenti estranei-

YOUSIF - Se tu avessi sentito Paul cantare, l'altra sera, non l'avresti chiamata malattia.

(A questo punto entra fa cameriera ed annuncia: "Le be­vande sono sul tavolo».}

YOUSIF -  (alzandosi dalla sedia) - II «kanafe» è pronto, ed è dol­ce come la voce di Paul.

(Tutti si alzano. Yousif, Khalil e Salem lasciano la sala. Paul ed Helen si trattengono per scambiarsi dolci sorrisi e sguardi ardenti)

HELEN - Lo sai, che ti ho sentito cantare l'altra notte?

PAUL (sorpreso)  Che vuoi dire, Helen cara?

HELEN - (timida)  Ero a casa di mia sorella quando ti ho sentito. Ho trascorso la notte li perché suo marito non era in città e aveva paura a rimanere da sola.

PAUL -  Tua sorella abita a Pino Park?

HELEN - No, abita di fronte alla casa di Habeeb.

PAUL -  E davvero mi hai sentito cantare?

HELEN - Sì. ho udito il richiamo della tua anima dalla mezza­notte all'alba. Ho sentito Dio che parlava attraverso la tua voce.

YOUSIF -   (chiamo dalla stanza accanto) -  Il «kanafe" si raffredda.

(Helen e Paul lasciano la sala.)

SIPARIO