Benteen, come on!

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“BENTEEN, COME ON

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“BENTEEN, COME ON!”

Personaggi

John Martin, primo sergente maggiore in congedo

                          Mary Martin, figlia di John

                          Giorgio Debonis, giornalista di un quotidiano napoletano

                       George Martin, figlio di John

                          Agente Walker

                       Agente Austin

New York, antivigilia di Natale, sabato 23 dicembre 1922.

   La scena rappresenta la sala da pranzo di una casa piccolo borghese di Brooklin. Mary sta apparecchiando la tavola per due per la cena. E’ sabato e non attende visite. Suona il campanello di casa…

 

Prima parte

Mary      : chi può essere a quest’ora? e poi oggi non aspettavamo               

nessuna visita. Speriamo non sia uno scocciatore, proprio a ora di pranzo (esce, si sente parlare dall’ingresso). Sì, il signor Martin abita qui ma…lei chi è?

Debonis : mi chiamo Giorgio Debonis, sono un giornalista e sono arrivato stamattina da Napoli per parlare con il Signor Martin, lei è la figlia vero?

M            : sì. Beh, se è venuto apposta dall’Italia si accomodi pure…

D           : (entrando) vedo che vi stavate mettendo a tavola…se vuole tornerò in un altro momento.

M           : ma no, si figuri…un momento solo che vado a chiamare papà (esce e, mentre aspetta, Debonis si guarda intorno esaminando soprattutto i ritratti appesi alle pareti, che rappresentano personaggi in divisa)

John        :  buon giorno, signor?

D             :  Debonis, Giorgio Debonis, nato a Napoli

J            :  quando mia figlia mi ha detto che c’era un giornalista volevo dirle di mandarlo via con una scusa qualsiasi…di giornalisti sapesse quanti ne sono venuti in tutti questi anni e non solo giornalisti ma anche storici e curiosi di tutti

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i tipi…da non poterne più ma…quando ho sentito che veniva dall’Italia e per di più da Napoli e beh allora non me la sono sentita di mandare via un mio paesano

oddìo dire paesano forse è un po’ troppo perché io vengo dalla provincia di Salerno e lei è napoletano

D               : è vero ma lo sa che mia mamma viene dalla provincia di Salerno? E’ nativa di Sala Consilina…

J               :  no! Non è possibile! Anch’io sono nato a Sala Consilina nel ’53, il 28 gennaio.

D                :  mia mamma invece è nata nel ’63.

J               : visto che siete italiano e addirittura quasi mio compaesano spero proprio che vi fermiate a pranzo qui con noi…

D              :  ma, signor Martin, non vorrei darvi troppo disturbo e poi vostra figlia avrà preparato per due e…

J                : ma cosa dite? Non scherziamo! Un compaesano non disturba mai, guardi che mi offendo se non mangia con noi…

Mary, aggiungi un po’ di pasta per il mio “amico” Giorgio

M                 :  (dalla cucina) sì papà…

J                       :  mia figlia è un vero tesoro, non finirò mai di esserle riconoscente. Quando mia moglie se ne è andata, dopo 27 anni di matrimonio e otto figli, mi ha accolto in casa sua e mi ha dato tutto l’affetto che una figlia può dare ad un padre. Adesso siamo rimasti solo noi due dopo che i miei nipoti se ne sono andati e mio genero se l’è portato via un brutto male…aveva solo quarantacinque anni…

D              : mi dispiace molto…dev’essere stato un brutto colpo per tutti voi…ma, scusi la mia curiosità, ma…il vostro vero nome non è sicuramente John Martin…

J                   : infatti, l’ho americanizzato quando sono venuto qui in America, in realtà mi chiamo Giovanni Crisostomo Martini e sono un trovatello, non ho mai saputo chi fossero i miei genitori…ma quella è una lunga storia e non vorrei annoiarvi…

D                :  sono venuto apposta qui a New York per conoscervi e far conoscere la vostra storia agli italiani, qui siete un personaggio famoso ma da noi si sa poco della storia americana.

M         :  ecco gli spaghetti con la pummarola come si usa a Napoli e naturalmente al…dente (e serve gli spaghetti tra i soliti convenevoli)

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J              : assaggiate questo vino che viene dall’Italia e che qui è un lusso ma io non posso rinunciarci, me lo manda un compaesano di Sala Consilina tutti gli anni (versa il vino e Debonis lo ferma prima che il bicchiere sia pieno).

M              : il secondo sarà un piatto irlandese anzi il piatto nazionale irlandese. Perchè la mamma, che si chiama Julia Higgins, è di origini irlandesi e io mi sento anche un po’ irlandese e mi piace, di tanto in tanto, ricordare la mia doppia origine, dico queste cose perché so che papà ormai ha superato il brutto momento, che passò dopo la separazione, anzi addirittura adesso si scambiano gli auguri nelle feste importanti e ai compleanni…

J             : ma tu (possiamo pure darci del tu, tra compaesani… e poi al mio paese si usa dare del tu a tutti, forse è il tu degli antichi romani che non usavano il lei)…tu, dicevo, sarai venuto per intervistarmi sulla battaglia del Little Big Horn…

D               : sì, certo, anche se la mia, in realtà, non vuole essere un’intervista (anche se, come vede… oh! scusa, come vedi, ogni tanto prendo degli appunti, anzi, a proposito, non ti disturba mica questo, ma, sai, ho paura di non ricordarmi tutto). Io vorrei conoscerti meglio per presentare ai miei lettori l’eroe del Little Big Horn come un uomo, che ha vissuto un’esperienza che sicuramente gli ha lasciato il segno…

J                 : prima di parlare di cose tristi godiamoci questi meravigliosi spaghetti eh…la mia figliola è una cuoca con i fiocchi (e bacia con trasporto sulla guancia Mary lasciandole la traccia del sugo di pomodoro) oh! Scusa Mary (e lei si pulisce sorridendo con il tovagliolo)

M    : papà, come al solito tu esageri, sì, è vero, mi piace cucinare ma di lì ad essere una grande cuoca ce ne passa…

J     : sei sempre la solita modesta, che ne dici, Giorgio?

D     : questi spaghetti sono una vera delizia, non hanno niente da invidiare a quelli che si mangiano a Napoli, complimenti alla cuoca…

M     : grazie ma lei è troppo gentile (arrossendo un po’ perché quel giovanotto è tutt’altro che un brutto ragazzo e ha colpito la giovane vedova).

M     : è la pura verità.

J      : e sentirai che delizia il DublinCoddle, il piatto irlandese di cui parlava prima Mary.

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D      : di cosa si tratta? Scusami ma io di piatti tipici di altri paesi non mi intendo molto, non ho ancora viaggiato molto all’estero.

J       : Mary, spiegagli tu com’è fatto.

M      : è il piatto che mangiavano il sabato sera i dublinesi benestanti ed è uno stufato a base di cipolle, patate, mele, bacon e salsiccia, un piatto piuttosto robusto come vede e viene accompagnato, in Irlanda, da una bella pinta di Guiness.

D       : veramente non so se riuscirò a fare onore al secondo dopo il bel piatto di spaghetti che ho divorato ma un assaggio lo farò ben volentieri.

J       : beh, anch’io ne prenderò un assaggio.

M      :  non ne ho preparato molto proprio perché sapevo che dopo un bel piatto di pasta non c’è più molto posto per lo stufato. Adesso scusate ma vado in cucina a prendere il Coddle, che ormai sarà pronto.

J       : ancora un po’ di vino? (accennando a versare dell’altro vino a Debonis)

D       : no,no, grazie ma sa io non sono un gran bevitore e poi vorrei rimanere lucido per non perdermi nulla di questa conversazione.

J        : (diventando improvvisamente pensieroso) a volte mi sembra ancora disentire la voce del generale (noi lo chiamavamo così anche se era solo colonnello, generale lo era stato durante la guerra di secessione per le esigenze contingenti della guerra): “trombettiere!” “Signorsì!” risposi e lui: “tornate subito indietro al galoppo, raggiungete il capitano Benteen e ditegli di accorrere immediatamente. C’è un grosso villaggio e gli indiani saranno molto numerosi. Voglio che porti anche dei rifornimenti, con lo squadrone del capitano McDougall. Avete capito bene?” “Signorsì!” ma, mentre giravo il cavallo, il tenente Cooke, l’aiutante maggiore, mi fermò, scrisse su un foglietto gli ordini e me lo consegnò. Temeva che la mia non certo perfetta padronanza dell’inglese potesse creare degli equivoci. Presi il biglietto, me lo infilai in un guanto e spronai il cavallo. Risalii tutta la colonna che era in fila per quattro e aspettava gli ordini. Alla fine della colonna mi girai ancora un attimo e quello che vidi fu Custer che alzava il braccio nel segnale di “avanti!”. (con un po’ di commozione nella voce) Fu l’ultima volta che vidi il “generale” e i miei compagni vivi…(pausa di qualche secondo) e mi sembra ieri, invece sono passati quarantacinque anni…

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D         : certo, perdere di colpo tutti quei compagni, con cui si era condiviso tutto, dev’essere una cosa terribile…come si fa a dimenticare?

M          : ecco il Coddle (e mette in tavola un tegame di terra cotta con il piatto irlandese)

J           : (riprendendosi dalla tristezza dei ricordi) bene! Sentirai, Giorgio, che delizia…(nell’orecchio del commensale) anche se i piatti della cucina italiana sono un’altra cosa…

M          : sei sempre il solito…guarda che ho sentito sai? Ma vedrà, signor Debonis, che le piacerà…(e cominciano a mangiare)

J           : dimmi un po’, Giorgio, in Italia come vanno le cose dopo la guerra? Ho letto di quel Mussolini, del suo Partito Fascista e della “Marcia su Roma” di circa due mesi fa, se non sbaglio…

D           :  si stanno preparando momenti difficili per chi non la pensa come loro…ed io, che sono sempre stato tendenzialmente un socialista, pur senza essermi mai iscritto al partito, mi trovo in una situazione piuttosto…come dire?...imbarazzante…

J           :  mi dispiace veramente…certo tu, lavorando nell’informazione…

D           :  il mio direttore, che è un fascista della prima ora, sta continuando a perseguitarmi con la richiesta di prendere la tessera del Partito Fascista, mi dice sempre: “il partito ha bisogno di bravi giornalisti e voi siete il  migliore che ho” e io cerco di tergiversare, gli dico che devo pensarci e intanto, tutte le volte che nei miei articoli c’è qualche frase non proprio in linea con le sue idee, mi chiede di correggerla…

J            : e tu cosa pensi di fare?

D            : la paura di perdere il posto di lavoro temo che mi convincerà a seguire il consiglio del mio capo…tappandomi il naso…certo potessi trasferirmi in un paese dove c’è un regime democratico…ma adesso continua il tuo racconto

J            : sì, d’accordo. Ad un certo punto, vidi un gran polverone che proveniva dalla parte nord della valle, sentivo distintamente spari e urla di indiani e capii che i soldati del maggiore Reno stavano per essere sopraffatti. Erano quelli che per primi avevano preso contatto con il nemico e adesso si stavano sbandando. Spronai di nuovo il cavallo, dopo aver rallentato un po’, e proprio in quel momento un gruppo di indiani mi individuò e cominciò a sparare contro di me,

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sento due colpi che mi sfiorano, allora, in preda al panico, cerco di spingere il cavallo al massimo delle sue possibilità e lui, anche se ha un piccolo scarto, si

lancia in una corsa sfrenata…in quei momenti ho pensato alla mia Sala Consilina, ho avuto il desiderio di scappare ma c’erano degli ordini da eseguire e io dovevo andare fino in fondo.

D            : capisco che momenti come quelli rimangano incisi in modo indelebile nella memoria di un uomo…

M            : signori, lo gradite un buon caffè alla napoletana?

D             : e come no. Voi, Mary, siete veramente una perfetta padrona di casa (le sorride e rimane un attimo in contemplazione, Mary esce)

J              : (John se ne accorge e capisce che potrebbe nascere qualcosa tra la figlia e il giornalista e non lo disapprova) scusa l’indiscrezione ma tu sei sposato?

D             : no, purtroppo no, non ho mai trovato la mia anima gemella…mi piacerebbe avere una famiglia…

J             : ah, sei ancora scapolo…bene, bene

D            : che cosa vuoi dire con quel “bene, bene”?

J             : niente, niente, dicevo così per dire…lo fumeresti un buon sigaro cubano? Ho imparato ad apprezzarli quando ero sergente del 3° reggimento artiglieria durante la guerra ispano-americana per il possesso di Cuba ne ‘98

D             : non sono un gran fumatore ma un buon sigaro non si rifiuta mai (si accendono il sigaro e se lo gustano apprezzandone l’aroma fino a quando entra Mary con un vassoio su cui c’è la caffettiera napoletana, le tazzine e la zuccheriera)

M       : ecco il caffè…quanto zucchero?

D       :  due, grazie, che profumo, mi sembra di essere a Napoli…anche il caffè bisogna saperlo fare e voi, signora Mary, lo sapete fare…

M       :  non sono mica una “signora” io, chiamatemi pure solo Mary…

D       :  certo che è incredibile che qui a New York, che è alla stessa latitudine di Napoli, faccia freddo così e sia nevicato così tanto…

J        : eh sì, quì gli inverni sono sempre molto rigidi però, nonostante il clima, si vive bene…e tu non hai mai pensato di trasferirti in America.

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D        : sinceramente no. Ma adesso…(guardando l’orologio) si è fatto tardi e vi lascio, vi ho già disturbati fin troppo. Grazie di quello che mi hai raccontato e spero di rivedervi prima o poi.

J        : quando farai ritorno in Italia?

D        : ho la cabina prenotata per lunedì alle otto del mattino.

J        : ma, in questo caso, perché non vieni domani pomeriggio per una tazza di thè? Così potrei raccontarti ancora qualcosa della mia avventurosa carriera di soldato garibaldino prima e americano poi. Allora accetti l’invito?

D        : (lanciando uno sguardo a Mary) molto volentieri, grazie.

 

(stringe la mano a John ed esce accompagnato da Mary)

Fine prima parte

Seconda parte

 (il sipario si apre sulla stessa scena della prima parte. Mary, vestita in modo molto più elegante di prima e con un abito sobrio ma che mette in evidenza la sua figura snella, sta apparecchiando per il thè. Tra il resto ci sono degli scones che sono tipici dell’Irlanda. Sistema anche dei fiori su un mobile cantando una canzoncina allegra)

: (entrando, anche lui vestito in modo più elegante di prima) era un bel po’ che non ti sentivo cantare così, che cosa ti è successo?

: niente, è che sono allegra, tutto qui (e continua la sua canzoncina)

J   : e tutta quell’eleganza…

: ogni tanto potrò vestirmi in modo un po’ più ricercato…

J   : ok, ok

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: beh, anche tu, da quando ti metti il papillon per prendere il thè del pomeriggio? (subito dopo suona il campanello e Mary ha un piccolo sussulto) Il campanello…(rimane ferma in completa confusione)

J   : ho sentito, sono vecchio ma ci sento ancora bene…allora, vogliamo aprire la porta?

M   : sì, ce…certo, va…vado subito…

(dopo un istante ricompare piuttosto emozionata) è…è il signor Debonis, prego, si…si accomodi.

D    : (entra il giornalista con un mazzolino di fiori e un pacchetto, che si rivelerà una scatola di sigari cubani) buon pomeriggio John, i miei ossequi, signora. Mi sono permesso di portarle questo piccolo omaggio (guardandola con ammirazione senza staccarle gli occhi di dosso per qualche secondo). E questo è per te, John, un piccolo segno della mia riconoscenza per l’accoglienza che mi hai riservato ieri.

M e J (all’unisono) : ma non doveva/i disturbarsi/ti così ( si bloccano e sorridono)

J    : prego, accomodati

D    : grazie. Ma lei, signora si è disturbata troppo…vedo delle cose deliziose.

M   : aspetti di averle assaggiate per dire se sono deliziose. Sono dolci che ho imparato a cucinare dalla nonna irlandese.

J    : (aprendo il suo pacchetto) ma questi sono i miei sigari preferiti, grazie ma non dovevi. Ma tu sei venuto per sapere qualcosa di più sulla mia vita di soldato.

D    : sì, è vero ma in voi ho trovato anche… (leggermente commosso) degli amici e poi domani è Natale…

J     : devi sapere che già a tredici anni mi ero arruolato  nel Corpo Volontari Italiani sotto il comando di Giuseppe Garibaldi come tamburino e partecipai alla campagna in Trentino e poi lo seguii nella battaglia di Mentana l’anno dopo…eh sì, ce l’ho sempre avuto nel sangue di fare il soldato…e così, quando sono venuto qui in America nel ’74, visto che non riuscivo a trovare un lavoro stabile mi sono arruolato nell’esercito. Ricordo ancora la traversata da Glasgow (dov’ero andato a cercare fortuna) a New York sulla S.S. Tyrian insieme a tutti quei disperati come me…che momenti! Ricordo ancora come fosse ieri quel primo giugno, avevo 21 anni e un sacco di speranze…nell’esercito americano mi arruolarono come trombettiere.

D    : quante avventure! Ma dimmi qualcosa di più su Little Big Horn.

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J   :  prima gustiamoci questi ottimi scones…a me piacciono con un po’ di marmellata di arance amare spalmata sopra, prova…(Debonis esegue) eh? Che ne dici?

D   : una vera prelibatezza.

J   :  tornando indietro con gli ordini per il capitano Benteen sentii il desiderio forte di essere al mio paese in quei pomeriggi assolati, magari con lo stomaco

vuoto ma al sicuro…e quando sentii i proiettili che mi passavano vicino la paura fu tanta ma la paura, quella vera, mi mette addosso una grinta tremenda. Non esistono soldati che non hanno paura, esistono solo soldati che la sanno gestire e soldati che non la sanno gestire e scappano…

D   : raggiunto il capitano Benteen che cosa è successo?

J    : quando vidi gli uomini del capitano cominciai ad agitare il cappello in modo da farmi riconoscere per non rischiare che qualche commilitone mi sparasse. Consegnai immediatamente il foglietto del tenente Cooke al capitano e lui, data un’occhiata al messaggio mi chiese: “cos’è successo al tuo cavallo?” “Dev’essere sfinito, signore”. “Sfinito? Guardate lì, sul collo e ringraziate il Cielo che non è toccato a voi…” Il cavallo sanguinava da due ferite d’arma da fuoco al collo. Povera bestia, ecco perché aveva fatto così fatica ad arrivare fin lì. “Ora tornate al vostro squadrone e fatevi cambiare la cavalcatura. Poi resterete aggregato a noi. Raggiungeremo insieme il generale”. Il mio squadrone era lo squadrone H sotto il comando del capitano Benteen e faceva parte del 7° cavalleggeri di Custer. Quel mattino ero stato aggregato alla colonna di Custer e ne ero molto fiero perché pur

non amando, come tutti, il “generale”, ne subivo il fascino dovuto al suo incredibile coraggio e alla sua fama di infallibilità…

M   : ancora un po’ di thè, George, posso chiamarla così?

D    : ma certo, anzi mi fa molto piacere. Un po’ di thè lo gradirei ancora, grazie

M   :  prenda ancora un po’ di dolce…no faccia complimenti.

D    : volentieri perché è davvero delizioso (e la guarda con ammirazione)

J    :  ha imparato molto dalla mamma e dalla nonna, che erano cuoche bravissime.

D    : non ha mai pensato di aprire un ristorante?

M   : chissà, forse un giorno…

D    : quando tornasti da Custer che cosa trovasti?

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J    : il generale aveva sferrato l’attacco subito dopo che io mi ero avviato verso le retrovie ma essendo in duecentoquaratadue contro circa cinquemila per loro non ci fu scampo. Quando arrivammo gli indiani ormai avevano completamente sbaragliato la colonna di Custer e noi non potemmo fare altro che dare manforte al maggiore Reno, che era in difficoltà e solo dopo tre giorni riuscimmo a respingere gli indiani e a ritirarci.

D    : tu eri l’unico italiano presente in quella battaglia?

J    : no, c’erano anche un certo Felice… come si chiamava già di cognome? Aspetta ce l’ho sulla punta della lingua… ah, ecco… Vinatieri, che era il capo della banda del reggimento, il povero Frank… Frank Lombardi, anche lui musicista, eh! bisognava sentirlo suonare il clarinetto… era un vero artista e poi Giovanni De Voto e Giovanni Casella e tutti e quattro morirono quel maledetto pomeriggio. L’unico italiano sopravvissuto (oltre me) fu il tenete Carlo di Rudio, che faceva parte del gruppo del capitano Marcus Reno. Ma di Di Rudio avrete sentito parlare anche voi in Italia perché partecipò con Felice Orsini al fallito attentato a Napoleone III nel ’58.

Fuggito dal bagno penale della Caienna si rifugiò nella Guyana inglese e di lì in Inghilterra dove c’era la sua famiglia, con la quale poi emigrò in America dove si arruolò come volontario nella guerra civile poi, nel ’65 entrò nell’esercito come effettivo. Dal ’69 faceva parte del 7° cavalleggeri di Custer.

 Fu uno spettacolo veramente shockante vedere tutti quei compagni e il generale nudi e molti senza lo scalpo. Gli indiani li avevano spogliati di tutto, non solo delle armi. Il generale però, con i suoi capelli corti non aveva subito lo scempio dello scalpo.

: certo, fu terribile.

J   : se vuoi potrei farti vedere anche alcune vecchie fotografie di quell’epoca, devi solo avere pazienza qualche minuto…devo cercarle, la mia memoria ormai

comincia a fare cilecca e non ricordo bene dove le ho messe…se mi scusi un momento…

: ma figurati…(esce)

:  (che è stata pazientemente ad ascoltare) sapesse quante volte ho già sentito queste cose, le so a memoria…ogni volta che le racconta sembra riviverle…povero papà, ne ha viste di cose nella vita…queste sono solo una piccola parte…la sua è stata un’esistenza tutt’altro che facile…ma di voi non avete detto molto…

:  non c’è molto da dire, dopo la laurea in lettere, tramite un mio zio, che lavorava al giornale, sono riuscito a entrarvi e ho fatto tutta la gavetta fino a diventare, da qualche mese, redattore della sezione estero…Questo è il mio primo viaggio oltreoceano…a Napoli mi è rimasta solo la mamma, papà purtroppo è mancato tre anni fa per quella brutta epidemia, che si è portata via un sacco di

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persone in Italia, la “spagnola”…ma volevo confessarle una cosa anche se mi costa molto ma, visto che devo partire domani ve la devo dire…io..ecco…non so come cominciare…vede…è che dal primo momento che l’ho vista ieri, quando mi ha aperto la porta…ecco…io…ho avuto come un…un tuffo al cuore e non ho smesso di pensare a lei…mi scusi ma non potevo fare a meno di dirglielo, lo so sono stato…come dire?...un impertinente…mi deve scusare…ma l’idea di non vederla più mi fa stare male da morire…

M   : non si deve scusare, lei si è comportato come un vero signore e le devo confidare che…che…

D   : che?

M   : che…che anch’io ho provato la stessa sensazione…è strano…non mi era mai successo…io non so come…

J   : (entra con una scatola in mano, guarda i due, che sono un po’ imbarazzati, e capisce subito tutto, fa un sorriso e posa la scatola sul tavolo) finalmente le ho trovate in soffitta, Mary, un giorno o l’altro bisognerà che mettiamo un po’ d’ordine lassù, non ci si capisce più niente…

M   : certo, papà, hai proprio ragione…

J    : (capovolge la scatola, da cui escono una gran quantità di vecchie fotografie e lui comincia a esaminarle) ecco qui c’è l’unico cavallo sopravvissuto alla carneficina, si chiamava Comanche. Questa è una foto del generale Custer con i capelli lunghi ma al Little Big Horn li aveva corti, chissà, forse aveva il presentimento di quanto sarebbe successo e non voleva lasciare lo scalpo agli indiani…mah. Ah, questo è il capitano Benteen e questo sono io in divisa da Primo Sergente Maggiore, il grado con cui fui congedato, il 7 gennaio del 1904.

Ecco il mio figlio primogenito, che chiamammo George come il generale Custer. Adesso George è vicedirettore di uno dei più importanti giornali di New York. Qui c’è tutta la famiglia riunita per la festa del mio congedo. Questi sono i miei figli militari. Qui sono ritratto all’epoca della guerra ispano-americana per il possesso di Cuba nel ’98…Quanti ricordi…Ah questa me la scattarono quando facevo il bigliettaio alla 103° Street Station qui a New York e questa è la pasticceria che gestivo con mia moglie,  poco dopo il congedo…certo che di cose ne ho fatte nella mia vita, è stata una vita molto intensa…Questa è Mary appena nata e qui quando ha fatto la Prima Comunione…

: era molto graziosa davvero…anche adesso…(piuttosto imbarazzato, guardandola) devo dire che è molto…volevo dire che…che è una persona che…

:  non ti preoccupare, Giorgio, sono vecchio ma non ancora rimbambito, ho capito tutto, fin dal primo momento e non ti biasimo perché devo ammettere, non perché è mia figlia, ma è proprio una bella ragazza, fin da quando andava a

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scuola tutti i ragazzi se la contendevano ma lei li teneva a debita distanza…eh sì è sempre stata una ragazza straordinaria e, quando mi sono trovato da solo, è lei che ha insistito perché venissi a vivere qui con lei, anche se era ancora vivo mio genero, che, devo dire, era anche lui un bravo ragazzo…che mi ha sempre trattato con un grande rispetto…

: (Mary è molto imbarazzata ma felice) papà tu sei sempre esagerato con le tue lodi, ho fatto solo quello che fa una figlia quando il papà ha bisogno di lei…

: non è vero, non tutte, ho degli esempi che dimostrano che non tutti i figli sono come te.

: purtroppo però io dovrò ripartire e l’idea di andarmene mi…mi fa star male da morire…(in quel preciso istante suona il campanello)

: Mary, per favore, vai ad aprire (Mary si avvia). Ma chi sarà a quest’ora?

: papà, è George.

: (entrando e abbracciando e baciando il padre) Ciao, papà, come stai? Stavo rientrando a casa dopo l’ufficio e mi è venuta voglia di vedere il mio vecchio e la mia sorellina (stringendole le spalle), ma, scusate, voi avete visite ed io…

: anzi, sei il benvenuto, ti presento il signor Debonis, Giorgio Debonis, pensa che viene addirittura da Napoli ed ha attraversato l’Oceano solo per intervistarmi…

: molto lieto (stringendogli la mano con molto calore), anch’io mi chiamo Giorgio, anzi George. Quindi tu sei un giornalista, allora siamo colleghi e possiamo darci del tu…

: ma certo. Sono molto felice di conoscere un collega americano, oltretutto un vicedirettore di un grande quotidiano newyorkese…

: sono ancora in tempo per una tazza di thé?

: ma certo, fratellone…sono proprio contenta che tu sia passato di qui, era un po’ di tempo che non ti facevi vedere…

: ma, guarda, è un periodo che sono impegnatissimo col lavoro e oggi è stato proprio un caso eccezionale che sia riuscito a sganciarmi così presto …

: e i tuoi ragazzi come stanno?

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: benissimo di salute ma…per il resto sono un po’ scapestrati…a scuola per fortuna vanno abbastanza bene…

: non ti lamentare dei tuoi figli, con i tempi che corrono devi già ritenerti fortunato e se poi a volte vanno a bersi un bicchierino nei locali dove servono clandestinamente alcoolici, beh, non è poi una cosa così grave, anch’io…

: lo so, ma io non posso dirgli che va bene…

: certo, certo, hai ragione (sorseggiando il suo thé)

: Giorgio, dimmi, come si sta in Italia? So che  le cose sono cambiate… con questo…Mussolini…chissà dove andrete a finire…speriamo che sia un fuoco di paglia…oh, mi scusi, magari lei è fascista e…

: no,no, non ti preoccupare, tutt’altro…la situazione è veramente preoccupante…siamo finiti sotto una dittatura che, temo, sarà difficile da scalzare…

: leggo sempre i giornali italiani e conosco gli ultimi avvenimenti…ma vedrà che sarà un fuoco di paglia…a proposito di giornali italiani, mi è venuta in mente una cosa di cui mi parlava non più di mezz’ora fa il direttore. Mi chiedeva, sapendo delle mie origini italo-americane, se conoscevo un giornalista italiano per gestire e coordinare i rapporti con il suo paese, sa, esaminare la stampa italiana, corrispondere con gli organi ufficiali italiani, con i giornali italiani, con gli intellettuali, magari, di tanto in tanto recarsi sul posto, ecc. ecc. A te non interesserebbe un lavoro di quel tipo? Se vuoi martedì mattina ti accompagno dal mio direttore, non ti assicuro niente ma cercherò di convincerlo…allora?

: ma…veramente…io martedì…ecco…avrei la nave per il ritorno e…(poi guarda Mary)…certo, come dicevo poco fa a suo padre, se potessi rimanere in America ne sarei felice…sa, al giornale dove lavoro, l’atmosfera è diventata irrespirabile…l’avvento dei fascisti al potere è stata una vera sciagura…e poi io non me la sento proprio di adeguarmi…

:  se posso darti un consiglio non perdere quest’occasione, potrebbe non presentarsi più…

: la tentazione è grossa…(e lancia un’occhiata a Mary)…e…e va bene verrò…(Mary non riesce a contenere la sua gioia e corre ad abbracciarlo)

: (si ricompone) scusatemi, non so che cosa mi sia preso…e…

: io lo so che cosa ti è preso (e voltandosi verso George, che è rimasto sorpreso), è che si è innamorata, ecco che cosa le è preso ed io ne sono felice (abbracciandoli

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tutti e due) e vi auguro che tutto vada per il meglio…e adesso, mio caro Giorgio, vada al suo albergo a prendere la sua roba e la porti qui…la cena è alle otto…

: ma io non vorrei…non vorrei che voi…vi disturbaste troppo…

: è troppo tempo che la stanza degli ospiti non viene utilizzata…

: queste due giornate sono state le più belle della mia vita (finalmente abbraccia Giorgio con trasporto). Ah, papà, mentre io preparo la cena potresti farmi il favore di andare al negozio di fronte a prendere del burro, mi sono accorto prima di averlo finito.

: agli ordini, comandante, (rivolto a Giorgio) Mary è un vero comandante sai, pretende obbedienza assoluta…(poi, baciando sulla guancia la figlia) scherzo, sai, è una figlia adorabile.

: (rivolto a Debonis) allora ti aspetto martedì alle nove nel mio ufficio ed ora devo proprio andare.

: Ma martedì è S. Stefano, è festa…

: in Italia ma non qui negli Stati Uniti…

: allora d’accordo e…grazie (stringendogli calorosamente la mano)

:  (baciando il papà e la sorella) Buon Natale, papà, Buon Natale, Mary. Domani pomeriggio verremo tutti quanti a farvi gli auguri…(esce seguito dalla sorella)

: adesso possiamo lasciare che Mary prepari la cena, (rivolto a Mary) noi andiamo…a fra poco (esce)

: a più tardi, Mary (e la bacia per la prima volta)

(visto che Debonis si attarda si affaccia e poi scompare di nuovo tossendo rumorosamente dal vestibolo, Debonis allora si affretta ed esce anche lui)

Una volta usciti John e Debonis Mary sospira guardando la porta da dove è uscito Debonis. Rimane qualche secondo come in trans, persa nei suoi pensieri e poi comincia a sfaccendare per preparare per la cena. Accende la radio e si sente della musica da ballo. Dopo qualche secondo squilla il telefono e lei va a spegnerla prima di andare a rispondere.

 

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M    : pronto? Ah sei tu, Louise…grazie, Buon Natale anche a te, a Michael e ai bambini… sì, papà sta bene, a parte i suoi soliti dolori reumatici…no, adesso è uscito per fare delle compere ma tornerà fra poco… sì, certo, ti farò chiamare appena rientra… e voi come state… ma… davvero?… che bella notizia, ne sono proprio felice e per quando sarà? Che meraviglia! Se avrai bisogno di me sai che sono sempre a disposizione della mia sorellina… sì, domani pomeriggio va benissimo… (esitando un momento) anche a me è successa una cosa… una cosa meravigliosa… ma… come hai fatto a indovinare? Sei sempre la solita strega, hai sempre avuto un sesto senso… è bellissimo e ha dei modi da vero gentiluomo napoletano, è intelligente, è colto, è…è…insomma è stato un colpo di fulmine. E’ venuto apposta dall’Italia per intervistare papà a proposito di Little Big Horn… domani lo vedrai… (sospiro). E pensa che forse non tornerà più a Napoli, George spera di farlo assumere al suo giornale… Ok, a domani, un bacio…ciao, ciao…

Appena riappesa la cornetta squilla il campanello e Mary corre ad aprire, dopo un attimo entrano lei e Debonis con la sua valigia.

: (abbracciandolo e baciandolo)  hai fatto in fretta…

D   : ho avuto la fortuna di trovare subito un taxi e poi il mio albergo non era molto lontano. E tuo padre? Non è ancora tornato?

M   : avrà incontrato qualche suo amico e…

D    : infatti, quando l’ho lasciato stava chiacchierando con un signore anziano…

M   : vieni (e lo prende per mano), ti faccio vedere la tua camera (ma lui la ferma prendendola per la vita e la abbraccia e lei si divincola). Dai, vieni

Escono e dopo qualche secondo suonano alla porta

: (andando ad aprire) come al solito ha dimenticato le chiavi…

Walker : (la voce viene dal vestibolo) lei è la signora Martin?

: sì e voi… chi siete?

: io sono l’agente Walker e questo l’agente Austin, possiamo entrare un momento?

: (molto preoccupata) prego (entrando con gli agenti), accomodatevi… ma… che cosa è… successo?... E’ accaduto qualcosa a mio padre?

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Austin  : si sieda, signora, La prego… purtroppo dobbiamo darle una brutta notizia (Mary è sconvolta e sta già per esplodere in un pianto disperato) suo padre…suo padre ha avuto un… incidente mentre attraversava Livingston Street, quì di fronte, un camion lo ha investito…ha tentato di frenare ma con il ghiaccio che si è formato dopo la gelata di oggi non è riuscito a fermarsi… mi dispiace…

: è solo ferito vero?... E’ solo ferito… non è…

A   : signora, mi dispiace veramente ma… è…

: è… è morto?

: purtroppo sì…

Debonis si avvicina a lei, che si rifugia tra le sue braccia scoppiando in un pianto disperato

: no! No! Non è possibile, siete sicuri che sia lui?

A   : aveva addosso i suoi documenti… signora creda che ci dispiace molto… oltretutto lo conoscevamo bene anche noi, era veramente un brav’uomo… ci dica che cosa possiamo fare per lei…

: (tra i singhozzi) grazie, ragazzi… adesso dov’è

: è al Medical Center di Brooklyn, quando è stato soccorso dava ancora qualche segno di vita e allora è stato trasportato in ospedale ma quando ci è arrivato era già… Se vuole possiamo accompagnarLa noi in ospedale…

: Mary, lascia che venga con te…

: sì, ti prego (alzandosi a fatica e appoggiandosi a lui)

:  Mary, non temere, non ti lascerò più.

: sì, Giorgio, ti prego, rimane con me.

: stai tranquilla, non tornerò a Napoli, a costo di fare il lavapiatti per il resto della mia vita… (escono tutti quanti e si chiude il sipario).

Fine