Di che viviamo di che moriamo

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DI CHE VIVIAMO DI CHE MORIAMO

TITOLO ORIGINALE: " WOVON WIR LEBEN VND WORAN WIR STERBEN"

Radiogramma

diHERBERT EISENREICH

TRADUZIONE DI ITALO ALIGHIERO CHIUSANO

                                   

PERSONAGGI

FELIX HILDEBRANDT

TINO CARRARO

KARIN, sua moglie

LILLA BRIGNONE

Commedia formattata da

 (Musica - velata - trasmessa da una radio).

Karin                             - Un'altra fetta di prosciutto?

Felix                              - (lievemente irritato) Ti ho già detto due volte di no.

Karin                             - Scusa, ma... Non hai mangiato quasi niente, a colazione.

Felix                              - (pronto) Non ho appetito. (Pausa. La musica della radio. Scattando) Fammi il piacere, spegni quella radio! (La musica cessa di colpo. Pausa).

Karin                             - (tenta un timido approccio) E'... è acca­duto qualcosa?

Felix                              - (stizzoso) E me lo chiedi? (Pausa. Poi, con agitazione mal contenuta) E' sempre stato così, Wessely!

Karin                             - Sei stato da Wessely?

Felix                              - Sa benissimo, quello, dove può strisciare e dove può fare il bullo! Un tempo, prima ch'io lo facessi entrare nella ditta, mangiava bucce di patate e dormiva nelle casse del carbone. Adesso, invece, adesso... Ah, ma perché sto a scaldarmi! Quel ver­me non lo merita. (Pausa).

Karin                             - Sicché niente anche stavolta.

Felix                              - L'importante è non farne una tragedia. Francamente, da Wessely non mi sono mai ripro­messo molto.

Karin                             - Ma a me, ancora un paio di giorni fa, avevi detto che, quand'anche tutto fosse andato per traverso, ti sarebbe pur sempre rimasto Wessely.

Felix                              - Ci si può ingannare su una persona.

Karin                             - (con intenzione) Anche tu?

Felix                              - Non ci vuol molto, adesso, a far dell'ironia.

Karin                             - (stanca) Non intendevo farne, sai. (Pausa) Davvero non vuoi mangiare più nulla?

Felix                              - Vorrei solo dormire...

Karin                             - Andiamo a Ietto, allora.

Felix                              - Adesso, alle sette e mezzo? Lo sai che sono solo le sette e mezzo?

Karin                             - Ma sei hai voglia di dormire...

Felix                              - Andare a letto adesso, e poi star sveglio per delle ore, pieno fino al vomito di rabbia per quel maiale!

Karin                             - Che cosa ha detto?

Felix                              - Detto"? Ha mentito, una filza di menzo­gne... (Per inciso, secco) Una sigaretta anche tu?

Karin                             - Sì, grazie. (Sigarette accese) Grazie.

Felix                              - (espirando una profonda boccata) Come se potesse darla a bere a me. Un sacco di luoghi comuni sugli alti e bassi del mercato, sull'estrema prudenza da osservare nel prevedere l'esito di un prodotto... come se tutto ciò escludesse la pubblicità. Quando gli ho posto la questione in questi termini, lui ha cambiato registro e ha intonato un'altra musica: i tempi cambiano, dice, e quel che un paio d'anni fa andava ancora bene, adesso non va più, nella pubblicità soprattutto. Un agente pub­blicitario, dice, deve andare coi tempi... (Violento) Dio del cielo, come s'io non fossi mai andato coi tempi!

Karin                             - (senza rimprovero) Non è un motivo per far cadere la cenere sulla tovaglia.

Felix                              - Non c'è raggiro, non c'è imbroglio che non abbia tentato anch'io! Ah, sono andato coi tem­pi, non dubitare! Accidenti, se ci sono andato!

Karin                             - Ma Wessely, intanto, ti ha dato la pol­vere.

Felix                              - Verme strisciante! (Pausa) E poi, c'è una bella differenza tra creare una cosa dal nulla e man­tenerla in vita. Una differenza sostanziale. (Sprez­zante) Ma cosa vuoi che Wessely capisca!

Karin                             - E tuttavia il capo, oggi, è lui.

Felix                              - Capo! Quando sento questa parola... Capo! Chi tiene su la baracca, intanto, sono i suoi dipen­denti, non lui.

Karin                             - Tu nemmeno, però, a quanto pare.

Felix                              - (piccato) Dubito molto che le tue osser­vazioni pungenti contribuiscano a migliorare la no­stra situazione.

Karin                             - Sta di fatto, comunque, che Ermendinger e Drabil e Weiss sono ancora sempre nella ditta, e tu invece no.

Felix                              - Ah sì, questo è vero: tutti quelli che ho fatto entrare io adesso sono dentro, sissignore. Pur­troppo! Io ho messo su la baracca, l'ho fatta funzio­nare e prosperare, e quei cari signori a cui ho inse­gnato il mestiere si dividono adesso la torta. E quando sono proprio di buon umore, si degnano di assicurarmi il pane per un altro trimestre!

Karin                             - Ma perché sono in ditta loro, adesso, e tu no?

Felix                              - Discutere con te è più faticoso che con Wessely!

104.

 

Karin                             - Ma ci sarà pure una ragione.

Felix                              - (urla) Una ragione! Una ragione! (Ride ad altissima voce).

Karin                             - (interrompendolo) Ssst! Piano, Felix! Sve­gli i bambini.

Felix                              - (a voce più hassa, cinico e amaro) Sa il diavolo per quale ragione proprio oggi (scimmiot­tando) sono purtroppo partiti per tempo indetermi­nato, si trovano sfortunatamente in commissione e non possono essere disturbati, sono (che disdetta!) spaventosamente oberati di lavoro... e questo ogni volta che vorrei chieder loro qualche cosa... quegli stessi signori che un paio d'anni fa (scimmiottandoli di nuovo) mi chiedevano se avevo la gentilezza, la compiacenza di passare un momentino da loro, caro signor Hildebrandt, vi preghiamo di credere che sappiamo apprezzare le vostre straordinarie capacità e conoscenze nel campo pubblicitario, naturalmente non avreste da pentirvi neanche dal lato economico, se voleste decidervi, in avvenire, ad arricchire la nostra ditta col tesoro della vostra... (Resta in tron­co, spossato).

Karin                             - Hai dovuto pentirti, invece?

Felix                              - No, certamente. Ma ora... Razza di fur­fanti.

Karin                             - Credi che vogliano farti abbassare le tariffe?

Felix                              - Questo no. In fondo, non sono mai stato pagato molto meglio di chiunque altro facesse il mio mestiere. (Pausa) No, no! Mi ricantano sempre la stessa canzone      - (scimmiottandolo) le vostre trovate non hanno più la stessa attrattiva sul pubblico, non sono più abbastanza originali, non rispondono più del tutto alle esigenze odierne. (Grida, iroso) Ma che sono stato io...

Karin                             - Zitto! I bambini.

Felix                              - (moderandosi) Che sono stato io a dar vita alla Mitras, questo se lo sono scordato, eh? E quella maledetta grana del Fenisol, e Kunisch... Come se non fossi stato io, poi, a lanciare il Vir­sana! Proprio il Virsana! Non avrebbero smerciato neanche un etto di quella famosa porcheria, se non fossi riuscito a dimostrare che quello schifo non era uno schifo, ma oro colato! Io, capisci? Io! Ma adesso, a sentir loro (scimmiottando), non sono più abba­stanza originale!

Karin                             - E se davvero tu non fossi più abbastanza originale?

Felix                              - Perché lo dice quel deficiente di Wessely?

Karin                             - (cercando di rabbonirlo) Non sono io che la penso così, Felix. Io, anzi, sarei portata a pen­sare che ciò che tu fai è altrettanto buono, e forse anche meglio di quel che facevi un tempo.

Felix                              - Ma certo che è meglio! Avrò pur imparato qualcosa, no?, in questi anni... Ma è proprio questo il punto: il mio lavoro è troppo buono. Sono troppo intelligente, io. E guai, oggigiorno, a essere intelli­genti. Questo vale per la pubblicità come per qua­lunque altra cosa abbia attinenza col grosso pub­blico. Oggi bisogna che tutto sia talmente piatto da poter entrare nella più piatta delle intelligenze. (Pausa) Del resto è inevitabile! Quanto più grande è il numero di coloro ai quali mi rivolgo contem­poraneamente, tanto più grossolano sarà il mio di­scorso, tanto meno potrò far appello al singolo. Se cento persone marciano insieme in un'unica dire­zione, non potranno camminare più in fretta del più lento della compagnia; così se io mi rivolgo insieme a cento persone, sarò costretto a cercar delle parole che anche il più sciocco di loro possa affer­rare all'istante.

Kabin                            - Non dev'essere necessariamente così.

Felix                              - Ma in effetti lo è. E' la tendenza del no­stro tempo. Dato che, a quanto si dice, non si pos­sono costringere gli imbecilli a diventare persone in­telligenti, si costringono le persone intelligenti a rin­negare e possibilmente a dimenticare la propria in­telligenza, presupponendo che il livellamento verso il basso sia innanzitutto più facile e poi anche prefe­ribile al livellamento verso l'alto.

Karin                             - E se le persone intelligenti non si pre­stano al giuoco?

Felix                              - Ma sì che si prestano: basta domarle! Tutta l'arte della formazione dell'opinione pubblica consiste solo nel domare le poche intelligenze ri­belli. Ed è facilissimo: li si esclude dalla società e non si permette loro di rientrarvi che a patto di sacrificare la loro intelligenza. (Con una risata ama­ra) Basta aver la coerenza di trattare tutti gli uo­mini come si tratta il più stupido di loro. Basta abituarli all'idea che esiste una base sulla quale tutti gli uomini possono incontrarsi: il livello spi­rituale del troglodita.

Karin                             - Non so, Felix... Non vedi forse gli uo­mini peggiori di quel che sono? Dove sono, ad esem­pio, questi trogloditi?

Felix                              - Ma in ciascuno di noi! Ogni uomo ha in sé il suo troglodita, come ha il suo... be', diciamo il suo Goethe. Ma il guaio è questo: che il nostro troglodita interiore viene incoraggiato e favorito, mentre lo sviluppo del nostro Goethe interno viene ostacolato, impedito e ridicolizzato. E in questo sen­so agiscono i giornali, la radio e il cinema, la poli­tica dei partiti consiste unicamente in questa tattica e noi del settore pubblicitario, poi, applichiamo que­sto metodo in forma addirittura superlativa. Ma chi domanda qualcosa alla massa, finisce per diventarne vittima. Per anni e anni abbiamo lavorato il nostro pubblico, l'abbiamo modellato secondo le nostre esi­genze: ed ecco che a un certo momento, appena suscitati i primi bisogni, il pubblico ci ha preso la mano... La fiera ha fiutato il sangue, e adesso è impossibile tenerla a freno. Ci ha così spinti nelle più folli esagerazioni, nelle esaltazioni più triviali e cretine, tanto che si è ormai raggiunto il diapason. Ormai non ci si può più superare a vicenda che nella stupidità, nelle affermazioni più melense e nei più detestabili luoghi comuni... insomma, nel cercare e trovare qualcuno ancor più stupido e abbas­sare il pubblico al suo livello. E questo, lo am­metto, i signori Wessely ed Ermendinger lo sanno fare assai meglio di me, per il semplice motivo che è più consono alla loro intelligenza! (Pausa).

Karin                             - Ed è questa, a parer tuo, la ragione?

Felix                              - Non ne vedo altre.

Karin                             - (esitante, riguardosa) Non credi piuttosto che vedi tutto così... così nero per avere una giusti­ficazione qualsiasi, una scusa davanti a te stesso?

Felix                              - Ma se è proprio questo che intende Wes­sely quando parla di andare coi tempi: farsi più stupidi, livellarsi verso il basso... (Con violenza) Ma io non posso, non posso farmi più stupido di quel che sono! (Pausa) E poi non ho più voglia di aver parte in quest'imbroglio, in quest'immenso bluffi

Karin                             - (a bassa voce, pensosa) Durante tutti que­sti anni eri entusiasta del tuo lavoro...

Felix                              - (pensoso) Entusiasta... Dio mio, ho cer­cato di lavorare il meglio possibile. E non nego che la cosa m'interessasse, dopo i noiosi anni dell'an­teguerra, là nell'azienda del mio (caricato) caro zio. E poi, era un ramo per il quale ero tagliato, e perciò era naturale che mi piacesse, e le possibilità erano più che promettenti... (Pausa) Non sapevo, allora, in che ingranaggio sarei entrato. Non lo sapevo davvero. (Soprapensiero, disgustato) Creare bisogni nuovi... (Pausa) Il cinquanta per cento di tutti i prodotti che l'America lancia oggi sul mercato, cin­quant’anni fa non ' esistevano nemmeno, figurati un po'! Oppure fa' un giretto per la nostra città e da' un'occhiata alle vetrine...

Karin                             - (ironica ma non malevola) E' meglio di no, sai!

Felix                              - ...e dimmi sinceramente di che cosa hai davvero bisogno, in tutto quell'ammasso di robaccia. Se sei sincera dovrai riconoscere che di tutto quel ciarpame non ti occorre assolutamente nulla. Da che mondo è mondo la gente è sempre vissuta senza quel frigorifero e senza quella crema per la pelle e senza quell'abito di classe e senza sa il diavolo che altro ancora, e probabilmente non viveva peggio di noi. Ma adesso, ad un tratto, tutta 'sta roba è diventata indispensabile, dicono!

Karin                             - Parli così adesso.

Felix                              - Perché adesso?

Karin                             - Adesso, che non abbiamo più i soldi per comprare tutte queste cose.

Felix                              - Perché attraversiamo un momento un po' difficile...

Karin                             - Un momento...?

Felix                              - (a bassa voce) Una volta non ci facevi caso.

Karin                             - (assorta) Una volta...

Felix                              - (concreto) Sì.

Karin                             - (un po' trasognata) Sì... (Pausa).

Felix                              - (riprendendo l'avvio) Parlerò con Kersten. Kersten è sempre stato leale con me, un uomo più che corretto... E poi, mi deve della gratitudine. Quando ebbe delle difficoltà con Kunisch... Kersten non mi abbandona di certo.

Karin                             - Le stesse cose che hai detto di Wessely.

Felix                              - (con una certa impazienza) Kersten è un uomo d'onore, lo so di sicuro. (Pausa) Sarà forse meglio che gli telefoni oggi stesso, non ti pare?

Karin                             - Se te ne riprometti qualcosa... Del resto, bisogna che tu vada a telefonare altrove: il nostro telefono, ce l'hanno tagliato oggi. (Pausa).

Felix                              - Per un paio di giorni sapremo farne a meno.

Karin                             - Oh, io senz'altro. (Pausa).

Felix                              - Non credi, Karin, che tutto... che tutto si rimetterà a posto? Che tutto tornerà in ordine? Che ridiventerà come prima? (Con intensità, a bas­sa voce) Meglio di prima, forse?

Karin                             - E tu ci credi? (Pausa).

Felix                              - Io sì. (Pausa) Basta che ci sosteniamo a vicenda, come un tempo.

Karin                             - (con disincanto) Credi proprio?

Felix                              - Sì. (Pausa) Karin! (Pausa) Karin, senti, io sono sicuro, sicurissimo che tutto tornerà come... Ah, Karin, perché mi rendi tutto così difficile? Non vedi come mi sforzo di...? L'importante è non scoraggiarci, non mollare alla prima difficoltà. Dob­biamo superare questa crisi! Non è vero, Karin?

Karin                             - Sì, sì... se lo dici tu...

Felix                              - Da Wessely non c'era da aspettarsi nulla, lo avevo sempre saputo. Ma ora parlerò con Kersten, e lui vedrai che mi aiuta. O presso la « United Tobacco »...

Karin                             - (lo interrompe, pronta) ...dove oggi sa­resti capo del servizio pubblicità, se avessi accettato l'offerta che ti fecero due anni addietro.

Felix                              - Ma è assurdo! Devo lavorare in libertà, io. Devo poter scegliere liberamente ciò che mi conviene.

Karin                             - Sì, liberamente... Come adesso!

Felix                              - Ma Karin, se ti dico che passerà! E' una crisi, nient'altro.

Karin                             - Già, una crisi... Da più di un anno!

Felix                              - Cerca almeno tu di non essere amara, Karin!

Karin                             - Scusami. Non intendevo esserlo, Felix.

Felix                              - E' un momento, questo, in cui non dob­biamo lasciarci prendere dai nervi, Karin. Dobbiamo resistere fino alla prossima commissione importante. Basta che riceva una sola grossa commissione, in­vece di tutta questa minutaglia che non rende un soldo, e ti assicuro che siamo fuori dei guai. Lascia­mi riprender fiato un momento solo, e vedrai se non torniamo a salire.

Karin                             - Che ne diresti di vendere la macchina?

Felix                              - Impossibile! E chi sarei più, senza una macchina? Credi che mi si prenderebbe ancora sul serio se arrivassi in tram davanti alle grandi aziende, dove parcheggiano le Mercedes fuori serie? Non se ne parla nemmeno! Già mi pento di non aver comprato, a suo tempo, dopo la Volkswagen, una Mercedes di medio calibro, invece della Rekord!

Karin                             - E se la disdicessi almeno per sei mesi?

Felix                              - Ma ti ho già spiegato perché non è pos­sibile!

Karin                             - Tra poco non saprò più che cosa met­tere in tavola.

Felix                              - La macchina, per me, è necessaria, cerca di capirlo! In un'epoca come la nostra... se non riesci a figurare...

Karin                             - Già, ma bisogna anche mangiare e pagare l'affitto e vestirsi... per non parlar dei bambini.

Felix                              - Certo, anche quello. Difatti non ti rim­provero mica.

Karin                             - Avremmo dovuto mettere qualcosa da parte.

Felix                              - E come, quando tutto è così caro? Vole­vamo un bell'appartamento, la macchina, un ricco guardaroba, la villeggiatura, e mangiar come si deve e bere e ricevere ospiti o uscire dopo cena... e... e i bambini, di' un po', credi che non costino niente?

Karin                             - (dura) Lascia fuori causa i bambini, ti prego!

Felix                              - Sai benissimo che li ho voluti quanto te. (Pausa) E poi, tu dimentichi sempre una cosa: le spese, cioè, che comporta il mio lavoro. Su ogni biglietto da mille marchi, è tanto se di netto mi avanza la metà, non dimenticarlo.

Karin                             - Quando hai cominciato non avevi spese: allora non avevi bisogno della macchina né di un alloggio con tutte le comodità... e quanto a man­giare, ti accontentavi di qualunque... Ah, per carità non farmici ripensare. (Pausa) A quel tempo tutto andava bene, tutto era in ordine: senza spese, sen­za macchina, senza «cocktails»...

Felix                              - Faremo economia il più possibile.

Karin                             - Non ne siamo più capaci. Tu, almeno, certamente.

Felix                              - Basta che abbia uno scopo, Karin... come allora... e vedrai che ci riuscirò di nuovo. Non sapevo fare economia, forse, a quel tempo? Eccome se lo sapevamo.

Karin                             - Io sì.

Felix                              - Anch'io, Karin, abbi pazienza. Non sono mai stato un leggerone.

Karin                             - Be', non discutiamone, ti prego.

Felix                              - Perché rendi il mio compito così dif­ficile?

Karin                             - Non lo faccio apposta, ti assicuro.

Felix                              - Invece d'infondermi coraggio, me lo togli.

Karin                             - (con un'ombra di stupore) Davvero, Fe­lix? Faccio davvero così? Non lo vorrei per tutto l'oro del mondo, Felix!

Felix                              - (incalzante) Ma intanto lo fai! Sei di uni­corne dire?... sei di una torturante obiettività. Come se tutto ciò non ti riguardasse. Una volta eri così diversa. (Pausa) Mi capita spesso, in questi tempi, di ripensare a come abbiamo cominciato... Non è stata un'epoca meravigliosa, per noi due?

Karin                             - Ti ricordi ancora... (la voce quasi le man­ca) così bene... (riprendendosi) di quel tempo?

Felix                              - Eccome, se me ne ricordo! E oggi più che mai. (Pausa)..

Karin                             - (stanca) Bene, tanto meglio. (Pausa).

Felix                              - (disincantato) Sei davvero molto cambiata.

Karin                             - Trovi?

Felix                              - Sì.

Karin                             - Più vecchia?

Felix                              - Ma no! Naturalmente, siamo invecchiati, si sa. Ma non è questo che intendo. Gli è che sei... (Pausa) Oh, Karin, a volte ho la sensazione che non t'importi più di nulla.

Karin                             - (con passione) No, Felix, questo non devi dirlo! Non è vero.

Felix                              - Ne sei proprio sicura? (Pausa).

Karin                             - Felix, talvolta ho accolto il pensiero di come sarebbe se...

Felix                              - Se? (Pausa).

Karin                             - Non so. Lasciamo andare...

Felix                              - (marcato) Hai accolto il pensiero di ab­bandonarmi.

Karin                             - (veemente) No, Felix, no! (Pausa) Ah, perché abbiamo cominciato a parlare di tutte que­ste cose? Ora tutto è distrutto... tutto... (singhioz­zando) tutto... (Pausa) No, Felix! A questo non ho mai pensato. Ma se ti avessi abbandonato davvero, oggi, forse, non tutto sarebbe perduto. (Prossima al pianto) Ma no, Felix! Non ho mai pensato di ab­bandonarti.

Felix                              - (con dolcezza) Karin!... Karin, non pian­gere! Su, prendi una sigaretta... To'...

Karin                             - Grazie. (Viene acceso un fiammifero).

Felix                              - Ne parleremo più tardi con più calma, va bene? L'importante è che non... Mi ascolti, Karin? (Pausa) Ricominceremo tutto daccapo.

Karin                             - (debolmente) Come se nulla fosse acca­duto, da allora?

Felix                              - Be', non proprio allo stesso modo. Ma in­somma: dobbiamo sostenerci a vicenda, come una volta.

Karin                             - (disperata) Ma non è più come una volta!

Felix                              - (supplichevole) Ma può ridiventarlo!

Karin                             - No, che non può più. (Pausa. Poi sotto­voce, intensa) Felix, hai detto poc'anzi ch'io non sono più quella di un tempo. Sì, è vero: sono cam­biata. Ma non lo sapevo, ti assicuro... Ho pensato alle cose più diverse, ma in fondo il mio pensiero era uno solo: che cosa dovesse mai succedere per­ché tutto ridiventasse come un tempo. Ora, però, che finalmente siamo venuti a parlarne... ora sol­tanto mi accorgo che la cosa non ha più senso... che ormai è troppo tardi. (Pausa) A tutta prima, Felix, quando hai cercato di spiegarmi tutte quelle cose a proposito della pubblicità e della formazione dell'opinione pubblica e tutto il resto, mi è quasi parso, per alcuni istanti... (quasi sognante) che tutto fosse come prima. (Disperata) Ma io, invece, che cosa ho fatto? Delle osservazioni pungenti, ho fatto, ti ho irritato, ti ho demoralizzato... (prossima a pian­gere) benché non lo volessi, benché proprio non Io volessi. Ma vedi, Felix, gli è che non sono più capace d'altro. Sono diventata un'altra: non mi ri­conosco più nemmeno io! (Pausa) Qualcosa, in me, si è spezzato, qualcosa che mi legava al nostro pas­sato, al nostro meraviglioso passato. Oggi sono un'al­tra: non sono più la donna di un tempo. (Pausa) Durante tutti questi anni di attesa credevo ancora di essere la stessa. Soltanto adesso, soltanto oggi, da quando abbiamo cominciato a parlarne, mi accorgo... Oh, Felix, se non avessimo mai cominciato a par­larne! Oh Felix, mio caro povero Felix!... (Piange).

Felix                              - Su, Karin, ora ti stai montando la testa... Karin, senti! Tutto dipende da noi, da nessun altro che da noi.

Karin                             - (interrompendolo) Ho la miglior buona volontà, Felix, ma non sono più buona a nulla... (Forte) Io voglio, voglio far tutto ciò che possa salvarci, tutto ciò che possa servire, che possa appro­dare a qualche cosa. Ma ciò che sono ancora in grado di fare, potrebbe farlo per te qualsiasi altra donna, qualsiasi altra persona al mondo. Qualsiasi automa. Qualsiasi robot!

Felix                              - Ma Karin! Quello che conta è proprio che sei tu a farlo!

Karin                             - Io? Io?... E chi sono ancora, io?... Felix, intendimi bene: io lo voglio, ma non lo posso più fare. E' come se cercassi di ricordare una cosa, ma la cosa non ti viene in mente.

Felix                              - Vuol dire che cercheremo di ricordarla insieme.

Karin                             - Non faremo più nulla insieme, Felix. Tu ormai sei solo.

Felix                              - Non sono solo! Tu sei con me. Io ho bi­sogno di te!

Karin                             - (triste) Ti sarò così poco utile come un organo che ormai non serviva più e che perciò si è atrofizzato... si è consumato... è morto.

Felix                              - (appassionato) No, no! Ti sbagli! Non è possibile!

Karin                             - Dici di no? Che non è morto? Forse per­ché il mio cuore batte ancora? Oh, Felix! Il cuore continua a battere anche quando ha ormai cessato da tempo di sentire qualcosa. (Pausa) Ho letto, una volta, che ogni sette anni tutte le cellule del nostro corpo si rinnovano. Eppure, apparentemente, si è gli stessi. Ebbene, io ho l'impressione come se le mie cellule si fossero rinnovate, ma rimettendoci la loro intima vita. (Pausa) Lo ignoravo io stessa. Non immaginavo neppure che esistesse una cosa simile. (Pausa) Per anni e anni ho aspettato, mi sono tenuta pronta, pensando sempre che non sarebbe ancora stato troppo tardi. Fino a poc'anzi, quando final­mente abbiamo cominciato a parlarne, ci credevo ancora fermamente. Ho aspettato, e non sapevo e non capivo quanto l'attesa ti conaumi, quanto ti estenui il cuore, quanto misero e logoro e inservi­bile ti renda un essere umano. (Pausa) Perciò, se a quel tempo, quando cominciai ad aspettare, ti avessi abbandonato, invece di aspettare e di aspet­tare ancora, oggi, forse, che hai bisogno di me, po­trei tornarti vicina : non incolume, forse, forse piena di ferite e di cicatrici, ma intatta nel più profondo di me stessa. Invece ti sono rimasta accanto, e così sono morta in tua vece, e nessuno di noi due se n'è accorto. Di nulla, ci siamo accorti! Fino ad oggi... Io l'ho capito solo adesso che son morta... (Pausa) Morta, senza saperlo... (Pausa. Poi, in tono più con­tenuto e obiettivo) Non sono stati gli anni cattivi a logorarmi, a rendermi inservibile : no, sono stati gli anni buoni! Questi ultimi anni, ch'erano pro­speri che l'uno credeva di non aver più bisogno dell'altro!

Felix                              - (sbigottito) Karin! Per l'amor di Dio, Karin, non ho forse avuto cura di te, non ho fatto tutto quel che potevo per...

Karin                             - (interrompendolo) Sì, Felix, hai avuto cura di me: mi hai comprato abiti eleganti, mi hai fatto fare viaggi meravigliosi, hai lasciato che avessi le mie amiche e le mie serate di « bridge » e il piano­forte, hai rispettato i miei gusti e perfino i miei capricci, hai esaudito tutti i miei desideri... No, Felix, non mi è mancato nulla di tutto ciò che rende piacevole l'esistenza... Una sola cosa mi è mancata: la coscienza di esserti necessaria, io, io sola tra tutte. Tu mi hai dato tutto, Felix, tranne questa sensa­zione. Parlo di allora, quando sarebbe stata vera­mente necessaria: negli anni buoni, cioè. (Pausa) Negli anni difficili è una certezza ovvia: un avver­sario visibile, sensibile ci stringe l'uno all'altro, fa sì che uno abbia bisogno dell'altro, non fosse che per fare il palo mentre l'altro, sui binari della ferrovia, raccoglie pezzi di carbone.

Felix                              - (vivace, ricordando con gioia) Già, l'ab­biamo proprio fatto, nel primo inverno dopo la guerra! Te ne ricordi ancora, eh?

Karin                             - Ma negli anni prosperi... negli anni pro­speri si poteva avere qualunque cosa col danaro. Quando avevamo bisogno di qualcosa, si tiravano fuori i soldi, si firmava un assegno e il problema era risolto. Ma quello che sembrava lusso e sovrab­bondanza non era in realtà che una mortale pri­vazione progressiva; ciò che sembrava ricchezza era in fondo la più squallida aridità. (Pausa) E io ho atteso: ho atteso come chi sta per morir di sete, straziata e divisa in me stessa. La parte più terri­bile del mio cuore aspettava la morte, quella più ottimistica, invece, un po' d'acqua... e giorno per giorno credevo sempre di poterla ricevere, come una mendicante, quella goccia d'acqua che mi avrebbe salvata. Ma tu eri inaccessibile, eri tutto preso dalla tua... dalla tua attività, eri chiuso nella prigione che ti eri costruita tu stesso, e della quale eri così fiero... in una sorta d'intangibilità che ti eri acquistata re­galandomi un vestito da sera, facendomi trascor­rere due settimane sul Mare del Nord o nella Fo­resta Nera, offrendomi fiori e spumante nell'anni­versario delle nostre nozze... (Pausa) Oh, ero ben sola!

Felix                              - Ma, e i bambini? Non avevi forse i bam­bini?

Karin                             - I bambini? Già, i bambini... Ma questa è un'altra cosa, Felix: non è un... surrogato per ciò che mi facevi mancare. (Subito) Sì, Felix, lo so: molte donne si consolano coi loro bambini di un matrimonio divenuto ormai sordo e vuoto. Ma io non ne sono mai stata capace. Dicono che i ciechi sviluppino un senso del tatto e dell'udito addirit­tura straordinari: ma credi che sia una consolazione che basti a far loro dimenticare la cecità? No, Felix! La felicità che mi hanno dato i bambini non mi ha mai fatto dimenticare l'infelicità ch'era nata tra noi due. Una parte della mia anima, quella rivolta a te, è stata sempre sola, in tutto questo tempo. Cento volte, mille volte mi sono proposta d'implo­rare da te quella goccia d'acqua che mi avrebbe salvata; di liberarti, per amore o per forza, dalla tua schiavitù, dalla prigionia di te stesso. Quante volte ti ho atteso alla finestra, la fronte contro i vetri, tendendo l'orecchio a ogni automobile, a ogni tintinnio di chiavi, a ogni passo in anticamera, e intanto pregustavo, soppesavo dentro di me tutto ciò che volevo dirti, cercavo le parole adatte, le parole convincenti per aprirti gli occhi, quei tuoi occhi abbagliati dal successo... (Animandosi via via) Ti vedevo arrivare, la borsa sotto il braccio, co­gliere, con la mano libera, un fiore nel giardino... Suoni il campanello, io corro ad aprirti, e tu mi chiedi se c'è posta per te, se il tale o il tal altro ha telefonato, io ti accompagno in camera, prendo il tuo cappello, ti verso un bicchierino di cognac, un altro anche per me, e ti dico: (Ambiente sonoro del tutto diverso).

Karin                             - (molto vivace, ora, giovanile e piena d'espres­sione, le pause sono calcolate in modo da dar l'im­pressione di un dialogo) Cin chi, Felix! Ma per­ché non ti siedi? (Pausa) Devi scappar subito? Ma riposati almeno un quarto d'ora! Ti sei affaticato abbastanza, oggi. Lo sai che cominci a farmi paura? (Pausa) Ma sì, mi fai paura. Mi sembra di vederti sparire in un ingranaggio che ne ha già divorati tanti, prima di te. Sparire per sempre (Pausa) Come mi viene in testa? Ma basta guardarti, Felix! Non sei neanche più un essere umano, Felix: solo più solo più la rotella di una gran macchina (Pausa) Certo, Felix, lo so: devi essere in gamba, nel tuo lavoro, devi cercare di far strada, di guadagnare per tutti noi... ma... Vedi, caro, a volte penso che do­vresti prenderlo un po' meno sul serio, tutto que­sto. (Pausa) Siamo d'accordo che sono cose impor­tanti, ma non al punto che tu sacrifichi loro tutto te stesso. (In fretta) Prendi un altro cognac? (Ri­dendo) Ecco, lo vedi come sei? Non fai che sbir­ciare l'orologio: «che ore sono?»... Tutto regolato alla perfezione, tutto previsto, calcolato, pianificato. Sei già un meccanismo vivente, come una macchina d'orologeria. Le si dà la carica, e quella cammina, automaticamente, senza volontà propria, senza una idea personale, senza... senza godere né di se stessa né del mondo... (Pausa) Da che cosa me ne ac­corgo? Da tutto ciò che fai, Felix! Ogni cosa ha il suo scopo, deve servire a un determinato fine, avere un suo valore calcolabile. Quando bevi un cognac, fai perché stimola la circolazione. Vai a nuotare, perché il nuoto è uno sport che tiene in esercizio tutto il corpo, e non più perché vuoi sentirti leg­gero e sollevato, come facevi un tempo. Se mangi un'arancia, lo fai per le vitamine che contiene. Il mondo, ormai, ti è divenuto così ovvio e prevedi­bile, che non sai più stupirti, non sai più gioire, non sai più fermarti e raccoglierti un momento. (Pausa) tuo lavoro! Ti ripeto, Felix, che sono sincera­mente felice di vederti così pieno di cure per noi. Te ne sono grata, davvero. Ma a volte, vedi, mi viene una certa paura: e i fiori che mi offri, il ve­stito che mi regali, la tua gentilezza, il tuo irrepren­sibile contegno nei miei riguardi... tutto ciò mi di­venta improvvisamente sospetto, non mi fa più tanto piacere... Felix, vedi, a volte ho l'impressione che ci sia troppa routine in tutto quel che fai. La vita, per te, è diventata una specie di servitù, alla quale ci si è abituati e che perciò non pesa quasi più affatto: ci si è abituati al punto da pensare che non esista alcun altro genere di vita. (Pausa) Oh no, Felix, no! No! Non è stato sempre così! Un tempo era diverso. (Pausa) Sì, molto più bello. Più vivo. Non te ne ricordi più, Felix. (Pausa) Dici ch'erano tempi disperati. Sì, è vero: ma noi non ci siamo disperati mai, ecco il miracolo! Eravamo pieni di coraggio, di entusiasmo, di fiducia reciproca: oh, eravamo uniti, in quegli anni tremendi! Nulla ci scoraggiava. Senza appartamento, si mangiava sì e no, niente guada­gni regolari, niente parentele facoltose... niente di niente! Nessuno che volesse darci un'opportunità... Eppure ce l'abbiamo fatta, abbiamo sfondato, con le nostre sole forze! (Pausa) Non io sola, Felix: ab­biamo resistito tutti e due! (Pausa) Quella volta, ricordi?, che tuo zio tentò di riaverti nella sua azienda. (Pausa) Credeva che tu stessi per morir di fame e che ti saresti venduto per un piatto di lenticchie! Oh sì, me ne ricordo benissimo! Fosti lì lì per accettare la sua offerta, purché l'incertezza, la precarietà della nostra esistenza avessero termine, in un modo o nell'altro. Ma allora sarebbe stata la fine di tutti i tuoi progetti, da tuo zio ti saresti are­nato: lui non ti avrebbe mai dato la possibilità di far strada! (Pausa) Dimmi, Felix, non era forse mio dovere sconsigliarti un passo simile, assicurarti che ce l'avremmo fatta lo stesso? E infatti, un paio di mesi dopo eravamo a cavallo, avevi ricevuto la prima commissione importante... Oh, caro, come mi sentii felice! Felice da morire! Ed ero così fiera di te! (Pausa) Ti ricordi, quando andammo insieme a far le compere? Era il tuo primo paio di scarpe dopo la fine della guerra! E a me regalasti quel braccia­letto d'argento... Quando lo metto, mi sembra di portare un'onorificenza! Mi capisci? (Pausa) Non parlare dei miei meriti, Felix! Non era tutto più che naturale, per me? Agire altrimenti mi sarebbe parso un omicidio... un omicidio verso di te. (Subito) Vuoi un altro cognac? (Pausa) No, non voglio affatto trattenerti, Felix, ma vorrei solo preservarti da una cosa: dal pericolo che tu cessi di essere un uomo vivo: un uomo ch'io posso amare perché egli stesso è in grado di amare. (Pausa) Non siamo ancora a questo punto, ma sento già che la fredda atmosfera del successo ti si allarga man mano intorno. A volte ho come un brivido, quando ti sto accanto... là dove un tempo mi sentivo sicura e riparata come in nes­sun altro luogo. Ripenso così spesso ai nostri primi anni di vita in comune: al tempo dei nostri veri successi. Abbiamo sofferto, allora, ma abbiamo an­che gioito: oggi, invece, siamo incapaci dell'uno e dell'altro. (Pausa) Se la situazione è grave?... Credo che non lo sia ancora del tutto. Finché mi stai a sentire, finché mi chiedi se la situazione è grave, penso che non sia poi proprio gravissima... So, co­munque, che molte cose sono cambiate. Tu non sei più quello di una volta. Lo spirito che ci ha ani­mati all'inizio è ormai disperso, e ormai non ci resta che il sordo, affannoso dovere di aver successo : una caccia, in cui il cacciatore diventa il cacciato. (Pausa) Quali errori, dici?... Be' ci ho pensato molto, sai, e ora credo che l'errore sia questo: di scambiare i mezzi per il fine. (Pausa) Ciò che mi colpisce, nella nostra vita, è la falsa opinione che i bisogni, una volta destati, si possano appagare anche in un altro modo, direi quasi: anche per forza, invece che con la rinuncia volontaria, con la coscienza che tutto ciò che ci rende felici in fondo non è affatto neces­sario per renderci felici, se vogliamo che ci renda felici davvero. (Subito) D'accordo, godiamoci pure il nostro bell'alloggetto, l'automobile, la cameriera, ogni tanto un viaggio in Italia, le primizie com­prate nei migliori negozi della città, e la sera invi­tiamo pure ospiti e beviamo spumante e cognac francese... tutte cose che possiamo e dobbiamo avere, ma solo a patto di non dimenticare che le dobbiamo alla nostra felicità, e non viceversa! Ma noi abbiamo invertito i concetti, Felix, ed è per questo che non siamo più felici. (Pausa) Perché non siamo più fe­lici, sai: davvero, non lo siamo più. E non torne­remo più ad esserlo finché non avremo di nuovo imparato a mantenere le nostre esigenze al di sotto di quello che possiamo effettivamente avere. (Pausa) Al di sotto, ripeto, perché ormai non credo più che l'appagamento di ogni possibile desiderio ci possa rendere felici. (Pausa) Che cosa penso, Felix?... Vedi, io penso che possiamo essere felici solo se siamo li­beri. E liberi si è soltanto nella misura in cui si rinuncia spontaneamente ad appagare, a rnettere in atto qualcuno dei nostri possibili desideri. Ma fin­ché ci lasciamo spingere di soddisfazione in soddi­sfazione, di desiderio in desiderio, noi non potremo mai essere felici, sai... né tu né io... né nessuno... (Pausa) Che cosa hai fatto, che cosa hai omesso di fare, chiedi? In che modo ti sei giocata la felicità?... Ebbene, io credo che tu ti sia lasciato abbagliare dal successo, che tu abbia cessato di dargli il giusto valore: hai perso la coscienza dei tuoi limiti. Avevi successo, e pensavi che doveva essere così. Tutto ti sembrava logico e ovvio, benché non lo fosse af­fatto. (Pausa. Poi in fretta) Sì sì, so cosa vuoi dire: che la vita è più piacevole, più bella, più umana quando abbiamo le scarpe impermeabili e l'alloggio riscaldato e il corpo ben nutrito e una quantità di amici e la fama di essere una persona in gamba e arrivata, che non quando si vive in un bugigattolo senza riscaldamento, col cartone al posto dei vetri, coi danari sì e no per mangiare in piedi alla tavola calda, e la necessità di andar mendicando da un'an­ticamera all'altra e non ricevere altro che vaghe promesse e amabili consigli. Sì, lo so, lo so! Tu avevi terrore anche solo di pensarci, a quei tempi: un terrore che si faceva tanto più grande, quanto più in alto ti portava l'ondata del successo. Per carità, via dalla memoria la povertà, l'indigenza, l'angu­stia soffocante della nostra vita di un tempo! Quan­do i tuoi pensieri tornavano un attimo a quegli anni, ti prendeva un vero e proprio ribrezzo di quel ge­nere di esistenza, e un terrore, un terrore panico, che tutto ciò potesse ripetersi: quella vita precaria, piena di fame, di freddo e di rinunce, nella più assoluta dipendenza degli altri, dalla loro volontà e dai loro capricci, piena di umiliazioni e di avvili­mento, piena di dubbi su noi stessi... (Pausa) Come lo so? Ma Felix! Non sono forse vissuta per anni accanto a te, con te? Giorno per giorno ho visto la situazione peggiorare, quanto più il tuo successo cresceva. Sì, Felix, lo so benissimo: più ti andava bene, più aumentava il tuo terrore, più si gonfiava, ingigantiva la paura che tutto quello non fosse an­cora del tutto superato, non fosse ancora irrevoca­bilmente passato, potesse anzi tornare ogni mo­mento. La tua paura ingrandì e continuò a ingran­dire, e a un certo punto temesti di star solo sognando il tuo benessere e che da un momento all'altro ti saresti svegliato, ritrovandoti in mezzo alla miseria e al bisogno di cui credevi di esserti liberato per sempre. Non pensiamoci solo più! ti dicevi. (Pausa) Eri entrato in una spirale senza fine e non avevi il coraggio di uscirne con un salto nell'ignoto. (Pausa) Oh sì, Felix, lo so: in un angolo del tuo cuore hai sempre conservato il ricordo del nostro passato. L'immagine di quei tempi non l'hai dimenticata del tutto: ma essa si oscurava, man mano che in te cresceva la paura. Quest'immagine, che un tempo era così bella, anche per te. (Pausa) Quest'immagine che ci aveva dato forza. (Pausa) Quest'immagine che ce ne darà ancora, se riusciremo a disperdere quel che ora la copre. (Pausa) Sì, noi due, Felix! Noi due. Da solo, nessuno di noi due è in grado di farlo. Ma se proviamo insieme... (Pausa) Allora sì che la paura scomparirà, come se non fosse stata che un brutto sogno... (Pausa) Lo vuoi, Felix? (Pau­sa) Sì che ci riuscirai! (Pausa) Con me? (Pausa) Certo con me. (Pausa) Non sono forse al tuo fianco? (L'ambiente sonoro dell'inizio).

Karin                             - (di nuovo stanca, vecchia, apatica) Ma tu non eri presente, il colloquio non era avvenuto che nella mia fantasia. E me ne accorgevo quando il campanello suonava veramente e tu rientravi a casa. Corro alla porta, ti apro; tu mi chiedi se c'è posta per te, se ha telefonato il tale o il tal altro... Io ti accompagno in camera, prendo il tuo cappello, ti verso un bicchierino di cognac, un altro anche per me, e ti dico: (Altro ambiente sonoro).

Karin                             - (vivace, ma con continue ricadute in un tono freddo, triste, deluso) Cin cin, Felix! Ma perché non ti siedi?

Felix                              - (tra sé, stizzito) Chissà perché Drabil non ha telefonato! (Pausa) Che ore sono?

Karin                             - Le quattro passate.

Felix                              - Passate di quanto? Sai che ogni minuto, per me, è prezioso.

Karin                             - Son quasi le quattro e un quarto.

Felix                              - (mormora, irritato) Che contrattempo... (forte) Qual è il numero degli Stefanis? 44-16...?

Karin                             - Un momento... Ste-fa-nis... 44-16-89.

Felix                              - Ah già, confondo sempre l'89 col 98. Suc­cede anche a te? (Forma un numero al telefono).

Karin                             - Io non telefono mica tanto come te.

Felix                              - La mia memoria, da qualche tempo, è come un setaccio: non trattiene più nulla. Non ce la fa quasi più... (Ad alta voce, cordiale) Signora, i miei omaggi! Sì, sono Hildebrandt: buon giorno... Vostro marito?... Ah, è già là: perfetto. Va bene, allora lo vedrò tra una mezz'oretta... Ah sì? Guarda guarda: allora bisogna che mi affretti!... Questa sera?... ah be', certo, come no?... un momentino, signora. In linea di massima più che volentieri, solo che a volte siamo così impegnati che... Un attimo solo, per favore! (Sottovoce, in fretta) Abbiamo qual­che impegno, stasera?

Karin                             - Stasera?

Felix                              - Svelta! Da' un'occhiata! Non posso mica farla aspettare un secolo!

Karin                             - Quanti ne abbiamo, oggi?

Felix                              - Ventisei. Forza!

Karin                             - Sull'agenda non c'è scritto niente.

Felix                              - (di nuovo a voce alta e cordiale) Allora sì, signora, col massimo piacere. Ero solo un po' in­certo se stasera non avevo qualche... Anche vostro marito, eh? Lo immagino! (Ride) E' il nostro de­stino! Basta non farne una tragedia, eh?... Oh, lo so, lo so che voi la prendete con filosofia!... Allora alle...? Benissimo, alle otto... Bene, e allora arrivederci a stasera. I miei ossequi, signora. (Posa il ricevitore. Poi, con altro tono) Se telefona Drabil, digli per favore che dalle quattro e mezzo alle sette sarò al nostro stand, all'esposizione; poi vado a mangiare al «Reichshof », dove mi fermerò fin poco prima delle otto. Digli che mi telefoni assolutamente. An­cora oggi!

Karin                             - E gli Stefanis? Cos'avete combinato?

Felix                              - Dovresti venire anche tu, Karin. Oggi c'è da loro un americano, una simpatica persona che sa tutto sul nostro mestiere. Potrebbe essere impor­tante per me, capisci?

Karln                             - Devo proprio venire?

Felix                              - Solo se ne hai voglia, naturalmente. Certo si parlerà molto di affari.

Karin                             - Ma a me piace ascoltarvi.

Felix                              - Vedrai che sarà una bella serata. Ci sanno fare, gli Stefanis. Comunque, pensaci ancora. Se decidi di sì, prendi un taxi e vieni a cenare al « Reichshof » : poco dopo le sette, intesi?

Karin                             - Intesi.

Felix                              - Oh, a proposito... scusami se poc'anzi mentre telefonavo, sono stato un po'... nervoso.

Karin                             - Non è neanche il caso di parlarne.

Felix                              - Oh sì, invece. E mi rincresce, sai. Ma sai com'è, con tutto quello che devo tenere a mente...

Karin                             - Stai esagerando, Felix. Tu ti rovini.

Felix                              - Be', questo poi...! Non aver timore: mi sento benissimo, in perfetta forma.

Karin                             - Ma non parlo solo del fisico, Felix, non intendo solo la tua salute. Voglio dire...

Felix                              - Che vuoi dire, sentiamo?

Karin                             - Tu, ormai, sei solo più una somma di attività.

Felix                              - (ridendo) Grazie al cielo! Se no, a que­st'ora, sarei già affondato da un pezzo. La concor­renza esiste anche nel nostro mestiere, sai.

Karin                             - Ma no, Felix, vedi: io penso, più che altro, al tuo... alla tua felicità.

Felix                              - (tra tenero e gioviale) Ma lo so, Karin, lo so, non dubitare.

Karin                             - (esitante, ma tentando di non mollare) Non so se mi capisci, Felix: io tremo per te, ho tanta paura che tu ti riduca a una semplice funzione di quel grande complesso che tu chiami l'economia. Mi capisci, caro?

Felix                              - (cercando di rassicurarla) Perfettamente! Ma ti assicuro che non hai motivo di allarmar­ti. E soprattutto, Karin: non farti un'idea sba­gliata delia mia professione! Voi donne vedete tutto con altri occhi...

Karin                             - (interrompendolo vivacemente) Sì! Ma non dovete credere che i nostri occhi ci vedano peggio dei vostri!

Felix                              - E' una questione sulla quale il mondo discute da un migliaio d'anni, mentre io tra dieci minuti devo essere all'esposizione. (Gentile) Ne par­leremo un'altra volta, va bene?

Karin                             - Dici sempre così!

Felix                              - ' Ma Karin, dovrei già essere via da un pezzo!

Karin                             - Mi avevi promesso che in avvenire mi avresti dedicato un po' più di tempo.

Felix                              - Come se il tempo che impiego a guada­gnar soldi non appartenesse ugualmente a te!

Karin -                           - Felix, non esasperare così il ritmo della tua vita. Lascia che ciò che fai maturi a poco a poco!

Felix                              - (scoppia in una gran risata) Sì, brava, come se oggi ti trovassi la pappa fatta!... Ah, santa ingenuità!... Karin, ringrazia il cielo che non sai nulla di queste cose.

Karin                             - (sottovoce, supplichevole) Felix!

Felix                              - (asciutto, ma ancor sempre gentile) Dim­mi! (Pausa) Che cosa volevi dirmi? (Pausa).

Karin                             - (esitante, traendosi dall'imbarazzo) Allora, se decido di venire, stasera, mi trovo al « Reichshof » poco dopo le sette?

Felix                              - Sì. Ma per favore non più tardi: alle otto dobbiamo essere dagli Stefanis. (Dissolvenza).

Karin                             - (di nuovo vecchia e stanca) Ed eri già partito alla caccia dei tuoi successi, curvo sotto il giogo del tuo dovere di aver successo, di aver suc­cesso ad ogni costo... E questa scena, negli ultimi anni, si è ripetuta non una volta, ma cento, mille volte, tutti i santi giorni. (Altro ambiente sonoro).

Karin                             - (senza rimprovero) Come mai, Felix? Così tardi!

Felix                              - (esausto) Una conferenza interminabile alla Mitras... come sempre (Pausa) C'è posta per me?

Karin                             -Una montagna! Tieni!

Felix                              - (mormora) Kunisch... Reckenwaìd & Co... Alois Wegscheider: e chi è, Karin? Wegscheider?

 

Karin                             - Non è quel tale che ti ha telefonato la settimana scorsa e che non...

Felix                              - Ah sì, brava! (Mormora di nuovo) L'uffi­cio delle imposte... (Porte) A proposito: la tassa su­gli affari...

Karin                             - Già pagata. Ci sono stata venerdì.

Felix                              - Benissimo. (Mormora) Kraus & Schober... (Porte) Oh, si rifa vivo il vecchio Zwingerle!... E di nuovo Kunisch... E va bene!... Possiamo andare a tavola? Alle tre devo essere in ufficio.

Karin                             - E' pronto, sì. (Ricordando a un tratto) Ah, è arrivato anche questo pacchetto.

Felix                              - Questo?... (Con gioia) Ah, vuoi scommet­tere che è?... (Carta lacerata di un pacco) Ora ve­diamo subito... Certo, eccolo qui!... Karin, è quel libro, sai?... Formidabile! Non ti sembra?

Karin                             - « Non vieni a tavola?

Felix                              - Formidabile! (S'interrompe) E i bambini?

Karin                             - Sono già usciti. Non potevo farli aspet­tare tanto tempo.

Felix                              - (un po' contrariato) Non li vedo neanche più, ormai... (Poi, in tono di nuovo interessato) Di', Karin, è una cannonata, questo libro! I cento mi­gliori annunci pubblicitari americani. C'è ancor qualcosa da imparare, qui. Se guardi 'sta roba ti rendi conto di quanto siamo ancora indietro, nel nostro paese!

Karin                             - Va bene, ma non dimenticare il pranzo, Felix.

Felix                              - (animatissimo) Ah, be'! Guarda solo questo!

Karin                             - Dopo mangiato! Almeno a tavola, dovresti divagarti, distenderti un po'.

Felix                              - (con dolcezza) Lo faccio, Karin, lo faccio. Ma questo libro!... E' qualcosa...

Karin                             - Non puoi guardarlo dopo mangiato? Tra poco non sarai più che un automa, un congegno di orologeria... A che cosa si è ridotta la tua vita privata?

Felix                              - E' solo una parentesi, Karin!

Karin                             - Una parentesi che dura mesi, dura anni, ormai! Non te ne rendi neanche più conto.

Felix                              - Ma no...!

Karin                             - (supplichevole) Fai male, Felix! Ti rovini.

Felix                              - Ma è ridicolo, Karin! (Conciliante) E' gentile da parte tua preoccuparti così per me, ma ti assicuro che non ne hai motivo. Mi sento sano come un pesce.

Karin                             - Ringraziamo il cielo! Ma...

Felix                              - (entusiasta) guarda, guarda solo questa composizione grafica! Formidabile!

Karin                             - (quasi dura) Felix, ti prego! Quando, una volta tanto, ci troviamo insieme per una mezz'oretta, non potresti parlare di qualcos'altro? Tra poco non saprò davvero più perché ti vivo insieme. A che cosa ti servo ancora? Felix, se la nostra vita continuerà così, non lo saprò davvero più. Potrei andarmene, o morire, o mettere qualcun altro al mio posto, senza che per te ci fosse nulla di cambiato.

Felix                              - (sorpreso) Ma Karin! Tanta agitazione per causa di questo povero libro? Io lo aspettavo con ansia da settimane, e adesso che finalmente lo ricevo...

Karin                             - (supplice) Felix, ma esisti soltanto più tu, al mondo?

Felix                              - (ride, ignaro e bonario) Karin!... Ma Ka­rin! (Pausa).

Karin                             - Felix!

Felix                              - (in tono normale) Dimmi! (Pausa, Poi, con concreto interesse) Ebbene, che c'è? (Pausa).

Karin                             - Io capisco, sai, non credere, che quel li­bro ti faccia piacere.

Felix                              - (conciliante, bonario, rassicurante) Oh, lo vedi? Del resto, non £a piacere anche a te quando ti compri un cappello nuovo o vinci a « bridge »? (Dissolvenza). (Altro ambiente sonoro).

Karin                             - Era impossibile avere un colloquio con te: non avevi tempo o eri stanco o dovevi correre a una conferenza o non ne potevi più o avevi la mente altrove... questo, ogni volta che tentavo di avviare il discorso, che cercavo di parlare con te di tutte quelle cose che a quel tempo mi ritenevo in dovere di dirti... (Addolorata) Oh, te le avessi dette! Ma i miei tentativi venivano sempre respinti da un muro di attività, di sicurezza, di ottimismo... (Altro ambiente sonoro).

Felix                              - Sì, sì, ti capisco, Karin! Anch'io m'ero rallegrato all'idea di passare una serata tranquilla, ma veramente, bisogna che stasera stessa sbrighi quel lavoro con Wessely: lo sai che domattina ri­parte... (Dissolvenza). (Altro ambiente sonoro).

Karin                             - Le mie preghiere non ti raggiungevano mai, non riuscivo a far presa su di te... (Altro ambiente sonoro).

Felix                              - (quasi divertito) Paura? Paura per me? Karin, tu vedi dei fantasmi! (Altro ambiente sonoro).

Karin                             - Era come se cercassi di arrampicarmi lungo un muro liscio e verticale. Eppure tentavo e ritentavo infaticabile, quasi non avessi mai subito una sconfitta. Un giorno, pensavo, dovrò pur riu­scire a penetrare in lui, a toccargli il cuore, ad aprir­glielo alle mie ansie, alle mie preoccupazioni per lui, per noi due. E tentavo ancora una volta di dar la scalata a quel ripido muro. (Altro ambiente sonoro).

Karin                             - (implorante) Felix!

Felix                              - (cercando di calmarla) Ma Karin! (Altro ambiente sonoro).

Karin                             - (scongiurandolo) Felix!

 

Felix                              - (con gioviale imperturbabilità) Ma Karin! (Altro ambiente sonoro).

Karin                             - Invano! Non facevo che stancarmi, mi sentivo sempre più sola, e ti aspettavo, ti anelavo, ti chiamavo con crescente disperazione... (Pausa. Poi, ormai rassegnata) Ma quando finalmente mi stavi dinanzi, non vedevo più, di te, che un'appa­renza esterna, fatta di attività, di dinamismo, di am­bizione, di danaro e di « routine », finché mi accorsi che ormai non eri più colui che avevo amato e che ancora amavo, ma... (atona) la tua mummia. (Pausa) E dev'essere stato allora, credo, che cominciai a mo­rire. (Pausa).

Felix                              - Karin! (Supplichevole) Karin! Ma di che cosa parli? Tutto questo non è vero! Dillo, Karin, che non è vero! Dillo! Dillo! (Pausa) Karin! (Debol­mente) Karin!

Karin                             - (atona) E' vero, purtroppo.

Felix                              - (implorante) E anche se lofosse, Karin, noi distruggeremo il passato! Cominceremo... comin­ceremo tutto daccapo, Karin, e dimostreremo che non è vero!

Karin                             - (c. s.) E' impossibile, ormai, distruggere il passato.

Felix                              - Ma se adesso è veramente troppo tardi, perché non hai parlato quando c'era ancora tempo?

Karin                             - (c. s., poi con un certo calore) Ma te l'ho detto, Felix... o, almeno, ho tentato di dirtelo. Ma tu (dolente) non mi hai compresa.

Felix                              - (smarrito) Di' che non è ancora troppo tardi!

Karin                             - (atona) E' troppo tardi, Felix. (Pausa).

Felix                              - (deciso, atono) Vuoi che... (asciutto) vuoi che ci separiamo?

Karin                             - (stanca, ma con molta dignità) Te ne riprometti qualcosa? (Pausa).

Felix                              - No.             - (Pausa) Ma pensavo che per te, forse...

Karin                             - Non sono felice con te. Ma ciò non vuol dire che sarei felice senza di te. (Pausa) E poi, se anche lo fossi: ci sono i bambini.

Felix                              - Sì, sì, è vero. (Pausa) Eppure, mi sembra che la miglior cosa sarebbe trarre le conseguenze della situazione...

Karin                             - (marcato, con un ombra d'ironia) Quali conseguenze? (Pausa).

Felix                              - (obiettivo, ma con un fondo di passione di­sperata) Che cosa dobbiamo fare? (Pausa. Poi, violento, anelante) Karin, che cosa dobbiamo fare? (Pausa. Poi a bassa voce, apatico, definitivamente rassegnato, in tono ormai meccanico) Che cosa dob­biamo fare? (Lungo silenzio).

FINE