E’ facile per gli uomini

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E’ FACILE PER GLI UOMINI

Commedia in tre atti e 6 quadri

di PAUL BARABAS

PERSONAGGI

PAOLO

MARIA

BORDON

IL PRESIDENTE

TECLA

KOVACS

HECHT

GIOVANNI, usciere

STEFANO, usciere

ANNA, cameriera

UNA LAVANDAIA

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

La segreteria della « Società Naziona­le Trasporti Bor­don ». In fondo, due porte, su una delle quali è scrit­to : « Direzione ». A sinistra la co­mune. Tre scriva­nie.. Un tavolino con macchina da scrivere. Orologio a muro. Sono le nove e qual­che minuto.

Quando il sipario si alza, Stefano e Giovanni finiscono dì far pulizia. Stefano è un vecchio fattorino, Giovanni è un giovane di venti anni. Entrambi indossano una divisa.

Stefano                         - Sai che cosa è un bastone di ma­resciallo?

Giovanni                       - (stupito) No.

Stefano                         - È il bastone che un principiante, come sei tu, porta nello zaino. Sei entrato oggi in servizio, non sei un'aquila, eppure di te si potrebbe far tutto: anche un direttore. Ti ci vedi direttore generale?

Giovanni                       - Io no.

Stefano                         - Allora mi riprendo il bastone di maresciallo. Ad ogni modo, se vuoi invecchiare qui, il tuo primo dovere è quello di rispettare le gerarchie. Innanzi tutto chi devi rispettare?

Giovanni                       - Il direttore.

Stefano                         - Asino. Innanzi tutto devi rispet­tare me, non soltanto perché sono il tuo supe­riore immediato, ma anche perché sono segre­tario dell'Associazione di mutuo soccorso tra i fattorini di ufficio. Anzi, quando siamo soli, puoi tranquillamente chiamarmi signor segretario. Hai capito?

Giovanni                       - Io, sì.

Stefano                         - Non si risponde: «Io sì». Ma: «Sì, signor segretario!».

Giovanni                       - Sì, signor segretario.

Stefano                         - Come hai visto, sul tuo berretto c'è scritto: S.N. Trasporti Bordon. Tu credi che S.N. significhi Società Nazionale? No, ti sbagli: significa Società Nepotistica Trasporti Bordon; perché in verità qui tutti sono parenti: cognati, figli, nipoti, suoceri; insomma si fa tutto in famiglia. (Breve pausa) La società si divide in due rami: direzione e uffici accessori. I parenti prossimi e le persone alla cui paren­tela si tiene, appartengono alla direzione; i pa­renti lontani e quelli che hanno probabilità di diventare parenti, sono negli uffici accessori.

Giovanni                       - E quelli che non sono parenti?

Stefano                         - Quelli siamo noi... ma siamo trat­tati come persone di casa. (Allarga le braccia).

Hecht                            - (entro da sinistra. È un uomo di cinquant’anni, insignificante, un vecchio mobile della ditta).

Stefano                         - Buon giorno, signor Giuseppe.

Hecht                            - Buon giorno, Stefano. Il direttore è già venuto?

Stefano                         - Non ancora.

Hecht                            - (titubante) Ehm... Allora... (Da sinistra entra Bordon in fretta. È un uomo sui trentacinque anni, elegante, simpatico).

Stefano                         - Buon giorno, signor direttore.

Hecht                            - (si inchina profondamente) I miei rispetti, signor direttore.

Bordon                          - Buongiorno a tutti. (A Stefano) Non avete ancora finito la pulizia?

Stefano                         - Sì, sì... siamo pronti... (Fa un cenno a Giovanni, escono. Bordon si avvia verso il suo studio).

Hecht                            - (si pianta davanti a lui) Mi per­mette, signor direttore... un attimo solo...

Bordon                          - Dite.

Hecht                            - Egregio signor direttore!

Bordon                          - (sorridendo) Avete l'intenzione di fare un discorso augurale? Ma oggi non è la mia festa.

Hecht                            - Lo so. Però l'altra sera... sono stato a teatro... per così dire...

Bordon                          - (scherzando) E me lo dite soltanto oggi? Ah! ah! Va bene! Ne prendo atto.

Hecht                            - (intimidito) La prego, signor diret­tore... io ho famiglia... abbia la bontà... di considerare le attenuanti... per così dire... Non vo­levo andarci... ma Bubus aveva avuto i bi­glietti...

Bordon                          - Chi?

Hecht                            - Mia moglie.

Bordon                          - E si chiama Bubus? Quanti anni ha?

Hecht                            - Venti.

Bordon                          - Interessante! Credevo che foste sposato almeno da venti anni!

Hecht                            - Sono sposato da venti anni, ma... per così dire... in varie rate; Bubus è la quarta moglie.

Bordon                          - Bravo! E le amate molto le donne?

Hecht                            - ... Farei per loro qualunque sacri­fizio! L'altra sera sono andato a teatro solo per accompagnare Bubus... per così dire, perché lo spettacolo non me lo sono goduto affatto. Ero seduto proprio davanti a lei, signor direttore.

Bordon                          - Ah sì?

Hecht                            - E tutta la sera sono rimasto ran­nicchiato nella mia poltrona perché lei potesse veder bene. E allora non ho visto nulla, io...

Bordon                          - Che sciocchezze! A teatro, non sono il vostro direttore - (Si avvia al suo ufficio).

Hecht                            - Ho sentito benissimo quando il si­gnor direttore ha detto alla signora che era con lui : a Questa testa pelata mi toglie la visuale ». Quella testa pelata ero io e perciò le chiedo scusa. (Si inchina profondamente, proprio men­tre Bordon chiude la porta).

Kovacs                          - (entra nello stesso momento da sini­stra. Ha ventisei anni. Ha in mano una lettera) Perché salutate la porta?

Hecht                            - (stizzito) Sono cose che non vi ri­guardano. (Suono di raganella).

Kovacs                          - (indicando la porta di Bordon) Andategli a dire che non c'è nessuno.

Hecht                            - Io? Diteglielo voi. (Fa un'uscita dignitosa a sinistra).

Bordon                          - (rientra) Che succede stamane? Suono e non viene nessuno?

Kovacs                          - Perché non c'è ancora nessuno, si­gnor direttore.

Bordon                          - (guarda l'orologio) Magnifico! Alle nove e un quarto l'ufficio è vuoto. Prenderò dei provvedimenti! E voi, che cercate qui?

Kovacs                          - (imbarazzato) Io... io... con la signorina... volevo sbrigare... quest'affare... (Agita la lettera).

Bordon                          - Di che si tratta? (Allunga la mano).

Kovacs                          - (nasconde la lettera dietro le spalle) Oh! una cosa da nulla...

Bordon                          - Avanti, avanti, date qua.

Kovacs                          - Ma no... scusi, signor direttore.

Bordon                          - (perentorio) Fate vedere. Guarda severo) Che significa?

Kovacs                          - Sarebbe... sarebbe... un ordina­tivo...

Bordon                          - (legge) Con riferimento al nostro colloquio di ieri sera, vi ordino di saldare im­mediatamente la partita in sospeso, con tre baci. (Stupito) E la firma... di chi è?

Kovacs                          - (annientato) Del... del... del signor presidente.

Bordon                          - E il presidente firma una lettera di tal genere? Avanti! Spiegate che cos'è questo imbroglio.

Tecla                             - (entra da sinistra. Ha ventidue anni. Carina. Vivace) Buongiorno, signor direttore.

Bordon                          - Buongiorno, signorina Tecla. Vol­tatevi. Guardate l'orologio.

Tecla                             - (guarda l'orologio al muro) Chiedo scusa. Siamo rimasti fermi un quarto d'ora. La solita interruzione... Se sapesse...

Bordon                          - (senza severità) Da ora in poi, la mattina, prendete il tram precedente. (Tecla che non appare eccessivamente mortificata, attacca il cappello e va alla scrivania. A Kovacs) Sic­ché...

Kovacs                          - (a Tecla, con violenza) Vedete che succede? Tutta colpa vostra!

Tecla                             - (ingenua) Mia?

Bordon                          - Perché tirar in ballo la signorina?

Kovacs                          - È stata lei che mi ci ha tirato.

Tecla                             - Iooooo?

Kovacs                          - La signorina voleva parlarmi e non ha trovato di meglio che mettere questa lettera tra quelle che vanno alla firma...

Bordon                          - E il presidente l'ha firmata? Co­me mai?

Tecla                             - Perché il signor Kovacs porta' le let­tere senza neppure rileggerle. Desideravo par­largli...

Bordon                          - «Parlargli », proprio non direi... (A Kovacs) Il presidente ha firmato... I suoi ordini non si discutono. Eseguiteli. (Via dal fondo).

Kovacs                          - Ma che t'è saltato in testa? C'era proprio bisogno di scrivere...

Tecla                             - Volevo avvertirti che stasera sei in­vitato a cena.

Kovacs                          - Da chi?

Tecla                             - Da me. Voglio presentarti alla zia.

Kovacs                          - E perché? (Si alza).

Tecla                             - Siedi e te lo dirò. (Spingendolo con la mano) È roba che bisogna ascoltare seduti.

Kovacs                          - (siede nuovamente) Sii concisa.

Tecla                             - L'altra sera mi hai fatto un bellis­simo discorso per dimostrare che non potendo sposarmi sarebbe stato logico che diventassi la tua... amica. (Imitandolo) «Le donne che lavo­rano, hanno il diritto di crearsi una loro vita... oggi non vi sono più tanti pregiudizi eccetera eccetera». Non è vero?

Kovacs                          - Esatto.

Tecla                             - Siccome il tuo stipendio è inferiore al mio, prenderò io l'iniziativa. Sono maggio­renne, non ho che una vecchia zia, sono indi­pendente... dunque, ho deciso di andarmene ad abitar sola. Sono una ragazza di buon senso o no?

Kovacs                          - Sei un angelo... ma non vedo perché devo cenare stasera a casa tua.

Tecla                             - A me non piacciono i sotterfugi e voglio dir tutto alla zia.

Kovacs                          - (impaurito) Coome? vuoi dirle che tu e io...?

Tecla                             - ... facciamo un matrimonio da buoni colleghi.

Kovacs                          - (gli sfuma il buon umore) No, no! Non vengo... E se tua zia ti dà un paio di schiaffi?

Tecla                             - Il dolore lo sento io...

[

Kovacs                          - E se li dà a me...?

Tecla                             - Ho sentito parlare di uomini che scendevano tra le belve per una donna.

Kovacs                          - Erano belve... non zie!

Tecla                             - Insomma, vieni o non vieni?

Kovacs                          - Dovresti comprendere...

Tecla                             - Non c'è nulla da comprendere: sì o no? (Kovacs tace) Allora: no. Naturale. Il signore non vuole noie, non assume responsa­bilità, teme gli scandali e preferisce rimanere nell'ombra.

Kovacs                          - Senti Tecla, ragioniamo...

Tecla                             - Stop. O vieni a casa stasera o tutto è finito fra noi.

Kovacs                          - Renditi conto, Tecla!

Tecla                             - No?

Kovacs                          - (a stento) No.

Tecla                             - (breve pausa) L'altra sera mi hai fatto una dichiarazione d'amore come usavano una volta i trovatori, e io oggi ti ho risposto come usano le ragazze moderne. Non sei soddi­sfatto? Vuol dire che quella risposta non te la meritavi. Te ne meriti un'altra.

Kovacs                          - Quale?

Tecla                             - Questa. (Gli dà uno schiaffo ed esce rapidamente).

Kovacs                          - (si porta la mano al viso e si avvia a sinistra. Sulla soglia si incontra con Maria) Scusate. (Si tira da parte ed esce).

Maria                             - (sulla trentina, seria, vestita con sobria eleganza, va alla sua scrivania).

Bordon                          - (entra) Buongiorno, signorina Maria.

Maria                             - (non osa guardarlo) Buon giorno, direttore.

Bordon                          - Siete abbondantemente in ritardo.

Maria                             - Avevo mal di testa.

Bordon                          - (sorridendo) Le donne hanno sem­pre mal di testa, quando prevedono una doman­da... non gradita.

Maria                             - Veramente non la prevedevo; ma dalle sue parole, devo dedurre...

Bordon                          - Non potreste dirmi voi qualche cosa senza che ve lo chieda?

Maria                             - Certo. (Breve pausa) Vorrei che non mi salutasse per primo.

Bordon                          - (sorpreso) Come?

Maria                             - Sono l'unica impiegata che lei sa­luta per primo. I colleghi se ne sono accorti e non ci risparmiano i commenti. Non vorrei fare eccezione.

Bordon                          - Ma voi fate eccezione. Da quando lavorate con noi... e sono quasi dieci anni... sie­te stata la sola impiegata con la quale avrei vo­luto incontrarmi anche fuori di ufficio. (Breve pausa) A proposito... non vi viene in mente nulla?

Maria                             - Già... ieri sera ho mancato al vo­stro appuntamento...

Bordon                          - Cioè... avete mancato alla vostra promessa.

Maria                             - ... eppure ero sul punto di venire. Avevo già la mano sulla maniglia della porta, poi l'ho ritirata e mi sono seduta... Il tempo è passato senza che me ne accorgessi... Ho capito che certamente lei non mi aspettava più e mi sono svestita.

Bordon                          - E perché?

Maria                             - Mah! Io stessa non lo so.

Bordon                          - Avete qualcosa contro di me?

Maria                             - No, no!

Bordon                          - Meno male... Guardandomi nello specchio... lo faccio qualche volta... mi sono accorto di non essere un uomo repellente... direi piuttosto... sì, insomma credo di avvicinarmi a quel tipo d'uomo che non dispiace alle donne...

Maria                             - A questo proposito, non saprei ri­sponderle.

Bordon                          - ... parlo cinque lingue... sono sca­polo... ricco...

Maria                             - Tutte cose tollerabili... Il male è che lei è il mio direttore...

Bordon                          - E perché?

Maria                             - A lei non potrei parlare come ad uno qualunque. Rimarrebbe sempre il « mio principale» anche se... (Tace).

Bordon                          - Anche se... diventassimo più ami­ci... è questo che volevate dire?

Maria                             - Press'a poco.

Bordon                          - Che cosa vi ho chiesto? Di sedere accanto a me ad un tavolino di ristorante. E non l'ho mai ottenuto. Se sapeste quante altre avrebbero trovato il tempo di venire...

Maria                             - E anche di corsa... lo credo... sa­rebbe bastato un piccolo cenno.

Bordon                          - (breve pausa) E il mal di testa?

Maria                             - Va molto meglio.

Bordon                          - Come volevasi dimostrare: alla fine del nostro colloquio sarà passato perfetta­mente. È il così detto mal di testa difensivo, che impedisce agli uomini di esser brutali.

Maria                             - Ne aveva forse l'intenzione?

Bordon                          - E perché no?

Maria                             - Cominci subito... ci sbrigheremo più presto.

(Tecla entra e siede alla sua scriva­nia. Maria cava fuori un incartamento).

 

 Bordon                         - (un po' seccato si avvia verso il suo ufficio, poi d'un tratto si volge a Tecla) Si­gnorina, è qui la pratica Stefanich?

Tecla                             - No, signor direttore, la stanno cer­cando nell'archivio.

Bordon                          - Andate a dire che si sbrighino, per favore. (Via dal fondo).

Tecla                             - (uscendo, con una smorfia a Maria) Vuol rimanere solo con te. (Esce).

Bordon                          - (torna, in tono risoluto) Vorrei passare la serata con voi. Non ammetto scuse.

Maria                             - È così che comincia a esser brutale?

Bordon                          - Rispondete. Quella ragazza torne­rà subito.

Maria                             - Non tornerà... uscendo imi ha detto: «Vuol rimanere solo con te!». È proprio con­vinto che qui siano tutti ciechi e sordi? (Te­lefono) Pronto... Va bene... (Riattacca) Era lei. (Accenna alla scrivania di Tecla) Ha detto che non torna di qua finché non le darò via libera. (Ironica) È piena dì riguardi.

Bordon                          - Ringraziatela anche a mio nome per il suo squisito tatto. Allora posso anche se­dere. (Breve pausa) Ogni volta che vi guardo, mi piacete sempre di più. Purtroppo non posso nominarvi direttrice; ma siccome il segretario del presidente lascia il suo posto, siete voi che l'occuperete.

Maria                             - È una notizia che mi avrebbe fatto molto piacere in un altro momento.

Bordon                          - E perché, ora, no?

Maria                             - Perché questa promozione sembra dipendere dalla mia vita privata, anzi, dall'ap­puntamento di stasera.

Bordon                          - Non è esatto. Ma pensate quel che volete. Importante è che veniate.

Giovanni                       - (annunzia) Il signor presidente. (Esce).

Il presidente                  - (si appoggia al braccio di Ste­fano. È un vecchietto coi capelli bianchi. Pieno di vivacità. È il fondatore della ditta. Affabile con tutti, tratta gli impiegati come figliuoli) Buongiorno, figliuoli.

Maria                             - Signor presidente...

Bordon                          - Oh, zio! Se avevi bisogno di par­larmi, perché non mi hai fatto venire da te?

Il presidente                  - Perché voglio che anche la nostra Maria senta quello che dirò. (A Stefano) Grazie, Stefano. Va' pure. (Stefano via. Presi­dente siede). Dunque, sta' a sentire. Se Dio vuole, l'allegria non manca ai miei impiegati. Poco fa li ho trovati tutti riuniti in archivio, seduti sulle scrivanie o in piedi sulle seggiole, che ridevano a crepapelle... E indovina di chi?...

Bordon                          - Come posso saperlo, zio?

Il presidente                  - Di te.

Bordon                          - (sorpreso) Di me?

Il presidente                  - Si raccontavano che hai mandato via di qui la Tecla per rimaner solo...

                                      - (a Maria) con quella lì. Allora ho pensalo: vo­glio andare a vedere se è vero. Ed è vero!

Maria                             - Scusi, signor presidente... Io non ne ho colpa. Cerco sempre di evitare questi col­loqui a due. Ma è il mio direttore, e se lui mi vuol parlare non posso ricusarmi.

Il presidente                  - È così?

Bordon                          - È così.

Il presidente                  - Male, molto male. Anche nel 1900 c'era qui una bella ragazza, una dattilogra­fa, che non voleva mai parlare da solo a solo con me, e nel 1901 la sposavo. Da allora si sono cominciate a scrivere tutte quelle commedie nelle quali i direttori generali o i presidenti spo­sano le ragazze d'ufficio. Dal 1902 non posso più soffrire le dattilografe.

Bordon                          - Ma che dici, zio...?

Il presidente                  - Zitto, ora parlo io. Ti consi­glio di stare attento, altrimenti finirai male! Prima di tutto, non approvo che tu faccia tanti discorsi. L'origine di tutti i nostri guai è questa: che gli uomini dicono alle donne troppe parole, ed esse ne dicono una sola: «no». Nel 19001 anche a me fu detto un solenne «no», e non ebbi pace finché non mi fu detto «sì». Disgra­ziatamente troppo tardi mi accorsi che a quel « sì » era presente l'ufficiale dello stato civile. (Breve pausa) Sai che significa sposare una don­na che ha sempre lavorato?

Bordon                          - Ma caro zio ; non si tratta di questo.

Il presidente                  - Lo so, lo so... il «.questo» viene dopo, quando è già tardi. La donna che ha sempre lavorato e che si è sempre alzata pre­sto, appena prende marito, vuol rimanere a letto fino alle 11. Si sveglia: e fa un'abbondante cola­zione e quando il marito torna dall'ufficio, na­turalmente non ha più appetito. Non c'è nulla di peggio che sedere a tavola davanti a una don­na che non mangia. E così accadde che nel 1904 mia moglie si era ingrassata come un otre ed io ero diventato magro come un'acciuga.

Maria                             - (sorridendo) Faccio osservare che la mattina io prendo soltanto una tazza di caffè...

Il presidente                  - Inoltre qual'è il sogno di tutte le impiegate? L'aumento dello stipendio. Perciò io ogni mese dovevo aumentare...

Bordon                          - Che cosa?

Il presidente                  - lì mensile che davo a mia moglie per le spese di casa. Infine l'impiegata continua sempre a considerare il marito come il suo principale, e quindi fa di tutto per dargli dei dispiaceri. Sai che cosa avvenne nel 1914?

Bordon                          - Lo scoppio della guerra mondiale.

Il presidente                  - No, no, quella era una scioc­chezza in confronto. In quell'anno, mia moglie cominciò a tradirmi. Appartiene alla mentalità delle impiegate di rispondere subito alle lettere, anche a quelle d'amore, e così accadde che...

Maria                             - (telefono) Pronto... Sì... No... Sarà fatto... (Riattacca).

Il presidente                  - (indicando il telefono) Sono i colleghi, eh? (Con voce caricaturale) È an­cora lì? Sì. Ci sono dei dispiaceri? No. Avver­tici quando se ne va. Sarà fatto. (Tono naturale) Era così?

Maria                             - (ridendo) Il signor presidente ha i raggi X negli occhi...

Il presidente                  - Non mi adulate... (Fa per alzarsi. Maria accorre ad aiutarlo. Bordon va a suonare il campanello. Entra Stefano) ... ormai una signorina d'ufficio non la sposo più. Pensa a quello che t'ho detto. E voi telefonate a quei delinquenti che stanno per andare di nuovo in archivio. Non vorrei che saltando giù dalle sedie, si rompessero una gamba... (Esce con Stefano).

Maria                             - Spero che non insisterà più, ades­so...

Bordon                          - Insisto: stasera voglio vedervi e basta. Anzi, ancora di più, adesso. (Più piano) E più d'ogni altra cosa, preferirei che m'invi­taste a prendere il caffè.

Maria                             - Purtroppo... non è possibile. Come sa, io abito con mio fratello maggiore che non ha un carattere molto socievole. E un uomo bur­bero...

Bordon                          - Allora non ci resta... che incon­trarci all'Albambra. Sarò allo stesso tavolo dove vi ho attesa ieri. Dunque?

Maria                             - Verrò. Ma lo sa perché vengo?

Bordon                          - Non mi interessa.

Maria                             - Perché lei è il mio direttore e io sono una sua dipendente.

Bordon                          - Solo per questo?

Maria                             - Sì.

Bordon                          - Sapete che significa quel sì? Che io vi ricatto...

Maria                             - Ma no, per carità! Non mi frain­tenda.

Bordon                          - So quello che dico... Io dunque, secondo voi, abuso della vostra condizione. E questo è peggio di uno schiaffo.

Maria                             - Le assicuro che non volevo...

Bordon                          - Avete torto a non vedere in me che il vostro direttore... Sono un uomo io... e sono certo che se anche verrete solo per il prin­cipale, è per l'uomo che poi rimarrete. Albambra, alle nove.

Maria                             - Sarò puntualissima...

QUADRO SECONDO

Ambiente di un modesto appartamento bor­ghese che serve da stanza da pranzo e salotto. Al centro, una tavola con un vaso di terraglia colorato. In fondo la comune, a sinistra, porta che dà in un'altra camera. A destra, ampia fi­nestra.

(Quando il sipario si alza, dalla comune en­trano Anna e la lavandaia che portano una gros­sa cesta di biancheria).

Lavandaia                     - Non c'è il padrone?

Anna                             - Ora viene. È nella dispensa. Mette a posto i barattoli delle conserve.

Lavandaia                     - Gesù, Gesù! Un uomo si inte­ressa delle conserve...

Anna                             - Col primo del mese me ne vado. Non ne posso più. La signora è tutto il giorno in uf­ficio e lui resta a casa e pretende di dirigere... Figuratevi se mi lascio dirigere da un uomo...

Lavandaia                     - Dove siamo arrivati!

Anna                             - Quest'inverno un giorno mi chiamò di là e mi disse: «Finché non ricomincerò ad andare in ufficio, funzionerò io da signora».

Lavandaia                     - Gesù Gesù... il mondo alla ro­vescia.

Anna                             - Giacché il mondo è sottosopra e le donne lavorano negli uffici, gli uomini si de­vono occupare delle faccende di casa. E così la mattina viene con me al mercato, litiga per un soldo, guarda se c'è polvere sui mobili, fa le conserve di frutta...

Lavandaia                     - Che ci tocca vedere in città.

Anna                             - Ah, non ne posso più. Gli darò gli otto giorni...

Lavandaia                     - Fate bene.

Paolo                             - (entra. Ha trentadue anni. È senza giacca, ha i polsini della camicia rimboccati e un grembiale turchino).

Lavandaia                     - Bacio le mani, signorino. Ecco la biancheria. (Anna esce).

Paolo                             - Guardiamo subito. Prendo la nota. (La prende dal tiretto di un mobile) Quattro lenzuola.

Lavandaia                     - Uno, due, tre, quattro... Ecco!

Paolo                             - (mette la biancheria contata da parte e continua a leggere) Tre combinazioni.

Lavandaia                     - Ecco : tre.

Paolo                             - (c. s.) Diciannove fazzoletti.

Lavandaia                     - (turbata) Diciannove... Sì, sì. (Cerca).

Paolo                             - Avanti, contate.

Lavandaia                     - Ecco, ecco. (Conta) Uno, due, tre... Ma... sono proprio diciannove?

Paolo                             - Diciannove, ho detto. Ho verificato io quando li avete presi. Stiamo a vedere che avete perduto di nuovo un fazzoletto...!

Lavandaia                     - Ma scusi signora...

Paolo                             - Che signora e signora! Vi ho detto mille volte che non mi dovete chiamare signora!

Lavandaia                     - Sono abituata così. In tutte le case dove vado è sempre la signora che prende in consegna la biancheria!... Diciannove?...

Paolo                             - Diciannove.

Lavandaia                     - Allora uno me l'hanno rubato.

Paolo                             - Va bene. Non fa nulla.

Lavandaia                     - (raggiante) Oh! Grazie!

Paolo                             - Mi tratterrò un pengo e 50; è il suo prezzo.

Lavandaia                     - (scoppia in pianto) Gesù, Gesù... prendere il denaro di una povera donna!...

Paolo                             - Inutile piangere. Un'altra volta sta­rete più attenta. (Anna entra e comincia ad ap­parecchiare). Tre mutandine di flanella.

Lavandaia                     - (piagnucolando) Tre mutandi­ne, si.

Paolo                             - Sette paia di calzini.

Lavandaia                     - Sette.

Paolo                             - Va bene. (Ripone la biancheria in un mobile. Due squilli di campanello).

Anna                             - Ecco la signora. (Esce. Paolo in fret­ta esce a sinistra, rientra subito, ha tolto il grembiale e si sta infilando una giacca di casa).

Paolo                             - Quanto è tutto?

Lavandaia                     - (gli consegna un foglio) Mio fi­glio ha già fatto il conto.

Paolo                             - (sorpreso) Vostro figlio? Ma quanti anni ha?

Lavandaia                     - Ventisei, se Dio vuole.

Paolo                             - E che mestiere fa?

Lavandaia                     - È medico.

Paolo                             - Medico!... Beh! sentite... per questa volta non ve lo tratterrò il pengo e mezzo.

Lavandaia                     - Grazie, bacio le mani. (Vuole baciargli la mano, ma Paolo la ritrae. Maria en­tra dal fondo).

Maria                             - Buona sera, caro.

Paolo                             - Buona sera, Maria. (Si baciano) Ar­rivi a proposito. C'è il suo conto da pagare.

Maria                             - Quant'è?

Paolo                             - Quattro pengo, e 40.

Maria                             - (dà il denaro) Manca niente?

Paolo                             - (guarda la lavandaia, poi) No, nulla. Tutto in ordine.

Lavandaia                     - (a Paolo) Bacio le mani signora. (Esce).

Maria                             - (ride, scherzosa) Dunque, cara si­gnora... Non sarebbe meglio che lo tenessi tu il denaro?

Paolo                             - No; il denaro devi tenerlo tu. Lo guadagni tu; finché lo guadagnavo io, lo conser­vavo io.

Maria                             - Va bene, va bene, non litigheremo per questa sciocchezza. Lo facevo per te. (Bre­ve pausa).

Paolo                             - (un po' imbarazzato) Dopo domani è domenica.

Maria                             - Già.

Paolo                             - Avevamo detto di andare da tuo fra­tello.

Maria                             - Si capisce.

Paolo                             - (c. s.) Allora... bisognerà pensare al cappello... Non posso andare col cappello duro, e l'altro è troppo in cattivo stato.

Maria                             - Non te ne preoccupare... domani ne comprerai uno nuovo. (Prende dalla borsetta del denaro, e glielo mostra). Basterà?

Paolo                             - (guarda di sfuggita) Press'a poco.

Maria                             - Ecco, caro. (Porge incerta il denaro poi lo mette su un mobile).

Paolo ........................... - (non prende il denaro) Sei tornata tardi...

 Maria                            - Ho avuto molto da fare.

Paolo                             - Ancora seccature?

Maria                             - Lasciamo andare! Quando si passa tutto il giorno in ufficio, almeno che non se ne parli a casa.

Paolo                             - Ceniamo subito.

Maria                             - (leggermente) A proposito... stase­ra non ceno a casa.

Paolo                             - No...? Che succede?

Maria                             - (c. s.) C'è una seduta di consiglio...

Paolo                             - Come mai?

Maria                             - Sono arrivati dei clienti dall'estero...

Paolo                             - (esasperato) Sto tutto il giorno in casa, non vedo l'ora che rientri... ed ecco!

Maria                             - Che ci posso fare io? Mi rincresce... ma è il mio dovere...!

Paolo                             - E... si cena anche, a questa se­duta...?

Maria                             - No... ma dopo, certo, andremo tutti assieme in qualche posto.

Paolo                             - E a che ora credi di poter tornare a casa?

Maria                             - Presto, probabilmente... come fac­cio a saperlo con certezza... Vado a cam­biarmi.

Paolo                             - Perché?

Maria                             - Non posso andare così vestita. Sono tutti stranieri... persone di riguardo. (Entra a sinistra. Paolo fa un gesto di rabbiosa rassegna­zione, prende il denaro, lo guarda un momento, lo posa di nuovo e stringe i pugni. Anna entra).

Paolo                             - (brusco) Che volete?

Anna                             - Posso servire la cena?

Paolo                             - No... Però... chiedetelo alla signora. Forse vorrà cenare ugualmente.

Anna                             - Vado subito. (Esce e rientra poco dopo).

Paolo                             - Allora?

Anna                             - La signora dice che va fuori.

Paolo                             - E che aspettate?

Anna                             - Volevo sapere che devo fare.

Paolo                             - Avete mai servito in altre famiglie?

Anna                             - Sissignore.

Paolo                             - E che succedeva in questi casi?

Anna                             - (dopo breve pausa) Nessuno man­giava.

Paolo                             - E dunque, non si mangia neanche qui. (Anna sparecchia, rimette il vaso sulla ta­vola, esce).

Maria                             - (dalla camera attigua) Sai dove sono le mie scarpette di raso nero?

Paolo                             - Qui.

Maria                             - Per favore, me le dai?

Paolo                             - (dal solito mobile, prende le scarpette e le consegna attraverso la porta) Eccole.

Maria                             - (di dentro) Grazie. Ieri non sono riuscita a trovare la collana di perle. Vorrei metterla. (Paolo la prende da un tiretto e la posa sul tavolo) Che ci sarebbe stato per cena?

Paolo                             - Arrosto di maiale con patate.

Maria                             - Benissimo. A me non piace. Però tu ceni buono buono, eh?

Paolo                             - Io non ceno per niente, né buono, né cattivo. Tutta la giornata non si hanno che dispiaceri. Anna ha fatto bruciare l'arrosto... La conserva di albicocche è muffita...

Maria                             - Te l'avevo detto che bisognava farla restringere di più.

Paolo                             - Ho seguito le istruzioni del libro. Non è colpa mia se l'autore non sa fare le con­serve. (Paolo va su e giù, e, macchinalmente, riordina qualche cosa).

Maria                             - (rientra con un abito da sera molto elegante) Oh bravo! Le mie perle! Sei pro­prio un tesoro. Di ogni cosa conosci il posto.

Paolo                             - (ironico) Sì. Sono una brava don­nina di casa e mio marito è contento di me.

Maria                             - (si guarda nello specchio) Eccomi pronta! Mi sta bene quest'abito?

Paolo                             - (dopo breve pausa) Se continua così, diventerò una massaia perfetta... farò anche ami­cizia con le vicine... La signora Sandor si è già offerta di venirmi a tenere compagnia... Si me­raviglia che sono sempre solo... che non vado in nessun posto...

Maria                             - (sorpresa) Che stai dicendo?

Paolo                             - Credi proprio che me lo figuravo così il matrimonio? Io resto solo a cena... mia moglie va alle sedute di consiglio serali... Se l'avessi appena potuto prevedere, neanche per sogno mi avresti sposato... (si corregge arrab­biato) ti avrei sposato...

 Maria                            - (lo accarezza) Ma che hai, Paolo? Eri calmo, tranquillo e a un tratto ti fai vincere dal cattivo umore...

Paolo                             - (più pacato) Non avevo niente da fare, oggi, e sono rimasto a pensare, tutto il po­meriggio...

Maria                             - Di nuovo? Perché ti tormenti? A che pensi?

Paolo                             - Ho stabilito che sono un negro.

Maria                             - Cosa sei?

Paolo                             - Un negro... zulù o somalo o che ne so...

Maria                             - Ma no! (Ride) Sei un matto tanto caro...

Paolo                             - Tra i negri è la donna che lavora, mentre il marito resta a casa a fumare la pipa!...

Maria                             - Tu invece, fumi sigarette...

Paolo                             - (breve pausa) Non è più sopporta­bile. Io faccio il negro e mia moglie, la sera, frequenta le sedute di consiglio.

Maria                             - Come «frequenta? » Questa è la pri­ma volta che ci vado... Ai tuoi tempi... anche tu di tanto in tanto, la sera, avevi delle sedute di consiglio...

Paolo                             - (si avvicina a lei, piano) Maria... giu­rerei che fino ad oggi non hai mai mentito.

Maria                             - È vero.

Paolo                             - E giureresti ora che dici la verità?

Maria                             - Non fare il ragazzo! L'hai detto tu stesso tante volte che a queste riunioni non si può mancare...

Paolo                             - Ahi, ahi! Allora stiamo male.

Maria                             - Che vuol dire: stiamo male?».

Paolo                             - (deciso) Quando andavo a... quelle sedute, non sempre si tenevano in ufficio.

Maria                             - E dove, invece?

Paolo                             - In un. bel locale, dove si cenava.

Maria                             - (siede) Ah, è così?... e me lo dici con tanta tranquillità?...

Paolo                             - Perché non facevo nulla di male. Ci si incontrava tra antichi compagni a bere un bic­chiere... a parlare del passato... cose innocentissime.

Maria                             - E non potevi dirmelo, lealmente? Perché inventavi dei pretesti?

Paolo                             - Per la stessa ragione per la quale tu, stasera, inventi la tua seduta. Perché è più facile mentire che dire la verità.

Maria                             - Non si niente per noi stessi, ma per chi ci ascolta. Non è vero che è facile mentire, è facile credere la menzogna.

Paolo                             - Guarda... io sono sicuro che tu non vai ad una seduta, ma sono anche sicuro che in quello che fai non c'è nulla di disonesto. E di un'altra cosa, sono egualmente sicuro: che se tu vai, non c'è forza umana che possa trattenermi a casa.

Maria                             - E dove andresti?

Paolo                             - Ad aspettarti davanti al tuo ufficio. (Piccola pausa).

 Maria                            - Se sapessi come mi vergogno, Paolo...

Paolo                             - Perché?

MarIa                            - Perché ti ho mentito. (Lunga pausa).

Paolo                             - Togliti quell'abito... Se rimani a ca­sa, ti giuro che non ti chiederò mai dove volevi andare.

Maria                             - (si porta le mani al collo come per sgan­ciarsi la collana, poi lascia ricadere le braccia) No... vado... e tu non mi chiederai mai dove sono stata.

Paolo                             - Rimani.

Maria                             - Esco.

Paolo                             - (le si pianta davanti in tono di co­mando) Rimani! (Maria si drizza e lo squa­dra. Pausa di tensione. Paolo volge il capo contrito) Scusami... fa come vuoi... non devi rendermi conto... avevo dimenticato che il pa­drone di casa sei tu...

Maria                             - È colpa mia, forse? Perché mi tor­turi? È una disgrazia... ma passerà questo stato di cose... Non eravamo d'accordo che non ne avremmo mai parlato?

Paolo                             - È vero... ma non potevo neppure supporre che significa quando è la donna che guadagna.

Maria                             - Che importanza ha se ci vogliamo bene e se ci diamo la mano per aiutarci?

Paolo                             - Significa che io non sono più un uomo. Si è uomini quando si dà; quando si co­mincia a ricevere, non si è più nulla. Vedi?... Posso io pronunziare una parola ad alta voce? Posso comandare, volere... insomma posso osa­re d'essere il padrone?...

Maria                             - Cominci di nuovo a torturarti.

Paolo                             - Di nuovo? Sono mesi che -mi tor­turo. Anche in sonno. Quando tu dormi, io ti guardo e avrei voglia di piangere come un ra­gazzo. La mattina quando esci per andare in ufficio, mi mordo le mani dalla rabbia. Tu vai a lavorare ed io resto qui ad aspettarti... leggo i romanzi sentimentali, litigo con la lavan­daia... (Senza convinzione) Hai ragione! Pren­diti un altro uomo... Sei bella, sei giovane, com­prendo... Non parlerò, non dirò nulla... Posso aprire bocca se non voglio diventar ridicolo? (Va alla porta l'apre) Vai, vai, sbrigati... altri­menti arrivi in          - (ritardo.

Maria                             - Sei geloso?

Paolo                             - Non ha importanza. (Pausa) Il buon umore diminuisce sempre in questa casa... ogni giorno divento più insopportabile. Hai bisogno d'andare in qualche posto per trovare un po' d'allegria... vuoi che ci ti saluta, si tolga un cappello che non hai pagato tu.

Maria                             - Capisco che per tranquillizzarti, so­no costretta a dirti dove vado.

Paolo                             - No, no... non è necessario che lo sappia.

Maria                             - Le cose sono andate così... Bordon da tre settimane sembra impazzito. Vuole ad ogni costo che io vada a cena con lui.

Paolo                             - Perché?

Maria                             - Devo spiegartelo? Perché un uomo vuole cenare con una donna?

Paolo                             - E poi?

Maria                             - Fino ad oggi sono riuscita a sottrar­mi alle sue insistenze. Ma stasera debbo andare.

Paolo                             - Ne sei innamorata?

Maria                             - Ci vado solo perché voglio che dopo mi lasci tranquilla. Non è dall'uomo che va­do... è da] padrone, e gliel'ho anche detto. Ma se spera che nonostante questo...

Paolo                             - Lo spera?

Maria                             - Naturale.

Paolo                             - Mascalzone. Ed io... cosa posso fa­re, io, adesso?

Maria                             - Nulla, Paolo.

Paolo                             - Nulla? (Febbrile) Se ti permetto d'andare, mai più potrò guardarmi in uno spec­chio... avrei vergogna di me stesso... e se lo prendo a schiaffi... tu perdi il posto... Perché me l'hai detto?

Maria                             - (amara) L'hai voluto.

Paolo                             - Ho una moglie e non l'ho più. Non potevo scendere più in basso. Devo baciarti le mani... e dirti: vai...

Maria                             - Vado. Tutti e due abbiamo bisogno del mio posto. Fra un'ora sarò di ritorno. (Mol­to seria) E poi parleremo. Vedremo se sarà pos­sibile continuare ancora la nostra vita perché così non si va più... qualche cosa s'è spezzata.

Paolo                             - S'è spezzata. Hai ragione.

Maria                             - Addio, non mi dai un bacio?

Paolo                             - Ma sì. (Le sfiora appena la guancia) Ecco.

Maria                             - Fra un'ora. (Esita ancora un atti­mo, poi decisamente esce dal fondo. Paolo ri­mane immobile come se avesse avuto una maz­zata sulla testa, poi apre la finestra e segue con lo sguardo Maria in istrada. Ridiscende in scena coi pugni stretti. Improvvisamente afferra il vaso che è sulla tavola e lo scaraventa con forza a terra).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

QUADRO TERZO

La scena del quadro precedente. (Paolo sta alla finestra. Si sente picchiare. Ha un sobbalzo),

Paolo                            - Avanti!

Bordon - (entra) Scusi. Ho trovato la porta aperta e sono entrato. Ho atteso in anticamera che venisse qualcuno... Sono Bordon.

Paolo                            - (sbigottito) Bordon?

I

 Bordon                        - Probabilmente mi conosce già...

Paolo                            - (calmo) Solo di nome. Mi permetta un momento... vado a vedere come mai la porta era aperta. (Via. Poi rientra) La cameriera chiacchiera coi vicini... Si capisce... lascia aper­ta la porta. Si accomodi.

Bordon                         - Se lei conosce il mio nome, sa an­che che sono il direttore della società nella quale lavora la signorina Maria.

Paolo                           - (meravigliato) La signorina Maria?

Bordon                        - (sorpreso) Ma ho forse sbagliato porta?... Cercavo la signorina Maria Kelemen.

Paolo                            - Sì, sì... abita qui. Io sono suo...

Bordon                         - Ah, allora va bene! Lei è suo fratello, lo so! Mi ha parlato spesso di lei. Più diuna volta volevo venire a farle visita, ma la signorina Maria mi ha sempre sconsigliato; dice che lei è poco socievole e che... mi scusi, a ve­derla non sembra... e che è un uomo burbero.

Paolo                            - (disorientato) Ha detto... ha detto così?

Bordon                         - Sicuro!

Paolo                            - (a disagio) Non ha tutti i torti., c'è qualcosa di vero...

Bordon                         - Sua sorella è una ragazza molto gentile, diligente e simpatica. Sono proprio lieto di avere l'occasione di dirglielo.

Paolo                            - (è prudente, cerca di conoscere la ve­rità) Grazie...

Bordon                         - A me non piacciono i preamboli. Sono qui perché speravo di trovare a casa la si­gnorina Maria.

Paolo                            - Purtroppo non c'è. A quanto mi ri­sulta dovrebbe essere venuta da lei.

Bordon                         - Impossibile! L'ho aspettata finora all’Alliambra.

Paolo                            - È uscita da poco. Sarà giunta ora lì.

Bordon                         - Forse sono stato troppo impazien­te. Ci saremo incrociati per via. Allora mi per­doni il disturbo... (Si alza).

Paolo                            - Oh no! Non vorrà andar via, spero. Se mia sorella non la trova, tornerà certamente qui. È meglio che l'aspetti.

Bordon                         - Se non disturbo...

Paolo                            - Anzi, la prego. Posso offrirle un caffè? (Suona).

Bordon                         - Molto gentile. Sicché Maria le ha raccontato che aveva appuntamento con me?

Paolo                            - Sicuro che me l'ha detto.

Bordon                         - Questo prova che è una donna molto sincera.

Paolo                            - (marcato) Oh sì, molto! (Ad Anna) \ Due caffè.

Anna                            - Sissignore. (Esce).

Bordon                         - Immagino che vorrà sapere le ra­gioni del mio interessamento. Le devo confes­sare che sebbene Maria sia da dieci anni nel mio ufficio, solo da poco mi sono accorto di lei. Da qualche mese... da quando sono in convale­scenza...

Paolo                            - È stato ammalato?

Bordon                         - Una malattia d'amore... ma ora sono guarito. Ogni giorno veniva a riferirmi su­gli affari d'ufficio e restava per delle ore nel mio studio... Sono rimasto colpito dalla sua chiarezza di vedute, dalla precisione delle sue idee, direi quasi dalla purezza del suo lavoro. Ha un modo di vedere le cose, di esporre, di ri­ferirle, del quale ci si può innamorare.

Paolo                            - (amaro) Me ne rallegro veramente.

Bordon                         - Già da qualche tempo desideravo parlare tranquillamente e a lungo, fuori d'uf­ficio, e questa sera il mio desiderio sarebbe stato appagato se invece d'essere tanto impaziente l'avessi attesa. Insomma, in questo momento, sua sorella ha preso un gran posto nel mio pen­siero... mi sembra che ci intendiamo... potrebbe essere una buona compagna... Può darsi che io mi inganni e che fra un mese la pensi diversa­mente... chi può vedere nell'avvenire?... ma può darsi che voglia farne mia moglie... Tutto è possibile, non è vero?

Paolo                            - (nervoso) E questo... lei lo ha detto anche a Maria?

Bordon                         - Mi proponevo di farlo proprio sta­sera... Ma le mie parole non vanno intese come una domanda di matrimonio. Desideravo chia­rire la nostra situazione... perché lei, come fra­tello, in qualche modo ha il diritto di...

Paolo                            - Oh! In qualche modo, sì. (Anna porta il caffè, lo bevono; breve pausa. Paolo si alza, passeggia su e giù nervoso) Mi rincresce molto signor Bordon... ma lei senza sua colpa, credo, è caduto in un equivoco spiacevole. Bordon       - Un equivoco?

Paolo                            - Che penserebbe se le dicessi che Ma­ria non è mia sorella?

Bordon                         - (stupito) Come?... Eppure vivete insieme...

Paolo                            - Non si vive insieme soltanto con la propria sorella... Anzi! di solito la donna con la quale si rive non è la sorella.

Bordon                         - Vorrebbe farmi intendere che Ma­ria...

Paolo                             - No, no, non tema, non è la mia amante.

Bordon                          - E allora?

Paolo                             - Non le ha detto che s'è sposata?

Bordon                          - Mai.

Paolo                             - E non ha neanche denunziato all'uf­ficio il suo cambiamento di stato?

Bordon                          - No... lo saprei.

Paolo                             - Insomma all'ufficio nessuno sa che essa ha marito?

Bordon                          - Mi ricuso di rispondere fin che non mi spiegherà...

Paolo                             - C'è poco da spiegare. Maria è mia moglie.

Bordon                          - Sua moglie? Da quando?

Paolo                             - Da un anno e mezzo.

Bordon                          - E perché me lo dice soltanto adesso?

Paolo                             - Era venuto a cercare mia sorella... comprenderà perché io l'ho lasciata nel suo er­rore. Era l'unico modo per conoscere la verità...

Bordon                          - È tanto inverosimile quello che mi dice, che non posso crederlo così semplicemente.

Paolo                             - Guardi! (Indica un piccolo ritratto appeso alla parete) L'abbiamo fatto il giorno del nostro matrimonio.

Bordon                          - Ma allora perché tutto questo? Perché tenerlo segreto?

Paolo                             - (scrutandolo) È una domanda che mi sono fatta parecchie volte da quando è qui e ora aspetto da lei una risposta sincera...

Bordon                          - (sincero) Come può dubitare?

Paolo                             - Sicché è proprio vero... nessuno sa­peva...?

Bordon                          - Nessuno!... glielo assicuro. Avrei dovuto esserne informato per primo.

Paolo                             - Secondo lei per quale ragione Maria ha voluto serbare così gelosamente il segreto?

Boudon                         - Confesso che non lo capisco.

Paolo                             - Ecco! Si vive un anno e mezzo vi­cino ad una donna... Si crede di comprendere i suoi pensieri più reconditi, e all'improvviso si scopre che non si conosce affatto... che è una estranea. Mi aveva chiesto di non andare mai a trovarla in ufficio; non voleva apparirmi sotto l'aspetto di impiegata, diceva... Anche questo è un punto di vista... Non ho mai incontrato nes­suno dei suoi colleghi. Ora per la prima volta, conosco un uomo che comunque ha un posto nella sua vita... e scopro che io non esisto...

Bordon                          - Si calmi, si calmi. Quando tornerà le spiegherà tutto. Si accorgerà che le cose non sono così gravi.

Paolo                             - Lo dice per confortarmi... ma cin­que minuti fa, parlava di sposarla.

Bordon                          - Di una cosa può essere sicuro... che tutto quanto è accaduto qui non influirà in nessun modo sulla situazione di Maria.

Paolo                             - Grazie... Vede, dove mi ha fatto giungere? Devo ringraziare l'uomo col quale mia moglie aveva appuntamento.

Boudon                         - Credo che la cosa più saggia sia che io me ne vada. Da soli, certo chiarirete più facilmente...

Paolo                             - No, no! Lei deve rimanere qui. Vo­glio che entrando ci trovi insieme; così forse, non cercherà di mentire.

Bordon                          - Finora le ha mentito tanto?

Paolo                             - Le ho sempre creduto...

Bordon                          - Ed ora vorrebbe erigersi a giudice?

Paolo                             - Non a quello che indaga, a quello che condanna.

Bordon                          - Allora non posso assistere. (Due squilli di campanello).

Paolo                             - È lei.

Maria                             - (entra; intravede subito i due uomini ha un attimo di sbigottimento, poi si riprende) Buona sera, Paolo. (Lo bacia). Buona sera, direttore... se lei viene qui a prendere il caffè, io la cerco inutilmente all'Alliambra.

Bordon                          - Buona sera, Maria. Spero vi ren­derete conto che non è colpa mia se mi trova­te qui.

Maria                             - Si era annoiato di aspettare... È così?

Paolo                             - Credi con le tue chiacchiere...

Maria                             - La padrona di casa, deve innanzi tutto occuparsi dell'ospite.

Bordon                          - Non vorrei disturbare...

Paolo                             - No, no... La prego di rimanere. Ab­biamo bisogno di lei.

Maria                             - (a Paolo) Mi sembri molto agitato.

Paolov                            - T'inganni... Sono calmissimo... al­trimenti ti avrei già strozzata.

Bordon                          - La mia situazione è veramente im­barazzante... Vorrei andar via o sprofondare.

Paolo                             - Prima sentiamo che cosa dice la « si­gnorina » Maria.

Maria                             - Qualunque cosa dicessi, nessun uo­mo potrebbe capirla.

Paolo                             - Basta che tu dica la verità.

Maria                             - La verità? (Ironica)... Sapete che significa essere una donna?! Voi andate in uffi­cio, se trovate un impiego, fate il vostro lavoro, vi divorate tra colleghi, parlate male dei superiori e basta. Ma noi...? che cosa non dobbiamo sopportare? Per voi, il principale è un uomo; i colleghi anche maligni, anche invidiosi, sono uomini... per noi sono maschi, che ci offendono perfino con lo sguardo e col pensiero... egoisti della peggiore specie.

Bordon                          - Grazie tante.

Maria                             - È facile, per gli uomini... Sono uo­mini...! Ma per noi...? Non basta lavorare. Che importa essere diligenti? Meglio avere un ve­stito elegante... ed essere belle... questo conta molto per l'avanzamento. E quanto valgono dei capelli morbidi, bene ondulati! (A Paolo) A te un direttore ha mai accarezzato la testa? ti ha mai toccato le braccia? ti ha mai detto che il cappello ti sta bene? ti ha mai chiesto di andare a ballare con lui? Io vivo negli uffici da quando avevo 17 anni, e mi sono convinta che agli uo­mini, soprattutto ai padroni, non piace che la donna sia proprietà privata. Se è libera è una preda più facile. Credi che sia la sola che tiene nascosto gelosamente un marito o dei bambini per non perdere i privilegi delle colleghe libe­re? So che nella prossima seduta di consiglio si esamineranno le posizioni degli impiegati. Il signor direttore voleva cenare con me stasera: potevo rifiutare? All'uomo si chiede soltanto il lavoro; alla donna tutta se stessa. (A Paolo) Ora puoi strozzarmi se vuoi. (Va alla finestra).

Bordon                          - (a Paolo) Non mi sento colpevole... Signora, desidero confermarvi che la vostra si­tuazione non subirà mutamenti. (Si inchina) Vi bacio le mani. (A Paolo) Arrivederci. (Esce. Lungo silenzio).

Paolo                             - E allora?... perché non dici nulla?

Maria                             - Sono stanca... Andiamo a dormire.

Paolo                             - Così non si può più andare avanti.

Maria                             - Ne parleremo domani...

Paolo                             - Parlarne? La sola cosa che potrei dire è questa: non andare più in ufficio! Posso farlo? No.

Maria                             - Non torturarti... finirà tutto.

Paolo                             - Questa situazione non può più du­rare. Il nostro matrimonio è morto... gettiamoci su un pugno di terra... e poi me ne vado.

Maria                             - Resta... forse domani accadrà qual­che cosa.

Paolo                             - Non accadrà nulla. Non potrei cre­derti più. Se ritardassi solo un minuto, pense­rei che sei con un altro uomo. Impossibile vivere così...

Maria                             - Non mi ami più...

Paolo                             - Tra noi non è più questione d'amo­re, ma di dignità.

Maria                             - Di chi parli, Paolo?

Paolo                             - Dovresti chiedermi piuttosto con che diritto parlo.

Maria                             - Oh, Paolo! Non direi mai una cosa simile !...

Paolo                             - Ma io la sentirei ugualmente.

Maria                             - (si passa una mano sulla fronte) Co­me sono stanca!

Paolo                             - Va' a dormire.

Maria                             - E tu?

Paolo                             - Devo andar via subito; altrimenti non ne avrei più la forza. Domani manderò a ritirare la mia roba.

Maria                             - Fai sul serio?

Paolo                             - Ecco la chiave della dispensa. La lavandaia deve portare ancora un fazzoletto... Ho dato cinque pengo di anticipo ad Anna... Ti consegno la casa in ordine.

Maria                             - Dove vai?

Paolo                             - E dove potrei andare? Torno da mia madre. (Mentre esce, cala il sipario).

 

QUADRO QUARTO

L'ufficio del primo quadro.

Tecla                             - Nove per cinque, 45, cinque e porto 4; due per nove, 18 e 4, 22, due e porto due; tre per nove ventisette e due 29. Va benissimo... non so proprio più dove cercare questo maledet­to errore.

Maria                             - Guarda sotto la scrivania.

Tecla                             - Non sai darmi un consiglio migliore?

Maria                             - Impara a fare la moltiplicazione.

Tecla                             - L'imparerò, non dubitare.

Maria                             - E quando?

Tecla                             - Quando un bellissimo ufficiale dello stato civile ci dirà: «ora che siete cresciuti... moltiplicate ».

Maria                             - Ti sposeresti proprio tanto volen­tieri?

Tecla                             - Appassionatamente.

Maria                             - Due mesi fa non volevi neppure sen­tir parlare di matrimonio...

Tecla                             - Bisogna essere elastici nelle proprie opinioni. Due mesi fa tu vivevi ancora con tuo marito. Poi lui t'ha piantata... pardon... tu l'hai piantato... insomma vi siete piantati... e da al­lora ho compreso che la gente è fatta per spo­sarsi.

Maria                             - Come? Lo spettacolo del mio matri­monio ti ha fatto giungere a questa conclusione?

Tecla                             - No... lo spettacolo di quello che sei diventata tu, mi inspira la più profonda ripu­gnanza per lo stato nubile. Diventi ogni giorno più pallida e più nervosa, qualche volta sei ad­dirittura insopportabile, mentre prima non ac­cadeva mai.

Maria                             - Come ero prima?

Tecla                             - Precisamente il contrario. Dunque, deve pur esservi qualcosa di buono nel matri­monio... (con malizia) ... se la sua mancanza ci fa tanto intristire.

Maria                             - Ti dispiacerebbe se non ne parlas­simo?

Tecla                             - Figurati!... (Brevissima pausa) E da quando siete divisi non l'hai più visto?

Maria                             - No.

Tecla                             - Non gli hai nemmeno scritto?

Maria                             - No.

Tecla                             - E lui non t'ha risposto?

Maria                             - A che cosa avrebbe potuto rispon­dere se non gli ho scritto?

Tecla                             - Oh! un uomo garbato risponde an­che se non gli si scrive. Ma ne esistono ancora uomini garbati? Ahimè! Sono tutti mascalzoni!

Maria                             - (soprapensiero) Sì.

Tecla                             - ... egoisti, senza cuore, dei veri mo­stri !

Maria                             - (c. s.) Sì.

Tecla                             - Lo ami ancora?

Maria                             - (e. s.) Sì. (Poi, come se si svegliasse d'un tratto) Perché vuoi farmi diventare ancora più nervosa?

 

Tecla                             - Allora già lo sei?

Maria                             - (scoppiando) È naturale... può dar­si che venga qui.

Tecla                             - Chi?

Maria                             - Mio marito.

Tecla                             - (stupefatta) Come, come? qui?! quando? Perché? Parla!

Maria                             - Ti ho detto che sei mesi fa pareva che potesse entrare nella nostra ditta. Presentò una domanda, ma poi non ne seppe più nulla. L'altro giorno, la sua domanda è tornata a gal­la, mi hanno interpellato e ho dato parere fa­vorevole. Ieri lo hanno invitato a presentarsi.

Tecla                             - E si presenterà?

Maria                             - Lo credo!

Tecla                             - E se non venisse?

Maria                             - Allora... (Alza le spalle).

Tecla                             - Allora... piangerai. Che capo uf­ficio! Un giorno sgrida un uomo e un altro gior­no piange per lui... (Sospira forte).

Maria                             - Perché sospiri?

Tecla                             - Sospiro in vece tua. La tua autorità non ti permette di mostrarti debole dinnanzi ad una dipendente. E... se verrà... che farai?

Maria                             - Gli farò scontare tutto quello che m'ha fatto! Gliele darò io le sedute di consiglio urgentissime. Lo terrò in pugno e t'assicuro che mi vendicherò!

Tecla                             - Brava! come sono contenta!

Maria                             - Ti rallegra una simile prospettiva?

Tecla                             - Naturale! Quest'ufficio cominciava a diventare così noioso...

Bordon                          - (entra) Per favore, signorina, fa­tevi dare le fatture di Barta.

Tecla                             - Subito. (Esce).

Boudon                         - Sono venuto a separarmi da voi.

Maria                             - Da me?

Bordon                          - Sì. Ieri ancora, quando vi chiesi di diventar mia moglie, non ho considerato de­finitivo il vostro «no». Oggi solo mi rendo con­to che tutto è finito.

Maria                             - Che è accaduto?

Bordon                          - (mostra una lettera) Vostro marito ha scritto. (Maria fa per prendere il foglio) Prima salutiamoci. Per me, Maria, come don­na, non esisterà più... vi sarà soltanto l'impie­gata. Chi avrebbe mai creduto che questo si po­tesse sbrigare con due parole?... solo con una stretta di mano...? (Le porge la mano. Maria gliela stringe. Breve pausa) Il servizio funebre è finito. Ecco la lettera. Si presenterà stamane...

Maria                             - Ne ero sicura!

Bordon                          - E credete che vostro marito sarà disposto a lavorare accanto a voi?

Maria                             - Non so.

Bordon ........................ - Se c'è qualcuno che desidera ve­dervi in pace, sono io. Conosco l'origine dei vo­ stri dissidi coniugali... tuttavia sento il rimorso di essere stato la causa involontaria della vostra separazione. Per questo ho fatto il possibile per riavvicinarvi. Ora tocca a voi.

Maria                             - Sì.

Bordon                          - Se vostro marito accettasse... (Si ferma d'improvviso) Venite nel mio ufficio, dob­biamo parlarne. Qui ogni momento può entrare qualcuno. (Escono. Dopo un momento la porta di sinistra si apre e Stefano fa entrare Paolo).

Stefano                         - Si accomodi qui, signore. La si­gnorina verrà subito.

Paolo                             - Volete una sigaretta?

Stefano                         - Grazie, non fumo. Ho smesso per quel pezzo di terra...

Paolo                             - (con finto interesse) Ah sì?

Stefano                         - Un pezzo di terra che ho comprato in vicinanza di Bonto. Se sapesse quanti sacri­fizi ho fatto per pagarlo... Però ne valeva' la pena. Tra un paio di mesi al massimo ci faran­no la ferrovia... e allora chi sa come aumenterà di valore...

Paolo                             - Se ce la faranno veramente, sì.

Stefano                         - Ce la faranno, e come! L'ho sa­puto da mio cognato, che è addetto alla persona del Ministro.

Paolo                             - Che carica ricopre?

Stefano                         - È il suo usciere, e sente tutto quello che dicono. (Quasi nello stesso momento entrano Kovacs da sinistra e Maria dal fondo. Stefano via).

Kovacs                          - (consegnando degli incartamenti a Maria) Ecco quanto mi aveva chiesto, signo­rina...

Maria                             - Grazie. (Dà un'occhiata alle carte) Signor Kovacs!

Kovacs                          - (che si era avviato) Desidera?

Maria                             - Che cosa mi avete portato?

Kovacs                          - La pratica della ditta Kadar...

Maria                             - E questa è una pratica, secondo voi? Questa è carta straccia! Che cosa è questo fo­glio? Di chi è questa fattura? E dov'è la lettera di ieri? L'avete guardata prima di portarmela?

Kovacs                          - Press'a poco.

Maria                             - Che vuol dire press'a poco: sì o no? Le cose si guardano o non si guardano.

Kovacs                          - Io veramente... ritenevo che tutto fosse in ordine.

Maria                             - Neanche voi, credo, farete una lun­ga carriera qui dentro, lavorando così.

Kovacs                          - (si avvicina e si appoggia coi gomiti sulla scrivania di Maria) Scusi... in quel fo­glio...

Maria                             - State dritto! Che modo è questo di appoggiarsi alla mia scrivania?... V'ho detto cento volte che non mi piace. (Continua a leg­gere) Da domani passerete all'archivio... così im­parerete a tenere le pratiche in ordine. È inu­tile rispondere... Andate pure. E mettete a posto quest'incartamento. (Kovacs esce a sinistra).

Paolo                             - (si avvicina alla scrivania; con voce in­certa) Chiedo scusa...

Maria                             - (non alza lo sguardo) Desiderate?

Paolo                             - (si irrigidisce) Vorrei parlare col si­gnor Bordon.

Maria                             - (e. s.) Per che cosa?

Paolo                             - Ho ricevuto questa lettera. (La porge).

Maria                             - Ah sì... per quel posto.

Paolo                             - Appunto... per quel posto.

Maria                             - Vi annuncio subito. (Via dal fondo. Dopo un momento torna) Entrate.

Paolo                             - Grazie. (Via).

Tecla                             - (entra) Ho sentito che hai trasferito Kovacs all'archivio. Ora devo mettermi alla ri­cerca d'un altro pretendente.

Maria                             - Perché?

Tecla                             - Come vuoi che faccia all'amore con un impiegato di un altro reparto? Il mio fidan­zato voglio averlo sempre sottomano...

Maria                             - Mi rincresce.

Tecla                             - Mi prometti che se si comporta be­ne per quindici giorni lo fai tornare qui?

Maria                             - Te lo prometto. (Breve pausa) Sai chi c'è là dentro?

Tecla                             - Tuo marito! E li lasci soli? Non hai paura che si prendano a schiaffi?

Maria                             - Oh, no! Avrebbe dovuto prendere a schiaffi me, quando sono entrata qui... E avreb­be dovuto dirmi: Come osi parlarmi in quel tono ufficiale? Dammi subito un bacio, altri­menti...

Tecla                             - Purtroppo di uomini così energici se n'è perduta la razza. (Entrano Paolo e Bordon).

Bordon                          - Signorina Tecla, vi presento un nuovo collega, Paolo Perzel.

Tecla                             - Tanto piacere. (Si mette a rifare i conti).

Paolo                             - (a Bordon) Ho pensato a lungo se accettare o non questo posto... Ma poi mi sono detto: o il mio lavoro vale qualcosa, e allora non interesserà nessuno sapere come sono giun­to qui; o il mio lavoro non vale nulla e allora non ci sarà neppure il tempo di porsi questa domanda. Mi scusi... ma lei comprende perché ho voluto dirle tutto questo.

Bordon                          - Lo indovino. Mi rincresce soltan­to... Siete ragioniere, se non sbaglio?

Paolo                             - Ero procuratore.

Bordon                          - ... allora mi rincresce ancora di più di non potervi offrire che un posto modesto ; ma per ora non c'è altro di meglio.

Paolo                             - Oh, non fa nulla... lavorare, è ne­cessario.

Bordon                          - Dunque... auguri! La signorina... La signora vi metterà al corrente di tutto. (Via).

Paolo                             - Dove lavorerò?

Maria                             - (indica la scrivania al fondo) Là.

Paolo                             - E chi è il mio superiore immediato?

Maria                             - Io.

Paolo                             - Ah sì?

Maria                             - (sibilante) Sì. E siccome desidero che chi lavora con me sappia subito a che atte­nersi, vi avverto che esigo il massimo rispetto. La mia esperienza mi ha insegnato che quando una donna è a un posto di comando, gli uomini tendono ad approfittarne. Esigo inoltre che il lavoro sia eseguito con precisione e puntualità e che non si badi all'orario se c'è molto da fare.

Paolo                             - (che è davanti alla scrivania di Tecla) Prendo atto. (Improvvisamente a Tecla) Scu­sate, ma qui c'è un errore. Invece di 15 mila sei due tre, è stato riportato 15 mila, due sei tre...

Tecla                             - Oh! finalmente! È tutta la mattina che cerco. Che fortuna aver un collega simile. (Suono di raganella).

Maria                             - (a Tecla) Con un pochino d'atten­zione, l'avresti trovato anche tu l'errore! (Te­cla prende un taccuino ed una matita ed esce lentamente dal fondo. Con tono ufficiale) Sono d'accordo col direttore sulle mansioni che esple­terete: fogli paga, libretti degli operai, corri­spondenza del giorno. Non credo di dovervi dare molte spiegazioni, perché il lavoro è fa­cilissimo e a quanto mi risulta avete già una certa pratica d'ufficio. (Paolo le appoggia una mano sul braccio e la guarda con tenerezza) Non mi pare però che abbiate la stessa pratica di donne, altrimenti vi sareste astenuto dal fare quel gesto (Paolo ritira la mano) ...perché que­sto è un ufficio e non una camera matrimo­niale... e comunque il nostro matrimonio è rotto da un pezzo. I nostri rapporti qui saranno di colleghi e non vorrei essere costretta a ricor­darvi che siete un mio dipendente. Guardatevi bene dall'avanzare pretese perché un giorno vi sposai! Dopo ciò spero che questo sia il nostro ultimo colloquio riguardante affari intimi. (Va al fondo) Qui c'è tutto l'occorrente: il registro del personale e i libretti degli operai. Vorrei che il lavoro fosse sbrigato giornalmente: non mi piacciono le pratiche in sospeso.

Paolo                             - Eppure ve n'è una...

Maria                             - Quale?

Paolo                             - La nostra... Vorrei sapere che cosa vi siete prefissa facendomi venir qui.

Maria                             - Nient'altro che darvi un posto.

Paolo                             - (si avvicina) Maria...

Maria                             - (guarda l'orologio) Sono già cinque minuti che parliamo di cose private e questo è contrario ai miei principi. In ufficio non esi­stono che affari d'ufficio.

Paolo                             - Maria... cerchiamo un tono più umano. Io sono venuto qui soltanto per... par­larti.

Maria                             - Mi rincresce ma non ho più tempo.

Paolo                             - Va bene! Non parlare. Ascoltami almeno.

Maria                             - Non potreste risparmiarmelo?

Paolo                             - No!

Maria                             - Allora... dite.

Paolo                             - Puoi supporre che io rimanga qui dalla mattina alla sera agli ordini di mia mo­glie?

Maria                             - Della vostra (marcato) ex moglie!

Paolo                             - Insomma che mi rassegni a rinun­ziare alla mia volontà diventando uno zero sot­toposto ad una donna. Il mondo doveva proprio capovolgersi perché accadesse una cosa simile!

Maria                             - Viceversa trovereste logico il mio padrone.

Paolo                             - Logicissimo: è nell'ordine naturale delle cose. All'uomo è stato assegnato il co­mando.

Maria                             - (ironica) E alla donna l'ubbidien­za, eh!

Paolo                             - Sì.

Maria                             - E se qualcuno avesse un'opinione diversa?... D'altronde io qui lavoro come un uomo. Voi dunque ubbidite al vostro superiore, non a una donna.

Paolo                             - ... che vuol vendicarsi, umilian­domi.

Maria                             - Io? Vogliamo proprio parlarci con franchezza per un momento? Quante umiliazio­ni non mi avete fatto subire dal primo giorno del nostro matrimonio? Mi avete sempre trat­tata come un essere inferiore che non capisce nulla. Non mi permettevate neppure di avere un'opinione. Sicuro: il matrimonio è un'istitu­zione partigiana degli uomini i quali vogliono sempre dimostrarci di esser loro i padroni, anzi una specie di semidei che le donne devono adorare. Adesso sono al sole! e non voglio ri-nunziarvi.

Paolo                             - Non ci intendiamo.

Maria                             - Non ha importanza. Ora lavoriamo. Fate conto che io sia una ragioniera di cinquan­ta anni con gli occhiali. Dimenticherete che siete stato mio marito!

Bordon                          - (entra. A Maria) Siete poi andata al Ministero ieri?

Maria                             - Sicuro. Ho parlato proprio col Mi­nistro. Da principio non voleva sbottonarsi, poi mi ha detto che la ferrovia non si farà più. (Paolo alla parola ferrovia presta attenzione).

Bordon                          - È ufficiale la notizia?

Maria                             - Non ancora, ma me l'ha data per sicura.

Paolo                             - (a Bordon) Scusi se mi permetto... Non parla per caso della ferrovia di Bonto?

Bordon                          - Appunto.

Paolo                             - Allora posso assicurare che la fer­rovia si farà.

Maria                             - (ironica) E quando?

Paolo                             - Fra un paio di mesi al massimo.

Maria                             - Oh, oh, questa è bella!

Paolo                             - Da informazioni private.

Bordon                          - E non si potrebbe conoscere il nome...?

Paolo                             - Mi rincresce... comprometterei... un funzionario.

Bordon                          - Staremo a vedere. Comunque dob­biamo attenerci alle dichiarazioni del ministro.

Paolo                             - Scusi... ho creduto mio dovere...

Bordon ........................ - Grazie. - (Via)

 Maria                            - (breve pausa. Dà una matita a Paolo) Fate la punta, vi prego. Il temperalapis è nel tiretto della macchina. (Paolo esita, poi con violenza apre il tiretto, fa la punta alla matita e la mette sulla scrivania di Maria che frattanto legge. Senza alzare neppure la testa) Grazie. Sedete alla macchina. Vi detterò.

Paolo                             - M'avete preso per una dattilografa?

Maria                             - Distribuisco il lavoro come credo. E se discutete ogni mio ordine...

Paolo                             - Sicché io dovrei rimaner seduto lì... (indica la macchina) mentre voi andate su e giù per la stanza, dettando...

Maria                             - Non si è ancora inventato un altro modo.

Paolo                             - (fuori di sé si avvicina alla scrivania di Maria. Vi appoggia le mani. Con impeto) Ma cara signora...

Maria                             - (calma) Prima di tutto qui sono la signorina Maria...

Paolo                             - Cara signorina Maria...

Maria                             - ... e poi vi prego di non appoggiar­vi alla scrivania. Esigo il massimo rispetto.

Paolo                             - (con rabbia crescente) Me ne infi­schio del vostro rispetto... (spicca un salto e siede sulla scrivania) ... e mi ci siedo sopra... e se osate ancora aprire bocca ci ballo anche sulla vostra scrivania. Che vi siete messa in testa? Credete forse che abbia paura di prendervi a sculacciate?

Maria                             - (con un sorriso subito represso) Siete impazzito! Scendete subito, altrimenti...

Paolo                             - (provocante) Altrimenti?

Maria                             - (fa macchina indietro) Non tollero quel tono... (Si alza).

Paolo                             - È il tono normale per parlare alle donne!

Maria                             - (breve pausa, gelida) Vi prego... lasciate questa stanza.

Paolo                             - Mi mettete alla porta?

Maria                             - Sì.

Paolo                             - Stavo appunto per andarmene. (Con profondo disprezzo) Non siete che una donna! (Prende il cappello e si avvia risolutamente. Dopo qualche passo si volge) Avete detto qual­che cosa?

Maria                             - No.

Paolo                             - (si avvia nuovamente. Giunto alla porta si ferma, con gesto repentino getta su una sedia il cappello) No!., no!... Non sarà mai detto che una piccola donna si ritenga il centro del mon­do. Le mostrerò io che cosa è un uomo. Rimar­rò qui e alla fine si vedrà chi di noi due vale di più. Le insegnerò ad ubbidire!

Maria                             - (con disprezzo) Voi?

Paolo                             - (corre alla macchina da scrivere e qua­si urla) Ecco! Ora potete dettare. Ma badate eh!... (minaccioso) ...i tiranni finiscono sempre male!

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

QUADRO QUINTO

La stessa scena del quadro precedente. (Quando il sipario si alza, Tecla e Paolo la­vorano).

Tecla                             - (fa delle somme) Allora... 72, 76, 78 e nove... (Breve pausa).

Paolo                             - (senza alzare la testa) Ottantasette.

Tecla                             - Grazie. 39, 40, 46 e sette... (Breve pausa).

Paolo                             - 53. (Breve pausa. Tecla e Paolo parlano senza alzare la testa dal lavoro).

Tecla                             - Avete saputo?

Paolo                             - Che cosa?

Tecla                             - Che sarà nominata segretaria del presidente...

Paolo                             - Oh, povero me!

Tecla                             - Stando a quello che si dice, nel po­meriggio potreste presentarle le vostre congra­tulazioni... o magari le condoglianze. (La ra­ganella suona due volte) Corro. Avete un fiam­mifero?

Paolo                             - Proprio quando vi chiamano volete accendere la sigaretta?

Tecla                             - Naturale. Gli dà fastidio che una donna senta di fumo e mi manda via più presto.

Paolo                             - (le getta i fiammiferi) A voi!

Tecla                             - (li prende a volo) Grazie. (Accen­de e tira grandi boccate di fumo. Raganella) Eh, ho capito! Corro, corro. E dov'è la cipria? Ah già... nella borsetta. (Prende taccuino e ma­tita) Sono certa che mi detterà la lettera di no­mina di Maria. (Bordon apre la porta. Tecla che si incipria non lo vede, canterella) Corro... corro...

Bordon                          - (avanzando) Dove correte, signo­rina Tecla?

Tecla                             - (le casca di mano lo scatolino della cipria) Non voleva dettarmi, signor diret­tore?

Bordon                          - Ho già suonato due volte.

Tecla                             - Dunque... corro dove mi chiama il dovere. (Via dal fondo. Bordon la segue e chiu­de la porta. Paolo raccatta la scatoletta).

Stefano                         - (da sinistra annunzia) Il signor presidente. (Si ritira. Il presidente entra appog­giandosi a Giovanni).

Paolo                             - I miei rispetti, signor presidente.

Il presidente                  - Buongiorno caro Paolo. Dov'è il nostro direttore?

Paolo                             - Nel suo ufficio.

Il presidente                  - Novità?

Paolo                             - Eh sì! Una promozione.

 Il presidente                 - Ah!... e di chi?

Paolo                             - Della signorina Maria... a segreta­ria del signor presidente.

Il presidente                  - E perché lo dite con quel tono? (Si volta a guardarlo) Pare che vi di­spiaccia.

Paolo                             - Ma... veramente non fa mai molto piacere... che la moglie prenda il sopravvento...

Il presidente                  - Come? Chi? Vostra moglie?

Paolo                             - Sì, sì, signor presidente. Finora era il mio capo ufficio... ora diventerà addirittura la padrona.

Il presidente                  - Un momento... un momen­to! (Siede. Giovanni resta impalato dietro la sedia) Come? La signorina Maria non è una si­gnorina?

Paolo                             - È mia moglie.

Il presidente                  - Oh bella! E io non ne sa­pevo niente.

Paolo                             - Non l'ha confidato a nessuno.

Il presidente                  - Che cosa mi dite mai?! E perché?

Paolo                             - Perché quando una donna è libera, dice lei, fa carriera ipiù rapidamente.

Il presidente                  - (sarcastico) Ah! ah! capi­sco! Incredibile! E voi ci vivete insieme?

Paolo                             - Oh no!

Il presidente                  - divisi?

Paolo                             - Sono rimasto sei mesi senza im­piego...

Il presidente                  - E come mai siete venuto qui anche voi?

Paolo                             - C'era una mia vecchia domanda... l'avevo presentata prima tanti mesi fa... ed ora lei l'ha spinta avanti, per tenermi sotto di sé... I per potermi comandare...

Il presidente                  - Che infamia!

Paolo                             - (incoraggiato) Se sapesse come mi tratta... come un negro... è una tiranna!

Il presidente                  - Mi dà fastidio perfino sen­tirlo !

Paolo                             - (incalzando) Si figuri, signor pre­sidente, non risponde al saluto, non è mai con­tenta del lavoro...

Il presidente                  - Basta, basta! Povero ragaz­zo. Ecco di che cosa sono capaci le donne!

Paolo                             - (con un po' d'orgoglio) E pensi che ero procuratore alla Banca Orientale!

Il presidente                  - E ora vi tocca soffrire sotto il giogo di vostra moglie... (Con impeto) Ma perché vi siete sposato? Eh?

Paolo                             - Cosa vuole, signor presidente... lo fanno tutti.

Il presidente                  - Già... è vero... io, per esem­pio...

Paolo                             - Ed ora diventerà la segretaria del signor presidente. Si immagini che vita mi aspetta!

Il presidente                  - Vedo che siete veramente esasperato! Beh, voglio rivelarvi un segreto che vi farà molto piacere. Indovinate che cosa ero venuto a dire a mio nipote... Che una segreta­ria, non la voglio... Sono stufo di donne.

Paolo                             - (più confidenziale) Le donne non servono a nulla... non è vero?

Il presidente                  - È vero, è vero.

Paolo                             - (trionfante) Specialmente come se­gretarie... (Si stropiccia le mani) Come fa pia­cere sentirlo dire da lei, signor presidente!

Kovacs                          - (entra agitato con un giornale nella mano) Oh! scusi... i miei rispetti, signor pre­sidente.

Il presidente                  - Che c'è Kovacs? Mi sem­brate un po' agitato.

Kovacs                          - Volevo mostrare al direttore il Bollettino dei Trasporti. C'è la notizia...

Il presidente                  - Fate vedere. (Kovacs gli dà il giornale) Chiamatelo! (Kovacs esce di corsa dal fondo e ritorna subito con Bordon. A Bor­don) Leggi, leggi, figlio mio.

Bordon                          - (leggendo, indignato) Oh!... ma è enorme!

Il presidente                  - Insomma che c'è?

Bordon                          - Il ministro dichiara che entro il mese saranno iniziati i lavori della ferrovia di Bonto. A noi invece... (A Kovacs) Andate pu­re, Kovacs. Grazie (Kovacs via a sinistra).

Il presidente                  - Non c'è niente di enorme, mi pare! Enorme è che noi lo apprendiamo dal Bollettino. Non t'avevo detto di informarti?

Bordon                          - Il ministro ha smentito la notizia personalmente alla signorina Maria.

Il presidente                  - (stizzito) Come sei ingenuo! Volevi che gettasse l'allarme fra le Società di trasporti? Un ministro non può dire mai la ve­rità e quand'anche la dicesse non gli si deve credere. Certe cose è meglio chiederle al suo cameriere.

Paolo                             - 0 al cognato del suo usciere.

Il presidente                  - Ecco un ragazzo di buon senso... Intanto è una bella perdita per noi!

Paolo                             - Scusi, signor presidente... ma io l'avevo detto.

Il presidente                  - Che cosa?

Paolo                             - Che la ferrovia si sarebbe fatta.

Il presidente                  - E a chi l'avete detto?

Paolo                             - Al signor direttore.

Il presidente                  - E lui?

Paolo                             - Ha creduto alle parole del ministro. Io invece mi sono fidato di Giovanni.

Il presidente                  - (stupito) Di Giovanni?

Paolo                             - È cognato dell'usciere del ministro.

Bordon                          - (a Giovarmi) Come? Hai questa specie di parenti e non hai mai detto nulla?

Giovanni                       - Una volta, quarant'anni fa, il signor presidente mi disse : « Devi parlare sol­tanto quando sei interpellato ». Nessuno m'ha chiesto niente...

Paolo                             - (a Bordon) Veramente questa no­tizia io l'ho saputa per caso. Ma anch'io mi permetto di credere come il signor presidente che qualche volta, un umile, vale più di un grande.

Il presidente                  - Bravo ragazzo. Chi la pensa così deve fare molta strada.

Tecla                             - (entrando) Bacio le mani, signor presidente.

Il presidente                  - Oh! m'hai preso per un ve­scovo?

Tecla                             - Piuttosto per un caro e simpatico nonnino.

Il presidente                  - Mi piacerebbe avere una nipotina come te! Invece... il più giovane dei miei nipoti è già 'direttole.

Maria                             - (entra da sinistra) Buongiorno, si­gnor presidente.

Il presidente                  - (freddo) Buon giorno.

Bordon                          - Arrivate a proposito. Ecco la tua nuova segretaria, caro zio.

Il presidente                  - (bonario ma fermo) No, no... mi dispiace per (marcato) la signorina Maria, ma io ho deciso in altro modo.

Bordon                          - Eppure ti avevo già comunicato...

Il presidente                  - Di solito faccia quello che vuole il mio nipotino, ma questa volta no... Non mi piace vedermi sempre le donne tra i piedi. E poi ho già scelto un'altra persona.

Bordon                          - Chi, se è lecito?

Il presidente                  - Qualcuno che sarà molto utile alla nostra azienda... e che sa che agli uscieri bisogna dar retta... (indicando) ... il no­stro Paolo...

Maria                             - (involontariamente) Mio marito?

Il presidente                  - Vostro marito, insomma.

Bordon                          - Come sei venuto in questa deci­sione?

Il presidente                  - Mi è bastato parlare un po' con lui. È un bravo giovane... era procuratore... Mi ha parlato anche di voi, cara Maria... Io sono abbastanza vecchio per poter essere giusto. Scelgo l'uomo. La donna la preferisco in cuci­na... ora... (Breve pausa. Altro tono) C'è qual­cuno che ha desideri da esprimere?

Paolo                             - Io... se permette.

Il presidente                  - Dite.

Paolo                             - Scusi, signor presidente, le sono molto grato, ma in queste condizioni non posso accettare.

Il presidente                  - (scuotendo la testa) No, no, no... è inutile fare il cavaliere... tanto vostra moglie non la prendo. L'incidente è chiuso. (c. s.) C'è nessun altro?...

Tecla                             - (si fa avanti) Io... Il collega Kovacs è stato trasferito all'archivio. Vorrei che il si­gnor presidente, che è tanto buono...

Il presidente                  - Lo ritrasferisse qui, eh?

Maria                             - Chiedo scusa. Kovacs si era dimo­strato poco diligente...

Il presidente                  - E poi?

Tecla                             - (subito) È il mio fidanzato...

Il presidente                  - (a Maria) Vedete, figliuola? Questi due, divisi, sono scontenti e lavorano male e chi ne va di mezzo è l'azienda. (A Bor­dali) Fallo tornare qui.

Bordon                          - Come vuoi, caro zio. (Sorridendo) Credo che per oggi non vi siano più matrimoni o paci da concludere...

Il presidente                  - (alzandosi) E allora me ne posso andare. Da cinque anni non prendevo tante iniziative. Me ne vado in campagna a ri­posare per una settimana. Arrivederci a tutti. (Esce aiutato da Giovanni).

Bordon                          - (a Paolo) Mi congratulo, signor Perzel. Sono molto contento di questa soluzio­ne. (Gli porge la mano).

Paolo                             - Grazie, signor direttore. (Stretta di mano. Bordon via).

Tecla                             - (a Paolo) Posso informare il signor Kovacs delle disposizioni del presidente?

Paolo                             - Certo.

Tecla                             - (contenta) Grazie. Allora vado. (Via a sinistra. Breve pausa).

Maria                             - (amara) E allora... mi congratulo anch'io.

Paolo                             - (con ironia) Vi ringrazio. So con quanta sincerità lo dite.

Maria                             - Ora... Siete un mio superiore.

Paolo                             - E ne approfitterò, non dubitate... anzi, ne approfitterò subito. Per tre mesi qui avete fatto la padrona senza ricordarvi una sola volta che siamo marito e moglie. Ora comando io. Apro una breve parentesi per farvi notare che di tutto il grande amore che avevate una volta per me, non sono rimaste che quattro pa­role: mi congratulo anch'io. Che avete da ri­spondere?

Maria                             - Potete costringermi a tacere; ma non a parlare.

Paolo                             - Va bene. Allora chiudo La parente­si... e vi dirò anch'io... (in tono canzonatorio, imitandola) ... i nostri rapporti qui saranno di colleghi e spero che non mi costringerete a ri­cordarvi che siete una mia dipendente. Guarda­tevi bene dall'avanzare pretese, solo perché un giorno vi sposai.

Maria                             - (sorride) Prendo atto.

Paolo                             - Anch'io risposi così allegramente. (Da sinistra entrano Kovacs e Tecla che siede al suo posto).

Kovacs                          - (a Paolo, con tono un po' solenne) Vengo a presentare i miei rallegramenti al signor segretario e a chiedergli nello stesso tem­po una licenza per me e per la mia fidanzata.

Paolo                             - Non avete perduto tempo!

Kovacs                          - Per essere sincero un'ora fa non ci pensavo neppure... ma quando ho sentito con quale eroico coraggio ha parlato di me al presidente...

Paolo                             - Mi congratulo! La licenza è con­cessa.

Kovacs                          - (sorride dispettosamente a Maria. Esce).

Paolo                             - Procederò ad una diversa distribu­zione del lavoro. Tutto deve essere fatto da oggi in poi, con ritmo più accelerato.

Maria                             - (risentita) Questa vorrebbe essere una critica per me?

Paolo                             - Tutto quello che si farà qui, sarà una critica del passato perché si adotteranno si­stemi diametralmente opposti. Anzitutto nulla sarà eseguito senza la mia approvazione. Il la­voro di una donna...

Maria                             - Protesto contro il tono sprezzante usato per la parola donna.

Paolo                             - Se non vi piace il tono, andatelo a raccontare in direzione.

Maria                             - Ci vado subito. (Non si muove).

Paolo                             - (dopo breve pausa) E che aspettate?

Maria                             - Nessuno mi ha mai parlato a quel modo.

Paolo                             - Con un po' di pazienza vi abitue­rete. E poi, cara, signorina... E smettiamola una buona volta con questa «signorina». Una donna che ha un fior di marito, non è più una signorina.

Maria                             - (sottovoce) Questo è vero.

Paolo                             - E allora, sedete alla macchina. Vi detterò. (Maria va alla macchina) Carta da let­tera.

Maria                             - Con copia?

Paolo                             - Domanda sciocca e inutile. Ogni let­tera d'ufficio deve avere la sua copia. (Detta) Spettabile Società Nazionale Trasporti Bordon, Città. Nell'assumere la carica da voi affidatami, devo ringraziarvi... (Raganella).

Maria                             - E devo scriverlo proprio io?

Paolo                             - Poiché detto a voi...

Maria                             - Mai! (Si alza) Piuttosto... (Nuovo suono di raganella. Maria fa un gesto di fastidio).

Paolo                             - (a Tecla con un sorriso) Credo che chiamino voi, signorina.

Tecla                             - (prende taccuino e matita) Corro. (Esce).

                                      - (Maria vuol accendere una sigaretta).

Paolo                             - Vi prevengo, se non lo sapete, che alle donne è proibito fumare durante le ore di ufficio. (Accenda una sigaretta e tira grandi boc­cate. Breve pausa, siede alla sua scrivania, iro­nico) Visto che l'argomento di quella lettera vi dispiace tanto, lo scriveremo dopo. Per ora vi detterò una relazione sul personale. Cinque copie.

Maria                             - (si avvicina alla scrivania di Paolo, vi si appoggia, in tono insolente) Ma dite un po': credete proprio che io sia la dattilografa!

Paolo                             - Siete una dipendente e dovete ese­guire gli ordini del vostro superiore. E poi: non vi appoggiate alla mia scrivania. Mi stupisce di dover fare quest'osservazione proprio a voi.

Maria                             - (raddrizzandosi) Ma sarà sempre cosi la nostra vita qui dentro?

Paolo                             - Finché non eseguirete subito i miei ordini, sì. Non vedo i fogli alla macchina.

 Maria                            - (subito) E neanche li vedrete. Mi rifiuto di scrivere. Potete picchiarmi, se vole­te, ma sbrigatevi!

Paolo                             - (sarcastico) Il regolamento dell'uf­ficio non consente agli impiegati di picchiarsi...

Maria                             - Purtroppo. Altrimenti...

Paolo                             - ... e noi non possiamo neanche cri­ticarne le disposizioni.

Maria                             - Non ne posso più. Mi esasperate per vendicarvi. Ma io non vi ho trattato così.

Paolo                             - Cento volte peggio! Avete umiliata la dignità di un uomo.

Maria                             - Ma che uomo e uomo! Infine, sia­mo marito e moglie.

Paolo                             - Una volta... sì... tanto tempo fa. Poi vi comportaste così indegnamente...

Maria                             - Io? e voi? di che cosa non siete stato capace voi per farmi del male? Mi avete dato lo sgambetto, mi avete soffiato il posto e chi sa che cosa avrete raccontato sul mio conto.

Paolo                             - Osate insinuare che io sono un in­trigante e un diffamatore?!

Maria                             - Peggio ancora! Per vendicarvi sareste capace di qualunque bassezza.

Paolo                             - Basta! Ve lo dico nel vostro interesse, altrimenti dovrò prendere dei provvedi­menti.

Maria                             - (sghignazzando) Ah, ha! Vorreste farmi fustigare?

Paolo                             - Badate che se perdo la pazienza!

Maria                             - Io l'ho persa già da un pezzo.

Paolo                             - Sicché non volete lavorare come si deve?

Maria                             - Ho lavorato per dieci anni come si deve... Ed ora voi pretendereste di insegnarmi? Non ho mai sentito tante sciocchezze in una volta sola!

Paolo                             - (batte un pugno sulla scrivania) Co­me, vi permettete? Chiedete subito perdono!

Maria                             - Che avete detto? Perdono?

Paolo                             - E subito!

Maria                             - Altrimenti?

Paolo                             - Altrimenti... (Fa un gesto con la mano) Filate.

Maria                             - Devo andar via da questa1 stanza?

Paolo                             - No.

Maria                             - Allora mi licenziate?

Paolo                             - Oh! finalmente l'avete capita.

Maria                             - (stupita) Mi licenziate?! È enorme. (Con, disprezzo) Ma che cosa non ci si può aspettare da voi?

Paolo                             - Misurate le parole. Voi non sapete quello che dite!

Maria                             - Lo so benissimo.

Paolo                             - Questa è un'aggravante.

Maria                             - Me ne infischio. M'avete licenziata? Meglio oggi che domani. Siete l'ultimo... (Te­cla entra. Lunga pausa).

Paolo                             - (che non è mai stato inquieto sul serio, a Tecla, gentile) Signorina Tecla, per favo­re, mettete una lettera alla macchina. (A Maria) Vedete come si fa presto? (Dettando) Signora Maria Perzel, Città.

Tecla                             - (stupita, ripetendo) Città.

Paolo                             - Il vostro inqualificabile comporta­mento nei riguardi del nostro segretario, ci co­stringe a licenziarvi... (Tecla smette di scrivere e guarda. Maria e Paolo con gli occhi sbarrati; mellifluo) L'ufficio cassa provvederà alla imme­diata liquidazione.

Tecla                             - (scrive) ... liquidazione.

Paolo                             - Saluti eccetera. (Breve pausa) Da­te... lo faccio firmare. (Via dal fondo).

Tecla                             - Ma che diamine è successo?

Maria                             - (ostentando indifferenza) Nulla. Se­condo lui dovrei far fagotto e andarmene.

Tecla                             - E perché?

Maria                             - Perché... Lascia andare non è il mo­mento...

Tecla                             - E credi che firmerà la lettera?

Maria                             - (con convinzione) Macché! Figura­ti se Bordon mi manda via così, dopo dieci anni! Adesso vedrai come se ne torna mogio mogio con la coda fra le gambe.

Paolo                             - (rientra con ostentata indifferenza. Fa un giro vizioso, per andare alla sua scrivania. Pausa di tensione. Maria gli si avvicina fremen­te; Paolo tranquillamente le porge la lettera) Ecco.

Maria                             - (quasi gliela strappa di mano, cade su una sedia. Con voce strozzata) L'ha firmata!...

Paolo                             - (molto gentile a Tecla) Avete con­trollate quelle fatture, signorina?

Tecla                             - Non ancora.

Paolo                             - (c s.) Dovreste usarmi la cortesia di farlo subito.

Tecla                             - Vado. (Esce; breve pausa).

Maria                             - Non l'avrei creduto mai!

Paolo                             - Ricordate che cosa vi dissi il primo giorno che venni qui? Che la donna non è nata per far da padrone, e che vi avrei dimostrato che cosa è un uomo. Eccovi ridotta all'obbe­dienza. Il mio amor proprio esigeva questa let­tera. (Le si accosta, più piano) Però, se volete... la strappo.

Maria                             - Sono certa che la strapperete. Non è possibile che «voi», licenziate «me».

Paolo                             - Eppure, come avete visto, è possi­bile. A meno che... non pronunziate un mono­sillabo... Sì.

Maria                             - (c. s.) A che cosa dovrei rispondere « sì? ».

Paolo                             - Ad una domanda molto innocente. Vorreste concedermi l'onore di venire stasera a casa mia?

Maria                             - Perché?

Paolo                             - (ironico) Devo spiegarvelo? Perché un uomo invita una donna a casa sua?

Maria                             - Oh! E me lo dite così tranquilla­mente, in faccia!

Paolo                             - Come vedete.

Maria                             - O vengo da voi, o perdo il posto?

Paolo                             - O... o... Non si potrebbe riassumere più concisamente la situazione.

Maria                             - Vigliacco!

Paolo                             - Non mi spiego tanto sdegno. Il vo­stro peccato sarebbe anche morale. Eppoi: di­ventare l'amante del proprio marito... è un'oc­casione così rara... Sarebbe imperdonabile la­sciarsela sfuggire.

Maria                             - Di un tale mascalzone!

Paolo                             - Sono quelli i migliori amanti. I gen­tiluomini sono noiosi.

Maria                             - È mai possibile che io abbia spo­sato un simile ricattatore?

Paolo                             - Altro che!

Maria                             - E, se non venissi...? Non pensate che preferirei morire di fame?

Paolo                             - È la morte più scomoda.

Maria                             - Siete di un cinismo ripugnante!

Paolo                             - Sono vostro marito...

Maria                             - Non me ne ricordo più. Per me ora siete un superiore al quale debbo obbedire nelle ore d'ufficio. Non devo onorarlo a casa sua...

Paolo                             - Come credete.

Maria                             - Meglio è che me ne vada via subito. (Rapidamente comincia a prendere qualcosa nel suo tiretto).

Paolo                             - Dunque, non volete proprio... ono­rarmi?

Maria                             - Non voglio neanche vedervi più. (Con disprezzo) Siete un uomo! Credevo che faceste eccezione... invece siete come tutti gli altri! (Lo squadra dall'alto in basso) Le mie congratulazioni, signor segretario. (Via rapida­mente. A sinistra Paolo la segue con lo sguardo, sorride e comincia a fregarsi le mani mentre cala il sipario).

QUADRO SESTO

La casa di Maria.

                                      - (La tavola è apparecchiata per uno. Maria è seduta dalla parte opposta con la testa appog­giata sulla tavola).

Anna                             - (entra) Scusi, signora...

Maria                             - Che c'è?

Anna                             - Devo portarle la cena?

Maria                             - Grazie, non ceno.

Anna                             - Gliela lascio in caldo?

Maria                             - (nervosa) No, non cenerò neanche più tardi! (Campanello).

Anna                             - Hanno suonato.

Maria                             - Non fate entrare nessuno. Chiunque sia, dite che non sono in casa. Avete capito?

Anna                             - Sissignora! (Poi rientra agitata) Si­gnora... fuori c'è...

Maria                             - Non voglio veder nessuno!

Anna                             - Ma è il signore!...

Maria                             - Chi?

Anna                             - Suo marito.

Maria                             - Mio marito? E che vuole?

 Anna                            - Non so... Ha domandato soltanto si la cena è pronta.

Maria                             - La cena?! Ma gli avete detto che non ci sono?

Anna                             - Sì, signora. Gliel'ho detto e lui mi ha risposto che non fa nulla.

Maria                             - E che fa in anticamera?

Anna                             - Si toglie il soprabito...

Paolo                             - (entra dal fondo. Sorpreso) Oh! Anna mi aveva detto che non eri in casa... (Con tono naturale) Buona sera, cara. (La bacia. AM Anna) Dunque che c'è da cena?

Anna                             - (guarda Maria) Devo servire?

Paolo                             - Naturale... e subito. Ho una fami da lupo.

Anna                             - Sissignore. (Esce).

Paolo                             - (siede) Sono un po' stanco... Se sapessi che giornata laboriosa! Non vedevo l'ora di tornare a casa. Figurati che ho dovuto licen­ziare una collega! È una cosa che non si fa mai volentieri... Mah! bisogna rispettare il principio di autorità... e quella lì, invece, ha usato un tono... Meglio non parlarne... Come mai Anna è tanto in ritardo con la cena?

Maria                             - (calma) Ma che vi salta in testa» Piovete qui, all'improvviso e vi mettete...

Paolo                             - Che significa piovo? Vengo qui, semplicemente... sono tuo marito!

Maria                             - ... vi mettete tranquillamente achiacchierare come se non fosse accaduto nulla,

Paolo                             - (ingenuo) Perché? è accaduto quali che cosa?

Maria                             - (dura) Ma via... non ho più impiego!

Paolo                             - E poi? Non l'ho io, forse? E con quello che guadagno, possiamo vivere benissimo in due. (Anna porta la cena e un secondi coperto) Che c'è?

Anna                             - Crauti ripieni e maiale affumicato.

Paolo                             - Squisito! (Anna esce).

Maria                             - Volete cenar qui... seriamente?

Paolo                             - Ma che seriamente! Allegramente} voglio cenare.

Maria                             - Ma bene!

Paolo                             - Perché? Ho tutte le ragioni per essere allegro: una cena appetitosa, un buon poi sto; una bella mogliettina, sono sano, giovane! simpatico, amo mia moglie, mia moglie mi ama...

Maria                             - Come lo sapete?

Paolo                             - ... essa non sa di amarmi, io invece lo so e tra breve glielo dimostrerò.

Maria                             - Sono veramente curiosa di sentirlo.

Paolo                             - Però prima sediamoci a tavola. Man­giando è più facile dimostrare.

Maria                             - Allora mangiate. Ecco. (Gli porge il piatto).

Paolo                             - E tu?

Maria                             - Più tardi...

Paolo                             - Oh! non posso mangiar solo. E poi non so neanche servirmi. Siedi! (Maria siede e lo serve) Sai perché preferisco essere a tavola, quando debbo parlare con una donna?

Maria                             - Non posso neanche immaginarlo.

Paolo                             - Perché quando una donna mangia, si calma più facilmente... quando è calma sor­ride... e una donna sorridente non è capace di dire : « no .

Maria                             - E questa è una ricetta infallibile, se­condo voi?

Paolo                             - E di effetto immediato. Un po' di pazienza e lo vedrai. (Mangiano) A te, prima di tutto, dispiace...

Maria                             - ... di non avere più il posto.

Paolo                             - In cambio hai un marito che prov­vede a te.

Maria                             - E vi pare che così tutto vada bene?

Paolo                             - Nel modo più perfetto.

Maria                             - Secondo voi è la medesima cosa se una donna si mantiene da se stessa o se ha un uomo che provvede a lei.

Paolo                             - È molto meglio che ci pensi l'uomo.

Maria                             - Ecco dove sbagliate! Sapete che si­gnifica non aver bisogno di nessuno? Voi mi avete levato la pace e la libertà e mi avete im­pedito di essere indipendente e di valere quanto un uomo.

Paolo                             - Questo è il guaio. La donna che la­vora è un essere ibrido, tra l'uomo e la donna, più uomo che donna; tra l'angelo e l'affarista, più affarista che angelo.

Maria                             - Sicché ora sarei un angelo.

Paolo                             - Precisamente e un angelo non ha bisogno di guadagnare; e se guadagna non ha bisogno d'un marito.

Maria                             - (posa la forchetta e il coltello) Vor­rei sapere dove volete giungere coi vostri ragio­namenti.

Paolo                             - Ti prego di continuare a mangiare. Se non mangi, non rispondo.

Maria                             - (mangia un boccone) Insomma... perché siete venuto?... che volete da me?

Paolo                             - Voglio dirti che domattina puoi tor­nare in ufficio, e riprendere il tuo lavoro, come se nulla fosse accaduto.

Maria                             - (smette di mangiare) E il licenzia­mento?

Paolo                             - Posso continuare?

Maria                             - Naturale!

Paolo                             - Allora mangia!

Maria                             - (prende un boccone) Dite.

Paolo                             - Il licenziamento non era una cosa seria.

Maria                             - No?

Paolo                             - No.

Maria                             - Ma Bordon ha firmato...

Paolo                             - Perché gliel'ho detto io. Gli ho det­to: « Signor direttore, qui è in giuoco il mio ma­trimonio; potete firmare tranquillamente. Se mia moglie sceglie me, non ha più bisogno del suo impiego, se invece preferisce il suo posto...

Maria                             - ... se preferisco il mio posto...

 

Paolo                             - ... straccio la lettera».

Maria                             - Allora il mio posto l'ho sempre?

Paolo                             - Certo che l'hai.

Maria                             - E posso tornare in ufficio?

Paolo                             - Se vuoi...

Maria                             - (felice) Se voglio? Naturale che...

Paolo                             - (quasi gridando) Non continuare! (Più piano) Non essere così precipitosa! Quan­do avrai ben mangiato... allora risponderai. Se domani ci incontreremo in ufficio, non ti accor­gerai neppure che sono il tuo superiore. Sarò docile come un agnellino. Però... preferirei non vederti più vicino alla mia scrivania... Preferi­rei vederti qui... a casa. Non cercherò di per­suaderti e non ti pregherò... anzi non chiederò neppure che cosa pensi... Però non mi dispia­cerebbe se mi domandassi: (imitando la voce di lei) a Come sarebbe meglio?».

Maria                             - (quasi involontariamente) Come sa­rebbe meglio?

Paolo                             - E poi mi pare giunta l'ora di darmi del tu. Mi piacerebbe tanto farti sedere accanto a me, abbracciarti... baciarti i capelli... la fron­te... la bocca con un bacio lunghissimo... (Pau­sa) E ora, dimmi, che cosa vuoi fare.

Maria                             - Non lo so più neanche io.

Paolo                             - Quando venni in ufficio, più che per il posto, venni per fare pace con te. Ma appe­na vidi Bordon, fui ripreso dal sospetto... Che c'era stato tra voi?

Maria                             - (con impeto) Nulla, te lo giuro!

Paolo                             - Ora ne sono convinto anch'io. Ne ho avuto la certezza oggi, quando ti sèi ribel­lata così violentemente alle mie profferte d'a­more. ..

Maria                             - Che con l'amore non avevano nulla a che fare.

Paolo                             - Se fossi venuta da me, non mi sarei fatto vedere mai più... Avrei creduto che non solo con Bordon, ma anche...

Maria                             - E invece?...

Paolo                             - Invece mi sono convinto che sei la donna migliore del mondo. (Maria ha finito di mangiare) Vedi se ho ragione io? Se non ci fos­simo seduti a tavola prima di iniziare questa discussione...

Maria                             - Per amor di Dio... mi vien freddo a pensarci.

Paolo                             - Qui non sarebbe rimasto intatto nem­meno un vaso. Per intendersi non c'è che un mezzo : mettersi a tavola.

Maria                             - (va alla finestra. Pausa piuttosto lunga. D'improvviso) Ed io tutto il giorno dovrei rimanere a casa seduta?

Paolo                             - Aspetterai me.

Maria                             - Non dovrei più andare in ufficio... rispondere alle lettere... avere un'occupazione.

Paolo                             - L'avrai, l'avrai: ti occuperai di me, del mio stomaco, dei miei vestiti, della mia tran­quillità, del mio letto. Anche questo ha la sua importanza.

Maria                             - Mi annoierò dalla mattina alla sera...

Paolo                             - No, no... dovrai combattere con la cameriera, sorvegliare le spese, badare alla pu­lizia, preparare le conserve di frutta, litigare con la lavandaia, pensare al pranzo... alla cena, te­nere in ordine gli armadi, la dispensa. E vedrai quante noie ti darà la portinaia. Ne so qualche cosa io...

Maria                             - (come pregustandone la gioia) E tutto il giorno sarà silenzio intorno a me!

Paolo                             - (sempre più convincente) Il silenzio e la calma. La pace e la felicità. Le due più bel­le parole del mondo si possono pronunziare solo nel silenzio: mai, sempre. C'era tanto silenzio intorno a noi, quando ti baciai per la' prima volta. E sognammo la gioia di una vita tranquil­la... il silenzio di una casa nostra1 interrotto sol­tanto da un lieve rumore lontano...

Maria                             - (piano, un po' commossa) ... il va­gito d'un bimbo.

Paolo                             - (mettendosi l'indice sulle labbra) Pst! di questo non si deve parlare! Bisogna far­li, i bambini... (Breve pausa).

Maria                             - Dammi un bacio. (Paolo la bacia già rassegnata) Stirerò la biancheria, farò io stessa le spese, saprò regolarmi col tuo stipen­dio... (Con un sospiro) Chi sa che non finisca per imparare a cucinare.

Paolo                             - Non ti resterà molto tempo per uscire.

Maria                             - Però... mi hai trattata molto male, come una nemica.

Paolo                             - Sempre si vuol conquistare quello che si ama più di ogni altra cosa.

Maria                             - Mi ami?

Paolo                             - Non domandare. Bisogna saper vi­vere insieme una vita intera, senza mai pronun­ziare queste parole.

Maria                             - Uscirai la mattina... tornerai la se­ra... ceneremo... e rimarrai a casa...

Paolo                             - (subito) Quando non avrò sedute di consiglio.

Maria                             - (sorride) Eh! ormai sappiamo che quelle si tengono intorno ad una tavola imban­dita.

Paolo                             - Ma... qualche volta si fanno vera­mente.

Maria                             - Molto di rado, però.

Paolo                             - Di rado.

Maria                             - Diciamo... una volta nella vita.

Paolo                             - Stasera, per esempio.

Maria                             - Come?!

Paolo                             - Una volta nella vita... ma questa volta arriva pure. Nel caso nostro è stasera.

Maria                             - Non è vero!

Paolo                             - (guarda l'orologio) Purtroppo... fra poco dovrò andare.

Maria                             - Ma non ne ho sentito mai parlare di questa seduta.

Paolo                             - È stata decisa improvvisamente, dopo che sei andata1 via.

 Maria                            - Strano!

Paolo                             - Però farò il possibile per rientrarli presto. Te la prometto. (Le dà un bacio in fret­ta e si avvia).

Maria                             - (gli corre dietro) Ma come è possibile! Mi lasci proprio la prima sera... Dimmi che anche questo è uno scherzo, come il mio li­cenziamento.

Paolo                             - Hai ragione. È uno scherzo.

Maria                             - Allora la seduta non si tiene?

Paolo                             - Può darsi che si tenga, può darai che non si tenga. (Molto serio) Oggi ricomincia­mo la vita insieme. Non esiste che una specie di; matrimonio: il matrimonio all'antica, il matrimonio autoritario, nel quale l'uomo è padrone! assoluto, e la donna è felice di ubbidire. Il suc­cesso di tutta una vita coniugale di solito dipende dalla prima sera'. Voglio che questo nostro! secondo matrimonio riesca prefetto. E perciò e’ indispensabile che oggi io vinca completamente,;

Maria                             - E per questo?...

Paolo                             - ... e per questo vado alla seduta. E tu non devi protestare; devi dire soltanto col tono più affettuoso: «caro, torna presto a casa! » perché io senta d'essere veramente il padrone.

Maria                             - Sei spietato...

Paolo                             - ... ma innamorato. Oggi devo usare di tutta la mia autorità. Anche se in seguito noi ti comanderò più, stasera devo comandarti. An­che se passerò a casa tutte le sere della mia vita.., stasera devo uscire. E tu devi sorridere e devi essere felice... sorridi! sorridi! (Maria sorride)] Ecco. Ma a proposito: e che farai fino al mio ritorno?

Maria                             - Aspetterò... tanto, tornerai presto, lo so...

Paolo                             - Dipende sempre dal sorriso d'una moglie che il marito torni presto a casa. (D’improvviso) Hai ago e filo?

Maria                             - Sì, nella mia borsetta'.

Paolo                             - Prendili. Infila l'ago! (Maria eseguisce. Paolo va al solito mobile, prende un fascio di calze, le mette su un tavolino, accenda] un lume vicino) Da ora in poi le rammenderai tu. Mi aspetterai, rammenderai e sorriderai. Ab­biamo sorriso così poco finora noi due. Ci alle­neremo... anche se siamo di malumore, anche se siamo inquieti... anche se ci costerà uno sfor­zo, perché alla fine, dal sorriso più sforzato sboccia un sorriso sincero! (Va alla porta) Può darsi che arrivi solo fino all'angolo della stra­da... Ma può darsi anche che rientri dopo mez­zanotte. Aspettami... e sorridi. (Fa un cenno di saluto con la mano) Ciao.

Maria                             - Ciao. (Paolo via in fretta. Maria, dopo breve pausa, siede al tavolino, prende ago, filo, calze e comincia a rammendare. Sorride e rammenda. Rammenda e sorride).

FINE