Faustina e la realtà

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FAUSTINA E LA REALTA’

Commedia in un atto

di GIAN PIETRO GIORDANA

PERSONAGGI

LA SIGNORA RENATA SOLARI

IL COMM. SERGIO DAGONARI

LA SIGNORINA FUSILLI

UN’OSTESSA

UN AUTISTA

Commedia formattata da

La scena rappresenta una piazzet­ta in un pic­colo paese di montagna. In fondo una facciata di casa imbiancata a calce con le persiane chiuse ed un portone al centro anch'esso chiuso; davanti alla casa, a circa due metri di distanza, corre una siepe di bosso alta un me­tro, interrotta al centro da un largo cancello tinto in verde a due battenti: uno fisso e l'al­tro semiaperto. A sinistra di chi guarda un'al­tra facciata di casa che va a congiungersi con quella di fondo e che sul portoncino porta scritto a lettere cubitali: «Osteria». Davanti, sotto un'ampia pergola, tavoli e banconi ru­stici in legno. A destra, fra due angoli di case, l'imbocco allo stradone provinciale che non si vede.

Quando il velario si alza, in iscena non c'è che l'ostessa la quale sta ripulendo i tavoli con aria svogliata. Poco dopo entra l'autista da sinistra.

Autista                             - Presto, preparate qualcosa per i

miei signori!

Ostessa                            - Subito, subito! Ma che deside­rano ?

Autista                             - Niente di speciale! Quello che «c'è: del pane, del prosciutto, del burro, del­l'acqua...

Ostessa                            - Dell'acqua?!...

Autista                             - Astemi.

Ostessa                            - Quanti sono?

Autista                             - Due. Mangio anch'io, ma prefe­risco alla vostra tavola. Ed io bevo vino buono. (Ammiccando all'interno dell'osteria) Prepara­te qui, per i signori. Non c'è un'officina in paese?

Ostessa                            - No, nemmeno un fabbro. Ci sono dei depositi di benzina, se ne avete bisogno

Autista                             - Spero di non aver bisogno di nes­suno. È un piccolo guasto... ma non sì sa mai!

Renata                             - (da sinistra. L'autista le va incontro deferente).

Autista                             - Possono far colazione, intanto, ma pare che non ci sia che burro e prosciutto.

Ostessa                            - Oh, si può preparare anche la pasta.

Renata                             - È un'idea.

Ostessa                            - E se non hanno fretta posso fare un pollastrino ai ferri.

Renata                             - (all'autista) Ci vorrà tempo, non

è vero?

Autista                             - (vago) Mezz'ora, un'ora... Non si tratta che di regolare il piatto della frizione e di...

Renata                             - Va bene, tanto non ne capisco niente. (All'ostessa) Allora, può preparare il pollastrino ai ferri.

Ostessa                            - E un'insalatina?

Renata                             - E un'insalatina.

Ostessa                            - Un buon antipasto: prosciutto, sedani, sardine?

Renata                             - No. Ho abbastanza appetito.

Ostessa                            - (via da destra). Autista   - (che sta per. uscire da sinistra si in­contra con Sergio).

Sergio                              - (all'autista) Credo che non sia sol­tanto un affare di frizione. Speriamo che pos­siate cavarvela in poco tempo.

Autista                             - (esce).

Renata                             - L'idea di passare un'intera gior­nata con me vi terrorizza?

Sergio                              - Mia cara amica, che cosa vi fa dire una sciocchezza simile? Sono io che vi ho pre-gato di portarmi con voi ed è naturale che be­nedica l'incidente. Invece!... Voi donne siete sempre aggressive. Come è vero che assomiglia­te ai gatti! State attenta quando accarezzate un gatto e vi accorgerete che mette fuori le unghie.

Renata                             - (sorridendo e sedendosi sopra una delle panche) Stato di difesa!

Sergio                              - Ma che! Istinto. Tendenza natu­rale a far del male...

Renata                             - Ce l'avete con le donne, oggi?

Sergio                              - Ce l'ho con voi particolarmente. In automobile, con la scusa che era una berlina e che l'autista sentiva, non mi avete lasciato dire una parola; qui, al momento in cui una fortunata caffettiera...

Renata                             - Adagio... È la mia automobile.

Sergio                              - ... una fortunata macchina da caf­fè espresso ha il buon senso di fermarsi di colpo in vista d'una osteria, voi incominciate con una frase sgarbata.

Renata                             - È un modo di tenervi a distanza...

Sergio                              - Ma è proprio di questo che mi la­mento! Perché tenermi così ostinatamente a distanza?

Renata                             - (ridendo) Forse ho paura!

Sergio                              - Via, paura! Paura di che?

Renata                             - Di dirvi di sì.

Sergio                              - Mia buona amica, io sono ormai rassegnato al vostro no. Quante volte avete ri­fiutato di diventare mia moglie?

Renata                             - Me l'avete chiesto troppo spesso. Non era serio. Mi svegliavano al mattino: «; C'è il commendator Sergio Dagonari al telefono ». «Oh, Dagonari! Che c'è di bello? ». E voi: «Mi volete sposare, Renata? ». Vi incontravo alla banca: «Quando mi sposerete, Renata? ». E alla sera al bridge, con la monotonia di una cantilena: «Volete essere mia moglie? ». Am­metterete che non era serio!...

Sergio                              - Tanto serio, che era diventato il leit-motif della mia vita.

Renata                             - Il leit-motif della vostra vita è la Borsa.

Sergio                              - Sono un banchiere. È come se rim­proveraste al medico la clinica o all'avvocato il Palazzo di Giustizia.

Renata                             - Ma il medico e l'avvocato non vanno a dormire con i loro affari come fate voi. Per voi è un'ossessione.

Sergio                              - L'ossessione del giuoco.

Renata                             - Già il giuoco. La febbre della spe­culazione: buono per una donna, buono per un'amante!

Sergio                              - (allarga le braccia con un gesto deso­lato) Pretesti, pretesti. Dite che non sentite niente o che non volete sentire, il che fa lo stesso. Perché un po' forse mi volete bene.

Renata                             - Come ad un'abitudine. Mi siete sempre fra i piedi!

Sergio                              - Vi dispiaccio?...

Renata                             - Come amico, no. Come marito è un'altra cosa. Innanzi tutto, o uomo di affari, che affare farei io sposandovi? Non siete an­cora molto ricco...

Sergio                              - (fa un gesto).

Renata                             - ... diremo, non ancora sicuramen­te ricco. Adesso di ricchi non ci sono che gli impiegati o quelli che vivono di rendita. Ma voi! Un colpo di borsa, un titolo che scappa fuori dalla monotonia dei listini, e sale all'im­provviso o cala all'improvviso, ed ecco il com­mendator Dagonari seduto per terra.

Sergio                              - A guardarvi!

Renata                             - Già, ma che gusto per me, se fossi vostra moglie! Io almeno ho delle case, dei ter­reni, dei Buoni del Tesoro. Questa è ricchez­za, oggi.

Sergio                              - (e. s.; gesto rassegnato).

Renata                             - Dunque? Un buon affare per voi, ma per me?

Sergio                              - E la mia abilità di banchiere? Il mio avvenire?

Renata                             - Quanto alla vostra abilità di ban­chiere, vi dirò che io avrei comperato, invece di vendere, il titolo di cui vi siete sbarazzate ieri con tanto clamore.

Sergio                              - (interessatissimo) Dite davvero?

Renata                             - (ridendo) Vedete che un caso di Borsa vi distrae subito da un caso di senti­mento? E poi dite di amarmi!

Sergio                              - Che c'entra?! Parlavamo d'affari, poiché fate del matrimonio un affare.

Renata                             - Parliamo di sentimento, se vi pia­ce. Che amante sareste voi? Tutto il vostro fra­sario sentimentale è il « vi amo » e il « mi vo­lete sposare? ». Bel gusto! Voi non sapete nem­meno come si faccia la corte ad una donna. Forse siete abituato... a un altro tipo di donna. Ma le donne del mio tipo si prendono anche con le parole. Un gesto, un discorso opportuno, una sfumatura, ci seducono di più dell'offerta di un nome o di una posizione, talvolta. Sol­tanto all'idea di pensarvi sul punto di fare una dichiarazione, mi vien da ridere!

Sergio                              - (piccato) Dite che, con una donna come voi, a nessuno salterebbe in testa di fare il sentimentale. Siete una donna pratica, una testa quadra; si direbbe che tutto quello che è umano è alieno da voi.

Renata                             - (ironica) Come parlate bene!

Sergio                              - Non so se potreste essere l'amante di vostro marito. L'amante come la si sogna, la donna che cammina trepida al vostro fianco, e vi si attacca agli occhi con gli uncini dei suoi occhi, che vi bacia in tutti gli angoli... appena è sicura che nessuno vi guarda.

Renata                             - Bah! Letteratura!

Sergio                              - Ma potreste essere una deliziosa compagna, una consigliera preziosa.

Renata                             - Appunto. Ma io voglio essere la moglie di mio marito, magari la sua amante. La sua consigliera anche, ma in una fase, di­remo così, di secondaria importanza.

Ostessa                            - (entrando con tovaglia e piatti) Prepariamo qui?

Renata                             - No, preparate dentro. Ci devono essere troppe mosche, qui.

Ostessa                            - Vino? Che vino? Ho del Marino straordinario.

Renata                             - Niente vino. Lo darete all'autista, ma poco, altrimenti ci rovescia in qualche fosso.

Ostessa                            - Sta bene. (Via).

Renata                             - (osservando che Sergio si guarda in­torno) Conoscete il paese?

Sergio                              - Sì, benissimo. Cioè, no. Ci sono stato da piccino. Ma mi sembra molto cam­biato.

Renata                             - Siete stato qui da bimbo?

Sergio                              - Sì, mio padre era impiegato presso una società idroelettrica che faceva qui un im­pianto per l'utilizzazione dell'energia di una cascata.

Renata                             - Vi siete rimasto molto tempo?

Sergio                              - Un anno, credo.

Renata                             - Ricordi?

Sergio                              - Vi ripeto: confusi. C'era una gran­de abetina dietro al paesino ed io vi andavo a cacciare gli scoiattoli; il paese era più paese, più rustico, senza quegli avvisi della benzina « Esso », dei pneumatici a Pirelli », delle auto­mobili « Fiat ». Si trascorreva una vita raccolta tra la casa, i lavori, la scuola che stava... (Ha un gesto istintivo verso sinistra, ma poi si cor­regge) ...Dove stava?... Laggiù, mi sembra; sì, laggiù, dietro alla Pieve. Ma molto è cambiato; sono passati ventiquattr'anni... È strano: oggi, per la prima volta, mi accorgo che ventiquatt'anni sono molti.

Renata                             - Sono molti per un paese, non per un uomo. Un paese cambia, si trasforma, ma aioli può rinnovarsi; un uomo sì, e rinnovarsi vuol dire ringiovanire.

Sergio                              - Siete gentile, ed avete ragione for­se: io non trovo più nulla di familiare qui in mezzo. Le facciate delle case sono state ritinte e sono come nuove, il paese si è esteso, si è deformato. Allora era un budello lungo lungo; ora ha preso la forma di uno stomaco. L'abetina non c'è più e la scuola non è più, forse, dietro alla Pieve; e la mia casa? Dove sarà la mia casa?

Renata                             - (che si interessa) Andiamo a cer­carla.

Sergio                              - Ma sì. (Fa per alzarsi, poi si ri­siede sconsolato). Ah, non c'è più!

Renata                             - Come non c'è più?

Sergio                              - - È franata l'anno successivo alla no­stra partenza; me ne ricordo perché quando mio padre lo disse in casa, e mia madre ci pianse.

Renata                             - Ci pianse?

Sergio                              - E mio padre giù a ridere! Rideva sempre al pianto di mia madre, mentre io non sapevo se seguire l'esempio dell'uno o dell'altra.

Renata                             - Vi avrebbe fatto piacere rivederla?

Sergio                              - No! Mi sarebbe stato indifferente; non so affezionarmi alle cose, io, e qui sta la mia relativa fortuna negli affari: guai se al momento di vendere mi sentissi addosso la no­stalgia!

Renata                             - Chi non sa affezionarsi alle cose non sa affezionarsi nemmeno ad una donna.

Sergio                              - Che sciocchezza! Le co3e sono og­getti di mercato, le donne non lo dovrebbero essere.

Renata                             - È questione di cose. Una miniera di ferro, un ammasso di carbone, non sono una casa, una foresta, una tenuta, una faccenda a cui si allacciano dei sentimenti. Ma riparliamo di voi bambino, qui; mi interessa.

Sergio                              - Non ricordo altro.

Renata                             - Così poco? Questa piazzetta, que­sta pergola non vi dicono nulla?

Sergio                              - (ridendo) La pergola ventiquattro anni fa non ci doveva essere; quanto alla piaz­zetta... non mi sembra di ricordarla... Però... però... No, non la ricordo; pure, è strano; ho come la sensazione di riconoscere qualcosa qui dentro, qualche cosa che non si precisa nella mia memoria...

Renata                             - È interessante! Forse questa casa? (Indica l'osteria).

Sergio                              - No.

Renata                             - Quella?    - (Indica il fondale).

Sergio -                            - Forse, quella. Ma in ogni caso era diversa; è quella siepetta di bosso che ricordo bene, ora; sì... sì... (Battendosi la palma di una mano sulla fronte) Ah!... ecco: è la casa di Faustina!

Renata                             - Faustina?... Chi è?

Sergio                              - Era - non so se esista ancora - la mia compagna di giuochi, il mio amore di al­lora, una bimbetta deliziosa, fine, sottile, con certi grandissimi occhi neri come li hanno le donne brune e specialmente le ebree. Faustina. Mi chiamava Gegio e vi assicuro che nessuna donna seppe mai darmi un nome d'intimità più dolce al mio cuore: Gegio.

Renata                             - Eravate compagni di classe?

Sergio                              - Sì, e le nostre mamme erano ami­che intime. Il padre era il signorotto del pae­se, un uomo volgare, grossolano; la madre una buona campagnola ripulita. Ma Faustina era tanto graziosa, tanto delicata che non sembrava figlia loro. Per lei credevo alla storia che mi si raccontava: che le bimbe erano trovate dai loro genitori sotto una pianta di rose.

Renata                             - Voi sotto quale pianta siete nato?

Sergio                              - Brava! Voi pensate al cavolo, ma per Faustina, no: ero nato sotto al crisantemo.

Renata                             - Il fiore dei morti!

Sergio                              - Ma noi non lo sapevamo; Faustina lo aveva scelto perché era grande ed aveva un non so che di imponente.

Renata                             - (ironica) Allora, meglio il gira­sole!

 

Sergio                              - (dietro ai suoi ricordi) Si giuocava ai signori. Lei la moglie, io il marito, e ave­vamo a vicenda degli amanti.

Renata                             - (scandalizzata) Degli amanti?

Sergio                              - Sì, ma eravamo sempre noi due: marito, moglie ed amante al tempo stesso; era una scusa per poterci abbracciare di più.

Renata                             - Scandalosi!

Sergio                              - E mi diceva: « Quando saremo grandi mi sposerai come il papà e la mam­ma? ». Ed io rispondevo: «Sì, Faustina». Mi ricordo che un giorno pranzavamo con la sua famiglia in casa nostra e tutto ad un tratto Fau­stina domandò a sua madre: « Mamma, perché la notte quando vai a dormire entri nel letto di papà? Quando sposerò Gegio, io non vorrò che lui venga nel mio letto! ». Il padre di Faustina si mise a ridere come un matto: «Cambierai opinione,

Faustina                           - le disse; - cambierai opinione!... ». Io mi sentivo salire il sangue alla testa.

Renata                             - Deve essersi cambiata, Faustina, in ventiquattro anni!

Sergio                              - Chi sa!

Renata                             - Invecchiare, ringiovanire? Dipen­de, per le donne, molto da loro, ma un poco anche da chi le ha amate o le ama.

Sergio                              - Chi sa! Ma non so immaginare Fau­stina se non come una cosa esilissima, una co­lonna di trifora, un getto d'acqua...

Renata                             - (ridendo) ...Uno stelo, una pa­gliuzza... E quando vi siete lasciati?

Sergio                              - Pianti di disperazione. Che pianti! Non credo di aver mai pianto in vita mia come allora. Faustina ci accompagnò a prendere la corriera che doveva portarci via, e la rivedo all'ultimo momento mentre si butta sul capo la polvere della strada: la maestra ci aveva detto che così facevano gli eroi classici e le eroine nei momenti di disperazione. Il gesto mi parve allora sublime.

Renata                             - Ed ora dite di non poter amare una donna se non fa il bagno tutti i giorni!

Sergio                              - Vi assicuro che allora ero sincero in tutto: quando dicevo di amarla, di volerla sposare. Quando, piccini, impegniamo tutto il nostro sentimento sopra un essere di sesso dif­ferente, ci comportiamo proprio come i grandi. Avete mai notato come le fotografie di dieci o venti anni fa ci stupiscono? È perché, se ci pensiamo a quel tempo, ci vediamo lo stesso fisico che abbiamo attualmente, e il trovarci cosi diversi nelle fotografie ci stupisce. Vi ri­peto, quante volte abbiamo creduto di amare, ci siamo considerati già uomini, per accorgerci, finito l'amore, che non lo eravamo ancora.

Renata ........................... - Bene. Ecco un lato del vostro ca­rattere che non conoscevo. Riflettete, qualche volta, non soltanto sulle cifre, ma anche sulle mime

 Sergio                             - Quando si ama, la fantasia lavora per istinto in tutti.

Renata                             - E l'avete riveduta, Faustina?

Sergio                              - Mai più.

Renata                             - Chi sa se vi ricorda!

Sergio                              - Romanzo!

Renata                             - Perché non la cercate? Forse è ancora qui.

Sergio                              - Bussiamo alla porta, il cancello è aperto.

Renata                             - E se non ci fosse?

Sergio                              - Se non ci fosse più?... Pazienza! Ma una voce mi dice che la ritroverò, che ri­proverò la tenerezza di allora...

Renata                             - (un po' gelosa) È dunque tanto rimasta nel vostro cuore, questa Faustina?

Sergio                              - Faustina? La bimba di allora? Non so. La tenerezza di allora, sì, molto; un ricor­do delicato, impersonale, dolce della sua stessa incerta apparenza così vaga di lontananze...

Renata                             - (c. s.) Attento alla disillusione!...

(Si alzano e vanno verso il cancello; esitano prima di varcarlo sorridendo, poi entrano. Ser­gio fa il gesto di bussare all'uscio ma sembra che gli manchi il coraggio; ride).

Sergio                              - È strano, ma ho la mano che mi trema... Non so... ho paura. C'è un mondo fra me e questa porta: il passato, l'avvenire...

Renata                             - (un po' ironica, c. s.) ... L'avve­nire...

Sergio                              - Sì, ma mi sento timido, ecco, non so osare... (Finalmente si decide. Batte. Rima­ne in ascolto. Nessuno. Con una mano sul cuo­re, sempre ridendo) Ho il cuore che batte.

Renata                             - Non si sente nessuno.

Sergio                              - Perché mi avete domandato prima se non temevo di trovarla mutata?

Renata                             - Per prudenza. Ma bussate ancora.

Sergio                              - Avete ragione. (Bussa). Può essere mutata. Tutto è mutato qui. Non riconoscevo la piazzetta perché una volta era l'orto di Fau­stina, perché l'osteria in quel canto non c'era.

Renata                             - Ma la siepe di bosso è rimasta!

Sergio                              - Già, la siepe di bosso è rimasta. (Bussa nuovamente). È una speranza.

Renata                             - Non c'è nessuno. Vi duole?

Sergio                              - (ha un gesto vago).

Renata                             - Sì, vi duole: Faustina, la dimen­ticata, la bimba che giocava ai signori, ha riac­ceso qualcosa nel vostro cuore. Vi risentite bim­bo di nove anni.

Sergio                              - Oh, Dio!... Però...

Renata                             - Se Faustina vi comparisse dinanzi che le direste?

Sergio                              - Non so; bisognerebbe che la ve­dessi. In materia di sentimento non si può pre­parare un discorso prima.

Renata............................ - (come presa da un'idea subitanea, si appoggia contro il portoncino, quasi ne uscisse, e sporge il capo verso Sergio) Gegio!...

Sergio                              - (dietro al gioco) Oh! ma mi sem­bra di conoscerti! Non sei tu, Faustina?

Renata                             - Sì, sono io. Ma non la Faustina d'allora! Non vedi come sono diversa?

Sergio                              - Diversa... diversa? Perché diversa? Non ci sono ancora tutte in te, le cose che ho amato bambino, non sei tu sottile e fragile come allora? E i tuoi occhi, i tuoi neri occhi pro­fondi, in cui l'anima si affacciava come si af­faccia una ninfea di sotto al velo di un'acqua tranquilla, non sono ancora quelli? E la tua bocca non sorride fresca come allora?...

Renata                             - Ma non sono più quella di allora!

Sergio                              - Sei come eri rimasta nel mio spi­rito, come ti amavo, come ho continuato ad amarti.

Renata                             - Hai continuato ad amarmi?

Sergio                              - Non sono sposato. Ti aspettavo...

Renata                             - (come un'eco) Ti aspettavo. Ri­torni ?

Sergio                              - Ritorno.

Renata                             - Allora, mi sposi?

Sergio                              - Ti sposo.

Renata                             - E quando?

Sergio                              - Domani.

Renata                             - (triste) Domani? Perché non oggi?

Sergio                              - Perché non posso farti il regalo.

Renata                             - Il regalo! È qual'è?

Sergio                              - Indovina.

Renata                             - Le caramelle?

Sergio                              - Brava!

Renata                             - Ma quante?

Sergio                              - Un sacco.

Renata                             - E come è grande il sacco?

Sergio                              - (allargando le braccia) Così.

Renata                             - E poi?

Sergio                              - L'anello.

Renata                             - Dov'è?

Sergio                              - Non ce l'ho con me, ma è bello, è d'oro, fatto con la carta dei «Gianduja», e la pietra rossa è fatta con le cartine rosse lucide dei cioccolatini al caffè.

Renata                             - Ma è bello davvero, allora!

Sergio                              - Stringiamo il patto.

Renata                             - Sì, sposiamoci; ma ad una con­dizione... (Maliziosa) Di notte, quando andre­mo a dormire, tu non verrai nel mio letto.

Sergio                              - D'estate, no. Ma d'inverno, se farà freddo. Qualche volta... Tu avrai compassione di me.

Autista                             - (entrando) Tutto è riparato. Era un guasto da nulla.

Renata e Sergio               - (insieme, come si destas­sero) Che cosa?

Autista                             - La macchina.

Renata                             - (c. s.) Ah, la macchina! Bene. Ma siete sicuro che non ci saranno altri fa­stidi? Guardate bene, guardate bene. È impos­sibile che abbiate riparato la frizione in così poco tempo!...

Autista                             - Ma non era la frizione.

Renata                             - (distratta) Allora... verificate me­glio. Tanto, abbiamo tempo: c'è da far cola­zione.

Autista                             - Vado a vedere a che punto è k colazione. (Entra nell'osteria dove l'ostessa gli fa dei cenni).

Ostessa                            - (sulla porta) Ma che fanno i vo­stri padroni dietro il cancello della signorina Fusilli?

Autista                             - Lo dite a me? Ci capisco meno di voi. (Galante) Meglio così, però: non vi pare? Venite di nuovo con me?

Ostessa                            - No, non ci vengo più; la mac­china me l'avete già fatta vedere dentro e fuori!

Autista                             - Ma via, c'è sempre qualcosa di nuovo, per esempio... ve la farò veder di sot­to. E qui,' se non mi chiamano loro, non ritorno manco dipinto...

Ostessa                            - Di sotto... di sotto, che c'è di bello? (Segue l'autista nell'interno dell'osteria).

(Renata e Sergio si guardano sorridendo).

Renata                             - Meno male!

Sergio                              - Perché? II gioco mi piaceva.

Renata                             - Piaceva a voi, ma a me!... Siamo stupidi e imprudenti. Nulla è più pericoloso dell'accumular sensazioni di intimità... che non possono condurre a nulla!

Sergio                              - Perché? Era un gioco grazioso. Ri­mettetevi lì, dietro il cancello.

Renata                             - No, l'incanto è rotto.

Sergio                              - L'incanto era creato dalla nostra finzione, dalle nostre parole. È rotto un filo; basterà che vi chiniate a riprenderlo.

Renata                             - Non c'è più niente da fare. È pas­sato troppo tempo!

Sergio                              - Ma no! Non sono io, Gegio, a ri­dirti con lo stesso animo le parole di allora, e non sei tu, Faustina, a rispondermi con i sor­risi di allora?

Renata                             - Quella che non c'è più è l'inge­nuità delle nostre anime.

Sergio                              - Tutte le anime si rifanno ingenue di fronte all'amore. Quando si vuol bene dav­vero, si segue l'impulso interiore, senza ragio­narvi su, e non ci si accorge di nulla; la vita si fa nuova, l'anima si fa nuova. Non importa quel che c'è stato in mezzo, si ritorna bambini.

Renata                             - Ma nella mia vita ci sono state tante cose! Un uomo, mio marito, un uomo che ho sposato, che mi sono illusa di amare, che si è comportato con me come se lo amassi. Tu non sai come siano insopportabili gli uomini che credono di essere amati: essi non fanno più niente per conservarsi l'amore. Credono che sia loro dovuto. Penso che non dirò mai più ad un uomo che l'amo.

Sergio                              - Nemmeno a me?

Renata                             - Nemmeno a te. Del resto tu manchi dalla mia vita da tanto tempo! Non so più chi tu sia, ti riconosco appena. Sei diventato per me uno straniero. Sei veramente tu, il Gegio che ho amato bambina? E se sei Gegio, ti troverò io oggi conforme all'uomo a cui i miei sogni infantili hanno dato una forma ed un cuore? Tu sei scomparso dalla mia esistenza, e ti sei fatto a modo tuo, mentre io, come tutte le donne di questo mondo, mi costruivo dentro di me un uomo-tipo, quello che una volta si chiamava l'ideale; mi facevo nello spirito un essere che è ora più mio che tuo. (Ridendo) Ti sarà difficile entrare nella sua pelle!

Sergio                              - Se provassi? Se ci mettessi tutta la mia buona volontà? Se mi facessi umile per imparare come senti, come pensi, come è for­mato dai tuoi sogni quest'uomo ideale che pure è in partenza da me, da me piccino?

Renata                             - Ma che spazio da colmare! Venti­quattro anni! Una vita!

Sergio                              - Ricominciamento. Ci riprenderemo a quel punto, e tu potrai forse sacrificare il fantasma che ti sei creato, per l'uomo, anzi per l'amante che io ti porto.

Renata                             - Ma tu pure hai vissuto!

Sergio                              - Se ti propongo un ricominciamen­to!... Si riprende a vivere ogni volta che si ama perché si vive soltanto quando si ama. E poi, io sono forse più simile al tuo Gegio, di quello che tu non assomigli alla mia Faustina d'allora. Tu mi hai tradito, tu ti sei sposata; e io, invece, non ho preso moglie. Io sì, posso dirti di averti aspettata; io sì, posso dire che per me, questi ventiquattro anni sono stati di at­tesa. Avevo un ideale anch'io e questo ideale ti rassomigliava tanto, Faustina, che io non credo di aver mai amata altra donna che te. Mi volevo sposare, in questi ultimi tempi, pic­cina, ma volevo sposare una donna che era così simile a te che l'avrei confusa con te... Tu mi hai perduto nel ricordo, ma io ti ho avuta sem­pre presente, io non ti dico da ora parole d'a­more. Se tu avessi ascoltato! Se tu mi avessi incoraggiato! Se tu mi avessi detto: Vieni più vicino al mio cuore! Oh, allora!... Ma tu eri lontana, assente; avevi marito, ti fabbricavi nella testa l'uomo-tipo, non ti ricordavi di me. Vieni più da presso, ora. Dammi le tue mani, Faustina. Ci si comprende meglio, le mani nelle mani. Credimi: ti ricorderai.

Renata                             - (scostandolo dolcemente) Oh, a-desso...

Sergio                              - Temi che ti baci? Allora non era così.

Renata                             - Allora era un'altra cosa!

Sergio                              - (con la voce del bimbo che è stato) Ma perché?

Renata                             - Si era due bimbi.

Sergio                              - Ed ora? Se ci amiamo, siamo come due bimbi. Ah, tu vuoi ancora fare i capricci, vuoi farti pregare, vuoi che ti porti dei fiori?...

Renata                             - Ecco.

Sergio                              - (chinandosi su di lei) Te le darò dopo, le rose.

Renata                             - (donna) Ma Sergio, siete matto?... In pubblico?!... E se viene qualcuno?

Sergio                              - Chi viene? Siamo due bimbi e i giuochi dei bimbi fanno soltanto sorridere...

Renata                             - Ma Sergio, ma Sergio!... (Cede lentamente sorridendo. Ripete) Bimbi! (Poi, improvvisamente, quando Sergio sta per baciar­le la bocca, piega il capo di fianco e come una bimba gli offre, timida, la guancia).

Sergio                              - (prima la bacia sulla guancia, poi le afferra il volto fra mani e la bacia sulla bocca).

Renata                             - Basta, adesso! Non voglio più es­sere Faustina, ma Renata.

Sergio                              - Renata, chi è? Stiamo giocando, ed è pericoloso fare il nome di Renata quando Faustina è ingenua, ingenua nelle braccia di Gegio.

Renata                             - (naturale) Siete di una bella for­za, Sergio; mi ricredo. Sapete fare all'amore.

Sergio                              - Mi ricredo anch'io; non siete una donna senza cuore. Siete una romantica che è delizioso amare e che risponderà deliziosamen­te al mio amore.

Signorina Fusilli              - Ma bravi! Che è, casa vostra, quella? Cosa fate dietro al mio can­cello? Chi vi ha dato il permesso di entrare?

Renata                             - (sottovoce) E Faustina?

Sergio                              - Ma nemmeno per sogno. Non ve­dete che donnone?

Fusilli                               - Già, ora ci mancavano i forestieri. È dietro alla mia siepe che tutti gli innamo­rati del paese vengono a fare l'amore. Ora an­che i forestieri. Che bisognerà fare perché per­dano l'abitudine? (Chiamando) Ali!... Ali!... Ma dove sei? Tu dormi e la gente entra in casa. Su, bestione! (Si china a raccogliere qualcosa faticosamente: è una catena a cui è attaccato un cane). Ah, dormi, tu!... Dopo aver man­giato come un porco! Dormi, eh?... Marcia via, su! (Si indovina che tira dei calci). Via... mar­cia! (Squadra con disprezzo la coppia che la sta a contemplare stupita). Che vergogna!... (Entra in casa).

Sergio                              - (all'ostessa) Ma chi è quell'energumena?

Ostessa                            - Una zitella acida: la signorina Fusilli.

Renata                             - Faustina?

Ostessa                            - Già, Faustina.

Renata                             - (scoppia in una grande risata) L'esile Faustina!

Sergio                              - Che importa? Credevamo di gio­care con una illusione e forse non siamo mai stati così vicini alla realtà.

Ostessa                            - È in tavola, se hanno fame.

Renata                             - (soprapensiero) Forse.

Sergio                              - (spaventato) Non avete fame?

Renata                             - (riscuotendosi) Oh, non pensavo a mangiare! Rispondevo a me stessa, rispon­devo a voi. Avete ragione. Com'è difficile la vita! Avevo un'idea di voi tutta diversa, e ci volevano queste Faustine, l'illusoria e la reale, per mettermi sulla strada...

Sergio                              - La buona? Faustina significa la donna che porta fortuna...

Renata                             - Chissà! Comincio a credere che dipenda da voi.

Ostessa                            - (vedendo che non si muovono) Se vogliono un po' d'antipasto?

Renata                             - (sorridendo, verso Sergio) Grazie, l'ho avuto!

FINE