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Commedia in due atti

di Ettore Petrolini

(1924)

Da “IL TEATRO” - Newton Compton Editori s.r.l. - Roma

Personaggi

Gastone Durville

Bice Duval, canzonettista

Lucia Sabbatini

Teresa Sabbatini

Vincenzo Sabbatini

Alfredo Donati

La Marchesa Viola

Gemma d'Orient, romanziera

Mignonnette, ballerina

Il commendator Pompa

Il maestro Ingemiti

Il parrucchiere Floro

Il barone Chissà

La Stiratrice

La Burdigia, sarta

Natalina, cameriera

Rituccia

Il Commissario

Una guardia

A Roma, oggi.

Nota: Nel testo, essendo indicato che Lucia e Teresa non parlano strettamente il dialetto, l'articolo romanesco «er» che vale per altre persone della com­media, è mutato in «el», così come più dolcemente è oggi pronunciato da chi attenua il dialetto.

Rappresentata per la prima volta al Teatro Arena del Sole di Bo­logna il 14 aprile 1924.


ATTO PRIMO

I1 sipario calato, il Direttore, presentandosi alla ribalta.

Intervengo, signori, non richiesto. Né mi rivolgo a voi perché questa commedia abbia bisogno della spiegazione dell'argomento, ma unicamente perché l'azione si svolge in un ambiente non conosciuto da tutti.

Il secondo atto, infatti, ha luogo in una pensione per artisti di varietà.

L'autore si è provato a riprodurre questo ambiente, mettendo in evidenza, sia pure umoristicamente, il male a fin di bene, e tutto ciò che a lui ha dato fastidio.

I personaggi della pensione non sono certamente dei più simpatici e la figura del protagonista di queste scene è la più ingrata. Si tratta di una satira feroce, inesorabile, del falso divo di varietà; dell'uomo amo-rale, però convinto di possedere un profilo divino, uno sguardo irresi-stibile, un sorriso enigmatico e tenero, insomma una bellezza quasi sovrumana, la cui sola apparizione sulla pedana di un cinema-teatro, o sullo schermo, crede sia sufficiente per stupire gli spettatori e scon­volgere le spettatrici. E troverete anche che il protagonista, il quale ha un cervello incapace di pensare, dice talvolta, nella commedia, battute amare, ironiche ed anche umoristiche che esulano dal personaggio. Ma ciò l'autore ha fatto a bella posta, per farsi perdonare la figura ambigua di Gastone. (Rientra.)

Stanza semplicemente ammobiliata: a sinistra (dello spettatore) porta che mette in cucina; la parete piega in dentro; verso l'angolo, porta che serve da comune. Al fondale, una vasta apertura che lascia vedere un vano, con in fondo un armadio; a poca distanza dall'apertura, una finestra che guarda sulla strada. Alla parete destra una credenza, mac­china per cucire, tavolino nel centro, sedie; alla parete sinistra, tra la porta di cucina e la comune, altro mobile, o tavolinetto, con sopra una camicetta con la fotografia di Lucia e lì presso una sedia. Un mani­chino, qualche rivista di mode, il giornale Café Chantant. L'ambiente deve apparire un modesto laboratorio di sarta.

Rituccia (entra timidamente dalla comune).

Teresa (ottimista, semplice, entusiasta di sua sorella. Non parla stret­tamente il dialetto. Incoraggiandola): Mica te fai male a le gambe si ce venghi a trova un po' più spesso! Una volta stavi sempre qui!

Rituccia: Sì, lo so: ma adesso a casa vostra ce vie tanta gente che min avevo vista mai. A divve la verità, me danno soggezzione tutti 'sti personaggi novi; ho paura de disturba, tanto più che quanno Lucia passa davanti a la porta de casa nostra, tira de lungo.

Teresa: Lofarà senza volello, perché tu nun sai a quante cose deve pensa.

Rituccia: Sicché è proprio vero che se mette a fa la sciantosa?

Teresa: Ma che dichi? Sciantosa? Artista! Artista di arte varia, nu­mero de canto e danza a trasformazione, vedette, gran vedette!... Viè qua, mettete a sede e guarda! (Prende dei vestiti dall'armadio.) Guarda che robba! Che vestiti, che tolette! So' costati la bellezza di quattromila lire!

Rituccia: Accidenti quanti quattrini avete speso!

Teresa: Sì! E bastasse questo! Ce devi mette poi le musiche, le lezzioni de canto e ballo, la reclame, le fotografie sul giornale, la mediaz-zione all'aggente.

Rituccia (stupidamente): Che c'entra la gente?

Teresa: Ma la gente nun c'è, è un omo solo che lo chiamano l'ag-gente!...

Rituccia (non comprendendo): E la gente nun c'è?

Teresa (taglia corto): No... guarda... 'sto giornale... (Prende da sopra la tavola il giornale Café Chantant.) Tiè, leggi.

Rituccia (legge): «Da fonte sicura apprendiamo che è imminente il debutto della fulgida stella Luciette D'Antibes, rara bellezza de­stinata ai più grandi successi nel varietà italiano. Gli agenti dei principali stabilimenti di Torino, Milano, Napoli e Roma se la con­tendono, offrendole laute scritture, non badando a spese. Per ora, acqua in bocca: in un prossimo articolo, spero di darvi notizie esatte su Luciette D'Antibes, la futura "stellissima" del varietà... Vice». (Meravigliata:) Ma come? Ancora deve annà sur teatro e er giornale già dice che è brava?...

Teresa: Ma se capisce!... In arte varia se comincia così... Poi, nun se dice «annà sul teatro»: se dice «debbutto». El debbutto sarà bono; lo dicheno tutti: vedrai che furorone! Lucia è una celebrità in erba; l'hanno detto el maestro, l'aggente teatrale dell'Apollo, e Gastone Durville, l'asso del varietà! Tutti pezzi grossi! Ma poi te la figuri co' 'sti vestiti addosso?...

Rituccia: Come avete fatto, a fa' tutte 'ste spese?

Teresa: Ma nu' lo sai? Mi' padre benedett'anima cià lassato ventidue­mila lire a la Cassa de Risparmio; e noi ce n'avemo levate otto. Ma tanto, è sicuro che ce le rimettemo fra qualche mese. Dopo li primi successi... vedrai che paghe je daranno!

Rituccia (poco persuasa): Sì, va bene, ma a me Lucia me piaceva de più quanno faceva la sartora. Sarà 'na bella cosa, ma è sempre 'na canzonettista!

Teresa: Ma statte zitta, che nun capisci gnente! (Campanello.) Questo, dev'essere quel nojoso de zi' Vincenzo. Mamma mia, quanto è antipatico!

Rituccia: Come! Nun è er fratello de vostro padre?

Teresa: È pe' questo che lo sopportamo. Mò ce viè a fa la predica.

Rituccia: Eppure tutti dicheno ch'è 'na gran brava persona... Basta, io ve saluto e... come se dice? Bon... debbutto! (Si avvia verso la comune, sul limitare incontra Vincenzo:) Sor Vincenzo, ve saluto! (Via.)

Vincenzo (romano del vecchio stampo, intransigente, buono e ben pen­sante, che mal si adatta allo spirito dei tempi. Risponde al saluto con un cenno, entra e con evidente malumore siede vicino al ta­volo): E Lucia nun c'è?

Teresa: Sta a le prove.

Vincenzo: Che prove?

Teresa (contrariata): Le prove del teatro! Nu' lo sapete?

Vincenzo (scattando): Sicché è proprio deciso. Lo scandalo è ireparabbile! Me fa spece de te: sei la sorella più granne e avevi er dovere de faje capì che quello che fa nun è bello. La fija d'Augusto Sabbatini, canzonettista! Nun me pare che possa trovà er conzenzo de le persone per bene.

Teresa: Zi' Vincenzo mio, io je l'ho detto, ma quella non è più 'na regazzina, sa quello che fa; è intelligente e, credeteme, ce pò in­segnà a me e a voi. L'arte ce l'ha nel sangue e si cià 'sto dono de natura, perché lo deve fa sprecà?

Vincenzo: Già, mo' pe' fa quattro strilli de gatto e fa vede le gamme sur parcoscenico, ce vò er dono de natura?!

Teresa: Ma che dite, zi' Vincè! Quella cià voce. Fra qualche mese vedrete, diventerà una diva! Ancora deve debuttà e già je scriveno da tutte le parte. Je vònno dà la scrittura.

Vincenzo: E inutile! V'hanno guastato er cervello! Quello lì è un monno de carta. Ve n'accorgerete... Io nun ve vojo fa er malau­gurio, ma la fija de mi' fratello, che ho tenuto fra le braccia, che ho fatta ballà su le ginocchia da cratura, l'avrebbe vorzuta vede moje d'un galantomo, piuttosto che vedella diventà una diva!

Teresa (ironica): Moje d'Alfredo forse?

Vincenzo: Sì, puro d'Arfredo! Perché? È un cattivo giovenotto?

Teresa: Ah!, io nu' lo so.

Vincenzo: Ah, adesso nu' lo sai. 'Na vorta nun era così! Povero regazzo, forse ha avuto torto de fasse vede troppo innamorato de tu' sorella.

Teresa (imbarazzata): Abbiate pazzienza un momento, vado a dà 'na guardata in cucina... (Premurosa:) Volete favorì co' noi? (Via.)

Vincenzo (seccamente): No, grazzie. (Si avvicina alla finestra, si af­faccia, vede Alfredo e mormora:) E 'sto poveraccio passeggia... Come annerà a finì?!...

Teresa (rientrando): Che guardavio?

Vincenzo: Ah, gnente. Guarda un po' tu!

Teresa (dopo essersi affacciata): Eh! l'ho visto. Ma ormai l'avrebbe dovuto capì. Lucia sò du' mesi che nun ce parla. Mò che va cercanno?

Vincenzo: Quello che se cerca all'età sua. Che te credi che se ne sia scordato? Se capisce, voi ve sete scordate de tutto, perché state sotto l'imbriacatura d'un monno novo; ma lui no; anzi, mai come adesso ha penzato a Lucia.

Teresa (risentita): Sicché, noi nun semo più padrone de vive come ce pare, de fa el commodo nostro; nun avemo el diritto de progredì!

Vincenzo: Ber progredimento! Già, mò er progredimento è pe' li ciar­latani, chiacchieroni che ve sò venuti a mette in testa tutte 'ste ricchezze. No, no! 'Sti novi amichi che ve sete fatti, nun sò sinceri. 'Sta fortuna che me descrivete, pe' me è 'na disgrazia.

Teresa (affettuosa, cercando di persuaderlo): Voi sete el malaugurio nostro. A me me piacerebbe de favve conosce el maestro de ballo: Gastone Durville. E stata invece 'na fortuna pe' lei d'avello incontrato. L'ha conosciuto a 'na festa da ballo pe' combinazzione; je disse che era carina, che ciaveva 'na bella voce e la consijò de mettese a fà l'artista, perché poteva fasse un bel nome in poco tempo, invece de stà a intisichì dentro a 'na camera coll'ago in mano, da la matina a la sera. Lucia da principio nun j'ha dato retta, ma poi lui je mannò un bijetto pe' assiste a 'na rappresentazzione al cinema teatro indove faceva el numero...

Vincenzo: Che sarebbe 'sto nummero?

Teresa: Ma come, nun capite? El numero de super comico moderno, del re del bon umore, canto e danza!...

Vincenzo (crollando la testa): Ho capito: me dài li nummeri!...

Teresa: Ma no! E un gran numero de varietà, noi l'avemo sentito una sera che je fecero fà cinque bis, poi ciavemo parlato, era tanto stanco, lavorò quasi mezz'ora sempre lui.

Vincenzo: Su le ventiquattro è 'na bella fatiga.

Teresa: Fu cosìgentile con noi! Così qualche giorno dopo, Lucia è andata da lui a pijà le prime lezzioni gratis. Mò studia el canto e fra pochi giorni debbutta. Noi nun avemo raggione de lamentasse de 'sto Gastone che ce fa del bene disinteressatamente; e co' tutto che dicheno che è un giovenotto interessante, ve posso garantì che fra lui e Lucia nun c'è proprio gnente: amici, solo amici.

Vincenzo: E Arfredo l'ha sapute tutte 'ste belle cose?

Teresa: Credo de no... Poi, nu' l'avemo più visto. (Campanello.) Questa dev'esse proprio lei. (Va ad aprire.)

Lucia (allegra, spensierata, ingenua, un po' sentimentale, non parla strettamente il dialetto. Entra raggiante, festosa, vestita con buon gusto, ha in mano dei fiori ed un rotolo di carta da musica, bacia la sorella, mette i fiori in un vaso): Successone a le prove! Che nova, zi' Vincè? Era un bel pezzo che nun ce venivio a fa 'na visita. Si debbutto a Roma, me venite a sentì? Oggi dal maestro c'erano tante personalità. L'aggente teatrale del Trianon de Milano, el figlio del padrone del Teatro Umberto de Napoli, che m'ha fatto cantà tre volte «Bambola», poi m'ha stretto forte la mano e m'ha detto: «L'avete ricamata». C'era el corrispondente ufficiale del Caffè Con­certo e pure lui m'ha detto: Al vostro debutto avrete l'«élite» del pubblico e diverrete l'«enfant gàté». Zi' Vincè, che vordì l'«enfant gàté»?

Vincenzo: So' porcherie che nun conosco. Vorà dì che t'infanghi te.

Teresa: E Gastone che t'ha detto?

Lucia: Era contento. Ha detto che io raggiungerò le più alte vette.

Teresa (a Vincenzo): Sentite?! (A Lucia:) Apparecchio?

Lucia (affettuosa): Ma sì, restate puro voi, zi' Vincè. Mo viè Gastone Durville, così ve lo presento. Io sò venuta avanti perché lui aveva da parlà col «reggissore» del teatro Margherita.

Teresa: Allora butto giù la pasta? (Via in cucina.)

Lucia: Sì, ma nun portà a tavola si nun ariva lui!

Vincenzo: Eh, diavolo! Aspetteno Sua Eccellenza Scrocconcelli...

Lucia (risentita): A zi' Vincè, adesso basta. Perché parlate così? Lo conoscete? Ma che ve credete? È un giovenotto distinto, de bona famiglia...

Teresa (rientrando): Nun ce fà caso. Oggi zi' Vincenzo nun dice 'na parola, si nun è 'na puncicata. Cià proprio el dente avvelenato co' noi. E poi dice che ce vò bene! (Torna in cucina.)

Vincenzo (paternamente): E' perché ve vojo bene, che sò avvelenato, lo la gente bona la conosco senza partacce. 'Sto Gastone nun me piace. Sò diversi giorni che osservo tutto. E venuto qua sotto casa coll'automobbile; ha fatto 'na cagnara pe' 'sto vicolo, che nun s'era mai sentita. Va vestito troppo bene, troppo da bello. Nun me pare un signore!

Lucia: Ma come?! Si è tanto elegante.

Vincenzo: Senti, io dell'eleganza nun me n'intenno, ma credo che sia veramente elegante, quello che nun se fa accorge che è elegante. Po' dì quello che vòi, a me nun me pare 'n'artista. (Commosso:) E poi che t'ho da dì? Penso a quell'artro. Ma tu nu' l'hai visto come sta quer povero Arfredo?

Lucia: Sì, l'ho visto puro ieri quanno venivo a casa. Parlava col fijo del fornaro. Ma lui nun m'ha visto.

Vincenzo: Te lo credi che nun t'ha visto!

Lucia (senza convinzione):Embè, tanto mejo si m'ha visto! Allora ho raggione io. È un puntijoso, un orgojoso. Sì, è vero che j'ho scritto che tutto era finito, ma lui nun m'ha risposto, nun m'ha cercato più. Vor dì che nun j'ha fatto né caldo, né freddo. Si je premevo, avrebbe aggito diversamente. Quanno n'omo è veramente innamo­rato, nun s'arrende così facilmente. S'è dato pace e m'ha fatto un piacere, perché è l'indiferenza sua che m'ha fatto pijà la decisione de métteme sul teatro. Sapete che ve dico? Che io nun me sentivo de diventà la moje de 'no stampatore.

Vincenzo: Nu' lo buttà giù. Po' pure dì tipografo. E poi vedrai che saprà fà quarche cosa de mejo perché è intelligente, è un regazzo bono. Si era un mascarzone, t'avrebbe dato guai.

Teresa (rientrando): A zi' Vincenzo, voi parlate in modo che pare che Alfredo sia el vostro fijo. Dio mio, ve ce scallate tanto!

Lucia: Ma che v'ha mannato su lui pe' sapé l'affari nostri?

Teresa: Si è accosì, allora diteje che la faccia finita de fà el puntello sotto 'sta casa.

Vincenzo: Secca la lingua mia, si fo 'ste commissioni! Sò vostro zio, lo so che nun me carcolate gnente. Mi' fratello nu' l'avete potuto conosce bene, èrivio troppo piccole quanno è morto. Ma ve posso dì ch'era un lavoratore, un galantomo, un omo che nun ha ma­gnato pe' davve 'sta casa e quelli quattro sórdi che v'ha lassato. E sò sicuro che, si fusse vivo, manco lui sarebbe contento de vedette annà sur teatro, a fà la canzonettista!

Lucia: Sicché quelli che vanno sul teatro, pe' voi, sò tutta gentaccia.

Vincenzo: Nun dico questo. Prima de tutto c'è teatro e teatro, ma a me nun me pare che tu ce pòi sta bene. Er teatro nun è 'na cosa che la pònno fa tutti, e quelli che nun ce sò chiamati e lo vònno fà pe' forza, finischeno sempre male, e quelli che nun finischeno male, se contenteno de fasse compatì tutta la vita.

Teresa: Mamma mia, che lagna che ce fate!

Lucia: Ma ce buttate proprio el malaugurio!

Teresa: A me me piacerebbe de favve sentì 'na canzona che ha impa­rato. Lucì, perché nu' je la canti?

Vincenzo (sedendosi vicino al tavolinetto di sinistra, seccamente): No, pe' carità, nun me cantà gnente! 

(Campanello.)

Teresa (va ad aprire).

Gastone (entra agitato, Impaurito e malconcio, come se fosse inseguito da qualcuno): Dio flautino! Trattenetelo quel forsennato! Quello è l'ultimo urlo della mascalzoneria. Sono stato vigliaccamente aggre­dito!

Teresa (porgendogli una sedia): Ma che v'hanno fatto? Lucia, daje un bicchier d'acqua, poveretto.

Lucia (porgendogli l'acqua): Mamma mia, e ch'è successo? E' caduto? S'è fatto male?

Gastone (beve affannosamente): Ma che caduto! Ho ricevuto una collana di pugni da un malvivente. Ahimè! sono turbato, sono stor­dito, non capisco più nulla! (Avvicinandosi a Teresa:) Guardatemi nel buco dell'orbita dell'occhio. E pesto? Sono vivo o morto?

Vincenzo: Ma che l'hanno ferito?

Gastone: No, fortunatamente. Solo pugni. Tutti in faccia. Che razza di vigliacchi! Eh, m'hanno visto solo!

Vincenzo: Ma quanti erano?

Gastone: Era solo anche lui!

Vincenzo: E allora?

Gastone: Eh, allora... Io non ero pratico dei luoghi!

Teresa: Com'è stato? Ariccontate.

Gastone (sceneggiando comicamente il fatto): Com'è stato? Me ne venivo giù tranquillo, calmo e sereno, quando un tal ceffo mi si avvicina e mi domanda: - Sareste voi il cantante, il «danseur», il divo del Varietà?... - Gastone Durville, se non le dispiace! - gli ho risposto. Quel figuro mi guarda ironicamente e, per tutta risposta, mi «ammolla» un pugno nell'occhio... che per fortuna non avevo la caramella, altrimenti la vetrina sarebbe entrata nella bottega. Ha seguitato poi a tempestarmi di pugni in ordine sparso sulla mia persona, fino ad esaurimento della mia pazienza. Per un po' ho sopportato, perché credevo scherzasse, ed io ci sto allo scherzo... ma non appena mi sono accorto che era manesco e faceva sul serio, allora...

Vincenzo (incuriosito): Allora?...

Gastone: Oh! allora... Sono scappato e mi sono rifugiato nel vostro portone, dove lui non ha avuto il coraggio di seguirmi e non so perché, mi ha gridato a squarciagola: - «Il seguito a domani!...» - C'è dunque pure un seguito per domani? Mi avrà forse scambiato per un romanzo di appendice. Ma perché abitate in questi luoghi equivoci? Ah, ma la cosa non finisce qui!

Vincenzo (compiacendosi): Ho paura pure io, che ce sarà er seguito!

Lucia (a Vincenzo): Almeno stateve zitto voi. Io lo so chi è stato.

Teresa: E po' sta sicura che è stato proprio lui.

Vincenzo: Io so sicurissimo e sò contento.

Gastone: Ah, dunque voi lo conoscete il ceffo?

Vincenzo: No, ma se l'immagginamo che po' esse stato!

Teresa: Forse un pretendente de Lucia... Alfredo...

Gastone: Già, Lucia, il pretendente, il promesso sposo... Ma cosa c'entro io, con i promessi sposi? Quel mascalzone non sa con chi ha da fare? Io sono sempre armato, e buon per lui che oggi non avevo in tasca la mia rivoltella, altrimenti l'avrei schiaffeggiato!

Teresa (per deviare il discorso): 'Mbè, fateve coraggio, sò mali che passano. Ve presento nostro zio.

Gastone (dimenticando la situazione): Gastone Durville! Tanto lieto. (Tende la mano.)

Vincenzo (evitando di stringergliela): Ma, dico io, nun c'era 'na guardia?

Gastone: Sì, le guardie! Quelle non ci sono mai, quando uno ne busca. Ma la dovranno fare con me e con mio zio prefetto.

Lucia: 'Mbè, adesso è finito, nun se ne parla più, Teresa, è pronto?

Teresa: Sì, fra pochi minuti porto a tavola. (A Gastone:) E voi nun ce pensate più a quel vassallo, che s'è voluto sfogà de la rabbia e de l'invidia che se lo magneno vivo.

Gastone (spavaldo): Ah, con me sta fresco! Ha trovato proprio la scarpa per il suo piede.

Vincenzo (fra sé): Ammazzelo che sfacciato!

Gastone (siede a destra presso il tavolino, Lucia gli si avvicina,

Gastone confidenzialmente con il braccio le cinge la vita. La guarda intensamente): E tutto questo perché? Perché questo pretendente suppone che io gli tolga la polpetta dal piatto! E non sa, che io non ho fatto altro che scoprire un dono di natura, che era un peccato tener nascosto ed occulto. L'umanità ha diritto di godere un simile gioiello, quale Luciette D'Antibes. Si accorgeranno tutti dove arri­verete con la vostra arte sublime! Voi diverrete una fulgidissima stella del varietà italiano! Purtroppo, si sentiva il bisogno di un astro maggiore e voi siete stata la prescelta per portare quest'onda nuova nello sfolgorante ed intellettuale ambiente!... Quante soddisfazioni vi attendono! Ammiratori! Fiori! Ricchezze! Allori! Tutto vi sorri­derà. A rafforzare i miei prognostici, vi rassicuri il mio valido appoggio, poiché da me sarete lanciata in questo nuovo mondo... Da me! E non faccio per dire, ma sono l'idolo, il beniamino, il cantante aristocratico, il fine dicitore, il cesellatore della canzone, il signore della scena, il tre ore di buon umore, il ridere, ridere, ridere, il re di tutti i re del «variété» italiano. Ideatore, creatore del mio numero, purtroppo imitato da tutti. (A Vincenzo:) Vedrete cosa diverrà vo­stra nipote, sotto la mia protezione!

Lucia: Diventerò come Anna Fougez?

Gastone: Ma che Fougez! Tutto deve fuggire innanzi a voi. Di più...

Lucia: Come la Baker?

Gastone: Che idee nere vi passano per il cervello! Di più...

Lucia: Come Mistinguette?

Gastone: Preferisco i prodotti nazionali! Di più, di più! Tutto deve impallidire di fronte alla vostra arte, la vostra bellezza, la vostra gioventù, la vostra eleganza. Ci penso io! Quello che ora è stretta­mente necessario, è cambiare ambiente, raffinarvi. Ci vuole un po' di «charme», un po' di linea, un po' di «chic» e della «souplesse»!...

Teresa: Che sarebbe?

Gastone: Morbidume!... Farebbe al caso vostro, una distintissima pen­sione che io conosco bene, dove troverete tutto il conforto moderno e che è frequentata dalla miglior «élite». Un ambiente di primissimo ordine, sotto la direzione di una nobile decaduta, la marchesa Viola. Con una mia raccomandazione, avrete un trattamento speciale, me ne occuperò io, si capisce, nel vostro interesse... (A Vincenzo:) Credo di essere penetrato nell'animo di queste ragazze, e la stima che loro hanno per me, mi vendica dell'offesa che mi ha fatta quell'energumeno. Cosa ne pensate?

Vincenzo (guardandolo pietosamente): Che hai detto un sacco de pa­role sceme, che ponno fà effetto a du' donne ingenue come queste, che nun capischeno e nun conoscheno l'incoscienza e la malafede che ce pòi avé messo: ammiratori, doni, apprausi, fiori: sò tutte cose belle... Io ne so poco d'arte, ma nun credo che sia così facile come la spieghi tu, perché er principio de qualunque cariera, è seminato più de spine che de rose. Pe' me, eri più onesto si la preparavi a le disillusioni, piuttosto che a tutti 'sti facili trionfi. Si tutto è così facile come dichi tu, a me nun me pare che sia arte. E adesso che me dichi? Che me risponni?

Gastone (sconcertato, non sapendo cosa rispondere, prende una posa da palcoscenico e pensa. Una pausa, e infine trionfante, per aver trovato, snocciola enfatico la seguente sconclusionata filastrocca): Un brano del mio repertorio... Se l'ipotiposi del sentimento perso­nale postergando i prolegomeni della mia subcoscienza, fosse ca­pace di reintegrare il proprio subiettivismo, alla genesi delle conco­mitanze, allora io rappresenterei l'autofrasi della sintomatica con­temporanea, che non sarebbe altro che la trasmificazione esopo-lomaniaca... È chiaro, mi sembra. (Soddisfatto guarda Vincenzo, sicuro di averlo sbalordito.) E adesso, lei che cosa mi risponde?  

Vincenzo (con uno sguardo di commiserazione): Ma vatte a buttà a fiume! (Via indignato.)

Gastone (uscito Vincenzo ed assicuratosi che sia stata chiusa la porta): Villano, malnato! S'egli non mi fosse sfuggito, gli avrei insegnato come si vive al mondo. Buon per lui che m'è sfuggito!

Lucia (calmandolo): Nun ce fate caso, è un omo un pò bislacco, ma nun è cattivo; ce vò tanto bene! Ha paura che io nun riesco ne la carriera artistica.

Gastone: Sì, va bene, ma quella non è la maniera di concludere. Perché, poi, dovrei andare a buttarmi nel Tevere? E' poi sicuro che il Tevere mi brama?...

Teresa: Avrà scherzato!

Gastone: Ma tutti vogliono scherzare con me! Sbagliano! Io so fare anche sul serio quando voglio! Non manco di prudenza, ma ho anche del coraggio, e se voglio, posso far vedere... (prende il ba­stone, e si mette in guardia come se tirasse dei colpi di scherma) ...qual sangue freddo io ponga, nell'uccidere qualcuno.

Lucia (poco persuasa): Misericordia!

Teresa: Per carità! (Campanello, va alla porta e appena apertone uno spiraglio, si volta spaventata.) È Alfredo!

Gastone (atterrito, infila di corsa l'uscio di cucina e si rinchiude dentro dando parecchi giri di chiave).

Teresa (va ad aprire, lascia entrare Alfredo, chiude).

Alfredo (apparentemente calmo): Nun avete paura: ve vojo dì du' parole e me ne vado subbito.

Teresa: Sia ringraziato Iddio!

Lucia (timorosa, imbarazzatissima, senza guardarlo, si siede a destra, vicino al tavolo).

Alfredo: Te fo tanta paura? Me pare incredibbile! Sei stata tanto coraggiosa de scriverne 'na lettera, pe' dimme che era mejo finì tutto, che er matrimonio nostro era 'na cosa impossibile, che nun saressimo stati felici... Ciài avuto er coraggio de dì che l'amore nostro era 'na cosa da regazzini, quanno du' mesi fa m'avevi giu­rato che se io te lassavo, saressi morta de dolore... E mò hai tanta paura?! Guarda invece io come sò tranquillo!

Teresa (preoccupata): Ah, se vede!

Alfredo: Sò venuto pe' ariportatte 'ste lettere, sarai contenta?! Me l'hai mannate a chiede da la mezzana, da tu' sorella, nu' je l'ho date e nu' l'avrebbe mai date a gnisuno. Mò invece, te l'ariporto io. (Prende dalla tasca un pacchetto di lettere e le getta sul tavolo.) Guarda, me pare che sò giuste; in una c'è puro er ritrattino tuo... Credeme, me le sarebbe tenute come un tesoro, puro si te sposavi un antro, ma te sei messa a fà la canzonettista e le lettere de le canzonettiste sò facili a avesse. Me saressi piaciuta come moje... come canzonettista... nu' lo so. Ma si me piacerai, me te compro! Nun t'offenne, che io so' un bon giovenotto. Forse, te verò puro a appraudì. Te verò a dì: «Come canti bene!»... o «La volemo nuda!». (Lucia si copre la faccia con le mani.) Ah! mò te vergogni? Hai detto a tanta gente, che meritavi quarche cosa de mejo de 'no stampatore, e io t'ho voluto dà raggione!... Vedi, lo sfreggio che m'hai fatto, er dolore che ingiustamente m'hai procurato, me daranno la forza de diventà quarche cosa de più de quello che me stimi. Ne riparleremo.

Teresa (supplichevole): Alfredo, esse bono, le parole tue sò pugnalate!

Alfredo: Pugnalate? E la pugnalata che m'ha dato lei a tradimento, nun conta gnente? Co' che còre parlate voi, voi che l'avete invojata a fa 'sta porcheria?! La sorella de la stella, la sorella de la diva! Vergognateve!...

Teresa (risentita): Me pare che mò ciai insultato abbastanza! Te sei scordato puro che semo du' donne sole.

Alfredo (ironico): Ah, già, è vero; sete du' donne sole, sì, perché quer carognone, quer disgraziato, che s'è chiuso là dentro... (indica la cucina. Si sente Gastone dare rumorosamente altri giri di chiave) ...davero nun è 'n omo! Eppuro so' quelli l'òmmini che piaceno a le canzonettiste. (Commosso:) Ma nun fa gnente; me ne vado. Pò esse puro che me rimpiagnerai. Addio e... bona fortuna! (Prende in mano uno dei vestiti da canzonettista che sono rimasti su una sedia e lo getta con disprezzo.) Stella der varietà! (Via.)

Lucia (fa l'atto di seguire Alfredo. Si arresta sulla porta indecisa, va alla finestra ma le manca il coraggio di affacciarsi).

Teresa (le si avvicina amorevolmente): Vói che te lo chiami? M'ha fatto tanta pena!...

Lucia (dopo una lunga esitazione): No! (Si siede con la faccia fra le mani appoggiandosi al tavolo, trattenendo le lacrime a stento.)

Gastone (riaprendo rumorosamente la serratura, entra spavaldo): Ah, ma la cosa non finisce qui! (Passeggia baldanzoso su e giù per la stanza.) Lo farò pedinare questo mascalzone! Vigliacco! Si appro­fitta di due donne sole! (Si avvicina a Lucia, tenta di sollevarla; Lucia si schermisce, e non lo ascolta.) Per carità, non vi disperate! Non ne vale la pena! Vi prenderete la vostra rivincita, e con la mia protezione diverrete un astro di prima grandezza, una fulgida stella dell'arte varia!

(Teresa poco persuasa dalle parole di Gastone, ab­braccia affettuosamente la sorella, che si abbandona in un dirotto pianto, mentre Gastone ridendo come un idiota, come un inco­sciente, esclama:) Sarà un trionfo!... Un successo senza prece­denti!...

Sipario


ATTO SECONDO

PRIMO QUADRO

La scena rappresenta un cinema-varietà con un semplice fondale di velluto aderente al boccascena. Gastone, appena alzatosi il sipario, avanza alla ribalta seguendo, con un trotterello da scemo, il ritmo musicale del «refrain» della canzone Gastone, eseguito dall'orchestra. Una pausa, due lunghe buffate di fumo aspirate da gran «viveur». E dopo una lunga pausa, sonnolento, annoiato, stanco, annunzia lenta­mente:

Gastone: Gastone, artista cinematografico, fotogenico al cento per cento, numero di centro del «variété», «danseur», «diseur», fre­quentatore dei «bal-tabarins» dei «cabarets», conquistatore di donne a getto continuo, uomo incredibilmente stanco di tutto, uomo che emana fascino. (Canta:)

Gastone, son del cinema il padrone,

Gastone,

Gastone.

Gastone, ho le donne a profusione

e ne faccio collezione,

Gastone,

Gastone.

Sono sempre ricercato

per la filme più bislacche,

perché sono ben calzato,

perché porto bene il fracche.

Con la riga al pantalone...

Gastone,

Gastone.

Tante mi ripeton: sei elegante!

Bello, non ho niente nel cervello!

Raro, io mi faccio pagar caro:

specialmente alla pensione,

Gastone,

Gastone.

(Attraversa il proscenio con un passo di danza che accompagna il «refrain» della canzone.)

Questa camminata l'ho inventata io.

(Si ferma e flemmatico dice il seguente monologo, con molte pause, mentre i violini in sordina, come una melopea, ripetono «ad libitum» il ritornello della canzone. Mostra il guanto attaccato al­l'altro, che è calzato.)

Anche questa cosuccia qui è mia. È una cosuccia senza pretensione, ma è mia. Non l'ho fatta neanche regi­strare.  E di pubblico dominio. Altri, avrebbe precisato:  «Made in Gastone»... È una mia trovata e me la scimiottano tutti i comi-ciattoli del varietà. I miei guanti biancolatte elegantissimi: guarda­teli! Però il guanto biancolatte è pericoloso... Una volta, sorbendo una tazza di latte, distrattamente, mi son bevuto un guanto!... Quante invenzioni ho fatte io! Discendo da una schiatta di inven­tori, creatori, deformatori... Quanta genialità nella mia famiglia! La cava del genio! Mio padre, per esempio, ha inventato la macchina per tagliare il burro. Cosa semplicissima: un pezzetto di legno alle cui estremità è attaccato un sottilissimo fil di ferro formante un arco. Naturalmente, per questa invenzione, il mio genitore fu pla­giato: soppresso il pezzo di legno, col solo filo - e nemmeno di ferro - han costruito lo strumento per tagliare la polenta... Così... Con le mani e il filo... Ho saputo poi che un tale Marconi, ha fatto tutto senza fili! Pazienza! Tutti abbiamo diritto di vivere. Io, vo­lendo, potrei essere un grande fabbricatore di burro: perché una volta feci questo magnifico esperimento: ero in areoplano e rag­giunsi una tale altezza, che mi trovai nella... Via Lattea. Natural­mente, l'elica, girando vertiginosamente frullò il latte. Ed io fui costretto a fermarmi per una... «panne» di burro! Colavo burro da tutte le parti!... Mia madre? Anche lei una grande inventrice: anzi­tutto, ha inventato me. E non dico altro! Poi aveva il senso dell'eco­nomia  sviluppato  fino  alla  genialità:  sarebbe  stata,  certo,  una grande economista... Figuratevi: io mi chiamo Gastone. Ebbene, lei mi chiamava semplicemente Tone: per risparmiare il Gas... infatti il mio diminutivo è Tone!... tutti mi chiamano Tone... quante donne si contenterebbero di mangiar pan... e tone!... Se prometto di assistere ad una prima cinematografica tutti dicono: movie-tone! Eh! a me, m'ha rovinato la guerra! Quante scoperte ho fatto... Io, mo­destamente, ho scoperto il sapore dell'acqua di Seltz. Che sapore ha l'acqua di Seltz? Sentiamo: non lo sapete? Ebbene, ve lo dico io: l'acqua di Seltz ha il sapore di formicolio ai piedi!... A me, m'ha rovinato la guerra! Se non ci fosse stata la guerra, a quest'ora sarei a Londra. Avevo montato un bel numero, con una bella bambina: una bella pupa... innamorata pazzamente di me! E non se n'era mai accorta: gliel'ho dovuto dire io: sbagliava con un altro!... Era una bella pupetta... Con la guerra, me la «rimpatriorno»!... Non era italiana: era slovacca, me la mandarono in Isvizzera... Mi lasciò solo con una cagnetta: una di quelle cagnette giapponesi con gli occhi di fuori, col pelo lungo e la gamba corta; pareva che camminasse col pelo!... Ma era tanto carina, piccinina, col musetto schiacciato... Un incrocio tra un pechinese e uno «chope» di birra. Dovetti mantenerla io! E non vi dico quanto mi ci volle, per abituarmi a questo!... Eh, a me, m'ha rovinato la guerra! Se non ci fosse stata la guerra, a quest'ora starei a Londra!... Perché io sono molto ricercato... Ricercato nel parlare, ricercato nel vestire, ricercato dalla Questura... Che bel numero avevo «montato» con la mia duettista! Ad onor del vero, il numero lo aveva «montato» un altro, un celebre «danseur»: Max! Vorrebbe dire Massimo. Ma... Massimo non si dice, è volgare: «il faut dire Max». Si scrive così: M, A e... il numero dieci dell'orologio. Questo Max è un grande della danza. Molti credono che la danza sia una cosa effimera. Invece, questo Max, una volta in una gara di danza, ballò per settantadue ore. Si ballò tutto. A furia di ballare, si sballò. Si logorò. Senz'accorgersene, si era ballato fino alle ginocchia... Il ballo è una cosa seria! E' una dea: Tersicore!... Sono molto ricercato, perché so far di tutto: sono nato col bernoccolo del palcoscenico. A me, mi ha rovinato la guerra!... Se no, a quest'ora starei a Londra. I londrini vanno pazzi per me, perché io so fare un po' di tutto. Cervello eclettico, polie­drico! Sono stato in Compagnia di Ruggero Ruggeri, di Zacconi, ho fatto l'imitazione di Fregoli, di Petrolini: so far tutto, canto, ballo, dico, compongo, riduco, trasporto. Tutti mi vogliono, tutti mi ambiscono. In Compagnia drammatica non ci posso restare a lungo, perché basta ch'io guardi una donna in faccia, diventa madre! Sono stato anche in Compagnia di Operette, ma la «sor-betta» s'innamorò di me... Abusò della mia inesperienza, mi rapì, e mi fece suo! Modestamente sono anche musicista. Dovevo andare a Londra. Già: dovevo musicare l'orario delle ferrovie. A me, mi ha rovinato la guerra! Io sono molto ricercato, anche perché porto bene il frac. Io sono nato col frac. Gli altri, quando portano il frac, sembrano incartati. Io invece, lo porto bene, perché quando sono nato, mia madre non mi ha mica messo le fasce, macché!... mi ha messo un fracchettino... Camminavo per casa e sembravo una cor­nacchia... (Canta:)

Gastone,

sei davvero un bell'Adone! Gastone, Gastone...

Gastone,

con un guanto pendolone

vado sempre a pecorone,

Gastone,

Gastone.

Ogni cuor si accende ed arde,

perché ci ho gli occhioni belli,

le basette a la Bonnard1

ed i gesti alla Borelli2.

Misterioso come Ghione3,

Gastone,

Gastone.

Bice,

solo io la fo felice,

Gemma,

ama solo la mia flemma!

Rina, lei per me la cocaina...

Se la prende a colazione

pensando

a Gastone.

Sipario

Volendo eliminare l'abbassarsi del sipario, si può fare la trasforma­zione al buio, alzando rapidamente il fondale di velluto; dietro, la scena sarà già disposta per il secondo quadro.

QUADRO SECONDO

La pensione della marchesa Viola. Due porte a destra e due a sinistra (dello spettatore); vetrata; dietro la vetrata un'altra sala con due porte laterali e la porta comune in fondo. Nella prima sala pianoforte in un angolo, un divano, sedie, poltrone, ecc. In centro un tavolino, dal soffitto pende un lampadario. Campanello elettrico di servizio.

Mignonnette (al piano, col ditino sulla tastiera, strimpella il motivo della canzonetta Gastone. Voci confuse che accennano con varietà di toni e di stonamenti a motivi di canzonette, arrivano dalle stanze accanto).

Viola (saccente, opportunista, astuta, adulatrice. Entrando): Ma questa è una bolgia infernale. Un po' di silenzio, ragazze! (Sgarba­tamente alla Mignonnette:) E tu che fai lì? Vattene nella tua stanza!

Mignonnette (ingenua; sentimentale, negativa per il teatro. Parla con accento tedesco. Alzandosi a malincuore): Non è mai possibile studiare il canto in questa casa! (Entra nell'ultima porta a destra dopo la vetrata.)

Viola (avvicinandosi alla prima porta a sinistra): Signorina D'Antibes, ha bisogno di nulla?

Lucia (di dentro): Grazie, nulla.

Viola (ostentando una grande familiarità): Sente che chiasso fanno queste birichine? Ci vorrebbero tutte come lei. Non viene fuori?

Lucia: No.

Viola (contrariata della risposta secca, avviandosi alla comune): Se tutte fossero come lei, potrei chiudere la pensione. È una ragazza che non rende nulla. È più morta che viva. E vuol fare fortuna in varietà! Ci vuol vita... vita!... (Via dalla comune a sinistra.)

Cameriera (svogliata, indifferente. Entra dalla comune a destra seguita dalla Stiratrice, va alla seconda porta di sinistra e chiama): Signo­rina Duval.

Duval (d.d.): Cosa vuoi, piccola?

Cameriera: C'è la Stiratrice.

Duval (d.d.): Tanto piacere. Dille che venga quando c'è lui.

Cameriera (alla Stiratrice): Ha sentito?

Stiratrice (popolana autentica. Indignata): Ho sentito. Bella sfaccia­taggine! E questa sarebbe la stella? Che la possino scannalla! Che roba, avé a che fà co' le canzonettiste!... Guardate un po' si ce fosse la D'Orient!?

Cameriera (bussando alla seconda porta a destra): Signorina D'O­rient, c'è la Stiratrice.

Barone (d.d. forte): Dille che venga quando c'è lei.

Cameriera: Oh, «pardon», signor Barone. Era la Stiratrice.

Barone (uscendo, seccatissimo): Ma che balordaggini sono queste? Che cosa volete che io sappia della Stiratrice? Io non conosco bian­cheria. (Via dalla comune.)

Stiratrice (sarcastica): Eh, lo so bene. Lui conosce solo la porcheria! Cosicché, de là: «Venga quanno c'è lui»... de qua... «Venga quanno c'è lei»... Fra lui e lei scegliere non saprei.

(Cameriera via)

Viola (entra fumando la sigaretta in un lunghissimo bocchino):Che cos'è questo chiasso? Che vi succede, signora?

Stiratrice: Ma che signora! Io fo la Stiratrice e me ne vanto. Dicevo che qui quanno c'è lui non c'è lei. Me potrebbero pagà e mannamme via subbito. Nun se vergogneno a famme fa tre o quattro viaggi 'gni vorta? Io nun sò mica la serva loro!

Viola: Ciò non mi riguarda. La biancheria personale, non è cosa di mia pertinenza.

Stiratrice (con un movimento istintivo di antipatia): Sì, va bene. Io rivengo fra poco. E speramo che nun me fanno pèrde la pazzienza, perché sinnò nun porto più rispetto a nissuno. Già, qui dentro c'è tanto poco da rispettà! (Via.)

Viola (altezzosa, noncurante): Dio, che pazienza, dover combattere con questa volgarissima feccia!

Cameriera (entra e si avvia verso la porta della Duval, per consegnarle una lettera).

Viola: Che cosa fai?

Cameriera: Questa lettera è per la signorina Duval.

Viola: Aspetta, fai vedere.

Cameriera (consegna la lettera): Ma... il fattorino ha detto che è personale.

Viola (comicamente): Ma che personale! Avrà detto è pensionale. Tutto ciò che ha luogo nella mia pensione, è pensionale. Fammi vedere se è una cosa possibile. (Prende la lettera, l'apre, guarda la firma.) Ah, è il commendatore. (Legge:) «Mia piccola cara, aspetta­temi. Sto per venire a momenti. Perdonateme la lungaggine di ieri. Sono tutto ai vostri piedi. Vostro Giulietto». E una lettera che non dice niente...(Rimette la lettera nella busta e la consegna alla Cameriera.) Puoi dargliela.

Cameriera (entra nella stanza della Duval).

Viola (tra sé): «Piccola cara... Tutto ai vostri piedi»... ma l'essenziale non c'è. (Fa con la mano il gesto del denaro.)

Duval (d.d.): Imbecille! Cretina! Chi si è permesso di aprire questa lettera?

Cameriera (uscendo): La signora marchesa Viola. (Via.)

Duval (volubile, nervosa, vanesia, ignorante, passionale, pettegola. Non cattiva. Esce in vestaglia, o «pijama», dalla seconda porta a sinistra, indignatissima): Ma che signora e signora! Da quando in qua le signore si impicciano delle cose delle signorine?

Viola (dolciastra): Non scaldarti tanto! L'ho aperta io: la marchesa Viola!

Duval: Ed avete violato anche la lettera. Che cosa vi resta da violare ancora? Basta con queste violenze!

Viola (melliflua): Ma senti, figliola mia: non inquietarti. Ho aperto la lettera perché siamo in momenti di crisi. Francamente, credevo di trovarvi una buona notizia. Sono a corto di quattrini. Di questo passo, non so più come tirare avanti con voialtre benedette ragazze.

Duval: Eh, lo so! Purtroppo, ci vogliono quattrini con quello che costa oggi la vita.

            (Gastone in «pijama» appare sul limitare della prima porta a destra, sonnolento, stanco, stiracchiandosi.)

Per un paio di calze di seta fine, ci vogliono cinquanta lire.

Viola: Calze di seta? Ma i panini, i panini di Vienna: tre e cinquanta al chilo!

Gastone: Poco male! (Alla Duval:) Tu, senza calze, te l'ho detto tante volte, sei molto più elegante. Del pane, Dio mio, si può fare anche a meno. Lo sa tutto il mondo, che non si vive di solo pane: si vive anche di cocaina... Ventidue lire al grammo, l'ho pagata ieri sera!... Sessantasei lire per vivere tre ore! Ci mancava anche la crisi della cocaina!...

Duval: Eh, certo! Avendo la cocaina a disposizione, la vita sarebbe un paradiso.

Gastone (a Viola mostrandole lo scotolino con la cocaina): E voi, pizzicate sempre?

Viola (estasiata, si affretta a prenderne un buon pizzico): Ah, non mi­ne parlare!

Gastone: Pianino... pianino... perché costa ventidue lirine al grammino!

Viola: Ma tu ne prendi troppa. Potresti economizzare.

Gastone (sprofondandosi sul divano): L'economia è una volgarità in sopportabile!

Viola: Oh, non dicevo per l'economia. Ma il troppo fa male. Ti ab­brevia la vita!

Gastone: Ionon mi curo della vita. L'uomo è un pacco postale che la levatrice spedisce al beccamorto!... Qualche volta a piccola... e qualche volta a grande velocità!

Duval (sedendo vicinissima a Gastone, carezzandolo): Com'è? Sei già alzato?

Gastone: Purtroppo! E stata una levataccia! Alzarsi presto la mattina mi rovina la salute.  Ho le prove d'orchestra a mezzogiorno e mezzo. Voglio realizzare una meravigliosa idea per un nuovo nu­mero. La stupefacente e bianca polvere, mi dà sempre delle nuove ispirazioni. Vedrai! (Fiuta un pizzico di cocaina.)

Duval: Beato te che sei sempre ben fornito! Io sono in bolletta. Ve­nisse almeno quell'imbecille del Commendatore.

Cameriera (annunziando): Il signor Commendatore. (Si ritira dopo aver lasciato entrare. La Duval languidamente va incontro al Commendatore, gli porge una mano che il Commendatore, dignitoso, bacia.)

Gastone: Basta chiamarlo! «Lupus in fabula»!... (Esageratamente espansivo:) Ecco il nostro caro e simpaticissimo Commendatore! Proprio in questo momento si stava parlando di lei. Se ne diceva un mondo di bene. Caro il nostro commendatorone... (Scherzoso:) Lei sempre a piede libero?...

Commendatore (sempre fresco ed azzimato, giovineggia a sessanta anni. Lo guarda sorpreso, stupito): Ma cosa dice?

Duval (intervenendo subito, tra ironica e civetta): Ciao, cocco bello!

Gastone (sfottente): Cocco fresco.

Viola (adulatrice): Quello che merita il nostro Commendatore. Sempre giovane, sempre vegeto...

Gastone: E minerale!...

Duval (al Commendatore, facendogli delle moine): Cattivo!... Perché non sei venuto ieri sera? Sono stata tanto male. Cattivone!

Gastone: Ma sì, Commendatore... (rimprovera il Commendatore, con tono esageratamente dolciastro; si alza dal divano) ...lei è un catti­vone... Ha pianto tutta la notte. Lei la fa morire questa bambinona. Mamma mia, che cotta! Che cotta ha preso per lei. Tutta la notte non ha fatto che piangere, io la sentivo dalla mia stanza; tra un singhiozzo e l'altro diceva: voglio un Commendatore... datemi un Commendatore! Ma lei, mi dica la verità... cosa gli fa alle donne? Che cotta! Che cotta!

Commendatore: Ma scusi, lei come lo sa?

Gastone: Ah, a me non sfugge nulla: sono psicologo!

Duval: Lo metti in dubbio? Tutti uguali, voialtri uomini! Quando siete certi dell'amore di una donna, fate gli increduli.

Commendatore: Ma sì, lo so: non mi è stato possibile venire più presto. Sii ragionevole! Pensa al posto che occupo. Tu non devi dimenticare che io occupo un posto...

Gastone: Già: lei... (indicando la Duval:) ...dimentica sempre che il Commendatore occupa un posto. (Recitato rapidamente:) Capirai: quando un uomo occupa un posto, è occupato in quel posto; perciò bisogna che stia colla testa a posto, per non perdere il posto; non si può pensare ad un altro posto, stando in quel posto, ma a propo­sito di posto, ho dimenticato una cosa in... un posto. Vado a pren­derla in quel posto; e torno tosto. (Si avvia alla sua stanza dinoc­colandosi soddisfatto.)

Duval: Che simpatico, eh?! Fa dei meravigliosi giochi di parole!

Viola (ridendo): Che tipo! Anch'io vi lascio. Ho qualche cosa da fare. Ed anche voialtri... avrete qualche cosa da fare! (Via.)

Commendatore (seccato): Che strana gente, in questa pensione! Non fanno che delle sfacciate insinuazioni. Quel Gastone poi, parla con me, come se io fossi un suo vecchio amico. Io lo conosco appena. Tu lo conosci da molto?

Duval: L'ho conosciuto qui.

Commendatore (stizzito): Ma c'è del tenero fra te e lui?

Duval: Commendatore, per chi mi prendi? Per chi mi ha preso? Per chi mi prendete? Ah, voi non sapete quanto io sia raffinata nel gusto e come sono in alto i miei ideali. Vi prego, non mi fate venire i nervi.

Commendatore (c.s. ma dominandosi): E' stata una semplice supposi­zione. Se non è, tanto meglio. Non alterarti. Ciò non ha impor­tanza. Dunque, dopodomani è la tua serata d'onore.

Duval (sedendo sulle ginocchia del Commendatore): Oh, Dio! Onore! Ci mancherebbe altro! La fo così, per farla; la fanno le altre e la faccio anch'io. E chi non la fa...

Commendatore (spiritoso): ...l'aspetta.

Duval (dandogli un buffettino sulle guance): Spiritoso... Chi non la fa, vuol dire che non ha amici.  Si fa la serata d'onore per avere qualche «cadeau». «Cadeau», in francese, vuol dire regalo.

Commendatore: Hocapito.

Duval: Allora mi regali un... «cadeau»?

Gastone (rientra con altro «pijama». Vedendo il Commendatore carez­zare la Duval, beffardo): Palpi, palpi, Commendatore! Ma cosa gli fa lei alle donne? Le affascina, le sgretola, le lacera, le frantuma! (Il Commendatore lo fissa stupito, imbambolato.) Per carità non mi fissi così... con quegli occhi da fauno, da satirone, altrimenti ri­mango preso... anch'io...

Commendatore (sconcertato): Ma cosa dice?

Gastone (alla Duval): Ti ricordi le prime volte che veniva in pen­sione? Umile, sottomesso, «appecoronato»! E adesso invece, guar­dalo lì... sembra una faina. A proposito, mi ero dimenticato... (Apre lo scatolino come per invogliare il Commendatore a prendere un pizzico di cocaina.) A lei non piace la nivea, la portentosa, la stupe­facente?

Commendatore (con sopportazione): Mah, veramente no. Ho moglie e... il resto.

Gastone: Che ha moglie me ne sono accorto, lo vedo sempre qui! E sua moglie non prende la cocaina?

Commendatore: Ma credo di no... Almeno, che io sappia.

Gastone (sfacciato): Glie la faccia prendere; e la faccia prendere anche ai suoi bambini. Poi insegni a tutti il gioco del «poker» e vedrà che modello di famigliola le salta fuori. Passerà delle deliziose giornate in casa, e fuori di casa. (Mostrandogli la scatoletta della cocaina.)

Commendatore: Grazie: lei è troppo generoso, troppo gentile.

Duval (pizzicando una presa dallo scatolino di Gastone, con civet­teria): Dammene una presa; che io poi te la dò questa sera.

Gastone (al Commendatore): Ha sentito? Me la dà questa sera.

Commendatore: Capisco: troppi doppi sensi!

Gastone: Ne ho cinque di sensi: ne adopero solo due. Non le sembro economo?

Duval (a Gastone): Canaglia che sei! (Al Commendatore:) Ti lascio un momento con Gastone. Ho bisogno di restare un momento sola. Scusami caro. (Entra nella sua camera.)

Gastone: Va a pregustare il piacere della morte, senza morire,... Va a provare le arcane voluttà...

Commendatore (perplesso, stupito, dopo una pausa): Che strana quella ragazza: mi dà del tu, del lei, del voi...

Gastone (comicamente): Lo fa per darle un po' di tutto. È tanto largiva! È tanto buona! (Si sdraia su una poltrona e annusa la cocaina.)

Commendatore (sbalordito): Ma scusi, a lei non fa male quella roba? La sera come fa a lavorare? Avrà un'aria stanca, stordita...

Gastone (sconclusionato): Che cosa ci metto dentro il cervello, se non ci metto la cocaina?... Sì, lo so; ma con l'aria stanca si riesce sempre più interessanti... Alle donne in special modo. Per lo meno è più facile fare un «béguin», perché la canzonettista, la «femme chic», ama l'uomo stanco, l'uomo annoiato, l'uomo vissuto! Ora poi ho una meravigliosa idea: il genere stanco. Giacché tutta la mia vita è tutta una stanchezza, voglio sintetizzarla con questo mio nuovo genere. Anche il pubblico è stanco di ridere. E chi viene a sentire me, non potrà più dire: «Sto male dal gran ridere», «Sono morto dal ridere», «Ho riso fino alle lacrime». Non è vero che chi fa ridere è un benemerito dell'umanità. Io voglio dimostrare il con­trario. C'è il comico grottesco, il comico originale, l'umorista, il fantasista, il macchiettista, il melodioso, il dicitore?... Io voglio fare il comico riposatore, il comico anticomico, il comico che non ha fatto mai ridere nessuno. Non vi sembra originale questa mia nuova idea? Ma purtroppo, me la imiteranno, me la plageranno!

Commendatore: Meraviglioso, stupefacente! (Fra sé, sottovoce:) Io non ci capisco nulla! Sarà la cocaina che gli ha mangiato il cervello. (Forte:) Io lo lascio. (Entra nella stanza della Duval.)

Gastone: In bocca al lupo! E' più imbecille di me!... e senza la cocaina! (Si guarda intorno, vede i guanti che il Commendatore ha lasciato sul tavolino, li prende, e con un gesto come per dire: «tutto fà» li getta nella sua stanza. Va in fondo alla vetrata per assicurarsi che non vi sia nessuno, fischietta l'aria della canzone Gastone; si ras­setta i capelli, si passa le dita umettate su le ciglia, si lustra le unghie fregandole sul braccio. E infine batte dolcemente alla porta della stanza di Lucia.) Signorina Luciette, perché non venite fuori? Che cosa fate lì dentro sempre rintanata?... (Lucia entra. Si siede.) Suvvia, abbandonate questa tristezza, cercate di vincere voi stessa! Un po' d'allegria, un po' di buon umore! Ma non sentite? Qui si divertono tutti.

Lucia (molto triste): Eh, lo so: ma a me l'allegria de qui dentro, me fà venì voja de piange.

Gastone: Che pessimo umore avete sempre! Credetemi, questa eccessiva moralità vi guasta il successo. Non c'è cosa che guasti il suc­cesso nel varietà, come la moralità! La carriera vi si presenta splen­dida, radiosa e voi la uccidete con queste melanconie... Ma perché? Voi potete farvi ammirare, senza che il vostro orgoglio ne soffra. Godetevi la vita e lasciatevi guidare da me, dal mio disinteresse. Lasciatemi perorare la vostra causa. E poi, sappiatelo una volta tanto, Luciette, io vi amo, vi desidero. Non lasciate deluse le mie speranze; abbandonate questa melanconia. Ci vuol vita, dinamismo, elettricità. La vita oggi è tutta elettricità: il polo positivo è l'uomo il polo negativo è la donna. Per produrre la scintilla elettrica ci vuole il contatto, non lo comprendete?... Entriamo nella vostra stanza, vi spiegherò meglio... (Fa per prenderla dolcemente, Lucia lo respinge energicamente.) Questo è un corto circuito. Lucia, perché mi re­spingete così brutalmente? Io vi amo, credetemi: è la prima volta che parlo così ad una mia compagna d'arte. Sì, vi amo e vi giuro che sarei capace di morire ai vostri piedi, per un vostro sguardo di compassione.

Lucia (secca, tagliente, decisa): Nun c'è bisogno che mori: me fai compassione lo stesso. 'Ste profferte tue d'amore, me fanno l'ef­fetto d'una mortificazione. Nun m'incanti! T'ho conosciuto bene: mò so che devo fà. Io nun sò adatta pe' quello che tu pensi.

Gastone (umilissimo): Ma io non penso nulla! È la mia grande facoltà, quella di non pensare... Sono il divo dello spensiero!... Siate buona, perché mi trattate così? In conclusione che cosa vi ho detto? Che cosa vi ho fatto?

Lucia (guardandolo diffidente, con disprezzo): Schifo!... (Si volta bru­scamente, rientra nella sua stanza, chiude la porta).

(Gastone rimane un momento perplesso, confuso dall'ardire di Lucia.)

Burdigia (compra e vende abiti usati, sa far bene gli affari suoi, senza tanti scrupoli. Entra con un voluminoso involto sul braccio. Ha sentito l'ultima parola di Lucia): L'aveva con voi?

Gastone (riprendendosi): Già, mi diceva che dopo conosciuto me, tutti gli altri uomini le fanno schifo...

Burdigia (con un sorrisetto sardonico, indicando la porta di Lucia): Sono venuta per lei... Meno male che vi ho trovato. Bisognerebbe farla decidere per qualche acquisto importante. Ditele che le farei delle facilitazioni nel pagamento; naturalmente con la vostra ga­ranzia.

Gastone: Già: caso mai, pago io.

Burdigia: Ma no; così, tanto per far l'affare. Io le potrei cedere una «toilette» di grande valore, purché voi mi facciate dare le prime cinquecento lire subito. Così, cinquanta sono per voi. Siete con­tento?

Gastone: Contento di cinquanta lire! E che cosa sono cinquanta lire! In tutti i casi l'affare sarà meglio trattarlo con la Duval, è più facile. Quella D'Antibes è disastrosamente onesta. Mi ha fatto uno slitta­mento adesso! In caso di riuscita, mi darete cento lire. Tanto, voi non ci rimettete mai.

Burdigia: Ma come?! Non vi ho già dato trecento lire?

Gastone: Ma di che vi lamentate? Cosa sono trecento lire, in con­fronto all'imbonimento che vi faccio io! Non avete guadagnato ab­bastanza sulle duemila che vi ha date la prima volta la D'Orient? Per la roba che era! Tutti scarti fuori di moda!...

Burdigia: Voi scherzate. Quello era tutto il corredo della principessa Barberani... Roba che aveva messa una volta sola!

Gastone: Sì, venticinque anni fa!

Mignonnette (entra timidamente e va per sedersi al pianoforte).

Gastone: A tutti la potete dare ad intendere, ma a me, no. (Scorgendo Mignonnette, sotto voce:) Aspettate, qui c'è un affare in vista. (A Mignonnette:) Mignonnette, qui c'è la Burdigia. La nostra cara amica si leverebbe il pane dalla bocca per favorire le artiste... (Pre­sentando:) Questa è Mignonnette, una grande speranza dell'arte varia.

Mignonnette (avvicinandosi): Come siete gentile, signor Gastone. Come siete bello, oggi!

Gastone: Lo so, non lo faccio mica apposta!

Burdigia: Signorina, delle vere occasioni.

Gastone (sottovoce alla Burdigia): Per voi! (A Mignonnette:) «Meine kleine, grosse Liebe». Mio piccolo, grande amore!!!

Mignonnette: Come siete buono, farei qualunque cosa per voi.

Gastone: Davvero? Allora fate qualche acquisto dalla signora Burdigia.

Mignonnette: Molto volentieri. (Alla Burdigia:) Mi faccia vedere, si­gnora.

Burdigia (apre l'involto e mostra delle vistose «toilettes»): Una occa­sione proprio per lei, signorina. Una vestaglia, due combinazioni di seta ed una meravigliosa cappa. Ma che cappa!

Gastone (scherzoso): Mignonnette, guarda, se è una bella cappa, non te la far scappare. (Si siede sul divano.)

Burdigia (a Gastone sottovoce): Mi garantite voi, in tutti i casi.

Gastone: Si capisce.

Mignonnette: Costa molto?

Burdigia: No... E poi noi ci accomodiamo. Purché lei mi dia un anti­cipo subito; il resto tanto per settimana: va bene?

Mignonnette: Sì... Adesso la vedremo nella mia camera... Venite anche voi, Gastone?

Gastone: Non posso... Ora debbo fare il bagno, il massaggio e la depilazione (guardandosi le mani). Poi debbo «smaltirmi» le unghie.

Burdigia: Cosa?

Gastone: «Delucidarmi» le unghie, dar lo smalto.

Burdigia (che evidentemente non capisce nulla, idiotamente esclama): Ah! Ho capito!...

Gastone: Vado a «smaltire»... Vado a «delucidare» le unghie. Vado a depilare le orecchie... Addio Mignonnette. (Fa per andare.)

Mignonnette (con grande dolcezza): Cattivo!... Me lo prometti sempre... E poi...

Gastone: Prenotati... E poi verrà anche il tuo turno. (Si alza dalla poltrona e rivolto alla Burdigia:) Mi raccomando eh! Trattatemela bene, è un astro che sorge! Un astro di prima grandezza! (A Mignonnette:) Ti raccomanderò al direttore del Trianon di Milano, dove io sono l'idolo... e faccio quel che voglio! Chiuderai la seconda parte del programmissimo! Col nome stampato in grande sui mani­festi! Con una buona «claque» farai un successone... Sarà un trionfo... Una festa d'arte! (Mignonnette lo ascolta estasiata mentre Gastone si avvia alla sua stanza, si ferma alla porta e invia un bacio a Mignonnette dicendole:) «Auf Wiedersehen! Auf Wieder-sehen, meine Liebe»!... (Via.)

Burdigia (guardando stupita Mignonnette): Che siete innamorata?!

Mignonnette: Tanto!

Burdigia (con intenzione): E lo conoscete bene?

Mignonnette: Credo di sì.

Burdigia (meravigliata): E allora?!

Mignonnette: E allora... sono innamorata lo stesso...

Burdigia (con un sospiro): Eh, capisco, capisco... (Cambiando tono:) Dunque, volete vedere questa roba?

Mignonnette: Sì, venite. (Entrano nella stanza di Mignonnette.)

Cameriera (dalla comune, seguita da Teresa, va alla porta di Lucia e bussa): Signorina, c'è sua sorella. (Via.)

Lucia (esce subito dalla sua stanza. Buttandole le braccia al collo): Come t'aspettavo, Teresa mia! Non vedevo l'ora... te devo dì tante cose...

Teresa: Lucia mia, che avemo fatto!...

Lucia: Per carità, nun me dì gnente... So tutto. E Alfredo?

Teresa: Non l'ho più visto, ma Rita m'ha detto che basterebbe 'na parola tua. E... qui... come stai? Come sò 'sta gente? Cattiva, eh?

Lucia: Che vói che te dica? Qui nun è cattivo nessuno e sò cattivi tutti... Sarà l'aria de qui dentro che guasta tutto. (Con ansia:) Credi che Alfredo sarà venuto al teatro la prima sera?

Teresa: Senti, io guardai bene dapertutto. Sò sicura che nun c'era.

Lucia: Meno male!... Che vergogna sarebbe stata!...

Teresa: Ma perché? Nun hai mica fatto brutta figura! T'hanno ap­plaudito tanto!

Lucia: Ionun ho capito, nun ho visto, nun ho sentito gnente. Nun vedevo l'ora de finì.

Teresa: Tutti dicevano che ciai 'na bella voce, che canti co' sentimento e che certamente avressi fatto una bona cariera.

Lucia: No, sai: nun farò carierà, perché ho capito bene. Solo la bella voce nun basta. Ce vò un carattere diverso da quello nostro.

Parrucchiere (nervosino, intelligente, maligno. Parla effeminato, ma non esageratamente. Entrando dalla comune col Maestro, guar­dando con curiosità Teresa): Abbiamo una nuova aggiunta, eh? Le faremo una bella testolina. Lei starebbe molto bene bionda: con quegli occhi meravigliosamente neri!... (A Lucia:) A voi poi, signo­rina, vi voglio passare un po' di «henné»: così sono troppo chiari quei capelli. Che orrore!... E indispensabile un'altra tonalità... E vero Maestro? Non le sembra anche a lei?

Maestro (purché guadagni... è come la legge... eguale per tutti. Parla con accento meridionale): Ma certamente, è indispensabile...  È chiaro!...

Teresa: Ma che dicheno? Ma che vònno?

Lucia (piano): E' quello che pettina l'artiste. Un antipaticone... figurete che cià er coraggio de fasse chiamà Floro!...

Maestro: Lei, signorina Luciette, dovrebbe prendersi l'esclusività di quella mia canzone: «Mandolinata a mare».

Lucia: Ma se già la cantano tutte!...

Maestro (con sussiego): Se vi comprate l'esclusività, si può proibire. Si registrano i contratti; la legge è legge... (Al Parrucchiere:) Non è vero, signor Floro?...

Parrucchiere: Verissimo... giustissimo, e poi non è per dire, ma quella canzone è un vero gioiello, sembra scritta per voi, per la vostra deliziosa voce...

Lucia: Come lo sa lei, se non m'ha sentito mai cantà?

Parrucchiere: L'esperienza, ho l'occhio fino, a me basta uno sguardo!...

Lucia (ironica): Pe' capì la voce... sì, ma co' me, te sei sbajato... nun attacca!...

Teresa (squadrandoli tutti e due): Ma se pò sapé che vònno?

Lucia: Quatrini! Qui nun cercano altro che piacere... e quatrini! Basta; annàmosene, si no ce viè el voltastomaco... (Al Parrucchiere, iro­nica:) Addio, Floro!...

(Entrano, il Maestro fa per seguirle, Lucia gli chiude la porta in faccia.)

Parrucchiere (stizzito): Lavandaie! Incivili!

Maestro: Calmo! Calmo, signor Floro!

Parrucchiere: Cascano bene con me, proprio oggi che sono tanto nervoso. Picchierei tutte le donne!...

Maestro (con disprezzo): Quelli sono spazzolini,... «scupilli»... come diciamo noi... Primi numeri... Vediamo se c'è la romanziera. (Sì dirige verso la seconda porta a destra; mentre il Parrucchiere, dopo aver bussato, entra nella camera della Duval. Il Maestro alla D'Orient che entra dalla comune, esageratamente ossequioso:) Proprio voi aspettavo, signorina.

D'Orient (scarsa di complimenti, astuta, risoluta): Sono stata dal dot­tore. Mi ha ordinato delle inalazioni. Ho un tale abbassamento di voce! Ho paura che dovrò farmi tagliare le tonsille. (Avviandosi alla sua camera.) E' ancora in camera il Barone? (Chiama:) Natalina! Il Barone?

Cameriera (entrando con la stiratrice): E' uscito dopo di lei. C'è la stiratrice.

D'Orient (autoritaria): Falla passare e chiamami un fattorino. Debbo mandare un espresso d'urgenza. Scusi, Maestro. (Via.)

Cameriera (sbuffando): E adesso dove lo vado a cercare il fattorino? (Via dalla comune.)

Stiratrice (si avvia nella stanza della D'Orient e borbotta): Sia ringra­ziato il cielo, che adesso c'è lei. (Via.)

Cameriera (attraversa la scena ed entra nella stanza di Gastone).

Maestro: Che bella maniera di trattare!

Cameriera (esce dalla stanza di Gastone con un vassoio sul quale sono i resti della colazione e lo depone sul tavolo): Che cos'ha oggi, Maestro? non dà lezione?

Maestro: Gliela darei io, la lezione! Avete visto? «E venuta la stiratrice. Scusi, Maestro.» Almeno mi avesse pagato! (Maliziosamente:) Ditemi un po': quel Barone che ha per amante, che cosa le dà?

Cameriera (con malignità): Quello non dà... piglia!

Duval (d.d.): Natalina!

Cameriera (sbuffando): Auff! Vengo subito! (Entra nella stanza della Duval.)

Maestro: Piglia! Qui pigliano tutti qualche cosa. Chi piglia le donne, chi piglia lezioni, chi piglia quattrini, chi piglia la cocaina... Mò mi piglio qualche cosa pure io... (Si guarda intorno, poi prende nel vassoio dei biscotti, il portazucchero e lo mette in tasca.)

Gastone (uscendo con un altro «pijama» mentre si lucida le unghie con il «polissoir»): Illustrissimo Maestro, come va?

Maestro (con falsa umiltà): Sempre ai vostri ordini.

Gastone: Grazie, Maestro; ma io faccio tutto da me: autore ed inter­prete del mio repertorio e ne riscuoto i proventi alla Società degli Autori.

Maestro (ironico): Beato voi! La natura vi ha favorito in tutto e per tutto. Che bel mondo avete trovato, eh!? Accendete una candela alla vostra santa protettrice: la marchesa Viola. Che bella vita fate! Vi alzate a mezzogiorno, trovate la colazione pronta... tè, caffè... latte... marmellata... biscotti e... quel che segue.

Gastone (contrariato, commiserandolo): Maestro, io non ho parole bastanti per esprimervi la compassione che mi fate. Voi credete, che nella mia famiglia, mi mancavano queste cose? Io ero abituato all'opulenza. Mio zio era prefetto, mio padre ammiraglio: coman­dava una squadra...

Maestro (guardandolo con scherno suona il campanello).

Cameriera (entrando): Che cosa c'è?

Maestro (canzonatorio): Sentite quel che vi racconta questo signore... (Via in camera della D'Orient)

(Contemporaneamente esce la stiratrice che attraversa la scena ed entra nella camera della Duval, dalla quale esce il Parrucchiere.)

Gastone (pieno di collera, gli grida): Scalzacane, sminfarolo, zampo­gnaro, antimusicale, che non conosci neppure le note! È l'invidia che lo fa parlare, perché non gli ho mai ordinato una orchestra­zione. Parlerò alla marchesa. Qui dentro, non deve mettere più piede, questo lenone!...

Parrucchiere (con la vocetta tenera, umile, adulatore): Per carità, non si arrabbi, signor Gastone! Mi creda, non ne vale la pena. Un grande della scena come lei! Ci rimette di decoro a prendersela con quel bestione. Purtroppo, ha ragione! Siamo in troppi qui dentro. «Siamo in troppi!...»

Gastone (dopo una pausa, lo guarda sarcasticamente, secco tagliente): Sì: siamo veramente in troppi, qui. Cominci coll'andarsene lei!

Parrucchiere (con la vocetta angelica): Cattivo!... Ingrato!... (Mortificatissimo, entra in stanza della Mignonnette; contemporaneamente ne esce la Burdigia.)

Burdigia (uscendo dalla stanza della Mignonnette): Allora mi racco­mando eh?Io tornerò lunedì.

Gastone: E andata bene?

Burdigia: Per carità! Per millecinquecento lire, le ho dato diecimila lire di roba.

Gastone: Quanto vi ha dato, subito?

Burdigia: Solo cinquecento lire; il resto, tanto per settimana.

Gastone: Datemi cento lire. Ci prendo la cocaina; così siamo pace.

Burdigia: Accidenti! Siete insaziabile! Eccovi le cento lire, ma ricorda­tevi di farmi concludere un affare con la Duval. La prossima volta, porterò roba di alto bordo.

Gastone (accompagnandola verso la comune): Mi raccomando: col bordo alto... (Burdigia via.)

Duval (esce dalla sua stanza con la Stiratrice): Questo asciugamani non è mio.

Stiratrice: Va bene, je l'ho detto: sarà stato 'no sbajo, ce somjierà...

Duval: Per carità! Il mio è di lino e questo è di tela. E poi, non vedete che manca il mio monogramma?

Stiratrice: Stia sicura, signorina: nun è mai mancato gnente. Sarà stata 'na svista de la padrona.

Duval: Svista o non svista, io non pago, se non mi restituite il mio asciugamani.

Stiratrice: Ma sì, stia tranquilla, nun strilli tanto... Mò vado giù a la stireria, e si c'è je lo porto subito. E si nun c'è, je lo porto lo stesso, ne compro uno a spese mie! Lascio qui la canestra un momento. (Posa la cesta sul tavolino.)

Duval: Va bene. Fate come volete, purché si ritrovi. (Rientra nella sua stanza.)

Stiratrice (fa per uscire, ma sul limitare della vetrata, s'incontra con Gastone, che non appena la scorge, prende una posa da fatalone, sicuro di far colpo, fischietta l'aria della canzone Gastone; la Stiratrice rimane impassibile, indifferente. Gastone azzarda una carezza, ma la Stiratrice, prevenendo, prontamente gli dà una botta sulla mano).

(Pausa).

Gastone (pieno di collera): Anche a me una volta avete portato un collo, che non era il mio.

Stiratrice: Perché nun me l'avete detto?

Gastone: Ioper un collo, non prendo per il collo nessuno. Collo più, collo meno, non m'importa. (Guardandosi la mano comicamente, anzi buffonescamente:) Mi ha contuso. Perché ho azzardato una carezza... Poverina, non conosce il valore di una mia carezza! È come mettere un confetto in bocca ad un maiale!...

Stiratrice (decisa, sfidandolo): Se capisce; io so er confetto, e tu sei er majale!...

Gastone (Impaurito, avvicinandosi alla porta della sua stanza): Volgare! Basso ceto! Piuttosto pensate a rintracciare l'asciugamani, che qui necessita! (Entra, chiude la porta.)

Stiratrice (con commiserazione): Ma vatte a buttà a fiume!... (Via.)

Mignonnette (esce dalla sua stanza; avvicinandosi al pianoforte, lo apre).

Maestro (uscendo dalla stanza della D'Orient, ossequioso): Oh, si­gnorina, avrei una splendida cosuccia per lei: «La Danza della Lu­maca», un fox-trott di grande successo.

Mignonnette (contrariata di non poter rimanere mai sola nel salotto): Portatemi a far sentire musica... Se a me piacere, io fare. (Chiude il pianoforte, rientra.)

D'Orient (con una lettera in mano, rivolgendosi a Mignonnette): Sempre fra i piedi, questa stupida!... Dunque, Maestro, mi ha or­chestrato la «Congolese»?

Maestro: È pronta. Domani ve la porto. Ma... ci manca qualche cosa.

D'Orient: Hocapito quello che ci manca. Eccole le cinquanta lire delle due orchestrazioni. (Gli consegna il denaro.)

Maestro (con grande disinvoltura mette rapidamente il denaro in tasca): Ma non c'era bisogno, non era per questo... Voi farete un successone con quella canzone; non perché è mia, ma a voi sta molto bene. E una cosa molto carina...

D'Orient: Sì, Maestro; lei fa delle cose molto carine... Senta, Maestro: lei che è tanto bravo, che fa tante belle cose, mi porti questa lettera al suo indirizzo. (Leggendo:) «Otto Meyer, Consolato Danimarca.» Poi le farò fare un'altra orchestrazione.

Maestro: Il console di Danimarca! E un grandissimo onore per me. Io mi consolo quando posso fare una cosa di questo genere. Vado, vado subito! (Avviandosi comicamente verso la comune.) Vado dal console... Che consolazione!...

D'Orient (ridendo): Ma che bravo musicista!

Mignonnette (come se avesse presa una risoluzione, torna decisa al pianoforte e accenna il solito motivo della canzone Gastone).

Viola (alla D'Orient): Mi dispiace dirtelo, figlia mia, ma con quel Maestro perdi tempo e denaro.

D'Orient: Ma che cosa volete saper voi! Bisogna che io studi: debbo debuttare all'Apollo e non ho nulla di nuovo in repertorio.

Viola: Bene, deciditi a debuttare; perché la vita costa.

D'Orient (sgarbatamente a Mignonnette): Ma finiscila, stupida, im­becille! Va a pulirti le mani, invece di stare lì a seccare la gente e a rovinare il piano.

Viola (c.s. rincarando la dose): Ha ragione! L'ho fatto accordare ieri ed è già tutto scordato. Ma sei proprio un'idiota! (Via dalla co­mune.)

Mignonnette (seguita a pestare il pianoforte con il ditino).

D'Orient (esasperata dalla calma di Mignonnette): Ma la vuoi far finita? Cretina, cretina, cretina!...

Mignonnette (apparentemente sempre calma si alza): Cosa credi, es­sere solo tu cretina al mondo? Sono anche io. Va bene? (Scatta e lancia delle invettive in lingua tedesca:) Ich mache was mir gefällt!

D'Orient: Ma parla italiano! Chi ti capisce?

Mignonnette: Ionon parlo italiano, ma dico tedesco, quello che tu dici a me italiano! (Avviandosi verso la sua stanza, prosegue nelle invettive in tedesco.)

D'Orient: Va sulla forca! (Mignonnette via.)

Duval (che ha inteso il battibecco, entrando): Una volta tanto, la cretina ti ha risposto come ti meriti! Che si dovrebbe dire di te, quando rompi le scatole per delle ore intere con quelle lamentele?

D'Orient: Ignorante! Io ho studiato il canto a Santa Cecilia.

Duval: Ed io a Santa Barbara. Chissà che credi di essere diventata, perché vai a fare il numero di centro all'Apollo. Per quello che ti dànno! T'hanno scritto il nome in grande sul manifesto, perché sei l'amante del direttore!

D'Orient: E tu hai rabbia!

Duval: Chi? Io? Non te l'invidio il tuo amico, sta sicura! Avessi vo­luto... Mi ha fatto tanto la corte!

D'Orient (provocandola): Sì?! Ti ha fatto la corte? La sai lunga tu! Hai fatto tutto il possibile per pigliarmelo, ma non ci sei riuscita.

Duval: Io? Tuvaneggi, cara mia.

D'Orient (sfidandola, quasi prossima a venire alle mani): No, sai! Gli sei andata a dire che io prendo la cocaina, che ho trentaquattro anni, che non è vero che sono di Roma e che sono nata a Viterbo... Chi poteva saperle queste cose? Gli hai detto perfino che io sono stata l'amante di Gastone.

Duval (livida, viperina): Che t'ha piantata!

Gastone (entra flemmatico, mentre si pulisce i denti con lo spazzolino e perché l'effetto sia più comico pronuncia le prime battute con lo spazzolino in bocca): Che c'è da ridire sulla mia persona? (Si toglie lo spazzolino dalla bocca, e lo mette sul pianoforte; guarda la D'Orient con noncuranza.)

D'Orient (a Gastone): Tu poi, me la pagherai!

Gastone: Sì, stai fresca se aspetti che te la paghi io!...

D'Orient: Vedrai se non me la paghi! Con quel bell'affare che m'hai fatto concludere con la sarta... un fagotto di stracci, duemila lire! Quanto t'ha dato? (Alla Duval:) E te poi! Te lo lascio tutto! (Via sdegnosamente dalla porta comune.)

Commendatore: (esce dalla stanza... sempre più imbambolato): Mia piccola cara, mi pianti in asso lì dentro, tutto solo...

Gastone (buffonescamente): Commendatore, l'hanno lasciato in asso? (Alla Duval:) Perché lo lasci in asso? (Al Commendatore:) Ma cosa gli fa lei alle donne?

Commendatore: Si può sapere che cosa è accaduto? Ha disturbato forse la mia presenza?

Gastone: Ma no, Commendatore! Lei non ha presenza.

Commendatore: Sarebbe a dire?

Gastone: Che lei è un animale domestico: che lei è di casa, lo conside­riamo come un numero di attrazione!

Duval (fa per andare): Perdonatemi, mi ritiro. Ho i nervi che mi uccidono.

Commendatore: Senti, piccola cara, vuoi che ti mandi l'automobile per fare una passeggiata?

Duval: Come siete gentile!

Gastone: Sempre cavaliere, il nostro Commendatore! «Pardon»! Sempre Commendatore, il nostro cavaliere!...

Duval: È inutile. La lite con quell'idiota della D'Orient mi ha smon­tata. (Entra nella sua stanza.)

Gastone: Bisogna rimontarla, caro Commendatore. È una cara crea­tura. Peccato che sia un po' nervosina!

Commendatore: Ah, ma è interessantissima.

Gastone: Che bel numero sarebbe, unita con me! E che «tournée» all'estero! Canto, danza, «melange act»... Perché non viene anche lei?

Commendatore: Ma che cosa dice?

Gastone: Ma sì... venga con noi, mi piovono offerte da tutte le parti... Ma la Duval non si vuol muovere da Roma, perché ha preso la cotta per lei... ma cosa gli fa lei alle donne?... Venga con noi, Commendatore, si fa radere quei quattro peli che ha sulla zucca, fa una bella palla da biliardo e dato che lei ha una faccia tipica, potrebbe fare le parti da stupido. Il resto lo faccio io, non abbia paura. Perché io so far tutto... Mi sono costruito una base granitica nell'arte varia. Riesco in tutto, sempre primo, sempre centro. Lei si stupisce, Commendatore: eppure io faccio sempre centro; io sono molto intelligente. Se glielo dico io, mica posso sbagliare... L'intelli­genza me la collaudo tutte le mattine...

Commendatore: Ma dove?

Gastone: A Villa Borghese.

Commendatore: Ma come?

Gastone: Senta: ieri al lago di Villa Borghese, ho gettato un sasso nell'acqua per misurarmi l'intelligenza; ebbene ho fatto centro!... Poi ne ho gettato un altro con gli occhi bendati: centro, sempre centro!... Se tutti si misurassero l'intelligenza così, quanta felicità per tutti. D'altra parte ognuno prova le sue soddisfazioni, io fo sempre centro, lei è fortunato con le donne... Ma cosa gli fa alle donne? (Rientra nella sua stanza.)

Commendatore  (strabiliato):  Ultra inverosimile,  superfantastico!  Io non riesco a capire dove gli è andato a finire il cervello !

Duval (d.d. disperata): Ma sarebbe terribile, mostruoso! È una cosa impossibile! (Uscendo.) Non mi riesce di ritrovare il braccialetto di brillanti, che sono sicura di aver posato sopra la «toilette». (Al Commendatore:) L'avete visto voi? Dio, il mio braccialetto di bril­lanti! Eppure sono certissima. Ieri lo avevo.

Commendatore: Infatti, ieri sera l'ho visto anch'io. (Entra nella ca­mera della Duval e ne riesce subito. )

Duval (disperata): Signora, signora marchesa, Natalina... Gastone!

(Gastone, Viola e Natalina accorrono contemporaneamente al Parrucchiere, che viene dalla camera della Mignonnette. Natalina entra nella stanza della Duval.)

Duval: Mi hanno rubato il braccialetto, l'unico oggetto di valore che avevo... Dio! Come faccio? Era tanto bello!

Gastone (buffoneggiando): Ma in questa pensione non si sta più tran­quilli!... Sarò costretto a fare le valigie!

Duval: Come sono disgraziata! Come sono sfortunata! (Si abbandona piangendo sulla poltrona.)

Viola: Non ti disperare, figlia mia.

Commendatore: Calma, calma! Si troverà!

Cameriera (entrando): In camera non c'è.

Gastone (avvicinandosi alla Duval): Calma, calma! Raccogliti, non ti disperare! Rientra in te stessa: ti sei raccolta? Oh! aspetta... Cerchiamo di ricostruire il fatto. Dunque, ieri sera avevi il braccialetto, mi ricordo benissimo, perché io l'ho visto, tu l'hai visto... chi l'ha visto l'ha visto e chi non l'ha visto non lo vede più. Ricordati bene! Chi è entrato nella tua camera da ieri sera ad ora?

Duval: Aspetta... Fammi pensare... Dunque, ieri sera siamo rientrati insieme... Questa mattina sono entrati Natalina, il parrucchiere, la stiratrice, e il commendatore!

Gastone (squadra il Commendatore come per dire: «che sia stato lui»?).

Commendatore (si accorge della manovra, si alza di scatto e fulmina Gastone con uno sguardo).

Gastone (come per scusarsi, lo guarda umilmente): Io non ho detto nulla!... Certo lei ha l'aggravante di essere Commendatore!

Viola: Per il parrucchiere garantisco io: sono tanti anni che frequenta questa casa.

Parrucchiere: Grazie, signora.

Gastone: Per Natalina, garantisco io! Entra spesso nella mia stanza, ma... lascia le cose come le trova!...

Cameriera: Grazie.

Duval: Per il commendatore garantisco io.

Gastone: Lei è garantito...

Commendatore: Grazie... Ma allora chi rimane?

Gastone: Uno da garantire...

Viola: La stiratrice!

tutti: La stiratrice!

Duval: Certamente l'ha preso lei.

Gastone (indicando la cesta sul tavolo, cinicamente): È palpabile!...

Viola: A me, non è mai piaciuta quella ragazza.

Cameriera: Non ha detto che sarebbe tornata?

Duval: Sì, ma ora non tornerà più!

Gastone: Non credo. Darebbe una prova troppo evidente della colpe­volezza. Tornerà certamente. Tutti i delinquenti sentono il fascino di ritornare sul luogo del delitto. Ma è necessario agire abilmente.

Parrucchiere (a Gastone): Che talento, che acume!

Commendatore: Scusate, non sarebbe più opportuno telefonare in questura ed avvertire il commissario di servizio?

Gastone: Macché questura, che commissario di servizio! Se viene il commissario di servizio, fa un servizio da commissario. Io ho tutt'altra tattica. State tranquilli: se torna la stiratrice e c'è qualche cosa da scoprire... glie la scopro io. Quante cose ho scoperto dentro questa pensione! E vero, signora marchesa? Lasciate fare a me. Ma bisogna agire con cautela. Quella lì è del popolo, la sa lunga... è difficile farla cadere in un tranello, prepariamo un piano. Tu, Nata-lina, non appena verrà la stiratrice, bada di non far trapelar nulla. Ognuno al suo posto. (A Viola:) Lei, marchesa, sia pronta ad un mio cenno. (Al Parrucchiere:) Lei mi faccia la gentilezza di non fiatare.

Viola: E un lampo di genio quest'uomo. La saluto, Commendatore.

(Si avviano verso la comune accompagnati da Gastone, che ge­sticola, dando delle istruzioni a soggetto. Rimangono in scena il Commendatore e la Duval.)

Commendatore: Senti, cara, io non vedo chiaro in questa faccenda. Ora esco, telefono subito in questura e racconto il fatto. Non di­sperarti, tesoro mio, non far capire nulla. (La bacia.)

Gastone (riappare dalla vetrata, vede, ride sfacciatamente): Ma cosa gli fa lei alle donne? (Il Commendatore rimane impacciatissimo.)

Duval (a Gastone): Cosa dici? si ritroverà il mio braccialetto?

Gastone: Ma certamente, tutto si ritrova, niente va perduto. E la materia che si trasforma!

Commendatore: Stai pur tranquilla: in tutti i casi penserò io a rimpiaz­zarlo.

Gastone: Lo vedi? L'hai già ritrovato. Te l'avevo detto?!

Commendatore: Non è perfettamente la stessa cosa.

Gastone: Ma come? non le compra un braccialetto?

Commendatore (irritatissimo): Già...

Gastone: Allora è perfettamente la stessa cosa.

Commendatore: Basta, io ti lascio, rimettiti di buon umore. Vedrai che il braccialetto si trova... tutto si ritrova. (Cerca i suoi guanti, sul tavolino, sotto la cesta, guarda in terra.)

Gastone (sornione, fra sé, alludendo ai guanti): Tutto si ritrova, ma quelli, no!... Arrivederci, Commendatore.

Commendatore (non curandosi di Gastone, bacia ancora una volta la mano della Duval): Addio, cara, a questa sera! (Via.)

Duval (con rimpianto): Era bello il mio braccialetto! E poi era il ricordo di una persona generosa. E di persone generose ce ne sono così poche!

Gastone: Ma non hai sentito, che il Commendatore te ne regala un altro?

Duval (amaramente): No, non mi regala nulla. Le persone che ven­gono qui, anche se regalano, non regalano nulla.

Gastone: Tu filosofeggi troppo. Quel Commendatore è un ottimo amico.

Duval: Sì, lo so: ma non mi piace. Non credere: lo sopporto.

Gastone: Tu fai del romanticismo da medio evo, guarda me che sono la filosofia del secolo presente. Fai male a trascurare quel Commendatore. Si può ottenere anche di più. Ma già: sarà sempre sfortu­nato con le donne, perché le donne sono troppo fortunate con lui.

Duval: Tu invece sei fortunato con le donne, perché le donne sono sfortunate con te. Però... con la debuttante, con Luciette D'Antibes, non hai avuto un successo molto lusinghiero. Mi sembra che ti tenga alla larga.

Gastone (sfacciatamente): Ma fammi il piacere! Se pochi momenti fa, mi ha fatto una dichiarazione! Voleva scappare con me! Lo sapevo che mi avresti parlato di lei. Anche tu mi credi innamorato. Spero che non vorrai fare un torto al mio buon gusto. In questa pensione, c'è solo una donna possibile... Sei tu. (Guardandola intensamente, la circuisce di carezze, dopo una pausa:) E adesso, dirai ancora che sono innamorato?

Duval: No: dirò che sei un uomo adorabile! (Lo abbraccia appassio­natamente. )

Gastone (come un sultano annoiato): Cara Duval, tu mi conosci poco. La Luciette non è il mio tipo; è troppo familiare, troppo stupida... Per me ci vuole la donna vissuta; la mia vita è troppo piena di avventure; io ho bisogno delle grandi, delle forti passioni. Ho bisogno della donna che mi dica: «Dio, come sei vigliacco»! La mia vita è tutta un romanzo. Avevo appena sedici anni, quando fui sedotto la prima volta da una donna che abusò della mia ine­sperienza, mi corruppe e mi fece suo, mi rese padre e poi m'abban­donò!!! Eh! cara Duval, tu vuoi ch'io... rinnovelli disperato dolor che il cor mi preme?

Duval: A me preme il braccialetto.

Gastone: Mi hai guastato lo squarcio lirico.

Cameriera (dal fondo, sottovoce): C'è la stiratrice! (Via.)

Gastone (baciandola, sorridente, affettuoso): Rientra nella tua stanza, amore! Sarà bene che io la interroghi per primo. Lascia fare a me...! Vai...

Duval: Grazie, tesoro. (Rientra nella sua stanza.)

Stiratrice (entrando): Ecco l'asciugamani co' le cifre.

Gastone: Trovato, eh? Fate vedere. È di battista?

Stiratrice (non capisce): No, è de la signorina... Quanno avemo visto che c'era er «B.D.» avemo detto: Questo è de la signorina.

Gastone (guarda il monogramma, restituisce l'asciugamani): E' vero: Bice Duval. Benissimo! (Fissa insistentemente la stiratrice:) E del braccialetto non sai nulla?

Stiratrice: Che dichi? Braccialetto? Io nun capisco.

Gastone: Ah, non capisci? Ottima simulatrice.

Stiratrice: Stiratrice a lucido. Ottima poi, nun so. Spieghete mejo, perché io nun te capisco.

Gastone: Ah! non capisci; ma capisco io... volgare!... (Frettolosamente entra nella sua stanza.)

Stiratrice: Ma vergognete!... (Davanti alla stanza della Duval:) Si­gnorina, s'è ritrovato l'asciugamani.

Duval (entrando): Va bene. Ora bisogna ritrovare il braccialetto.

Stiratrice: Ma ched'è 'sto braccialetto? (Indicando la stanza di Gastone.) Puro quello là dentro, m'ha detto der braccialetto.

Gastone (entrando): Ma che quello!... Gastone Durville, «maitre de danse»... ho un'accademia di ballo, sono un accademico! (Alla Duval) Ho parlato del braccialetto, dice che non capisce!...

Duval (gridando alla Stiratrice): Ti farò capire io. Natalina, signora marchesa! (Viola, Natalina e il Parrucchiere accorrono.) E' tornata la stiratrice. Ha avuto la sfacciataggine di ritornare e dice che non sa nulla... Ma voi siete testimoni che io il braccialetto ieri sera l'avevo, e in camera mia, all'infuori di persone insospettabili, non è entrata che lei! È dunque chiaro...

Stiratrice: È chiaro n'accidente che te pija!

Gastone (scandalizzato): Che linguaggio da trivio!

Viola: Ah, ma è una bella audacia!

Gastone: «Audaces fortuna juvat». (Scappa nella sua stanza.)

Viola: Ma quante storie! Confessa che l'hai preso tu. Non ti denunzieremo.

Stiratrice: Che dichi?

Duval: Ma su, finiscila! Non fare la commedia. Restituiscimi il brac­cialetto, altrimenti sarà peggio per te. Chiamo le guardie ed allora vai dentro come ladra!

Stiratrice (urlando disperatamente): Ladra io? Ladra io?

(Teresa,Lucia e Mignonnette entrano.)

Madonna mia, io impazzisco... Ladra? Ma ladra de che?!... Che ho rubbato?... Chi me pò dì 'na cosa simile...

Viola: Qui tutti sospettano di te. Siamo tutti del medesimo parere. È vero?

Teresa (interviene risoluta): Ah io no, cara signora.

Lucia: E nemmeno io.

Gastone (entrando, esageratamente complimentoso): Oh! qual voce! Scusate, signora Teresa: non vi ho salutata subito, qui c'è tale una confusione! (Le va incontro per darle la mano; Teresa lo fulmina con uno sguardo, Gastone intimorito, va a nascondersi dietro il pianoforte. )

Teresa: Avemo sentito tutto da dentro. Nun ve vergognate d'accusà 'sta povera ragazza, senza nessuna prova?

Viola: Ma chi è, l'avvocatessa?

Teresa: Sì, l'avvocatessa. Voi nun je state a fà el processo? L'avete vista? Lo potete assicurà che sia stata lei?

Gastone: E voi potete garantire che non sia stata lei?

Stiratrice (con uno scatto, fa per avventarsi contro Gastone, che Im­paurito, torna vicino al pianoforte, prende lo spazzolino e buffone­scamente si pulisce i denti, tutto rapidamente): Brutto vijacco, fara­butto, schifoso!

Teresa: Sì, lo garantisco che nun è stata lei. Ce metterebbe la testa, ch'è innocente. Lo garantisco perché se vede, perché me lo dice el core! Così avessi sentito che quel signore... (indicando Gastone) ...sarebbe stata la causa de tutte le disgrazzie nostre.

Lucia (ironica): È pe' merito suo, che io sò cascata qua dentro!

Gastone: Questo è il compenso, dopo averla lanciata nell'arte varia e purtroppo senza mediazione!

Viola: Voi parlate della mia pensione, come se fosse una galera.

Lucia: È peggio de la galera.

Teresa: Dà retta a me, Lucì: annamose a pijà 'na boccata d'aria, che qui se respira male! Annamo a godesse un po' de sole, che qui dentro el sole nun ce viè; se ne vergogna!

(Le due sorelle escono.)

Stiratrice  (tentando di slanciarsi su Gastone,  che cerca qualche ostacolo per ripararsi): Je vojo caccià l'occhi a 'sto vijacco!

(Tutti la trattengono.)

Viola: Basta, ma dove siamo!?

Duval (piagnucolosa): Intanto a me, hanno rubato il braccialetto!

Parrucchiere (agitatissimo): Accidenti a quando ci son venuto!

Gastone: Vi approfittate tutti perché sono un uomo solo! (A Mignonnette:) Se mi vuoi bene mi segui, io non ci sto più in questa pensione... ci rimetto di decoro, adesso basta!

(Tutti ripetono con­temporaneamente la loro ultima battuta, così da creare una con­fusione generale. Lungo suono di campanello. Natalina va ad aprire. Entra il Commissario, seguito da un agente. Gastone che stava per uscire, torna indietro e si va a mettere a sinistra del proscenio.)

Viola (sorpresa e cerimoniosa): Buona sera, signor cavaliere.

Commissario (il perfetto funzionario, grave e solenne. Bruscamente): Niente cavaliere: Commissario. E... fermi tutti! (A Gastone che vor­rebbe sgattaiolare:) Dove va lei? Ho detto: fermi tutti!

Gastone (si ferma ad un tratto confuso. Fa un cenno come per dire: «più in là della ribalta non posso andare»).

Commissario (a Viola): Datemi il registro.

Viola (premurosa): Natalina, prendi subito il registro. (Cameriera via.)

Commissario: A chi è stato rubato questo braccialetto?

Gastone (fra sé): E chi glielo ha detto? Come lo sa? (Attraversa la scena, si avvicina a Mignonnette.)

Duval: A me... Era splendido, sa... Quattro brillanti chiarissimi, mon­tati a giorno.

Commissario: Avete dei sospetti?

Duval: Ma...

Commissario: «Ma» non è una risposta.

Duval: Ma... hanno detto la stiratrice!

Commissario (scandendo le parole): La... sti...

Gastone (buffoneggiando): Spumante!!!...

Commissario (fulminandolo con lo sguardo): ...ra... trice...

Stiratrice (piangendo disperatamente): Giuro sull'anima de povero papà mio, che io nun so gnente... E un'infamia accusamme...

Commissario (interrompendola): Calma, calma. Se siete innocente, tanto meglio. Ora vedremo... Dunque, hanno accusato la stiratrice. E chi ha avuto per il primo questo sospetto?

(Rientra la Cameriera e gli consegna il registro.)

Duval: Lui, Gastone Durville.

Gastone (allarmato): Io non ho detto nulla di positivo.

Stiratrice (con uno scatto improvviso, minacciandolo): Ammàzzete, che faccia da impunito!

Duval (a Gastone): Ma sì, l'hai detto tu.

Gastone (con collera repressa): È stata una semplice supposizione...

Viola (indecisa): Ma, veramente...

Parrucchiere (spaventato): Io non so niente.

Commissario (al parrucchiere): Lei stia zitto, non l'ho interrogato... (Non curante, apre il registro e legge:) «Lucia Sabbatini del fu Augusto, nata a Roma, di anni ventitré; in arte Luciette D'Antibes». Chi è?

Viola (prontamente): Non c'è; è uscita.

Commissario: «Beatrice Donati, del fu Antonio, nata a Milano di anni ventiquattro; in arte Bice Duval».

Duval: Sono io.

Commissario: «Elettra Malgradi, di Luigi, nata a Viterbo, provincia di Roma, di anni 21; in arte Gemma D'Orient.» Chi è?

Duval (ridendo): E diceva che era romana!

Viola: E uscita.

Duval (al Commissario): Sì, ma non ha mica ventun anni, ne avrà per lo  meno ventisette.

Commissario: Sta bene: è quello che vedremo. (Leggendo sempre:) «Elsa Schmidt, di Francoforte, di anni venticinque.» Chi è?

Gastone (rapidamente a Mignonnette, sottovoce): Avanti, tocca a te... Sii franca e forte!

Mignonnette (timidamente): Sono io.

Commissario (a Viola): Avete il permesso di soggiorno per gli stra­nieri?

Viola (imbarazzatissima): Volevo venire appunto oggi.

Gastone (beffardo): Volevo!... Bisognava andare precipitosamente. La legge è legge!...

Commissario (a Viola, energico): Va bene. Intanto voi siete in contrav­venzione per la mancata denuncia. (A Mignonnette:) A voi, faremo il foglio di via per il rimpatrio.

Gastone: Bene, bene: breve, succinto e compendioso. Dovrebbero es­sere tutti così i funzionari.

Commissario (volgendosi a Gastone, di cui evidentemente non tiene in nessun calcolo gli apprezzamenti): Voi, signor Duville..,

Gastone: Pardon, Durville! Non posso sopportare lo «stroppiamento» del mio nome d'arte!

Commissario: Mi dispiace molto per l'arte! E smettetela con questi sarcasmi imbecilli. Non fa bisogno che mi diate le vostre generalità, perché le conosco bene: vi chiamate Bastiano degli Espositi, figlio di ignoti, nato ad Orte; il resto lo vedremo nel casellario della questura, con la vostra fotografia e le vostre impronte digitali.

Gastone (volutamente stupito, poi come sovvenendoli): Ah! Già... in­fatti una volta mi fotografarono. Ho posato sempre... anche in questura! Mi fecero delle copie, per inviarle ai miei ammiratori...

Commissario (tagliando corto, alla Guardia): Perquisitelo.

Gastone (cerca di schermirsi dalla Guardia, che comincia a perqui­sirlo): Soffro terribilmente il solletico... (Ride nervosamente.) Ma­gari mi perquisisco da me.

La Guardia (duramente): Non faccia il buffone. (Man mano che estrae gli oggetti dal «pijama» di Gastone li consegna al Commissario. Estrae da una tasca un elegantissimo fazzoletto.)

Gastone   (compiacendosi,  felicissimo   di poter  dire   tre parole  di francese): Mouchoir... très fin.

La Guardia (da un'altra tasca estrae una bustina di fiammiferi).

Gastone (c.s.): Des allumettes.

La Guardia (dalla stessa tasca estrae lo scatolina della cocaina...).

Gastone (con rimpianto): La mia reliquia!

La Guardia (sempre dalla stessa tasca estrae un pulisci-unghie).

Gastone (vanesio): Le polissoir! Il pu-li-sci-to-re...

La Guardla (infine dal taschino estrae il braccialetto, lo consegna al Commissario).

Commissario (mostrandolo): È questo?

Duval (esterefatta): Il mio braccialetto?! L'avevi tu? Infatti è quello il «pijama» che avevi ieri sera... Ma... non l'avrei mai supposto!

Stiratrice (trionfante): Io sì però!

Gastone (si morde le labbra e mormora tra sé): Maledetto quando ho cambiato il «pijama»!

Mignonnette (lo guarda trasognata, avvilita, gli si avvicina, con un fil di voce): Perché non l'hai passato a me?

Tutti (guardano Gastone con gli occhi sbarrati. Paura, silenzio im­barazzante) .

Gastone (dopo una lunga perplessità, rivolgendosi al Commissario che gli mette sotto gli occhi il braccialetto come per dirgli: «Nega, se puoi», guardando il Commissario e il braccialetto, con cinico stupore, risoluto come se facesse lui l'indagine): E ora? Come la mettiamo?

Commissario (ironico): Incerti del mestiere.

Gastone (prontamente): O mestiere degli incerti.

Commissario: Che razza di delinquente!

Gastone: Badi bene come parla! Che cosa sono queste diffamazioni? Delinquente, perché mi avete trovato in tasca un braccialetto? E se me ne trovavate due? Ora non vi resta che darmi del ladro. Non riesco a capire. Lo sapevate tutti fuorché io! Mi trovo possessore di quel braccialetto senza saperlo.

Stiratrice: Che faccia tosta!

Gastone: Non nego che potrei anche averlo preso, così senza volerlo. È una malattia come un'altra. A che giova più negarlo?... (piagnu­coloso) ...sono un povero malato, sono cleptomane, con l'atte­nuante del cocainomane... Ci sarà una perizia medica, sono inno­cente! La cleptomania è una cosa ben diversa dalla ladroneria.

Commissario (che è al massimo della sopportazione): Che cinismo ributtante! (Alla guardia:) Portatelo via!

Gastone (dibattendosi debolmente, tentando di impietosire): Pianino, prego. Rispetto ai cleptomani, ai cocainomani. (Alla guardia:) Pia­nino. Altrimenti di questo passo non so dove vado a finire.

Stiratrice: In galera!

Mignonnette (con infinita tristezza): Addio, Gastone...

Gastone: Niente addio, arrivederci! Ti prego di inviarmi il pranzo e un po' di biancheria. Non appena sarò libero, mettiamo su un bel numero di danze supermoderne!

La Guardia (prendendolo bruscamente per un braccio): Cammina, ma­scalzone...

Mignonnette (avvilita, mortificata, si fa da una parte e silenziosa­mente piange).

Gastone (avviandosi accompagnato dalLa Guardia verso la comune): Non mi tocchi, sono un povero cleptomane, ci sarà una perizia. A me mi ha rovinato la guerra... Mio zio era prefetto. (Queste ultime due battute vanno dette sul limitare della comune, mentre sparisce trascinato dalLa Guardia.)

Commissario (a Viola): È necessario che voi veniate immediatamente in questura. (Alla Duval) E anche voi, per la denunzia. Mi racco­mando, presto, siamo intesi!

(La marchesa Viola esce dal fondo. La Duval e Mignonnette rien­trano nelle loro stanze.)

Stiratrice: Grazie, signor Commissario. (Riandando col pensiero a Gastone): Brutto ladraccio!

Commissario: Andate, andate pure per i fatti vostri.

(Via tutti dalla comune, meno la cameriera e il parrucchiere.)

Parrucchiere (alla Cameriera): Lo credevo delinquente quel Gastone, ma non fino a questo punto. Ora lo terranno dentro per un pez-zetto.

Cameriera: Non credo; sarà questione di pochi giorni. La trova la maniera di venir fuori! È troppo farabutto per rimanere in galera. Ma ha visto come piangeva la Mignonnette?

Parrucchiere: Eh poverina, la rimpatriano col foglio di via!

Cameriera: Non piangeva mica per quello: piangeva per Gastone, perché ne è innamorata.

Parrucchiere: Ma tu credi che sia una cosa possibile, dopo quello che ha visto?

Cameriera: Possibilissimo.

Parrucchiere: Già, è straniera! Ha capito poco.

Cameriera: No, ha capito tutto e gli vuole bene lo stesso.

Parrucchiere: E come lo spieghi?                                                           

Cameriera: Sono cose che non si spiegano.                                            

Parrucchiere: Basta, ti saluto. Tornerò fra poco per sapere come è finita la cosa. (Via.)

Cameriera: Arrivederci.

Mignonnette (entra asciugandosi le lacrime).

Cameriera (premurosa dolcemente): Signorina... le occorre nulla?

Mignonnette: Grazie.

(La Cameriera esce. Mignonnette va al piano­forte e accenna le prime note del motivo della canzone Gastone ma si interrompe, e piangendo silenziosamente, si abbandona sulla ta­stiera, col volto fra le mani.)

Sipario


1 Mario Bonnard (1889-1965), famoso attore del cinema muto, poi regista.

2 Lyda Borelli (1887-1959), una delle grandi dive del cinema muto. Inventò uno stile inconfondibile di recitazione.

3 Emilio Ghione (1879-1930), attore e regista assai popolare. Creò il fortunatissimo personaggio di Za la Mort.