Gli amanti

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Commedia in tre atti

di Brunello RONDI

da IL DRAMMA n. 373 - Ottobre 1967

LE PERSONE:

VALERIO

GIULIA

KRISELDA, una comparsa,  che non parla

o dice solo poche parole, in un dialetto d'Austria.

La scena si svolge, per tutti e tre gli atti, in un bel­lissimo chalet di alta montagna,

tra le montagne austriache, ai giorni nostri, alla fine dell'inverno.


ATTO PRIMO

~ La scena è sommersa nella semioscurità, si vede il grande, unico interno, d'un « soggiorno - ca­mera da letto - pranzo », d'un bellissimo chalet d'alta montagna, tutto di legno e di favolosi, preziosi, raffinati oggetti d'arredamento, dove niente appare lasciato al caso, o mischiato al gusto  puramente  rustico. Un bellissimo, ampio lucernario, tiene, per qua­si tre quarti, il posto del soffitto e da esso — in modo che siano visibili anche dal letto — si scorgono dei maestosi pini, e, incombenti e vertiginosi — in modo anche astratto — sulla scena nella sua interezza, si vedono i profili su­blimi di alti monti, più vicini alla rudezza e alla potenza della geologia in Austria che alla civetteria frivola delle cime dolomitiche. Dal lucernario piove un chiarore lunare, e si diffonde come un lume irreale sulla scena, senza rivelarne i contorni, senza accentuare il pro­filo degli oggetti. Pare che, dal lucernario, la luce scenda solo quel tanto che dipani un vero incanto al grande salone.

All'aprirsi del sipario, la scena è vuota ed immobile per quasi venti secondi, colma di rifrazioni allucinanti, piena come di attesa. Poi, quasi a sorpresa, si ode da fuori il rumore d'una automobile che arriva, il colpo di uno sportello, dei passi forti, marcati. La porta a destra della scena — mascherata tra tende di velluto grigio e oro — si apre ed entra un uomo che porta, senza sforzo, due valigie. E' bello, elegante, e posa subito a terra le valigie, come non vi attribuisse alcuna importanza. Cerca sulla parete, ai posti più prevedibili, l'in­terruttore della luce elettrica, ma non lo trova. Annaspa, un poco, al buio, poi accende il « lighter » e, metodicamente, esplora la parete. La fiammella che vaga rivela altri favolosi aspetti dell'arredamento, poi — di colpo — una lanter­na settecentesca di carrozza. Là dentro, per una decorativa bizzarria, sta chiuso l'interruttore: faticosamente, l'uomo introduce la mano e, a sorpresa, fa luce in tutto l'ambiente. La luce, però, è distribuita, nello chalet, da sorgenti fan­tasiose, piene di estro, e crea un ambiente cal­do, quasi magico di gusto un po' decadente ma, indubbiamente, suggestivo. L'uomo si guarda in­torno, con curiosità, con incerta approvazione, e sale anche su un grande soppalco, chiuso da una tenda rosa, tipico dello studio di un artista, che si sporge in alto, collegato da una lunga scala di legno alla parte inferiore dell'ambiente. Arrivato lassù, l'uomo tira di colpo la tenda: un enorme quadro astratto, folle e brutale di colori e di linee, simile ad una grande esplosione, si scopre improvvisamente e prende, in sé, tutta la luce. L'uomo lo guarda, un attimo, ne ha gli occhi feriti e richiude, con uno strat­tone, la tenda.

C'è un'altra tenda, più a destra. Convinto di trovarvi un altro quadro, l'uomo apre anche questa tenda, ma, nel colpo di luce che si ripro­duce, compare, altissima, quasi allucinante nelle sue fattezze di pura sessualità, una gigantogra­fia di Brigitte Bardot stesa, in bikini, sulla sab­bia di un'isola vicina a Papeete. L'esame, stavolta, è più accurato, poi l'uomo scuote la testa e, più cortesemente, con gesto calmo, chiude anche questa tenda. Scende di nuovo la scala, prende una valigia, l'apre, di spalle al pubblico. Invece di vestiti tira fuori una bottiglia, poi un'altra; la valigia è piena di bottiglie di liquori di gran marca. L'uomo le dispone, in ordine, sul pavimento, ne apre una e, con calma, si prepara a bere. Ma, mentre lo fa, il rumore d'una seconda automobile si ode da fuori, un clacson d'avvertimento, suonato due volte; la musica alta di una radio di bordo, subito spenta, il colpo secco d'uno sportello. L'uomo, qui, posa il bicchiere, si alza in piedi. Non si ode alcun passo, ma, subito come d'in­canto la porta si apre e, bellissima in visone, pantaloni, guanti lunghi da guida e occhiali neri, compare Giulia: una sottile, elegante signora, dai lucenti capelli che si gonfiano oltre il foulard. Sta ferma un attimo, sorridendo, come un'apparizione, poi si toglie gli occhiali neri e dice

Giulia       (sulla porta)   Non mi prendi in braccio? Se passo la porta da sola, avrò meno fortuna.

Valerio   Volentieri. Ti avverto, però, che l'ho fatto anche con mia moglie, la prima volta.

~ Le si avvicina.

Giulia       (scherzosa, lo spinge indietro)   Allora, sta' fermo. Non è stata molto fortunata, tua moglie.

Valerio   È vero, purtroppo. Mi sono sempre do­mandato quanta gente ho fatto soffrire, senza nep­pure rendermene conto, per il solo fatto di essere quello che sono. (Una pausa)  Va bene: allora, vieni avanti da sola.

Giulia       (entra, fa solo tre passi)   Ecco fatto.

Valerio    (dolcemente)   Sei in trappola.

Giulia       (molto dolcemente)   Sono in trappola. Ma perché ho deciso di esserci.

Valerio   Non ti lascerei tornare più indietro.

Giulia      E non ho voglia, di tornarci.

Valerio   Mi hai promesso quindici giorni di quie­te, ricordatelo. Allora, non ti levi la pelliccia?

Giulia      Levamela tu. Ecco, mi metto in posa.

~ Gli porge le braccia, se la fa sfilare.

Giulia       (prosegue)   I guanti, ora. Prima questo, poi quello.

~ Valerio esegue.

Giulia       (prosegue)   ...E il foulard, non mi levi an­che il foulard?

Valerio     Anche il foulard, certo.

~ Le  apre il  primo bottone del vestito, sulla schiena.

Valerio   Posso continuare?

Giulia      Gli occhiali, la sciarpa. Al resto, pense­remo dopo.

Valerio    (dopo una pausa)   Hai fatto tutto un viaggio? Neanche una tappa, da Firenze a qui?

Giulia      Una tappa? Sei matto? Io non faccio mai tappe. Ho viaggiato tutto in una tirata: a centoventi di media.

Valerio   Sono un uomo molto desiderato, in­somma.

Giulia      Perciò ti sarà più facile deludermi.

(Valerio prende un bicchiere)  

Le cose molto desiderate deludono sempre. Lo sai.

~ Giulia guarda il bicchiere, senza prenderlo.

Giulia      Cosa mi offri?

Valerio   Quello che ho trovato qui. Assaggia.

~ Giulia assaggia, poi gli ridà il bicchiere.

Giulia      È pessimo. Sembra il liquore dei frati. Non mi piace. Bevilo tu.

Valerio    (indicando le bottiglie che ha portato)  Aspetta. Corro.ai ripari. Ho portato qui tutto quel­lo che beve la malavita.

Giulia      Vedremo, vedremo.

~ Giulia guarda bene, per la prima volta, la casa intorno.

Giulia      È questa, dunque, la tua grande trovata? Fammi un po' vedere... Chi abita qui, un marziano? Guarda,  guarda...   No,  sembra  l'appartamento di una « cocotte ». Che arredamento pazzesco, quanti fronzoli! Ma chi l'ha messa su? Una puttana?

Valerio    (calmo)   No, un pittore, mio amico.

Giulia      Fa lo stesso, qualche volta. Senti, but­tiamo giù tutto? Facciamo pulizia?

Valerio   Stanotte, no. Domani, se è il caso... Ma gli ho giurato di non toccare niente, di non smuo­vere nemmeno un libro. Se, però, poi rimettiamo tutto a posto, fa' pure.

Giulia      Quasi quasi torno indietro... Che ne di­resti di un bell'albergo semipopolare, un letto con lenzuola ruvide, il corridoio pieno di scarpe infan­gate, la cameriera che, se si suona, non viene?

Valerio   L'anno prossimo, ci andremo. Adesso non mi muovo. La strada è piena di curve. Io non ci ripasso davvero, per ora. Prima, voglio riposare.

Giulia      Sì, ho visto. E' una bruttissima strada. A certe curve sono arrivata quasi fino al ciglio. La carreggiata è molto rotta. Benissimo, però: vuol dire che ci passano poche macchine.

Valerio   Puoi dire nessuna. Su, sediamoci. Vo­glio baciarti.

Giulia      Anch'io. Basta, però, che, appena inco­minciamo, non ci si debba fermare più.

Valerio   Lo so, lo hai detto prima, che a te piace fare i viaggi tutti in una volta.

Giulia      Fin da quando ero ragazzina.

Valerio   Alla media di centoventi.

~ Si baciano, a lungo. Poi, per la prima volta, Giulia si stacca da lui. Si accende una sigaretta e dice

Giulia       (quasi dura)   Spero che non arriverà mai.

Valerio    (stupito)   Chi?

Giulia      Il tuo amico... pittore.

Valerio   Ci mancherebbe altro.

Giulia      Fanno tali scherzi, gli artisti... E nessun altro sa che siamo qui? Tua moglie, dove crede che tu sia? Hai lasciato l'indirizzo al giornale? Ti farai mandare qui le notizie? Davvero, spero di no.

Valerio    (con fastidio)   Che t'importa di questo? Ho sistemato tutto. Pensiamo a noi, ora. Di che ti preoccupi? Ci potrebbe trovare solo la polizia, se fossimo due contrabbandieri.

Giulia      E non lo siamo, forse?

~ Un silenzio.

Valerio   No, non mi sento un contrabbandiere. Faccio quello che voglio, è tutto. Non rubo niente a nessuno.

Giulia      Se non mi darai quello che voglio, rube­rai qualcosa a me.

Valerio   Sono d'accordo. Ma che cosa vorrai, Dio mio.

Giulia       (pausa)   Quindici giorni d'amore, stupen­di. Non uscire mai, non guardare l'ora, fare l'amo­re come non lo abbiamo ancora mai fatto. E' tutto dire.

Valerio   Va bene, sono d'accordo. E ora, dimmi, chi disfa le valigie?

Giulia      Nessuno. Lasciamole così. C'è un tele­fono, qui?

Valerio   È nascosto in quella lanterna. Devi per­donare il mio amico... arredatore. Lui ritiene che un telefono sia un oggetto troppo vile, per tenerlo in vista.

Giulia      Va bene. È ' un pazzo, lo so. A me, però, basta che un telefono ci sia, da qualche parte.         

Valerio   Allora, vuoi chiamare qualcuno? Non sei così indifferente come sembri?

Giulia      Una sola volta, chiamerò, per una ragio­ne stupida. Non te ne occupare... Adesso, di': come mi trovi?

~   Si alza in piedi, si espone ai suoi sguardi, ac­cende la luce forte, gli porge la mano. La mu­sica di scena fa udire alcuni gravi, lenti, brevi accordi. Valerio la guarda dal basso, tenendole la mano, con viso serio, una strana tenerezza. Dopo una pausa, dice, sinceramente.

Valerio   Bene. Meglio di sempre. Non potresti piacermi di più.

Giulia       (sempre tenendogli la mano, gira il suo cor­po, di profilo)   Sono ingrassata, forse?

Valerio   Neanche un po'. Sei più bella dell'ultima volta. O, forse, sono io che ti desidero di più.

Giulia      Ma non sono neppure magra. Eh? Mi trovi dimagrita?

Valerio    (una pausa, la guarda con tenerezza, con affetto)   Stai proprio bene. Che cosa temi? Che, se non stai bene, ti ripudi?! No. Farei troppa fa­tica, a quest'ora, a trovarmi un'altra donna sulla montagna.

Giulia      Perché? Ci devono essere tante belle con­tadine, qui intorno, con le guance rosse, l'odore del fieno addosso, e grasse con tutto quel mangiare burro.

Valerio   Sì, ne ho vista qualcuna, arrivando. Ma avevano il forcone del fieno in mano e non mi sono avvicinato troppo, non mi fidavo.

~ Giulia si volta a guardare il grande letto alle loro spalle.

Giulia      Ma è un monumento; Dio, che presun­zione!  Bisognerà metterci la scala per salirci. E magari, il tuo amico... non ci va con le donne...

Valerio   E con chi, allora? Che cosa insinui? Che sia una miserabile checca?

Giulia      Molti pittori, lo sono. E tu... li frequenti troppo.

Valerio   Frequento anche te, comunque.

Giulia      Forse cerchi un alibi. Vuoi approfittare di me per farti credere quello che non sei.

Valerio    (pausa)   Beh, andiamo a letto. Se non mi giudichi troppo ambizioso...

Giulia      Prima, va' a prendermi le valigie. Ho bisogno d'una camicia da notte. Deve fare freddo, qui, la sera. E tu... non hai ancora acceso il fuoco nel caminetto.

Valerio    (si guarda intorno)   Non c'è legna. Bru­cio l'arredamento, vuoi? E' quello che desideravi, in fondo.

Giulia      No, trovala fuori, la legna. E' sotto la tet­toia... L'ho vista prima, arrivando.

Valerio   Valigie, legna... ritornerò carico come un facchino... Mi romperò la schiena... E' questo, che vuoi?

~ Giulia, divertita, scherzosa, lo spinge all'impiedi, e gli dice, con solennità

Giulia      Sei un uomo forte tu!

~ Valerio si inchina, scherzosamente, ed esce. Giu­lia si guarda rapidamente intorno, cerca dove sia il telefono e va, rapida, al posto che Valerio, prima, le ha indicato.

Fa un numero. Aspetta. I telefoni, in Austria, sono a teleselezione e Giulia ha, immediata­mente il numero che ha richiesto. Parla a voce bassa, affrettatamente.

Giulia      Sei tu, cara? In fretta, sì. Che ti ha det­to, come conclusione? (Attende)  No, non potevo re­stare, lo sai. Non ha voluto, con te? Che bugia!? Eppure, era questo l'accordo. (Attende)  No, non mi muovo, non ritorno. Per quindici giorni... sono... al sicuro, no? Che potrebbe accadere? E' un uomo anche lui, e se ha fretta, digli che vada a quel paese... (Attende)  Dieci? No, cara; saranno quindici giorni. Sono avara, sai; non voglio perdere nep­pure un'ora, di questo periodo. E se non gli va bene, digli che si arrangi. (Attende)  Non voglio tor­nare neppure un secondo prima. Col cavolo! Vie­nimi a prendere, se hai il coraggio. Mi mandi lui? Sono armata, sai! Da qui, si prende d'infilata la strada, fino a fondo valle. (Attende)  No, ti dico di no. Tu sta' dove sei e io rimango dove sono. Tra quindici giorni fate pure di me il vostro bagaglio, portatemi dove volete. Me ne infischio e me ne frego. Addio. (Attende)  Oh, cara... sei noiosa... e che vocina querula hai: porti jella, con quella vo­ce: tu non parli: canti, come una civetta.

~ Sulla porta, a destra, con le valigie è ricom­parso Valerio.

Giulia, di spalle com'è, non lo vede e Valerio indietreggia si mette dietro la porta, ma ferman­dosi ad ascoltare.

Giulia      Attacco, ora. Ho chiamato solo per dirti questo; guai a te se mi telefoni ! Lasciami in pace; sì, ho tutto, le ho portate tutte: una valigia, da sola, è piena di medicine. Basta, ciao. Lasciami in pace, sparisci: ricordati: per quindici giorni, non sono più nemmeno tua amica.

~ Riattacca, rapida.

Valerio, si nasconde, ancora di più, nel vano del­la porta. Giulia si avvicina allo specchio anticoche, tra luci schermate, è sulla parete, e accende la luce forte. Ansiosa, con un sentimento profon­do nell'espressione, si guarda avvicinando il volto: si scopre la spalla, si tocca la giuntura, controlla, ansiosamente la pelle. Sembra solo un controllo estetico; vanitosa, soddisfatta, Giulia si rimette a posto il vestito. Prende il porta­cipria, e ricomincia, ossessivamente, a darsi dell'altro trucco.

Alla porta, Valerio fa un mezzo giro, marcando forte il passo; viene verso la casa, entra. Giulia si scuote, si volta.

Giulia       (quasi dura)   Mi hai fatto paura. Come mai, hai messo tanto tempo? Credevo tu fossi an­dato via, ripartito addirittura. Stavo abituandomi all'idea.

~ Valerio entra con della legna già tagliata, fra le braccia.

Valerio   È stato difficile trovarla. Tra l'altro è bagnata, e ci metterà molto prima di accendersi.

Giulia      Via, fa' del tuo meglio. Intanto, mi spo­glio. Giuro che non mi metterò neppure una crema per la notte, mi lascerò i capelli sciolti e... non prenderò il solito sonnifero.

Valerio   Ci mancherebbe altro. In montagna, non si soffre d'insonnia. La pressione cresce e, se si so­gna, si fanno bei sogni senza incubi.

Giulia      Ci conto. Ciao.

~ Va di là, nello schema di bagno che è visibile a sinistra della scena, dietro un paravento, sì spo­glia, e, in pochi gesti, indossa una camicia da notte, si pettina, si guarda, di nuovo, allo spec­chio.

Nel salone, Valerio - dopo aver guardato un attimo cosa faccia Giulia - si inginocchia ac­canto al caminetto e dispone i ciocchi di legna, accendendoli. Una nuvola di fumo, si sprigiona dal legno umido, fa tossire Valerio. In sincronia con questo sprigionarsi del fumo, Giulia, di là nel bagno si immobilizza si piega un po' su se stessa, dominandosi, come colta da una vertigine apre il rubinetto dell'acqua, vi tuffa le mani, si rinfresca il volto, resta un atti­mo immobile, col volto grondante poi, rapidis­sima guardando alle spalle cosa faccia Valerio, chiude la porta, prende dalla sua borsa un ago, e, piegandosi un poco si fa un'iniezione sco­prendo un poco la coscia. Riabbassa la camicia e, aperta la porta, torna di là, sorridente, da Valerio. Il fuoco, ora, è acceso; Valerio - con una ventola in mano - lo alimenta e intanto scaccia dall'ambiente il fumo che vi si è dif­fuso. Giulia, sorridendo, accosta una sedia al letto, e vi si inerpica, dicendo

Giulia      Mi tiro su le coperte, e tu apri per fare andare via un po' di fumo.

Valerio   È meglio, sì. Copriti, io apro la porta.

~ Giulia entra nel letto, si tira su la coperta, fino agli occhi. La fiamma del caminetto, fa strani riflessi nell'ambiente. Valerio, sospeso, la guar­da un attimo: ...il letto altissimo, pare un catafalco, e la fiam­ma da un chiarore da camera ardente. Di scatto, Giulia, si tira giù la coperta dal volto e dice

Giulia      Allora, ti sbrighi? Cosa fai? Apri quella porta.

~ Valerio, decidendosi, va ad aprire la porta. Entra, inargentando il pavimento, di taglio, la luce lunare: si ode il vento, tra gli alberi. Valerio, velocemente, vestito com'è, va verso il letto, vi sale, carezzaGiulia.

Giulia       (dopo un rapido bacio)   Non ci saranno i lupi, in questa montagna?

Valerio    (scherzando)   Non credo. E poi, i lupi escono d'inverno, quando c'è la neve, e, qui intor­no, la neve è andata via, da un pezzo.

Giulia      E gli orsi? Una mia amica, una volta stava in montagna, durante le vacanze, con la ma­dre, in una baita. Stava preparando la cena e la madre era uscita un momento a prendere qualcosa. Lei sente un colpo alla porta e dice: « Sì, mam­ma, vieni; è pronto ». Si volta: era un orso.

Valerio    (ride)   Tra poco chiudo la porta e, come dice il Catechismo, non avrai altro orso al di fuori di me.

Giulia      Chiudi subito, il fumo è andato via e... fa un freddo che batto i denti. Senti! (batte i denti, sul serio)  Forse è... la passione. Ma anche il gelo... te lo assicuro.

~ Valerio, scendendo dal letto, va a chiudere la porta. Intanto Giulia, con una mossa graziosa, tenerissima, ha tolto i due guanciali dalla loro posizione parallela e li ha messi uno sull'altro, in modo che le due teste, sull'unica pila, neces­sariamente si tocchino. Chiusa la porta, Valerio fa per andare verso il bagno, a spogliarsi, ma Giulia, ancora una volta, lo previene.

Giulia      Portami da bere: un bicchiere pieno. Anzi, due.

Valerio   Perché vuoi bere? Ne hai bisogno?

Giulia      Sì, voglio bere, tanto... Ho freddo... Ho sete... Potrei dire che muoio di sete. Anzi, porta qui tutta la bottiglia.

~ Valerio viene a sedersi sul letto e porta con sé dei bicchieri, una bottiglia. Le versa da bere, e dice

Valerio   Non voglio che tu beva troppo. Devi es­sere tranquilla, felice.

Giulia      Già, ci proverò. Del resto, tocca a te, ren­dermi felice.

Valerio   Ci proverò anch'io. Ma, vedi, sei nervo­sa, stasera, inquieta... Perché non ti distendi? Forse abbiamo fatto male a venire in montagna... L'al­tezza fa brutti scherzi, alle volte, alla gente sensi­bile come te.

Giulia       (scherzosamente, gli punta un dito sulla ironie)   Sono sensibile, io? E come lo sai?

Valerio    (seguitando, senza risponderle)   La mon­tagna, tanti, li rende tristi. A me fa questo effetto, per esempio. Come hai la pressione, tu?

Giulia      Giusta, e tu?

Valerio   E il cuore?

Giulia       (con baldanza, fa schioccare le dita)   For­midabile. Di che ti preoccupi? Speri che ti muoia in braccio? Al primo bacio che mi dai? Mi piaci, sì, ma non sei un amante così straordinario.

Valerio   Non lo sono affatto.

Giulia       (già un po' deliziosamente ebbra, gli porge il bicchiere, lo fa bere)   Bevi, su, fatti coraggio. Abbi fiducia, intera fiducia in me: che son la tua amante, ma anche la tua mamma.

~ Valerio beve. Giulia lo guarda, guarda davanti a sé, pensierosa, e dice

Giulia      Sono utile a qualcosa, io, come tua amante?

Valerio   Perché dovrei discutere, con te, questi problemi? Allora, tanto valeva sposarti...

~ Giulia tace, colpita. Poi dice, quasi mormorando

Giulia      Io vorrei, invece, che tu fossi l'America.

Valerio   In che senso?

Giulia      Anche l'Africa. Lo confesso, non ci sono mai stata. Ho una tremenda paura dell'aereo. Ades­so, che sono diventata maggiorenne, mi sono detta: voglio conoscere il mondo, vedere tutto nel più breve tempo possibile. Non ho visto ancora quasi niente, perché mio padre era povero, mio marito -lo sai - è ricco, ma ha già visto tutto, da ragazzo. Così, un mese fa, mi son trovata a dover scegliere: volare in America, in Africa; vedere Tokio, Calcutta; lo sai il giro del mondo in aereo si fa in quattordici giorni e il biglietto costa solo due mi­lioni di lire.

Valerio   E invece sei venuta qui. Non è la stessa cosa.

Giulia      Già, ho scelto te. Perché vedere il mon­do, quando è come casa tua, mi sono detta? Non è meglio essere felici con qualcuno di gusto? A volte, si gira tutto il mondo senza trovare niente che vada bene.

Valerio   A me è successo proprio così. Te, ti ho trovata quasi dietro la porta di casa. Abitare, per dieci anni, nella stessa strada, non è come essere proprio gomito a gomito, crescere insieme? Mi davi fastidio, anzi, quando uscivi coi tuoi cani al guin­zaglio, senza vedere nessuno. Ero, credo proprio, in polemica con te.

Giulia      Anche tu, sai, mi eri odioso. Facevi trop­po l'intellettuale, col naso sempre sulle riviste, sui libri più noiosi. Una volta, poi, mi hai colpito dav­vero, e ne ho riso, per ore, con le mie amiche. Stavi aspettando, in automobile sotto casa - tua moglie, credo - e, col volante come leggìo studiavi, sì, studiavi proprio. Un libro dal titolo mostruosamen­te complicato. Io mi sono avvicinata, villanamente, storcendo il viso per leggere il titolo e, benché fossi più bella, più giovane di adesso, e, in una posizio­ne... credo attraente, tu, letteralmente, non ti sei accorto della mia esistenza. Il titolo era: « Este­tica, Semantica, Istorica ». Spaventoso!

Valerio   Invece, m'ero accorto benissimo di te e ho voluto prenderti in giro. Il libro, poi, l'avevo preso su una bancarella; mi serviva citarlo in un articolo per darmi un po' delle arie. Ma tu stavi parlandomi dell'Africa e brucio di curiosità; cosa stavi per dirmi?

Giulia      Che invece di viaggiare avevo scelto te: di passarli tutti con te, i miei giorni. Ma speravo che fossi tu l'America, l'Africa.

Valerio   E ti ho già deluso. Certo, è difficile.

Giulia       (si alza, annusa in giro)   C'è puzza di bru­ciato... Cosa stanno bruciando laggiù?

Valerio    (guarda verso la montagna)   La paglia ri­masta dopo la mietitura. Fanno così, tutti gli anni... Non ti intendi di campagna?

Giulia      Io no; se ne intende troppo mio marito. Sai, è l'ultimo europeo che possiede un feudo, nell'Italia  Meridionale,  con  mille  ettari  di pascolo, anche se ha finto di piantarci i carciofi, gli agrumi. Per non farselo espropriare, ha costruito dieci ca­sette coloniche - sapessi, col tetto di abete, quasi dieci piccoli chalets, come questo - e ha dichia­rato che li costruiva tutti per i contadini. Poi li ha dedicati un po' alla servitù, un po' alla foresteria: due li ha usati anche come capanne da caccia, e sono forse l'angolino più delizioso della proprietà.

Valerio   E, naturalmente, non l'hanno più di­sturbato.

Giulia      No, anzi, si è dato - da allora - molte arie da pioniere. Una volta, anch'io ho passato qual­che giorno, da sola, in una di quelle casette e, ti assicuro, era più bello che a casa mia. Se è solo (e anche adesso, credo)  lui ci va con le sue contadine. Ne ha sei o sette, belle e tonde proprio come delle soubrettes. Ti ho detto, è l'ultimo feudatario che ci sia al mondo.

Valerio   No, purtroppo non è l'ultimo. Ma come canaglia, tuo marito merita la citazione d'onore.

Giulia       (brusca, violenta quasi)   E tu, non sei una canaglia, che stai a letto con sua moglie e non fai certo molti complimenti con lei?

Valerio   Che cosa devo a quel mascalzone? Per­ché dovrei rispettarlo?

Giulia       (crudelmente)   È lui che mi paga questi vestiti che indosso e ti piacciono tanto. Li paga, eccome; io non ho mai una lira e non riuscirei a comprarmi che due golfini e tre calzette. E tu, cosa regaleresti alla tua amante?

Valerio   A un vestito o due, arriverei, spero. Ma per il resto, scusa, devo pensare a mia moglie.

Giulia      Già, è comodo. Vedi questo bracciale? Me lo ha dato lui... E quella camicia da notte che, tra parentesi, mi hai strappato, una volta, viene da Bruxelles e costa... quanto un tuo mese di lavoro al giornale...

Valerio   Di più, forse... E cos'hai di più prezio­so... nascosto nelle valigie? Fammi l'elenco. Giulia Ma... tutto, caro. Vuoi che ti regali, qual­cosa? Forse per tua moglie? Perché no, se mi pre­ghi? Posso prestartelo, se - quando me lo rendi - fai stirare bene tutto.

Valerio   No, non mi servirebbe. Mia moglie è meno magra di te.

Giulia      Davvero? È così grassa?

Valerio   No, è bella, più fresca... sai, ha soltanto venticinque anni.

Giulia      E... non ti chiama papà?

Valerio   Di tanto in tanto... Per fare le cose più complicate.

Giulia      E hai ragione. Anche a me, le cose sem­plici, rompono le scatole. Vuoi che telefoniamo, a tua moglie? Se venisse qui, quale cosa sarebbe più complicata, più divertente di questa? (Si alza, di scatto, e prende il telefono). Ora le telefono, le dico chi sono e le chiedo se viene qui. Il tuo nume­ro è il solito, vero? Meno male che, in Austria, c'è la teleselezione.

~ Fa sul serio, lungamente, un numero. Valerio, dal basso, tende la mano, senza più voglia di scherzare.

Valerio   Dammi quel telefono.

Giulia       (allontanandosi di un passo e finendo di fare il numero)   Perché? Parlo io, se non ti di­spiace. Tra donne ci si intende meglio. Le dico se viene qui.

~ Fa, lentamente, in modo provocatorio, un altro numero. Valerio ripete, più teso

Valerio   Dammi il telefono. Non ho voglia di scherzare.

Giulia       (si allontana di un altro passo e, lenta, sem­pre, fa ancora un numero)   E neanch'io ho vo­glia di scherzare, figurati... Mi attrae la cosa, è di­vertente. E... scusami... l'aereo per venire qui, glielo paghi tu, o lo pago io?... Senza complimenti. (Fa un altro numero)  O verrà in treno? In macchina no, non sa guidare. In treno, d'accordo! Le dico di prendere il « letto », poverina, se no qui arriverà stanca. A proposito, non sei un signore tu: come mai non mi hai fatto trovare qui dei fiori, un mazzo solo, bada, e, magari, con nascosto dentro un piccolo anellino... con qualche diamante sopra, che se non mi piaceva avrei potuto cambiare? (Tiene sempre, il dito sul disco del telefono. Con­tinua)  Sono, o no, la tua amante? E non mi fai mai un regalo. È imperdonabile. Le altre donne le paghi, altrimenti, non verrebbero con te... allora stai con me per risparmiare, forse? Beh, tua moglie allora sarà d'accordo, suppongo... Ora glielo chie­do... Aspetta... Una volta, sai, ho avuto una brutta idea contro di te, devi perdonarmi. Hai piacere o no, che io sia una principessa: di' la verità! Ne parli, coi tuoi amici? Lo sanno, che sei il mio amante?

~ Valerio, teso, ma calmo, continua a non rispon­derle, tenendola d'occhio, Giulia, sempre tenendo il dito sul disco del telefono continua

Giulia      Sì, lo sanno, va là, lo capisco benissimo che tu racconti tutto. Hanno certi occhi, quando mi guardano... Si vede che, quando vi trovate, fai le tue confidenze con tutti. I nostri dettagli, li rac­conti? Proprio tutti? Anche... in quelle occasioni? Forse dovresti invitare anche me a quelle riunioni, e farmi parlare; vuoi mettere quello che potrei raccontare io, senza falsi pudori, proprio come facciamo noi donne? (Lo guarda)  Beh, non dici niente? Approvi, o non sei d'accordo? Su, confessati: se fossi una modista e non quello che sono, racconte­resti tutto con lo stesso piacere, a casa e ai tuoi amici? Se fossi la ragazza del telefono?

~ Si china verso di lui, prova ancora, facendo un altro numero, l'ultimo.

Giulia       (a voce bassa, insinuante)   E... a tua mo­glie, l'hai detto di me, vero? (Allegra quasi)  Sì, che l'hai detto, bugiardo che non sei altro. Hai dato la colpa a me, naturalmente; sono io la matta che è cotta di te e non ti vuole lasciare in pace. L'aristo­crazia è un ambiente corrotto e andare con me o con una puttana, per una moglie attenta all'essen­ziale, è lo stesso, no? Ma, quando torni da tua mo­glie, le assicuri che è solo lei il tuo grande amore, e se un uomo, qualche volta va con le puttane, niente in lui cambia veramente.

~ Valerio, calmo, resiste benissimo e non si muo­ve, ma tiene d'occhio Giulia. Che, sempre china, col dito sul disco, continua

Giulia      Ma io, comunque, ti offro anche qualche vantaggio, non è vero? A letto, forse è il meno, ma a un mio party viene tutta la gente che, tu, per anni, hai sognato di incontrare, e che, finalmente conosci, fingendo, però, che non te ne importi niente. Un giorno, chissà, potrebbe esserti utile. Io conosco proprio tutti, per fortuna. II tuo direttore mi dà del tu, e se non l'invito sta male per due giorni. Anche il tuo editore mi manda le rose; un cestino di cento rose a Natale. La sera che ti ha visto a cena, seduto alla mia destra, ricordi? Cre­deva che non fossi tu e ti ha salutato per primo.

~ Si è chinata, ancor più, provocatoria, verso Valerio, immobile sempre, e stacca il dito dal telefono; nel ricevitore, netto nell'altoparlante, il suono di « libero »; Giulia prosegue

Giulia      Insomma, non dici niente? Sei d'accordo, lo so; ora ti faccio parlare con tua moglie. Dunque, vuoi? No? Hai ragione lo farò io; le dico che l'aspet­tiamo e che non abbia soggezione di me, quando arriva; deve chiamarmi per nome, come s'usa, e non dirmi principessa.

(Al telefono, dopo il suono di « libero », una voce femminile, calda e serena, dice più volte: « Pronto, pronto », una pausa, poi un po' inquieta: « Ma... non rispondono. Chi è?... »).

~ Giulia, con un sorriso crudele, alza il ricevitore e lo mostra a Valerio, facendogli sentire quella voce. Valerio scatta in piedi, e, liberando in sé tutta la violenza repressa, ma senza ira, anzi con una strana pietà per lei, le prende il telefono di mano, lo abbassa sulla gruccia, glielo toglie. Giulia resiste, lotta con lui, Valerio, duramente, ma senza colpirla, la respinge.

Giulia      Lo sapevo... fai vedere quanto sei forte, su, colpiscimi.

~ Valerio, calmo, ma con forza, la respinge in­dietro, la fa sedere, la tiene ferma.

Giulia      Non voglio sedermi, non voglio che mi tieni ferma, non voglio che rimani zitto. (Gli dà uno schiaffo, incontenibilmente)  Su... che vuoi dirmi? Che ti ho offeso? Che ho insultato tua moglie? Non la difendi? (Lotta, le mani strette al suo braccio, con lui). Ho voglia che fai qualcosa, che mi dici la verità, che smetti di essere... così sicuro di te! Perché non vuoi davvero conoscermi? Perché non litighiamo su tutto? Perché te ne stai tu lì ed io qui, e solo a letto facciamo tutto un conto? (Gli si attacca ancora. Lo scuote)  Non sono felice se tu non vuoi davvero tirare fuori quello che hai dentro. Se in certi momenti mi odi, allora devi picchiarmi subito. Se, mentre ceniamo, ti piaccio, spogliami subito, e facciamo l'amore, senza aspetta­re altro, là dove siamo. Hai capito? Non devi fin­gere, non devi controllarti, non devi mentirmi, o io  non potrò essere contenta, ed era meglio non venire qui: sarei stata molto meglio a casa mia.

~ Tace, e allenta, quasi smarrita, la sua stretta. Volta lo sguardo intorno... Più piano, seguita

Giulia      Ma tu non dici niente. Perché mi fai parlare da sola? Sembra che tu ti diverta: par­liamo una volta per uno, noi. È come se ci scri­vessimo delle lettere. Devo farti una domanda perché tu mi dica qualcosa? Sei felice d'essere qui con me?

Valerio   Nonostante tutto, sì.

Giulia      Preferiresti fosse qui tua moglie?

Valerio   Non ti rispondo.

Giulia      La stavo chiamando e mi hai strappato il  telefono.

Valerio   Non ti rispondo.

Giulia      Vorresti che ci fosse qui qualche altra donna? La tua segretaria?... O la solita attricetta alla quale prometti di pubblicare le fotografie? O la signora pulita, senza malattie, che mantieni con una cooperativa di amici?

Valerio   Mi sta benissimo che tu stia qui con me, perché, nonostante tutto, sei... una buona com­pagnia.

Giulia      Veramente? Non preferiresti una pro­fessionista? Una diva dello spogliarello, che quando si leva un guanto, ci mette dieci minuti e, dopo, è come se già fosse nuda?

Valerio   Anche tu, francamente, sei dotata.

Giulia      Buondio, sì; è l'opinione di qualche altro. Ma i tuoi discorsi, possibile che girino sempre sul tema « camera-da-letto »?

Valerio    (una pausa)   Ti aspetti molto da me?

Giulia      Ebbene, dico di sì.

Valerio   In tutti i sensi, vero? Cuore, spirito, mente?

Giulia      Beh, è naturale. L'amore di cosa è fatto dunque?

Valerio   Ma da me proprio, che ti aspetti? Vuoi che ti scriva delle poesie, un romanzo, una corri­spondenza che sia, poi, da pubblicare?

Giulia      Una corrispondenza? Con te, proprio no. La faresti leggere, lettera per lettera, ai tuoi amici e - magari - ti faresti dare da loro anche dei consigli.

Valerio    (con autoironia)   Dici sempre che sono un intellettuale. Come mi ricordi, senza dargli peso, che - in fondo - sei una principessa. Hai scelto me, per questo... ritiro, perché... sono un intellet­tuale?

Giulia       (ridendo)   Anzi, questo mi ha dato delle preoccupazioni, all'inizio; ho temuto le tue smanie, le pretese.

Valerio   Una tua amica, a Roma, una volta, a un tuo pranzo, mi confidava: « Ho un poeta che mi fa la corte ». E un'altra: « Io ho un regista ». Sembrava che giocassero alle figurine.

Giulia      Se parlavano di uomini, non giocavano. Le mie amiche non conoscono un'altra cosa più seria.

Valerio   E tu, credi di essere meglio di loro?

Giulia      Io sono peggiore, perché per me nem­meno questo è serio.

~ Una pausa. Valerio domanda, piano

Valerio   E che cosa è serio, per te?

~ Una pausa. Giulia prende un bicchiere dalla tavola, lo riempie d'acqua. Con voce quasi dolce, dice

Giulia      È buffo, ma da che sono arrivata qui, con te, io non faccio che aspettare che venga final­mente il giorno, tutto bello, tutto perfetto, che io tiri il fiato e possa dire: bene, è andata. Allora, ho fretta. Aspetto che quel giorno arrivi, e sono impaziente, e poi magari mi accorgo che i giorni passano, e non abbiamo più tempo di niente. (Beve).

Valerio    (calmo)   Ti verso da bere? Perché ora bevi solo acqua?

Giulia      Sì, è una vergogna; potremmo bere tutto, fuorché acqua, anzi dovremmo andare avanti a bere proprio tutti i vini di questi posti e, probabilmente, la tristezza passerebbe.

Valerio   Su, cominciamo! (Le versa del vino).

Giulia      Che brindisi vuoi che faccia?

Valerio    (sorride)   All'Africa, all'Asia, all'America e... al Polo Nord, se ci riesco a fare anche il Polo Nord.

Giulia       (di buonumore)   Sì, ci riuscirai.

~ Bevono.

Giulia      Fa un maledetto caldo. Sono matti a bruciare quella paglia. E senti che odore di bru­ciato. Non puoi mandarli via?

Valerio    (guarda fuori)   Spero che non ci man­dino via loro. Se vanno avanti così, ci mette­ranno i roghi proprio sotto le finestre, e, allora, ci toccherà sloggiare.

Giulia       (beve)   Se mio marito fosse qui prende­rebbe lo scudiscio, un cavallo e magari solo un pic­colo cane da caccia e uscirebbe a cacciarli via tutti in tre minuti.

Valerio   Sì, e finirebbe impiccato. Ma lo approvi, tu, quel cialtrone?

Giulia      No, lo trovo disgustoso, ma più disgu­stoso ancora che tu ne parli.

Valerio   È la forza dell'abitudine; solo su quelli come lui, so scrivere i miei articoli.

Giulia      Allora, ringrazialo; se lui non esistesse, come faresti a campare, piccolo giornalista?

Valerio    (ironico)   Mi manterresti tu, altrimenti perché sarei l'amante di una principessa?

~ Un silenzio. Giulia beve. Sembra mutata d'umore. Dura, quasi volgare, dice

Giulia      Spegni la luce, su. Sono stanca di aspet­tare.

Valerio   Non è colpa mia se hai dovuto aspettare.

Giulia       (dura, violenta quasi)   Colpa... chi parla di colpa? Hai sempre paura che ti accusino, tu. Hai proprio la coda di paglia.

~ Valerio va in bagno.

Giulia       (a letto, accendendosi la sigaretta)   Basta. Non ho più voglia di litigare. Parliamo, d'ora in poi, il meno possibile. È due mesi che ci scriviamo, che ci telefoniamo. Adesso siamo insieme e se allungo una mano, voglio poterti toccare, subito, senza nemmeno doverti chiamare. Sul serio, non mi stare lontano, nemmeno di due metri, nemmeno di uno solo; dobbiamo essere proprio come fratelli siamesi.

~ Di là Valerio, si sta preparando per la notte. Viene in vestaglia scura, da dietro il paravento; dispone alcune cose. Forse, col rasoio elettrico, si rifà, rapidamente, la barba. Sono, con evi­denza, preparativi d'amore.

~ Di là, sul grande letto, pettinandosi, rapida, i capelli, Giulia dice

Giulia      Se sapessi scrivere, terrei il diario di questi giorni, sera per sera. Metterei le tue frasi, quello che facciamo di giorno... e di notte. Non mi vergognerei di niente, scriverei tutto e anche se litighiamo, se m'insulti o mi picchi, come l'ultima volta, lo scriverei.

Valerio   Non ti ho picchiata, l'ultima volta. Mi sono difeso.

Giulia      Hai fatto bene: sono pericolosa, io, se mi arrabbio. Una volta, ho tirato una forbice a mia sorella, da bambina; roba da levarle un occhio. A sedici anni, in collegio, il prete non voleva darmi l'assoluzione perché ero scappata, di sera, con un ragazzo e io mi sono alzata e gli ho detto, forte: « Sei un figlio di puttana »... E a mio marito...

Valerio    (scherzando, dal bagno sempre, staccando il rasoio)   Non dirmelo, voglio indovinare.

Giulia      Non puoi indovinare, una cosa semplice, ma sentita. In viaggio di nozze, figurati, per fare lo spiritoso mi ha detto: « E se non ti trovo vergine, che succede? Io ti rimando da tua madre, sai? ».

Valerio   Faceva sul serio, lo conosco.

Giulia      Io ho risposto: « Se fossi ancora vergine, con te ho paura che lo rimarrei troppo tempo ». E gli ho  tirato la spazzola,  proprio in mezzo alla fronte.

Valerio   Un bell'inizio. Bene, posso venire? Sei pronta?... Hai preparato la spazzola?

Giulia      Aspetta, per favore... Ho il mal di testa, forse è l'altezza... Portami un cachet, ti prego; la boccetta è lì nel « nécessaire ».

~ Valerio cerca nel disordine, ma non lo trova. Sposta una cosa, poi un'altra. Dice

Valerio   È pieno  di bottiglie, qui.  Che nomi strani... Sono tutte droghe?

~ Giulia si alza sul letto, tesa, col viso stravolto, e in allarme, dice, improvvisamente durissima

Giulia      Torna qui... Ti proibisco di toccare le mie cose. Lasciale stare... guai a te se prendi qualcosa.

Valerio   Ma... non volevi il cachet?

Giulia       (violenta)   No, non voglio il cachet, chi ti ha detto che lo voglio? O me lo trovi subito, o non Io voglio più. Torna ti ho detto.

Valerio   Mi credi il tuo servo? Il cachet serve a me, e voglio trovarlo. Ho anch'io il mal di testa e, se alzi la voce, mi aumenta.

~ Giulia si alza dal letto, scende e va di là, furiosa, le mani strette dallo spasimo.

Giulia      Ti ho detto di venire... Metti disordine... è roba mia, quella. Non voglio che la tocchi, basta.

Valerio   Insomma, ci sono delle lettere... hai paura che le scopra?

Giulia      Sì, ci sono delle lettere... e se una signora ti dice che non devi toccare la sua roba, sei un vil­lano se insisti.

Valerio   Io non insisto... Ti facevo un favore.

Giulia      Un villano, sei. E se non vieni, posso con­tinuare a dirti cosa sei.

Valerio    (freddo)   Se continui, farò il possibile per fermarti. Non mi sento molto dotato - io - per essere il tuo servo. Hai già un marito per questo.

Giulia      Ah, sì? Mio marito è un signore che non farebbe mai le cose volgari che fai tu... Vieni via, ti dico... cafone.

~ Fa per dargli uno schiaffo. Valerio le blocca la mano lentamente, con dolcezza, ma fermamente. Debolmente, con un moto di paura, Giulia gli dice, con strana intensità, a bassa voce

Giulia      Non mi fare del male per favore.

Valerio    (calmo, ma recisamente, spingendola indie­tro)   Non ci penso neanche. Voglio solo che tu stia calma.

~ Con la mano libera, spegne la luce. Giulia, sempre con la mano imprigionata da lui, guardandolo

Giulia      Mi calmo, ma tu, chiudi la porta, ti prego.

~ Valerio, alle proprie spalle, chiude con la mano libera la porta. Continua, senza brutalità, a spin­gere indietro Giulia. Che, alla fine, sorride.

Giulia      Che cos'è? Un nuovo gioco?

Valerio   No, voglio che ti calmi; che tu non faccia più stranezze.

Giulia      Stranezze?... Sei tu che le fai... Come mi spingi... Fai come il cavallo con la cavalla, quando vuole fare l'amore.

Valerio   Ti spingerò fino a letto... e non fare scherzi.

Giulia       (indietreggiando sempre)   Non ci penso nemmeno. Insomma, hai intenzione di violentarmi?

Valerio   Non ho intenzione di violentarti. Ma di farti stare tranquilla, se non ci riesci da sola.

~ Sono  arrivati,   lentamente,  al  letto.  Giulia  lo sente, piegando indietro la gamba, lo tocca così, poi ride, squillante, la gola rovesciata.

Giulia      Siamo arrivati. È la stazione, caro. I viaggiatori sono pregati di scendere. E, se sei senza biglietto, facciamo i conti.

Valerio    (piano, stringendola fra le braccia)   Fac­ciamoli, finalmente.

~ Giulia si lascia scivolare, tranquilla, all'indietro. Trascina con sé anche Valerio, che la bacia sulle labbra. Alzando una mano, cercando qualcosa, Giulia domanda

Giulia      Dov'è la luce, in questa casa? Dietro di me? O in qualche posto più difficile?

~ Valerio, senza risponderle, la bacia, l'accarezza. A volo, dietro di sé, Giulia ha trovato la luce, preme l'interruttore. Nel buio, che invade la scena, la si ode mormorare

Giulia      L'ho trovata, eccola. Adesso, anche se fini­sce il mondo, o incontriamo un satellite, o la coda d'una cometa, tu... non riaccendi.

~ La scena rimane buia.


ATTO SECONDO

~ La luce brilla, con diurna  ma già pomeridiana  violenza, nello chalet sprofondato dal grande lucernario, sul grandissimo, monumentale letto di legno, da castello medioevale, che domina, al centro, la scena. Vi sono sdraiati, addormentati, in posizioni a intreccio, comode, armoniche, Valerioo e Giulia. Una campana di campanile da villaggio, come da distanza remota, addirittura da fondovalle, suona accordi serali. Giulia, bor­bottando nel sonno, infantile e soave, si sposta sul petto di Valerio; la sua testa, di chiome sparse, riposa sulla spalla di lui. Si apre, delica­tamente, la porta sulla destra e compare una ra­gazza bellissima, bionda, vestita da montanara, ma senza folklore, con due bottiglie di latte in mano. Traversa il soggiorno, posa - senza ru­more - le bottiglie di latte sul tavolo, prende uno straccio e, in modo quasi simbolico. Io passa sui mobili, sugli oggetti dell'arredamento. Si ferma un momento, ammirata, a osservare gli in­numerevoli vestiti di Giulia, gettati alla rinfusa su sedie e poltrone, in un disordine ricchissimo. Poi come vinta da un pensiero, si avvicina al letto, guarda, con rispetto, ma intrepidamente, i due amanti. Un fascio di raggi di sole, entrando diagonalmente dal lucernario, la illumina in pieno, in trasparenza. Scuotendosi dalla sua con­templazione, torna alla porta e, da una grande borsa, tira fuori frutta, verdura, due polli, una bottiglia di vino, e depone tutto sul tavolo che è nel centro.

Là nel grande letto, Valerio, svegliato dal ru­more lieve, si è alzato sul gomito e guarda, stu­pito, ma senza preoccuparsi, quella leggiadra apparizione. Si decide, scivola dal letto, si infila - rapido - la vestaglia e viene, senza darle peso, alle spalle della ragazza che, intanto, traffica. Si prende una sigaretta e, accendendola, domanda.

Valerio   Chi sei?

~ La ragazza, con una giravolta di paura, fa un salto, alzando la mano che stringe la mela. Valerio, con un gesto tranquillo, le prende di mano la mela, la morde, con appetito, e dice ancora, guardando la ragazza

Valerio   Ti ho fatto paura? Perché non bussi, prima di entrare?

~ La ragazza scuote la testa, sorridendo, poi si mette un dito davanti alla bocca, facendo segno a Valerio di star zitto, e con l'altra mano indica Giulia, coricata sempre; fa cenno, come a inten­dere: « Non disturbarla ».

Valerio la guarda, stranito, e le dice, mangiando la mela, parlando più sottovoce

Valerio   È ora che si svegli. Mi ha pregato lei, anzi, di svegliarla. Ma tu, perché non parli? Sei muta? Chi ti ha detto di portarci la cena? Forse il signore che abitava qui? Sei tu, che gli fai i ser­vizi? E, magari, gli fai da modella.

~ La ragazza zittendo ancora dolcemente Valerio si punta l'indice sul petto e dice

Ragazza  Kriselda.

Valerio    (prendendole di mano un'altra mela e man­giando anche quella)   Ti chiami Kriselda... Non è brutto. E sai dire solo questo?

~ Kriselda scuote - ancora - la testa, sorridendo, poi risponde, in uno dei tanto difficili dialetti del Tiralo, una frase minuziosa e circostanziata, por­gendo un'altra frutta a Valerio, come se questo solo fosse il suo dovere. Di là, nel letto, Giulia, si è serenamente svegliata e, senza dir niente, si accende una sigaretta seguendo, con curiosità, il dialogo dei due.

Kriselda  « Ula jepa, loma fanting. Je florespa sul pas ».

~ Valerio la guarda senza dire niente, mangiando la mela. Ne getta una a Giulia, che l'afferra a volo, poi le dice, sorridendo, ma senza più badare a Kriselda

Valerio     Hai dormito bene?

Giulia       (calma)   Lo sai benissimo, come ho dor­mito. Che ore sono?

Valerio   Non lo so. Avevamo giurato di non guar­dare più l'ora, non ricordi? Ma se vuoi, prendo il mio orologio.

Giulia       (scuotendo la testa)   No, ho fatto una do­manda stupida, per abitudine. E questa ragazza chi è? Non è brutta. Speravo non aver concorrenza, almeno qui.

Valerio    (con un gesto scherzoso di presentazione)   Kriselda.

~ La ragazza sorride anche a Giulia, poi va rapida alle tende del soppalco, e tira brusca i cordoni, scoprendo l'enorme quadro astratto e poi indi­cando più volte se stessa. Valerio dice

Valerio   L'avevo detto, io. È lei, la modella. Con quelle carni rosa, sarebbe stata il tipo ideale per Rubens.

Giulia      Trovi? Io direi invece che sarebbe pia­ciuta a Renoir...

Valerio   Non finirei mai, nemmeno io, con le cita­zioni.

Giulia      Anche con le donne, ti succede? Spero, fra qualche anno, di restare la donna che citerai più spesso.

Valerio   Giulia, sono davvero innamorato di te.

Giulia      Ma non siamo ancora felici.

Valerio   Io lo sono, felice. Se senti che manca qualcosa, è colpa mia.

Giulia       (scuote il capo)   Io non sono generosa, di natura, non lusingo nessuno: quindi, sta' tranquillo, se ti dico « è colpa di tutti e due ».

Valerio   Ma, ad  ogni  modo,  abbiamo appena cominciato; l'esperimento è in pieno svolgimento.

Giulia      Non potresti inventare una parola mi­gliore?

~ Kriselda, tenuta da Giulia a disagio, ma sorri­dendo, dice alcune timide parole nel suo dialetto.

Giulia       (guardandola)   È vero, è ancora qui, la fanciulla. Vuoi pettinarmi, cara? Se lo fai bene, ti pregherò di tornare qui tutte le mattine. Ecco il pettine.

~ Le porge un pettine e le mostra come deve fare, facendola sedere accanto a sé. Kriselda, stavolta, capisce alla perfezione e incomincia a pettinare Giulia. Insiste, a un certo punto, in uno strano svolgimento, scaldando servizievolmente, col fiato, una ciocca di capelli di Giulia. Ma Giulia scuote la testa, liberandosi la ciocca e le dice

Giulia      No, le onde, proprio non  me le fai. Pettinami liscia, senza complimenti; guarda come faccio io.

~ Le fa vedere e, servizievolmente,  Kriselda  ese­gue. Guardandola freddamente, ma in modo da esserle utile, Giulia le dice, toccandole qua e là, col dito, i capelli, le sopracciglia, le labbra

Giulia      Non brilli di troppa intelligenza, tu. (A Valerio)  Hai detto che quassù il tempo è fermo e le notizie non arrivano; perché, allora, questa ra­gazza, si pettina così, e si trucca le labbra e gli occhi come le dive del cinema? Deve avere a casa un bel pacco di fumetti.

Valerio    (scrollando il capo)   La colpa deve essere del padrone di casa.

Giulia      Sì, l'avevo immaginato.

Valerio   Basta, ora, farti pettinare. Mandala via; e tempo di restare soli. Non le insegnare i tuoi vizi.

Giulia      Sì, ora la rimando. Prendi questa botti­glia, Kriselda. E quest'altra. E anche questo... ci sono le camicie del signore. Tua madre, vedrai, ci farà dei bei paralumi per l'inverno. E prendi questo piatto, è pieno di mozziconi spenti; un bel mucchio di avanzi di tabacco usato. Tuo padre, lo brucerà nella sua pipa. Vai, e, per qualche giorno, non tor­nare. Parti! O vuoi restare con noi?

~ Ha caricato, durante questo discorso, Kriselda di cose, di oggetti. Delicatamente la spinge via. Obbediente, con sollievo, Kriselda si muove ed esce, con bella falcata. Osservandola, Giulia sospira

Giulia      Cammina bene. Ha un passo da zingara. Che cosa ne pensi?

Valerio   È vero. Peccato. Potevi farla rimanere qui!

Giulia       (scherzando)   Se capivo che t'interessava, lo  avrei fatto. (Pausa)  Ora, giura una cosa: che da oggi...

Valerio   Ebbene?

Giulia      Per questi giorni, mi dirai tutto sui nostri rapporti; la verità, pura e semplice.

Valerio   Sì, d'accordo.

Giulia      Fatto l'amore, prima di farlo, di giorno, di notte. Se mi pettino, se mi specchio, se cammino. Capisci? La verità. Criticami. Ora per ora. Lo farai?

Valerio   Perché dovrei farlo? Se ti amo!

Giulia      Proprio per questo, perché mi ami. Solo tu mi conosci: altro che padre, madre e fratelli! Io voglio che, ogni giorno di più, tu riesca ad amarmi. Se, come parlo o mi muovo, o mi siedo, o mi vesto, non ti piaccio, dimmelo. Voglio cambiare, anzi, sono già cambiata. Capisci? Una cosa di me non ti piace, e la butto. Anche la mano, l'occhio destro, butto via, se non ti piacciono. Come dice, il  Vangelo?

Valerio    (sorride)   Cito a memoria « Se la tua mano ti nasconde la Grazia, tagliala. Se l'occhio destro ti impedisce di vederla, gettalo. È meglio vivere senza un occhio, tagliarsi la mano, piuttosto che non entrare nel Regno dei Cieli ».

Giulia      Sono quasi le mie parole. Forse, anzi, le ho proprio scritte io.

Valerio    (sorridendo)   Dammela, quella mano. (La prende).

Giulia      Perché?

Valerio   Per sapere se devi tagliarla o no. Vedia­mo, dunque. Alzala.

~ Gliela alza, con la sua, gliela apre, palmo contro palmo.

Valerio   No, va benissimo, la mano. La mano non tagliarla. Adesso l'occhio. Se non mi piace, te lo levi?

Giulia       (quasi seria)   Te lo giuro. Me lo levo.

Valerio   Bene, abbi fiducia.

~ Per  scherzo, si   mette   una   moneta  all'occhio, simulando che sia lo strumento degli oculisti.

Valerio   Aprilo, senza risparmio, e guardami. Ti dirò io, basta.

Giulia      Che cosa vedi, dunque?

Valerio   Me stesso. Intero, nitido, ci galleggio come nell'acqua. Bene, anche l'occhio è approvato. Puoi tenerlo.

~ Fingendo collera, Giulia gli da, per scherzo, uno schiaffo e Valerio la piega all'indietro. Abbando­nandosi, Giulia dice

Giulia      È uscita, almeno?

Valerio   Chi?

Giulia      Kriselda.

~ Valerio si volta, guarda alla porta che è sempre stata socchiusa.

Là fuori, con un fruscio, vedendosi scoperta, Kri­selda si allontana, fingendo noncuranza. Valerio dice

Valerio   Sì, ora è andata via. Mi dispiace che tu abbia avuto pubblico.

Giulia      E non ti dispiace che ti abbiano interrotto?

Valerio   In che senso? Non sono stato interrotto.

Giulia       (testuale)   Mi stavi piegando all'indietro così. E io mi abbandonavo. Adesso, non vuoi più continuare. Colpa di quella... zingara. Ci siamo fer­mati al gioco dell'occhio. Speravo che avresti inven­tato qualcos'altro.

Valerio   Dammi tempo, lo troverò.

~ Giulia, girellando per la stanza e, toccando vari oggetti, dice, senza guardare Valerio.

Giulia      Come intellettuale, mi deludi un po'. Hai la fantasia sotto le scarpe. In fondo non hai più idee di un ciclista, di un fantino.

Valerio   Se ne hai tu, di idee, te le realizzo. È questo, in amore, il compito del maschio.

Giulia      Non è vero. Ogni imbecille sa realizzare, con una donna di genio come me, questo tipo di idee. E io, adesso, ti mostro cosa so fare.

~ Indossa, appena dietro il paravento, uno splen­dido modello. Sfila avanti a Valerio che si siede alla turca, sul tappeto, fumando.

Giulia       (pavoneggiandosi)  Hai mai visto  una donna più elegante di me? Che cammina meglio? Lo vedi, sfioro appena il tappeto.

Valerio    (fumando)   Notevole, molto notevole.

~ Giulia sparisce dietro il paravento e, fulminea­mente, ricompare con un altro modello addosso. Fa un giro attorno a Valerio, coprendolo con la sciarpa dell'abito da sera.

Giulia      Allora? Ammetti che faccio un regalo, io, ai vestiti che porto?

Valerio    (fumando sempre)   Notevole, molto note­vole.

~ Giulia gli si ferma davanti e, alzando le brac­cia, dice con furore solo in parte comico.

Giulia      Ma è tutto quello che sai dire, tu? (Lo imita)  « Molto notevole, notevole »! Ami una donna o ci scrivi sopra un articolo?

Valerio   Cosa preferisci?

Giulia      Ma va' al diavolo!

~ Ha spinto fuori da dietro una tenda un lun­ghissimo cannocchiale da marina, su treppiedi, e guarda dalla finestra a boccaporto, lontano nella valle.

Si tira accanto un seggiolino, si siede, di fronte al pubblico, puntando - dunque - il lungo can­nocchiale verso la platea.

Valerio, seguendola con lo sguardo pigramente, evita di alzarsi, e domanda

Valerio   Che ne fai, di quell'arnese?

Giulia      E che t'importa? Comunque, è un can­nocchiale da corazzata. Avvicina le figure più lontane.

Valerio   Ma a che ti serve?

Giulia      Guardo, senza essere vista. Avvicino le cose lontane, ma solo per un attimo. Poi le ributto via. Ti pare poco?

Valerio   Fammi vedere.

Giulia      Più tardi. Aspetta. Ti dirò io. Ci sono un uomo e una donna, tra gli alberi. Non contadini, mi pare: turisti. O meglio, lui è un contadino, lei è una turista.

Valerio   E dove vanno?

Giulia      Sotto gli alberi. Lui la precede, le tende la mano: lei gli viene dietro, mettendo appena a terra i piedi. Ha una gran gonna scozzese.

Valerio   Ed è bella?

Giulia      Forse. Ha grandi fianchi. Suda. La cami­cetta è tutta chiazzata. Ha dei fiori alla cintura.

Valerio   Glieli ha colti lui, i fiori.

Giulia      Non credo. No, non credo proprio.

Valerio   E dove vanno?

Giulia      Sotto gli alberi, te l'ho detto. In fondo, c'è una tenda da campo. Deve essere di lei. La vedo bene, adesso. Lei si inginocchia, si siede. Lui si guarda intorno, siede anche lui. La tocca.

Valerio   Conosco il seguito.

Giulia      Un momento. Lui la bacia. Lei lo colpisce, ma per burla. Vanno tra l'erba alta. Colgono altri fiori. Sto vedendo due mani passare in aria.

Valerio   Di lei?

Giulia      No, due mani grosse, scure. Unghie non pulite.

Valerio    (ironico)   Anche le unghie, vedi? È il re dei cannocchiali, quello?

Giulia      Sì, è potentissimo. Aspetta scorgo il gi­nocchio di lei, rotondo. La gonna lo scopre. Adesso, vedo anche l'altro ginocchio.

Valerio    (ironico)   È... vicino al primo?

Giulia      Non tanto. Altri dettagli?

Valerio   Non occorrono. Fa' vedere a me, ora.

Giulia      Adesso. Abbi pazienza; guardo io e ti dico tutto. Come speaker, non ti piaccio?

Valerio   Ce n'è di meglio, forse.

Giulia       (seguita)   Vanno avanti... molto. Lui le toglie... dei nastri. Ora, c'è una calza nel cespuglio, ondeggia, l'altra calza... Ah!...

Valerio   Anche l'altra? Che ne fa?

Giulia      È volata via.

Valerio    (pausa)   E adesso?

Giulia      Non si vede altro. Ah, sì... ci sono degli altri contadini, lassù, che guardano... O saranno altre coppie?

Valerio   Uomini e donne?

Giulia       (piegandosi a guardare meglio)   No, uo­mini, uomini di tutte le età. Giovani, vecchi. (Ride) 

Oh Dio, c'è una specie di Matusalemme. E pare il più arzillo... si sporge, dall'alto, a vedere. Non porta nemmeno gli occhiali, pensa.

Valerio    (ironico)   Fauni, ne vedi?

Giulia       (voltandosi, stupita)   Fauni?

Valerio   Escono sempre, nei boschi, a quest'ora.  Prima, ho creduto di sentire un flauto. E non dan­zano, intorno alla coppia?

Giulia       (guardando ancora)   Tu credi che io scherzi. Ma quelli, invece, fanno sul serio. Ora guar­dano tutti nella loro direzione, attenti. E... ma no, è il colmo! L'uomo, che sta giù con la donna, si è alzato un attimo, ha fatto un gesto verso gli altri. Lo sapeva, che lo guardavano!

Valerio   (con simpatia)   Beh, forse sono amici.

Giulia       (ilare, seguitando a guardare)   Disgustoso! Ma sono d'accordo! Lei, giù, nell'erba, di certo non sa niente. La sorprendono. Vedo anche dei ragazzi... hanno le macchine fotografiche. E... Dio, sapessi! Su quell'altura, ci sono anche tante vecchie in fila, sedute tutte sulle loro sedie, brave e zitte, come a teatro!

Valerio   Sono le antenate, forse le trisavole, le nonne, le zie... Questa gente ha il senso della stirpe.

Giulia       (eccitata)   Lei, ora, ha tentato di tirarsi su, ha fatto un grande respiro. Ma lui, pronto, come un gatto, l'ha agguantata, l'ha, di nuovo, tirata giù.

Valerio   E il seguito? Vuoi che continui io?

Giulia       (voltandosi)   Sei tu, il seguito. O meglio, dovresti esserlo.

~ L'abbraccia.

Valerio ricambia l'abbraccio e le dice

Valerio   Se non ti facevi capire al primo mo­mento, era meglio. Ho  visto  subito  che  era  un trucco. Mi dispiace, non sei brava. Come fantasia morbosa, sei appena una principiante. Giulia Dispiace anche a me: non riesco a scuo­terti, oggi. Perché   non   mi   fai   qualche   scenetta divertente?

Valerio   Chi ti dice che non la stia già facendo?

~ Ha parlato, imprudentemente, troppo. Imbaraz­zato, svia lo sguardo. Anche Giulia tace un atti­mo, avvertendo uno stridore in quelle parole, nel silenzio sopraggiunto. Abbassa la testa, volta lo sguardo.

Anche Valerio guarda altrove poi, per rompere quel silenzio, dice, con artificiale gaiezza.

Valerio   Ora ti faccio la scena del gangster. Entro da quella finestra e ti trovo sola in casa. Il resto, lo faremo a soggetto.

~ Esce dalla porta e rientra dalla finestra, fingendo di scavalcarla con fatica. Si è portato il ciuffo sugli occhi, si è alzato il bavero della giacca e, nelle mani, stringe, come revolver, una pipa tirolese. Gira attorno a Giulia, la guarda come fosse un oggetto e le dice

Valerio   Se non gridi molto, non ti ammazzo. Ti violento, piano piano.

~ Giulia che, ritta in piedi, è rimasta finora a guar­darlo con disapprovazione, scandisce soltanto

Giulia      Ma quanto fai pena!

~ Girandole dietro, Valerio alza il braccio armato d'una cosa temibilissima, una calza di seta, e la passa di scatto attorno al collo di Giulia, fin­gendo di strangolarla, e dicendo

Valerio   Sì? Allora non ti violento più, ti stran­golo.

~ Giulia, quasi con rabbia, gli strappa di mano la calza e gli grida

Giulia      E lascia stare le mie calze. Se vuoi am­mazzarmi usa una delle tue orribili cravatte.

~ Scoraggiato Valerio, si abbassa il bavero della giacca e dice, con poca speranza

Valerio   Ora sono un mendicante, impolverato, stanco, con la barba lunga e busso alla tua porta, adesso che tuo marito è andato via.

~ Si toglie le scarpe e le calze. È rimasto a piedi nudi. Si butta della cipria bianca di Giulia sui vestiti, sui capelli per fingersi impolverato. Esce dalla porta. Bussa; rientra. Volge intorno sguardi avidi, dice

Valerio   Voglio da mangiare e riparo dal vento, signora. Che tu mi pettini e mi lavi, vedi: sono tutto impolverato.

~ Alza, uno dopo l'altro, i due piedi e li mostra a Giulia che, calmissima dice

Giulia      Che cosa vuoi che ti pettini? Mi pare che non ci sia molta scelta...

~ Fingendosi scoraggiato Valerio si mette a sedere su di una poltrona, con l'aria di una pigra rinun­cia, poi si rialza di scatto, e da una manata sulla scatoletta di rimmel di Giulia e si da due palmi di nero sulle guance, sulla fronte: segni che gli resteranno, poi, per tutto l'atto. Dice a Giulia

Valerio   Sono un negro, il tuo servo che si inna­mora di te e ti rapisce.

~ Viene vicino a Giulia, la prende di scatto in braccio, la solleva e, vorticosamente, la fa gi­rare. Se la mette sulle spalle un attimo, se la fa sedere addosso, sembra prodursi in un numero da circo. Giulia, stavolta, non si ribella: si diverte e mettendogli le due mani sugli occhi gli chiude la vista dicendogli, con ironia, men­tre gli pizzica anche un orecchio

Giulia      E dove mi rapisci, negro, se io non ti faccio vedere dove vai?

~ Valerio si agita; gira su se stesso per liberarsi gli occhi, ma Giulia, ridendo, resiste e, dopo una lotta piena di rotazioni continue, Valerio posa a terra Giulia lasciandola in piedi e dicen­dole

Valerio   Come non detto. Non ti rapisco e non ti violento.

~ Ha lasciato Giulia in piedi in mezzo alla stanza e va a sedersi a terra, più lontano, su due cu­scini. Si accende la pipa.

Giulia, seria in volto, le braccia penzoloni, è rimasta ferma e non si muove, un po' china. Mormora a Valerio, con voce bassa, mutata.

Giulia      Non riesco a muovermi... Mi aiuti?

~ Credendo a uno scherzo, Valerio tira una boc­cata di fumo e risponde, stipandosi il tabacco nella pipa.

Valerio   Fossi matto. Quando avrò bisogno di te ti chiamerò. Sta' lì, per ora.

~ Finisce di stiparsi la pipa mentre, a voce più bassa Giulia ripete

Giulia      Valerio, ti prego. Ho paura di non poter­mi più muovere. Non posso neppure piegare le ginocchia. Ho come una pietra nelle ossa, nei muscoli. Se non mi aiuti, cado per terra.

Valerio    (credendo, ancora, ad uno scherzo)  Al­lora, lasciati scivolare, dolcemente. Inventami qualche nuova posizione, su. È la tua specialità, da quando siamo arrivati. Come dice il Kamasutra? Per la posizione del fiore di loto, le vergini studiano, nelle pagode, fino a sei, sette anni. L'uomo che le sposa, poi, se ha ragione sempre il Kamasutra, vede la moglie mutarsi in una sacerdotessa, il suo letto in un altare.

Giulia       (con voce quasi priva di timbro)   Se non mi aiuti, ho proprio paura di svenire.

~ Esita un attimo, poi lentamente, scivola a terra, di fianco e si siede, umilmente, sul pavimento. Valerio, sempre tirando boccate con la pipa, senza alzare gli occhi, dice

Valerio   Che fai?! Il gioco dello spazzolone? E ti pare molto sexy?

~ Giulia tenta di fingere di scherzare e risponde, con voce gaia

Giulia      Faccio il gioco della schiava: giorno e notte striscio ai tuoi piedi, e ti pulisco i pavimenti, finché non mi dici di alzarmi.

Valerio    (seguitando lo scherzo, tira un'altra bocca­ta)   Non te lo dico, di alzarti. Non te lo dico proprio.

~ Giulia, resta accovacciata così, a terra, la testa riparata tra le braccia, senza muoversi. Valerio alzando la testa, le dice, gaiamente

Valerio   Così mi piaci. Docile, devota, perfetta.

~ Si   alza  e  incomincia  a  passeggiarle  intorno, fumando la pipa e parlando, disinvolto.

Valerio    Non ho mai avuto una principessa come te fra le mie serve e questo lo racconterò agli amici, ci farò un pezzo di colore e, magari, una novella.

~ Si adagia a sedere, serafico, vicino a Giulia sem­pre sdraiata, sì appoggia sul gomito e, fumando sempre, dice, disinvolto come in un monologo spigliato col pubblico

Valerio   O si comanda o si è comandati, o si è schiavi o si è padroni, e se dici la verità a un altro, l'altro l'ascolta come una bugia ed è pronto a ricam­biare, subito, mentendo anche lui. Non è così? Ve­diamo un momento, tra noi due: io me ne sto con te perché tu mi renda felice, giocando o sul serio, ma che ne so tu come la pensi, e se, mentre io sono felice, tu non pensi: « Che scocciatore! ». E mentre sei felice tu, non pensi che io dica, tra me: « È una rompiscatole »? Però facciamo del nostro meglio per andare pari in tutto, non è vero? E spendiamo ore di attenzione, di diligenza, per pensare, sentire, fare tutto nello stesso momento, nello stesso luogo nello stesso modo, come due gemelli; è vero?

~ Guarda di nuovo Giulia e le chiede

Valerio   Non rispondi?

~ Giulia non risponde.

Valerio   Finalmente sono riuscito a farti stare zitta. Sì, perché in questo momento non voglio agire, pensare, sentire, nello stesso modo di te, Giulia, capisci? Io mi libero. A letto, a tavola, ascol­tandoci, guardandoci, ognuno di noi può di nasco­sto, sottrarsi all'altro, spiarlo, metterlo da parte o, se l'orgoglio ce lo impone, possiamo, appunto, fati­care, patire, quasi, per essere due amanti perfetti, con le medesime emozioni regolate dallo stesso oro­logio. Ma, ora, davvero, per almeno un attimo, mi piace dirti: mi libero e... Giulia, sta lì! Io vivo, sento senza di te. Cosa sai, tu, di quel che provo vera­mente? E quante donne, mentre io amo te, sono presenti in te, le tengo col pensiero, e rispondo a Clarice o ad Antonia, persino alla zia bella, con le braccia nude, che mi rendeva tanto inquieto nell'in­fanzia, e per anni, golosamente, ho desiderato. (Si volta, ancora, verso di lei)  Credi che scherzi, ades­so? O che parli come dentro un microfono? O che produca parole perché tu le metta in musica? No, Giulia, io dico sul serio. Se sto con te, non so bene con chi sto, e non so nemmeno se ci sono io. Forse sei la donna che, a quindici anni, ho desiderato per prima, e che mi ha messo dentro una nostalgia che, da sempre, mi porto senza accorgermene. Dovrei quasi chiederti perdono, di questo: perché ho il sospetto che non abbraccio mai te, ma qualcosa che, da sempre, è una mia pre­tesa, una strana illusione. Ecco perché, tante volte, di notte, quando mi guardi ad occhi aperti, senza dormire, penso: Guarda me, ma chissà se si sarà accorta con chi sono, io. Che donna mi sta vicino e con quale, mentre la bacio, mi faccio passare la voglia di baciare.

~ Giulia, piegata su se stessa, ad occhi chiusi, non risponde.

Allora Valerio si china sul suo volto e, aprendole un po' i capelli sull'orecchio, le dice forte

Valerio   Pronto?... Giulia, ci sei? Principessa, mi senti? Sei in casa?

~ Ma Giulia non risponde più. Allora Valerio, un po' impressionato, si china a scuoterla, la tocca... e Giulia, con un gemito, rinviene. Dominando la propria angoscia, cercando di sollevarla, di rimetterla in piedi, Valerio le dice, sforzandosi di essere freddissimo

Valerio   Un capogiro, nient'altro... È l'altezza. Te l'avevo detto, è la pressione... Adesso, ti dò da bere.

~ Ma Giulia, stringendo i denti, resiste al suo gesto, non vuole essere sollevata, si ferma sulle ginocchia; è, con evidenza, chiusa in un mo­mento di paralisi nervosa. Ripete, sorda, soltanto

Giulia      Un momento, Valerio. Non voglio alzarmi ora. Aspetta.

~ È evidente che non riesce a stare dritta, Valerio, vincendo la sua resistenza, la solleva sulle brac­cia, la porta, come una bambina, verso il divano. Giulia dice, soltanto

Giulia      Sto male... Fa' piano... per favore.

~ Valerio la mette a sedere sul divano, con due cuscini dietro e va a versarle da bere. Torna, la fa bere in un rotondo, sferico, enorme bic­chiere di cognac. Giulia beve, a occhi chiusi, sta immobile. Dal cielo, piove l'etereo, misterioso, sottile rumore di un reattore ad altissima quota. Giulia, alza il capo, come a un richiamo noto.

Giulia       (tra sé)   Dove va questo aereo? Si è sper­duto? Quassù non ne sono mai passati, oggi.

Valerio    (senza alzare la testa)   È la linea per Vienna. Sì, che è passato... Non te ne sei accorta?

Giulia       (ostinata)   No... un aeroplano di qui non è mai passato... Sei tu che ricordi male... Non abbia­mo mai sentito questo rumore.

~ Valerio non dice più nulla. Giulia distoglie lo sguardo dall'alto e, gaia, si alza in piedi, alza e allarga le braccia, fa due, tre movimenti di ginnastica, un passo come di danza. Dice

Giulia      Sto bene, vedi... Ho avuto... un crampo. Nuotando, mi succede. Adesso, guarda...

~ Sfila, come per scherzo, come un soldatino, davanti a Valerio, e fa una piroetta sulle punte; è tornata allegrissima, si mette la sua pipa in bocca, tira una boccata e dice

Giulia      Ti sei spaventato? Mi guardavi con una faccia... Ah, che sciocco sei... E non ti sei accorto di niente... Povero, grande sciocco... È stato tutto uno scherzo. (Si sforza di ridere)  Davvero, ti giuro, ho scherzato... Ho fatto finta di svenire, per vedere come te la cavavi. (Ride meglio)  Male, come al solito. Ti ho guardato, da sotto in su. Eri pallido, tremavi... (Dura)  Ma perché, ora, stai serio? Ho fatto uno scherzo, ti ho detto.

Valerio    (esita, poi dice, lento)   Non... stai più male?

Giulia       (dura)   No, non sto male... sto benissimo. Ma volevo vedere che faccia ti veniva a credermi svenuta... Dio, come eri buffo... Se, a letto, quando facciamo l'amore, mi guardi così, giuro che ti rido in faccia... Così ti va via l'ispirazione, come sta­notte.

Valerio   Ti dò da bere, aspetta.

Giulia      E io te lo tiro in faccia, il tuo bere. Per­ché cambi discorso?   Non mi credi? Ho fatto uno scherzo, e se non l'hai capito... ecco...

~ Gli tira un oggetto. Esasperata, quasi grida

Giulia      Ma cosa credi? Che svengo per niente io? O hai paura che sono incinta d'un piccolo Valerio, che farà il giornalista, come te, di porcherie mon­dane. O cos'altro scrivi, tu?

Valerio    (calmo)   Brutti romanzi. Poesie... scritte su una foglia di rosa.

Giulia       (dura, sarcastica)   Ah, già, poesie... Come quella che m'hai letto quella volta, che diceva che le mie mani erano come delle foglie.

Valerio    (calmo)   Non era mia, quella. Era Ungaretti.

~ Giulia, come colta da un'esasperazione crescente, colma di segreto strazio che non lascia affiorare, prende due cuscini e se li mette sotto il vestito.

Giulia      Pensa che bella sarei se aspettassi... un piccolo Valerio. Guarda, camminerei piano, così, con le due mani sulla pancia, e se lui battesse dentro i piedini, mi chinerei a parlargli, gli direi: « Sta' buo­no, Valerio, che c'è già tuo padre a prendermi a calci, qualche volta ».

~ Valerio la guarda, turbato, ma si sforza di sor­ridere. Dice

Valerio   Qualche volta... e tra poco.

~ Giulia continua a camminare davanti a lui, con le mani sulla pancia e si finge indignata.

Giulia      Ah, lo senti, come mi minaccia, il tuo papà? E lo sopporti? Non esci di lì a dargli un bel calcio, per difendere la mamma?

~ La voce, nel finto, ostinato scherzo, le trema. Si sfila un cuscino dal vestito, lo caccia via. Dice sbuffando.

Giulia      Oh, bene, sono stufa di portarlo. Ma come fanno tutte le mamme, per tanti mesi? È come fare un viaggio: tre volte il giro del mondo e col baga­glio a mano. Mi ammazzerebbe, a me.

Valerio    (una pausa, piano)   Non credo.

~ Giulia lo guarda, un po' stupita da quel tono. Sedendosi sul divano, gli dice, giocando con l'altro cuscino.

Giulia      Ah, non credi? Mi vedresti mamma, tu? Chissà, hai ragione, forse. (Gli getta il cuscino)  E tu, ne hai di figli? Pensa che neanche lo so.

Valerio   Sì, lo sai. Ho visto che ieri, anzi, mi guardavi le fotografie. Sulle prime, ho pensato che volevi rubare il mio portafogli, per giocare alla puttana.

Giulia      Non ci ho pensato... Già, mica male, anche questo gioco. Prima o poi, lo faremo.

~ Lo guarda dal basso, un po' torva, ridendo a bocca chiusa.

Giulia      Ah, grande amante, che paradiso mi stai regalando?... (Recita)  Lodo i tuoi sentimenti, l'estasi del tuo dolce cuore e... (rapida)  vedere quante magnifiche cose hai da dirmi.

Valerio    (sorride)   Faccio del mio meglio. Forse vorresti che fosse sempre notte, vero? Senza bisogno di parlare?

Giulia       (solenne, ironica)   Notte, oh, sì, notte! Come nel secondo atto del Tristano.

Valerio    (buttandosi al clownesco)   Ora sì va bene. Perché ho già pronta la mia citazione.

Giulia       (sorpresa)   Di cosa?

Valerio   Del tuo Tristano: « Santa notte

accogli gli amanti

nel tuo velo... ».

Giulia       (dura)   Basta.

Valerio   « .. Dissipa il giorno

distruttore ».

Giulia      Basta, ho detto, rompiscatole. Parole, ancora? Non le canti?

Valerio   Se vuoi, provo. Me la cavo, nel canto.

Giulia       (esasperata sempre)   E io te le ballo. Su, canta, tenore. Scapigliati, su. (Gli arruffa i capelli) I  cantanti hanno  molti capelli.  Tira  su, questa mano, sporgi la pancia e ripeti, forte... Com'è?

« Santa notte

... buffa notte

notte di merda... ».

Valerio    (calmo)   No, non è così.

Giulia      Notte di spazzatura, di catrame.

~ Una pausa. Valerio tace, teso.

Valerio   Me ne vado... Ti lascio qui, da sola.

~ Ha parlato troppo. Giulia tace, lo guarda. Valerio prosegue, più dolce, pentito.

Valerio   Ti monti la testa, ti esasperi.

Giulia       (lo guarda poi dice, ironica, sotto voce)  Porco cane, mi impressioni, sai?

Valerio   Vuoi che resti qui con te? Senza mai uscire, nemmeno... per quattro passi, a cogliere le violette?

Giulia       (gaia, ironica)   Era il programma, questo, amante mio.

Valerio   Amiamoci, allora, e stiamo qui dentro, e fumiamo... O dormiamo... senza parlare... perché tu mi esasperi, ora.

Giulia      Ti esaspero? (Pensosa e ironica).

Valerio    (lento)   Sì e vuoi saperlo? Non ti voglio sempre lì di fronte... (la sposta)  stammi di fianco, non mi guardare sempre in faccia.

Giulia       (restando tra lo scherzo e la furia)   E per­ché, ti vergogni se ti sto di fronte?

Valerio    (sincero)   Non ho voglia di... intratte­nerti sempre... Sai una cosa? Sembri sempre in visita, tu... Bisogna interessarti, rispondere...

Giulia      E tu non vuoi, vero?

Valerio    (violento)    Porco  mondo,  no!  (Pausa lunga)  Odio questo genere. E poi, non era il patto questo... Cosa avevi detto, al principio?... Un po' di quiete, di amore. Io non voglio altro.

Giulia      Ah, sì, niente altro?

Valerio    (scaldandosi)   No... e nemmeno tu; per­ché fingi allora, ti agiti? Parli del cielo, del Tristano! Passa un aereo e vai in estasi, come se fosse un angelo... Roba da morire dal ridere... E va a finire che poi ci piangi sopra.

Giulia       (scuote la testa)   Ti illudi.

Valerio   Permetti? Te la dò io, una lezione di vita. Chiacchieri di felicità, di quiete, mi hai por­tato... qui in un ritiro. Come gli altri pregano, noi dobbiamo fare l'amore.

Giulia      Gli altri, non tu.

Valerio   Allora, sii felice: come quell'albero, quel­la pietra, hai capito? Sta' zitta, sta' calma, respira, beviti la pioggia se piove e, se il sole ti scalda, prendilo tutto. Cos'altro vai cercando?

Giulia      Niente, adesso non cerco proprio più niente...

Valerio   Cosa intendi? Ti fai vittima, ora? E di chi? Mia, forse?

Giulia      Mia, sempre. Se manco di qualcosa, ac­cuso me. Che fregatura non credere in Dio... Che sol­lievo sarebbe, una bestemmia... È la più tenera delle preghiere, sai, la bestemmia... Perché vuol dire: te ne dico quattro, perché ci sei, e tienti saldo: prima di tutto a TE, mi rivolgo.

~ Una pausa. Valerio, piano, le dice

Valerio    Mai, preghi?

Giulia       (rapida)   No, quindi non bestemmio, mai. Me la prendo con me, soltanto, o con te: non si scappa, da qui.

~ Da fuori, da lontano, si incominciano a udire voci concitate, passi affrettati, un lamento. Sulle prime Valerio non ci bada. Dice, porgendo il bic­chiere pieno a Giulia.

Valerio   Dammi retta, impara dalle pietre, dalle piante.

Giulia       (prende il bicchiere e gli dice, provocatoria)  Dalle vacche, no?

Valerio    (calmo)   Anche da loro. Da tutti, fuorché da te stessa.

Giulia      Dalle pecore, dalle capre?

Valerio   Sì, da tutte le bestie, da tutte le piante e gli oggetti.

Giulia      Bestie cornute? O non cornute? Bestie come te?

Valerio         No, come me, no... Sono di razza inquieta, io... Ho aritmie, tachicardie...

Giulia      Me n'ero accorta... Sei una pulsazione irregolare. Tranne quando fai l'amore.

Valerio   Perché, quando faccio l'amore no?

~ Giulia, con un gesto comico, alza ed abbassa la mano a stantuffo.

Giulia      Allora, diventi di una monotonia esaspe­rante. Un treno merci.

~ I passi si sono avvicinati. Si odono grida di richiamo.

Valerio si avvicina alla finestra.

Giulia, subito in allarme, dice

Giulia      Che succede? Gente che se le dà?

Valerio    (guardando fuori)   Portano un ferito. L'hanno messo giù, sull'erba... Deve non farcela più.

Giulia       (si alza di scatto)   Vengono qui? Non saranno matti.

~ Si avvicina, rapida, alla finestra, si china. Tutti e due, ora guardano il pubblico, come fosse la montagna.

Valerio   C'è stato un incidente. Hai sentito qual­cosa, tu? O è caduto dall'alto... Perde sangue. A portarlo così, lo ammazzano.

Giulia      L'hanno messo giù, non ce la fanno, a portarlo. Muore in strada. Vedi, guardano qui... Ora vengono.

~ Si odono voci concitate, che si consultano, e un richiamo: « Hè, hò » seguito da una frase urlata, cupa quasi, in dialetto. Giulia dice, lenta ed esitante

Giulia       Stanno venendo. Non voglio.

~ Valerio la guarda, stupito, senza crederci. Giulia lo tiene per un braccio e gli dice, da vicino

Giulia      Se lo portano qui, è finita, non esce più di qui... lui. Dovremo andarcene.

Valerio    (lento)   Ma... è un ferito... Forse è grave...

Giulia       (eccitata, tesa)   Non ti mostrare, abbas­sati, che non ci vedano.

Valerio    (la guarda ancora, non volendoci credere. Resiste, quieto)   È un ferito, Giulia, non può andare fin giù... morirà... per strada. Apro.

Giulia       (sottovoce, tesa, disperata, scuote la testa)   No...

~ Valerio sta per reagire, ma bussano alla porta, alle finestre... È un martellamento di pugni, di calci, esasperati, esasperanti.

Voce         (URLA IN DIALETTO)

Voce        (URLA)

Voce        Non sentite?

Altra voce Non c'è nessuno?

Altra voce Che aspettate?

~ Altri pugni, calci. Giulia, disperata, si è avvin­ghiata a Valerio; col gesto, col terrore negli sguardi, con lo spasimo dell'espressione, più che con la forza, blocca Valerio, gli impedisce di rispondere.

Urla. Una luce, da fuori viene gettata dentro ad esplorare le pareti, come da una lampada da rocciatore. Appiattiti, rigidi alla parete, Valerio e Giulia sono sfiorati, due volte, dalla luce, che, però, non si ferma.

Di nuovo profonda, mesta, si ode la voce di prima

Voce        Andiamo. Non c'è più tempo.

Voce        Gettiamo giù la porta.

Voce        Non si può. È casa d'altri.

~ Pausa. Un'altra voce dice

Voce        Andiamo, questo non ce la fa più.

~ Un pianto di donna si alza terribile, lancinante, nel suo dolore. I passi si allontanano e per la seconda e ultima volta, nel corso della com­media, la MUSICA DI SCENA, incisa su nastro, elettronica, fa uno scroscio, cadenzato, da astrale marcia funebre.

Mentre dura, Valerio e Giulia stanno avvinghiati immobili; la scena è diventata quasi buia. Il vestito bianco di Giulia spicca nell'oscurità. Ora, con un solo gesto, Valerio accende la luce e si scorge, dilatato dallo stupore, dall'orrore, da un silenzio profondo, il suo volto che ancora, dal gioco, è tinto in nero. Lentamente, dice a Giulia

Valerio    (teso)   Li richiamiamo? Siamo ancora in tempo.

Giulia       (piano, ma irremovibilmente)   No...

Valerio    (senza muoversi)   Ce ne pentiamo, non si cancella, tra noi, questo. È... immondo... Giulia... Quell'uomo... muore... ha poche ore. Lo hai capito?

Giulia      Sì...

Valerio   Hai sentito, quella donna, come urlava? È sua moglie, certo. Giulia... vuoi che... li richiami?

~ Giulia tace. Valerio, improvvisamente esplode.

Valerio   Gli altri, per te non esistono, eh? E se un altro vive un giorno, o un anno, non importa? Non li conti, gli altri, vero? Sono merda, per te, vero?

Giulia       (una pausa. Poi gelida)   Conto i miei, di giorni. Per me, li tengo, non li dò a te o a quello che non so nemmeno chi sia.

Valerio   Ha poche ore di vita, quello... E tu te ne infischi, eh?

Giulia       (violenta)   Sì, me ne infischio. Ah, l'hai capita, finalmente. (Tace, poi piano, come diverten­dosi, dice)  Ed io, quante ore ho di vita? Lo sai? Quanti giorni? Dimmi un po', amante, quanti?

~ Valerio tace. Giulia gli va vicinissima, lo guarda quasi col viso accanto al suo. Feroce, dice

Giulia      Non t'accorgi se chi ti vive accanto, chi ti respira addosso, di notte, ha una cosa che la man­gia viva, eh? Se dentro al corpo che ti piace tanto, ha una bestia che ci pianta le unghie... Basta che il fiato non sappia di cattivo, che la pelle sia come Dio comanda, una pelle per farti piacere.

Valerio   Hai bevuto?

Giulia       (si apre la camicetta, si scopre una spalla)  Dài, tocca, divino amante... Guarda... Dura pochi giorni... Poi si apre e ti faccio schifo, amante, e non mi tocchi più. (Gli prende una mano se la mette sulla spalla nuda)  Perché non tocchi? Hai tempo, vedi, è compatta ancora... Liscia... Appena si vedrà, io sarò lontana e tu ne toccherai un'altra di certo. Approfitta, ora... È soda.

~ Valerio cerca di liberarsi, di dominarsi. In un parossismo, Giulia lo stringe, gli grida sul viso

Giulia      Hai tempo, ti ho detto. Dieci giorni, un­dici... Approfitta.

~ Gli punta la mano sul petto e, gestendo con l'altra, dice

                  Lo hai capito? Tra un mese, crepo... Mi opererebbero... Ma ho detto di no. Chi le tiene insie­me, le mie ossa? Lo hai capito? (Ride, crudele)  Ah, benefattore, boy-scout che vuole sciogliere il suo voto... Lo sai che mi importa se un altro crepa, domani...

~ Vacilla, appena, come sotto un peso, si riprende

Giulia      Io, crepo, io... e finché non sento suonare alla porta, non mi muovo. Hai capito?

~ Valerio non risponde. Giulia lo guarda. Dice

Giulia      Non mollo, io. A che razza di veglia ti ho chiamato, poveretto! « Un mese d'amore ». « Amarsi notte e giorno ». Sì, fammi tu il paradiso. Non m'importa più, poi, chi mi chiama.

~ Lo guarda. Ha un lampo di intuizione, o crede di averlo. Dice, muovendosi, rapida nella stanza, e andando verso la sua valigia

Giulia      Non mi credi ancora, eh? Non mi credi, eh, certo. Allora, guarda cosa nascondevo: la cosa « mia », la più « mia », guarda...

~ Ha tirato fuori, da una grande busta nascosta nel falso fondo della sua valigia, una lastra nera, scintillante: una radiografia. Torna verso Valerio, gliela alza sul viso, la mostra alla luce. Simultaneamente, in alto, in un'enorme diapo­sitiva, come in un contraccolpo a ciò che Giulia fa, una lastra s'illumina, in trasparenza, sul pal­coscenico, prendendo un colpo di luce.

Giulia      Credevi di conoscermi?  Invece...  Ecco qua... Lei è Giulia, non io. Guarda, su... cosa temi? Vedi?

Valerio    (distogliendo lo sguardo)   No, non voglio vedere.

Giulia      E perché no? Ti fa orrore? Che dici ora? Parla...

Valerio    (in una pausa)   Guarirai...

Giulia      E cos'altro?

Valerio   La lastra è nulla... Ti curi e... domani è diverso.

Giulia      Guarirò? E tra quanto? Sei sicuro?

Valerio   Oggi è oggi... cosa conta questo?

~ Gli toglie la lastra di mano e contemporanea­mente si spegne la diapositiva.

Valerio   Se vuoi vivere, guarirai... Giulia hai capito? Se lo vuoi, guarirai... se ami, vivi... Se ci credi... se lo decidi... vivi... Mi credi, amore? Hai pazienza, vuoi lottare? Non sei sola, Giulia, in due siamo... io e te... e gli altri amici, amore... Milioni, miliardi, per difenderti... Mi credi, Giulia?

~ Calmissima, a voce spenta, irreale, quasi, Giulia, lasciandosi tenere stretta, dice soltanto

Giulia      No...

~ In alto, etereo, remoto, il rumore sottile di un jet che vola ad altissima quota, negli spazi lontani del firmamento.


ATTO TERZO

~ Ad apertura del sipario, Giulia, di spalle, in pan­taloni, camicetta, i capelli sciolti, stira, fischiet­tando, sul tavolo da gioco ancora coperto di carte e di « fiches », un suo abito da sera. Il ferro, assurdamente, è attaccato in alto, da un lungo filo, alla lanterna di carrozza del Sette­cento, da cui piove un bel chiarore. Ma il giorno è alto: il sole, dal lucernario, si scontra - qui - con una metà di ombra. Il silenzio, nella valle, è assoluto, lontano, remoto, s'ode solo un tor­rente. Un colpo leggero alla porta fa trasalire Giulia, che non si volta. Stirando sempre, attende poi, a un altro, più lieve, colpo, dice piano

Giulia      Valerio.

~ Non c'è risposta. Un fruscio, e il colpo, più forte, si ripete. Giulia, stirando sempre, dice

Giulia      Kriselda?

~ Non c'è risposta. Più forte s'ode il torrente, poi ancora un colpo, due colpi.

Voltata, Giulia dice, forte

Giulia      Kriselda? Valerio? Tutt'e due forse? 0:hi dei due? Siete insieme? È uno scherzo? Comun­que, accomodatevi...

~ Un altro colpo, leggero, e un soffio. Giulia trasale, stacca il ferro, attende, superstiziosa, domanda

Giulia      Ma chi è? Volete entrare? E perché no? Apro io. Pazienza, vengo. Aspettate.

~ Va alla porta, dominandosi e con la mano si ravvia. Accende la luce. Gira la chiave, apre. Guarda, ride.

Giulia      Oh, tu, sei il benvenuto! Bello, che bello sei... vieni, entra.

~ Si tira da una parte, ride ancora. Ma nessuno avanza. Giulia insiste, batte il piede.

Giulia      Entra, dico. Sei il benvenuto. Mi piaci. Che bella idea. Quasi quasi ti aspettavo. Su, vieni, vieni.

~ Attende, ma nessuno avanza. Allora Giulia stende la mano e tira, dolcemente, traverso la porta aperta, per il pelo biondo e rossiccio, un cane da pastore, dagli occhi buoni, che fa qualche passo, stecchito, sulla « moquette » di velluto. Giulia, felice, lo carezza, lo spinge dentro, lo tira.

Giulia      Che bello, sei... Hai fame, hai sete? Mi vuoi un po' di bene? Starai con noi? Vieni... Di che hai paura?

~ Lo prende alla criniera, lo sfiora con le dita, sulla fronte, sul naso, felice: ride, lo bacia, lo abbraccia.

Giulia      Sei bello... sei splendido... Che occhi, hai! guardami: hai paura? No, non ce l'hai! Non hai paura, eh? Sei contento, vieni.

~ Il cane resiste, Giulia, subito ombrata, insiste.

Giulia      Su, vieni, vieni, ti dò lo zucchero. O vuoi dell'acqua? Hai sete?

~ Prende dalla tavola molte zollette, gliele porge. Il cane arretra, non le prende.

Fosca, triste quasi, Giulia domanda

Giulia      Ma perché? Non ti ho chiamato, sai... Tu, sei venuto. Adesso, gioca un pochino. Ti piaccio meno? Prima, mi hai guardata... E ora? Ti carezzo, aspetto, ecco...

~ Lo carezza, teneramente ma, inesplicabilmente, il cane arretra, la evita, vorrebbe uscire.

Giulia       (un po' seccata)   Ma perché? Cos'hai? Hai paura, adesso? Vieni...

~ Schiocca le dita, le labbra, lo chiama. Il cane arretra. Giulia lo respinge, con ira

Giulia      Oh, bene... Vattene... sono contenta. Be­stia stupida... Vattene, va' via!

~ Apre la porta, lo fa uscire, lo spinge.

Giulia      Torna dai tuoi. Non chiamarmi. Non ti apro più. Su, va' dalla tua mamma...

~ Ha detto l'ultima frase come un'invettiva. Fuori, mentre lei torna al suo ferro da stiro, si alza - remoto - un primo colpo di scure, sopra un tronco. Altri gli seguono, monotoni, formidabili. Giulia non vi bada, adesso. Un passo giunge da fuori. La porta cigola. Giulia non si volta, e, come con un sesto senso, dice

Giulia      Valerio?

Valerio    (entrando con una cinepresa)   Sono io.

Giulia      Buongiorno. Sei soddisfatto?

~ Valerio posa la cinepresa.

Valerio   Ho il panorama. Però, adesso, voglio te, al centro.

Giulia      Dopo. Sono brutta. Guarda che capelli. Mi vesto, mi pettino bene.

Valerio   No... Ma no, stai benissimo.

~ Prende la cinepresa, la inquadra dal davanti. Giulia alza il ferro, si mette in posa, sorride.

Giulia      Donna di casa?

Valerio   E da alcova. Perfetto.

Giulia       (sincera)   Grazie.

~ Stira ancora un poco, riflette, e dice

Giulia      Non so perché.

~ Pausa.

Valerio    (un po' allarmato)   Che cosa?

Giulia      Stiro questo abito. E gli altri.

Valerio   Per metterteli, no?!

~ La inquadra ancora, gira qualche metro. Giulia non gli bada.

Giulia       (quieta)   Già, per metterli.

~ Più forte, da fuori, si odono i colpi, inesorabil­mente regolari.

Giulia       (senza alzare la testa)   Ma chi è che batte?

Valerio    (sempre inquadrandola)   Dei taglialegna. Prima, li ho visti. Sono dovunque. Non qui: lontano. Hanno tende, famiglia. Cento, duecento. Buttano giù qualche pino.

Giulia      Peccato. E continueranno molto?

Valerio   Temo di sì.

Giulia      Non molto, spero.

~ Valerio posa la macchina, le si avvicina, la porta al divano, carezza i suoi capelli. Intanto, Giulia spiega alla luce il vestito che ha stirato, lo osserva.

Giulia      Ha un bel colore. Ti piace? L'ho comprato da poco e, ancora, mai messo.

Valerio   E perché lo stiravi? Come mai se è an­cora nuovo?

Giulia      La  valigia! Era tutto una piega. Lo indosso. Vuoi?

Valerio   Sì, così ti riprendo.

~ Rapida Giulia si spoglia e in un batter d'occhio indossa il bell'abito da sera, scollato, di seta nera, meraviglioso, mortuario. Valerio le indirizza dall'illuminatore un enorme raggio, ma, guardandola, esita: non la inquadra e non gira.

Scura, bellissima nella luce viva, Giulia attende, le braccia conserte, paziente, poi dice

Giulia      Allora?

~ Valerio trasale poi fa ronzare la cinepresa. An­cora l'attira a sé e dice, dolce

Valerio   Ho voglia di baciarti.

Giulia       (seria, dolce)   Non credo.

Valerio    (la stringe a sé)   Ecco; guarda un po' se è vero.

~ Giulia si schermisce, si rifiuta al bacio. Valerio le dice

Valerio   Perché non vuoi?

Giulia       (netta)   Perché tu non lo desideri molto.

~ C'è una pausa, con vibrazioni, grande tensione.

Giulia sorride, poi dice

Giulia      Cosa vuoi bere?

Valerio    (riprendendosi)   Del tè. Ma... più tardi.

~ Giulia annuisce, fa due passi e si ferma, pen­sosa, sotto il lucernario guardando in alto.

Valerio    (attende. Poi inquieto)   Che cosa guardi?

Giulia       (pronta)   Perché?

Valerio    (cambiando discorso)   Usciamo... È pieno di fiori. Ci sono i papaveri, perfino le primule. La neve, in alto, si scioglie. Fa caldo, ormai.

Giulia      Lo so.

Valerio   Tra un mese è marzo. È proprio prima­vera.

~ Un silenzio. Valerio si morde le labbra, cerca un altro argomento. Immobile sempre, Giulia se ne accorge.

Giulia       (calma, ironica)   Ti sei morso le labbra. Perché?

Valerio    (non risponde. Dice)   Ti metto un disco?

Giulia      Perché arrossisci? Balbetti, esiti. Dillo, non esitare. Tra un mese è primavera. Poi sarà estate. Poi, autunno.

~ Valerio tace. Fuori, cadenzati i colpi dei taglia­legna. Due, tre, quattro volte. Al quinto, Giulia con un grido, scaglia un bicchiere al muro.

Giulia      Li  lasci andare  avanti? Continueranno così, di giorno, di notte? Mi fanno impazzire!

~ Valerio scatta in piedi, blocca Giulia tra le brac­cia, la calma, la stringe. Giulia si domina.

Giulia Faccio schifo. Scusami.

Valerio    (dominandosi)   Partiamo, vuoi? Domat­tina... Quegli uomini... vengono avanti. Il rumore cresce, ti disturba. Andiamo via. Subito.

Giulia       (staccandosi da lui, lo guarda)   Via?

Valerio    (calmo, dominandosi)   È quasi la darà, ormai, e non ti piace più stare qui; i rumori ti di­sturbano... c'è disordine.

Giulia      No, non voglio andare via.

Valerio   Scendiamo, in tante tappe. Un giorno qua, un altro là. Non ti piacerebbe? Qui non stai bene, ormai... l'ho capito. Partiamo.

Giulia       (fredda)   Tu parti, io resto. Ho sei giorni, cinque e mezzo, anzi. Cinque notti e l'aria...

Valerio   Che cosa?

Giulia      Non ha odore qui. È pulita e sa di bosco. Se scendiamo...

Valerio   Che accade?

Giulia      Cambierà. Non voglio scendere... ancora... Mi piace... quest'aria.

Valerio    (una pausa)   Va bene.

Giulia      Tu... sei impaziente?

Valerio    (quasi duro)   Di che cosa?

Giulia       (rapida, con noncuranza)   Di partire.

Valerio   No, ma a me, qui, tutto piace. Perfino i taglialegna... tutto... Sei tu, a volte, che ti lamenti.

Giulia      È vero, scusami.

~ Valerio si avvicina al giradischi, mette un disco. Prima di udirne il suono, Giulia stende, rigida, un braccio, e dice

Giulia      Cosa metti?

Valerio    (incerto)   Haendel. Non ti piace?

Giulia       (dopo una pausa, gaiamente violenta)   Ah no. Lascia fare a me, ora. Scelgo io. Fidati.

Valerio    (sollevato, ma sospettoso)   Certo, scegli tu.

~ La luce, da fuori, si è abbassata notevolmente. Sì fa grigia, quasi fosca. Valerio, prevenendo Giu­lia, dice

Valerio   Cambia il tempo.

Giulia Si fa buio? (Noncurante)  E tu, accendi.

~ Valerio, alzandosi, accende la luce.

Giulia schiocca le dita e dice a Valerio, allegra

Giulia      Sta' attento.

Valerio   Che cos'è?

Giulia      « Black Nativity ». Si prega, si balla. È l'ideale.

~ Dal disco, potente, con voce di dolore ancestrale i contralti negri, battendo le mani, cantano con estasi, con pena. Giulia accenna al ritmo, si scuote, dondola, batte le mani e dice

Giulia      Anche tu, avanti, impara! Batti, sii.

~ Gli fa vedere, gli da il ritmo. Insiste.

Giulia Non ti piace? Batti. Batti le mani.

~ Frenetica, ma un po' ridendo, batte le mani, ac­compagnando il canto, scuotendosi. Valerio, sfor­zandosi, viene avanti, batte il tempo, si da il ritmo. Giulia, in piena ebbrezza, abbraccia Valerio e balla con lui, quasi a « slow » la « Natività negra » cantando, a bocca chiusa, a occhi chiusi, soavemente. Ora un contralto poderoso, dolcis­simo, canta la ninna-nanna al Bambino sul coro degli altri.

Fuori, dai monti, si ode un tuono, pieno di rim­bombi. Valerio alza la testa. Giulia continua a ballare, cantando sottovoce. Tuona ancora, e il contralto, in ritmo lento, estatico, canta profondamente e dice, con antica umiltà, su note gravi e fonde: « Sweet Little Jesus Boy'n Poor Little Jesus Boy ». Ballando lenta, con Valerio, Giulia quasi si fa immobile e, appena, oscilla, nascon­dendo la faccia nel suo petto, come a riposare. Si capisce che, nascosta, umilmente, piange. Tuo­na ancora. Valerio non dice nulla. Da qualche attimo la porta si è aperta ed è entrata Kriselda. I suoi capelli, il suo vestito sono sgocciolanti, chiazzati d'acqua. Ma il suo viso, come e più di sempre, è tranquillo, luminoso. Kriselda guarda, appoggiandosi alla parete, i due che ballano e sta zitta, forse vergognandosi un po', nascon­dendosi.

Ballando lenta, appoggiata a Valerio, Giulia la scorge. Ha, finora, umilmente e silenziosamente pianto. Ma ora, dice a Kriselda, quasi con ostilità

Giulia      Perché te ne stai nascosta? Hai fatto bene ad entrare. Di che hai paura? Vieni avanti.

~ Kriselda, un po' intimorita, fa segno di no. Bal­lando, sempre - sul nastro, ora, la musica è mu­tata - Giulia le dice

Giulia      Non ti piacciamo forse? Ma se è tanto tempo che ci spii! Credi che non me ne sia accorta? Hai scoperto tante cose, guardando noi? Ti com­piango. È certo: per te, spiarci, studiare, è come essere stata in città. Vieni avanti.

~ Si ferma. Piano, Valerio le dice Valerio Non spaventarla.

~ Giulia lo guarda. Ma trascinata dal suo impeto amaro, prosegue

Giulia      Credi che siamo di un altro mondo, noi? O dell'altro mondo? Venuti da Marte? O dal mezzo della Luna?

(La prende per un braccio, la tira in mezzo alla stanza, sotto la luce) 

Tu, piuttosto, come fai ad essere quella che sei? Se ti metti i miei vestiti, resti uguale. Se ti pettini come mi pettino io resti uguale. Se ti spogli, se ti togli questo vestito, se rimani nuda, allora sì che sei proprio tu e più nessuno ti assomiglia. (Quasi la scuote)  Ma se il signore qui - lo vedi come è pallido - fa l'amore con te, ora, lui non resta uguale. Diventa allegro, si mette a cantare. Se ha toccato te, cambia subito; gli metti addosso il tuo calore. Ma lo sai, che cosa hai dentro?

~ Il nastro fa udire un'altra musica e Giulia sem­pre tenendo Valerio per una mano, trascina nel ballo anche Kriselda, un ballo assurdo e lento.

Giulia      Vieni, fa come noi, dacci tutto quello che hai, vuoi? Se mi attacco a te mi lascerai andare? Se io cado, non mi terrai su? Se ti chiedo di stringermi forte la mano, non me la stringerai?

~ Trascina, violenta, Kriselda e Valerio, nella danza che è sempre più veloce, mentre fuori piove, tuona.

Giulia       Voglio andare avanti senza fermarmi. Kriselda, Valerio, non siamo amici, non ci cono­sciamo bene, non facciamo tutt'uno? Se io scivolo non verrete giù con me? Se campate cent'anni, non li camperò anch'io? Su, batti le mani, battete le mani, tenete il ritmo, avanti, avanti...

~ La luce, lentamente, si spegne sul ballo, a que­sto punto evidentemente tragico, di Giulia, Kriselda e Valerio. Quando, sulla scena, la luce ritorna da fuori il chiarore del giorno è più basso, il rumore della pioggia è più compatto. Kriselda sta di nuovo immobile, appoggiata al muro, a capo chino. Il rumore della pioggia è altissimo, violento.

Kriselda ora alza il capo e fa per uscire. Valerio dalla sua posizione immobile alza anche lui il capo. E fa per dire qualcosa. Ma anche Giulia ha fatto lo stesso movimento e, stesa una mano, quasi rigidamente, trattiene Kriselda intimando­gli da lontano

Giulia      Aspetta. Kriselda!

~ Si alza, Kriselda - immobile - sta di profilo, un po' ansiosa. Giulia solleva a due, a tre, i suoi abiti, e li porge a Kriselda.

Giulia      Te li regalo. Prendili. Su, reggili.

~ Le alza, rigide, le due braccia come attaccapanni, vi appoggia gli abiti. Poi aggiunge

Giulia      Aspetta. Ti dò anche questi. E gli altri. Portateli via.

~ La carica di vestiti. Kriselda, commossa, vor­rebbe rifiutare. Violenta, cordiale Giulia la mi­naccia

Giulia      Ammattisci? Li getto via, sai! Gli dò fuoco, li brucio, se non li prendi. Perché, sono brutti? E tu, vendili.

~ La spinge, poi la trattiene ancora, dicendo

Giulia      Una cosa ancora, aspetta. Se no li rovini, con questo diluvio.

~ Da un armadio prende un ombrello rosso, ele­gante, bellissimo; lo apre e glielo porge nella mano, spingendola.

Giulia      Via, via... Hai proprio tutto... Non venire, domani... domani... no, hai capito?

~ Scuote la mano, le fa cenno di no, in alto, davanti alla faccia. Valerio, alle spalle, si alza lentamente. Giulia prosegue, approvando.

Giulia      Hai capito, lo vedo che hai capito. Va'... ora... No, aspetta. Fatti vedere ancora un attimo.

~ La guarda, tenendola sulla porta, carica di vestiti, l'ombrello aperto, come a imprimersela bene nella mente.

Giulia       (guardandola, quasi con affetto)   Sì, non posso dire che tu non sia un po' assurda, che tu non abbia qualcosa di troppo. Ma appena sarai fuori di qui, quello che è di troppo forse te lo porterà via la pioggia. O sarai tu a gettarlo via. E, ti racco­mando, non fare complimenti.

~ Le mette, per un attimo, le due mani sulle spalle.

Giulia      Guardami e giura di dirmi la verità. (Non aspetta, prosegue subito)  C'è un punto, un piccolissimo punto della tua coscienza di stupida ragaz­za, nel quale io mi sia infilata, con la mia immagine, facendomi ricordare ancora tra qualche anno, anche se tu non vuoi?! No, vero? Hai capito benissimo, scuoti la testa, dici di no. Ma come, non mi hai invi­diata neppure un attimo, di', non ti ho dato mai nemmeno un po' di curiosità? Se fossi venuta o non fossi venuta, in questo posto di montagna tutto per te sarebbe stato lo stesso? (Tace, la guarda. Prose­gue già spingendola)  Va' là, che ho paura sia pro­prio la verità. Ti sei appena accorta che ti sono pas­sata vicino. Hai cari - vero? - quei due bei seni che ti scaldi nella camicetta. Sono quelli che ti fanno la migliore compagnia. Più in là di quelli non vedi. Al massimo vedrai più in là, quando li metterai vicini, uno all'altro, per farci mangiare e bere tuo figlio. Ed anche quello, per fortuna, ti farà compagnia. Auguri, auguri, Kriselda... Va' via, va' in proces­sione... tu i miei vestiti, e l'ombrello rosso.

~ La spinge, per sempre fuori, e dice

Giulia      Marsc, ora! Non ti voltare, via. Chiudo.

~ Chiude la porta, attende un attimo prima di voltarsi. Alle sue spalle, Valerio, serio, le si è avvicinato. Fuori, nella pioggia, il rumore dei taglialegna si alza frequente, regolare, vicino. Voltando le spalle alla porta, Giulia si porta le dita alle orecchie, se le tura, ha un attimo di spa­simo, chiude gli occhi. Ma Valerio, ormai accanto a lei, la prende tra le braccia. Giulia, a occhi chiusi, mormorando, gli dice, umile, quasi dolce

Giulia      Se smettessero un attimo. Un attimo solo! Partiamo domani. Se la finissero... un minuto solo.

~ Riapre gli occhi. Sorride. Stringe anche lei Valerio alla vita, e gli dice, quasi allegra

Giulia      No, non mi disturbano, poveretti, battano pure. Sono sciocca, a badarci tanto; invece, tengono compagnia.

~ Valerio la guarda, inquieto, ma le sorride. Giulia gli dice, stringendolo, guardandolo

Giulia      Che guardi? Sono allegra, non protesto, non grido... Tutto, se stai qui, mi va bene. Oggi è oggi, non è vero?! Domani... non sappiamo.

~ Lo bacia, a lungo. Valerio la stringe, la bacia sulle labbra, sulle guance, sugli occhi, in un impeto dolce. Da fuori, regolare, potente, giunge il ritmo dei colpi di scure dei taglialegna, mentre la luce, lentamente va via.

La luce, formando e fissandosi all'inizio in un unico conico raggio, illumina il quadro astratto che è tra le due tende aperte. Grigio, fiammeg­giante, esplosivo di forme, follia di cellule che si distruggono, il quadro pende sulla scena come il totem stesso della morte. Lasciando, in alto, il suo centro luminoso, la scena discretamente, sotto, s'illumina in tutto di una penombra di alba. Valerio e Giulia - le valigie sono pronte - si muovono, senza parlare, riunendo insieme le loro cose. Valerio, mentre Giulia passa, dice

Valerio   Il tempo, si è rimesso. Fuori, la terra è asciutta. Non si scivola ma, alle curve, innesta la terza, sii prudente.

Giulia       (serena, girando a coglier roba)   Sarò prudentissima.

Valerio   Da stasera, ti telefono. Ogni giorno, ogni sera.  Sarai  sola. Vengo quando  mi  chiami.  Non temere. Andrà tutto bene.

Giulia      Vuoi venire? (Pausa. Grave)  No, questo, davvero, no.

~ Valerio si ferma, la guarda, le prende un gomito, la gira.

Valerio   Perché no? Vuoi capirlo? Tu guarisci. Vai a guarire, non c'è rischio, ti salvi. Andrà tutto bene.

~ Giulia non risponde. Esita un attimo, poi scivola via e porge a Valerio qualcosa che prende dallo scaffale.

Giulia      La tua pipa.

Valerio   Grazie.

Giulia      Il libro. Le carte. La... penna. Scordavi tutto. I guanti.

Valerio    (prendendoli)   Grazie.

Giulia       (scherzosa)   Cos'altro vuoi ora? Che devo ricordarti? Non dimentichi niente?

Valerio   Che cosa?

Giulia      I pensieri... le parole che mi hai detto.

Valerio   Vorresti darmeli indietro?

Giulia      Ma non esistevano. Tutta la passione che abbiamo messo anche per darci un solo bacio, il sudore di quelle notti in cui il cielo pareva ridiven­tato d'oro, come a Natale, quand'ero bambina. E tutti i vuoti delle bottiglie che abbiamo bevute, la cenere con cui abbiamo sporcato il camino, l'im­pronta che possiamo aver lasciato su quel letto, dove avranno dormito chissà quante altre persone, e non certo quello dove io e te siamo nati...

Valerio   Ma perché? Perché vuoi andare via come se non fosse rimasto niente di noi, dopo questi quindici giorni?

Giulia       (guardandolo fisso, ma quieta)   Il letto do­ve non sono certo nata. (Una pausa. A voce ferma, ma lieve)  Né quello in cui morirò.

(Una pausa, lunghissima, in cui tutto il sonoro vibra, e la scena - in senso appunto sonoro - si fa pura « atmo­sfera »).

~ Poi Giulia si volta e dice, avviandosi all'uscita

Giulia      Bene, allora...

Valerio   Esci? Dove vai?

Giulia       (gaia, quasi)   Vado a scaldare il motore. Se è freddo, la macchina non parte. Anche il motore della tua, scaldo, se vuoi. Non ci avevi pen­sato?

Valerio     Sì, grazie. Io vengo subito.

Giulia       (con un sorriso, avviandosi verso l'uscita)   A qualcosa, dunque, ancora, posso esserti utile.

~ È quasi arrivata all'uscita. Ma, con uno sforzo come enorme su se stesso, Valerio nel momento in cui lei è già uscita, si volta verso la platea, si appoggia   al   tavolo,   sembra,   profondamente, riflettere. Da fuori si ode, dopo un attimo, il rombo del motore imballato, su di giri. Senza muoversi, Valerio, alzando un po' la voce, dice

Valerio   Giulia.

~ Nessuno risponde. Si sente solo il rumore del motore imballato. Alzando, ma solo di poco, di più la voce, ma come se pronunciare questo nome gli costasse uno sforzo enorme, Valerio ripete

Valerio   Giulia.

~ Da fuori, la voce di Giulia risponde

Giulia voce f. c. Non posso muovermi. Il motore è freddo. Ce ne vuole prima che riprenda. (Una pic­cola risata)  Per quindici giorni le automobili sono state ferme. Lo hai scordato?

~ Con lo stesso strano suono di voce, Valerio risponde

Valerio   Fissa il comando al cruscotto. Non è necessario che ti stia lì. (Poi, con un altro, nuovis­simo tono)  Vieni, Giulia.

~ Dalla porta, lieve, impressionante, è comparsa Giulia. Si comprende bene che, nell'allarme di tutta la sua personalità, ha afferrato che la voce di Valerio porta a una difficile verità. Lo capiamo da come fa altri due passi, fermandosi sulla soglia. Guarda Valerio, attende. Da fuori, il rumore del motore continua, alto. Giulia non dice niente. Piano, quasi umilmente, Valerio parla.

Valerio   Ti devo dire una cosa...

~ Giulia, immobile alla porta, non risponde. Il ru­more del motore, da fuori, è alto.

Valerio    (proseguendo, quasi sullo stesso tono)  ...piccola, insignificante o che almeno è diventata insignificante, per me. Mi pare quasi di guardare, ora, col cannocchiale con cui giocavi quel giorno. Le cose più grandi, si sono rimpicciolite. Quelle che prima contavano molto, ora non contano quasi più.

~ Su tutte queste parole di lui, Giulia ha incomin­ciato ad avanzare, lentissima, quasi allucinata, in silenzio, presentendo. Lasciando che lei si avvi­cini, Valerio le dice, umilmente, ma con la cru­dezza d'una verità oggettiva.

Valerio   Poche volte ho fatto tanta fatica a par­lare. E non sono mai stato così sicuro di non essere capito. Potrei dire, fin d'ora, quello che mi rispon­derai. Ti parrà tutta una recita cattiva che abbia fatto per te.

~ Guardandolo sempre, con presentimento, Giulia continua ad avvicinarsi a lui, in silenzio. Con sforzo, dopo ma pausa, Valerio continua

Valerio   La tua amica... il medico... mi avevano avvertito...

~ Giulia, già vicinissima a lui, in un soffio, come impietrita, dice piano

Giulia      Lo sapevi?

~ Valerio a quel tono basso, spento, impietrisce a sua volta ma sopportando il suo sguardo dice

Valerio     Sì. Ma ora ti amo.

~ Folgorata, ipnotizzata, Giulia con lo stesso tono, pensando, ripete:

Giulia      Lo sapevi...

~ Valerio fa per toccarla, dice

Valerio    Vedi...

~ Ma Giulia scatta, lo colpisce con furia, si getta su lui, lo scuote e tra i singhiozzi, grida

Giulia      È stata pietà, la tua, vero? Lo sapevi...

~ In un impeto di furore, disperata, lotta con lui, lo scuote, lo graffia, gli sputa in faccia. Tentando di fermarla, Valerio grida

Valerio   Sì, lo sapevo... Ma cosa cambia? Ti ho amata, ti amo... È vero, non è stata pietà... Non ti ho aiutata... (Grida disperato, in un modo che è sincero)  Non sono buono, io, non faccio... il bene... Che conta? Ti amo...

~ La stringe, la domina, senza riuscire a tratte­nerla.

Valerio   Io ti desidero... non l'hai sentito? Non lo sai? È questo: passione, desiderio, amore... Pietà? No: passione, lo capisci? (La scuote, le grida)  Mi credi, mi ascolti?

~ Ma infrenabile, trattenuta avvinghiata a lui, scuo­tendolo ancora, Giulia gli sputa ancora in faccia e ripete, con un singhiozzo.

Giulia      Pietà... pietà... pietà... dillo, su... pietà.

~ Chiudendola nelle sue braccia, stringendola con forza Valerio cerca di dominarla, di farla tacere. La copre di baci, le chiude la bocca con la sua bocca.

Valerio   Non potevo lasciarti partire senza dir­telo. Più tardi, non me lo sarei perdonato. Sì, ho finto per te, quello che tu volevi, giorno per giorno. Ma poi, è stato diverso. E mi sono sentito vero, vivo, come non lo ero mai stato.

Giulia       (ride, quasi ferocemente)   Perché hai sco­perto che sei buono... Non perché mi amavi... Per­ché hai amato te stesso e la tua pietà... (Lo scuote di nuovo con furia)  Mi hai ingannata. Non aggiun­gere niente. Quelli come te fanno morire gli altri: la loro bontà, l'orribile pietà. (Ancora, su un tono più sgraziato, gli grida)  Perché proprio adesso che stiamo per separarci l'hai voluto dire? Volevi sen­tirti la coscienza a posto, non è vero? E partire, sa­pendo che io conoscevo la verità.

Valerio   Ma non me lo leggi in faccia?... Ti amo, ora. Mi metterei tra te ed ogni tuo dolore. È cam­biato tutto in me, anche attraverso le nostre ore più vuote. Attraverso la tua paura, la tua speranza.

Giulia       (aspra)   È l'ultima tua trasformazione, questa? Dici di amarmi, per sentirti ancora più buono? Ma io non ti credo.

~ Valerio sta per prenderla di nuovo tra le sue braccia. Terribilmente quieta, ora, Giulia gli dice

Giulia      Non mi toccare.

~ Aggiunge dopo una pausa, come se questa parola detta con calma, riassumesse anche con una sfu­matura d'ironia, quello che pensa in questo mo­mento

Giulia      Sei il mio nemico.

~ I suoi singhiozzi si calmano. Ora i due amanti sono perfettamente immobili. Da fuori, alto, il rumore del motore imballato dell'auto di Giulia continua. Si è alzato, ora, anche un vento leg­gero. A voce quieta, sembra - e in ciò più ter­ribile - Giulia, aprendo gli occhi dice

Giulia      Andiamo, ora.

~ Valerio si scuote, allenta la sua stretta, stupito, esitante e le dice

Valerio   Tra poco.

Giulia       (calma, inflessibile, scuote la testa e dice)  No, ora: partiamo.

Valerio   Calmati, prima.

Giulia       (lo guarda, ironica, dura e risponde)   Sono calma. Non vedi? Andiamo.

Valerio    (dopo un'ultima pausa, deciso)   Va bene.

~ Solleva le valige, le porta fuori. Si volta verso Giulia

Giulia      Va'... chiudo la casa io. (Sorride e ag­giunge)  Non temere. Vengo.

~ Valerio esita ancora un attimo, poi esce, la­sciando aperta tutta la porta. Giulia si guarda intorno, come volesse impri­mersi un'ultima volta tutta la casa negli occhi. Lentamente spegne prima una luce, poi un'altra. Guarda un'ultima volta in alto, verso il lucer­nario, la luce che ne scende. Spegne, ancora, l'ultima luce. Poi, decisa, rapida, esce chiudendo, con un colpo secco, la porta. La luce del giorno, entrando a fascio, illumina con violenza, anche con tonalità rossastre, il grande quadro che pende, enorme, sulla scena, unico punto in luce.

Fuori, uno dopo l'altro, i motori delle due auto­mobili, crescono, si allontanano, si affievoliscono.

Nessun suono dì clackson.

Il sipario qui, rimane aperto. Due accordi sem­plici di musica, avvertono che la commedia è

...finita

Copyright 1967 by Brunello Rondi.

Questa commedia è stata rappresentata al Teatro Duse di Genova, il 6 aprile 1967, dalla Compagnia Proclcmer-Albertazzi. Regìa di Brunello Rondi. Scene di Silvano Falleni, musiche di Roman Vlad. Le parti sono state così distribuite: Giulia (Anna Proclemer); Valerio (Giorgio Albertazzi);   Kriselda (Ursula Vaniszewski).