Gli occhi consacrati

Stampa questo copione

 


Dramma napoletano in un atto

di Roberto BRACCO

(Versione dal dialetto, approssimativamente italiana)*

Arnoldo Mondadori Editore – Milano 1961

PERSONAGGI

FILOMENA SCHISANO

LUIGI PAGLIUCA

FERDINANDO ANFROSINO

CONCETTA

GIOVANNI

MICHELE

RAFFAELE (Raffaeluccio).

TOTONNO

ANIELLO

SAVERIO

GENNARINO

UN ANONIMO

La versione italiana di Ll'uocchie cunzacrate fu rappresentata la prima volta dalla Compagnia Talli - Melato - Benone. L'Autore, nel curarne la stampa, non sa ricordare notizie più precise della prima rappresentazione.

*Vedi Avvertenze per gli attori a pag. 1


* AVVERTENZE PER GLI ATTORI

Nei vocativi m'è parso opportuno serbare a questi nomi la maniera dialettale:   Filomè,   Luì,   Ferdinà,   Concè,   Giovà, Michè,   Rafelù.   Totò,   Anié,   Savè,  Gennarì.  Egualmente, "Padrona" diventa: Padró. - "Titò", come Filomena chia­merà l'Anonimo, è un modo dispregiativo di chiamare una persona di cui non si conosca il nome. - Nennéè il vocati­vo di "Nennella", vezzeggiativo napoletanissimo di "fanciul­la",  di  "ragazza". - Giovannisarà spesso chiamato:   "Si' Giovà". Quel si' è una specie d'appellativo riguardoso che il nostro popolo accoppia talvolta al nome. (Pare che l'origine ne sia la parola signore. Non è, per altro, da escludere che derivi anche dalla parola zio. La filologia moderna ammette il concorso e l'intreccio delle etimologie. Una volta preferiva­mo di scrivere zi' proveniente da zio, oggi scriviamo si'. Ma scriviamo ancora zi'  monaco, zi' prèvete, con l'intenzione di dire zio - sempre come appellativo riguardoso -, non già signore. Intanto è certo che l'esse del si', sulla bocca del po­polo,  non di rado diviene una zeta di suono aspro.)  Gli at­tori non cercheranno d'imitare la pronunzia napoletana. Tale imitazione riesce insopportabile. È necessario, bensì, che sia­no  napoletani  i gesti, gli atteggiamenti, gli abiti e, in certa guisa, le intonazioni della voce, le irruenze, ì silenzi, ecc. Na­poletana  è spesso la costruzione della frase: qua e là sono quasi napoletane le parole: e molto napoletani sono gli stra­falcioni di Michele e dell'Anonimo che, parlando con carat­teristica autorità, credono di adoperare un adeguato linguag­gio. Tutto ciò basta a dare l'illusione dialettale.

ATTO UNICO

Il vicolo

Lo spettro della guerra s'insinua fino in questo cantuccio della Napoli più popolare. Appena scesa la sera, la vita vi si è diradata. E ora il vicolo è silenzioso di, solitudine, di oppressura, di tristezza. La luce miseramente languisce. I  pochi vecchi lampioni hanno i vetri piumati di verde. Nell'eventualità di nemiche escursio­ni aeree, per una disposizione di preveggenza si appan­na così tutta l'illuminatone della città. - Pioviggina. Passa qualche raro viandante mezzo nascosto sotto l'om­brello che sembra sorvolare, quasi fluido, il lastricato invisibile.

La bettola tenuta da Filomena Schisano

Non ampia. Nessun segno di gaiezza. L'alito acre del mosto appesisce nell'aria umidiccia. Muri nudi, ver­dastri. Soffitto basso, da cui pende, accesa, un'esile lam­padina elettrica. La luce è, qui, meno scarsa che nel vicolo; ma è pur poca.

Il muro in fondo, a un terzo della sua lunghezza, si ritorce rientrando, e forma un angolo ottuso. Nel cen­tro della parte più lunga di questo muro è la porta a due battenti che dà nel vicolo. Nel centro della par­te più breve è una porticina alquanto sgangherata, per la quale si accede a un bugigattolo cieco. Nel muro a destra è un'altra porticina, da cui si accede all'abitazio­ne di Filomena Schisano. Nell'angolo ottuso è una botte sulla quale sono agglomerati qualche bicchiere, fiaschi e bottiglie. Presso la botte, una scranna. Venen­do dalla strada, si trova a destra una schiera il barili,. ritti, accosti al muro di fondo, e, parallelo alla parete laterale, il banco di vendita con su altri bicchieri, orciuoli, caraffe, una guastada per lo spaccio minuto, un grosso recipiente di metallo per la risciacquatura; e, a manca, oltre la botte e la scranna, si trovano in fila, a breve distanza da quell'altra parete laterale, tre tavolini con poche seggiole rustiche.

La porta centrale è aperta. Si vede un lampione con i vetri pitturati. Si vede, di tanto in tanto, un ombrel­lo comparire, dileguare. Anche è aperto l'uscio del bugigattolo nel quale sono, intorno a un altro tavolino, Totonno, Aniello, Gennarino e Saverio.

Filomena è seduta dove termina il banco di vendita (nel più visibile rilievo del quadro), su una sedia più comoda delle altre: ha davanti un braciere di ottone, in cui, tra la cenere, rosseggiano un po' i carboni quasi consumati. Ella si è tolti gli scarpini di pelle lucida con i tacchetti alti ed ha appoggiati i piedini dalle cal­ze di seta traforata sui margini del braciere. A uno spigolo del banco ha adagiato la testa, la folta capi­gliatura le fa da guancialetto. Dormicchia. Il suo volto è bellissimo, benché emaciato. Ai suoi piccoli orecchi sorridono gli orecchini di perle, alle sue dita affusolate splendono l'oro e i brillanti di un grosso anello. Gli eleganti scarpini, le calze di seta, l'oro, le perle, i bril­lanti si staccano, come segni di lusso ostentato e so­vrapposto, dal carattere trasandato della sua veste.

Presso il tavolino che è in primo piano sono seduti Michele e Raffaele. Indossano l'uno la divisa di ca­porale di fanteria, l'altro la divisa del soldato. Sono entrambe divise di guerra. Quella di Raffaele è tutta pulita, indossata di fresco; quella di Michele è ava­riata dall'uso.

Presso un tavolino più indietro, è seduto un uomo dai baffi nerognoli e puntuti, dagli zigomi sporgenti, dalla fronte corta. Ha in testa un cappello duro, un po' a sghembo. È vestito con una certa cura. Il suo aspet­to è ambiguo. Non si sa come si chiami.

Sul tavolo del bugigattolo, intorno al quale sono quattro giuocatori e sui tavolini occupati  dagli altri tre avventori, bicchieri e bottiglie di vino bianco, vuote o quasi interamente vuotate.

SCENA I

Voci dal bugigattolo(vivacissime)

-  E come giuochi, Totò?

-  Lo vuoi capire che le carte che ho in mano sono uno schifo?

-  Cinque e due, sette:  e faccio scopa!

-  E questo è un altro sette!

-  (gridando)   Bravo!  Bravo! Bravo!

-  Tu mi stordisci, Gennarì!...

L'anonimo      l'uomo dall'aspetto ambiguo (sorseggia, fu­ma e fissa, di tanto in tanto, Filomena, cupidamente)

Raffaele         (è pallido, pensoso, il mento sul petto)

Michele          (lo scuote con le mani)  Rafelù Rafelù! E che è?  Io non ti voglio vedere così!

Raffaele         (si lascia scuotere e ricasca nella sua tristezza inerte)

Michele          (sigratta la nuca)  È vero che la partenza è amara. Agrus est! E amara perché, in sostanza, si va a contrattare con la morte; ela morte fa paura. Ma credi a me, credi al compare tuo (indica se stesso)  che l'ha provato. Sarà un miracolo, sarà che il Signore ti vuole aiutare, il... quatenus è questo: che quando ti trovi là, è un'altra cosa. La morte non è più niente! Senti fischiare le palle che ti strisciano sopra l'elmetto, senti scatenare una tempesta di botte che ti sfondano le orecchie, e ti ci fai una risata. Ti ci spassi. È un divertimento Come se fossero una smargiassata, una spacconata! Bumm! Bumm! Buumm! E tu rispondi con un pernacchio.

(aprendo sulla bocca l'indice e il pollice della destra come si aprono le forbici, accenna l'atto che accompagna il rumoroso sberleffo) 

Ne ho fatti rintronare pernacchi, fratello mio! Roba fina!... Roba di Napoli!... Arriva­no più lontano delle cannonate. E il Tenente - che era pure lui napoletano - si ricreava. Un giovane di valore, Rafelù!... Encomio solenne! Medaglia d'ar­gento! (Breve pausa)... Povero tenente!... Cadde mor­to proprio lo stesso giorno che io fui ferito!...

Voci dal bugigattolo.

- Ah! caspita, tengo il quarto Re! Scopa!

- Bravo! Bravo! Bravo!

Michele          (proseguendo)  Tu mo mi dici: - « uno vede morire un superiore, un compagno, e nemme­no questo lo avvilisce? » E io ti dico che non l'av­vilisce. Il cuore, là per là, gli si stringe, ma, subito dopo, chi ha visto morire un superiore o un com­pagno ha più forza e più coraggio di prima: ha una forza e un coraggio di leone e un solo pensiero ha: - io sto di fronte al nemico nostro, io sto di fronte al nemico mio, e, fosse magari potente quanto è potente il diavolo, sangue di Giuda, io lo debbo di­struggere!...   (Mutando)  Esperienza e sincerità, fra­tello caro. Qua, tu tremi e ti ammalinconisci; là, sta­rai allegro come se fosse un festino, e non tremerai. Te lo promette Michele, non tremerai!

Voci dal bugigattolo.

-  Ma che pezzo di rapa sei! Getti il cavallo e ti tieni  il quattro?

-  Benedetto san Gioacchino! Io debbo fare le carte di denaro!

-  Tu sei buono soltanto a giocare a capo o croce!

(Una risata)

Raffaele         (a Michele)  Voi, compare, vi sfiatate a parlare della paura; ma il guaio mio non è la paura.

Michele.         E qual è il guaio tuo!?

Raffaele.        Il guaio mio è... una femmina.

Michele.         L'innamorata?

Raffaele.        Chi me la dà l'innamorata? È una femmina superba che una parola amica non me l'ha detta mai!

Michele.         E ti ci sei così accanito?

Raffaele.        Sarà stato un castigo che m'ha mandato Dio! Sarà stata una fattura!

Michele.         Dove si fanno più le fatture? Questa è una fissazione che ti passerà con la lontananza.

Raffaele         (segretamente)  Io mi farei disertore per non allontanarmi.

Michele          (con severità immediata e rude)  Ma che be­stemmie ti escono dalla bocca?!

SCENA II

Luigi                (entra dal fondo quasi di corsa, chiudendo l'om­brello bagnato; si affetta a liberarsene e a gettare in un canto il cappello di feltro; sguiscia difilato nel bugigattolo dicendo:)  Abbiate pazienza! Sono an­dato a comprarmi un paio di sigari. Se si giuoca e si beve, si ha pure da fumare.

Filomena        (svegliandosi un po')  Tirati la porta, Luì!

Luigi                (si tira dietro l'uscio del bugigattolo)

Raffaele         (sottovoce a Michele)  Avete visto l'uomo che è entrato?

Michele.         L'ho visto e non l'ho visto. Non ci ho fatto

Raffaele         (con importanza)  Si chiama Luigi Pagliuca. è uno che ha lasciato la moghe e i figli per stare con lei.

Michele.         Con lei, chi?                                            

Raffaele         (indica Filomena, guardingo, più con gli occhi che col gesto)

Michele          (raccapezzandosi)  Di' la verità. Che sia pro­prio essa quella tale femmina?

Raffaele.        Proprio essa è.

Michele.         Mocapisco il busillis! Per ciò mi hai invi­tato a bere qua dentro... (alzandosi di scatto in piedi, si appoggia ad un suo rozzo bastone)  Ate! Andiamo! Marsc!

Raffaele.        ... Mi fate pagare, sì o no?

Michele.         E paga! Spicciati! Abbreviamo. (Va verso il fondo, arrancando con una gamba)

Raffaele         (cerca i soldi in una saccoccia e li mette sul tavolino. Poi si alza e si rivolge a Filomena con trepidanza)  Padró, questi sono i sedici soldi del litro di vino.

Filomena        (sempre sonnecchiando)  Tanto piacere!

(Un silenzio)

Michele          (s'è fermato, paziente, presso la porta, osser­vando i due)  Hai pagato: che altro hai da fare?

Raffaele.        Niente. Sto venendo...

Michele          (sbuffa)  Bubbàah!

Raffaele         (a Filomena)  Lo sapete che domani, all'alba, parto col reggimento?

Filomena.       E che volete da me?

Raffaele.        Vado alla guerra, donna Filomè!

Filomena.       Come ci sono andati gli altri ci andate anche voi.

Raffaele.        E una stretta di mano non me la merito?

Filomena.       Ma, insomma, a voi che vi passa per il cervello?                                                

Raffaele.        Quello che mi passa per il cervello... è che, forse, non vi vedrò mai più.

Filomena        (a Michele)  Signor caporale. Questo giovinotto soffre un poco alla testa.   Portatevelo all'aria aperta.

Raffaele.        E che vi ho detto che mi trattate come un pazzo?

Michele.         Te ne vieni o non te ne vieni?

Raffaele.        Donna Filomè, voi siete... voi siete...   (la parola gli si, inceppa nella gola)  Voi siete troppo... troppo cattiva!  (i suoi, occhi riboccano di lagrime)  Statevi bene.  (si avvia per uscire) 

Michele          (poggiandogli il braccio sinistro sulle spalle) Ma santodio! Un soldato che piange? Non ne hai scorno?

Raffaele.        Lasciatemi in pace, compare! Lasciatemi in pace!...

Michele.         Non si piange! Non si deve piangere!

Raffaele.        Lasciatemi in pace!

(escono, così, insieme. Le loro parole sì allontanano)

SCENA III

Filomena        (li segue con la coda dell'occhio. Nessun segno di compassione in lei, ma il volto le si copre per un istante d'una nube di tristezza bieca)

L'anonimo      (non ha mai smesso di guardarla, e conti­nua a guardarla, ora, con temeraria ostinazione)

Filomena        (sa di essere guardata. Finge di nulla. Con lentezza infila gli scarpini. Tira su una calza che le si è allentata. Indi, il suo bel corpo snello si erge in una consapevole eleganza di linee flessuose. Sul collo lungo, la sua testolina dai ricchi capelli vellu­tati, dalle guance un po' smunte, dagli occhi pro­fondi e lucentissimi pur nella loro cupezza stanca, ha qualche cosa di orgoglioso, di perfido e di doloroso.  Ella, pigramente va fino al tavolino che era occupato da Michele e da Raffaele. Intasca, soldi. Piglia i bicchieri e la bottiglia. Li pone sul banco di vendita, vi si indugia, ostentando di mettervi un po' di ordine. Sbadiglia)

(La pioggia è cessata)

L'anonimo      (accende un altro sigaro e manda in aria grosse boccate di fumo)

Filomena        (senza voltarsi a lui)  Caro signore, è spiovu­to. Perché non approfittate?

L'anonimo.     Voi l'avete con me?

Filomena.       E con chi dovrei averla?

L'anonimo.     Ma, scusate, come s'intenderebbe?

Filomena.       « S'intenderebbe » che state da un'ora a scaldare la sedia...

L'anonimo.     Mi pare che spetta di star seduto a chi pa­ga per bere.

Filomena        (con se stessa, ma a voce alta)  Vuoi vede­re che con otto soldi che spendono qua dentro pre­tendono pure di farcisi il letto!

L'anonimo      (pacatamente si alza e le si accosta)  Vi le­viamo l'incomodo, padró! Stasera abbiate un poco di nervosità. Parlassimo un'altra volta.

Filomena.       Di che?

L'anonimo.     Sipotesse parlare di tante cose...

Filomena.       Ioparlo con chi mi piace di parlare!

L'anonimo.     E con me ci parlerete.

Filomena.       Credo che no.

L'anonimo      (cava di tasca quattro doppi soldi e, tenendoli tra il pollice e l'indice, glieli porge)  Per ora questi sono gli otto soldi della « degustazione », e non pretendessimo di farci il letto qua dentro, come avete pronunziato. Vorrebbimo solamente aver l'onore di vederveli pigliare con le vostre mani proprie.

Filomena        (bruscamente col  suo braccio scosta quello di lui. I doppi soldi cadono)        

L'anonimo      (ha un moto d'impeto di autorità offesa. Si frena. Una lunga pausa. Raccoglie i doppi soldi. Li pone sul banco, battendoci, forte. - Assume un atteggiamento di contenenza e dì superiorità ri­serbata. Si arriccia una punta dei baffi) 

Padró voi non vi regolate bene con me.

Filomena.       Ionon vi conosco e non vi voglio conoscere!

L'anonimo.     Non mi volete conoscere? Mi dispiace per voi. Un'amicizia come la mia, alla questura, non vi sarebbe soverchia.

Filomena.       La questura? E che mi deve fare a me la questura?

L'anonimo.     Il commissario della sezione, padró, è un osso che ci si rompono le mascelle. Ve l'hanno mai nominato il cavaliere De Concilio?

Filomena        (con un'aria di fredda sfida)  Gnorsì! Me l'hanno nominato.

L'anonimo.     Iovi dessi un consiglio. Dite a questi lor signori   (indica il bugigattolo)  che nella bettola lo zecchinetto  non  lo possino giuocare.

Filomena        (piega le braccia affrontandolo) Titò, quelli stanno giuocando allo scopone!

L'anonimo      (con un vibrato accento di calma minacciosa)  Quelli stanno giuocando a zecchinetto da che è entrato Luigi Pagliuca.  Le orecchie mie sentono quanto vogliono sentire!

Filomena.       Sentono o non sentono, io non sono pane per i denti vostri.

(Un silenzio)

L'anonimo    (loscamente, facendosele molto dappresso, quasi alle spalle)  Verrò a farvi visita domani sera.

Filomena.       E ci spasseremo.

L'anonimo      Può essere!  (Resta lì, fissandola. Si arric­cia la punta dei baffi. - Si leva un poco i1 cappello)  Buona nottata!

Filomena.       Buona nottata!

L'anonimo      (esce)

Filomena        (sulla soglia, gli grida dietro, in tono bef­fardo:)  E se vedete il cavaliere De Concilio, saluta­telo da parte mia. Non ve ne scordate! (Dà in una risata clamorosa, come per fargliela udire)

SCENA IV

(Scoppia un subbuglio nel bugigattolo.  Se ne ode la vociferazione violentissima:)

- Non ti muovere che ti ho còlto!

- Mariuolo!  Mariuolo!

- Ti ho còlto, per San Gioacchino!

- Posa il mazzo di carte!

- Canaglia!

- Mariuolo!

Filomena        (allarmata,  accorre)  Neh, che è? che è?

(Ma la porticina si è già spalancata, sbattendo)

Luigi                (irrompe per  sottrarsi  all'assalto)   Mannaggia l'anima vostra!

(Irrompono contemporaneamente Totonno Aniello, Gennarino, Saverio. - Una battaglia di parole)

Saverio.          E non è la prima volta che hai sfilata la carta, pezzo di galeotto!

Luigi.               Sono bugie!

Totonno      Dobbiamo sputargli in faccia a questo galantuomo! Luigi (sfidando con scarsa energia)  A chi dovete sputare in faccia?

Totonno.       A te!                                                       

Saverio.          A te! A te!

Aniello.          Mariuolo matricolato!

Gennarino.    Mariuolo! Mariuolo!

Filomena        (coprendo,  con la sua voce irosa, quella di tutti gli altri)  Guéee, finitela, mo!

Luigi.               Crepano d'invidia, e perciò mi hanno messo addosso questa calunnia.

Filomena        (escludendolo con un brutale spintone)  Vattene  dentro, tu!

Luigi.               Iomi devo difendere.

Filomena.       Vattene dentro, ti ho detto! (lo spinge verso l'uscio a destra, costringendolo a oltrepassare la soglia, e chiude. Indi, arditamente e impetuosa­mente, ai quattro amici)  E voi uscite di qua! Fuori! Fuori!

Aniello.          Ma che siamo noi i mariuoli?

Filomena.       Fuori subito! In casa mia, comando io!

Aniello           (mastica amaro)  Avete ragione!...

Totonno        (divenuto ad un tratto prudente, s'imbaraz­za e consiglia prudenza ai compagni)  Èniente, è niente. Donna Filomena fa così, ma è furia che pas­sa. (Col gesto li esorta ad uscire insieme con lui)  Contentiamola mo... Se no, è peggio!... Contentiamola.

Filomena        (eretta, livida in viso, con lo sguardo dirit­to e imperativo, che insiste a scacciarli, aspetta che essi escano) 

(Qualcunobrontola e si gratta il mento, qualche altro ha un lievissimo moto di vana ribellione, mentre Totonno non  cessa di essere conciliante. Tutti e quattro escono. Totonno è alla coda e getta a Filomena qualche occhiata che è quasi di paura)

Filomena        Con te, poi, Totò, quando verrai  a spasi­mare e a piatire, faremo i conti.

Totonno        (con, sommissione significativa)  Come piace a voi, donna Filomè.  (Via)

Filomena        (appena usciti i quattro amici, si precipita nella stanza attigua, dicendo tra sé, facinorosamen­te:)  E questo altro l'avrà da fare con me! (Dopo un istante risuonano veementi e  sinistre le parole dell'aspro conflitto scoppiato nella stanza attigua)

Filomena.       Ti taglio la faccia se ci capiti ancora!

Luigi.               Sei tu che mi fai diventare un mariuolo!

Filomena.       Chi te l'ha detto mai di metterti a rubare?

Luigi.               Per te finirò in galera. Per te! Per te!

SCENA V

(Entra dal fondo, pavida, senza avanzarsi, Concetta. È una donnuccia giovine, non brutta, sciupatella, che ha, in complesso, l'aspetto di una vittima incapace di reagire. È  vestita dimessamente. Uno scialle scuro le si avvolge intorno alle spalle e le copre un po' i capelli.) 

(Continua intanto il conflitto)

Filomena.       Non sono venuta io a cercarti, no!

Luigi.               Tusei una ingrata!

Filomena.       E ne posso trovare cento meglio di te! (Torna tutta scalmanata. Nel vedere Concetta, che non ha mai vista, intuisce, e dissimula un sussulto. Un lungo silenzio)  Che volete, buona donna?

Concetta       (può appena balbettare:)  Io sono...

Filomena.       Per me, chi siete siete. Qua si vende vino. Se ho da servirvi,  comandate.

Concetta.      Non ho da comprare vino... E ve lo debbo dire per forza chi sono io. Sono la moglie di Luigi Pagliuca.

Filomena        (impassibile)  Onore e piacere!

Concetta.      Da più di un mese Luigi manca dalla casa.   (Il suo accento è fiochissimo e quasi mite)  M'ha, lasciata con tre creature, tre anime innocenti. E ades­so  non ho più come provvedere a farle mangiare perché sono rimasta senza un soldo. Ieri, lui mi fece recapitare una lettera da Salerno. Mi scriveva che c'era andato per un affare e che sarebbe arrivato a Napoli alle nove di stasera. Mi prometteva di tor­nare,  finalmente, a casa appena arrivato. Ma io sa­pevo con certezza dove stava. Quando la campana di Santa Chiara ha suonato le dieci ho perduto la speranza che avevo, mi son dato coraggio e ho pen­sato:  « Mo vado io dove è certo che lo trovo. Tan­to cattivo non è. Se mi vede, chi sa, chi sa che non mi faccia la grazia di arrendersi! ».

Filomena        (non un segno di protesta, né di risentimen­to. Con eguale  noncuranza e con durezza, chiama forte all'uscio:)  Luigi!... Vieni qua!...

SCENA VI

Luigi                (entrando, ha un sobbalzo vivissimo. Poi, china la fronte, annichilito) 

Filomena        (a Concetta)  Parlate con lui.  (si ritrae indietro, siede sulla scranna che è presso la grossa botte, in fondo, e, tutta piegata, con una fisonomia di sfinge, resta a guardare e ad ascoltare)

(Un silenzio)

Concetta     (quasi come se parlasse a sé)  E che ho da dire, a lui? Tutto quello che potrei dirgli, lo sa già il suo cuore. Gli ho voluto bene più che agli occhi miei, più che a mamma mia. E quelle tre creature che ho cresciute col mio fiato perché erano sangue suo, vogliono più bene a lui, più bene a lui che a me. Sono tre angioletti che per la bellezza tutto il vicinato conosce. E nessuno lo crederebbe, nessuno, che il padre non se ne ricorda più. Il ma­schietto, che ha un giudizio che manco un vecchio ha, ogni tanto mi domanda: « dove sta papà? dove sta papà? ». E io, poverella: « Bello di mamma tua, mo viene papà. Un poco di pazienza. Mo viene papà... ». E così passano le ore, passano i giorni, passano le notti, e noi aspettiamo, aspettiamo sem­pre, con lo stomaco vuoto, con gli occhi senza sonno...

Luigi.               Se io morivo, non mi avreste aspettato. E ha da essere come se veramente io fossi morto. Ai figli nostri, dirai:  « Papà sta al camposanto ».

Concetta       (rompendo in pianto)  Ma perché?... Ma perché?...

Luigi                (tra commosso e irritato)  Non piangere, Concè! Non piangere! Battimi, battimi, pigliami a schiaffi, bestemmiami, ma non piangere, caspita, che io que­sto pianto non me lo merito! (in uno scroscio sel­vaggio di spasimo)  Sono un uomo da niente! La­sciami perdere!

Concetta       (a Filomena, ansimando)  E voi? State a guardare questo strazio e non vi smovete. Nemmeno una parola vi esce dalla bocca? Se voi glielo permet­teste, egli ci tornerebbe a casa sua.  Ci tornerebbe!

Filomena        (sordamente)  Egli può fare quello che vuole. Io non lo trattengo.

Concetta       (si avvicina a Luigi, interrogando, imploran­do)  Hai sentito? Hai sentito?... (Lo circonda con le bracca supplici)   Puoi fare quello che vuoi. Vieni, vieni a casa con me!... Vieni a casa con me!

Luigi            (si svincola e la respinge, gridando:)  Non ci vengo!  Non ci posso venire! Qua debbo sputare sangue, e lei non ne ha colpa no! Sono io che non posso più muovermi di qua!

Concetta       (con un nuovo rigurgito di pianto)  Gesù mio, che peccati ho fatti che mi hai abbandonata così?

(Un silenzio)

Luigi                (ode i singhiozzi di Concetta, soffrendo, torcen­dosi)

Filomena        (si alza tranquillamente. Piglia una sciarpa che è su una seggiola e se la stringe addosso. Va a sedere accanto al braciere. Con la paletta d'ottone fruga nella cenere e solleva gli avanzi di carbone, rianimando un po' dì fuoco. Poi con un accento che sembra quasi affettuoso:) 

Buona donna, per compiacenza, se non avete altro da dire a vostro marito, cominciate ad andarvene. Qua bisogna chiudere, che è tardi. E fa pure freddo.

Concetta       (si rivolge al marito con un ultimo gesto implorante, e mormora:)  Luigi!...  Luigi!...

Luigi                (non osa guardarla, e vorrebbe non udirla)

Concetta       (senza più sperare, avvilita come un agnello bastonato, singhiozzando e assai lagrimando, con pas­so lento, esce)

SCENA VII

Filomena.       Chiudi!

Luigi                (obbediente, sotto il peso di un'incolmabile tristezza, va alla porta in fondo,  sporge,il capo, vede allontanare la sua moglie, e chiude, assicurando la chiusura col paletto di ferro.  Fissa alle spalle Filomena, intenta a riscaldarsi. Si accosta fino alla spalliera della seggiola dov'ella è seduta. Le accarezza la nuca timorosamente)... Ma, almeno mi vuoi un poco di bene? Di': me ne vuoi un poco?

Filomena        (torva, sottraendosi alla carezza)  Non mi toccare, che non ne ho voglia.

Luigi                (ha sul viso un'espressione di amarezza profon­da Si scosta, rodendosi. Scrolla il capo. Borbotta:)  E questo mi spetta! - « Non mi toccare, che non ne ho voglia! ».

(Un lungo intervallo. Continuando a scrollare il capo, cade a sedere sulla scranna. Poi, in un moto rabbioso, con ambo le mani afferra una bottiglia sulla botte che gli è accanto. Versa il vino in un bicchiere senza badare a quanto ne versa. Beve con avidità)

Filomena.       Stai bevendo da stasera! Un altro poco che te ne bevi, ti ubriachi!

Luigi.               Meglio è che mi ubriaco. Solo quando ho be­vuto mi passa un poco il dolore delle coltellate che mi dài.

Filomena.       Auff! Questa è una mala nottata! (Cava dal corpetto un portasigarette d'argento e una sca­tola di cerini. Tira fuori una sigaretta. L'accende, fuma svogliatamente)

Luigi                (beve di nuovo. Parla per conto suo, seguendo il corso delle sue idee)  Se si conta, non ci si crede. Debiti sopra debiti! Guai sopra guai! Non hai più che fare!... Hai lasciato la tua casa! Ti sei messo tua moglie sotto i piedi... Ti sei messo pure i figli sotto i piedi! Pure i figli!... E per ringraziamento: « Non mi toccare che non ne ho voglia! ». (pausa. Indi scatta:)  Nemmeno come a un cane mi vuoi be­ne! Nemmeno come a un cane! E Dio (indica il cielo)  lo vede!

Filomena        (in un tono relativamente remissivo)  Se non voglio bene a te, tu lo sai, non è che io voglia be­ne a qualchedun altro. Non voglio bene più a nessuno.  (butta la sigaretta spenta nel braciere)

Luigi                (si alza con un prorompente fremito  di odio)   Ferdinando Anfrosino è la mia condanna!

Filomena        (presa da una istantanea sofferenza insostenibile)  Ti ho pregato cento volte che Ferdinando Anfrosino non me lo devi nominare!

Luigi.               Me lo inchiodasti tu nel cervello questo nome, appena ci conoscemmo. -   Me lo volesti dire tu che quest'uomo s'era preso tutto il cuore tuo, tutta la vita tua. E pretenderesti che io me ne fossi scordato?

Filomena        Tu non me lo devi nominare Luì! Non me lo devi nominare!

Luigi                È lui che hai davanti, agli occhi, è lui che ti parla all'orecchio, è lui che ti sta attorno che ti sta vicino a tutte le ore! Io lo sento vicino a te e la rabbia mia è che non vedo e non conosco la faccia che ha. Ma ha da venire un giorno che qualche santo mi permetterà d'incontrarlo in carne e ossa!...

Filomena        (ha un accento terribile e quasi misterioso)  Tu non te ne intendi di queste cose! Quando l'avrai incontrato, che farai? che farai? Che puoi fare tu?...                                                     

Luigi                (in un accesso di ferocia)  Quando lo incontro, Filomè, io te lo scanno!

Filomena.       E sempre vicino a me resterà! Sempre! Sem­pre! Sempre!

Luigi                (mordendosi il pugno)  Ah!... Maledetta la sorte mia assassina!

(Un silenzio)

Filomena        (si è accasciata, calcandosi le mani sul capo, le dita affondate nei capelli)

Luigi                (accasciato anch'egli, torna a sedere. Ribeve an­cora un po', abboccando la bottiglia. Si asciuga le labbra col dorso della mano)  Questo vino... è una schifezza!

(Un silenzio)

Una voce       (lontanissima - così lontana che si perce­pisce appena - canta:)

Ammore! Ammore!

E senza ammore nun se pò campà!

Filomena        (trasalisce, si anima) 

Luigi                (se ne accorge)  Che c'è?...

Filomena.       Niente. (quasi fra sé)  Mi pareva la voce... Luigi. Di chi?

Filomena.       ... di un vecchio che cerca l'elemosina.

Luigi.               E andrebbe cercando l'elemosina a quest'ora?

Filomena        (acuisce l'udito, - Più nulla. - È dolente)  Non sarà stato lui! Luigi. Ma si può sapere chi è questo pezzente?  Hai fatto come se tu avessi creduto di sentire la voce di un padre o di un fratello.

Filomena.       Giovanni è un'amicizia antica.

Luigi.               ... Un'amicizia di quando?...

Filomena        (rispondendo  mal  volentieri)...   Faceva lo stagnaro dirimpetto a me, nel vicolo dove io stavo di casa con mamma mia.

Luigi                (vagamente sospettoso, balbetta:)... Ho capito.

Filomena.       Hai capito; ma che cosa hai capito?

Luigi                (vorrebbe scusarsi. È imbambolato. L'effetto in­cipiente del vino tracannato gli confonde alquanto le idee. Le parole sdrucciolano incerte)  Quello che tu mi hai detto, quello ho capito. E che avrei dovuto capire?...

La voce(vicinissima)

Ammore! Ammore!

E senza ammore nun se po campà!

Filomena      (ha una scossa di gioia istantanea)  È  lui! È  lui! (corre verso il fondo)  Si' Giovà, siete voi?...

La voce.         Aprite, donna Filomè! Sono stanco e sento freddo.

Filomena.       Sùbito, si' Giovà! Sùbito!

Luigi                Ma no! Un momento.   (si è alzato di furia. Stenta a reggersi sulle gambe)                       

Filomena.       E che altro t'è successo?

Luigi.               ... A me questo pezzente non mi piace di conoscerlo.

Filomena.       E va a dormire, tu. Così non lo conoscerai.

Luigi.               A dormire?...

Filomena.       E non lo vedi che hai sonno? Èsonno di ubriachezza.

Luigi.               Un poco di sonno c'è... Ma, solo, come un ap­pestato,... non mi ci posso mettere a letto. Mi stendo sul sofà. Poi, più tardi, quando il pezzente se n'è andato, se tu mi vuoi svegliare, mi svegli... e, se no..., pazienza! Ne parleremo domani. (Indugia)  Ci abbiamo spiegati?

Filomena.       Gnorsì.

Luigi                (indugia ancora)

Filomena.       E va', va'!... Va'!

Luigi                (sul punto di uscire, quasi barcolla. Si ferma. Bar­buglia:)  Filomè, m'hai da credere: questo vino è una schifezza... (Pronunzia appena l'ultima parola,e via).

SCENA VIII

La voce.         Sono stanco e sento freddo.

Filomena        (con vivezza)  Eccomi a voi, si' Giovà! Ec­comi a voi!

La voce          (avverte)  Badate, donna Filomè, che fa un brutto vento.                                                       

Filomena        (sfila il paletto e apre, ma non molto, un solo battente. Diventa gaia, festosa, tenera)  Entrate. En­trate.  Da quanto tempo!...

Giovanni        (entra, richiudendo)  - (È un vecchietto accidentato, che si appoggia a una mazza. È vestito poverissimamente. Nondimeno il suo aspetto è quel­lo di un mendicante decoroso)  Stavate parlando con qualcheduno?

Filomena        (per non dargli troppe spiegazioni)  Gnornò, si' Giovà! Stavo rassettando, e farneticavo sola. Se­dete, sedete. Accomodatevi. Vi voglio servire una bella cenetta: un mezzo pollastro, un bicchiere di Posilipo asciutto...

Giovanni.       No, donna Filomè! Vi ringrazio. Non ho fa­me e non ho sete. Una sedia e dieci minuti di calore: questo vi domando,   (siede presso il braciere)

Filomena.       E che è?  Fate cerimonie?

Giovanni.       Cerimonie?!... Un mendicante che fa ceri­monie dove si è visto mai? Questo - lo sapete - è un mestiere sanfasò. Cerimonie non se ne fanno.

Filomena.       Che vi posso dire? A vostro piacere. E com'è, com'è che andate in giro a quest'ora?

Giovanni.       Movi spiego. È piovuto tutta la giornata e tutta la serata. Per stare al coperto non mi sono buscato un soldo. Alla locanda non si fa credenza, e mi sono avviato piano piano da questa parte, per­ché so che la porta di Filomena Schisano si apre sempre per me.

Filomena.       E io, vedete, vi ho chiamato col pensiero. Ho assai piacere che siete venuto. Stando vicina a voi, forse mi potrò acquietare un poco.

Giovanni.       Avete avuto qualche dispiacere?

Filomena.       No, ma... stanotte mi sento... mi sento co­me se volessi fare un delitto!

Giovanni.       E chi vorreste uccidere, donna Filomè?

Filomena        (ha un moto d'ira chiusa e dilaniante)

Giovanni        (con affetto,  con delicatezza)  Il vecchierello vostro vi dice che voi non uccidereste proprio nessuno. E poi,... all'epoca nostra! Con tanta gente che muore uccisa! Con tanto sangue che scorre sopra la terra! Nemmeno un delinquente nato è capace più di un delitto. Il sangue gli fa impressione. Non sa uccidere più.

Filomena      (in un tono sordo che attenua, in un certo modo, la crudeltà delle parole)  A me non me ne importa degli altri! Muoiono, non muoiono: non me ne importa!

Giovanni.       Mi dispiace che parlate così!

Filomena        (angosciosamente e sinistramente)  L'anima mia  l'ho  consegnata al diavolo!

Giovanni.       E voi stessa ci patite.

Filomena.       Non è vero!

Giovanni.       Ci state perdendo la salute!

Filomena.       Non è vero!

Giovanni.       Il colore che avevate in faccia se n'è andato.

Filomena.       Se gli uomini s'innamorano di me, è segno che questo colore non lo cercano.

Giovanni.       E a che vi giova che s'innamorano di voi?!

Filomena.       Non li vedete questi orecchini di perle? Non le vedete queste calze di seta? Non lo vedete questo anello di brillanti?

Giovanni.       Ma fate una vita che voi non potete più sopportare.

Filomena.       Chi lo dice?

Giovanni        (sicuro e cordiale)  Lo dico io che vi ho co­nosciuta quando eravate una figliuola onesta.

Filomena        (in una ribellione felina)  Me ne sono scor­data che ero onesta!

Giovanni        (con una veemenza improvvisa, che sembra, in lui prodigioso) Onesta,  faticatora e timorata di Dio! È nessuno lo può sapere meglio di me!

(Una lunga pausa) 

Filomena        (si raggomitola sopra una sedia, lontana da lui)

Giovanni.       Ve lo siete scordato? Lo credo. Voi vivete come un'ubriaca, come una pazza. Ma tutto quello che vi siete scordata, ve lo faccio ricordare io, a for­za, a forza! Ve lo faccio ricordare, sì!

Filomena        (guardandolo di sbieco, brontola:)  Se sape­vo, non vi aprivo la porta.

Giovanni        (fissa nel vuoto gli occhi che gli lucono d'una tenerissima evocazione)  Mi pare ieri, mi pare, che tutti e due, io innanzi alla mia casa, voi innanzi alla vostra, faticavamo fino a notte tarda...

Filomena.       Parlate, voi!... Io non vi sento.

Giovanni.       Alle volte, per ingannare la fame e il sonno, vi mettevate a cantare.  M'è rimasta nelle orecchie la più gentile di  quelle  canzoni  che  mi  tenevano compagnia (ne ripete solo i versetti): Ammore! Ammore! E senza ammore nun se pò campà! Io, scherzando, sospiravo: "A vostra disposizione, Nenné!" E voi, con una risatella triste "Non date retta alla canzone, si' Giovà!  Io mi farò monaca." E veramente, se non avevate da faticare, sempre in chiesa, sempre in chiesa vi si trovava. Quella pove­ra mamma vostra, buon'anima, si lagnava con me: "Si' Giovà, voi la vedete la figlia mia? Non ne vuol sapere di guardare in faccia agli uomini. Con la ma­lattia che i medici mi hanno dichiarata, posso mori­re da un momento all'altro, e come la lascio, come la lascio questa creatura, senza uno straccio di ma­rito, senza un sostegno?...» E il peggio fu che, quando essa se n'era andata in paradiso, venne un uomo che si seppe far guardare da voi.

Filomena      (ruggisce cupamente:) Il più infame di tutti gli uomini della terra!

Giovanni        (commovendosi) E che non feci io per scansarvene?  Che non feci per difendervi, per allontanarvi dal pericolo? M'inginocchiavo ai piedi suoi e lo pregavo come si pregano i santi: "Non le rubate la pace a Filomena! Abbiatene pietà!" E con voi, una predica, una predica, dalla mattina alla sera: "Ferdinando Anfrosino non vi sposerà! Vi ha messo gli occhi addosso per altri fini." Ma certe parole, se non sono le parole della mamma, non sono le parole di nessuno. E un giorno mi chiudeste la bocca: "Si' Giovà, che volete da me? Quegli oc­chi sono diventati la vita mia!"

Filomena        (con uno spasimo atroce, in cui è, tuttavia, la riminiscenza di una grande dolcezza)  Questa era la verità!

Giovanni.       Allora mi caddero le braccia! Non avrei vo­luto vedere più niente, più niente!... E, invece, mi toccò di vedere pure quando lui entrò, la prima notte, nella casa vostra. Già da una settimana il de­stino mi aveva inchiodato ad una sedia, e io tenevo la porticella un poco aperta perché mi mancava l'aria. Ah! Quella notte!... Vecchio com'ero, l'avrei avuto, io il coraggio di afferrarlo per la gola, ma... non mi potevo muovere. Lo vidi entrare... e mi misi a piangere.

(Piange anche ora nel rinnovarsi della emo­zione ch'egli provò quella notte)

Filomena        (ha il viso tra le mani contratte, nella concentrazione dei ricordi acutamente dolorosi). 

(Un silenzio)

Giovanni       E giacché siamo a questo discorso... (cerca di dissimulare il suo imbarazzo e non dice quel che vorrebbe dire)  arrischio una domanda.  (breve pausa Abbassa la voce, - insinuando)  Ne avete avuto più notizie?

(procedono entrambi in un tono di segretezza - superflua e strana)

Filomena        E da chi le avrei avute? So solamente che appena mi abbandonò - giusto tre anni,  ieri  - se ne fuggì da Napoli.

Giovanni.       Io so... qualche altra cosa. (I suoi occhietti scrutano) 

Filomena        (dopo un intimo dibattito - furtiva senza darsene ragione)  Che sapete?

Giovanni.       Soche fu richiamato per la guerra.

Filomena        (con una cupida energia d'invocazione ma­lefica)  Ah, Signore,  non lo  fate morire in  guerra, che non se lo merita!  Lui deve morire come  uno svergognato e, prima che muoia, io glieli debbo strap­pare dalla fronte quegli occhi che sono stati la vita mia!

Giovanni.       Questo glielo avreste potuto  fare una vol­ta..., ma ora non glielo potete più fare.

Filomena        (in un repentino mutamento e in un misto di raccapriccio e di allarme, si alza)  Madonna santa, è forse già morto?!

Giovanni        (alzandosi con lei, afferra - e fa quasi il gesto analogo - l'importanza del raccapriccio e dell'allarme. Le si avvicina)  No, donna Filomè!... Ferdinando Anfrosino è tornato...

Filomena.       È tornato?!

Giovanni.       Ètornato da un mese.

Filomena.       L'avete visto voi?!

Giovanni        L'ho visto io! L'ho visto io! (Grave e pietoso)   E quegli occhi... non li ha più!               

Filomena        (dilata le pupille e impallidisce, nel terrore che le agghiaccia le vene. Con la gola stretta, afona, balbetta:) Cieco!

Giovanni        Ha mandato ogni giorno a cercarmi. Oggi, finalmente, ho avuta l'imbasciata, e ci sono andato.

Filomena.       ...All'ospedale?...

Giovanni.       All'ospizio, dove imparano a lavorare quel­li che tornano ciechi dalla guerra. Aveva il permesso di uscire e mi ha pregato... di accompagnarlo da voi...                                                       

Filomena        (assalita dallo spavento)  Da me?!

Giovanni.       E anche aveva fretta, aveva!

Filomena        (supplichevole, eppure imperativa)  Si' Gio­và  voi qua non ce l'accompagnate!

Giovanni        (si confonde)  Vi confesso una cosa, donna Filomè... Io vi ho detto che ero stanco e che sentivo freddo?... Ma è stata una scusa:... una scusa per venire a quest'ora.

Filomena        (trepidante)  Io non vi capisco...

Giovanni.       Prima di quest'ora, voi avete sempre gente attorno...

Filomena        (dilaniandosi i nervi, illividendosi)  Non vi capisco, si' Giovà!

Giovanni        (con impulsiva risolutezza, indica l'uscio in fondo)  Donna Filomè, alle corte: Ferdinando sta là fuori!

Filomena        (grida come una forsennata, e il suo accen­to è, a un tempo, di ferocia e di incalzante paura)  Non lo voglio vedere! Non lo voglio vedere! Non lo voglio vedere!

Giovanni        (vivacissimo)  Ma ragioniamo un poco!

Filomena        (vibrante e accesa, ancora gridando forsen­natamente:)  Non lo voglio vedere! Non lo voglio vedere!

(Si apre la porta in fondo con violenza rumorosa e comparisce Ferdinando)

SCENA IX

Ferdinando    (è in abito borghese. - Lascia cadere di mano il cappelluccio moscio, e, con una irruenza di voce commossa e dominante, impone:)  Tu mi devi vedere!

Filomena        (getta un urlo che sembra squassare i muri, e, coprendosi gli occhi con le braccia, cade, lunga, bocconi, come colta da un fulmine)

Luigi                (di dentro, sbraita:)  Ma che sono questi gridi? (Entra di botto e si arresta)  E quell'uomo chi è?

Ferdinando    (possente e sereno)  Ferdinando Anfrosino!

Luigi                (avventandosi su lui terribilmente)  Ah, sangue di...!

Giovanni        (con tutta la sua poca forza vocale, ergen­dosi in un tremito che gli prende tutta la persona)  È un cieco! Che fate?!

Luigi                (tronca l'atto aggressivo, guarda il cieco, proten­dendo il collo. Inorridisce, si avvilisce, indietreggia, si abbandona sopra una sedia, piegandosi come fiac­cato alla schiena)

Ferdinando    (è rimasto in un atteggiamento di alta rassegnazione)

(Un lungo silenzio)

Ferdinando    (dopo aver fatto qualche passo con l'in­certezza di un cieco inesperto, dirige la parola, mite, e nondimeno nobilmente altera, a Luigi, pur non comprendendo dove egli sia)... Io vi ho detto il no­me mio, e questo stesso nome potete leggerlo nel registro dell'Ospedale della Trinità, dove mi porta­rono - proprio il giorno del primo dell'anno - col capo fasciato e ancora vestito da bersagliere. Ma, voi, il nome vostro non me l'avete detto. Non so chi siete. Quello che so è che vi ho trovato qua e che stavate per darmi addosso come un cane cattivo. Che avevate creduto? Che io avessi potuto scacciarvene?  Nossignore!... Io mi sono permesso di entrare qua soltanto per cercare un poco di elemosina, tale e quale un pezzente, tale e quale questo povero vec­chio che mi ci ha accompagnato. Io stendo la mano lo  vedete...  (Stende la mano a guisa d'un mendican­te)  Stendo la mano, e l'elemosina che cerco... è che questa giovane mi perdoni d'essere stato la sua ro­vina!... Una volta, ero indifferente e crudele. Adesso, sono diventato un altro uomo, per tutto quello che ho visto, per tutto quello che ho provato facendo il dovere mio. Ci ho lasciato gli occhi...  (ha nella voce che prorompe tutte le lagrime che più non può avere negli occhi) ... ma sono tornato con una coscien­za che prima non avevo!... Mi senti, Filomè?

Filomena        (fiocamente, con la faccia a terra, evitando tuttora di vederlo)  Sì, ti sento!...

Ferdinando    (con una appassionata effusione)  Sono un altro uomo, fattene capace! Mi sono cambiato! E sem­pre a una cosa penso, notte e giorno! Sempre a una cosa! E il cervello mi va per aria. E il cuore mi trema, mi trema come non mi ha mai tremato in mezzo alle cannonate. Tu, tu, Filomena, ci hai da mettere un rimedio a questo spasimo! Io non avrò requie se tu non mi perdoni!

Filomena        (rompendo in un pianto dirotto)  E di nien­te altro t'importa, è vero? Di niente altro?... Vuoi essere perdonato! Per la tua coscienza, questo ti ba­sta?! E non la sai, non la sai la vita che faccio io? Non sai che vendo il mio corpo a chi più mi paga? Non sai che non c'è una femmina peggio di me? Se nessuno te l'ha detto ancora, fattelo dire da questo disgraziato, che per me sta soffrendo morte e passione!

(Ha insieme col pianto una recrudescenza d'esasperazione, che sembra  furibonda)

Io vivo nel peccato come un serpente velenoso e del veleno che do agli altri io stessa, io stessa morirò!

Ferdinando    (barcolla un po'. Indi, col fiato mozzo, cerca di parlare)  Quando ho confidato a Giovanni che volevo venire qua, la mia intenzione era di le­varti dalla vita che fai! Si' Giovà, parlate voi...

Giovanni.       Lopotrei giurare sopra l'evangelo.

Ferdinando.   E poi mi sono scoraggiato... Mi sono scoraggiato, perché ho cominciato a pensare: « Che le posso offrire a Filomena, io, poverello? Mi spet­terà, sì, una piccola pensione, e qualche altra cosa potrò guadagnarmela col mestiere che sto imparan­do; ma sempre poverello sarò, sempre poverello! E Filomena ha perso l'abitudine della povertà ». Que­sta, tra me e me, è stata la conclusione. E giacché dalla vita che fai non sono buono a levarti, tu hai ragione: non ho nemmeno il diritto di farmi per­donare. Le parole che hai dette le hai dette giuste, e io le ho capite. (con un grido di desolazione in­finita)  Non c'è più scampo! Non c'è più misericor­dia! Tu nel peccato, e io... nell'inferno, sì, nell'in­ferno che ho meritato, senza speranza di uscirne mai! mai! mai!

Filomena        (lo ha ascoltato con crescente tensione com­prensiva e, ascoltandolo, ha gradatamente cessato di piangere)

Ferdinando    (dopo una breve pausa, in un tono di tri­stissima rinunzia)  Si' Giovà, andiamo!

Filomena        (ha una improvvisa solennità ansiosa)  No! Aspetta, Ferdinà! Aspetta! (Si rizza in piedi,  ma continua a non poterlo guardare)

Ferdinando    (resta sospeso, intento, concentrando nell'udito tutta la sua sensibilità)

Giovanni        (gli sta accanto, con intimità soccorrevole, intento anche lui e palpitante di un vago presentimento che gli illumina la fisonomia).

Luigi.               (è scosso, e volge a Filomena gli occhi perplessi)

Filomena        (con un moto lieve e trepido, camminando quasi a ritroso, si accosta a Ferdinando. Si volge a lui, finalmente, puntando lo sguardo coraggioso nel cavo degli occhi distrutti. Gli resta di faccia, caccian­dosi le dita morte nei capelli. Le linee e il colore del suo viso subiscono trasformazioni spettrali. Col me­desimo moto lieve retrocede, senza distaccare da quel­le orbite vuote lo sguardo, che diventa più acuto, più intenso. Urta in un tavolino. Si ferma, e, tra sensa­zioni opposte e opposti sentimenti, spasima di uno sforzo visibile. La fronte le si stira in su. Le sue pu­pille ingrandiscono. Le sue labbra, esangui, si con­traggono sui denti stretti che scricchiolano. - Indi, a poco a poco, ella si cheta, si rasserena. Tutta la sua persona, ora, è immobile, bellissima, in un atteggia­mento d'ispirazione ascetica.)

Ferdinando    (non intende, non immagina. È sui car­boni ardenti, e, con estrema discretezza, la interroga:) ...Che fai, Filomè?

Giovanni        (pianissimo a lui)  Zitto, non le dite niente!

Filomena        (con una lentezza che disegna in trasparen­za il suo pacalo pensiero, si toglie gli orecchini, si toglie l'anello)

Luigi                (le si fa presso, fremendo e soffocando)  Ma, dunque non ti servono più quest'anello e questi orecchini?... Li disprezzi?... Li vuoi gettare....

Ferdinando    (trasalisce vivamente)  No, Luì! Non li voglio gettare. Tu me li hai dati, e io te li restituisco.

(Posa e riunisce i gioielli sul tavolo datanti a lui)

Ferdinando    (Nella piena della commozione, si stringe a Giovanni)

Giovanni        (invaso da una non minore commozione, vi­gila, e con un gomito lo tocca volendo significargli di tacere ancora)

Luigi                (fissa Filomena, trasecolando)  E perché me li restituisci? Perché?... Rispondi! Rispondi! Perché me li restituisci?

Filomena.       Perché così ha da essere! Di brillanti e di perle non ho più bisogno!

Luigi                (disperatamente)  Tu stai impazzendo!

Filomena.       E se pure impazzisco?  Non è sempre un bene per te che io spezzo questa catena che ti ho attaccata al piede?

Luigi                (terrorizzalo)  Mi scacci? Mi scacci?!

Filomena.       ...Torna alla tua casa, Luì! Torna a tua mo­glie! Torna ai figli tuoi, che da più di un mese stan­no patendo per causa mia! Dobbiamo salvarci l'anima tutti e due, tutti e due!... Non lo senti, tu, che, se passa questo momento, non ce la possiamo salvare più?

Luigi                (trema e abbassa il capo)

(Una pausa.)

Filomena        (prende gli orecchini e l'anello e glieli por­ge, parlandogli compunta e sottomessa)  E fammi la grazia di pigliarteli quest'anello e questi orecchini... Levali dalla vista degli occhi miei, che mi pare come se te li avessi rubati. Vendili, vendili, e il denaro che potrai averne portalo a loro, portalo a quegli sconsolati. Per loro sarà una provvidenza, per loro sarà una festa, e tu ne avrai tante benedizioni quante sono state le lagrime amare che hanno pianto per noi! (ha nel cuore come un empito dolcissimo di bontà materna)  Contentami, Luì... Contentami!  (e più gli è vicina nell'insistenza)                                       

Luigi                (tuttora col capo chino, piange silenziosamente. Inerte, si lascia mettere i gioielli in una mano, che Filomena con la sua accompagna a infilare una tasca senza ch'egli la cerchi. Sembra cieco anche lui!)  Ti contento, sì. Me ne vado subito. Non so in che ma­niera vivrò lontano da te... Ma ti prometto... ti pro­metto che, qualunque sarà la sorte mia, io farò tutto quello che mi hai detto di fare. E ti prometto pure che mai più cercherò di vederti. (piange più forte)  Giacché  se ti vedessi... certamente non potrei... non potrei resistere.  (risoluto, prende il cappello)

Filomena        (dubitosa, timorosa)...Un'altra parola, pri­ma che te ne vai...

Luigi                (si ferma.)

Filomena.       Tu, con Ferdinando Anfrosino, non devi rimanere nemico. Del male che casualmente ne hai avuto, te ne devi scordare innanzi a quelle due lam­pade che non hanno più luce. E devi ricordarti sol­tanto... che questo cieco, stanotte, ci ha portata la salvazione.

Luigi                (con qualche reticenza)  Io... non gli sarò nemico.

Filomena.       E allora... (non osa continuare - teine -si si vince - implora:) ...stringetevi la mano!

Luigi                (ha un brivido di repulsione. Indugia, nel martirio.)

Giovanni.       (spinge un poco Ferdinando, come per dir­gli: « Offritegliela voi la mano ».)

Ferdinando    (con sincerità, ma non senza un evidente palpito di orgasmo, stende la destra)

Luigi            (a un tratto, cede, pervaso da un bisogno di remissività leale)

(Le loro mani si congiungono, stringendosi in una scam­bievole testimonianza di umiltà)

Filomena        (guarda con le grandi pupille velate di lagri­me buone e con un riverbero di sorriso sulle labbra)

Giovanni        (estatico, s'irradia)

Luigi                (si ritrae, singhiozzando)

Filomena        (a Luigi)  Ti ringrazio!

Luigi.               Addio! (rapidamente esce)

Filomena        (appena uscito Luigi, volge in alto le brac­cia e gli sguardi devoti)  Signore benedetto, non mi sembra vero! Dopo tanto tempo ho sentito un'altra volta la voce vostra. Dopo tanto tempo, ho sentito un'altra volta il comando vostro. Mi avete aiutata! Mi avete aiutata! E ora, Signore onnipotente e misericor­dioso, non mi abbandonate più!

(Con la testa eretta e aureolata, incrocia le braccia sul petto in atto di contrizione, e immerge l'anima nella preghiera, come davanti a un altare)

Giovanni        (intanto ha soffiato qualche parola all'orec­chio di Ferdinando. Adesso, tenendogli un braccio per fargli da guida, lo conduce fin quasi alle spalle di Filomena. I loro passi lievissimi non sono avvertiti da lei, fervidamente assorta. Indi, egli lascia il braccio del cieco e indietreggia. Contempla tutti e due, per un istante, con una profonda compiacenza affettuosa, e, adagio adagio, senza far rumore se ne va)

Ferdinando    (s'accorge soltanto che Giovanni ha ces­sato di tenergli il braccio. Non ode più nulla. Timi­dissimamente, un po' smarrito, lo chiama:)

                       Si' Gio­và! ... Si' Giovà!... Si' Giovà?!...

Filomena        (sussulta, si volta, gli si aggrappa al collo, con una straripante esaltazione piena di purezza)  Fer­dmando mio! Ferdinando mio!

Ferdinando    (con una eguale esaltazione e con una voce fervida di pianto riconoscente)  Tu sei una santa!

Filomena.       Ferdinando mio!  Ferdinando mio! Ferdinando mio!... Ferdinando mio!...

(Restano cosi avvinti)

(Sipario)

Fine del Dramma.

Ecco le note che il vecchio Giovanni canta dalla strada: