I bambini

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I BAMBINI

Dramma in un atto

di STEFANO LANDI

PERSONAGGI

IL CONTE

IL GOBBO

PANZADIVACCA

SESSANTOTTO

IL DIRETTORE

LA SIG.RA MIRAGLIA, conferenziera

UN SOPRASTANTE

DUE GUARDIE

In una casa di pena, oggi

Una piccola ca­merata dalle pareti nude imbiancate con la calce. La porta bassa e nera, munita d'una spia, starà qua­si annidata nello spessore del muro a mezzo della parete di fondo. Due e due, rialzati contro le pa­reti laterali, i giaci­gli dei detenuti. In un cantone la men­sola con suwi la brocca e alcune gavette; sotto, un mastello. Alta, nella parete di destra, una finestra con le sbarre, accecata da una tramoggia. A destra, quasi sul proscenio, una piccola rozza panca.

 Domenica, circa il mezzogiorno. Una lama di sole, larga un palmo appena, infitta attraverso il vano limi­tato a\dla tramoggia, si dissolverà in breve, quasi senza spostarsi. Al levare della tela, la scena sarà vuota. Si udranno lungo il ballatoio, che si suppone di là dalla parete di fondo, scalpiccii confusi e voci, di tanto in tanto, che impongono: «Ira silenzio! In silenzio! » e lo schiudersi e il rinchiudersi di alcune porte: il tonfo, lo striscio del paletto, il gridio delle serrature. Nella stanza che si suppone contigua alla parete sinistra della cella, s'udrà entrar gente, e una voce dopo la solita ingiunzione di silenzio, griderà sei o sette numeri a ognuno dei quali una diversa voce risponderà: « Pre­sente! ». Richiusa quest'ultima porta, i rumori cesse­ranno.

Finalmente la porta in fondo sarà spaLangata ed en­trerà il soprastante con la prima guardia e quindi i quattro ergastolani: Panzadivacca, il Gobbo, il Conte e Sessantotto.

La seconda guardia resterà fuori, nel vano, dopo avere ammonito: « In silenzio! ».

Il Soprastante                  - (entrando) (Ecco serviti anche questi signori di riguardo.

Panzadivacca                   - (affannato dal moto, serio) Eh, siamo proprio di riguardo, idi riguardo a vista.

La prima Guardia            - (zelante) Fate silenzio!

Il Soprastante                  - Non perdiamo altro tempo. (Li guarda tutt'e quattro in riga e per pura formalità, spic­ciandosi, legge da uno scartafaccio i numeri: « Tre, venti, sessantadue, sessantotto », i quattro detenuti, uno alla volta, risponderanno subito « Presente »). Ci siamo.

Panzadivacca                   - (appena ha risposto va a calarsi per terra) Con permesso, imi pesa.

Il Soprastante                  - Comodo, comodo. (Alla guardia, per uscire). E, se Dio vuole, questi sono gli ultimi.

Il Gorbo                           - Eh, se Dio vuole gli ultimi saranno i primi. (E ride).

Sessantotto                      - (stupido, con forza) Saranno i primi, sicuro, i primi idi tutti.

Il Soprastante                  - (ironico) Per ora dovete avere un po' di pazienza! (Sulla soglia, per uscire) Nessuno si tolga le scarpe, perché il signor direttore farà il giro con la eonferenziera. (Panzadivacca, il Gobbo e Ses­santotto rispondono con un grugnito di malumore. Il Conte, appartato, volgendo le spalle a tutti, appare in preda a una cupa meraviglia e a un'ansia, che lo fa­ranno rabbrividire. Il soprastante e la guardia escono richiudendo la porta. Il Gobbo va nel cantone per bere, e versa dalla brocca in una gavetta).

Sessantotto                      - (andrà a prendersi il sole) Oggi il sole tocca a me, eh? Dunque, chi s'accosta, lo considero uno sfregio. (Guarda obliquamente il Conte, che, senza essere nel sole, gli sta vicino).

Il Gobbo                          - (dopo un pezzo, asciugandosi la bocca col rovescio della mano) Godi fanciullo mio - stato soave - stagion lieta è codesta; come dice il poeta.

Sessantotto                      - (eccitandosi) Finora io non ho detto, mi pare, che voglio essere canzonato! (Al Gobbo) Bada come parli, tu, perché io ti capisco lo stesso!

Il Gobbo                          - (senza dargli conto, va lemme lemme a but­tarsi per terra discosto da Panzadivacca).

Sessantotto                      - (dopo avere aspettato invano la risposta risalendo verso il Gobbo) E' inutile che t'approfitti con me che sei stato maestro idi scuola, bello mio!

Il Gobbo                          - (frigido, sogghignando) In verità, non m'è riuscito mai d'approfittarne. Ci provai e, alla prima volta...

Sessantotto                      - (rivoltato) Uh, schifoso! (A Panza­divacca) 0 ilo sentite come parla di quello che ha fatto? (Al Gobbo) Passa via, igobbo porco! Non ti voglio neanche ascoltare più, perchè io al mio decoro ci tengo. (Si volge e risale. La lama di sole frattanto si è dira­data e si è spenta. Con malumore) M'avete fatto andar via il sole senza potermelo godere, mannaggia a voi! (S'allontana e va a sedere sulla panca borbottando).

Panzadivacca                   - (annoialo) V'azzitterete adesso, no? (Pausa).

Il Gobbo                          - (indica a Panzadivacca il Conte, accennando l'arietta: «Guarda don Bartolo, pare una statua»).

Panzadivacca                   - (con un gesto evasivo) Eh! (Pausa).

Sessantotto                      - (fra sé) Accidenti alla domenica e alle conferenze. (Si leva e va a guardare dietro lo spor­tellino della spia).

Il Gobbo                          - (a Panzadivacca) Non ne ho sentito neanche una parola, della conferenza di oggi.

Panzadivacca                   - E non ci avete perso niente.

Il Gobbo                          - No, perché stavo dietro ad ascoltare la voce di quella signora. Non vlha fatto niente a voi, risentire una voce di donna dopo tanto tempo?

Panzadivacca                   - (astratto, dopo una pausa) Eh?

Il Gobbo                          - Non v'ha fatto effetto a voi?

Panzadivacca                   - (c. s.) Stanotte l'ho sognato di nuovo.

Il Gobbo                          - (accettando facilmente il cambiamento di discorso) Ah: vostro padre. Che vi benedice sempre. eh?

Panzadivacca                   - Sì; e il solito discorso... sulla nostra bella proprietà, ohe valeva duemila scudi: il podere...

Il Gobbo                          - Eravate (ricchi.

Panzadivacca                   - Si campava sul nostro, lavorando. Ma - dice - tu gli hai alzato troppo il prezzo, figlio; gli hai dato il prezzo della mia vita: e allora non è stato più per te... Solo il Re può possedere ciò che vale Ila vita degli altri.

Il Gobbo                          - Vi parla così e poi vi benedice?

Panzadivacca                   - (accenna parecchie volte di sì, l'occhio invagato, poi mormora) Io non avevo nessun'espe-r lenza...

Il Conte                           - (si volge e domanda con interesse) Verrà qui la iconiferenziera?

Il Gobbo                          - E se viene ci onora, oh!

Il Conte                           - (impaziente) Ma verrà?

 Panzadivacca                  - (con bonomia) Così hanno detto: non l'avete sentito?

Il Conte                           - (rassicurato) Ah, l'hanno detto. (Torna e. s. Pausa. Gli altri restano un momento sospesi a guardarlo indecisi).

Sessantotto                      - (avvicinandosi ai due) Ma, oh, par­lare a noi dei bambini, ci vuole una bella sfaccia­taggine!

Panzadivacca                   - (ai Gobbo, sorridendo bonariamente) Per voi, l'hanno fatto per risvegliarvi il rimorso...

Sessantotto                      - (ride della bella spiritosaggine).

Il Gobbo                          - (ne sorride, preoccupato d'altro) Ma va'! (E' restato a indagare sull'atteggiamento del Conte. Farà segno di starlo a sentire, poi - andando a sedere ac­canto a Panzadivacca - confiderà) Statemi a sen­tire, piuttosto. Io ho fatto il pensiero che il Conte la conosce. Dopo la «conferenza, non vedete come ha cam­biato d'umore?

Sessantotto                      - Ori, conosce?

Il Gobbo                          - La conferenziera che è venuta oggi.

Panzadivacca                   - (che ha riflettuto) In fin dei conti, potrebb'essere: lui, nobile - oh, per essere conte è conte davvero, non c'è che dire - e, in società: si conoscon tutti, la gente che gira e sta in mostra.

Il Gobbo                          - E poi c'è un altro fatto.

Sessantotto                      - (allegro) (Biadiate che sarebbe un bel caso!

Il Gobbo                          - (a Sessantotto) Zitto! (Spiegandosi) Quella che lui (fa l'atto di colpire) se ci pensate, era anche lei una che faceva le conferenze al pubblico. Donne che non sono donne, oh!: gli ha fatto schizzare quell'occhio, che...

Sessantotto                      - (brusco, troncando) Perché parli sempre mia'le dei morti?

Il Gobbo                          - (stupito) Io? male? ohe male? Oh, come s'ha da parlare, per farad capire |da un matto di questa specie! (Si leva e va girando, con atti di farnetico).

Panzadivacca                   - Via, via, usate prudenza...

Sessantotto                      - (infiammato da nobili sensi) E se gii ha cavato un occhio è segno che si difendeva e non voleva morire! Io glieli avrei cavati tutt'e due!

Il Gobbo                          - (ironico) E smettila, va': da' retta, che ti conviene.

Sessantotto                      - (dopo un'occhiata obliqua al Conte, ras­sicurato) Oh. alla fine, che me ne importa? Io lo rispetto perché lui mi riverisce!

Panzadivacca                   - Oh, vengono! A posto, a posto... (Si ode disserrare la porta. Entrano: il soprastante; il di­rettore, piccolo, grigio, baffi alla francese, in redingola, calmo, equanime, di squisita e quasi pudica intelligenza morale raffrenata dal sentimento della sua veste. La si­gnorina Miraglio, ossigenata, vestita un po' alla bizzarra. retorica sinceramente e commossa spesso dalla sua stessa retorica. Due guardie restano fuori, in vista).

Il Direttore                      - (alla Miraglio, sulla soglia, sorridendo) Avanti, passate avanti senza paura. (Sono entrati. I quattro detenuti sono sull'attenti ognuno davanti al suo giaciglio) Ecco i nostri veterani, per così dire: quattro che fanno un mazzetto... profumatissimo. (Al soprastante) Avete qui le loro fedine?

La Miraglia                      - (con un sorriso improvviso) Grazie. no; preferisco non sapere. (Parlerà sempre in fretta, anche se ha poco da dire; come le persone molto lo­quaci).

Il Direttore                      - E' un riguardo che non sarà apprez­zato. Se sapeste in che si rifugia l'orgoglio degli uo­mini... Aid ogni modo, icome volete. (Dopo un breve silenzio) E allora, se v'accontentate soltanto 'di vedere: possiamo seguitare il giro?

La Miraglia                      - Ho un .vivo .desiderio di sapere -direttamente da loro - che impressione hanno ricevuto dalle mie parole.

Il Direttore                      - (sorride, mostrando d'accondiscendere) Purché non vi illudiate di cavarne fuori una sola nota sincera...

Panzadivacca                   - (umile, commosso) Se il signor di­rettore permette...

Il Direttore                      - ((cortese) Permetto, permetto.

Panzadivacca                   - Il signor (direttore... ci umilia... e...

Il Gobbo                          - Ha tutte le ragioni, il signor direttore... se permette. (Alla Miraglia) Ma, in verità, ah che pa­rola fiorita, illustrissima signora! Che parola fiorita!

Sessantotto                      - (con la lingua più grossa che mai) Davvero! Più che fiorita! Dippiù!

Panzadivacca                   - (pudico, accennando il Gobbo) Lui se ne intende: era maestro di scuola. E i bambini, poi, li conosce.

Il Direttore                      - (con una certa tristezza sorridente e maliziosa) Eh! Ne ha perfino ucciso uno.

La Miraglia                      - Lui?

Il Gobbo                          (resta vergognoso, a testa bassa, allarga un po' le braccia).

Panzadivacca                   - (dopo una pausa) Purtroppo, ognuno di noi ha i suoi rimorsi... E io aggiungerei per l'occa­sione, se il signor direttore permette, peccato che i rimorsi suscitati idal vedere la vostra bontà... (un sospirone) sicuro, non ci hanno fatto gustare con la do­vuta .calma ila forma bellissima... bellissima del lin­guaggio.

La Miraglia -                    - Ma il rimorso, amici miei, il rimorso che persuade al pentimento, oh, è un ben triste viatico, lo so, ma è pur runica guida verso una salvezza: non è vero?

Il Direttore                      - (senza impazienza, spiegando) Non ci si può pentire per trenta anni di séguito, stando in una condizione in cui non c'è più da aspettarsi niente di peggio.

La Miraglia                      - (quasi aggressiva, senza indugiare sulle parole) E allora? La nostra opera di elevazione-solo per rompere, di tanto in tanto, un... un adatta­mento che voi ritenete inovviabile, facendo rivalutare il peso della condanna?

Il Direttore                      - (allargando le braccia) Sarebbe già un resultato morale, credete.

La Miraglia                      - (con doloroso stupore) Oh! (Ai de­tenuti) Eppure io ho inteso idi parlarvi con l'umiltà del mio cuore di donna, icon le parole più semplici e co­muni, che non chiedevano nessuna lode, ma solo un compenso, amici miei: quello di ritrovare la via del vostro cuore e, per la loro umiltà, per la loro sempli­cità... come dire? sì, volevo che fossero capaci di mettersi a contatto col punto più sicuro della vostra anima, col punto più sicuro ideila vostra sincerità: pel solo fatto che io, donna, vi parlavo idei bambini... idei bam­bini che siete ben stati, no?, anche voi... e dei nostri giuochi d'allora; nostri: eravamo tutti insieme, allora... bambini! puri, senza differenze! e ideile nostre povere mamme: della mamma che avete avuto...

Il Conte                           - (si lascia sfuggire un gemito che nasconde? appena, tutti si voltano a lui, con un raschio nella gola, e si tiene indifferente, subito).

Sessantotto                      - lo, veramente, se permettete, mi hanno chiamato Esposito, e da Esposito a Sessantotto ho fatto un passo solo! (Ride come uno scemo).

Il Direttore                      - (tentennando il capo, compatendo) Sembra che ve ne vantiate.

Panzadivacca                   - (storcendosi) Perdonate, signor di­rettore, che è un ignorante. (Quasi a parte a Sessantotto) Sono cose da dirsi? (Alla signorina) Noi - ve­ramente - nella nostra... nella nostra cosa dell'anima, come la signora dice bene, noi siamo riconoscenti alla sua nobile intelligenza e all'illustrissimo signor direi tore, come voi potrete riferire giustamente, ohe non ci manca .quello che è prescritto, e che siamo trattati con somma bontà.

Il Direttore                      - (a Panzadivacca) Ottimamente. (Alla Miraglia) E ora possiamo andare, credo.

La Miraglia                      - (core un sorriso di melodrammatica tri­stezza) Se voi m'assicurate che posso dichiararmi sod­disfatta!

Il Conte                           - (con semplicità, senza muoversi e senza guardare nessuno) Sì, signora.

La Miraglia                      - (sorpresa; volgendosi) Come?

Il Conte                           - (c. s.) Davvero.

La Miraglia                      - Oli! (Al direttore) Avete sentito?

Il Direttore                      - Ve la dà lui, l'assicurazione, ben più convincente che se fosse venuta 'da me. Un esito trion< fale, dunque! Andiamo.

La Miraglia                      - (subito, nervosamente) Permettetemi ancora. (Al Conte) Voglio che imi diciate sinceramente se davvero io ho potuto giovare, a voi, con la mia... offerta id'amore: a voi uomo, mortificato da questa pu­nizione.

Il Conte                           - (sorridendo un po' commosso, con signori­lità d'accento) Ma... non è questo: voi m'avete ridato una cosa, che però nessuno m'aveva mai tolta.

La Miraglia                      - Ohe cosa?

Il Conte                           - (guarda il direttore).

Il Direttore                      - Dite, dite. Può interessare anche me. (Ma poi, udendolo parlare si mostrerà scontento).

Il Conte                           - (cupo) E' per ime solo; non vale che ne parli. (Alla Miraglia, ruvido) E perciò non potrei in fondo nemmeno ringraziarvi, idato che voi non sa­pevate certo ciò che avete detto a me: non potevate: è una cosa... così mia! Ma guardate: il signor idiret-tore non ha piacere che si prolunghi questa strana scena... perdonate.

La Miraglia                      - (interessata, vibrando) No, che cosa, che cosa, voglio sapere!

Il Direttore                      - Non fidatevi più.

Il Conte                           - (con amaro disprezzo) Appunto. E' giusto.

Il Direttore                      - (secco) Calmo, calmo: e a posto.

La Miraglia                      - (c. s.) Signor direttore! No, non fate ch'io debba assistere a questa cosa orribile: mi sembra che ora vogliate soffocare e spegnere quel palpito di vita «he insieme avevamo cercato di suscitare.,

Il Direttore                      - (gelido) Può 'darsi. Ma vi prego di non insistere.

Il Conte                           - (con un improvviso scoppio di voce, fre­mente, pieno d'orgoglio e di disprezzo) Io, sono «tato un bambino! Io solo fra tutti, qui. E' da ridere, voialtri.

La Miraglia                      - (quasi impaurita) Perché? perché dite «osi?

Il Conte                           - (c. s.) Periché io avevo una mamma, come voi borghesi non potete neanche immaginare «he esista. Ecco perché. (Subito, smarrendosi) No no. La­sciatemi tranquillo... Vi prego.

La Miraglia                      - (subito incalzando) Ah no, ora do­vete parlare, dovete considerarvi, esser sincero. Per voi, per voi: è la via! E’ necessario, vi dico! Voi avete davanti agli occhi vostra madre. Non è vero? L'avete ritrovata! Non dovete più smarrirla! Ditemi, ditemi, cercatela ancora, cercatela imeglio. Parlate con me!

Il Conte                           - (eccitato come per una frustata, perdendo il dominio di sé e lasciandosi andare sfrenatamente) Ah Dio! Se voi sapeste ohi sono io ora, come ini sento io, qui dentro! (Stordito, sorvolando) No, per carità. Se qui fosse bujo... (All'improvviso, colpito dalle sue mani, con una volata) Le anie mani, piccole: dentro queste! io, tutto più piccolo: ora mi sento, mi tengo tutto dentro il mie petto. Accuceiato... (disimpacciando le immagini dal tumulto interno) a contemplare... alta, fine, col sole nei capelli biondi, io accuceiato davanti a lei, io e lei! Soli soli, e c'era un po' di vento, e mi parlava... Cerne eravamo soli! Mamma mia! Nella quiete di quelle stanze chiare piene di sole ideila mia casa nel parco. Era! (Con fugace rammarico) Non lo sapevo più... (Ilare) Ma era così (Fremente, accennando) Ecco, voi mi avete dato una traccia: lì! Ho fatto assai pre­sto: correndo, di volo, oh Dio!: eccola (Abbandonan­dosi) La mia bella fanciullezza, tutta nel suo cuore e nel suo spirito, gentile mamma mia! La vedo! L'ho qui! (Subito brusco, duro, ostile) Che ne sapete voi? Lasciatemi, oh! (Resta ansante).

La Miraglia                      - (trionfante) Oh Dio mio, sono riu­scita! sono riuscita!

Il Direttore                      - (preoccupato) Da bravo, calmatevi: se volete essere isolato, non per punirvi, ma per darvi agio di sedare la vostra commozione, io disporrò su­bito...

Il Conte                           - (che non ha udito se non la propria intima voce, continuando per sé) Eppoi, davvero chi ea quali sono i vostri ricordi! Chi sa che povera donna di casa piena di faccende vi ricordate voi, borghesi, e voialtri! (Con passione) Un bambino e una mamma, se non sono ricchi e nobili: dov'è la loro gentilezza? il loro valore? Non lo potete sapere, no, di una donna che possa fare la mamma, devota, negli agi di una casa che protegge, che ammette solo quella vita che non turba! Ricca e potente! E la mamma, oh mia signora, oh mia mamma bella: contenta di poter essere così chiusa nella nostra vita, senza preoccupazioni, contenta e giudiziosa per me - a vivere insieme ogni nostro momento! Che orgoglio! Esser serviti in tutto a un cenno, che non ci dovessimo impacciare di niente -per essere soltanto una mamma e il suo bambino! (Ri­tornando al sorriso di commiserazione) Avrete capito ohe è solo per me, e io non ringrazio nessuno: ecco, voi non c'entrate: vita... dura! vita sciocca, che vuol turbare - fuori!

La Miraglia                      - (al direttore, stupita) Ma chi è, chi è costui?

Il Direttore                      - (senza nessuna drammaticità) L'uc­cisore di Susanna Kleist.

La Miraglia                      - (con orrore) Ah! il Conte... (Invece di pronunziare il nome, con feroce disprezzo) E può parlare .del suo orgoglio! (Altro atto d'orrore) Ah! lo conoscevo intimamente la sua povera vittima. (Si copre il volto).

Il Direttore                      - (fa un atto di disappunto per le espres­sioni usate dalla Miraglia) Ma no!

Il Conte                           - (sbalordito, guardandosi le mani) Figlio mio... figlio mio...

Il Direttore                      - (calmo, persuasivo) Smettete codesta commedia, o dominate i nervi, se siete sincero, e non volete che si ricorra a mezzi coercitivi.

Il Conte                           - (rivolente, ritraendosi) Dite così per farmi scacciare quel bambino... Infatti, non gli posso far sentire queste cose.

Il Direttore                      - (c. s.) Siate ragionevole.

Il Conte                           - (atterrito, senza suono nella voce) Ora intendo di che cosa sono responsabile. Io ho un bam­bino e Ito messo, io, in condizione di dover soppor­tare questo! Gli parleranno così. A un bambino. (Con un tono freddo, come allucinato) Davvero, io ho un bambino, l'ho avuto ed è vivo ora, e io... io... l'ho dato a tutti.

La Miraglia                      - (fremendo) E quando mai i bruti si sono preoccupati dei figli?

Il Direttore                      - (alla Miraglia, con severità appena dis­simulata dal tono cortese) Non è il caso, signorina, d'usare queste parole. Sarà meglio lasciarli tranquilli: andiamo. (L'accompagna fino alla soglia. 'Fa cenno quindi al soprastante di uscire. La Miraglia e il sopra­stante escono. Egli ritorna sui suoi passi, e dopo aver fissato i quattro, dice, pesando le parole) Che per tutta la giornata non si senta fiatare qua dentro una sola sillaba. Siamo intesi? (Si avvia).

Il Conte                           - (subito, istintivamente) Consentitemi una preghiera, signor direttore.

Il Direttore                      - (si volge dalla soglia, seccato. A poco a poco risalirà interessato di quanto dice il Conte) Che altro c'è?

Il Conte                           - (dominandosi in modo da apparire ragio­nevole) Superati i primi inconvenienti di... di questo ritrovamento, io stimo, signor direttore, che anche voi potrete apprezzare in me un miglioramento... tale, che io potrei meritarmi l'ufficio di scrivanello, per esempio.

Il Direttore                      - (sincero, allargando le braccia) Tutto è possibile... ma non è proprio questa l'oocasione più propizia per farmi prendere impegni avvenire... Cal­matevi.

Il Conte                           - Signor idirettore, perché io ho uno scopo: così come sono, mi sento in grado - è questo - di provvedere a tutelare quel bambino... e allora - la mia preghiera: se il bambino, per i vostri buoni uffici, fosse trasferito dal brefotrofio, di cui ho orrore... (ira fretta, per parare il pericolo che il direttore s'of­fenda) perché, se anche voi non mi considerate un bruto (io ora mi sento un uomo!) non è vero?, di­cevo, voi sapete che io posso pensare... avvertire questo orrore, che non è offesa a un'istituzione...

Il Direttore                      - (con interesse) Comprendo. Ebbene?

Il Conte                           - Ecco, io col frutto del mio lavoro, potrei tenerlo a pensione nella famiglia dì qualche addetto al carcere, e così io...

Il Direttore                      - (stupito, con un'aria di incredulità sin­cera, che sonerà assoluta nel tono della sua voce, con interesse) Ma voi davvero non fingete?

Il Conte                           - (piomba di colpo a sedere sulla panca e resta impietrato; muove le mani per recarle alla faccia, ma gli restano sospese a mezza via).

Il Direttore                      - (resta indeciso. Pausa).

Panzadivacca                   - (fa cenni al direttore per rassicurarlo che il Conte non finge: no, no, è vero! e porta la mano al petto: a Consta a loro, in parola»).

Il Direttore                      - Per ora non posso dirvi nulla. (Ri­sale lentamente ed esce. La porta viene richiusa. I quattro sono immobili. Suona fuori nel silenzio la voce della)

Miraglia                           - Se è vero, egli ha da salvare due bam­bini, due sciaguratissimi bambini...

La voce del Direttore      - (brusca) Andiamo, an­diamo. (I passi. Silenzio. Le mani del Conte ricadono sulle gambe. Il volto non esprime se egli oda o veda. Panzadivacca e il Gobbo si sono calati a sedere per terra. Panzadivacca sbuffa e si destreggia per togliersi le scarpe).

'Il Gobbo                         - (a bassa voce) Che vi togliete a fare? Fra mezz'ora c'è la passeggiata in cortile... (Pausa).

Sessantotto                      - La domenica! Almeno gli altri giorni si lavora senza pensare. (Poiché Sessantotto ha parlato forte, gli altri due, invece di seguitare il discorso, lo1 lasciano cadere guardando dubitosi il Conte).

Sessantotto                      - Auh, òhe vi succede?

Il Gobbo                          - (sibilando) Stupido!

Sessantotto                      - (maravigliato, infantile) Perché?

Il Gobbo                          - (accennando il Conte, a bassa voce) Ci vuole un po' di considerazione...

Sessantotto                      - (chinandosi, a bassa voce) Lo sape­vate voi ohe aveva un figlio?

Il Gobbo                          - (nega col capo).

Sessantotto                      - (si cala a sedere accanto al Gobbo e resta con lui a guardare il Conte).

Panzadivacca                   - (dopo una pausa, assorto, tentennando il capo, con pena) Eppure, a pensarci bene, questa cosa ohe siamo stati bambini... esiste. (La battuta sia lunghissima, preceduta e seguita da una pausa che ne allarghi e ne diffonda il senso. Da questo punto, diano gli attori un certo tono infantile alle loro espressioni).

Il Gobbo                          - Però non è esatto, come diceva lui...

Panzadivacca                   - Appunto, che solo i bambini ricchi...

Sessantotto                      - 'Eh! le un ridicolo, va'! io, per esem­pio, altrocché! mi ricordo tante cose! Dice: che potete sapere voi sventurati!

Il Gobbo                          - (per sé, lagrimoso) Mi ricordo tante cose, va'!

Sessantotto                      - Anzi, i bambini, chi ci pensa a es­sere ricchi?

Panzadivacca                   - Tutto faceva contenti!

Il Gobbo                          - Perfino io, così, avevo i miei momenti, che uno se li ricorda sempre...

Sessantotto                      - Ognuno ne ha. (Al Conte, persuaso) Voi dovevate essere un bambino cattivo, anzi, se ci pensavate!

Il Conte                           - (li guarda e sorride. Gli altri tacciono, sgo­menti).

Panzadivacca                   - Su, lasciatelo stare, non fate così. (Pausa).

Il Conte                           - (sorridendo e guardandoli, con un soffio di voce) Però, sì: un po' cattivo, ima bello, e ardito.

Panzadivacca                   - (col sorriso di chi ricorda, da buon-uomo, compiaciuto) Anch'io ero ardito... su pei monti, quando guardavo le vacche, e veniva la sera...

Il Gobbo                          - (a voce alla, quasi feroce) Sapete che a me c'era una ragazzina che mi voleva bene? A me, a me: io mi rincantucciavo sempre solo, e lei veniva a trovarmi; il «gobbino »...

Sessantotto                      - (all'improvviso, pieno di furore)             Ve­drete òhe il rancio di stasera sarà un'altra porcheria come quello d'ora!

Panzadivacca                   - (subito, con sofferenza) E zitto, zitto.

Il Gobbo                          - (anche lui con dolore) Lasciaci stare in pace una volta!

Sessantotto                      - (stordito e mortificato) Uh, santo Dio.

Il Gobbo                          - (c. s.) Lasciaci pensare a un'altra cosa.

Sessantotto                      - (subito, infervorato e commosso, con gli occhi ridenti, ad alta voce) Ofh io ve l'ho detto che mi ricordo tante cose anch'io. Noi all'Ospizio facevamo la ricreazione lì in un gran cortile cogli alberi. Certe partite di guerra francese! si volava. Io non mi scorderò mai quelli del mio partito, come ci si voleva bene per vincere gli altri: ci si guardava con l'anima negli occhi. Uno per tutti e tutti per uno! (Gli altri l'ascoltano, ma nessuno mostra una viva partecipazione a ciò che dice: sorridono, invece, intenti ai propri ricordi. E al­lora anche lui s'invaga a pensare, sorridendo).

Il Conte                           - (li guarda, uno dopo l'altro, li studia, sor­rìde loro, quasi magnetico, quando poi si rivolge a Panzadivacca, articolando a stento la voce, dice) Anche voi... (Quasi un'interrogazione, quasi una maraviglia espressa per conto dell'altro, che se ne turba e rab­brividisce) Anche voi... anche voi...

Panzadivacca                   - (sorridendo e approvando) Eh... Tempi che non tornali più.

Il Conte                           - (abbassa il capo, desolato; resta così. Gli altri sono in una indecisione, in una sospensione che li fa vaneggiare, dissolvendo intorno ad essi la consi­stenza del carcere mentre ai loro occhi acquista sempre più realtà quel fatto che « esiste » l'esser stati bam­bini. La pausa sia lunghissima, fremente; a intervalli, cadranno nel silenzio un sospiro o un'esclamazione fug­gevole: «Oh Dio..». «Eh!»).

Il Conte                           - (solleva finalmente il capo, con uno scatto: ha un'idea, li lia guardati, ha capito che l'intenderanno. E' una follia; si protende, il volto pallidissimo, su cui a tratti erra un sorriso. A tratti si ilara, quasi folle­mente. Li spia. Incatena la loro attenzione con uno zittìo lungo, di richiamo, l'indice sul naso, tanto che Panzadivacca si protende anche lui arrangolando. In­fine, inviterà, con un bisbiglio) Facciamo i bam­bini?

Sessantotto                      - (sobbalza, quasi spaventato, quasi affer­mando, interessato, con la voce grossa) Come avete detto?

Il Conte                           - (magnetico) I bambini, noi.

Panzadivacca                   - (sciogliendosi, lacrimoso) Vederne giocare uno adesso eh? come giuocano loro, mi farebbe...

Il Conte                           - (troncando, secco, ilare, con febbre, levan­dosi) No no, noi! Facciamolo, per noi. Dobbiamo farlo! Sentite: così: quando ci viene questa voglia, possiamo, è un bisogno.

Sessantotto                      - (scosso) E io vi voglio ascoltare, va'! Come?

Il Conte                           - (c. s.) Su, sn: a sentirlo noi, così, e parlare fra noi, se siamo concordi. Ma è facilissimo! Un giuoco. Vedete? Si parla come non s'è mai par­lato e si respira un po'.

Sessantotto                      - A fare i bambini ci vuole un giuoco! Io ci sto! (Agli altri) Si ifa? Si ifa? (Levandosi).

Panzadivacca                   - (ridendo commosso) Oh! oh! oh! è ben trovata, oh! è proprio roba da matti!

Sessantotto                      - (al Gobbo) Insieme tutti, su via!

Il Conte                           - (febbrile, esultante, infantile, faccendiero) Dobbiamo stare sempre in piedi, intanto, perché viene poi, questa >di mettersi a sedere senz'essere stan­chi, sempre, che non è più da bambini!

Sessantotto                      - (giubilante) E' vero, va'! (Agli altri) Sentite com'è fino!

Il Gobbo                          - (s'è acceso anche lui, a suo modo, un po' stridulo) Voglio giocare una volta anch'io! non mi ci hanno mai voluto: ma ora! Ah ah, fra noi, eh? Mi piace! (Si leva in piedi).

Panzadivacca                   - Ma piano, però, piano, che non ci odano.

Il Conte                           - Prendiamoci per mano! Se ci fosse la mia mamma, regalava a tutti i miei compagni. Vedete come parliamo insieme? lo vi conosco tutti, ora!

Panzadivacca                   - Ci si riconosce tutti!

Il Gobbo                          - Su su, dhe ci teniamo per mano! (Afuta Panzadivacca a. levarsi) Come si fa? come si fa?

 Il Conte                          - (a Sessantotto) Tu sta con me; loro in­sieme, idi fronte.

Sessantotto                      - (scontroso) Che c'entra ora darmi del tu?

Il Conte                           - (leggero, volante) Dallo anche tu a me: che vai a pensare! (Tutto posseduto ormai dal giuoco) Basta, basta, senza fare opposizioni: al giuoco comanda sempre nno. Su che ci moviamo! (Avanza con Sessan­totto- E' ilare, felice. Cantando sottovoce) «E' arrivato l'ambasciatore, contrallerillalero ». Reverenza,, adesso! Anche voi! (Eseguiscono, retrocedendo) « E' arrivato l'ambasciatore, eontrallerillalà ». E adesso voi, subito: «Che c'è venuto a fare ». Su, su. (Raccomandandosi) Ma come se ci fossero le bambine, avete capito?

Il Gobbo                          - (ebbro anche lui) Sì sì, lo so! (Avan­zando con Panzadivacca che si stempera in un riso som­messo commosso, senza poter venire a capo di frenarsi) « Che c'è venuto a fare, con tra...

Sessantotto                      - (fa tre colpi di tosse convenzionali. Si separano bruscamente. Alla spia sono comparsi due occhi indagatori. I quattro sono ansanti. Appena il guardiano va via). .

Il Gobbo                          - Su, su, di nuovo, di nuovo!

Sessantotto                      - Sì, eh? Sotto!

Il Conte                           - Sì; fate piano come me: ognuno giuoca dentro di sé, capite, e basta avere gli occhi ridenti tutt'e quattro, in modo che ognuno abbia piacere di guardare gli altri!

Il Gobbo                          - Ma un altro giuoco tutti insieme per tenerci tutti per mano!

Sessantotto                      - A girotondo!

Il Conte                           - A girotondo!

Panzadivacca                   - (angustiato) Voi parlate sempre forte! Io, poi, sono stanco.

Il Gobbo                          - Qua la mano, qua la mano! (Gliela prende).

Il Conte                           - Bravissimo! (Ride della stanchezza di Panzavacca) Ah! ah! ah! C'era con noi un grassone, mi ricordo! (Fu il gesto della pancia e delle gambe che si piegano. Tutti sono presi dal riso. Un riso che diventerà a poco a poco spasmodico, continuando ad agitare le loro viscere fino all'ultima battuta. Il Gobbo, frenetico, va storcendo le dita di Panzadivacca, il quale, anche lui ridendo, si lamenta: «No, ohimè! No, ohimè! »).

Sessantotto                      - Non mi posso più tenere! Ah! ah! ah! il ciccione!

Panzadivacca                   - (con angoscia) Ahi! ritornate! ri­tornate in voi stessi! (Ride di nuovo).

Il Conte e Il Gobbo         - (frenetici, dando l'aire) Giro-giro tondo, cavallo imperatondo...

Panzadivacca                   - (convulso)  A monte! A monte!

ìIl Conte                          - (meravigliato, smettendo un momento) Perché? No?! (Riprende a ridere).

Sessantotto                      - (gridando a gran voce, con un certo ter­rore allegro e feroce) Oh! oh! si ritorna come era­vamo! (Questa battuta sia gridata alta, e molto rile­vata. Ridono tutti più forte. Dalla spia gli occhi e una voce che urla: « In silenzio! ». Campanelli squillano all'armi. Altre voci: « La guardia! La guardia! ». I quattro non avver­tono nulla).

Il Conte                           - (nello spasimo del riso, tentando calmare i suoi compagni, in­sorgendo) No! Non vi stupite! Resistete! Che desiderate di più?

Il Gobbo                          - (colpendo Panzadivacca)

                                        - Passa! Passa!

Il Conte                           - Fermi! (Smette di ridere e trema, pallido, con angustia) E se vi sfremate, allora! Un momento, adesso vi insegno io! (Ilare, sorridendo) Su, su...

Sessantotto                      - (indicando agli altri due che ruggiscono eccitati uno con­tro l'altro, il Conte) Oh guarda com'è buffo! (A lui) Guercio!

Panzadivacca                   - (riuscendo ad accop­pare il Gobbo con una manata) E iriiipassa! (Nuovo scoppio di riso dei tre).

Sessantotto                      - (sbellicandosi e pren­dendo fra due dita il viso del Conte) Oh bello! Che guardi in cielo? (Gli dà una gomitata nel fianco) E smòviti!

Il Conte                           - (con un urlo bestiale s'avvinghia a Sessantotto) T'am­mazzo!

(Tutti e quattro si sLangiano, si battono, ruzzolano a terra indemo­niati senza lasciarsi, gridando e mar­toriandosi. La porta si spaLanga, en­trano di furia il soprastante con la rivoltella in pugno e parecchie guar­die armate di verghe, si precipitano sui caduti colpendoli per separarli).

Il Soprastante e le Guardie (gri­dando) A posto! In silenzio! A posto!

 

FINE