Il campo

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IL CAMPO

Commedia in due atti

Di GISELLA GAMBARO

PERSONAGGI

FRANCO

EMMA

MARTIN

UN GRUPPO DI INTERNI

UN GRUPPO DI SS

UN FUNZIONARIO

DUE INFERMIERI

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

Quadro primo

(Un interno dalle pareti di un bianco abbacinante. Verso il lato sinistro della scena come unici mobili, una scrivania, una poltrona e una sedia. C'è anche un cestino per la carta. Due porte: una sulla destra che dà nell'interno, l'altra sulla sinistra per l'esterno. Sulla parete di fondo, una finestra. Dopo qualche secondo a scena vuota, si apre la porta sulla sinistra e si sente una cortese voce che dice: "Venga avanti; lasci pure qui le valigie. Il signore la riceverà subito." (Entra Martin. Indossa un cappotto, guanti e sciarpa. Si toglie guan­ti e sciarpa e mette tutto sulla scrivania. Si siede sulla sedia. I suoi gesti sono lenti, tranquilli. Tira fuori dal taschino una tavoletta di gomma da masticare e se la mette in bocca. Im­provvisamente si sente una gazzarra infantile mischiata a secchi e autoritari ordini, da cui tutto ciò che si può distin­guere è un confuso "uno!, due!". In sottofondo una specie di lungo gemito che, trascinandosi sotterraneamente, può sembrare un'illusione dell'orecchio. Martin, sempre mastican­do, si alza e ascolta. Osserva la superficie pulita della scri­vania su cui c'è soltanto un citofono; schiaccia uno dei bot­toni e ne viene fuori un motivo sdolcinato e scialbo, come di musica funzionale. Sorride e torna a schiacciare il bottone. Cessa anche il rumore esterno. Martin si siede. Qualcuno corre nel corridoio esterno e una voce, tra divertita e infu­riata, grida: "Corra! Non di là! Non di là!". Si sentono as­sai vicini dei feroci latrati, come di cani che si accaniscano contro qualcuno. La porta si apre per alcuni secondi, ma viene subito richiusa violentemente. Martin si fa alla porta e l'apre. Guarda fuori, ma non vede niente, perché la ri­chiude con un'alzata di spalle. Raccoglie dalla scrivania guanti e sciarpa e mette il tutto nella tasca del cappotto. Ha ini­ziato a togliersi l'indumento, quando la porta di destra si apre ed entra Franco. È vestito con una impeccabile divisa da SS; appesa al polso ha una frusta, la lunga e stretta fru­sta di cuoio intrecciato che usavano le SS. Nonostante ciò, il suo aspetto non è affatto minaccioso: Franco è un uomo giovane, dal viso bonario. Entra con aria affaccendata, por­tando sotto il braccio una quantità di fogli e di. cartelle che va perdendo per strada)

Franco                             - (si arrabbia scherzosamente mentre raccoglie le car­te) Questi bambini! Questi bambini! Sembrano puledri! (Mette il fascio di cartelle e fogli sulla scrivania. Con natu­ralezza si toglie la frusta dal polso e la spinge col piede sotto il mobile. Tende la mano a Martin) Eccomi qua, finalmente. Come va? È molto che aspetta?

Martin                              - (lo guarda sorpreso) No.

Franco                             - (inchinandosi a raccogliere carte da terra) Si levi il cappotto. (Martin si piega per aiutarlo) No, lasci. Sono abi­tuato a farmi cadere tutto. Sono un inetto! (Si apre un po' la giacca) Uf, che caldo!

Martin                              - (piegalo sotto la scrivania a raccogliere ancora carte) Qui ce n'è ancora.

Franco                             - (lo scansa con un piede perché non tocchi la frusta. Seccamente) No, lasci.

Martin                              - (irritato) Scusi, ma che significa?

Franco                             - (indicando le carte, con indignazione) È tutto in questo stato, un disordine da puttane! (Si siede in poltrona. Indicando la sedia all'altro lato della scrivania. Con voce amabile) Si metta a sedere! Come va? Si tolga il cappotto.

Martin                              - (sedendosi) Sto bene cosi.

Franco                             - (senza starlo a sentire) Abbiamo un buon im­pianto di riscaldamento. Un po' freddo, un po' caldo: in fon­do un clima ideale. (Si sente un'altra volta la gazzarra in­fantile mista a ordini, gemiti soffocati. Franco schiaccia un bottone del citofono. Con voce pausata, ma autoritaria e minacciosa) Che i bambini stiano zitti. (Cessa la confusione di fuori. Sorride, mettendo le mani sulla disordinata monta­gna di fogli della scrivania) Qui c'è tutto. Beh, solo una parte; i libri sono in ufficio. (A Martin che lo sta osservando tra divertito e infastidito, amabilmente) Di cosa è sorpreso?

Martin                              - Di niente.

Franco                             - No, lo dica!

Martin                              - La sua divisa.

Franco                             - (ammirato) Succede lo stesso a tutti! Che tempi di merda!

Martin                              - Ma perché quella divisa?

Franco                             - E quale avrei dovuto mettermi?

Martin                              - E perché se la inette?

Franco                             - Mi piace. Le soddisfazioni bisogna levarsele da vivi. Non faccio male a nessuno. Sono disarmato. (Brusca­mente) Ebreo?

Martin                              - (sorridendo) No.

Franco                             - Comunista?

Martin                              - No.

Franco                             - Pederasta?

Martin                              - No. (Mastica sempre la gomma. Una pausa, poi piegandosi verso Franco) Mi dica: che importanza ha?

Franco                             - (attonito) Che sta facendo? Mastica gomma? (Per sé, sgradevolmente so preso) Che abitudine disgustosa!

Martin                              - (senza scomporsi) Fumo di meno.

Franco                             - Io masticavo un cannello di liquerizia. (Apre un cassetto della scrivania) Ne vuole uno?

Martin                              - No, no. Non la sopporto.

Franco                             - Io non sopporto la gomma.

Martin                              - (senza scomporsi) Si? Davvero? (Indicando i fo­gli) Vediamo un po'?

Franco                             - (cortesemente) Ma se è appena arrivato! Non so­no un negriero. (Scuotendo la giacca della divisa) Questa le può dare un'impressione sbagliata, ma... non sono un negriero!

Martin                              - (sorride) Lo so. Ha portato le carte. Mi interessa dare un'occhiata.

Franco                             - (timidamente) Non lo dice per dovere?

Martin                              - No, il viaggio non mi ha stancato.

Franco                             - Che bellezza! (Seccamente) Ma non credo che potremo lavorare se lei mastica gomma. Francamente, non lo credo. (Quasi grossolanamente Martin sputa la gomma nel cestino. Franco, con ostentata gratitudine) Grazie, grazie! (Si sentono voci e risate di bambini, questa volta non me­scolate a ordini o a gemiti. Franco ascolta sorridendo) Senta i bambini. Non obbediscono. Giocano nel cortile. (Con uno strano sorriso) Uno voleva entrare qui dentro. (Ride; bru­scamente) Che ne pensa del Vietnam? Scusi se le faccio questa domanda. A me che me ne importa?

Martin                              - Niente. (Ne ha abbastanza) Vediamo le carte?

Franco                             - Subito. Per me il problema è abbastanza scabro­so. (Si getta indietro sulla spalliera della poltrona) è giusto? Non è giusto? I nordamericani sono forti, una grande na­zione. Gli altri io non li conosco. Lei li conosce?

Martin                              - (seccamente) No. (Tira fuori un'altra gomma e se la caccia in bocca)

Franco                             - (mentre lo guarda con crescente schifo) Nessuno li. conosce, e quindi è difficile farsene un'idea giusta. Gli ebrei, li conoscono tutti. I comunisti un po' meno, ma qualche imboscato c'è sempre. Non è cosi difficile. Russi. Tutti ab­biamo letto i comunisti russi. Gorki, l'ho letto. "La madre". Che libro! Ne ho... (Non ricorda, o non sa, oppure è come soggiogato da Martin che continua a masticare) letti mol­ti. (Supplicando, quasi sul punto di venir meno per il disgusto) La smetta. (Martin smette di masticare per un mo­mento. Franco, con rinnovato brio) Penso agli scrittori viet­namiti, guardi, senza fare distinzioni: sudvietnamita, nord-vietnamita, per me è lo stesso: chi li conosce, chi li ha Ietti? In quale lingua si esprimono? Un problema senza soluzione. (Con leggerezza) Non può smetterla con quella gomma?

Martin                              - Mi distrae.

Franco                             - (umilmente) La mia conversazione non l'inte­ressa?

Martin                              - Si, molto.

Franco                             - E allora?

Martin                              - Mi piace arrivare al sodo. (Una pausa) Mi scusi, non volevo essere scortese.

Franco                             - No, non è stato scortese. (Battendo un pugno sulla scrivania) Lei è un duro! Vero?

Martin                              - (indicando le carte) Cos'è questa roba? Come mai non sono numerati?

Franco                             - (divertito) Che numerati e numerati! È tutto un casino!

Martin                              - Bene, da qualche parte incominceremo. (Si alza come per piegarsi sui fogli)

Franco                             - (arrestandolo con un gesto) Fermo li! Le passerò io i fogli. Con ordine! Si segga. (.Martin si risiede, sempre masticando. Franco rimescola i fogli senza ordine) Che cal­do! Sto scoppiando. (Si sbottona quasi completamente la giacca). Ecco qua i registri. Personale dell'impresa di... (Fa il gesto di passare il foglio a Martin, ma si ferma a metà. Seccamente) Bene, butti la gomma.

Martin                              - (tendendo la mano) Permette?

Franco                             - La contabilità è molto imbrogliata. Dovrà lavo­rarci un bel po'.

Martin                              - Mi hanno assunto per questo.

Franco                             - (con l'invidia negli occhi) E con che razza di sti­pendio! (Si fa vento con un foglio) Lei crederà che io sono uno stupido.

Martin                              - (stufo) No, generoso.

Franco                             - (dolcemente) Molto bello! (Posa di nuovo il fo­glio sul mucchio. Poi, lentamente e seccamente) Andiamo, la sputi.

Martin                              - Cosa?

Franco                             - (indicandogli la bocca. Irritato e autoritario) La butti via! (Furioso, Martin sputa la gomma. Poi, Franco, bru­scamente) Lei dice Yankees?

Martin                              - No.

Franco                             - Gli americani sono buoni scrittori. Io ne cono­sco molti. I beatniks, Ferlinghetti gente con la grinta, senza paure. Lei è pauroso, vero?

Martin                              - (stufo) No.

Franco                             - Benissimo! Ma non ha sangue nelle vene? Si levi il cappotto.

Martin                              - Sto bene cosi.

Franco                             - (contento) Non è uno che si caca addosso! (Mar­tin, come sfidandolo, si alza, si leva il cappotto, lo piega e lo mette sull'estremità libera della scrivania. Franco senza alzarsi tende il braccio e con un gesto, dolcemente glielo butta a terra)

Martin                              - Ma cosa fa? (Lo raccoglie ma, appena si di­strae, Franco lo ributta a terra. Da fuori si sente un canto contadino, non tradizionale, ma qualcosa che tenta grosso­lanamente di passare per tale)

Franco                             - Sente? Abbiamo ancora dei contadini di vecchio stampo.

Martin                              - Posso dare un'occhiata?

Franco                             - (con sospetto, seccamente) Per quale ragione?

Martin                              - Per curiosità.

Franco                             - (smontato) Allora, guardi pure! Se è per questo, nessuna obiezione! (Martin si avvicina alla finestra e guarda fuori. Franco, come se sapesse già la risposta) Cosa vede?

Martin                              - Non si vede niente.

Franco                             - Come mai? Dalle loro voci dovrebbero essere sotto la finestra. Ce un sentiero qua sotto: quando cantano (Canta il ritornello), vuol dire che sono qui sotto.

Martin                              - (apre la finestra. Si torna a sentire lo stesso ritor­nello cantato da Franco. Martin si affaccia) Non ci sono. (Sembra come scacciare un pensiero fastidioso, come un penoso ricordo cui non può dare corpo e torna ad avvicinarsi alla scrivania. Poi, indicando i fogli) Diamo un'occhiata?

Franco                             - Perché no? (Schiaccia un bottone del citofono e il canto cessa bruscamente. Si alza e quasi spinge Martin dietro la scrivania. Freddamente) Il suo posto è questo. Resti seduto li. (Molto cortese) Sono stato brusco?

Martin                              - (seccamente) No.

Franco                             - (gli allunga una cartella, poi con voce "commer­ciale") Queste sono le tasse pagate da... (Non ricorda o non sa) Che caldo! L'aria brucia. (Accusatore) Ha lasciato aperta la finestra!

Martin                              - (alzandosi a metà) La chiudo.

Franco                             - No, no. Badi al suo lavoro. I contadini ritornano. (Guarda il suo orologio al polso) Tra cinque minuti ritor­nano.

Martin                              - Cosi presto?

Franco                             - Cosa vuole, oggi come oggi, con le macchine, il lavoro è uno sputo. (Esegue il gesto) Puah! e fine. Vanno nei campi per tradizione, per cantare. Non resisto più! (Si leva la giacca e la posa sulla scrivania. Solo dopo averlo fatto chiede dolcemente) Permette?

 

Martin                              - Ma cosa mi ha dato? Sono tutti compiti di bam­bini.

Franco                             - (molto sorpreso) Compiti di bambini? (Si porta la mano alla bocca) Mi si è mischiato tutto! (Si piega sulla scrivania e quasi con ferocia gli strappa il foglio di mano) Dia qua! (Rimescola i fogli. Ride) Dio mio, hanno fatto una tale confusione. Come sarà capitato qui in mezzo? Com­piti di bambini, disegni. (Tra sé, con un vago sorriso) Li portano sempre con i compiti? (A Martin) Guardi questo. (Gli mostra un disegno) Bello. (Meravigliato) Non le piace?

Martin                              - Si, ma che ci fa qui in mezzo?

Franco                             - E lo chiede a me?

Martin                              - (lentamente) Una volta ho visto delle foto... Bam­bini che si avviavano a...

Franco                             - Lei non c'è stato?

Martin                              - (attonito) Io? Ho visto solo delle fotografìe. Bam­bini che camminavano... come se stessero cambiando casa, con le loro cartelle di scuola in mano... Franco, (lo interrompe furiosamente. Butta la giacca in terra) È questa porcheria a farle tornare in mente quei ricordi! Porcheria! (Prende a calci la giacca. Compunto) Non posso levarmi un capriccio, che tutti cominciano a fare allusioni. (Si mette a posto la camicia, poi seccamente) Adesso ho un altro aspetto. Seguitiamo. Cerchiamo di trovare una pista in quest'imbroglio. (Ad un gesto di Martin) Fermo li. (Rimesta tra i fogli, protesta) Niente! Niente! Compiti, disegni! (A Marlin, amabilmente) Un po' di pazienza! (Guarda un fo­glio) Questo dovrebbe essere un asino. Che caldo! Ah, ecco: qua ci sono cifre, nomi. Gli stivali, posso levarmi gli stivali?

Martin                              - (stufo) Ma faccia quello che le pare.

Franco                             - (offeso) Un po' greve, no?

Martin                              - È il mio tono normale. Faccia quello che le pare.

Franco                             - Ah, no! No, davvero! Mi sottometto. Se a lei dà fastidio, basta, me lo scordo. Lascerò che i piedi mi bol­lano dentro questi maledetti stivali.

Martin                              - Ma no! Non mi dà fastidio. Se li levi.

Franco                             - Benissimo! All'opera, allora! (Si dà da fare con gli stivali) La disciplina è interiore, esteriormente è abba­stanza allentata. Capelli lunghi, comprendonio corto: ancora valido.

Martin                              - Sono d'accordo. Lo stabilimento è suo? O ci sono altri padroni?

Franco                             - Le piacerebbe che ci fossero altri padroni, vero?

Martin                              - (alzando le spalle) No. E perché mai?

Franco                             - E... che ne so, io... Forse non le sono simpatico?

Martin                              - Non è questo. Domandavo per sapere.

Franco                             - Curiosità professionale. Molto bene. Rispondo: società anonima. (Si sta ancora occupando degli stivali) Non riesco a sfilarmeli. Chiamo qualcuno. (Alza la mano sul citofono, ma resta col gesto a mezz'aria) Maledetti stivali! Ah, non creda che mi lascino fare tutto quello che voglio. Ho avuto sempre la mania della divisa. Non faccio male a nessuno, disarmato. Tutto qui. (Riesce a levarsi del tutto gli stivali) Ah, i piedi liberi! Prendete aria, cari. (Mette i piedi sulla scrivania e li agita, quasi sotto il naso di Martin, il quale si allontana un po' con la sedia) Non si muova! (Si tocca i calzini che sono di lana bianca) Che calzini bollenti! (Tende a Martin una manata di fogli) Prenda. Si metta al corrente. Non creda che non mi renda conto.

Martin                              - (prende i fogli) Di cosa?

Franco                             - Della divisa. Non piaccio. E pensare che è una mania inoffensiva.

Martin                              - (occhieggiando i fogli) Perché non ne ha scelto un'altra?

Franco                             - Un'altra? Perché? Le divise sono tutte uguali, e questa ha anche un passato.

Martin                              - (tranquillamente, ma senza alzare gli occhi) Di figli di puttana.

Franco                             - (offeso) Ah, no! Anche lei adesso usa questo linguaggio?

Martin                              - (guardandolo)     - Solo quando è necessario.

Franco                             - (lo guarda anche lui. Una pausa. Poi, improvvisa­mente contento) Risposta pronta: mi piace. Mi levo anche i calzini. (Se li toglie) Non le dà fastidio, vero?

Martin                              - (meravigliato e spazientito) Ma cosa fa? Si spo­glia completamente?

Franco                             - No, solo i calzini. Ho i piedi puliti. Non li agi­terò davanti al suo muso, se è di questo che ha paura.

Martin                              - Sono venuto qui per lavorare e non per discu­tere sui suoi piedi.

Franco                             - (allegro) Risposta pronta, polemico! Bene! (Si sen­te cantare di nuovo) La canzone! Ritornano! Vada, guardi!

Martin                              - (irritato) Non mi va. (Riprende a guardare i fogli)

Franco                             - (vicino alla finestra) Che spettacolo! Portano le vanghe e le falci. La tradizione. La tradizione non muore mai. Venga qui! (Marlin mette i fogli sulla sedia e si avvi­cina alla finestra) Se ne sono andati. (Ma il canto continua a sentirsi chiaramente. Marlin annusa l'aria) Che sta odoran­do? Il pranzo?

Martin                              - C'è uno strano odore. Che cos'è?

Franco                             - Oh, un deposito di immondizia. Ogni tanto c'è un incendio. I bambini fanno dei falò con l'immondizia. Non l'ho mai capito. Che indecenza!

Martin                              - È una puzza schifosa. Perché non lo proibisco­no? Sembra odore di carne bruciata.

Franco                             - Può essere. Un cane morto in mezzo all'immon­dizia, o un gatto. I bambini sono crudeli. A volte non sono neanche morti. (Chiude la finestra. Il canto cessa. Con im­pazienza) Lavoriamo.

Martin                              - (va alla scrivania, indica le carte) Di tutto questo non sì capisce niente. È un pasticcio.

Franco                             - (tutto contento) Ma certo, gliel'ho detto! Mi di­ca, come ha viaggiato?

Martin                              - In treno.

Franco                             - Perché non è venuto in macchina? Avrebbe potuto fare qualche gita. I dintorni sono meravigliosi. Ap­pena esce fuori trova un altro mondo, si seppellisce nel bu­colico, nell'agreste, nel... (Dei cani abbaiano ferocemente. Franco smette di parlare e ascolta mollo interessato. Subito dopo si ode intensamente e in aumento un rumore come di miccia o di filo elettrico che entra in corto circuito e bru­cia sfriggendo, un corto a corrente alta. Franco si lancia verso la porta di sinistra. Apre, guarda fuori e toma a chiudere, impedendo a Martin che l'ha seguito, di vedere ciò che sta succedendo fuori. Ride) I bambini! Che grida! Si appendono ai fili e spenzolano a testa in giù. Che grida!

Martin                              - (tende il braccio, grave) Mi lasci vedere.

Franco                             - Dopo       - (Una pausa. Appoggiato contro la porta, sorridendo) Dopo...

Quadro secondo

 (In scena, la scrivania, la poltrona e la sedia. Fogli e cartelle sono scomparsi. All'altra estremità della scena una tavola rotonda con sopra una tovaglia bianca; Franco e Martin han­no appena finito di mangiare e sono ancora seduti uno di fronte all'altro. Franco è ancora scalzo e senza giacca, men­tre i suoi vestiti stanno, insieme al cappotto di Martin, per terra dove li ha lasciati prima)

Franco                             - Come dicevo, se non mangiamo, moriamo. Cosa farà lei, ora?

Martin                              - Vado a fare un giro.

Franco                             - Qua intorno? E che vuole vedere? Al paese nort ci si arriva a piedi.

Martin                              - Non importa. Vado a sgranchirmi le gambe. (Si alza)

Franco                             - Andrà a sbattere proprio nell'immondizia. (Si piega verso di lui; confidenziale) Si segga. Io ho un altro programma.

Martin                              - (reticente) Quale?

Franco                             - Non le sto simpatico. Che fregatura.

Martin                              - Non la capisco.

Franco                             - E va bene! Se la prenda comoda. Oggi ha lavo­rato molto. Che disordine! Ci lasciavano in pace, guadagna­vamo tanto. Che ce ne importava delle carte? (Ride)

Martin                              - Gl'impiegati non sanno nulla. Assolutamente nulla. Uno non sapeva neanche scrivere. Tremava e faceva croci, non sapeva fare altro che croci!

Franco                             - (meravigliato) Ha visto? Ha visto che ignoranti? Balordi. Ma ora... Non parliamo di lavoro! Una domanda... (Esitando) Lei è sposato?

Martin                              - No.

 

Franco                             - Da queste parti ci sono dei bei ragazzi. (Ride) No, non lo dico per quello... Ci sono delle belle donne. (Pau­sa) A me non si avvicinano.

Martin                              - Perché mai?

Franco                             - Per la divisa suppongo. Ma lei... Lei è un tipo a modo. (Marlin ride. Franco, inquieto) Non sono mica una puttana, sa?

Martin                              - Lo so.

Franco                             - La gente pensa sempre al male. Io mi faccio in quattro per essere gentile, ma non ottengo nessun risultato. Avremo visite.

Martin                              - Oggi? Questa sera?

Franco                             - Si. Perché si meraviglia? Vado a cambiarmi. (Raccoglie gli stivali, le calze e la giacca da terra. Poi con la mano libera solleva il cappotto di Martin) Porto via il suo cappotto. (Lo trascina per terra)

Martin                              - Non lo trascini per terra!

Franco                             - Ah, ma che tipo ordinato! Affascinante! (Si fer­ma poi, come per gioco, lo trascina ancora un po', lo pesta come a voler lucidare il pavimento)

Martin                              - (avanza verso di lui) Lo tiri su!

Franco                             - (arrestandosi subito e sollevando il cappotto) Non si arrabbi! Lo spolvero. (Lo scuote e tenta di piegarlo con la mano libera, ma l'unico risultato è quello di sgualcirlo e trasformarlo in un involto informe) Che pasticcione!

Martin                              - (strappandogli il cappotto dalle mani) Lasci stare! Vado a fare un giro.

Franco                             - No, no, niente giri! Non voglio che si perda. Poi non avrei altra alternativa che venirla a cercare con i cani. Riceva la signora. Non possiamo piantarla qui.

Martin                              - E chi è? Perché non mi lascia fare quello che voglio?

Franco                             - Ma io volevo solo essere gentile. Ho pensato a lei: una giornata di lavoro, gente sconosciuta, lontano da casa sua: una donna, venere, l'elemento frivolo...

Martin                              - (piega il cappotto e lo mette sulla sedia; stanco) La pianti.

Franco                             - (mollo cortesemente) Certo! Subito. (Supplican­dolo) La riceva bene. Mi cambio in due minuti.

Martin                              - Ma chi è?

Franco                             - La mia unica amica. Amica d'infanzia. Non pen­si a niente di diverso. Siate amici. (Comico) Buona fortuna! (Esce dalla porta di destra. Nel passare, come per sbadatag­gine, butta a terra il cappotto. Martin lo raccoglie con un gesto furioso, mettendolo nuovamente sulla sedia. Quasi immediatamente si apre la porta sulla sinistra e, spinta ton violenza, quasi buttata sulla scena, entra Emma. Si ferma immobile, con una espressione tra impaurita e sulla difen­siva, vicino alla porta. È una donna giovane con i capelli tagliati a zero. Indossa un camiciotto lungo di ruvida tela. Ha una cicatrice violacea nella palma della mano destra, e sul viso tutti i segni di una lunga sofferenza. È scalza. Mar­lin si volta verso di lei e la guarda. Lei si raddrizza su se stessa e sorride. Fa un visibile sforzo, come se incominciasse a recitare, e avanza con fare cerimonioso. I suoi gesti non concordano affatto con il suo aspetto. Sono i gesti e gli at­teggiamenti di una donna che sfoggia un abito da sera. La sua voce è mondana, perfino di maniera, salvo le volte in cui si percepisce come fosse nuda. Allora la sua voce corri­sponde angosciosamente e desolatamente al suo aspetto)

Emma                              - Stia comodo! Stavano cenando? Non si disturbi per me. Franco mi ha detto che c'era il nuovo amministrato­re. Ho voluto conoscerla. Come sta? (Gli tende la mano. Martin, attonito, non la prende. Emma, sempre con la mano Belle dita! Io sono una pianista, per questo le dita mi atti­rano sempre. (Con una smorfia di civetteria frustata) Non la stringa. (Lui le solleva la mano senza lasciarla. La guarda) Belle dita! Io sono un pianista, per questo le dita mi atti­rano sempre (Con una smorfia di civetteria frustrata) Non le piaccio? (Ride. Gli lascia la mano) Venga a sedere. (Si mette a sedere, incrociando le gambe in una posizione di eleganza convenzionale. Un penoso silenzio. Martin la os­serva. Lei resta immobile, improvvisamente tesa, come se qualcosa avesse cominciato a tormentarla. Si stropiccia le mani, prima quasi di nascosto, poi con crescente necessità se le gratta, passando alle braccia e a tutto il corpo. Allo stesso tempo continua a parlare con falsa mondana allegria, di maniera) Non ho mica i pidocchi io, sa? Nient'affatto. Sono stati sterminati tutti, qui nella zona, sa? (Pausa) Ho come... Si... un prurito in tutto il corpo. Sono stata sul prato a riposare, sarà per questo, il prato è pieno d'insetti... di ogni tipo di animaletti, lucciole. Le lucciole non pizzicano mica. Hanno una luce nel corpo. Le conosce? (Con voce triste e disarmata) La luce si accende, si spegne, come un segnale di aiuto... Quale aiuto? Nessuno capisce. La notte resta oscura, silenziosa, e noi guardiamo.

Martin                              - (Piegandosi verso di lei, premuroso e confidenziale) Quale aiuto?

Emma                              - (riprendendo il suo tono da società, senza smettere di grattarsi) È fastidioso. Vede? (Gli tende il braccio) Non ho pidocchi. È fastidioso. Se lo può immaginare. Quan­do attacco il pianoforte nel bel mezzo di un concerto, non posso grattarmi! (Con un tremulo sorriso) Però, sembra che cosi suoni meglio. Aumenta la tensione, ottengo effetti stu­pendi, dicono. Vuole che le faccia sentire qualcosa? (Si gratta ancora una volta, freneticamente) Perché non mi parla? Non sono sgradevole.

Martin                              - Lei... lei è un'amica di...

Emma                              - (premurosa) Di Franco! Le ha parlato di me? (Sorride) Che tesoro! Cosa le ha detto?

Martin                              - (come masticando le parole) Che è una sua amica d'infanzia. Cosi mi ha detto.

Emma                              - Esatto!

Martin                              - Ma chi è, lei?

Emma                              - (fa un grande sforzo per rispondere, cerca di ricor­dare inutilmente poi, volubile e rapida) Non ha uno spec­chietto? Ho dimenticato la borsetta, il pettine, tutto. Non posso ritoccarmi il trucco. Ne ho bisogno?

Martin                              - No.

Emma                              - Un fazzoletto, ha un fazzoletto? (Si guarda la mano ferita)

Martin                              - (tirando fuori un fazzoletto e dandoglielo) Si, ecco.

Emma                              - Grazie. (Resta con la mano in aria) è pulito? (Martin fa un gesto di assenso e solo allora lei lo prende se lo avvicina alla mano, ma non compie il gesto, non sa cosa farne; se lo passa sulla faccia poi lo dimentica sul tavolo e riprende a grattarsi)

Martin                              - (riprende il fazzoletto) Che cos'ha?

Emma                              - (non lo sente. Si tira su un po' la gonna e si osserva le gambe, piegando la testa, tanto che sembra stia nascon­dendo la faccia; resta cosi per un momento, Martin si alza, si piega verso di lei e sta per toccarla con un gesto di pietà, ma lei inaspettatamente alza la testa e sorride con civetteria soddisfatta) Cosa voleva?

Martin                              - (allontanandosi) Niente.

Emma                              - (sorride) Dicono tutti la stessa cosa. Ma appena una si distrae, approfittano. (Torna a guardarsi le gambe) Mi correvano dietro per le strade. Ecco, qui c'è una crosticina. (Se la toglie) Per lo meno si vede qualche segno. Ma quando uno si guarda la pelle e niente, la vede pulita, bianca, allora da deve viene il prurito? Da dentro? (Ride. Un silenzio. Con­tinua a grattarsi con un sorriso da società fisso, angoscioso a forza di essere stereotipato. Martin la osserva, teso. Em­ma si alza, raddrizza la testa, cammina come una stella del cinema) Perché non parla un po' per distrarmi? Mi hanno detto che voleva vedermi. Tutto qui? O ero io che volevo vederla. Ho pensato che avrei passato piacevolmente un po' di tempo. Un fervente ammiratore, mi ha detto il mio segre­tario. Il nuovo amministratore l'ammira fervidamente, mi ha detto. Mi ammira, lei?

Martin                              - Si.

Emma                              - Concedo poche interviste, il mio tempo è spa­ventosamente occupato. (Si ferma, distratta) Spaventosamen­te. (Silenzio)

Martin                              - (si avvicina a lei; a voce bassa) Che cos'ha? lo non ho visto nessun segretario non ho parlato con nessuno. (Emma comincia a grattarsi) Non si gratti.

Emma                              - Non mi gratto. (Si gratta ancora. Sorride con lo stesso sorriso da società, stereotipato) Però, la sua è un'os­servazione grossolana. Chi l'avrebbe sospettato? (Si accarez­za la testa nuda come se fosse coperta da una gran capiglia­tura) Lei ha un aspetto cosi gentile! (Si rialza la gonna) Belle gambe.

Martin                              - (le riabbassa le vesti) Cosa fa? Ma non può stare un po' in pace? Mi mostra le gambe e sembra scappata da... (Si arresta, attonito, come se solo in quel momento si rendes­se conto del fatto che lei sembra scappata da un campo di concentramento)

Emma                              - (con un sorriso) Scappata? (Acre) E da dove? Non dica idiozie. (Ride) Scappata da un ballo. Ho ancora il vestito addosso. (Se lo liscia) Sono rientrata all'alba. Ab­biamo ballato... (Pensa) sul prato. E questa è la prova: il prurito, gl'insetti. Ho perduto la borsetta. (Si gratta) Oh, mi son fatta uscire il sangue!

Martin                              - (le tende il fazzoletto) Prenda. Smetta di grat­tarsi. Si fa male.

Emma                              - No. Tutta colpa delle unghie lunghe. È per que­sto. (Si asciuga; sta per avvicinare il fazzoletto alla ferita della mano, ma non si decide o non osa, e lo restituisce a Martin) Glielo rendo.

Martin                              - Lo tenga pure.

Emma                              - No, no. I regali degli uomini non sono mai disin­teressati. (Martin le prende il braccio e lo rovescia perve­dere la parte interna. Emma ride) Ah, visto che curioso?

Martin                              - Lei è marcata.

Emma                              - Mio padre. Aveva paura che mi perdessi. Mi pia­ceva andare dietro gli ombrelli. Vedevo passare qualcuno con un ombrello aperto e gli andavo dietro. I giorni di piog­gia erano terribili. Mi cercavano gridando per le strade; ave­vano paura per me: una creatura, qualcosa che doveva crescere; una mano che cresce, una comprensione che fiori­sce. C'era da aspettare tutto questo, come non avere paura?

Martin                              - (le accarezza il braccio; con tristezza) Lei è marcata.

Emma                              - Le ho detto di no! È un porta-fortuna! Quattro sette e un tre. Mi tocchi se vuole. (Gli offre il braccio, ma Martin non accetta. Meravigliata) Non vuole?

Martin                              - No.

Emma                              - È stato mio padre. Un tipo eccentrico. Non era proprio necessario!

Martin                              - È stato doloroso?

Emma                              - (seccamente) Niente affatto! Ero molto piccola. (Quasi con furia) E non è inciso nella pelle. È inchiostro, inchiostro indelebile!

Martin                              - La picchiano? La picchia, quel figlio dì...? Ha la mania della divisa!

Emma                              - (tesa) Stia zitto! (Volubile) Il mio pubblico mi adora. L'ultimo concerto è stato un successo. La gente sem­brava impazzita, mentre mi chiedevano l'autografo; mi han­no rovinato uno scialle, tutti ne volevano un pezzetto per ricordo. (Grave e pensosa) Per un pelo non mi hanno fatta a pezzi. (Lo guarda faccia a faccia) Tutta a pezzi.

Martin                              - Si, è ridotta male. Ma perché? Chi è stato a raparla cosi? (Come se non capisse) Adesso!

Emma                              - (aspra) Porto i capelli corti. Per via delle parruc­che. Ho bisogno di cambiare pettinatura a ogni concerto. È più pratico: una parrucca, e sono pronta.

Martin                              - (toccandole il vestito) E questo? E le scarpe? E quei denti?

Emma                              - (coprendosi la bocca con una mano. Molto ridicola) Maleducato!

Martin                              - No, lei mi fa pena. Lei mi ricorda...

Emma                              - (quasi canticchiando) Dalla pena all'amor, c'è solo un passo. Le piaccio? (Gli si avvicina insinuante, con un sor­riso civettuolo) Mi eccita piacerle. (Gli si incolla addosso)

Martin                              - (con schifo involontario) Si scosti!

Emma                              - (sconcertata) Perché? Non le piaccio? I capelli corti? (Toccandosi la testa) Il mio prurito? Ci si abituerà, cocco. E poi, quando c'è Franco cerco di non grattarmi. Ma in questo momento, il prurito mi esaspera. Dev'essere il sangue che scorre più veloce. Voglio piacerle, io... Mi hanno detto il suo nome. (Tentando di ricordarlo) La chiamerò... (Cerca un nome qualunque, ma non ci riesce) Bah, ma cosa importa!

Martin                              - (dolcemente) Mi chiamo Martin.

Emma                              - (illuminandosi) Si, un nome! (Scusandosi, con un timido sorriso) Ricordo pochi nomi. Franco e... qual è il suo?

Martin                              - Martin.

Emma                              - Ah!

Martin                              - (le prende il braccio quasi con tenerezza) Chi l'ha marcata a fuoco? È successo da tanto?

Emma                              - (fa per toccargli il viso, ma non ne fa niente) Non si preoccupi. (Improvvisamente sfiduciata) Che cosa mi ha domandato?

Martin                              - Chi l'ha marcata a fuoco?

Emma                              - No. Non usavano fuoco.

Martin                              - (quasi gridando) Chi è stato?

Emma                              - (spaventata) Non gridi. Le dico un nome qual­siasi, le va bene? È stato... (Cerca inutilmente un nome. Sor­ride manierosa) Si calmi, caro. Sono la signora della casa. Perché si eccita tanto? Voglio firmarle una fotografia.

Martin                              - (come per metterla alla prova) Come riesce in fotografia?

Emma                              - (ride) Benissimo. Un po' ritoccata.

Martin                              - Me ne dia una.

Emma                              - Quando viene Franco, le tiene lui. È il mio guar­diano. No. Il mio... (Se ne dimentica. Riflettendo) Forse il cane mi ha contagiato con un eczema. Oppure è stato sul prato. (A Martin) Non c'è fango; non si scorge terra, tutta erba verde, un prato ben pettinato. Certamente lei avrà pen­sato al fango, pensava che doveva sguazzare nel fango. Vi­viamo in campagna, ma viviamo in altri tempi.

Martin                              - (guardando le sue scarpe lucide, quasi con sor­presa) Voi... raccoglievate i secchi di merda       - (Lei ha un gesto ridicolo e si porla una mano alla bocca) e concima­vate i campi. Tutto il giorno a fare la stessa cosa, sepolti nella melma, nella neve.

Emma                              - Neve? Qui non ce n'è.

Martin                              - Non lo sopporto proprio. Quello stupido e... lei. Non c'è fango, non c'è neve. Posso andarmene. Faccio la valigia e me ne vado. Ora, subito.

Emma                              - Ma che le prende? Cosa sta dicendo? Lei è il nuovo amministratore, noi paghiamo bene. Non ha mai so­gnato di essere pagato tanto bene.

Martin                              - (sconcertato) È vero.

Emma                              - E allora? Cos'è che lo scoraggia, caro...? (Non ricorda il nome) Ancora non ha cominciato. (Entra Franco vestito di nuovo con l'impeccabile divisa delle SS. Si avvi­cina a Emma e le bacia la mano. La scena acquista un tono di affettata socievolezza)

Franco                             - Signora!

Emma                              - Caro Franco, come sta?

Franco                             - Molto bene. E lei? Sempre impeccabile.

Emma                              - Conosce l'amico...? (Cerca invano il nome)

Franco                             - Si, lavoriamo insieme. (Stringe la mano a Martin. Confidenziale, riferendosi a Emma) Che gliene pare?

Martin                              - E me lo chiede?

Franco                             - Perché no?

Emma                              - (avvicinandosi a Franco e parlandogli con fare ser­vile e come se Martin non fosse presente) Vuole andar­sene. Io non l'ho offeso. Glielo giuro. È molto capriccioso. Chiacchieravamo amabilmente e... e all'improvviso se n'è uscito con questa storia! Io... ho cercato di riuscirgli simpa­tica, ma lui è molto strano... (Cerca di convincerlo, ingenua­mente) Franco, è molto strano...

Franco                             - (sorride) Non può essere! Come sarebbe, che vuole andarsene!

Emma                              - (c.s.) Si, si, mi ha detto proprio cosi.

Franco                             - (freddamente) Lo convinca a restare.

Martin                              - Mi permetta... (Franco lo fa tacere con un gesto, indicandogli Emma)

Emma                              - (si sta grattando. Un silenzio. È evidente che le pa­role di Franco le arrivano un secondo più tardi di essere state pronunciate. Sorride artificiosamente. A Martin) Domani dò un concerto. Ci sarà un gruppo di amici molto selezio­nato. Deve assolutamente restare. (Cerca di richiamare l'at­tenzione di Martin, prendendolo per la manica della giacca e tirandola verso di sé in maniera strana. Nello stesso tempo. lo prega con socievolezza affettata) Resti, caro... (Non ricorda il suo nome. Poi, con un sorriso incerto e come se avesse imparato a memoria ciò che deve dire) Il linguaggio della musica è... Il linguaggio... dell'anima!

Franco                             - Esatto. (A Martin) Non si sente a suo agio?

Martin                              - No.

Franco                             - (deprecando) Che fregatura. L'ho pagato in anticipo. (Si afferra la testa tra le mani) Sono uno stupido! (Pas­seggi, sempre con la testa tra le mani)

Martin                              - (sorpreso) No, no, è stato solo un impulso!

Franco                             - (si ferma di colpo, sorridendo) Quello di andar­sene?

Martin                              - Si.

Franco                             - (fa un salto) Evviva! (Si ferma, e a Martin) I soldi me li avrebbe ridati lo stesso, non sono cosi stupido.

Martin                              - Lo so. (Molto nervosamente, mentre Franco ad ogni sua frase muove la testa, approvando come un pupaz­zo) Però l'avverto: bisogna mettere tutto in ordine; ho bi­sogno di dati, altrimenti non si può far niente, non si sa da dove incominciare. Se no, perché sono venuto qui? (Qua­si gridando) Il lavoro è l'unica cosa che m'interessa!

Franco                             - (senza convinzione) Domani cominceremo. Do­mani.

Emma                              - (come una scolara volonterosa) E il lavoro non è contrario al divertimento.

Franco                             - È quello che dico sempre.

Emma                              - (c.s.) Il lavoro rende liberi...

Franco                             - Basta...

Emma                              - Franco, gli lascia la serata libera? (A Martin) Suo­nerò solo per lei. E per il gruppo selezionato. Persone affa­scinanti. (Si gratta freneticamente, con una mano dentro la scollatura)

Franco                             - (senza starla a sentire) Cos'ha da agitarsi tanto?

Emma                              - (alla domanda s'immobilizza) Io?

Franco                             - Si, lei. Che le succede?

Emma                              - (guardando Franco con apprensione crescente. Con voce bianca, immobile) Non ho niente. Sono in ottima salute.

Franco                             - Cos'ha sulla mano? Una ferita?

Emma                              - (nascondendo la mano) No.

Franco                             - Ho visto del sangue. Me la mostri.

Emma                              - (rigida, guardando di fronte a sé, gli tende la mano sana) Nessuna ferita, è sana.

Franco                             - (freddamente) L'altra.

Emma                              - (dopo un attimo gli tende l'altra mano. Franco si piega, a distanza, guardandola in silenzio, senza prenderla. Emma resta in posizione come di attenti, impaurita) Nes­suna ferita, è sana. Sono in perfetta salute. Il ... signore può dirlo. Sono adatta a qualsiasi lavoro. Trasportare pietre, bi­doni, pulire latrine, scavare...

Franco                             - (continua a guardarla per un po', poi si raddrizza rompendo la tensione) Cosa sta dicendo, cara... (Una pausa, poi in tono divertito) marchesa? Quale lavoro potreb­bero mai fare le sue mani, le sue care mani, se non quello che fanno? (Le prende le mani e gliele bacia. Ma il gesto perde poco a poco la sua aria amabile, acquistando un ca­rattere di costrizione) Che le rode?

Emma                              - Niente. (Bruscamente libera le sue mani incro­ciandole sul petto; disperata) Questo maledetto prurito! Co­sa mi hanno buttato addosso?

Franco                             - Chi?

Emma                              - II... (Si ferma; poi lancia una risata) Il cane! (Grida verso Franco con intenzione) Cane rognoso! (A Marlin) E lei, povero caro, perché se ne sta zitto? (Con una risata isterica) Perché non mi gratta? Sediamoci. (Lo spinge su una delle sedie e gli si siede sulle ginocchia, abbraccian­dolo)

Martin                              - Mi lasci. (L'allontana da sé, si alza. A Franco) Cosa significa tutto questo? Sono venuto per lavorare, io, che cosa crede? Lei è completamente matto! Da dove l'ha tirata fuori? (A Emma) Mi lasci in pace! Voglio lavorare e basta!

Franco                             - (come se non capisse) Ma non adesso! Com'è impaziente!

Emma                              - (a Franco, in un parossismo di paura) Non lo stia a sentire! Non lo stia a sentire! (A Martin. Dopo una breve esitazione tra quale delle due mani scegliere, gli copre la bocca con la mano sana. Martin la scosta da sé) Non dica niente. Domani ci penserà meglio, si troverà più a suo agio. Io mi ci trovo magnificamente.

Franco                             - (dolcemente) Che male le ha fatto questa signora? Dove è stato educato? È offensivo.

Emma                              - (triste) Proprio cosi.

Martin                              - Mi perdoni.

Emma                              - riprendendo il suo sorriso artificiale) è perdo­nato. (Gli si attacca al braccio) Le piaccio? Martin (la allontana dolcemente) No. Emma (confusa) Come, no? Lei ha detto che ero molto... seducente. Perché mi spinge via? Non c'è nessuna ragione per mantenere dei segreti con Franco.

Martin                              - Non ho segreti con nessuno! Esco a fare un giro.

Franco                             - Fermo là!

Emma                              - Franco, lo avverta.

Franco                             - Di cosa?

Emma                              - Non gli ha detto niente? (Lo interroga ansiosa­mente con gli occhi, poi a Martin) Non deve scacciarmi. Venga, si segga qui. Non le darò fastidio. (Supplica dolce­mente indicandogli la sedia) Qui, per favore, qui.(Martin si siede ed Emma si mette dietro la sua sedia, ha un'esita­zione sulla scelta della mano poi, tendendo la mano sana, senza smettere con l'altra di grattarsi, incomincia ad acca­rezzargli la testa e parte del viso) Caro, lei è affascinante... Franco (interrompendola infastidito, come un direttore d'or­chestra) Ma non cosi! è troppo rozza! Emma (umilmente) Lo farò meglio! (Ricomincia) Quando la musica suona...

Franco                             - Adesso vomito. (Martin si alza e si allontana in direzione della porta. Franco intromettendosi, autoritario) Re­sta qui. (Si guardano e Martin decide di spostarsi verso la ta­vola, facendosi posto tra i piatti e bicchieri con un solo ge­sto della mano. Siede, appoggiando i gomiti sul tavolo con la testa tra le mani)

Emma                              - (lo guarda e poi a Franco) Franco, lo avverta. È molto difficile.

Franco                             - Ah! La dritta! Tutto servito! Insista. (Emma non si muove) La sua mano? (Alla domanda, Emma toma ad avvicinarsi a Martin, tenta di toccarlo, esita e accarezza la spalliera della sedia) No, non la sedia! (Con intenzione) Più in basso! (Martin alza la testa come instupidito. Una pau­sa)

Emma                              - (angosciata, a Martin) Non mi scacci. Lo faccia per quello che ha di più caro al mondo! Non mi scacci!

Franco                             - Ma lei non deve pregare! Una donna cosi ecci­tante. Perché ricorre a questi espedienti?

Emma                              - (si raddrizza e alza la testa con sforzo. A Martin, con falsità da cinema muto) Baciami. Franco (a voce bassa) Ripugnante. (Cambiando di tono) Ha i nervi a fior di pelle. (Come se non sapesse niente) E il suo concerto?

Emma                              - Domani. Ho provato tutto il pomeriggio. Gente selezionata.

Franco                             - (tenero) Quella mano... sarà all'altezza? Me la lasci vedere ancora.

Emma                              - (serra il pugno) Non ho niente, alla mano! (Fran­co tenta di prendergliela, ma Emma la nasconde, stringen­dosi contro la schiena di Martin)

Franco                             - (finalmente riesce a prendergliela e le apre il pugno. La osserva, quasi felice) Ci sono degli animaletti.

Martin                              - La lasci stare.

Franco                             - (compiacente) Benissimo! Non voglio affatto di­sturbarvi. Cara, vuole che me ne vada? (Emma si stringe an­cora di più a Martin, teso sulla sedia. Si strofina a lui e torna a sedere sulle sue ginocchia)

Martin                              - Per favore, si levi.

Emma                              - No, no. Non mi scacci. Devo farla contento. Vuo­le... vuole... con me?

Franco                             - (che si è appartato) Che succeda assai prima del concerto, mia cara.

Emma                              - Vuole?

Martin                              - No.

Franco                             - (sta cercando a quattro zampe sotto la scrivania) Ma dov'è?

Emma                              - Ho denti buoni. (Si copre la bocca) No, no. Ho... (Pensa) bellissimi... (Accenna il gesto di aprirsi la scollatura)

Franco                             - (sempre cercando) Lo diverta, cara. La felicità degli altri mi fa felice. Che cosa strana. (Lancia un grido di contentezza) Ti ho trovato! (Si solleva con la frusta in mano, ma i suoi gesti sono privi di minaccia)

Emma                              - (a bassa voce, pregando umilmente) Dica di si... è solo un momento. Sono sana... La mano la... (Fa il gesto di nasconderla) Guardano e... si (Sorride) si... Martin (le immobilizza il viso con forza, esplodendo) Chi sono?

Emma                              - Ecco cosi, stringa forte, non abbia paura... cosi...

Franco                             - (contento) Posso dare il segnale? (Gridando) È cominciato!

Emma                              - No, Franco caro, aspetti... Ancora non ci siamo, aspetti... (A Martin) Mi stringa, mi faccia male. (Martin le lascia il viso. Franco, che intanto stava giocando con la fru­sta, a questo punto la alza e la lascia cadere con forza sul pavimento. Emma lancia un terribile grido, come se avesse ricevuto il colpo. Sentendola gridare, Martin si alza di scatto e la getta a terra)

Martin                              - (chino su di lei, con voce commossa) Le ho fatto male? Mi perdoni, le ho fatto male? (Tenta di sollevarla; Emma si afferra a lui e nasconde il viso contro il suo corpo)

Franco                             - Cosa le è successo, cara? Le ho fatto paura?

Emma                              - (dopo un attimo di pausa mostra di nuovo il viso che, laboriosamente, ha ricomposto nel sorriso convenzionale, mondano) No, caro Franco, conosco le sue manie.

Franco                             - Mi piace il rumore. Posso...? Per l'altra cosa c'è tempo. (Emma si altera, si morde le labbra. Franco, tenera­mente) Posso?

Emma                              - Si.

Martin                              - Che cosa?

Franco                             - L'ho chiesto a lei. Lei non si spaventerà per il rumore. È passato il prurito?

Emma                              - Si.

Franco                             - (le si avvicina, le sfiora con un dito la faccia) Un singhiozzo in ogni pezzettino di pelle. Si è spaventata ed ora è passato. Non le dò fastidio? Mi piace il rumore, ma non voglio spaventarla.

Emma                              - Non mi spaventa.

Franco                             - Non ho mai picchiato nessuno, io, neanche per difendermi. Lei lo sa bene, cara. (Si allontana e alza la fru­sta. Impugnandola, aspetta) Allora?

Emma                              - (come recitando una lezione, mentre Franco colpisce ritmicamente e con forza il suolo) Non ha mai picchiato nessuno. Lo so bene. Siamo amici fin dall'infanzia. (Ammu­tolisce)

Franco                             - (pregando) Ancora un pochino.

Emma                              - (c.s.) Non ha mai picchiato nessuno. I ragazzini mi rincorrevano, lui mi difendeva. Uno contro quattro, uno contro cinque, uno... (Franco continua a frustare a vuoto. Emma, con un brivido, quasi svenendo) Non posso soppor­tarlo!

Martin                              - Allora, è vero?

Franco                             - (sempre frustando, volubile) Che dubbi ha?

Martin                              - (a Emma, gridando) È vero?

Emma                              - Che cosa? (Non lo sta a sentire, sospesa allo schiocco di ogni frustata sul pavimento)

Martin                              - Che è prigioniera qui, che l'hanno picchiata? (Emma tenta di ridere, ma il riso non riesce a stamparsi sul suo viso. Si tappa le orecchie)

Franco                             - (smettendo di frustare, li guarda e lancia una risata) Risponda, cara! Risponda, cara! (Ride mentre Emma al­lontana violentemente le mani dalle orecchie facendosele scivolare lungo il viso, con gli occhi chiusi. Poi li riapre e guarda fissamente davanti a sé, mentre Martin la osserva im­mobile e Franco smette a poco a poco di ridere. Scena immo­bile. Breve silenzio)

Quadro terzo

 (Alcune lunghe panche, come di chiesa o di un salone da cerimonia di una scuola. Davanti a queste, un pianoforte po­sto sopra una pedana. Martin siede a una delle panche, eret­to, le mani sulle cosce. Di fianco a lui, in piedi si trova Franco con un mazzo di fiori in mano. Un accordatore sta abulicamente accordando il pianoforte. All'improvviso Fran­co si batte la mano sulla fronte)

Franco                             - (afflitto) I programmi! Lo sapevo che avrei di­menticato qualcosa! (A Martin) Sospendiamo?

Martin                              - Che importanza ha?

Franco                             - Le pare? (Sorridendo) Beh, non so cosa ci suo­nerà. (Beffardo) La grande grattata.

Martin                              - Perché non la cura un medico?

Franco                             - (minacciandolo con gesto puerile) Ah, no, no! Si occupi degli affari suoi, lei! (Serio) E crede proprio che io non la curi? Che i medici non la vedano? Vaccinata! Vac­cinata contro qualunque peste!

Martin                              - Ha una mano...

Franco                             - (interrompendolo con aria ingenua) Sana! Lo dice lei stessa. (All'accordatore) Ha finito?

Accordatore                    - (senza muoversi) In questo momento. (Bat­te abulicamente su di un tasto. Entra Emma. Si è messa una ridicola parrucca sulla testa pelata e trascina dietro di sé una coda di raso cucita rozzamente al camiciotto grigio. Si stropiccia le mani, esagerando un poco l'agitazione del con­certista prima del concerto)

Emma                              - (sorridendo) Come sono nervosa! Che emozione! Non ho chiuso occhio!

Franco                             - (avvicinandosi a lei le dà il mazzo di fiori. Sincero) Auguri.

Emma                              - Grazie, Franco caro. Che tesoro! Perché ha voluto disturbarsi? (Prende i fiori mantenendoli però distanti da sé, dura)

Franco                             - Senta il profumo.

Emma                              - (come se lo avesse dimenticato) Ah, si! (Li an­nusa) Delizioso!

Franco                             - Non hanno profumo. Sono finti..

Emma                              - Oh, non me n'ero accorta. Perfetti!

Franco                             - II piano è stato ben sistemato? Tutto bene?

Emma                              - (guardando) Si, grazie per le sue premure. (Guarda a terra, meravigliata) Che splendore!

Franco                             - (molto cortese) Neanche un filo di polvere! È il meno che posso fare. Sono felice di contribuire al suo suc­cesso. (Entra una fila di SS dalle uniformi impeccabili e da­gli stivali lucidi. Dietro, un gruppo di prigionieri usciti real­mente da un campo di concentramento. Vestono la carat­teristica uniforme e portano scarpe nere e rotte. Le SS pren­dono posto sulle prime due file di panche, i prigionieri sull'ultima. Franco mondano) Sta arrivando gente. Non diventi nervosa. Pensi che ci sono io, in sala, e che desidero solo ascoltarla. (Indica Martin) Anche l'amministratore desidera ascoltarla. (A Marlin) Non l'ha salutata?

Martin                              - (teso) Mi ha detto di non muovermi.

Franco                             - Ma non fino a questo punto! La saluti. (Marlin si alza, si avvicina a Emma che lo guarda con un sorriso ste­reotipato. Si guardano in silenzio. Il sorriso si cancella len­tamente dal viso di Emma e viene rimpiazzato da una enor­me tristezza. Finalmente Martin si avvicina a Emma e la bacia sulla guancia. Franco approvando) Molto bene; cortese, delicato, raffinatissimo! Basta così. Si segga. (Martin obbe­disce. Franco a Emma, amabilmente) Sta arrivando gente. Non si innervosisca. Non si sente... troppo abbacchiata?

Emma                              - (si erge di colpo) No, no. Scherzi di nervi! (Cam­mina avanti e indietro con un sorriso di fittizia eccitazione) È... che... di fronte al momento di... offrire la mia arte, di­venir giudicata, di... donare il mio cuore...

Franco                             - (con naturalezza senza che lei se ne renda conto, le pesta la coda applicata al camiciotto. Emma cammina e la coda si stacca) Certo, la sconvolge. (Con una ombra di ironia) E... il prurito?

Emma                              - (scopre la coda sul pavimento, la raccoglie, non sa cosa farne. Franco gliela leva di mano, ne fa un involto e la butta in un canto, mentre lei parla) Oh, è completamente passato! Devono essere stati gl'insetti del prato. Ho una pelle tanto sensibile! E passato... completamente. Benché... (Insicura), quando devo suonare, mi torna sempre la voglia di... Un vero formicaio e dopo... (Si guarda le mani, fa il gesto di grattarsi, lo reprime) Mi... (Si stringe selvaggiamente la faccia tra le mani, in un irrefrenabile impulso. Ride breve­mente) Mi perdoni.

Franco                             - È l'estrema tensione. La sala è piena, ora. Il fior fiore della buona società. Felice?

Emma                              - Mi applauda molto.

Franco                             - Con piacere. (S'inchina cortesemente e le bacia le mani. Poi, bruscamente, le esamina la palma della mano ferita. Quasi con tenerezza) In che stato è ridotta.

Emma                              - Va meglio. Si è asciugata. Cicatrizzata. (Si odono alcune note che l'accordatore fa risuonare in maniera stanca, apatica) Come, non ha ancora finito? È intollerabile! Non poteva farlo prima? (Quasi gridando) Ma perché? Perché succedono queste cose?

Franco                             - Dettagli dell'organizzazione. Il colpevole sono io. Ho mandato gl'inviti, mi sono preoccupato dei fiori, ho fatto pulire la sala e ho dimenticato l'essenziale.

Emma                              - (molto nervosamente) Lo so, lo so! Non volevo farvi aspettare. C'è tanta gente importante.

Franco                             - No, no. Oggi è la più importante. Lo ricordi. (Brutalmente, all'accordatore) Andiamo, la pianti con questa lagna, m'ha scocciato. (A Emma, socievole) Le auguro an­cora un grande successo. (Franco prende posto su una panca della fila vuota, quella di mezzo. L'accordatore sempre im­passibile riunisce i suoi arnesi e se ne va. Emma esegue una entrata fittizia, salutando con il mazzo di fiori in mano. Le SS si alzano e salutano con un inchino e un colpo secco di tacchi. I prigionieri restano fermi, come schiacciati. Uno delle SS, il capofila, si volta verso i prigionieri e lancia loro una dura occhiata di avvertimento. Immediatamente i prigionieri sembrano svegliarsi e uno di loro incomincia a battere rit­micamente i piedi in terra. Un momento di silenzio. Emma appoggia i fiori sul piano e siede sullo sgabello del piano­forte. Il prigioniero insiste con i piedi e gli altri a poco a po­co si uniscono a lui, a intervalli sempre più brevi, man mano che aumenta l'intensità del rumore)

Martin                              - (si alza e grida) State zitti! (Due SS si alzano silen­ziosamente, si collocano al suo fianco, gli mettono le brac­cia sulle spalle, come per un gesto amichevole. Martin tenta di scrollarseli di dosso, ma non ci riesce e i due gli tappano la bocca con una mano, spingendolo a sedere. Intanto va aumentando l'intensità dei colpi di piedi, che arrivata al parossismo cessa bruscamente. Soltanto allora l'SS capofila si volta verso i prigionieri)

SS                                    - (gridando) Silenzio, maleducati! (Nello stesso tempo i due SS che tengono fermo Martin, lo lasciano sorridendo­gli amichevolmente e restano a sedere sulla stessa panca)

Martin                              - (alzandosi furioso) Vi spaccherò la faccia! (/ due SS ridono bonariamente. Zittii, richieste di silenzio, Martin lira fuori il fazzoletto e se lo passa sulla bocca. Poi, quando Emma comincia a parlare, passa a sedere sulla panca vuota davanti a lui. A poco a poco le due SS si spostano, in modo subdolo e senza far rumore, e sono nuovamente ai suoi lati. Ai due SS se ne aggiungono altri due)

Emma                              - (si torce le mani, molto nervosa; reprime il suo evi­dente desiderio di grattarsi, annunciando) Suonerò...

Franco                             - (avvertendola sorridente) No. Non si annuncia! (Emma sorridendo per scusarsi siede al piano, si accomoda ma, improvvisamente, non potendo più evitarlo si gratta fu­riosamente)

Uno dei prigionieri          - (villanamente) Ma perché non la pian­ta? (Grande risata di tutti. Gli SS si voltano verso di loro con dei deboli zittii. Franco si alza, da sotto una panca tira fuori una bottiglia contenente un liquido scuro e un pezzo di co­tone che si trovava sul pavimento. Si dirige verso Emma protestando ira i denti, mentre passa vicino a Martin)

Franco                             - Non ho cura di lei. E lui dice che non ho cura di lei! Disgraziato! (Arriva fino a Emma, bagna il cotone con il liquido della bottiglia e glielo passa sulla pelle, nonostante che lei, senza alzarsi dallo sgabello, faccia di tutto per sot­trarsi al contatto)

Emma                              - Non ho niente! La ringrazio molto.

Franco                             - Stia buona. Questo la calmerà. La curo conti­nuamente e quel disgraziato non se ne accorge. Gli ha rac­contato delle storie?

Emma                              - (spaventata) No! Perché? Cos'ha detto? E un bu­giardo.

Franco                             - Meglio così. Si comporti con dignità. Le ho or­ganizzato il concerto. Mi faccia far bella figura.

Emma                              - Suonerò meravigliosamente. Per lei, Franco. Sono una grande concertista. (Sembra ancora più esasperata per il prurito. I prigionieri la imitano, agitandosi grottescamente sulle loro panche. Si grattano fra di loro. Uno dei prigionieri toglie le scarpe a un altro e gli gratta la pianta dei piedi. Il prigioniero che subisce non riesce a liberarsi dell'altro, si afferra alla panca e resiste, ridendo istericamente. Gli SS si avvicinano a Martin e uno gli gratta una guancia con un dito. Con un gesto brusco Martin gli allontana la mano, ma gli altri tre lo circondano e il quarto SS gli si avvicina con le mani tese e gli graffia con le unghie tutta la faccia. Quando tira via le mani, Martin ha il viso tutto insanguinato. Tutto ciò si è svolto quasi teneramente, senza violenza)

Franco                             - (.tappa la bottiglia e strizza il cotone) Il cotone lo conservo, scarseggia. (Mette tutto per terra, poi stacca le mani di Emma, che si gratta, dal suo corpo e glielo appog­gia sulla tastiera. Nello stesso istante i prigionieri smettono di grattarsi e portano le mani sulle gambe. Si sente solo il sin­gulto rotto del prigioniero che rideva) Cominci una buona volta. Il pubblico si spazientisce. Hanno pagato il biglietto. Si spazientiscono, no? (Solo ora si sente il mormorio a bocca chiusa del "pubblico". Franco toma alla sua panca, facendo cenno di far silenzio. Il mormorio cessa di colpo. Gli SS che stanno attorno a Marlin, il quale si sta pulendo la faccia con il fazzoletto, gli mettono le mani sulle spalle e lo spingono a sedere. Silenzio d'attesa. Emma non finisce di accomo­darsi sullo sgabello, di grattarsi, di aggiustarsi il camiciotto. Colpi di tosse, schiarite di gola, poi ancora silenzio. Emma porta le mani sulla tastiera e suona. Si sentono due o tre note, ma quando passa a schiacciare altri tasti non viene fuori nessun suono, salvo una o due note stonate, come quelle che può emettere un pianoforte-giocattolo rotto)

Un prigioniero                 - (volgarmente) Suonati il culo!

Altri prigionieri                - (in coro) Suonati il culo!

SS                                    - (alzandosi, grida ferocemente) Silenzio! (Assoluto e breve silenzio. Subito dopo i prigionieri ricominciano a bat­tere i piedi per terra) Come? Non obbedite? (Con un sorriso maligno che si trasforma in una risatina irreprimibile) Come vi azzardate a disobbedire?

Franco                             - (avvicinandosi a Emma) Suoni.

Emma                              - (allunga le mani sulla tastiera, batte sui tasti, nega nervosamente con la testa, alza le mani e interroga con lutto il viso Franco) Non... non suona!

Franco                             - Come non suona! Lo abbiamo fatto accordare. Suoni con la bocca. Non si faccia capire. Che scorno! Ma questa me la pagherà. E la finisca di grattarsi!

Emma                              - Non... non posso... cosa mi ha messo?

Franco                             - Acqua. Le brucia?

Emma                              - Non posso più resistere!

Franco                             - O bere o affogare. Lo sopporti! Vuole lasciare il nostro amministratore senza concerto? Lui non l'ha mai sentita suonare. Martin, lei ha mai sentito suonare la signo­rina? (Lo cerca con lo sguardo) Ma dove sta? (Gli SS che circondano Martin lo obbligano ad alzarsi e uno di loro gli leva il braccio in alto) Eccolo là. L'ha sentita suonare qual­che volta?

Martin                              - (non risponde. Un SS gli muove la testa facendogli dire di no. Martin all'SS) Mi lasci. (Sorridono tutti scuotendo la testa affermativamente. Si allontanano. Marlin a Franco) Cosa significa tutto questo?

Franco                             - (a Martin) Segga. (Ripete, molto autoritario) Segga! (Martin si mette a sedere. Franco agli altri, come ammonendo degli scolari) Chi fa baccano va fuori della sala. (Indicando il gruppo degli SS che sta attorno a Martin) Voi! Non infa­stidite il signore. Rispetto. Martin, desidera sentire la si­gnorina?

Martin                              - (avanza, esplodendo) Non la tormenti! Sia ma­ledetto! (Subito gli SS lo circondano e lo riportano brutal­mente al suo posto)

Franco                             - (come se non avesse né visto né sentito) Ma no, le chiedevo se vuole sentirla suonare. SS       - (a Martin in tono soave) Si calmi.

Martin                              - Non mi metta più le mani addosso! (Gli SS al­zano le mani e le allontanano da lui)

SS                                    - (scusandosi) Ci mancherebbe altro! (Ma immediata­mente i quattro si lanciano su Martin, lo immobilizzano e lo spingono di nuovo a sedere. Nello stesso tempo i prigionieri mettendosi le mani intorno alla bocca a mo' di megafono, gridano)

Prigionieri                        - Vogliamo sentirla! Vogliamo sentirla!

Franco                             - (a Emma) Vede? Reazione logica. Hanno pagato il biglietto. Non disgusti il suo pubblico. Sennò niente potrà più contentarli, diventeranno molto più esigenti. Non li faccia arrabbiare.

Prigionieri                        - (in coro, scandendo) Che suoni, che suoni e non si gratti!

Franco                             - Suoni. Non glielo ripeto più. (Le sorride) Corag­gio! L'arte è tutta sua! (Emma si siede nuovamente al piano. Schiaccia i tasti: nessun suono. Allunga il braccio e va pre­mendo via via su tutta la tastiera, fino ad arrivare in fondo e solo l'ultimo tasto emette un suono vuoto. Rumori osceni da parte dei prigionieri. Ha tutto un tono fittizio, come di scherzo tra studenti. Franco batte le mani fino ad ottenere si­lenzio) Adesso la distinta concertista qui presente, ci diletterà con un pezzo del suo repertorio. (A Emma, a bassa voce) Qua­le? Beh, una cosa qualunque. (Emma si alza, tentando di al­lontanarsi, ma Franco la obbliga a sedersi di nuovo, le dà dei colpetti sulla testa in modo amichevole e cosi facendo le toglie la parrucca. La guarda un momento con aria divertita e poi l'appoggia sul piano)

Prigionieri                        - (in coro, come bambini) Testa rapata! Testa rapata!

Martin                              - (liberatosi dagli SS, avanza di qualche passo, grida) Lasciatela in pace!

Emma                              - Perché fa tanto chiasso questo signore? Che se ne vada. Ciarlatano!

SS                                    - (insieme con i suoi compagni afferra Martin, lo trascinano verso la panca, stavolta con feroce brutalità. L'SS lo rim­provera con offesa cortesia) Verrà espulso dalla sala. Dove crede di essere? (Lo obbligano a star seduto e gli tappano la bocca)

Franco                             - Silenzio! (A Emma) Suoni. Un imprevisto non deve intimidirla. Gliel'ho insegnato. (Scende dalla pedana e torna a sedersi su una delle panche. Emma mettendo le mani sulla tastiera incomincia a imitare il suono del pianoforte con la voce, ma sono come note sciolte che lei emette senza nessuna intonazione. Intanto, il suo prurito si fa insopportabile e si gratta di nascosto, violentemente)

Prigionieri                        - (in coro) Buuuu, buuuu! (L'SS capofila si volta verso i prigionieri e li guarda senza alzarsi)

SS                                    - (gridando) Silenzio! (Poi bruscamente si alza, con aria feroce) Silenzio, cani. (/ prigionieri, guardandosi tra di loro assumono una espressione timorosa. L'SS, ama­bilmente) Cosi mi piace!

Franco                             - (si alza, stringendosi nelle spalle) Deplorevole! (Si avvicina a Emma, le sussurra qualche parola all'orec­chio. Lei lo guarda spaventata, lui sorride come fosse felice, e torna alla sua panca. Emma finge di suonare il piano con gesti ampollosi, la grande "polonaise" di Chopin, imi­tando con la voce il suono del piano. Franco si alza, applau­dendo) Brava!

Prigionieri                        - Bis, bis, bis! Bis, bis, bis! (Emma esegue un vacillante inchino di fronte al pubblico, guarda Franco cercando una indicazione)

Franco                             - (volgarmente) Sotto con un'altra! (Emma siede nuovamente al piano e comincia a suonare nella stessa maniera. A un certo momento l'SS capofila dà un segnale e i prigionieri cominciano a cantare a bocca chiusa e piano all'inizio, ma aumentando il volume sempre di più, con la evidente intenzione di coprire la voce di Emma. Anche lei alza la voce ma, nonostante i suoi sforzi sempre più di­sperati, il coro dei prigionieri finisce col seppellire la sua voce. A un segnale dell'SS i prigionieri cessano brusca­mente di cantare. Emma continua a imitare l'esecuzione ma, benché canti con la bocca aperta, si ode solo un filo della sua voce arrochita. Franco comincia ad applaudire)

Prigionieri                        - (meccanicamente) Bis, bis, bis!

Franco                             - No, basta cosi! Che rompiscatole! (Si avvicina a Emma cambiando di tono) Incantevole, mia cara! Ottima esecuzione! Ha superato se stessa. Le mie congratulazioni. (Le bacia la mano. Confidenziale) Tesoro, ringrazi il pub­blico.

Prigionieri                        - Con i fiori! Deve tirarci i fiori!

Franco                             - Perché non li accontenta, mia cara? (Le mette il mazzo in mano. Emma stringe a sé il mazzo e intanto lancia alcuni fiori, ma i prigionieri restano impassibili, come se avessero concluso la parte loro assegnata. A un nuovo gesto di comando dell'SS, si alzano ed escono ordinatamente in fila, strascicando i piedi. Gli SS li seguono sorvegliandoli compresi i quattro che tenevano fermo Martin. Franco a Martiri) Non si congratula con la nostra concertista? Le farebbe molto piacere. Si avvicini. (Martin si alza e si avvicina alla pedana) Si congratuli con lei. Le dica che è stata superba. (Ad Emma) E lei, gli dia la mano. (A Marlin) O preferisce la guancia? (Sorride) È più intimo. (Seccamente) Meno pericolo di contaminazione... forse. (Em­ma e Martin non si muovono) Coraggio! Non l'è piaciuta l'interpretazione? Troppo esigente. (Ad Emma) E lei, la smet­ta di grattarsi, cara! (Ride) Vuole che le passi ancora un po' d'acqua?

Emma                              - (con terrore) No, no. Non mi gratto. M'è passato, veramente. I nervi. (Con esitazione tende la mano a Martin)

Franco                             - (brutalmente) Quella mano putrida, no! (Emma chiude la mano e la nasconde. Tende la mano sana. Franco a Martin, autoritario) Si congratuli con lei.

Martin                              - Le... le... (Cerca di parlare, ma non può)

Franco                             - Cosa le succede? Ha perso la lingua? (Gli af­ferra la faccia e gliela spinge indietro finché Martin lo al­lontana con uno spintone. Soavemente) Ci vada piano, che fa? Perché è cosi villano? Vuole perdere il posto? (Annusa l'aria. Come godendo) Che odore! Un'altra volta quell'odore! Hanno cominciato a bruciare di nuovo! (Martin si porta la mano alla bocca soffocando un grido e cade a terra. Franco) Che cos'ha? Si sente male? È quest'odore? Si alzi! (Tenta di rialzarlo) I ragazzi cominciano a bruciare i cani, cani morii. E proprio ora! (A voce bassa, con tenerezza) Selvaggi... (Mar­tin si preme la mano sulla bocca per soffocare il pianto, ten­ta di abbracciare le gambe di Emma)

Emma                              - (con terrore, scostandolo da sé) Perché piange? (A Franco) Me lo levi di dosso.

Franco                             - (come da lontano, remotamente) Doveva divertirsi. (Con una tristezza minacciosa) Avevamo organizzato tutto per farlo divertire. Perché abbiamo fallito?

Emma                              - Non abbiamo fallito! È uno stupido. (Si piega verso Martin, gli cerca il viso. Ansiosamente) Dica che si è divertito. È stato uno scherzo, per lei. Non ho nessun pru­rito. Mi sono rapata a zero. Mi piace stare senza capelli. È per le parrucche. Dica che si è divertito! Anche a me è piaciuto lo scherzo. Se non fosse per questo... per questo maledetto prurito... (Si gratta selvaggiamente)

Franco                             - (con ingenua speranza) Sì? Vi siete divertiti davvero?

Emma                              - (con un grido) Si! Risponda di si! Ah, non pos­so, non posso... Non resisto più! (Si contorce grattandosi, infine non polendo più sopportare il tremendo prurito, si getta a terra rotolando e grattandosi con furia. Martin alza la testa e sta a guardarla. Emma si accuccia in un angolo, piangendo ora come una bambina, con rotti singhiozzi)

Franco                             - (piegandosi su Martin e mettendogli una mano sulla spalla) Si è divertito? (Segue un silenzio)

Martin                              - (sollevato sulle ginocchia e guardando Emma che singhiozza)            - Mi sono divertito molto... molto... molto...

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Quadro quarto

(In scena, come unici mobili, un tavolo da lavoro per cucire in piedi e uno sgabello. Ma questo sgabello, troppo alto per il tavolo e dipinto di nero, non sembra far parte dell'arre­damento e ha l'aria, piuttosto, di uno sgabello da disegnatore. All'inizio del secondo atto, in scena si trovano Martin e Emma. Martin è seduto per terra circondato da una grande quantità di fogli e cartelline e sta scrivendo su una tavo­letta appoggiata sulle sue ginocchia. Emma sta cucendo, di­ritta, con gesti che iniziano con una grande eleganza per con­cludersi poi goffamente; per cucire usa la mano sinistra. La destra la tiene coperta con una sudicia fasciatura. Si gratta ancora, ma con meno frequenza. Si ode una musica sdolcinata e scialba. Poi, un silenzio)

Emma                              - Com'è faticoso ricamare con la sinistra!

Martin                              - Come va?

Emma                              - Meglio. Franco mi ha messo una pomata. Una vera pomata.

Martin                              - E la pomata le ha guarito la mano?

Emma                              - Si, si! È ancora un po' gonfia, ma... senza... non c'è più niente! Vuole che gliela faccia vedere?

Martin                              - No. Chi l'ha ferita?

 Emma                             - (con sospetto) Cosa vuole insinuare? O pensa che mi lascerei tagliare la mano con un coltello?

Martin                              - Ho pensato che l'avevano ferita.

Emma                              - (in tono acido) Crede che sia una stupida? (Am­manierata) Con tutte le cure che dedico alle mie mani! (Se le accarezza) Dita... d'oro. (Bruscamente) Franco mi ha av­vertito di diffidare.

Martin                              - Di chi?

Emma                              - Lei è andato a raccontargli un mucchio di storie. Proprio a lui, che veglia su di me e che tiene a me come al­la pupilla dei suoi occhi. (Triste) Perché l'ha fatto?

Martin                              - (paziente) Io non ho fatto niente.

Emma                              - Si, cerchi di scusarsi, ora. Proprio al concerto, di fronte al pubblico. Gente cosi gentile! (Come sognando) Una bontà soave che stempera le crudeltà...

Martin                              - Mi avevano graffiato.

Emma                              - (sconcertata) Dove?

Martin                              - Sulla faccia. Mi hanno tappato la bocca.

Emma                              - Qualcosa avrà pur fatto. Gridava. L'ho sentito io.

Martin                              - Il piano non suonava.

Emma                              - E allora? Un contrattempo. Non voglio rimpro­verare nessuno.

Martin                              - (mettendo la tavoletta per terra) Come mai è ca­pitata qua dentro?

Emma                              - (spaventata) Continui a lavorare!

Martin                              - Voglio sapere...

Emma                              - Non risponderò a nessuna domanda! (Angosciata) L'hanno messa qui a lavorare! Continui o chiudo la bocca. Poi mi accusano di distrarre i... (Non sa che dire) tutti.

Martin                              - (raccoglie tavoletta e stilografica) Beh, e allora?

Emma                              - Lavorando in giardino. Mi sono spellata con le forbici per tagliare le rose. Mi si è formata una piaga. Però Franco l'ha presa molto bene. Non ha fatto storie. È cosi comprensivo, un vero tesoro! Ormai non mi gratto quasi più. Se ne è accorto, vero?

Martin                              - Me ne sono accorto.

Emma                              - Ho fatto dei bagni freddi, come... (Si dimentica. Improvvisamente terrorizzala) No. Niente bagni, no! Vanno a farsi il bagno e... (Sorride, sconcertala) si scordano di... (Finisce con un gesto vago. D'improvviso si odono dei feroci latrati e raffiche di mitra)

Martin                              - Cosa sta succedendo?

Emma                              - (in fretta) Una battuta di caccia alla volpe. Non l'hanno invitato? Prima non ne perdevo una, ma adesso... con questo prurito... e questa mano inutile. Beh, inutile non proprio, posso sempre lavorare. La caccia mi affascina. A lei, no?

Martin                              - (smettendo di lavorare, ascolta angosciato) No.

Emma                              - (con premura) No, no. Non smetta di lavorare. Compiere il proprio dovere è indispensabile. Faccia in modo che non mi accusino! Io ricamo. Una capretta, venga a ve­dere. (Ripensandoci) No, resti li.

Martin                              - (lascia cadere la stilografica) Cosa sta accadendo?

Emma                              - (si avvicina a lui, gli porge le carte, gli mette in mano la penna) Non tremi.

Martin                              - Non tremo. Chi stanno inseguendo?

Emma                              - Ma insomma, lavori! Non sta succedendo niente. Franco mi ha raccontato di un film. I cavalli, i cavalieri, i giubbetti rossi, gli stivali luccicanti...

Martin                              - Chi stanno inseguendo?

Emma                              - Gli scudisci...

Martin                              - Sono mitragliatrici. Lasciavano le porte aperte... Credevano di essere liberi. Sembrava un sogno, ma la realtà era li: le porte aperte, i sorrisi che invitavano a uscire...

Emma                              - Certo, la caccia li diverte tanto... Scriva, lei, io devo finire il mio ricamo. Stringa la penna!

Martin                              - Uscivano e quelli erano in agguato; accendevano i riflettori, il bersaglio era abbondante e perfetto.

Emma                              - Ma no, cosi si caccia la lepre. Questa è una cac­cia alla volpe, le ho detto. Più raffinata.

Martin                              - Alla volpe? (Ride con angoscia)

Emma                              - Finalmente ha capito! Pensi, se in una battuta può mancare la volpe. Le manca il fiato, le scoppiano i pol­moni, povera bestia. (Triste) Come si sentirà la volpe? Non possiamo saperlo. (Si odono feroci latrati, ordini brutali) Senta la muta dei cani. Come urlano! Sono esacerbati. È uno sport affascinante. (Nervosa) E Franco è uno sportivo cosi abile! Pratica tutti gli sport: nuoto, remi, caccia gros­sa, cinghiali... (Martin lascia cadere la tavoletta e la penna. Lei gli rimette la tavoletta sulle ginocchia e tenta di fargli stringere la penna tra le dita. Lui è teso verso i rumori. Tre­ma e la penna gli sfugge ancora una volta. Emma insiste, tentando di farlo scrivere, guidandogli la mano. Intanto con­tinua a parlare con un tono di finta e forzata superficialità) È un ragazzo pieno di qualità. Un fenomeno. Non ha mai preso parte a nessuna caccia?

Martin                              - No.

Emma                              - (continua il gioco) I levrieri che fiutano con le orec­chie diritte, e la volpe corre, non può far altro che correre. Non appena uno si muove dalla fila, i cani l'attaccano, e la volpe trasporta pietre e non ce la fa più. Ma se cade è la fine. Affascinante, veramente affascinante!

Martin                              - Se lo mangiano?

Emma                              - Certo, e sennò perché vanno a caccia?

Martin                              - Li cacciano via a bastonate perché mangiano la carne puzzolente e miserabile dei cadaveri...

Emma                              - Chi? I ragazzi? Si, anche qui sono un po' discoli, ma... è deliziosa... la carne. (Con un sorriso esasperato) Oh, come urlano! Stanno nel bosco e... è troppo... Che maniera di eccitarsi. Perdono il controllo!

Martin                              - (si alza angosciato) Non resisto più! Vado a vedere.

Emma                              - Non faccia lo stupido. Lavori. La notte è troppo buia. Cacciano di notte, che pazzi! Dopo li bruciano.

Martin                              - (l'abbraccia angosciato) Stia zitta...!

Emma                              - Ah, mi sta abbracciando! Se ci vedesse Franco! Non è il mio fidanzato, è un mio amico d'infanzia... ma dob­biamo dirglielo. (Ride) Ne sarà molto contento!

Martin                              - Non dica spropositi! (Le raffiche di mitra si sen­tono più distanti, poi cessano)

Emma                              - Non mi scacci! Stavamo cosi bene!

Franco                             - (entra, vestito della stessa uniforme, ma la giacca da SS è stata sostituita con una da caccia; sotto il braccio porta un fucile da caccia. Ride) Ah, li lascio soli, e co­me passano il tempo? (Scherzando, a Martin) E lei, li! (Indica verso il mucchio di fogli in terra) Quando metterà tutto a posto? (Cerca intorno a sé) Non c'è una sedia? Non ce la faccio più! Sono sfinito. Che modo di correre! (Si mette a sedere sullo sgabello; è evidente che non è affatto stanco. Una pausa) Allora, niente domande? Non avete sen­tito nulla?

Emma                              - (tenta di parlare, ma non ce la fa; poi, ritrovando la voce) Siete... siete stati a caccia?

Franco                             - Si. (Una pausa, poi bruscamente) Esca e guardi.

Emma                              - (guarda verso Martin, lo indica indecisa) Lui?

Franco                             - (tagliente) No. Lei.

Emma                              - No, grazie, Franco. Le povere bestie insanguinate e... bianche, si fanno subito bianchi... Non lo sopporto. (Comincia a grattarsi)

Franco                             - Ah, no! Eravamo d'accordo che era guarita!

Emma                              - (allontana le mani dal corpo, tesa nel suo desiderio di grattarsi) Sono guarita. Il nostro amico... (Gridando) Come si chiama?

Martin                              - Martin.

Emma                              - Lei lo può dire, no? Abbiamo parlato e io mai... (Sta avvicinando la mano al corpo)

Franco                             - (sorridendo) Muore dalla voglia di grattarsi. Non è molto femminile, ma... Si gratti, non si sacrifichi per me.

Emma                              - (anelante) Posso... davvero?

Franco                             - Si levi la voglia. Avanti. (Emma si gratta fre­neticamente per un momento. Franco, freddamente) Adesso, esca.

Emma                              - No. Più tardi. Ora devo finire il... (Indica il tavolo)

Franco                             - (senza acredine) Stava chiacchierando, poteva ricordarsene prima. (Beffardo) Lo finisco io.

Emma                              - (ride) Lei! È un ricamo quasi invisibile, bisogna avere il polso molto fer... (Si dirige verso il tavolo. Quando passa accanto a Franco, questi la afferra per il braccio e senza lasciarle concludere la frase, le fa fare mezzo giro ver­so la porta)

Franco                             - Non ha capito? Esca e guardi.

Emma                              - E perché?

Franco                             - Davanti alla porta c'è un mucchio di animali. Se gliene piace qualcuno può prenderselo. Noi utilizziamo tutto. Capelli, unghie, pelle, cuoio: tutto. Vada!

Emma                              - No, no. Lasci stare, Franco... Le dico sincera­mente che non ho bisogno di niente.

Franco                             - (ferocemente) Esca!

Martin                              - (prendendo Emma per mano) Venga, l'accompa­gno io.

Franco                             - Lei, no.

Emma                              - (desolata) No, lasci... Solo io... Lo ha detto solo a me. Ciascuno deve andare da solo.

Franco                             - (ridendo) Ma no, cara, cosa pensa? Martin ha troppo lavoro che non riesce a finire. Domattina farà in tempo. Abbiamo fatto buona caccia per tutti. Quanta ab­bondanza! Domani, anche Martin sceglierà il suo pezzo; e se lo mangerà. Li lasciamo tutta la notte alla rugiada, faisanclée. (Ride. Aprendole la porta, amabilmente) Cara, se vuole favorire...

Emma                              - (senza muoversi) Si, vado.

Franco                             - (come per gioco, le punta il fucile, scherzoso) Vada.

Emma                              - (a Martin) A... addio.

Martin                              - Dove va?

Franco                             - Ma cara, via, non l'abbiamo condannata a morte! Che solennità! Pensavo che le avrebbe fatto piacere vedere... Non creda che la fortuna ci abbia favorito. Cacciagione mi­nuta. Abbondante, ma minuta. Pelame scuro, corto, mezzo mangiato dalla rogna... Ma ossa buone, molto sporgenti... Qualche dente recuperabile... Cara, viene freddo... (Una pau­sa di attesa. Emma esce. Franco si stropiccia le mani, ride con complicità) Siete entrati in intimità? Me n'è costato di lavoro, eh? Lei è cosi rigido, orgoglioso. È una bella ragazza. Ha perso la lingua?

Martin                              - No.

Franco                             - (indicando le carte in terra) Avanti, mi faccia vedere. Come va questa storia?

Martin                              - Come vuole che vada?

Franco                             - Signore, che indifferenza! Pareva cosi bravo! Mi faccia vedere a che punto sta.

Martin                              - Mi sta prendendo in giro?

Franco                             - (sincero) Mi venga un colpo se... Qualcosa avrà pure organizzato.

Martin                              - Che cosa? Non è che cartaccia vecchia, fogli strappati, dati di imprese diverse; cosa vuole che ne faccia? Lei sa bene che non si può organizzare niente con questa roba! (Disperato) E poi, a che scopo?

Franco                             - Come, a che scopo? Abbiamo bisogno di ordine. O crede che la paghi per buttare via i quattrini? (Dà un'oc­chiata ai fogli senza nessun interesse, li butta in aria da tutte le parti. Con fare indifferente) Credo che lei sia com­pletamente fuori strada.

Martin                              - Si. (Gridando) Cosa stava succedendo là fuori?

Franco                             - E va bene! C'era da aspettarselo. Non ci resiste nessuno. Vuole che annulliamo il contratto? Mi ha doman­dato cosa stava succedendo? La caccia. Ogni tanto, cacciamo.

Martin                              - Chi?

Franco                             - Ci abbandonano. Non sto parlando degli impie­gati: tollerano il caos. Ma il personale gerarchico, no. Trop­po disordine. (Mette tutto sottosopra) E i disegni dei bambini?

Martin                              - Li ho messi via.

Franco                             - Perché?

Martin                              - (triste) Me li tengo io.

Franco                             - Ah, sentimentale! Squisito! Rompo il contratto. Ecco fatto, ho deciso.

Martin                              - Cosa vuol dire?

Franco                             - Quando vuole andarsene?

Martin                              - (stupito) Oggi.

Franco                             - Peccato! Sa che avevo simpatia per lei? Ha smesso anche di masticare gomma. Quel vizio ripugnante. (Gli batte la mano sulla spalla) Si, lei mi stava simpatico. Ma io, a lei, no, vero? Questa divisa di merda! Ho già fatto i conti della sua liquidazione.

Martin                              - (con diffidenza) Non mi deve niente.

Franco                             - Si, si. Si è comportato bene. È un tipo effi­ciente, lei. Non è colpa sua se ha fallito. Ci siamo lasciati andare, e è venuto fuori un casino della puttana. (Gli tende una busta) È per lei. (Dopo un attimo di esitazione Martin prende la busta, se la rigira un po' tra le mani senza aprirla) L'apra!

Martin                              - (apre la busta e guarda il contenuto. Diffidente) È molto; non li voglio.

Franco                             - Non ci faccia caso. Siamo pieni di soldi. (Bru­scamente) Però, se la porti via!

Martin                              - Chi?

Franco                             - (sgarbato) Lei! Siete tutto latte e miele, no? E allora? (Cambia tono) Io non la reggo più. Che se la sorbi­sca qualcun altro. Era venuta per un giorno e... (Si gratta) ...mi si è appiccicata. Ho paura che contagi i bambini. Lei può lasciarla a un certo punto, in un albergo. La sistemi bene, non in un posto qualunque. Ha quattrini?

Martin                              - Si.

Franco                             - Non la sopporto più. Sempre li a grattarsi. E con quell'aria da primadonna! Chi crede di essere? E ogni volta che la vedo, pretende che le baci quelle mani putride! È me che ha fatto imputridire!

Martin                              - (sconcertato) Lei, lei., è stufo?

Franco                             - Si. Scommetto che adesso è sorpreso. Pareva il contrario, vero? E invece no: la vittima sono io.

Martin                              - E lei... può uscire di qui?

Franco                             - Le dico che voglio levarmela di torno! Non ve­de? (Si gratta) Parlo di lei e le pulci mi perseguitano. Ro­gnosa! (Ripensandoci) No, no, rognosa è esagerato. Io non so che cosa abbia, sempre li a grattarsi. Ma... per il resto è una brava ragazza, molto diligente... La prego, mi faccia questo favore.

Martin                              - (con un sorriso titubante, appena speranzoso) Sì, me la porto via... Lei dice che possiamo andarcene... e al­lora, la porto via...

Franco                             - (con slancio) Grazie! (Gli prende le mani e gliele bacia)

Martin                              - (lo allontana da sé) Ma cosa fa?

Franco                             - (molto contento) Liberato dalle pulci! C'è un sa­pone... (Cerca di ricordare, strofinando le dita di una mano) Anti... anti... scabbia! Glielo compri. Poi, una volta entrati in intimità, le può far suonare il piano. È un disastro come suona, ma è divertente. (Si apre la porta ed Emma viene spinta dentro. Porta un cappotto scuro, largo e fuori moda, sopra il camiciotto. È ancora senza scarpe. In mano ha una piccola valigia nera) Tesoro! Già pronta? Che fretta di lasciar­ci! (Le si avvicina e le bacia la mano. Chiudendo gli occhi) Come rimpiangerò la tua musica! Abbiamo passato dei bei momenti. Mi dica qualcosa, mi consoli. (Umile) Mi faccia una carezza... (Emma tende la mano con timore, in un gesto di ripugnanza invincibile verso il viso di Franco, che è rima­sto piegato verso di lei. Avvicina la mano, poi l'allontana lentamente, senza toccarlo. Franco, come se avesse ricevuto la carezza) Grazie. (Sorride con naturalezza) Ha visto la nostra caccia? Che gliene sembra?

Emma                              - Se... se li ho visti? (Va retrocedendo lentamente, a poco a poco, mentre comincia a ridere, come se la domanda la divertisse in maniera imprevista, finché la risata diventa interminabile, isterica)

Quadro quinto

 (Interno della casa di Martin. È un ambiente semplice, con un tavolo e varie sedie, una di queste rovesciata. Sul tavolo, coperto da un tappeto, qualche tazza e, all'altro estremo, vari quaderni e oggetti da scuola. Due porte, una per l'e­sterno e l'altra che porta alla cucina e alle altre stanze. Una finestra. Dalla porta sulla strada entrano Emma e Martin. Martin è senza cappotto, né guanti, né sciarpa; posa le sue valige per terra. Emma continua a tenere la sua piccola e nera in mano; ai piedi ha un gran paio di scarpe di Martin)

Martin                              - C'è nessuno? Aspetti, vado a vedere. (Esce dalla porta che mette nell'interno della casa)

Emma                              - (siede borbottando, senza lasciare la valigia) Villa­ni. Potevano darmi almeno un paio di scarpe. (Si toglie quel­le che ha ai piedi. Distrattamente) Hanno una montagna di scarpe, di capelli... (Si tocca la testa, si alza bruscamente)

Martin                              - (tornando) Non ci sono. (Tocca una tazza sul tavolo. Lentamente) La tazza è ancora calda.

Emma                              - (terrorizzata) Sono scomparsi?

 

Martin                              - (ride) No! Saranno usciti un momento. (Rimette in piedi la sedia. Tende la mano verso la piccola valigia nera di Emma) Vuol darla a me?

Emma                              - (la stringe a sé) No, no. A ciascuno le sue cose. Prenda le sue scarpe. (Le spinge verso Martin) Io bado alla mia valigia.

Martin                              - Come vuole. Si metta a sedere, (Le offre una sedia. Emma siede) Si sente meglio?

Emma                              - Si. Potrò suonare il piano. Un po' di esercizio, qualche prova, e... di nuovo... l'arte! (Alza la mano sul bor­do del tavolo, come per provare una tastiera, ma il gesto la rattrista vagamente. Resta con la mano immobile nell'aria. Poi, si gratta una guancia, dolcemente, con lentezza)

Martin                              - (quasi supplicando) No, non ricominci.

Emma                              - (stavolta si avverte che è la verità) È strano, non mi prude. (Meccanicamente si gratta con una mano, mentre con l'altra, ancora bendata, stringe la valigia contro il petto)

Martin                              - Vado a cercare una pomata.

Emma                              - Non se ne vada. Sto bene. (Con uno sforzo smette di grattarsi. Si sente lo stesso baccano infantile dell'inizio, ma naturalmente senza ordini né gemiti)

Martin                              - (si avvicina alla finestra, guarda all'esterno) Non c'è nessuno. (Una pausa) Ah, si, dei bambini! I miei fratelli non ci sono. (Si volta verso Emma) Ho un mucchio di fra­telli, tutti più piccoli di me, cosi. (Fa un gesto a scala con la mano. Si avvicina al tavolo) Hanno lasciato i compiti a metà... (Quasi senza volerlo fa cadere i quaderni per terra, ma non li raccoglie) Sono scappati fuori a giocare. La tazza è ancora calda. Come si chiama?

Emma                              - Io?

Martin                              - Si, lei.

Emma                              - Lei si chiama Franco, vero?

Martin                              - No. Martin!

Emma                              - Certo, certo! (Incrocia le gambe, guardando in­torno a sé con aria critica) La sua dimora è piuttosto mo­desta.

Martin                              - Mi spiace.

Emma                              - (con aria distaccata) Già, si dice cosi...

Martin                              - Dopo potrà andarsene.

Emma                              - Si, appena cominciano le mie tournées... Non si ricorderanno neanche il colore dei miei capelli. (Si tocca la testa) Mi cresceranno presto i capelli?

Martin                              - Certo.

Emma                              - (inquieta) Come urlano i bambini! Non può farli tacere?

Martin                              - Perché?

Emma                              - Niente. Cosi. Mi costa... farci l'abitudine.

Martin                              - Vuole mangiare qualcosa e riposare un po'?

Emma                              - Certo. Però, mangiare, non proprio. (Come se chiedesse qualcosa d'impossibile) Mi piacerebbe... una tazza di tè. (Indica le tazze) Me n'è venuta voglia. (Con poca spe­ranza) È possibile?

Martin                              - Glielo preparo subito.

Emma                              - Aspetti! Prima devo disfare la valigia. Mi aiuti. (Manierosa) No, faccio da sola. Lei non è la mia cameriera. È stato il mio segretario a occuparsi delle valige. Era un bel po' che non tenevo una valigia tra le mani. (L'accarezza) Forse ha mischiato tutto... i cappotti, ... le bottiglie di pro­fumo... le partiture... (Dalla strada si odono dei latrati. Em­ma, spaventata). Ci sono i cani! Franco, anche qui ci sono i cani!

Martin                              - Sono quelli della strada. Martin, mi chiami Martin.

Emma                              - (senza starlo a sentire, angosciata) Credevo che non avrei mai più visto cani, in nessun posto, in nessuna strada, neanche nelle tombe...

Martin                              - (con una specie di furia, esasperato) Sono cani che non mordono, cani stupidi, che non sanno obbedire agli ordini. Questi non sanno obbedire, giocano tutto il giorno come cuccioli, fanno disordine, mangiano le calze, sven­trano i cuscini, nascondono un misero osso scavando come pazzi nei vasi, lasciando le radici per aria, per aria! (Grida) Sono cani stupidi!

Emma                              - No, no!

Martin                              - Si, invece, venga a vedere. (Si avvicina alla fi­nestra, guarda fuori) È un cane vecchio, pelato.

Emma                              - (tesa) Pelato? Cosa vuol dire?

Martin                              - Niente. È un cane qualunque. (Improvvisamente, tra il baccano dei ragazzini, e prima che a poco a poco cessi, si ode come un grido di dolore) Ha sentito?

Emma                              - (con sicurezza) No. Ma i suoi dove sono? Non li ha avvisati che lei arrivava?

Martin                              - Si. Non capisco perché hanno lasciato cosi la casa. Però, i bambini hanno sempre avuto l'abitudine di scappare...

Emma                              - (incredula, a bassa voce) È possibile?

Martin                              - (come ammonendola, con tristezza) Scappano nelle strade, nelle piazze... corrono dietro a un pallone. (Sor­ride) lo stesso sono andato a cercarli tante volte; li ripor­tavo a casa per un orecchio...

Emma                              - (acre) E adesso? Perché non va a cercarli ,adesso? Che accoglienza! Non ci penso nemmeno a vivere qui, sola con lei. I pettegolezzi corrono lesti. Questa casa è troppo modesta, non sono abituata cosi. Mi prenoti una stanza in un albergo.

Martin                              - Prima si riposi un po'.

Emma                              - (nervosa) Certo, certo. Ma cosa crede che abbia fatto per tutto questo tempo, oltre che riposare?

Martin                              - Le procurerò altri vestiti.

Emma                              - (colpendo la valigia col palmo della mano) Ne ho qua dentro!

Martin                              - (va verso la cucina) Le vado a fare un tè.

Emma                              - Non si disturbi. Non volevo offenderla. (Con ti­more) Franco, non volevo offenderla.

Martin                              - (compare sulla porta di cucina) Non mi chiamo Franco. Mi chiamo Martin. (Con dolcezza) Martin.

Emma                              - (umilmente) Certo. I nomi li dimentico sempre. Non deve arrabbiarsi per questo.

Martin                              - (torna in cucina) Non mi arrabbio.

Emma                              - (nervosamente e come divertita) Una volta i cani m'inseguirono cosi a lungo che credevo di morire. Scesi dal treno: tutto nero, c'era tanta gente, e c'era chi aveva fame, o sete, o aveva bisogno di... e bambini, bambini stretti co­me nelle scatole di sardine... e scesi. Caddi sugli scalini! (Ride) Non li vidi; alla cieca, come una cieca nata che vede la luce. Allora mi saltò addosso un cane enorme e mi mor­sicò, indovini dove. È stata una fortuna, ma mi fece male lo stesso: non avevo troppa carne in quel posto.. Una parte cosi necessaria! (Ride istericamente)

Martin                              - (entra con una tazza) Beva il tè. (La mette sulla tavola e rimane accanto a Emma. Con un gesto di pietosa tenerezza le mette una mano sulla spalla)

Emma                              - (interrompe la risata) Molto gentile. (Sospettosa., guarda la mano appoggiata sulla sua spalla) Cosa vuol dire questo?

Martin                              - (togliendo la mano) Beva il tè.

Emma                              - (beve) Delizioso. Caldo, delizioso. Non mi ricor­davo neanche il sapore. (Disgustata) Ma non è tè inglese.

Martin                              - No.

Emma                              - È l'unico tipo che sopporto. (Infelice) Perché mai l'ho bevuto?

Martin                              - (tornando alla finestra e guardando fuori) I bam­bini se ne sono andati tutti. Tutti. (Con una specie di sol­lievo) Però, ora si vede della gente. Finalmente. Una coppia, un uomo che va a lavorare... (Vede qualcosa che lo fa ri­dere) Un grassone è scivolato a terra e tutti ridono. Venga a vedere che risate. Bisognerebbe imprigionarle per sempre. (Si preme gli occhi con le mani) Ma cosa sto dicendo? (Si scosta dalla finestra. Breve pausa) Vuole un'altro po' di tè?

Emma                              - (commossa, con una timida spontaneità che non ha mai avuto) No, grazie. (Martin la guarda, sorride. Emma, con Io stesso atteggiamento) Ha fatto cadere i quaderni per terra. (Si piega e li raccoglie; li riordina sul tavolo) Ha mac­chiato la copertina d'inchiostro. La maestra si arrabbierà... (Si scambiano un breve e triste sorriso) Lei come si chiama?

Martin                              - Martin.

Emma                              - (accarezza lievemente la mano che Martin ha ap­poggiato sul tavolo. Con tristezza) Non conosco nessuno, per questo non ricordo nessun nome, faccio fatica...

Martin                              - Dica il mio nome.

Emma                              - (con uno sforzo) Ma...

Martin                              - (aiutandola) Martin.

Emma                              - Si, adesso va bene. (Senza ripetere "Martin") Mi cresceranno presto i capelli?

Martin                              - (sorride) In un mese.

Emma                              - Tanto tempo!

Martin                              - Quindici giorni, una settimana.

Emma                              - È sempre tanto tempo!

Martin                              - Domani.

Emma                              - Domani?

Martin                              - In questo momento. Stanno già crescendo.

Emma                              - (toccandosi la testa e sorridendo debolmente) Ades­so, no. Non sono cosi stupida. "Adesso" è per ingannare gli stupidi. Non succede mai niente di bello, adesso.

Martin                              - Si, invece. Quella storia è finita.

Emma                              - Per tutti?

Martin                              - Non lo so.

Emma                              - (con tristezza) E allora, se non si sa...?

Martin                              - (le stringe una spalla) Le dico che è finita.

Emma                              - Bene. Devo aprire la valigia. Voglio cambiarmi. Ha una stanza libera? è tranquilla questa casa. Si potrebbe credere che tutto... vada... bene...

Martin                              - (indicando) Da quella parte c'è una stanza da letto.

Emma                              - Voglio cambiarmi... Togliermi questo. Sempre con lo stesso vestito... Ho bisogno di cambiare colore... di met­termi le scarpe. Io... io avevo un vestito rosso. (Mette la valigia sul tavolo, l'apre e fa per introdurvi la mano, ma la ritira. La sua espressione cambia)

Martin                              - (si avvicina a lei) Cosa c'è?

Emma                              - (chiude la valigia con un colpo. Manierosa) È co­me le dicevo. Chi mi ha preparato la valigia? Ne sa niente, lei? Il mio segretario o la mia cameriera? No, dev'essere stato il mio segretario. Solo gli uomini sanno preparare le valigie in questa maniera. (Martin si avvicina e apre la vali­gia. Emma lo allontana) Lasci stare! Un solo vestito, e per giunta da sera! Ma cosa credono? Che non ho vita privata? Che non ho bisogno di camicie da notte, di vestaglie, di ve­stiti, di altre scarpe? È bello, però! Guardi! (Tira fuori dalla valigia un camiciotto esattamente identico a quello che ha addosso e se lo avvicina al corpo come per provarselo)

Martin                              - È uno scherzo stupido.

Emma                              - Quale scherzo? La colpa è mia, sempre pronta a dare concerti, a offrire la mia arte... a dar ricevimenti! A... (Mentre parla la porta che dà sulla strada si è aperta silen­ziosamente e un personaggio dalla faccia di maiale contento, vagamente somigliante a Mengele, è apparso nel vano. Fi­schietta per richiamare l'attenzione e si stropiccia le mani, con un sorriso quasi abbietto di scusa e di soddisfazione, allo stesso tempo. Emma continua esasperata) Prove, viaggi da un posto all'altro senza fermarsi un solo momento, tournées, interviste. Traffico schifoso! Ma la colpa è mia! (Co­me se avesse avvertito la presenza vicino alla porta e vo­lesse ignorarla) Pensano che io non abbia una vita intima, che... non possa innamorarmi... rimanere... anonima, come tutti gli altri... Fuori c'è tanta gente. Me lo ha detto lei, Fran... (Cerca di ricordare il nome di Martin, senza riuscirci) Bambini, e... Un grassone è caduto! Lei rideva...!

Martin                              - (che ha notato subito l'entrata del personaggio) Stia zitta... (All'altro, teso) Desidera qualcosa? (Emma si vol­ta lentamente verso il nuovo arrivato e lo guarda sospesa)

Funzionario                     - Mi scusi. La porta era aperta.

Martin                              - (a voce più alta) Desidera qualcosa?

Funzionario                     - (scusandosi) Niente.

Martin                              - Se non vuole niente, se ne vada.

Funzionario                     - E perché ha lasciato la porta aperta? Se fosse stata chiusa non sarei entrato. Dicevo, chissà?

Martin                              - Chi è lei? Cosa vuole?

Funzionario                     - (abbietto) Niente. Non sono venuto a ven­dere niente. Guardi. (Gli mostra le mani aperte. Poi torna a stropicciarsele) Si sta bene qui, al calduccio.

Emma                              - (con una risata semisterica) Lo manda Franco! Con quella faccia, lo manda Franco!

Funzionario                     - (con fermezza e sincerità) No, no. Non lo conosco. Loro sono arrivati adesso e li ho visti passare. (A Martin) Il signore lo conosco di vista, lei mi conosce, vero?

Martin                              - No. E non voglio conoscerla!

Funzionario                     - (scusandosi, untuoso) Ma ormai, sono qui... Cosa potrebbe fare?

Martin                              - Se ne vada! Lei è in casa mia!

Funzionario                     - (scusandosi. Intanto si odono i rumori come di un tavolino o lettino a rotelle trascinato per il corridoio) Si, sono in casa sua. Molto bella. Se avesse chiuso bene la porta...

Martin                              - (avanza di due passi, poi si ferma, come bloccato) Se ne vada e la chiuda!

Funzionario                     - (sorride. Dolcemente) È inutile. Volevo tranquillizzarvi. (Si guarda intorno nella stanza) Molto bello qui. Ecco, vedono. Non me ne vado, però non entro nemmeno. (Con desiderio) Stavano prendendo il tè?

Emma                              - Gli offra una tazza di tè, e che se ne vada!

Funzionario                     - (molto docilmente) Certo. Ce ne andiamo quando volete! Una tazza... mi piacerebbe.

Emma                              - (ride impazzita) Vuole una tazza di tè!

Funzionario                     - Si, ma dopo.

Martin                              - Che cosa vuole?

Funzionario                     - Una formalità. Mi creda, io sono una per­sona cosi... cosi buona, non voglio dar fastidio a nessuno; bisognerebbe che tutti fossero come me... (Scuote la testa, sempre senza muoversi dalla porta) ...e allora: tutti felici. (/ rumori si avvicinano. Guarda fugacemente dietro di sé) Su, prestino. (Come scusandosi) Eccoli qua... i miei ragaz­zi... (A Martin) I suoi fratellini? Come sono cresciuti! Appena ieri erano cosi. (Fa un gesto in basso con la mano) E oggi... gli cresce quasi la barba! (Ride. Con amabile interes­se) Ebreo?

Martin                              - No!

Funzionario                     - Comunista?

Martin                              - No!

Funzionario                     - Pederasta?

Martin                              - No! L'ho già detto a Franco! No!

Funzionario                     - (come per consolarlo) Beh, sarà qualche al­tra cosa... Tutti siamo qualcosa, è difficile scegliere... (Ride, mentre stanno entrando tre uomini dall'aspetto di vigorosi infermieri. Trascinano un tavolinetto di ferro a rotelle con sopra vari strumenti che non si vedono e un fornello acceso. Emma si alza dalla sedia, trascinando la valigia aperta e il camiciotto, e retrocede lentamente fino a un angolo, dove si appallottola. Si gratta la guancia e poi incomincia a piegare il camiciotto e goffamente tenta di metterlo nella valigia. Uno degli uomini, con grande naturalezza, avvicina il nume­ratore di ferro alla fiamma del fornello acceso. Gli altri avanzano lentamente verso Martin che abbozza un movi­mento stordito, come per riunire le tazze sul tavolo. Una tazza gli cade e si rompe sul pavimento, allora lui resta immobile, guardando instupidito per terra. Gli uomini si fer­mano. Emma comincia a ridere dapprima lievemente, poi poco a poco il riso si trasforma in un gemito rotto, basso. Il Funzionario riferendosi alla tazza) Che peccato! Io potevo aspettare per il tè. (Soavemente) Lei, è immunizzato?

Martin                              - (solleva la testa, con sicurezza terrorizzata) Era per questo? Si! Vaccinato! Sono vaccinato contro qualunque peste.

Funzionario                     - (c.s.) Ne manca una. (Pausa) Appena un se­condo ed è fatta. Non vi daremo più fastidio.

Martin                              - (con la stessa sicurezza terrorizzata) Se ne va­dano!

Funzionario                     - (come scusandosi) Si dice... ma... Ci dispiace andarcene... C'è un cosi bel calduccio qui dentro... (Ad un suo segnale i due uomini riprendono ad avanzare verso Martin)

Emma                              - (senza guardare la scena, assorta nel suo compito di piegare e aggiustare il camiciotto nella valigia) Mi perde­vo sempre... me ne andavo dietro gli ombrelli... e allora... Dovevo avere qualche marchio... non potevo andare in giro per il mondo, scappare come un sorriso che si cancella da una bocca... non potevo stare senza un marchio... (Ride) Sapere chi siamo, un piccolo marchio... (Con un urlo dispe­rato) Martin! (// Funzionario approva, senza abbandonare il suo sorriso; intanto uno degli uomini ha preparato una inie­zione sul tavolinetto a rotelle. Gli è caduto a terra l'ago, lo ha raccolto e lo ha infilato di nuovo nella siringa. Fischietta dondolandosi. Martin è immobile, si sente solo il suo respiro, come quello di un animale inseguito nella caccia. Gli altri due infermieri arrivano fino a lui e, con attenzione quasi femminile, gli tolgono la giacca e gli ripiegano la manica della camicia)

Infermiere                        - (con naturalezza) Porta perfino la canottiera-Lei è troppo coperto... (Gli sorride amichevolmente. È un sorriso comune, completamente estraneo a ciò che sta suc­cedendo. Improvvisamente Martin si dibatte con una ener­gia selvaggia e disperata, che cessa appena gli iniettano il liquido. Grida. Poi, resta come sopito, vinto. Gli altri due lo sorreggono con una specie di bontà; uno dei due tira fuori un fazzoletto dalla tasca e gli asciuga il sudore dalla faccia. Quando il ferro è rosso il Funzionario abbandona il suo posto alla porta, lo prende e si avvicina a Martin. Si sente solo il gemito di Emma, che continua a stringere la sua piccola valigia)

 

FINE