Il cerchio magico

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IL CERCHIO MAGICO

Commedia in tre atti di Luigi Chiarelli

PERSONAGGI

FELICITA LUCENTI

ELSA MERLINI

TERESA VERBI

ROSSANA MASI

GIULIA SPRIN

IOL. DEL FABBRO

 NINA

OLGA PESCATORI

GILDA

MARIA ROMANO

CANDIDO LUCENTI

NINO PAVESE

MATTEO VERBI

GUIDO VERDIANI

LUCA SPRIN

 RENATO CIALENTE

 OLMO OLMI

LUIGI MOTTURA

TEODORO IV

ISPETTORE DI POLIZIA

E. BORELLI

Oggi. In una piccola città


ATTO PRIMO

Una camera a terreno in una ricca casa borghese. In fondo v'e una grande porta che dà sul giardino. Una porta a destra e una a sinistra. Ai lati della porta che è in fondo, due grandi finestre che fan quasi cor­po architettonico con la porta. Alle pareti, sui mobili, orologi d'ogni specie. In un angolo un tavolo da orologiaio. È il tardo pomeriggio.

GILDA                           - (entrando dalla porta di sinistra) Ah, si soffoca in questa casa!... Aria!... Aria!... (Spalanca la porta che è in fondo.) Oh!... ( Vedendo Felicita) Scusi, signora, non l'avevo veduta!... Vuole che richiuda?...

FELICITA                      - (senza distogliere gli occhi dal li­bro che sta leggendo) No, lascia aperto Aria!...

GILDA                           - É sempre chiuso qui. (Esce per la porta che è in fondo.)

 (Un orologio lontano suona le sei. Subito dopo tutti gli orologi che son nella ca­mera, come un'orchestra, suonano le sei.)

FELICITA                      - (turandosi le orecchie con le mani) Ah, questi orologi!... Basta!... Basta!... (Togliendo le mani dalle orecchie appena gli orologi hanno smesso dì suonare) E pensare che dovrò sentirmi suonare a que­sto modo tutte le ore della mia vita!... (Un lungo silenzio. S'ode squillare il campanello del telefono. Felicita balza in piedi, e accorre ansiosa al telefono) Pronto... pronto... oh, insomma, pronto... pronto!... Nessuno!... Sarà uno sbaglio!... Non telefona mai nessuno!... (Senza più parlare al telefono) Pronto!... (Quasi mor­morando) Pronto!... (Rimette a posto il ricevitore, e si avvia verso la sua poltro­na.) Nessuno!... (Si passa, disperata, le mani sugli occhi.)

NINA                              - (entrando) Che cos'hai?...

FELICITA                      - (dopo un silenzio) Nulla. (Na­sconde il libro che stava leggendo.)

NINA                              - Temevo... ti avevo vista...

FELICITA                      - Non ho mai nulla!...

NINA                              - E ti lamenti?...

FELICITA                      - Mi lamento?... No.

NINA                              - Non sei forse felice?...

FELICITA                      - Mi chiamo Felicita!... E allora?... Mademoiselle Felicità, come mi chiama­vano a Parigi, quella volta che vi andai con mia madre. È molto che manchi da Parigi?...

NINA                              - No, da quando ballai al Casino de Paris.

FELICITA                      - Ah, già, è vero... dove avvenne che quello si sparò per te... per te!....

NINA                              - Uno stupido!... (Ogni tanto accenna un passo di danza, qualche piroetta.)

FELICITA                      - Oh, si è ucciso per te, e... dici: uno stupido!...

NINA                              - Per me!... Che cosa credi che sia?... Una ballerina. Spararsi per una balleri­na!... Uno stupido!...

FELICITA                      - Per una ballerina: per te!

NINA                              - Per me... non sono forse una bal­lerina?

FELICITA                      - Una donna, sei; una donna che ha suscitato una passione come quella.

NINA                              - Una donna? Macché! Le gambe nu­de, le braccia nude, il sorriso professio­nale, e tutti i riflettori addosso. (Con im­provvisa animazione) Se fosse stato per me, proprio per me, oh, allora... (Di nuo­vo incurante) Ma no, per la ballerina... per una ballerina.

FELICITA                      - Tuttavia.... E come avvenne?

 

NINA                              - Che cosa vuoi che ti dica?... Ero uscita allora, i riflettori mi avevano ap­pena preso, che lì, proprio nella prima fila di poltrone, s'ode un colpo; poi, un po' di confusione in platea e... nient'altro. Il direttore gridò all'orchestra di non interrompere, io continuai a ballare, e... il resto lo lessi il giorno dopo sui gior­nali.

FELICITA                      - Tu... continuasti a ballare?... E la musica... e i riflettori?... Oh!...

NINA                              - Come se niente fosse!... Il pubblico ha pagato, e sul lavoro non si scherza.

FELICITA                      - Eppure... E lui, di', com'era?... Bello, giovane, ardente?

NINA                              - Oh, un uomo!

FELICITA                      - Ho capito: non vuoi dirmi nulla.

NINA                              - Tu, piuttosto, perché non mi vuoi dire che cosa avevi quando sono entrata?

FELICITA                      - Perché non m'insegni a ballare?

NINA                              - A ballare?

FELICITA                      - Sì.

NINA                              - (che si diverte a quest'idea) Sulle punte?

FELICITA                      - Magari.

NINA                              - Perché no?... A quando la prima lezione?

FELICITA                      - Anche subito.

NINA                              - Subito?... Avanti. (La prende per una mano.)

FELICITA                      - Avanti!... (È presa da un'eccita­zione improvvisa; e mentre, guidata da Nina, comincia a tentare qualche passo, getta piccoli gridi, rompe in brevi risate, ansima; e gli occhi le splendono, ed è tutta fuoco e colore.) No, vedi, non mi riesce.

NINA                              - Ma sì, benissimo!... Avanti. (E ri­prende la lezione; canticchiando un ritmo di danza.)

FELICITA                      - Ecco... sì, canta!... Ci vorrebbe la musica... e i riflettori... (Ma improv­visamente si arresta, si placa: ha udito la voce di suo marito.)

CANDIDO                     - (entrando con Luca) No, caro mio: due più due fanno quattro... si moltiplica il diametro per 3,1416 eccetera... il quadrato costruito sull'ipotenusa è uguale... e via dicendo. Tutto Vangelo, mio caro, Vangelo.         

(Felicita, con un gesto desolato delle mani, mostra suo marito che fa quei di­scorsi.)

LUCA                             - Convenzioni, fantasie. Io prendo due piccioni e li metto nel mio cappello a cilindro, poi ne prendo altri due e metto anche quelli dentro, insieme ai primi, dò una giratina al cappello - un'operazione - ed ecco che dai cappello escono dodici piccioni. Due più due fanno dodici.

CANDIDO                     - Il trucco di un prestigiatore!...

LUCA                             - E le scienze esatte non sono un trucco?... Un trucco che riesce sempre; come il mio, d'altronde.

CANDIDO                     - No, il tuo no. Una sera, all'Alambra, ho visto che di piccioni ne è uscito uno solo.

LUCA                             - Vuol dire che quella volta due più due hanno fatto uno. Ma d'altronde an­che tu, se sbagli una moltiplicazione o commetti un errore nell'estrarre una ra­dice quadrata, non ottieni un risultato diverso?

CANDIDO                     - Anche questi tuoi discorsi non sono altro che trucco. E, vuoi che te lo dica? Per me Pitagora è stato un poeta più grande di Omero, di Dante, di Shakespeare. La tavola pitagorica è un com­plesso poetico formidabile. Costruita sul quadrato, essa risponde alle tue interrogazioni con precisione infallibile - tre per otto: ventiquattro; sei per sette: quaran­tadue; otto per nove: settantadue. Crea immagini numeriche con una cadenza costante, v'è un'armonia nelle sue rispon­denze come non v'è l'eguale in nessun altro composto matematico, l'errore e l'imprevisto non trovano nessun giuoco nel quadro delle sue combinazioni. C'è chi va a Ietto con i Sonetti del Petrarca o le Canzoni del Leopardi; io, sul como­dino ci metto la tavola pitagorica; e sono sicuro di dormire sonni tranquilli, e di svegliarmi al mattino con idee chiare e ordinate. (Durante questo discorso, Felicita non reggendo al tedio, ha preso per mano Nina, ed è uscita per la porta di sinistra.)

LUCA                             - La tavola pitagorica sul comodino?... Oh, bella!... E tua moglie che dice?

CANDIDO                     - Che cosa vuoi che dica?... Nulla. A proposito, non era qua?

LUCA                             - M'è parso. Ma forse - tre per tre nove - s'è seccata di questi discorsi, e se n'è andata.

CANDIDO                     - T'inganni, sono appunto questi i discorsi che essa preferisce.

LUCA                             - Ne sei sicuro?

CANDIDO                     - È mia moglie, e la conosco per­fettamente. La nostra unione rappresenta la più felice applicazione della legge delle concordanze, delle complementari, delle convergenti. Noi ci incontriamo, ci completiamo, ci armonizziamo in tutto.

LUCA                             - E ti ama?

CANDIDO                     - Se io parlo, ella sta lì, in una poltrona, e mi ascolta, per un'ora, per due, per tre. Se io mi metto a lavorare intorno a questi orologi, ella sta lì, in una poltrona, e tace per una, due, tre ore; mi guarda, mi ascolta, mi segue, e mai un pensiero, una parola, un gesto che sia in disaccordo con me. Che cosa vuoi di più?

LUCA                             - Io?... Nulla voglio. Ma lei forse...

CANDIDO                     - Lei?...

LUCA                             - È una donna...

CANDIDO                     - E allora?...

LUCA                             - Avrà forse anche i suoi pensieri di donna.

CANDIDO                     - E io ho i miei pensieri di uomo. È naturale. Per chi mi prendi?... Che cosa vuoi dire?... Volgarità, ecco, volga­rità. Questo intendi dire?

LUCA                             - Mi hai frainteso. Voglio dire, ecco: i tuoi pensieri di uomo, come tu li chiami, va bene; la tua tavola pitagorica, gl'in­granaggi dei tuoi orologi, benissimo; ma la vita di una donna...

CANDIDO                     - (alterandosi) La vita di una don­na... Che cos'è la vita di una donna? Che significa?... Non è forse come la mia vita, la tua? Che cos'ha di particolare, di diverso, la vita di una donna? Una don­na!... Eccolo qui questo favoloso mistero, questa equazione di millesimo grado, in­solubile, vertiginosa. Una donna!...

LUCA                             - Va bene, d'accordo; e - cinque per cinque venticinque - non se ne parli più.

CANDIDO                     - E se credi, con questi tuoi nu­meri, di prendermi in giro... (Matteo e Teresa appaiono nel vano del­la porta di fondo; la moglie è sottobrac­cio al marito.)

MATTEO                        - Eccoci qua.

CANDIDO                     - Ah, eccovi qua. Come state si­gnora Teresa?

TERESA                         - Come un uccellino, signor Can­dido.

CANDIDO                     - Un uccellino?

TERESA                         - Sì; questa mattina ho volato.

MATTEO                        - (con rassegnazione) Ha volato!

CANDIDO                     - Ah, brava!

TERESA                         - Sapete, quell'aviatore, quel nostro caro amico...

MATTEO                        - Nostro?... Io non lo conosco nem­meno!... Quel tuo caro amico.

TERESA                         - Hai ragione: quel tuo caro amico. L'amico della moglie è stato sempre an­che l'amico del marito... e viceversa. Ma non m'interrompere. Allora stamane mi ha domandato: vuol volare?... Si figuri!... E ho volato.

CANDIDO                     - In aria?

TERESA                         - E dove?... E allora oggi sono come un uccellino; mi sento le ali dappertutto. Guardatemi, forse si vedono, sono certa che si vedono!

CANDIDO                     - (guardandola) Sì, infatti!... (A Matteo) E tu non le vedi?

MATTEO                        - Io vedo... io vedo che...

LUCA                             - Hai torto. Adesso ti combino uno dei miei giuochi, e ti faccio spuntare le ali anche a te.

MATTEO                        - Magari!...

TERESA                         - (a Candido) E Felicita dov'è?

CANDIDO                     - Non so: di là, credo.

TERESA                         - Corro da lei. Voglio raccontarle tutto, per filo e per segno. Un uccellino, vi dico; proprio un uccellino. (Esce per­ la porta ai sinistra.)

CANDIDO                     - (guardandola uscire) Come svo­lazza!

LUCA                             - (a Matteo) E tu, vecchio barbagian­ni, perché non svolazzi un po' anche tu?

MATTEO                        - Eh, gli svolazzi io li faccio sulla carta!

LUCA                             - È vero, sei professore di calligrafia!

MATTEO                        - E perché lo dici con quel tono di disprezzo?

CANDIDO                     - (a Luca) Hai torto. Insegnare calligrafia è come insegnare morale. Im­parare a scrivere in bella calligrafia è im­parare ad essere chiari, ordinati, armo­nici. Chi pensa che la grafologia sia una scienza arbitraria ha torto. Si scrive come si vive.

LUCA                             - E allora esamina la calligrafia di mia moglie.

 

CANDIDO                     - (a Giulia, che entra in quel mo­mento dalla porta di fondo) E voi non vi sentite come un uccellino?

GIULIA                          - (aspra) Un uccellino?

LUCA                             - Sì, ti domanda se non ti senti anche tu come un uccellino.

GIULIA                          - Che cosa c'entra l'uccellino?

LUCA                             - Se te lo domanda vuol dire che c'entra.

GIULIA                          - E poi : anche tu. Perché? Chi sa­rebbe l'altro che si sente come un uccel­lino? Forse tu? Potresti pensare alle cose serie invece di fare lo stupido. Già: che c'è da aspettarsi da uno che fa i giuochi di bussolotti?... Stupidaggini, nient'altro. L'uccellino!

LUCA                             - Perché? Non vedi le mie ali?

GIULIA                          - Basta. (A Candido) E la vostra par­tita?... Che cosa aspettate?

CANDIDO                     - Aspettiamo Olmo. Siamo in tre. Ma, a proposito, che ora è? (Guarda l'ora.) Diamine, è in ritardo.

LUCA                             - (guardando l'ora) Già; strano. Lui è sempre così puntuale!

GIULIA                          - Non sempre, come vedi. Parli sen­za sapere quello che dici.

CANDIDO                     - E come mai? La mancanza di puntualità : ecco una cosa che non so tollerare.

LUCA                             - E allora non potresti fare il capo­stazione.

CANDIDO                     - Si è deciso, sì o no, che il mar­tedì, il giovedì e il sabato dalle cinque e mezza alle sette e mezza si fa la nostra partita di scopone? E allora perché non è qui come ci siamo noi?

LUCA                             - Forse i tuoi orologi vanno male.

CANDIDO                     - No, vanno benissimo; li verifico tutti i giorni.

LUCA                             - Forse per questo.

CANDIDO                     - Non dire sciocchezze!... Ne ho qui uno, ora, che è una vera meraviglia. (Si avvicina ad un tavolinetto sul quale son tutti gli utensili che occorrono ad un orologiaio.) Una meraviglia!

LUCA                             - E lo hai smontato?

CANDIDO                     - Naturalmente.

LUCA                             - Addio orologio!

CANDIDO                     - Ritardava.

LUCA                             - Anche lui: mancanza di puntualità.

CANDIDO                     - E allora ho voluto vedere da che cosa dipendeva.

LUCA                             - Da che cosa?

CANDIDO                     - Ancora non lo so. Siete venuti ad interrompere il mio lavoro.

LUCA                             - E di quanto ritardava?

CANDIDO                     - Di un minuto ogni settimana.

LUCA                             - È terribile! E per questo lo hai pu­nito: smontandolo. È giusto!... Smonte­remo anche Olmo quando giungerà.

MATTEO                        - (aLuca) Hai torto a burlarti di lui. Questo suo amore per i congegni, per gli ingranaggi denota uno spirito preciso con idee ben coordinate.

LUCA                             - Sicuro: ben coordinate come le let­tere di una parola scritta in bella calli­grafia.

MATTEO                        - Sappi questo: la calligrafia è il più grande monumento che abbia costruito l'umanità; la vita del mondo non è altro che calligrafia, dai geroglifici egiziani ai codici leonardeschi.

LUCA                             - Tu confondi la scrittura con la cal­ligrafia.

MATTEO                        - È tutta una cosa, quando riesce ad essere leggibile.

LUCA                             - I caratteri con gli svolazzi.

 

GIULIA                          - (aLuca) Faresti meglio a stare zitto con quelle tue zampe di mosca. Le sue let­tere d'amore dovevo farmele leggere da mio cugino, perché io non riuscivo a deci­frarle.

LUCA                             - Per leggere, bisogna saper leggere.

GIULIA                          - Per quel che dicevano!... Avrei fatto meglio a gettarle nel cestino senza nem­meno aprirle.

LUCA                             - Meglio sarebbe stato, veramente, che quel segreto epistolare tu lo avessi rispet­tato!...

GIULIA                          - Lo avrei fatto se tu avessi rispetta­to me.

LUCA                             - Eh, non mi è stato mai possibile!

TERESA                         - (entrando da sinistra con Nina) Ti dico: proprio come un uccellino.

GIULIA                          - Ma insomma che cos'hanno oggi con questo uccellino?

TERESA                         - (a Giulia) Non Io sai? Questa mat­tina ho volato.

GIULIA                          - Faresti meglio a prendere esempio da tuo marito, che è una persona seria, invece di perderti dietro tante scempiag­gini.

TERESA                         - Voi due sareste stati bene insieme.

MATTEO                        - (aGiulia) Io vi avrei rispettato.

GIULIA                          - La vita è una cosa positiva, e biso­gna pensare al pratico, al concreto, e non... volare, e vivere fra le nuvole!...

NINA                              - Con i piedi ben posati sulla terra.

GIULIA                          - Ecco sulla terra; ma non a modo vostro, facendo delle piroette.

NINA                              - Oh, no, a modo vostro, s'intende: quanto calzate? Cinquantuno, credo. (Tutti guardano i piedi di Giulia.)

GIULIA                          - (sdegnata) Oh!... (Ed esce per la porta che è in fondo.)

LUCA                             - L'avete fatta andare in collera. Chi sa come soffre: è una cosa che non le ac­cade mai!... (Segue sua moglie.)

MATTEO                        - (a Nina) Veramente avete passato il segno!... (Segue Luca.)

CANDIDO                     - Quante sciocchezze!... (Siede, ma subito si rileva.) Che cosa c'è qui sotto? (Solleva il cuscino, e trova il libro che Fe­licita stava leggendo?) Un libro? Qui?... E che cos'è?... (Legge il titolo) Volupté. Volupté?... Sainte-Beuve - Volupté. Ma che roba è questa?... Volupté vuol dire voluttà. E chi mi porta qui tali libri in casa? Volupté!... (Guardando Nina) È vo­stro!... Non può essere che vostro!

NINA                              - (volgendosi) Dite a me?

CANDIDO                     - Sì, proprio a voi. Volupté!... Bella roba, leggete!...

NINA                              - E perché immaginate che quel libro sia mio?

CANDIDO                     - Perché non può essere che vostro. E poi voi venite da Parigi, e questo libro è stato stampato proprio a Parigi.

NINA                              - Che ragione! Come se qui non si tro­vassero libri stampati a Parigi!

CANDIDO                     - Sissignora, ma questo libro è vo­stro. Di chi può essere altrimenti. Di Fe­licita, certo no. Sono ben altre le sue let­ture.

NINA                              - Il re dei cuochi!

CANDIDO                     - Appunto.

TERESA                         - (che ha continuato a fare tentativi per vedere il libro) Lasciatemi vedere.

CANDIDO                     - Non c'è nulla da vedere.

TERESA                         - Volupté!... Che bella parola. La­sciatemi vedere!

CANDIDO                     - No. E come se non bastasse, io mi siedo, e devo sobbalzare, perché mi sento sotto questa... volupté. (Gettandolo sulla poltrona) Che io non lo veda più; ne questo, né simili a questo!

TERESA                         - Oh!... (Prende il libro, e lo guarda con grande curiosità.)

NINA                              - (a Candido) Farò il possibile. (A Te­resa) Rendimi quel libro.

TERESA                         - Lasciamelo guardare. Me lo presti?

NINA                              - Non posso.

TERESA                         - Perché?

NINA                              - Perché... perché lo sto leggendo io.

CANDIDO                     - Bella roba!...

GIULIA                          - (entrando seguita da Luca e da Mat­teo) Che cosa c'è?

TERESA                         - (mostrando il libro) Volupté!

MATTEO                        - (quasi strappando il libro dalle ma­ni di Giulia) Volupté!...

LUCA                             - (togliendo il libro a Matteo) Vo­lupté!

NINA                              - (prendendo con un gesto brusco il li­bro) Sì, volupté, volupté... Non lo sapete che cosa significhi?... Ebbene, sì, volup­té!... Oh!... (Ed esce per la porta che è a sinistra.) (Tutti si guardano un po' imbarazzati.)

CANDIDO                     - (a Matteo) Ebbene, che cosa ne dici tu, signor moralista?

MATTEO                        - Dico... dico... che Olmo e Giacomina non si vedono, e che il nostro solito scopone è in pericolo.

LUCA                             - La volupté dello scopone!...

GIULIA                          - (a Luca) Quanto sei spiritoso!... (A Candido) E... chi l'ha stampato, quel libro?

CANDIDO                     - Che volete che sappia? Io l'ho visto lì, che era già stampato, chi sa da quanto tempo!

GIULIA                          - No; voglio dire: l'editore.

CANDIDO                     - In galera, dovrebbero mandarlo, quello, come si faceva una volta. Quelli eran tempi!

LUCA                             - (a Giulia) La signora si vuole eru­dire?

GIULIA                          - Oh, visto che con te c'è poco da erudirsi.

LUCA                             - La colpa non è mia; te l'ho già detto: per leggere bisogna saper leggere.

MATTEO                        - E se, aspettando la venuta di Ol­mo, ci mettessimo d'accordo per la festa di domani?

CANDIDO                     - Veramente s'era detto che dove­vano essere le signore ad occuparsene.

MATTEO                        - Sì, ma visto che siamo tutti qui, e disoccupati!

TERESA                         - Oh, sì, organizziamo qualche bel divertimento!

GIULIA                          - Tu non pensi che a divertirti!

CANDIDO                     - E allora, come volete.

GIULIA                          - Io dirci: si fa un bel pranzo, qui naturalmente...

TERESA                         - E poi?

GIULIA                          - E poi mi pare che basti.

LUCA                             - Un buon pranzo è un divertimento positivo, non è vero?

TERESA                         - Oh, non pensate che a mangiare!

LUCA                             - E poi una buona digestione.

GIULIA                          - E allora è inutile che domandiate a me; fate a modo vostro.

LUCA                             - Veramente nessuno ti ha domandato nulla; non è la tua festa.

TERESA                         - A proposito: e Felicita dov'è? Vado a chiamarla. (Esce per la porta che è a sinistra.)

MATTEO                        - Io direi di procedere con ordine.

CANDIDO                     - Ecco una parola giudiziosa.

LUCA                             - (a Candido) Intanto tu le farai un bel regalo.

CANDIDO                     - A questo ci penso io.

LUCA                             - E’ giusto.

CANDIDO                     - Le regalerò un bell'orologio.

 

LUCA                             - Ah, no!

CANDIDO                     - Che c'entri tu?

LUCA                             - Se io fossi tua moglie te lo tirerei sulla testa.

CANDIDO                     - Lei invece è il regalo che prefe­risce.

LUCA                             - Glie l'hai domandato?

CANDIDO                     - No, ma lo so. Un orologio che avrò verificato io stesso con le mie mani, rotella per rotella.

LUCA                             - Che pensiero delicato!

CANDIDO                     - Che spacchi il minuto.

LUCA                             - È commovente!

CANDIDO                     - Ella è molto sensibile a queste attenzioni. Tutto quello che le viene da me la incanta.

(Felicita, seguita da Nina e da Teresa, entra dalla porta di sinistra.)

LUCA                             - Che cosa ne pensate, signora, degli orologi?

FELICITA                      - Questo bisogna domandarlo a mio marito.

LUCA                             - (a Candido) Hai sentito?

CANDIDO                     - (a Luca) – E’ appunto come ti di­cevo.

TERESA                         - Non divaghiamo. (A Felicita) Dobbiamo combinare proprio un bel pro­gramma per domani, per la tua festa.

FELICITA                      - Ah, sì?

LUCA                             - Sì, cara e bella signora Felicita. Do­mani compite... - quanti? - diciotto anni, e...

CANDIDO                     - Quarantotto...

FELICITA                      - Come volete voi!...

NINA                              - Ecco: io proporrei...

CANDIDO                     - Vi prego di non venir fuori con qualche proposta sconveniente.

NINA                              - Io?

CANDIDO                     - Eh, con i libri che leggete!

TERESA                         - Volupté!

NINA                              - Non parlo più.

FELICITA                      - (volendo far deviare il discorso) E allora?...

GIULIA                          - Io avevo proposto di fare un gran pranzo, qui, ma...

FELICITA                      - Benissimo; almeno quando si mangia non si parla.

CANDIDO                     - Giustissimo; troppi discorsi, si fanno; e quando si parla tanto si finisce per dire molte sciocchezze.

GIULIA                          - (prendendo un paio di guanti neri che sono su un mobile) Di chi sono questi guanti?

FELICITA                      - Di Giacomina. Li ha dimenticati l'ultima volta che è venuta qui.

GIULIA                          - Oh, son brutti!...

TERESA                         - (prendendo i guanti dalle mani di Giulia) Oh, proprio non mi piacciono. Guarda. (Li dà a Felicita.)

FELICITA                      - (prendendo i guanti, e gettandoli su un altro mobile) Un paio di guanti come un altro!...

TERESA                         - Io direi - perché pranzeremo fuo­ri, non è vero? - direi di illuminare il giardino con delle belle lanterne.

LUCA                             - È un'idea nuova; mi piace. Lam­pioncini alla veneziana.

MATTEO                        - Ma, a proposito di Giacomina, per­ché non telefoniamo a casa? Sapremo se vengono o no.

CANDIDO                     - Oramai lo scopone... Ad ogni mo­do... (Si avvia verso il telefono.)

FELICITA                      - (con vivacità) No, lascia, telefo­no io. Lasciami telefonare a me.

CANDIDO                     - Fa pure; se ti diverte!...

FELICITA                      - (dopo aver composto il numero, attende. Non udendo nulla, torna a com­porre il numero, e attende ancora.) Pronto?... Pronto?... (Attende ancora un po', quindi con voce stizzosa) Ma questo telefono è sbagliato!

CANDIDO                     - Sbagliato?

FELICITA                      - Non risponde mai nessuno. For­se è perché lo adoperiamo così poco, quasi mai, che non va.

CANDIDO                     - Mah!... Sei stata tu a volerlo mettere: per essere in contatto col mon­do. Bel contatto.

LUCA                             - Se non rispondono saranno tutti morti.

TERESA                         - Dunque: i lampioncini alla vene­ziana. E poi…..

LUCA                             - E poi, e poi qualche grande sorpre­sa, qualche invenzione stupefacente, me­ravigliosa. (A Felicita) Eh, volete?

TERESA                         - Oh, sì, sì!...

GIULIA                          - L'uccellino non domanda di meglio.

LUCA                             - Un sogno, un incantesimo, una fiam­ma colorata che accenda la vostra fan­tasia.

TERESA                         - Oh, che bellezza!

LUCA                             - Un'ora di vita favolosa. Volete?

FELICITA                      - (che lo guarda con occhi un po' trasognati) E chi me la darà? Voi?

LUCA                             - Io? Purtroppo io no. Domani non sarò qui. Ma questi vostri amici, vostro marito, sapranno inventare, ne sono certo, inventare...

FELICITA                      - Se non ci siete voi, che fate l'il­lusionista, gli altri... oh, gli altri!...

CANDIDO                     - (a Luca) Domani non sei qui?

LUCA                             - Eh, purtroppo!... Il mercoledì, Io sai. (A Felicita) Se sapeste quanto mi di­spiace! Ma domattina, prima di partire, vi manderò un mazzo di fiori grande così!...

FELICITA                      - Grazie!...

(Olmo appare nel vano della porta che è in fondo.)

CANDIDO                     - Oh, eccoti qua, finalmente!... A quest'ora ti presenti?... Perché così tar­di?... Ebbene, che fai lì sulla porta?... Entra. È più d'un'ora che ti aspettiamo!... Bel modo!...

OLMO                            - (facendo un passo avanti) Ecco... appunto... ho pensato, sì, che mi aspetta­vate, e allora...

CANDIDO                     - E allora sci venuto con un'ora di ritardo?... Ma che hai che sei così im­bambolato?

TERESA                         - E Giacomina non c'è?

OLMO                            - Giacomina... Giacomina... è scap­pata!...

CANDIDO                     - Eh?

TERESA                         - Scappata?

LUCA                             - Dove?

OLMO                            - (fa un gesto come per dire: non lo so) Scappata... col suo amante... Un'ora fa, ho trovato una lettera...

GIULIA                          - Oh!...

(Tutti sono perplessi e imbarazzati, e non osano guardarsi fra loro. Felicita ha pre­so con un moto convulso un cuscino, e ora se lo stringe contro il petto. Un silenzio lunghissimo.)

OLMO                            - (stanco di quell'interminabile silenzio, che lo mette ancora più a disagio, esplo­dendo) Ebbene, non mi dite niente?

MATTEO                        - Eh, dire... dire... così... Una noti­zia tanto impreveduta...

LUCA                             - (fra sé) Per questo vinceva sempre alle carte!...

FELICITA                      - (fra se) È scappata... un amante...

MATTEO                        - Povero Olmo!... Chi avrebbe po­tuto immaginare...

CANDIDO                     - Immaginare? Certo che c'era da immaginarlo! Libertà... Libertà... e lei se l'è presa la libertà. (A Olmo) Che cosa speravi?... Che cosa credevi?... Sci uno stupido, ecco, e li prenderei a schiarii!... E’ scappata... te la sei lasciata scappare!... Sei uno stupido. D'altronde che cosa può pretendere un uomo che dopo tanti anni non ha ancora imparato che cos'è lo spa­riglio?

OLMO                            - (riscaldandosi) Io non so che cos'è lo spariglio? Ma che dici?... Forse tu... (Calmandosi) D'altronde, questa volta l'ha tatto lei lo spariglio, e come!...

TERESA                         - (a Olmo) Ma siete proprio sicuro?... E’ scappata?... Con un amante?

OLMO                            - Sicurissimo. Me lo dice in questa lettera; e poi, si è portata via...

CANDIDO                     - Anche?!...

OLMO                            - Già!

TERESA                         - E dove è andata, non ve lo dice?

OLMO                            - No.

TERESA                         - E lui, lui, chi è?

OLMO                            - Mah!...

TERESA                         - Ma non avete un'idea, un so­spetto...

OLMO                            - Proprio no!

TERESA                         - (a Matteo) E tu che ne dici?

MATTEO                        - Mah!.... Cose che non accadono a tutti, ma che accadono.

TERESA                         - Ecco: non bisogna mai disperare.

OLMO                            - Ma a voi non ha detto nulla. Siete state insieme tutta la mattinata, a casa, e forse...

TERESA                         - (un po' imbarazzata) A me? No... Nulla.

MATTEO                        - Ma come, non sei andata a volare?

TERESA                         - Io?... E quando mai ho detto che ho volato?... Sì, ci ho pensato; ci ho pen­sato molto, e allora m'è sembrato, ho cre­duto... come se avessi...

GIULIA                          - Oh, povero uccellino!

TERESA                         - Ma volerò domattina.

NINA                              - (a Olmo) Su via, non vi disperate. Vedrete che tornerà. Un momento di fol­lia, forse, un capriccio; ma sono certo che tornerà.

CANDIDO                     - Tornerà!... E tu la riprenderai, non è vero?

OLMO                            - Non tornerà.

CANDIDO                     - Ma se tornasse, tu...

OLMO                            - Mah!...

CANDIDO                     - Ah, sì?... Che uomo!... (A Fe­licita) Che ne dici? Eh, come sei scon­volta!... Che hai?... Tanto ti ha commos­so questa notizia?... Capisco, era una tua amica... A proposito, bell'amica!... (A Olmo) Se ritorna, però, tu e lei, qui, in questa casa, non ci mettete più il piede, è inteso!... (A Felicita) Su via, calmati. Per fortuna che io e te, come due gocce d'acqua, come una persona sola.

LUCA                             - Infatti. (A Felicita, togliendole il cuscino dalle mani) Su via, non è poi una cosa tanto straordinaria! Una donna ama un uomo, e se ne va con lui. Al marito, poi, ci pensano gli amici.

FELICITA                      - (brusca) Lasciatemi.

LUCA                             - Se un uomo vi amasse, e vi rapisse... via... lontano...

FELICITA                      - Oh, basta!... (E si allontana da lui.)

CANDIDO                     - Ah, beh, anche questo ci man­cava!... (A Olmo) E tu ora, che cosa con­ti di fare?

OLMO                            - Mah!...

CANDIDO                     - Mah, sì, no, già... È tutto quello che sai dire?... E te ne stai lì, come un mammalucco?

 

OLMO                            - Mammalucco?... E che cosa dovrei fare secondo te, eh. me lo dici?... Si fa presto a parlare, a giudicare, ma quando si è al punto in cui sono io, allora... E’scappata, sissignore, e poi? Le corro die­tro? E dove?... Metto un avviso sui gior­nali? «Cercasi moglie...» Eh? Che fac­cio?... Oppure mi dispero, grido, mi get­to nel fiume, mi dò all'alcool, mi ritiro in cima a una montagna? E con quale risultato? Ecco: lei è scappata, ed io sono qui! E il resto non è che chiacchiere, scioc­chezze, complicazioni inutili. Ti sembro accomodante, rassegnato, inerte? No, sono un uomo al quale è accaduta una di­sgrazia.

MATTEO                        - Una disgrazia, poi!

OLMO                            - Sì, e rimedio non c'è, e rimedi è me­glio non cercarne, perché i rimedi, vedi, quelli sarebbero una disgrazia più grave. Se n'è andata? Buon viaggio. In quanto a me... in quanto a me... Ma che cosa vo­lete che faccia?!... (Nasconde il volto fra le mani.)

CANDIDO                     - Che cosa volete che faccia? Ma intanto dovresti andare in Questura...

FELICITA                      - Oh!...

CANDIDO                     - In Questura a sporgere la tua brava denuncia.

FELICITA                      - In Questura?!...

CANDIDO                     - È scappata, si va in Questura.

FELICITA                      - Ma che cosa dici?!..

CANDIDO                     - La legge non c'è mica per nulla.

FELICITA                      - (con disgusto) Oh!...

CANDIDO                     - E se uno non si rivolge alla legge quando è il caso, tanto varrebbe vivere fra i selvaggi.

GIULIA                          - E poi, non avete detto che vi ha portato via... - quanto? molto? - e coi quattrini non si scherza. Sicuro, in Que­stura.

FELICITA                      - (con violenza) Ah, ma che modo avete di intendere la vita? (Tutti la guardano stupiti.)

NINA                              - (avvolgendo Felicita con un braccio) Eh, non c'è da meravigliarsi, mia cara!

FELICITA                      - (sciogliendosi da lei) I quattrini, la Questura, la riprendi, non la riprendi, le convenienze: sciocchezze. Olmo ha ra­gione: non c'è nulla da fare, proprio nulla. Se n'è andata? Lei solo sa se ha fatto bene o male.

CANDIDO                     - (guardandola stupito) Felicita?!...

FELICITA                      - Oh, basta!...

CANDIDO                     - Ha ragione, basta!... (A Olmo) Che cosa ci vieni a scombussolare tutti con le tue storie?... È scappata? Tanti saluti. Vai in Questura, non ci vai? E che cosa vuoi che ce ne importi? E’ affar tuo! Ma lasciaci tranquilli!...

OLMO                            - Ah, è questa l'amicizia?

CANDIDO                     - Arrangiati!

OLMO                            - Io mi trovo improvvisamente solo, disperato, e tu mi dici arrangiati?... Gra­zie, grazie a tutti. Sì, vi lascio tranquilli, me ne vado, non mi vedrete mai più!...

NINA                              - (a Olmo) Ma no, non badate, siamo tutti un po' nervosi, e allora... Che volete, una notizia come questa, un dispiacere così grande.

GIULIA                          - (a Olmo) Ma vi ha portato via molto?

OLMO                            - Eh ?

GIULIA                          - Sì, dico, molti quattrini?

OLMO                            - Quattrini?... Ma no!...

GIULIA                          - No?... E allora che cosa?

OLMO                            - La mia fotografia.

GIULIA                          - La vostra... Non ci capisco più nulla!... Ma in che mondo viviamo?

LUCA                             - In questo, signora mia, in questo!... E non sembra vero!...

NINA                              - (a Olmo) Vedrete che tornerà!

OLMO                            - Oh, no!... Altrimenti non avrebbe portato via la mia fotografia.

NINA                              - Appunto per non dimenticarvi.

GIULIA                          - (prendendo i guanti di Giacomina) -Però, questi guanti, non sono poi tanto brutti!...

TERESA                         - (togliendoglieli dalle mani) Brut­ti?... Tutt'altro!.

FELICITA                      - (strappandole i guanti dalle mani) E lasciali stare questi guanti!... (E non li lascerà più.)

OLMO                            - Oh, i suoi guanti!... (E tende la ma­no, come per domandarli, A Teresa) Ma è possibile che questa mattina non vi ab­bia detto nulla?... Una parola, un accen­no... Eravate tanto amiche!...

TERESA                         - (commossa) Ebbene... non ve lo vo­levo dire... ma... ebbene, sì. Eravamo tan­to amiche, infatti... per me non aveva se­greti!... Eh, era una cosa che durava da un pezzo!...

OLMO                            - Da un pezzo?

TERESA                         - Oh, ma voleva bene anche a voi, molto bene vi voleva... ma l'amore... eh, l'amore...

OLMO                            - (ansioso) Ma stamattina, che cosa vi ha detto, stamattina?

TERESA                         - Mi ha detto che scappava, che era più forte di lei, che... l'amore.. l'amore... Oh. era disperata di darvi tanto dolore, ma lui; lui, non sentiva ragione... la vo­leva tutta per sé, ad ogni costo, e sono scappati.

OLMO                            - Ma scappati dove?

TERESA                         - A Bologna. Sì. me l'ha detto lei, a Bologna; l'albergo non lo so. Oh, per poco, perché poi partivano subito per il Cadore.

OLMO                            - Ah, ma forse faccio in tempo a rag­giungerla a Bologna!... A che ora sono partiti?...

TERESA                         - Col treno delle sedici e ventidue; avevano uno scompartimento riservato.

OLMO                            - Ah, sì?... E... e... con chi?

TERESA                         - Come, non lo sapete? Oh, ma non sapete proprio nulla, allora!... (Matteo la guarda con grande attenzione.)

OLMO                            - Ma come potevo sapere? Con chi?

TERESA                         - Eh, sì, con... quell'aviatore.

OLMO                            - Quale aviatore?

TERESA                         - Quello - non vi ricordate? - quello che veniva da voi... un caro ami­co... Giorgio... Giorgio Lucchi. Ve lo ri­cordate?

OLMO                            - Giorgio Lucchi?

MATTEO                        - (facendosi avanti, a Teresa) E a che ora e partita?

TERESA                         - Alle sedici e ventidue.

MATTEO                        - Con un treno speciale?

TERESA                         - Perché?

MATTEO                        - Perché alle sedici e ventidue non c'è nessun treno per Bologna.

TERESA                         - Che ne sai tu?

MATTEO                        - E con chi è partita?

TERESA                         - Te l'ho detto, sei sordo? Con Gior­gio Lucchi.

MATTEO                        - Giorgio Lucchi è in America.

TERESA                         - Eh?

MATTEO                        - Ho ricevuto una sua cartolina pro­prio oggi.

TERESA                         - Ma allora!... (E fa il gesto di chi abbandoni la partita!)

MATTEO                        - (volto agli altri) Allora non c'è una parola di vero in quanto ha detto. Bisogna compatirla, è fatta così, è malata nella testa.

TERESA                         - Eppure mi sembrava, avrei giurato... (Alludendo a Olmo) E poi lui era così contento di sapere qualche cosa!... Oh!... (Si lascia cadere su una sedia, e rompe in pianto.)

CANDIDO                     - Ah, questa poi!... Aria, aria, an­diamo a prendere aria!...

OLMO                            - Ma allora siamo daccapo!... Nulla, non si sa nulla!...

LUCA                             - (aiutando Teresa a rilevarsi) Sapete che cosa penso? Fra noi due il vero illu­sionista siete voi.

CANDIDO                     - ha ragione: an­diamo a prendere aria. (Si avviano verso la porta di fondo.)

FELICITA                      - (a Teresa, quando questa le passa davanti) Stupida!...

TERESA                         - Perché?...

FELICITA                      - Stupida!... (E la percuote in viso con i guanti.)

TERESA                         - Oh!... (A Luca) Ma che cosa le prende?

LUCA                             - (continuando a camminare con lei ver­so il fondo) Le prende, che con le cose serie non si scherza.

CANDIDO                     - (a Felicita) Ben fatto.

MATTEO                        - Un bastone, ci vorrebbe!...

GIULIA                          - Ben detto.

FELICITA                      - E per te no?

GIULIA                          - Per me? Grazie tante!... (Prenden­do Matteo sotto braccio; e avviandosi verso il fondo per uscire) Ma che cos’ha oggi?

OLMO                            - (con voce flebile) Ho sete, vorrei bere.

CANDIDO                     - Hai sete?... (Forte) Gilda?

GILDA                           - (entrando dalla porta che è a sinistra) Signore?

CANDIDO                     - Il signor Olmo ha sete, vuol bere.

GILDA                           - (a Olmo) Che cosa, signore?

OLMO                            - (con indifferenza) Oh, acqua, acqua...

GILDA                           - Subito. (Fa per avviarsi.)

OLMO                            - (richiamandola) Però, se aveste un'a­rancia, un'arancia da spremere.

GILDA                           - Certo, signore. (Fa per avviarsi.)

OLMO                            - (richiamandola ancora) E... con lo zucchero, è vero?

GILDA                           - Sì, signore.

OLMO                            - Con molto zucchero.

GILDA                           - Sì, signore. (E resta ad attendere; immaginando che le dirà ancora qualche cosa.)

OLMO                            - (congedandola) Sì, con molto zuc­chero.

CANDIDO                     - (a Gilda) Con moltissimo zuc­chero.

GILDA                           - Sì, signore. (Esce per la porta che e a sinistra.)

CANDIDO                     - (a Olmo) La vita è così amara, non è vero?... Aria... aria!... (Esce per la porta che è in fondo.)

FELICITA                      - (a Olmo) Me la fate vedere quel­la lettera?

OLMO                            - Oh, siete la prima persona che si interessi a me!... Nessuno, fra tante chiac­chiere, mi ha chiesto di leggerla. Eppure tutto il dramma è in queste poche pa­role!...

FELICITA                      - Fate vedere.

OLMO                            - Ecco. (Le dà la lettera.)

FELICITA                      - (al contatto di quel foglietto di car­ta è presa da uno strano turbamento. Lo stringe nella mano, lo gualcisce quasi, sembra che le bruci la mano). - Giacomina!...

OLMO                            - Ebbene, non la leggete?

 

FELICITA                      - A che serve?

OLMO                            - Come sarebbe a dire?

FELICITA                      - Sarebbe a dire... (Spiega il fo­glietto, vi getta gli occhi sopra, legge, ri­legge, resta con gli occhi fissi su quei ca­ratteri. Il suo turbamento è intenso. Si di­rebbe che il suo cuore sia lontano, in un mondo di sofferenze meravigliose.)

OLMO                            - Che cosa ne dite?

FELICITA                      - È una donna!

OLMO                            - Eh?

FELICITA                      - Una donna, veramente una donna!...

OLMO                            - Già!

FELICITA                      - Lo sapevate, voi?

OLMO                            - Veramente non capisco.

FELICITA                      - Appunto; ed ecco perché siete ar­rivato a questo.

OLMO                            - Che cosa vuol dire: una donna?

FELICITA                      - Una creatura che vuol vivere la sua vita, non quella di un altro.

OLMO                            - Ma io ero suo marito.

FELICITA                      - No, non eravate suo marito, se non avete capito nulla di lei. E allora è giusto che vi abbia lasciato.

OLMO                            - Oh!...

FELICITA                      - Suo marito?... In che cosa era­vate suo marito? Davanti alla legge? Nel­le spese di casa?... Nelle intimità fisiche? Nelle passeggiate a braccetto nei giorni di festa?... Se credete che basti! Per essere il marito di una donna bisogna vivere col suo spirito, pensare e volere con lei.

OLMO                            - Pensare? E le mie idee?

FELICITA                      - Pensare con lei, non come lei, vi ho detto. Le vostre idee? Ecco, le avete, e ben radicate nel cervello. .Se vi bastano, perché piangete la sua partenza?

GILDA                           - (entrando da sinistra) -Ecco l'arancia­ta... con molto zucchero. (Porge il bicchie­re ad Olmo, ed esce per la porta di si­nistra.)

OLMO                            - Grazie. (E comincia a rimescolare la bevanda, perché lo zucchero si sciolga tutto.)

FELICITA                      - Bevete la vostra aranciata. Ve­dete: con due o tre di queste aranciate, tutto andrà a posto.

OLMO                            - Perché dite questo, ora?

FELICITA                      - Ecco come l'avreste voluta la vo­stra Giacomina: bene inzuccherata, con tant'acqua quanto basta, e da bere a pic­coli sorsi quando se ne ha sete. Non è vero?

OLMO                            - (che sta bevendo, leva gli occhi verso Felicita, e il liquido gli va a traverso) -Oh!... (Comincia a tossire, a tossire.)

FELICITA                      - Vedete? Ma anche l'aranciata bi­sogna saperla bere, altrimenti... E volevate che Giacomina, una donna, fosse più do­cile?

OLMO                            - Allora, secondo voi, ha fatto bene?

FELICITA                      - Chi lo può dire?

OLMO                            - Oh, una pazzia, un momento di pazzia!

FELICITA                      - Pazzia!... Eh, già, pazzia!... Se non si fa come volete voi: pazzia!... E se alla fine ci si ribèlla: pazzia!... E poi, sì, pazzia!... Giorni, mesi, anni di vita accan­to ad un sordo, a un cieco, che non vi ode, non vi vede, chiuso com'è nel suo egoi­smo; e dentro questo suo egoismo vi stringe, vi soffoca... Ma come si fa a non diventare pazzi?

OLMO                            - Il mio egoismo?... Ma se ho sempre fatto come ha voluto lei!

FELICITA                      - Per egoismo; per poter dire: col­pa tua, se qualche cosa non va per il suo verso, per non dover discutere, per non mettere in pericolo la vostra tranquillità, per avarizia sentimentale, ecco. Ci offende più essere assecondati che contraddetti.

OLMO                            - Oh, questo, poi!

FELICITA                      - Sì, così. Essere assecondati come i bambini, come gli scemi: sì, cara, sì, cara!... E intanto continuare la propria vi­ta, essere lontani, essere assenti. Sì, cara!... Mai una volta sentirsi dire: no, così non va; bisogna fare altrimenti... mai!... Sen­tirsi fare violenza, con crudeltà, magari, per aderire a te, per mescolarsi a te, pio chiare, ecco picchiare!... Come dicono le donne del popolo?... Se mi picchia vuol dire che m'ama. L'avete mai picchiata voi?

OLMO                            - Picchiarla?... Ma l'ho sempre trat­tata come una regina!...

FELICITA                      - Ma che sapete voi delle regine?... Mai picchiata?... Un tranquillo amore borghese, non è vero?... E un bel giorno - come mai? - sei per otto: ventidue. Già, ventidue, o venticinque. E allora la sorpresa, lo smarrimento, la catastrofe.

OLMO                            - Ecco, dite bene, la catastrofe!

FELICITA                      - La catastrofe!... E voi che fate?... Voi siete qui!... Eh, già, l'appuntamento per lo scopone... Come si fa?... Passato il primo stordimento, si mette la lettera in tasca, e si viene qui, a farsi compatire, a chiedere scusa per il ritardo, a bere l'aran­ciata!

OLMO                            - (che sta per bere) Ora mi rinfacciate l'aranciata?

FELICITA                      - E il mezzotoscano?... Come mai non avete acceso il solito mezzotoscano?... Invece di correre, di precipitarvi per ri­prenderla...

OLMO                            - Ritrovarla dove?... Quando Teresa mi ha detto che era a Bologna, ero pron­to a precipitarmi, come dite voi, per...

FELICITA                      - E siccome non è a Bologna, voi restate qui, vi date pace, e buon viaggio. Magari non è partita, magari è ad un pas­so dalla vostra casa, e aspetta che voi facciate qualche cosa per riaverla, attende un vostro grido di dolore per convincersi che non siete quel fantoccio di paglia che crede, e invece...

OLMO                            - E invece... son tutte parole, queste, Se n'è andata col suo amante, l'ha scritto, è partita per sempre; non c'è più nulla da fare.

FELICITA                      - E vi rassegnate!... Ah, le corna... lodato sia chi le ha inventate!

OLMO                            - (si leva in piedi, apre le braccia in un grande gesto di stupore doloroso) Eh?... Oh!... (Poi ricade a sedere, reclina il ca­po, e resta così, silenzioso, passandosi di quando in quando la mano sul capo.)

FELICITA                      - (dopo un lunghissimo silenzio, ac­corati/) Povera Giacomina!

OLMO                            - Avete ragione di compiangerla! (Più che un dialogo, son due soliloqui.)

FELICITA                      - Il giorno che si sposò... era così piena di speranza.

 

OLMO                            - Anch'io!

FELICITA                      - Purché ci s'intenda.

OLMO                            - Ecco.

FELICITA                      - E che sia veramente una vita in comune!

OLMO                            - E invece uno di qua e l'altra di là!

FELICITA                      - Uno di qua e l'altra di là; e in mezzo un abisso!

OLMO                            - Già.

FELICITA                      - Si chiama, si chiama... e l'altro non ode.

OLMO                            - A che serve?

FELICITA                      - E allora ci si precipita in quell'abisso.

OLMO                            - E poi?

FELICITA                      - Anche la vertigine della caduta, può avere il suo fascino!...

OLMO                            - Non ci si rialza più!...

FELICITA                      - E tutto perché non cercano di comprendere le donne!

OLMO                            - Già!... Ma perché le donne, dal can­to loro, non cercano di comprendere gli uomini?(Felicita si avvicina ad Olmo, e lo guar­da a lungo in silenzio. Anche Olmo la guarda, e sembra che aspetti una buona parola. Ma Felicita non parla; lo guar­da, poi scuote il capo, e si allontana.)

LUCA                             - (entrando dalla porta di fondo) Si­gnora, ce ne andiamo. Gli altri si sono già avviati. Io son venuto a rinnovarvi i miei auguri. Domani, purtroppo, non ci sarò. Peccato, sarà veramente una bella festa.

FELICITA                      - Molto bella!...

LUCA                             - Oh, ne sono certo. (Vedendo Olmo) Ah, tu sei ancora qua?

OLMO                            - (scrollando le spalle) Già!... (Fa per uscire; poi va verso una poltrona, e vi si abbandona.)

LUCA                             - (a Felicita, prendendole una mano) Dunque, a rivederci. Domani, un anno di più. Cercate di non invecchiare inu­tilmente.

FELICITA                      - Oramai!

LUCA                             - Oramai... bisogna vivere.

FELICITA                      - Illudersi di vivere.

LUCA                             - È la stessa cosa.

CANDIDO                     - (entrando dalla porta di fondo, a Luca) Ti aspettano.

LUCA                             - Vado. (A Felicita) Ancora tutti i miei auguri; e a rivederci.

FELICITA                      - Grazie; a rivederci.

LUCA                             - (a Candido) E tu, preparale una bella festa.

CANDIDO                     - Farò del mio meglio.

LUCA                             - A rivederci. (Esce per la porta di fondo.)

CANDIDO                     - (a Felicita) Sei anni di matri­monio, dunque!...

FELICITA                      - Già!...

CANDIDO                     - Sei anni di felicità. E in questi sei anni non il più piccolo screzio, non l'ombra di un dissidio, accordo perfetto.

FELICITA                      - Credi?

CANDIDO                     - Un'unione veramente invidiabi­le. D'altronde non poteva essere diversamente: io ho cercato sempre di accon­tentarti in tutto, di prevenire ogni tuo desiderio, di farti una vita comoda e calma.

FELICITA                      - Molto calma.

CANDIDO                     - D'altronde, anche tu, debbo ri­conoscerlo, sei una moglie esemplare.

FELICITA                      - Sì?

CANDIDO                     - Sì. Ti sento sempre così vicino a me!... Eravamo fatti proprio per in­tenderci. Quanti possono dire altrettan­to? Anche i nostri amici: matrimoni sbagliati. (Accennando ad Olmo) Quello lì, poi!... (Guardandolo con maggiore at­tenzione) Ma che cosa fa?... S'è addor­mentato?

FELICITA                      - Eh?... (Si avvicina ad Olmo, e lo guarda. Con profonda commiserazione) Dorme!... (Guarda i guanti di Giacomi­na, che ha fra le mani.) (Olmo, nel sonno, balbetta qualche parola.)

CANDIDO                     - E parla... parla nel sonno... So­gna, forse.

FELICITA                      - Giacomina!... (E lentamente, quasi senza accorgersene, comincia ad in­filarsi i guanti di Giacomina: un paio di lunghi guanti neri.)

CANDIDO                     - (scuotendo Olmo) Ehi, dico!... Svegliati!...

OLMO                            - (destandosi) Eh?... Giacomina!...

CANDIDO                     - Giacomina?... Sono io.

OLMO                            - Ah, tu?

CANDIDO                     - Ti sei addormentato qui?... E parlavi. Che cosa dicevi?

OLMO                            - Non so, sognavo.

CANDIDO                     - Questa è l'ora di pranzare, non di sognare. Non vai a pranzo?

OLMO                            - Già... a pranzo... dove?

CANDIDO                     - (imbarazzato) Dove... dove... non so.

OLMO                            - Ecco!...

CANDIDO                     - Se... se vuoi pranzare qui con noi... per questa sera.

OLMO                            - Per questa sera... già!... Eh, gra­zie!... Perché no? Bisogna pur mangiare! (Felicita lo guarda come se l'avesse offe­sa; poi porta alle labbra il guanto che non s'è ancora infilato, e lo bacia.)

CANDIDO                     - Appunto.

OLMO                            - Domani, poi, domani...

CANDIDO                     - Domani sarà quel che sarà. Sì! allora andiamo. (Volgendosi a Felicita) Vieni?

FELICITA                      - Sì, vengo.

CANDIDO                     - (ad Olmo, movendo verso la por­ta di sinistra) E poi, a tutto c'è rimedio.

OLMO                            - Fosse vero! (Esce con Candido.) (Felicita resta un po' come trasognata. Ha terminato di infilarsi i guanti; e ora guarda quei guanti. Apre e protende le braccia per vederli come in un panorama di vita. Poi, ad un tratto, nasconde il vol­to fra le mani, si lascia cadere su una sedia, e rompe in un gran pianto. Gli orologi suonano le sette.

S I P A R I O

 


ATTO SECONDO

 La stessa scena del primo atto. In giardino è apparecchiata una grande ta­vola per il pranzo della sera. Fra gli alberi corrono lunghi festoni ai quali sono sospese le lanterne colorate. Il pomeriggio. (Felicita, in piedi su una sedia, è intenta a manomettere il congegno di un orolo­gio appeso al muro. Richiude l'orologio, e scende.)

FELICITA                      - Anche questo è a posto.

GILDA                           - Dio mio, signora, che cosa dirà il padrone ?

FELICITA                      - Nulla, dirà. È uno scherzo. Uno scherzo che gli faccio per la mia festa.

GILDA                           - Uno scherzo, rompere tutti gli oro­logi?

FELICITA                      - E poi lui non domanda di me­glio: così potrà ricominciare ad accomo­darli. Guarda piuttosto se viene qual­cuno.

GILDA                           - (va a guardare fuori) No, nessuno.

FELICITA                      - Perché ancora non ho finito!... (Apre un orologio che è su un mobile, e con un ferretto lo danneggia!)

GILDA                           - Anche questi?

FELICITA                      - Tutti. Non ci dev'essere più un orologio che cammini, in questa casa. Hai un orologio, tu?

GILDA                           - No.

FELICITA                      - Fammi vedere. (Le guarda i pol­si) Meglio per te. (E riprende a guasta­re gli orologi che sono sui mobili.)

GILDA                           - Ma perché fa questo?

FELICITA                      - Perché?... per non invecchiare.

GILDA                           - Il padrone li riaccomoderà, e allora che cosa ci avrà guadagnato?

FELICITA                      - Ci avrò guadagnato due o tre mesi.

GILDA                           - Mah!...

FELICITA                      - Mi sembra che non ve ne siano altri. (Si guarda in giro.) Ah, dimentica­vo: questo, questo che mi ha regalato oggi per la mia festa. (Slacciandosi l'oro­logio dal polso) Spacca il minuto, ha det­to; ed ora io spacco lui! (Lo scaglia a terra.)

GILDA                           - Oh!...

FELICITA                      - (raccatta l'orologio, e lo esamina) Non cammina più. Morto anche lui. Tut­ti morti. (Si rimette l'orologio al polso.)

GILDA                           - Era così bello!...

FELICITA                      - Si dice così di tutti i morti. (Guardando in giro gli orologi) Mi sem­bra che la casa sia diventata più grande. Si respira. Tic tac, tic tac... mi pareva di essere pigiata tra la folla!... Largo... largo!... (A Gilda) E.... silenzio, silenzio con tutti. Tu non sai nulla.

GILDA                           - Va bene, signora. Posso andare?

FELICITA                      - Sì.(Gilda si avvia verso la porta di sinistra.)

CANDIDO                     - (entrando dalla porta di sinistra) Ebbene, che cosa c'è di nuovo? (Gilda esce lesta, dopo essersi volta indie­tro a guardare, per la porta di sinistra.)

FELICITA                      - Di nuovo? Nulla, caro, nulla!...

CANDIDO                     - Meglio così. Le novità non por­tano che disordine. E anche le feste, in fondo, non servono cha a turbare il rego­lare andamento della vita. A proposito: i preparativi per il pranzo procedono regolarmente?

FELICITA                      - Sì.

CANDIDO                     - E l'orologio? Non mi dici nulla dell'orologio che ti ho regalato?

FELICITA                      - Eccolo qua.

CANDIDO                     - E va bene?

FELICITA                      - Oh, benissimo!... (Accennando agli orologi che sono nella stanza) D'accordo con tutti i suoi colleghi.

CANDIDO                     - Abbine cura.

FELICITA                      - Figurati.

CANDIDO                     - Vedrai che non avrà bisogno di riparazioni fino... fino al giorno delle no­stre nozze d'argento, delle nozze d'oro.

FELICITA                      - Misericordia!...

CANDIDO                     - Perché?

FELICITA                      - Perché... dicevo... volevo dire: non è un orologio, è un mostro!...

CANDIDO                     - È una macchina perfetta.

FELICITA                      - E credi che anche noi, come lui, andremo avanti fino alle nozze d'argento, d'oro?

CANDIDO                     - E perché no? Anche noi, come lui, godiamo ottima salute, siamo sani e vegeti.

FELICITA                      - Come lui? Oh, allora siamo a posto.

CANDIDO                     - E il giorno delle nozze d'oro te ne regalerò un altro.

FELICITA                      - Appunto; volevo dire: non è mica l'ultimo orologio che mi regali, questo?

CANDIDO                     - E perché dovrebbe esser l'ultimo?

FELICITA                      - Ecco, sono proprio contenta.

CANDIDO                     - Lo sai che ti voglio bene, e faccio di tutto per renderti felice.

FELICITA                      - Regalandomi ogni tanto un oro­logio. Sei proprio un tesoro! Mi vuoi be­ne, dici?....

CANDIDO                     - Certo.

FELICITA                      - Mi vuoi bene!... Ma mi ami anche?

CANDIDO                     - Che differenza c'è?

FELICITA                      - Oh, nessuna, nessuna!... E mi sei stato sempre fedele?

CANDIDO                     - Fedele?... Ma queste sono doman­de che gli uomini rivolgono alle donne.

FELICITA                      - Giustissimo. Ma per una volta è una donna che lo domanda ad un uomo.

CANDIDO                     - Ebbene, sì, fedele.

FELICITA                      - Mai un'amante?

CANDIDO                     - Mai. (Infastidito) Ma che discorsi mi vai facendo oggi?... Non ti riconosco più. Si può sapere che ti prende? Pensa al pranzo, piuttosto; che fra poco arrive­ranno gl'invitati. (Esce per la porta che è a sinistra.)

FELICITA                      - (lo guarda, uscire; poi a Nina che entra dalla porta di fondo) Nemmeno un'amante; capisci? Mai!...

NINA                              - Chi?

FELICITA                      - Lui, mio marito. Non ha mai avuto un'amante.

NINA                              - E te ne lamenti?

FELICITA                      - Che uomo!...

NINA                              - E come lo sai?

FELICITA                      - Me lo ha detto lui, ora.

NINA                              - E tu ci hai creduto?

FELICITA                      - Oh, sì!

NINA                              - E allora non so che dirti.

FELICITA                      - Non c'è più nulla da sperare!

 

NINA                              - A che serve sperare?

FELICITA                      - Ebbene, lo avrò io un amante!...

NINA                              - (guardandola) Tu?... Oh, povera Felicita!... (E rompe in una risata.)

FELICITA                      - (sta per inveire contro di lei, ma si frena) Ridi? Credi forse che soltan­to le donne come te possano avere degli amanti?

NINA                              - Le donne come me ne hanno in ge­nere meno delle donne come te. In quan­to a me.... Eh, mia cara Felicita!...

FELICITA                      - D'altronde è così facile!... (Va a guardare un gran mazzo di fiori che è in un vaso.)

NINA                              - Anche questo non è vero!... Di chi sono quei fiori?

FELICITA                      - Belli, non è vero? Li ho rice­vuti stamane. È la mia festa oggi - lo hai dimenticato? - e ho ricevuto questi fiori.

NINA                              - Chi te li ha mandati?

FELICITA                      - Veramente non so. Non c'era nessun biglietto. Ieri sera Luca mi ha det­to che me ne avrebbe mandati; ma come si fa a sapere se sono i suoi?... Forse sono di un altro. (Continua a carezzare lievemente i fiori, mentre il suo pensiero sembra lontano.)

NINA                              - Saranno certamente di Luca.

FELICITA                      - (aspra) Che ne sai tu?... Perché non possono essere di un altro?... (S'ode un vocio venire dal giardino. Poi appariranno Giulia, Teresa, Matteo, e infine Olmo. Recano in dono fiori e pac­chetti.)

TERESA                         - (a Felicita) Auguri, tanti auguri.

GIULIA                          - Cento di questi giorni.

MATTEO                        - Tutti i miei voti di felicità.(E le stringono le mani, la baciano, l'ab­bracciano.)

FELICITA                      - Grazie... grazie... grazie!...

OLMO                            - (porgendole un gran mazzo di fiori) Ed anche i miei, e di tutto cuore.

FELICITA                      - Oh anche voi siete qua?

OLMO                            - Naturalmente. Dove volete che vada?

FELICITA                      - Già!... E notizie di...

OLMO                            - Oh, nulla, nessuna!... (Si asciuga qualche lagrima.)

MATTEO                        - No, non cominciamo!... Oggi s'ha da stare allegri.

OLMO                            - Sì, cercherò di essere allegro. A che ora si pranza?

GIULIA                          - S'era detto alle sette e mezza, non è vero?

FELICITA                      - Sì. (Chiamando) Gilda?!... (Agli altri) Ma quanti regali!... E che bei fiori!...

GIULIA                          - (indicando i fiori che erano già nel­la camera) E quelli di chi sono?

FELICITA                      - Non lo so.

GIULIA                          - Non sai chi te li ha mandati?

FELICITA                      - No.

GIULIA                          - Ma che misteri son questi?

FELICITA                      - (infastidita) Mah!... (Richiaman­do) Gilda?!...

GILDA                           - (entrando dalla porta di sinistra) -Comandi, signora.

FELICITA                      - Metti a posto questi fiori.

GILDA                           - Subito, signora.

FELICITA                      - (apre uno dei pacchetti che le han­no portato in dono) Oh, bello!... (A Te­resa) Grazie, cara!...

GIULIA                          - No. quello è il mio.

FELICITA                      - Oh, scusa cara. Molto bello!... (Apre un altro pacchetto.) Oh!...

TERESA                         - È il mio.

FELICITA                      - Magnifico.

TERESA                         - È antico. Era della mia povera nonna!...

MATTEO                        - Non è vero: l'ha comperato sta­mane.

FELICITA                      - Fa lo stesso. (Apre un altro pac­chetto^) E anche questo, oh, com'è gra­zioso. (A Matteo) Non c'è da sbagliare: è ii vostro.

MATTEO                        - L'ho comperato anch'io stama­ne, come lei.

FELICITA                      - Quante spese!...

TERESA                         - Lo dice per vantarsi. (A Matteo) Sarebbe stato molto più delicato dire che era di tuo nonno.

MATTEO                        - Già, ma sono figlio d'ignoti.

GIULIA                          - (a Matteo) Ma di chi saranno quei fiori?!...

MATTEO                        - Figli d'ignoti, anche quelli.

GIULIA                          - Non è chiaro. Se io fossi suo ma­rito... (A Felicita) E dov'è Candido?

FELICITA                      - Non so; dev'essere di là.

CANDIDO                     - (entrando dalla porta di sinistra) -Buona sera, buona sera a tutti. (Vedendo Olmo) Ah, anche tu sei qua?

OLMO                            - Sì, ma non temere: sono allegro, allegrissimo.

CANDIDO                     - Perché, è tornata?

OLMO                            - (con un sospiro) No!...

CANDIDO                     - E allora?... Sei un bel cretino.

OLMO                            - Vogliono che sia allegro!...

CANDIDO                     - (a Giulia) Peccato che Luca  non sia qui con noi!...

TERESA                         - Peccato davvero; ci avrebbe fatto qualche giuoco meraviglioso, di quelli che sa fare solo lui.

GIULIA                          - (a Candido) E allora non si sa chi ha mandato quei fiori?

CANDIDO                     - No.

GIULIA                          - E come mai?

CANDIDO                     - Si vede che il fioraio, nel por­tarli, ha lasciato cadere il biglietto lungo la strada.

GIULIA                          - Uhm!..

TERESA                         - (a Felicita) Sai, son venuta ve­stita così, alla buona; tanto siamo fra noi.

MATTEO                        - E anch'io... Senza cerimonie, non è vero?

FELICITA                      - Certo, certo

GIULIA                          - Oh, a me non è passato nemme­no per la testa di mettermi in gala.

FELICITA                      - Hai fatto bene.

GIULIA                          - Ma quei fiori!... Di chi saranno quei fiori?...

(Squilla il campanello del telefono. Candido muove verso l'apparecchio.)

FELICITA                      - No, no, rispondo io. Pronto, pronto, pronto... Sì, sono io, sì... eh?... Da Genova?... (Agli altri, molto turbata) Parlano da Genova!...

GIULIA                          - E chi sarà?

FELICITA                      - (a Giulia) Sst!.... (All'apparec­chio) Sì, pronto... da Genova, ho capito... chi parla?... Ah!... (Un po' delusa, agli al­tri) E Luca. (All'apparecchio) Grazie, gra­zie!... Ma siete proprio voi?... Non rico­nosco la vostra voce!... Sembra quella di un altro!... Ecco... già... la distanza... Sì, siamo tutti qui; c'è anche Giulia. Come: chi è?... Vostra moglie; l'avete già di­menticata?

 

GIULIA                          - Stupido!...

FELICITA                      - Si, la festa promette bene. Siete molto gentile. Oh, mi fate arrossire!...

GIULIA                          - Ma che cosa dice?

FELICITA                      - Oh, anche a voi, tanti auguri. Sì, grazie!... Sì. (Agli altri) Vi saluta tut­ti. (All'apparecchio) Grazie... a rive­derci...

GIULIA                          - (strappando dalle mani di Felicita il ricevitore) Pronto... pronto... pronto... Ah, se n'e andato!... Sempre così quello stupido!... (Depone il ricevitore. A Feli­cita) Che cosa ti ha detto?

FELICITA                      - Mi ha fatto gli auguri. (Pavo­neggiandosi un poco) Gli auguri da Genova, per telefono. Che pensiero gen­tile!...

GIULIA                          - Che esagerazione!...

(Nel vano della porta che è in fondo è apparso l'Ispettore di Polizia. Gira lo sguardo in tomo con molta attenzione, osservando il luogo e te persone. Ma è veramente un ispettore di polizia?)

ISPETTORE                   - Chi è il padrone di casa qui?

CANDIDO                     - E voi chi siete?

ISPETTORE                   - Un ispettore di polizia. (Stupore di tutti.)

CANDIDO                     - E che cosa volete?

ISPETTORE                   - Voglio sapere chi è il padrone di casa.

CANDIDO                     - Sono io.

ISPETTORE                   - Siete il proprietario di questa villa?

CANDIDO                     - Sì.

ISPETTORE                   - È solida?

CANDIDO                     - Finora non è mai crollata.

ISPETTORE                   - E questa gente?

CANDIDO                     - Sono miei amici.

ISPETTORE                   - E che ci fanno qui?

CANDIDO                     - Sono invitati a pranzo.

ISPETTORE                   - E perché?

CANDIDO                     - Perché è il compleanno di mia moglie.

ISPETTORE                   - E qual è vostra moglie?

CANDIDO                     - Questa qui.

ISPETTORE                   - Regolarmente sposata?

(Felicita fa un gesto come per dire: pur­troppo?)

CANDIDO                     - Regolarmente.

ISPETTORE                   - Va bene. (Scruta a lungo tutti i presenti; finalmente ferma la sua atten­zione su Olmo.) E quel signore, perché è così... così turbato?

CANDIDO                     - Gli è scappata ieri la moglie.

ISPETTORE                   - Pardon.

OLMO                            - Prego.

ISPETTORE                   - E con chi?

OLMO                            - Se lei, che è ispettore di polizia, me lo sapesse dire, le sarei molto grato.

ISPETTORE                   - Non sono qui per questo. (Olmo fa il gesto dì chi è poco soddisfatto.)

CANDIDO                     - (all’Ispettore) Posso sapere la ragione di questa vostra inchiesta? (L'Ispettore guarda ancora gli astanti, poi chiama a sé, con un cenno, Candido, // quale, un po' perplesso gli si avvicina. I due parlottano a bassa voce. Gli astanti sono in preda alla più grande curiosità, e vorrebbero cogliere al volo qualche parola. Dopo un po’ l’Ispettore saluta ed esce. Si fa un grande silenzio d'attesa. Candido appare in preda ad una grande agitazio­ne. Ad un tratto tutti, e tutti insieme, lo assalgono con le loro domande. Da que­sto momento i dialoghi si svolgeranno con un ritmo tumultuoso.)

OLMO                            - (ansioso, a Candido) Giacomina?

 

GIULIA                          - E allora?

TERESA                         - Che cosa voleva?

MATTEO                        - Che cosa è venuto a fare?

GIULIA                          - È per una ragione grave?

TERESA                         - Perché vi ha parlato sottovoce?

MATTEO                        - Si tratta di te, di noi?

FELICITA                      - Ma parla, dunque!...

CANDIDO                     - Viene il re.

GIULIA                          - Dove?

CANDIDO                     - Qui.

TERESA                         - In questa città?

CANDIDO                     - Qui, in casa.

FELICITA                      - In casa?

(Stupore e incredulità di tutti.)

GIULIA                          - Ma non può essere!

CANDIDO                     - L'Ispettore è venuto qui per pre­disporre l'arrivo.

GIULIA                          - Viene qui?... E a che fare?

CANDIDO                     - A riposare.

MATTEO                        - Il re!... Ma quale?

CANDIDO                     - Ah, dimenticavo: Teodoro IV.

MATTEO                        - Il re di...?

CANDIDO                     - Proprio lui. È di passaggio... vie­ne da Londra... viaggia in automobile... si vuole fermare. . per riposare... in incognito... hanno visto questa magnifica villa...

GIULIA                          - Non esageriamo!...

CANDIDO                     - Proprio così... e ora... l'accompa­gneranno (qui... all'albergo non ci è volu­to andare... ripartirà domattina..- per an­elare a riprendere possesso del trono... dopo tre anni... prima l'hanno mandato via - la rivoluzione - e adesso lo ri­chiamano... e lui torna... riprende servi­zio... e si ferma qui stanotte... fra poco sarà qui... Ah!... (Non ha più fiato.)

FELICITA                      - (quasi fra sé) Il re!... Teodo­ro IV!... Giovane?... Bello?... (Tutti guardano Nina con grande interesse.)

TERESA                         - E com'è;

NINA                              - Io lo conosco.

TERESA                         - Lo conosci?... E dove, quando lo hai conosciuto?

NINA                              - A Parigi. Veniva spesso, in aeropla­no, a divertirsi un po'.

TERESA                         - Ma... lo conosci di vista, oppure...

NINA                              - Di vista?... Con tutti e cinque sensi.

TERESA                         - E com'è?

NINA                              - Simpatico, molto.

CANDIDO                     - (con gravità, e guardando NINA negli occhi) Dico... mi capite?

NINA                              - Vi capisco.

CANDIDO                     - Ebbene?

NINA                              - Sua Maestà non ha nulla darimpro­verarmi.

CANDIDO                     - Meno male. D'altronde ora qui si sgombra.

GIULIA                          - Come sarebbe a dire?

CANDIDO                     - Sarebbe a dire che andate via tutti.

(Un urlo di protesta accoglie questa di­chiarazione.)

FELICITA                      - Naturalmente. Qui adesso abbia­mo da fare. (Esce per la porta di sinistra.)

CANDIDO                     - Sicuro, abbiamo da fare.

GIULIA                          - E a noi che ce ne importa?.... Ci siamo e ci restiamo.

CANDIDO                     - Siete matti?

TERESA                         - Ah, siete un bell'egoista!...

MATTEO                        - E perché ce ne dovremmo an­dare?

CANDIDO                     - Perché viene in incognito.

TERESA                         - Lo sappiamo tutti, quindi per noi non è in incognito.

CANDIDO                     - Ma c'è una ragione di Stato, una ragione diplomatica!...

MATTEO                        - La diplomazia non c'entra. È in incognito per le Autorità, per il mondo ufficiale, non per noi.

GIULIA                          - Sarà contentissimo di conoscerci.

TERESA                         - E poi, manco a farlo apposta, c'è una festa preparata, qui: se la godrà an­che lui con noi. (A Nina) Tu che lo co­nosci, che ne dici?

NINA                              - È un uomo come un altro: affabile, alla buona...

CANDIDO                     - Un re non è un uomo come un altro.

NINA                              - Vi dico di sì.

CANDIDO                     - Forse quando era in esilio; ma adesso non più.

MATTEO                        - Insomma l'Ispettore ti ha forse detto che ce ne dobbiamo andare?

CANDIDO                     - (perplesso) Veramente questo non me l'ha detto.

MATTEO                        - Vedi?

TERESA                         - Ecco.

GIULIA                          - Lo riceveremo tutti.

NINA                              - E lo terremo allegro.

CANDIDO                     - Nina, mi raccomando: un con­tegno corretto.

NINA                              - Per chi mi prendete?

OLMO                            - Io farò un discorso.

CANDIDO                     - Tu starai zitto.

OLMO                            - Starò zitto!...

CANDIDO                     - E poi, no, no. Che dirà trovan­do tutta questa baraonda, lui che viene qui per riposare?

NINA                              - Ne sarà felicissimo. E intanto aggiungiamo un posto a tavola.

OLMO                            - Sicuro. (Prende una sedia.)

CANDIDO                     - Dove vai con quella sedia?

OLMO                            - Aggiungo un posto.

CANDIDO                     - Stupido: ci vuole una poltrona dorata!...

OLMO                            - È giusto. (Rimette a posto la sedia.)

CANDIDO                     - Fra poco sarà qui, e... Che ora è? (Guarda un orologio, poi un altro, poi un altro... smarrito) Ma che cosa è ac­caduto?

MATTEO                        - Che cosa?

CANDIDO                     - Gli orologi, i miei orologi, fer­mi, tutti fermi. Oh, Dio!... Ma come, come?... (Ne prende uno che è su un mo­bile, lo apre, lo guarda) Il bilanciere, rot­to!... Ah, ma come come?!... Sono rovi­nato!.... Ma come è accaduto?... Povero me!... Ci vorrà un anno di lavoro per ac­comodarli!... E ora come si fa?

MATTEO                        - Si levano.

CANDIDO                     - Eh, già; non c'è altro da fare. Coraggio, ragazzi.

(Tutti si danno d'attorno a togliere e portar via gli orologi. Gli uomini si son tolta la giacca, le donne si son tirate su le maniche. In un batter d'occhio gli orologi sono spariti. E anche il tavolinetto da oro­logiaio. Qualche mobile è stato portato via, e sostituito con un altro più bello. Gilda corre dì qua e di là, come impaz­zita, con un piumino in mano, ma non riesce a spolverare nulla.)

CANDIDO                     - (mentre gli altri portano via gli orologi) Piano, mi raccomando, fate attenzione, non rovinateli ancora di più!... (Olmo lascia cadere un orologio.) Oh, i miei poveri orologi!... Imbecille!...

OLMO                            - (raccattandolo) Non si è fatto niente. (// lavoro continua. Tutti sono ansanti e sudati. Oramai siamo alla fine. La stanza è trasformata. E quando poi si accenderà la luce, sembrerà, con quei giuochi di colore, veramente la sala di una reggia.)

CANDIDO                     - (ad Olmo, che entra portando una poltrona dorata) Avanti, muoviti, con quella poltrona.

OLMO                            - Pesa!...

(In questo punto entra Felicita. Indossa un grazioso abito da sera. Tutti, al ve­derla, si fermano stupefatti. Olmo lascia cadere la poltrona, e ci si siede sopra).

FELICITA                      - (guarda gli astanti, poi guarda in giro. Sul suo viso si legge la più felice sorpresa. A Candido) Candido... gli oro­logi... gli orologi... Ah, caro!... (Lo ab­braccia e gli dà due baci schioccanti.)

CANDIDO                     - Erano tutti guasti!...

FELICITA                      - E come mai?

CANDIDO                     - Chi lo sa?... (Vedendo Olmo se­duto sulla poltrona) Sciagurato, che cosa fai seduto su quella poltrona? Sci forse il re?

OLMO                            - (si leva di scatto, e col tono del più profondo pentimento) Domando scusa!...

GIULIA                          - (riavendosi dalla sorpresa, a Feli­cita) Ma... che cosa hai fatto?

FELICITA                      - Volevi forse che ricevessi il re vestita a quel modo? (Tutti si guardano i loro abiti.)

TERESA                         - Ah, ma è vero!...

(Repentinamente, come per una tacita intesa, tutti raccolgono le loro robe, ed escono a precipizio.)

FELICITA                      - (a Gilda) Anche tu, vatti a cam­biare. (Gilda esce. A Candido) E tu, ca­ro, vuoi restare così?

CANDIDO                     - Hai ragione. Vado subito. (Esa­minandola) Ma questo tuo abito... non sa­pevo che l'avessi... non te l'ho visto mai.

FELICITA                      - L'ho fatto fare un mese fa... co­sì... non si sa mai!...

CANDIDO                     - Già, non si sa mai.

FELICITA                      - Mi sta bene?

CANDIDO                     - (distratto) Benissimo. A propo­sito il pranzo com'è?

FELICITA                      - (contrariata) Com'ha da essere? Buono.

CANDIDO                     - Buono, va bene, ma sai, per un re... Eh, capirai, son cose che hanno la loro importanza!...

FELICITA                      - Importanza, il mangiare!... Tu non pensi che al mangiare!... Nessuna im­portanza ha!... (Passeggia dando segni di nervosismo.)

CANDIDO                     - Quanti saremo a tavola?

FELICITA                      - Non lo so; contali.

CANDIDO                     - Dunque... (Conta mentalmente) Ah, c'è anche Olmo!... Vorrei sapere che cosa è venuto a fare. Non so, con quella storia di Giacomina, se sia conveniente farlo sedere alla tavola di un re.

FELICITA                      - Sono cose che non si vedono.

CANDIDO                     - È vero. Dunque.... (Ricomincia a contare mentalmente) Nove, siamo in nove, compreso lui.

FELICITA                      - Lui chi?... Teodoro?...

CANDIDO                     - Teodoro?... Ah, sì, Teodoro.

FELICITA                      - Teodoro!... È un bel nome!... (Per un po' farà i gesti di chi ragiona mentalmente.)

CANDIDO                     - E per il servizio?... (La guarda sorpreso.) Scusa, se t'interrompo. Ho det­to: per il servizio hai provveduto?

FELICITA                      - Eh?... Ma sì!...

CANDIDO                     - A proposito: e a dormire dove lo mettiamo?

FELICITA                      - A dormire?

CANDIDO                     - Non hai sentito?... Passerà la notte qui.

FELICITA                      - È vero!...

 

CANDIDO                     - Io direi... nella camera degli ospiti, non è forse un ospite?

FELICITA                      - Sci matto? È la più brutta di tutta la casa.

CANDIDO                     - La più brutta, non dirci.

FELICITA                      - Fosti proprio tu, invece, a dirlo: di questa, che è la più brutta e la più scomoda, faremo la camera per gli ospiti.

CANDIDO                     - Già. Allora... nella tua camera.

FELICITA                      - Nella mia...? ...Ma nemmeno per sogno. Non è adatta... la camera di una signora. E poi, nella camera accanto dor­me Nina... No.

CANDIDO                     - In quanto a Nina... - hai sen­tito? - si conoscono.

FELICITA                      - Eh?... Ah, no; sulla morale non transigo. Ci mancherebbe altro!... Vorre­sti spingere l'ospitalità fino a questo punto?...

CANDIDO                     - Ma io non ho detto questo.

FELICITA                      - E allora... Allora gli cederai la tua camera.

CANDIDO                     - E io?

FELICITA                      - Tu dormirai nella camera degli ospiti. D'altronde, dove c'è un re, tutti gli altri non sono che suoi ospiti.

CANDIDO                     - Bel modo di ospitarmi!

FELICITA                      - Anzi bisogna far subito mettere in ordine... (Chiama) Gilda?!... Ma dove mai s'è cacciata?... (Suona il campanello.) Ah!... Un'orchestrina, un'orchestrina che suoni durante il pranzo, ci vuole. Manda subito qualcuno...

CANDIDO                     - Va bene, mando subito.

FELICITA                      - Ma questa Gilda?!...

(Gilda - entra dalla porta di sinistra. È ve­stita d'un abito da ballo rosso, scollata e braccia nude; in testa ha la crestina bian­ca da cameriera, e alle mani un paio di guanti bianchi di cotone.)

GILDA                           - Ha chiamato, signora?

FELICITA                      - Eh?!... Come ti sei vestita?

GILDA                           - Capirà... in una circostanza come questa!...

FELICITA                      - A quel modo?... Sei impazzita?... E quell'abito dove l'hai preso?

GILDA                           - È mio. Me lo son fatto fare un mese fa. Non si sa mai, ho pensato.

CANDIDO                     - (a Felicita) Come te!...

FELICITA                      - Va subito a levartelo di dosso, e mettiti un abito nero.

GILDA                           - Ma, signora...

FELICITA                      - Subito. E poi metterai bene in ordine l'appartamento del signore, perché Sua Maestà dormirà là. Hai capito?

GILDA                           - Sì, signora!... (Molto mortificata, e rimpiangendo il suo bel vestito, esce per la porta di sinistra.)

FELICITA                      - (a Candido) E tu?... Che cosa aspetti per andare a cambiarti? Fra poco sarà qui, e tu... Che ora è?... (Ma subito si riprende con un gesto di collera con­tro se stessa.) D'altronde non sappiamo a che ora verrà.

CANDIDO                     - I miei orologi!... Com'è accaduto, Dio solo lo sa!... (Si avvia verso la porta di destra.)

FELICITA                      - Dove vai?... Di là bisogna met­tere in ordine. Fatti portare la tua roba nella camera degli ospiti.

CANDIDO                     - E va bene!... Che rivoluzione!... Credo che questo Teodoro se la porti con se la rivoluzione. Tutto si spiega, ora!... (Esce per la porta di sinistra). (Felicita trae un gran sospiro di sollievo. Poi si guarda, si gira, preoccupata com'è d'esser degna dello sguardo d'un re. Va sulla soglia della porta di fondo, e dà un'occhiata fuori. Rientra. E vedendo Nina che entra dalla porta di sinistra, già vestita per il ricevimento, la osserva con attenzione un po' dispettosa.)

NINA                              - Che onore dunque!...

FELICITA                      - Infatti!... Come sci elegante!...

NINA                              - È di Parigi.

FELICITA                      - Eh, già, di Parigi!... Per me, |però - oggi è la mia festa! - non te lo saresti messo.

NINA                              - Tu sei mia cugina.

FELICITA                      - Ma anche il re e un po’ tuo pa­rente, non è vero?... A Parigi... Te l'ha regalato lui quel vestito?

NINA                              - (la fissa a lungo) Eh, già, sono una ballerina!

FELICITA                      - Ed io una donnetta di provincia!... Lo so!... Tu sei libera, ed io legata ad un uomo quadrato. Hai ragione: non posso rivaleggiare con te!...

NINA                              - E perché dovresti rivaleggiare con me?

FELICITA                      - Per avere la mia parte di gioia, la mia parte di sole...

NINA                              - Sono forse io che la tolgo?...

FELICITA                      - Non so... ma qualcuno, certo.

NINA                              - Qualcuno?... Te stessa!... L'impedi­mento è dentro di te. Tu pensi, imma­gini, l'illudi... ma quando è il momento non riesci a realizzare te stessa.

FELICITA                      - Io?... io?...

NINA                              - Sei chiusa in un cerchio, e non sai uscirne.

FELICITA                      - Ah, sì, tu credi?

NINA                              - Guarda Giacomina, invece: ha dato uno strappo, ha spezzato la corda, e via!...

FELICITA                      - Giacomina?... Ma guardami: non vedi che sono già un'altra donna... che vivo in un altro mondo?...

NINA                              - E perché?... Perché hai quell'abi­to?... Perché fra poco sarà qui Teo­doro IV?

FELICITA                      - Perché ho deciso qualche cosa-qualche cosa...

NINA                              - Che cosa?

FELICITA                      - Non Io so. Ma quello che sarà, io sento d'averlo deciso fin da ora. Giacomina? E che cos'è Giacomina? Che cosa ha fatto?... È fuggita col suo amante!... Che cosa c'è di grande, di bello, in que­sto?... Cose che accadono tutti i giorni.

NINA                              - Tu la invidi.

FELICITA                      - Ieri sera, forse; oggi non più.

NINA                              - E che cosa c'è di nuovo oggi?

FELICITA                      - Mah!... (Va alla porta che è in fondo, e guarda fuori; poi rientra.)

NINA                              - Non si vede ancora?

FELICITA                      - No.

NINA                              - Speriamo che venga!

FELICITA                      - (turbata) Perché?

NINA                              - Sai... promettono di venire, si aspet­tano, e poi all'ultimo momento cambiano idea, e... Non sono mica come noi, po­veri mortali!...

FELICITA                      - Ma pure l’ispettore ha detto... (È molto agitata; e guarda a più riprese il suo abito.)

NINA                              - Ha detto!... Ma poi lui disdice. A che gli servirebbe, altrimenti, essere quel­lo che è?

FELICITA                      - Può darsi che non venga, dun­que?... (Si lascia cadere su una sedia.) A te... a te e già accaduto che sia man­cato a qualche appuntamento?

NINA                              - A me?... (Rompe in una risata.) (S'ode venire dal giardino un vocio ani­mato.)

FELICITA                      - (balzando in piedi) Eccolo!... (Ritocca in fretta la sua acconciatura, e va verso la porta che è in fondo.)

OLMO                            - (facendosi avanti) E allora?

FELICITA                      - (ritraendosi irritatissima) E allo­ra... un corno!...

OLMO                            - (ferito) Ancora?... Un po' di discre­zione!...

(Matteo, Giulia e Teresa entrano dalla porta che è in fondo. I nuovi arrivati sfog­giano abiti magnifici. Ci uomini sono in marsina, e magari hanno qualche decora­zione; le donne, in abito da sera con stra­scico, e cariche di gioielli, veri o falsi non importa. Il sole è già caduto da un po', ed oramai è quasi buio.)

TERESA                         - Ebbene è arrivato?

NINA                              - No.

GIULIA                          - No?... E come mai?

NINA                              - Lo aspettiamo.

MATTEO                        - Ma perché si sta al buio?... Un po' di luce non farebbe male!...

FELICITA                      - No, non voglio. Buio? Ci si vede benissimo!...

MATTEO                        - Non direi.

FELICITA                      - (volta alle donne) Perché, avete forse paura che non si vedano abbastanza i vostri abiti?... Che esagerazione!...

CANDIDO                     - (entrando affannato dalla porta di sinistra) Dov'è? (Anch'egli è in marsina.)

OLMO                            - Chi?

CANDIDO                     - Ah, eravate voi?... Potevate dir­lo!... E perché tarda tanto?...

FELICITA                      - Deve forse fare i tuoi comodi? (Esce per la porta di sinistra.)

TERESA                         - (alludendo a Felicita) Perché è così nervosa?

GIULIA                          - Ma siete sicuri che venga?

CANDIDO                     - Naturalmente!... (Va a guardar fuori.)

TERESA                         - Ci mancherebbe altro!...

GIULIA                          - Mi sembra una cosa tanto straordinaria!...

OLMO                            - Anche a me!

GIULIA                          - E poi, proprio qui, in casa loro!...

OLMO                            - Fra tante case, proprio questa!

CANDIDO                     - (rientrando, e che ha udito le pa­role di Olmo) Ecco: proprio questa!... Perché?

OLMO                            - Appunto, è quel che dicevo: fra tante case...

MATTEO                        - Insomma, speriamo che venga. Abbiamo fatto una tal fatica a vestirci. (Gilda, vestita di nero, entra dalla porta di sinistra; traversando la camera urta Candido; ed esce per la porta di destra.)

CANDIDO                     - E poi, perché si sta al buio qui?

MATTEO                        - È quello che ho domandato an­ch'io. (Candido s'avvia per andar ad accendere la luce. Ed ecco che dalla camera di de­stra s'ode venire un grido di Gilda.)

CANDIDO                     - Che cosa accade?(La porta di destra si spalanca, e sulla scena irrompe un vivo fascio di luce. Su­bito dopo entra Gilda tutta in affanno.)

GILDA                           - Signore...

CANDIDO                     - Ebbene, che cosa c'è?

GILDA                           - Di là... ci sono due uomini, di là.

ISPETTORE                   - (entra dalla porta di destra, e fa­cendosi da un lato annunzia) Sua Mae­stà!... (E si piega in un inchino.)

CANDIDO                     - Accidenti!... (E con un sol colpo accende tutte le luci.)

(È veramente la sala di una reggia. Le signore hanno affidato in fretta i loro mantelli a Gilda, che li porta via di corsa dalla porta di sinistra. Ed ora sono tutti schierati, in attesa del fausto ingresso. Ed ecco che Teodoro entra, lì un signore an­cora abbastanza giovane, vestito con so­bria eleganza, benevolmente altero nell'aspetto, simpatico. Ma questo personag­gio è Luca o non è Luca? Ecco una cosa che non si è potuta mai sapere. L'altezza e le forme son quelle di Luca, ma Teo­doro ha un paio di buffetti che danno sa­pore al volto, ed è pettinato in tutt'altro modo. Anche la sua voce può ricordare in qualche inflessione (/nella di Luca, ma è più grave, più dolce, più autoritaria; e parla in modo pacato e persuasivo. In­somma, a vederlo, si capisce che questo è un re).

(Teodoro resta un po' a guardare quella gente piegata in due nell'inchino, che spinge l'occhio in su per vederlo.)

TEODORO                     - (parlando con un lieve accento sla­vo) Signore e signori, buona sera.

CANDIDO                     - (rivelandosi con gli altri) Maestà! (E al saluto di Teodoro, tutti rispondono con un nuovo inchino.)

TEODORO                     - II... conte Lucenti? (L'Ispettore lo indica col dito).

CANDIDO                     - Maestà!... Ma io non sono... (si fa un passo avanti.)

TEODORO                     - Vi ringrazio... (Appoggiando la voce sul titolo)... conte per l'ospitalità che mi accordate, e vi domando scusa per il disturbo che vi arreco.

CANDIDO                     - Maestà!...

TEODORO                     - Volete, conte, presentarmi questi signori?

CANDIDO                     - (col tono di un conte) Il profes­sore Matteo Verbi, e sua moglie, la si­gnora Teresa; il signor Olmo Olmi...

TEODORO                     - (accennando a Nina) È la signora Olmi.

NINA                              - No, Maestà!

TEODORO                     - (a Olmo) Siete scapolo?

OLMO                            - No, Maestà.

TEODORO                     - Ammogliato, dunque!

OLMO                            - Sì, cioè no.

(Tutti sono molto imbarazzati, special­mente Candido.)

TEODORO                     - Come sarebbe a dire?

OLMO                            - Mia moglie... ieri... (Fa qualche ge­sto per farsi intendere.)

TEODORO                     - Ah, siete convalescente!... Au­guri. (E gli stringe la mano.)

CANDIDO                     - Veramente, Maestà, non avrebbe dovuto esser qui...

TEODORO                     - Perché?... È un uomo come un altro.

OLMO                            - (con un inchino) Grazie, Maestà.

TEODORO                     - Prego; ma non ve ne vantate.

CANDIDO                     - (continuando le presentazioni) La signora Giulia Sprin...

TEODORO                     - E il signor Sprin? (Guarda Olmo con intenzione.)

GIULIA                          - (con fierezza) Oh, no, Maestà: è in viaggio.

TEODORO                     - Ah!... Allora... ritornerà?

GIULIA                          - Certo, Maestà.

TEODORO                     - Se ne siete certa, tanto meglio.

CANDIDO                     - (continuando le presentazioni) -La signorina Speri...

TEODORO                     - (guardandola con una certa at­tenzione) Signorina?

NINA                              - Io ho già avuto l'onore di essere pre­sentata a Vostra Maestà.

TEODORO                     - (colpito) Ah, sì?... E quando?...

NINA                              - La prima volta sette anni fa, a Pa­rigi, all'hôtel...

TEODORO                     - (interrompendola con un gesto) Può darsi... può darsi... E che cosa face­vate a Parigi?

NINA                              - Sono ballerina. Maestà.

TEODORO                     - Ah!... Può darsi!... Sette anni fa avete detto?... Sette anni fa... Ero prin­cipe, allora. E mi trovate molto cambiato?

NINA                              - Affatto, Maestà.

TEODORO                     - Grazie!... Eh, devo essere molto cambiato!... Sette anni!... Sono salito al Trono... poi la rivoluzione... l'esilio... ora risalgo al trono per la seconda volta... Se ciò mi dovrà accadere una terza volta, ci farò mettere l'ascensore. (Vedendo che un sorriso e sulle labbra di tutti, si riprende, A Candido, dopo essersi guardato attor­no) Ma... non vedo la contessa Lucenti.

CANDIDO                     - (smarrito) Già... vi prego di scu­sarla... non so... (Chiama forte) Gilda... (Ma accorgendosi che quel gridare è una mancanza di rispetto verso Teodoro, mor­mora) Pardon!... (E si avvicina a

GILDA                           - che si affaccia alla porta di sinistra, e le parla concitato. Ritorna quindi verso Teo­doro.) Sarà qui a momenti. Sta terminan­do di acconciarsi. Vogliate scusarla, Mae­stà.

TEODORO                     - Se la contessa si dà tanto da fare per me, non posso esserne che lusingato. Io, piuttosto, io non immaginavo... que­sta festa... questo ricevimento... e sono vestito così... Pregherò la contessa di scu­sarmi.

CANDIDO                     - Ohi... (Vedendo entrare Felicita dalla porta di sinistra) Eccola! (Al vederla, tutti, involontariamente, si fanno da parte. Felicita         - entra. È vestita d'un magnifico abito da sera che ha un lunghissimo strascico. Ha i capelli stretti in uno splendido diadema. Una regina. Tutti la guardano stupiti, e Candido più degli altri. Ella avanza di qualche passo, e poi fa l'inchino di Corte. Allora il re le va incontro, e le bacia la mano.)

TEODORO                     - Contessa, sono molto lieto di co­noscervi. E rinnovo a voi i ringraziamenti per l'ospitalità che mi offrite.

FELICITA                      - Maestà... (fa un altro inchino di Corte.)

TEODORO                     - Siete molto bella, contessa.

FELICITA                      - Vi prego, Maestà!... Soltanto, se la Maestà vostra permette, io non sono...

TEODORO                     - Sì: ho già fatto conte vostro marito.

FELICITA                      - Maestà!... (E fa un terzo inchino di Corte.)

TEODORO                     - (a Candido) Complimenti! Ave­te una sposa incantevole. Ed ora che la conoscenza è fatta, possiamo parlare sem­plicemente, senza etichetta. (all’Ispetto­re) Grazie. (L'Ispettore fa un inchino ed esce.)

FELICITA                      - Vostra Maestà ha bisogno di qual­che cosa?

TEODORO                     - No, grazie. Accomodatevi, si­gnori. Se non vi dispiace vorrei tener circolo per qualche minuto. (Tutti, dopo Teodoro, si seggono.)

FELICITA                      - Io prego vostra Maestà di volerci perdonare se l'abbiamo ricevuta con tan­ta semplicità.

TEODORO                     - Semplicità? Non mi sembra.

FELICITA                      - E poi noi vi attendevamo... sì... da quella parte.

TEODORO                     - Capisco!... E invece sono sbucato di là, come per effetto di magia. Ma l'I­spettore mi ha detto che l'appartamento aveva un'altra entrata, e ne ho approfit­tato, non solo per semplificare il mio in­gresso, ma anche per restaurarmi un po' dopo un così lungo viaggio.

 

FELICITA                      - Oh. chi sa che disordine v'era di là!...

TEODORO                     - Allatto. È l'appartamento del conte, quello, non è vero?

CANDIDO                     - Sì, Maestà.

TEODORO                     - Ebbene, vi posso dire che è l'uo­mo più ordinato d'Europa.

FELICITA                      - Eh, sì!...

TEODORO                     - Soltanto, ho veduto, in un sa-lottino, una grande quantità di orologi. (A Candido) Siete forse orologiaio?...

CANDIDO                     - No, Maestà: vivo di rendita.

TEODORO                     - Ah, come me.

CANDIDO                     - Ma ho la passione degli orologi : li smonto, li accomodo, li rimonto.

TEODORO                     - Ah, sì? (A Felicita) Anche voi?

FELICITA                      - Oh, no!

CANDIDO                     - E poi mi occupo di matematica.

TEODORO                     - Vi invidio. Io e i numeri, invece... D'altronde come posso aver fede nei nu­meri, quando leggo i risultati delle ele­zioni che han luogo nel mio paese, alme­no ogni sei mesi?... E la tavola pitagori­ca, poi! Sci per sette... otto per nove...

CANDIDO                     - Quarantadue... settantadue...

TEODORO                     - (guardandolo con ammirazione) Bravo!... Eh, avrei bisogno di un uomo come voi, un uomo che nei momenti di dubbio mi illuminasse con risposte sin­cere e precise.

CANDIDO                     - Maestà, sono ai vostri ordini.

TEODORO                     - (a Matteo) E voi, professore di che cosa?

MATTEO                        - Di calligrafia, Maestà; ma aspiro ad una cattedra di morale.

TEODORO                     - No, conservate la cattedra di cal­ligrafia; e un'arte più chiara e più stabile. La morale, invece, cambia cosi spesso!...

MATTEO                        - Seguirò il vostro consiglio, Maestà.

TEODORO                     - (a Giulia) Qual e il nome del signor Sprin?

GIULIA                          - Luca, Maestà.

TEODORO                     - Un bel nome; un nome... onesto. D'altronde ho veramente l'impressione di trovarmi fra gente onesta, senza intri­ghi... (Guarda le donne, le quali fanno il viso di tante lucrezie.) Ciò mi piace, mi riposa. E per giunta gente solida, di lun­ga tradizione. Vorrei avere una Corte co­sì, e non... come la Corte di Napoleone.

TERESA                         - Vostra Maestà c'è stata?...

TEODORO                     - (la guarda sorpreso) Veramente no; ma sappiamo tutti che... era simile ad una stazione: tutta piena di gente appena arrivata... e che dette molti dispiaceri a quel mio collega!

TERESA                         - Se vostra Maestà vuole, veniamo tutti..(Candido e Felicita con un'occhiata la fanno tacere.)

TEODORO                     - Grazie, ma e meglio di no. Può capitare un'altra rivoluzione, e allora che fareste? (A Matteo) È meglio restare pro­fessore di calligrafia.

MATTEO                        - Infatti i caratteri non cambiano.

TEODORO                     - E invece nel mondo non v'è più nulla di stabile. Crisi di assestamento? Può darsi. Ed è appunto per questo che gli uomini dovrebbero condurre una vita austera, fondata sui principi del dovere e consacrata dagli affetti familiari, una vita sempre pronta ad essere spesa per il me­glio. Quando si vive in pericolo, bisogna avere la coscienza pura. (Vedendo che

TERESA                         - si distrae) Questi discorsi non vi in­teressano?... Avete torto. Le donne hanno una grande parte di responsabilità nella condotta degli uomini. D'altronde ho finito. E poi, domattina parto, e non ci ri­vedremo più; a meno che... fra due o tre anni io non debba rifare in senso inverso la stessa strada; e trovandomi a passar di qui, non vi domandi un'altra notte di ospitalità.

FELICITA                      - Il vostro appartamento resterà co­me lo avrete lasciato.

TEODORO                     - È una cortesia, ma non è un au­gurio.

FELICITA                      - (confusa) Intendevo dire...

TEODORO                     - Ho capito, e vi ringrazio. Dite­mi: siete stata qualche volta a Corte?

FELICITA                      - No, Maestà.

TEODORO                     - Strano!... Fate una riverenza di stile perfetto.

FELICITA                      - L'ho vista fare qualche volta, a teatro, nelle commedie, e allora...

TEODORO                     - Insegnamenti ammirevoli ci ven­gono dal palcoscenico, e gli attori... No. non vi farò un discorso ai comici come Amleto, innanzi tutto nerché voi non siete dei comici, e poi perché io sono molto diverso dal Principe di Danimarca. ti un uomo che non ho mai capito. (Ac­cende una sigaretta. A Felicita) Qual è il vostro nome?

FELICITA                      - Felicita.

TEODORO                     - (accarezzando questo nome con la voce) Felicita!... Felicita!... Che bel no­me!... (Resta un po' sopra pensiero, poi si scuote) A che ora si pranza?

FELICITA                      - All'ora che piacerà a vostra Maestà.

TEODORO                     - Più tardi. (si leva in piedi; e tutti seguono il suo esempio.) Intanto... intanto vorrei vedere il vostro giardino.

CANDIDO                     - Come piace a vostra Maestà. (Gi­ra un interruttore, e i fanali del giardino si accendono.)

(Teodoro si avvia per uscire accompa­gnato da Candido. Gli altri si trattengono perché hanno bisogno di scambiarsi le lo­ro impressioni.)

TEODORO                     - (a Felicita) Non vi disturbate; restate pur qui a tener compagnia ai vo­stri amici. (Esce per la porta di fondo se­guito da Candido.)

GIULIA                          - (a Felicita) Ebbene, che ne dici, contessa?

FELICITA                      - (brusca) Hai forse voglia di scher­zare? Io no. (Le volta le spalle ed esce pa­la porta di sinistra.)

GIULIA                          - Per bacco, fa già la contessa!...

TERESA                         - Lo è!...

GIULIA                          - Contessa!... È una vera esagerazione

MATTEO                        - Io l'avrei fatta principessa. Non avete visto che portamento, che grazia?

OLMO                            - E lui, come vi sembra?

TERESA                         - Ah, quanto è bello!... (A Matteo) Hai visto come mi guardava?

MATTEO                        - Sì, ho visto: perché dicevi delle cose stupide e indiscrete...

TERESA                         - Credo di avergli fatto il solletico al cuore. (A Nina) Che ne dici, tu che lo conosci?

NINA                              - Mah!... Credo che non soffra il sol­letico.

MATTEO                        - Piuttosto... la sua fisionomia mi ricorda qualcuno... non so... non mi è nuova!

GIULIA                          - Sfido, l'avete già vista sui giorna­li. Hanno tutti pubblicato la sua foto­grafia.

MATTEO                        - Già, e vero.

OLMO                            - La sua voce, invece, mi sembra una voce che ho già udito.

 

GIULIA                          - L*a\rcic udita alla radio, qualche giorno fa, quando disse quel messaggio al suo popolo.

OLMO                            - Ecco, può darsi.

MATTEO                        - È un uomo di gran talento!...

TERESA                         - Un simpaticone. Dov'è andato?... (Tutti fanno verso la porta che e in fondo.)

(Qualcuno esce. Tutti escono, volgendo verso sinistra. Dopo un po', venendo da destra, Teodoro e Candido entrano dal­la porta che è in fondo.)

TEODORO                     - Sono andati tutti via?... E al­lora ne approfitto per domandarvi cinque minuti di riposo. (Si siede in una poltrona.)

(CANDIDO si ritrae dopo aver fatto un inchino, ed esce per la porta che è nel fon­do; e là s'incontra con gli altri che so­praggiungono in massa e vorrebbero en­trare. Candido li respinge, proprio come potrebbe fare un funzionario di Polizia, dando a capire che TEODORO vuol riposare. E così scompaiono tutti.) (Teodoro è chiuso nei suoi pensieri; ed ecco che dalla porta di sinistra entra Fe­licita. Nel vederlo ella fa l’atto di ri­trarsi.)

TEODORO                     - (fermandola con un gesto) No. (Si leva, e le si avvicina.) Sono felice, in­vece, di vedervi un momento così, sola.

FELICITA                      - (turbata) Maestà!...

TEODORO                     - Per farvi i miei auguri.

FELICITA                      - Come sapete?

TEODORO                     - Non avete forse detto all'Ispet­tore dì Polizia che questa festa era per il vostro compleanno? Vi faccio dunque i mici auguri; e vi chiedo il permesso di offrirvi questo. (Trae dalla tasca un astuc­cio, dal quale toglie un magnifico vezzo di perle; e glielo porge.)

FELICITA                      - (sempre più turbata) Maestà!...

TEODORO                     - Perché vi ricordiate di me. Volete metterlo?

 

FELICITA                      - Sì. (Ma è talmente smarrita che tenta a lungo, e invano, di allacciarsi la collana.)

TEODORO                     - Non riuscite?... Se permettete... (Passa alle spalle di lei, e lentamente, mol­to lentamente, le affibbia la collana. Poi, dopo un momento di esitazione, la bacia a lungo sul collo.)

FELICITA                      - Oh!... (Gli si abbandona fra le braccia.)

TEODORO                     - Felicita!... (L'accompagna lenta mente verso una sedia.) Perdonatemi.

FELICITA                      - Maestà!...

TEODORO                     - Felicita!...

FELICITA                      - Non può esser vero!...

TEODORO                     - Perché?...

FELICITA                      - È un sogno... è un sogno!...

TEODORO                     - Non sta che a voi farlo diventare una realtà.

FELICITA                      - Una realtà... come?

TEODORO                     - È così semplice!...

FELICITA                      - Partire... fuggire... come Giacomina?

TEODORO                     - Chi è Giacomina?

FELICITA                      - Anch'io!... Con voi...

TEODORO                     - Sia pure un'ora sola.

FELICITA                      - Per tutta la vita!... È un sogno!...

TEODORO                     - Come siete bella!...

FELICITA                      - Felicità... la mia felicità!... Oh, ma come, come?!... È una favola, una grande favola!... Davvero?... Avete detto davvero? (Si tocca il vezzo di perle.) Il mio re!...

TEODORO                     - La mia regina!...

FELICITA                      - (lo guarda come abbagliata) Il mio re!... (Sembra ora, che voglia liberarsi da un incantesimo.) Ma dunque, vediamo un po'... io... voi... Sì, sì. (E gli si getta fra le braccia.)

TEODORO                     - Cara!...

FELICITA                      - (riavendosi) E allora... allora quando fuggiamo? Presto... subito...

TEODORO                     - Calmatevi, cara!...

FELICITA                      - (che è in uno stato di esaltazione) -Non voglio vedere più nessuno!...

 

TEODORO                     - E vostro marito?

FELICITA                      - Come Giacomina...

TEODORO                     - Vi cercherà, vi inseguirà...

FELICITA                      - Con voi, lontano. E più nessuno!... (Vedendo

CANDIDO                     - che appare nel vano della porta che è in fondo) Eccolo!... (A Candido) Ma che cosa vuoi, tu?

CANDIDO                     - Ero venuto a vedere se sua Mae­stà..(A Teodoro) Vostra Maestà ha ri­posato?

TEODORO                     - Credo di sì.

(Gli altri entrano dalla porta che è in fondo.)

CANDIDO                     - (avvicinandosi a Felicita, ed ac­cennando a voce bassa alla collana) – Che cos’è?

FELICITA                      - Una collana di perle, non lo vedi?

CANDIDO                     - E dove l'hai presa?

FELICITA                      - Me l'ha regalata lui, per la mia festa.

CANDIDO                     - (stupito) Ah!... E l'orologio che ti ho regalato? Perché non ti sci messo il mio orologio?

FELICITA                      - (fremente) Perché il tuo orologio non può segnare quest'ora della mia vita!...

CANDIDO                     - Forse Vostra Maestà gradirebbe un cocktail prima di pranzo?

TEODORO                     - No, grazie.

CANDIDO                     - Come Vostra Maestà preferisce. D'altronde... (Guardando la tavola appa­recchiata che è fuori) Vostra Maestà è servita.

(Le lanterne colorate che sono in giardino si accendono; e s'ode l'orchestrina che in­tona l'inno nazionale di Teodoro. Tutti si mettono per un attimo sull'attenti.)

TEODORO                     - (facendo un passo verso Felicita, e offrendole il braccio) Contessa...

FELICITA                      - (con un fil di voce) Maestà... (E prende il suo braccio. Ma mentre si sta per comporre il corteo per andare a pranzo, ella sviene. Tutti le si fanno intorno.)

SIPARIO


ATTO TERZO

 La stessa scena degli atti precedenti. La luce nella camera è un po' attenuata. Il giardino è sempre illuminato. Qualche ora dopo. Ma Teodoro non c'è più. Gli altri invece, sono ancora intorno alla ta­vola. L'orchestrina suona un ballabile.

(Teresa si leva, entra, e va ad origliare al­la porta di destra; poi cerca di guardare at­traverso il buco della serratura. Fa un ge­sto di delusione!)

MATTEO                        - (venendo verso di lei, a bassa voce) Ma la vuoi smettere?

TERESA                         - Forse dorme.

MATTEO                        - E lascialo dormire.

GIULIA                          - (venendo avanti) Che fa? (Guarda anche lei per il buco della serratura.)

TERESA                         - Dorme!

CANDIDO                     - (entrando)-Ma... dite un po', sia­mo forse in un albergo di terz'ordine?

GIULIA                          - Eh, alla fine, signor conte, che co­sa facciamo di male?

CANDIDO                     - E quest'orchestra... Non riuscirà ad addormentarsi!...

TERESA                         - È stato lui a dire di far chiasso, di suonare, di cantare... per fare una prov­vista di allegria!... (Olmo e Felicita entrano.)

CANDIDO                     - (a Felicita) E tu?... vuoi andare a riposare?

GIULIA                          - Non fare complimenti. Tanto, fra poco ce ne andiamo anche noi.

FELICITA                      - No, grazie.

CANDIDO                     - Come ti senti?

FELICITA                      - Ma bene, benissimo. Non lo vedi?

CANDIDO                     - Mi sembri un po' pallida.

FELICITA                      - Pallida?... (Si tocca il volto.) Ma se scotto!...

CANDIDO                     - Ecco, appunto.

FELICITA                      - È forse la prima volta che ho uno svenimento?... Poi, dopo cinque minuti, non è più nulla. Sto benissimo!... D'al­tronde se sono malata, parto; domattina parto.

CANDIDO                     - Parti?... E perché?

FELICITA                      - Per curarmi. Vado in qualche luogo di cura. (Con uno scatto) E tu non venirmi a cercare, non perseguitarmi!...

CANDIDO                     - Che idea!... (Dopo averla guar­data) Se io fossi in te andrei a dormire.

NINA                              - Lasciatela tranquilla. Non vedete? È un po' nervosa questa sera.

FELICITA                      - Ecco lasciatemi tranquilla. (Siede su una poltrona.)

 

MATTEO                        - Se andassimo a fare due passi in giardino?... Abbiamo tanto mangiato!...

OLMO                            - E bevuto!...

CANDIDO                     - (a Olmo) Si vede!...

OLMO                            - (offeso) Vorresti dire?...

TERESA                         - Io dirci di lare quattro salti. Una festa senza un balletto non è una festa.

MATTEO                        - (accennando alla porta di destra) Ma anche lui ha un appetito che non scherza!

GIULIA                          - Si vede, che viene dall'esilio!...

TERESA                         - (che è di nuovo andata ad origliare alla porta di destra) Come dorme!...

GIULIA                          - Perché?... russa?

TERESA                         - No. E poi i re... (A Nina) Russano i re?

NINA                              - (infastidita) Con me no.

CANDIDO                     - Siete una sfacciata!... Andiamo!...

MATTEO                        - Ecco!...

(Tutti escono, meno Felicita.)

CANDIDO                     - (volgendosi prima di uscire; a Felicita) Te, dunque, ti ritrovo qui?

FELICITA                      - Sì... no... non lo so.

CANDIDO                     - Fa come vuoi!... (Esce.)

(Dopo un po' Felicita si leva, va agitar dare fuori, quindi rientra, e a passi leg­geri si avvicina alla porta di destra. Re­sta lì davanti un po' titubante, poi ascolta. Nulla. Si comprime il cuore coti una mano. Sembra che stia per prendere qual­che decisione estrema. È molto combat­tuta. Finalmente si riprende. Fuori l'or­chestrina attacca un fox, lento, Felicità, di Luigi Chiarelli. Si avvicina di nuo­vo alla porta di destra. Vuole, non vuole, tentenna, ma alla fine con la cieca deci­sione di chi si precipita in un abisso, va verso la porta di destra.)

NINA                              - (entrando, seguita da tutti gli altri) Che cosa fai ?

FELICITA                      - (si volge, li guarda, e il suo corag­gio precipita. Dopo un lungo silenzio) Eccovi qui... tutti di nuovo qui!... Bra­vi!...

CANDIDO                     - Senti, cara: perché non vai a dor­mire?

FELICITA                      - Che cosa comanda il mio pa­drone?... Che cosa comanda alla sua mo­glie obbediente?.... Andare a dormire?... Andare a fare la nanna?... Oh, è già tar­di stasera!... Che ora è?... (Guarda in gi­ro i muti, e rompe in una grande risata.)

CANDIDO                     - Felicita?!...

FELICITA                      - Che ora è?... Nemmeno gli oro­logi ti obbediscono più. Erano stufi di essere controllati da te. Oh, come li ca­pivo, io, poveretti!... E allora, li ho li­berati. Sì, li ho rotti tutti, io, oggi, pro­prio io!... Eh?... non lo credi? Doman­dalo alla cameriera, alla cameriera che fa­ceva la guardia, lì sulla porta, mentre io lavoravo, e con che gusto!... Uno, per uno, li ho rotti!...

CANDIDO                     - E’ possibile?

FELICITA                      - Possibilissimo, caro!... Proprio così!... Ti sorprende? Eh, un giorno o l'altro doveva pure accadere. Tutto cam­biato, mio caro!... Cinque per otto fa cin­quantatre, ora.

CANDIDO                     - (autoritario) Fa quaranta, e farà sempre quaranta. E tu, ora, andrai a dor­mire. (Agli altri) Vi domando scusa.

FELICITA                      - Dove vai?... Vieni qui, caro, sie­diti. (Lo fa mettere a sedere. Agli altri) E anche voi, accomodatevi. Siete tutti amici intimi, e potete udire ciò che io ho da dire. Perché io non voglio fare come Giacomina, Giacomina che è scappata di nascosto, lasciando un biglietto di dieci parole a quel poveraccio. Io me ne voglio andare tranquillamente, dopo avervi salu­tati tutti, compreso te, caro, da persona bene educata.

CANDIDO                     - Andare dove?

FELICITA                      - Ah, non lo so. Deciderà lui. (E accenna alla porta di destra.)

CANDIDO                     - Lui, chi?

FELICITA                      - Vado via con lui, con Teodoro.

CANDIDO                     - A che fare?

FELICITA                      - A che fare?... Èuna domanda indiscreta, questa. Rispetta il mio pudore.

CANDIDO                     - Ma sei impazzita?

FELICITA                      - Sta seduto, caro; non ti agitare. Così!...

CANDIDO                     - Io ti domando...

FELICITA                      - Ed io ti rispondo. Ti lascio, per­ché vado con lui; e vado con lui perché mi ama.

CANDIDO                     - Eh?

FELICITA                      - Ed anch'io lo amo.

CANDIDO                     - Eh?

FELICITA                      - E tanto anche!... Sta tranquillo caro.

CANDIDO                     - Ma che cosa racconti?!...

FELICITA                      - La verità. E se tu sapessi come mi sento felice!

 

CANDIDO                     - Tu mi spiegherai...

FELICITA                      - Ancora?... Non ti basta?... Eb­bene, ti accontento. Oggi, quando eravate tutti fuori, perché lui riposava in quella poltrona, sono entrata qui. E allora mi ha preso fra le braccia, e mi ha dato un lungo bacio. (Socchiude gli occhi e risente quel bacio.) Ecco. Il resto lo immagini. Ora mi porta con sé, per sempre, tutta la vita, perché è pazzo di me. (Chiamando forte) Gilda?... (Tutti si guardano costernati.)

TERESA                         - Un lungo bacio!... Io lo sapevo. Li ho visti. Ero lì. sulla porta. Com'erano belli!...

MATTEO                        - Tu non sapevi nulla, altrimenti a quest'ora lo avresti raccontato a tutta la città.

GILDA                           - (entrando dalla porta di sinistra) Si­gnora?...

FELICITA                      - Prepara i miei bauli. Parto do­mattina.

GILDA                           - (che ha sonno) Subito?

FELICITA                      - Subito.

GILDA                           - Va bene. (Esce per la porta di si­nistra.)

CANDIDO                     - I bauli... parti... Ah, ma la ve­dremo!...

OLMO                            - Eh, sono cose che accadono!...

CANDIDO                     - Accadono a te, ma non a me. (Si leva deciso, dirigendosi verso la porta di destra.)

FELICITA                      - (sbarrandogli il passo) Che cosa vuoi fare? Uno scandalo?

CANDIDO                     - Lasciami passare!...

FELICITA                      - Uno scandalo!... E poi?... Che cosa puoi contro di lui?... Sarebbe una scena ridicola.

CANDIDO                     - La vedremo, se sarà ridicola!...

FELICITA                      - E con quale risultato?... Quel che è accaduto è accaduto, e quel che è deciso è deciso.

CANDIDO                     - Non è deciso proprio nulla!...

MATTEO                        - (frapponendosi tra Felicita e Can­dido) Va bene. Ora amiate a dormire. Domani, poi, col sole, si vedrà più chia­ro... Perché ho unsonno, un sonno!... An­date a dormire!... Teresa, vogliamo an­dare?

TERESA                         - Andare?... Adesso?... Sul più bello?

MATTEO                        - (scoraggiato) Oh!...

GIULIA                          - Ci fosse ancora un po' di caffè, al­meno!...

OLMO                            - Ecco, un po' di caffè; giustissimo. (Esce per la porta che è nel fondo con Giulia)

MATTEO                        - E andiamo a prendere il caffè!... (Esce per la porta che è nel fondo.) (Si vedranno tutti e tre seduti intorno alla tavola.)

CANDIDO                     - Felicita... vieni qua... ragioniamo...

FELICITA                      - No, caro. Ragionare?... Sono sei anni che ragioniamo.

CANDIDO                     - Ma non può essere vero!...

FELICITA                      - E allora sarà un'illusione. Illu­diti, caro.

CANDIDO                     - Ecco: un'illusione.

FELICITA                      - Come vuoi. Guarda c'è appunto qui l'illusionista. (Infatti Luca è apparso in giardino.)

LUCA                             - Buona sera a tutti.

GIULIA                          - E tu, come sei qui?

LUCA                             - (senza badarle, entra) Buona sera. Immaginavo di trovarvi ancora qui. A Genova ho fatto in tempo a prendere l'ul­timo treno, e ne ho approfittato per ve­nirvi a ripetere personalmente i miei au­guri.

 

FELICITA                      - (distratta) Grazie.

LUCA                             - (notando il contegno dei due coniugi) Ebbene, che cosa c'è?

CANDIDO                     - C'è che qui bisogna trovare una via d'uscita, una soluzione.

LUCA                             - Una soluzione?

CANDIDO                     - Ah, già, tu non sai nulla. Va, va a farti raccontare. (A quelli che son fuori) Non sa nulla. Spiegategli, raccontategli... (Lo prende sottobraccio, e lo accompagna fuori. Teresa li segue.)

NINA                              - (a Felicita) Felicita... Felicita... Ma che cosa hai fatto?

FELICITA                      - Una predica anche tu?... No, eh?...

NINA                              - Ma ti rendi conto delle conseguenze che ne possono venire?

FELICITA                      - Ma è appunto queste conseguen­ze che io voglio!... Non aspettavo che un'occasione, una grande occasione!... Finalmente!... Altro che Giacomina!...

NINA                              - Non pensi che a Giacomina!... È da ieri sera che vivi sotto il fascino di quel che ha fatto Giacomina!... Ma Giacomina non ha commesso che una sciocchezza.

FELICITA                      - Io no.

NINA                              - Giacomina non è che una povera donnetta. E se ne pentirà.

FELICITA                      - Io no.

NINA                              - Ma che cosa immagini, che cosa speri ?

FELICITA                      - Libera... libera con lui!...

NINA                              - Oh!... (Sfiduciata) E poi, dopo due anni... «Che cosa facevate?.... Sì, può darsi... può darsi!» Ah!...

FELICITA                      - Che paragoni fai?...

NINA                              - Non faccio paragoni. Ti metto in guardia.

FELICITA                      - Ma lo capisci che mi ha detto: la mia regina!...

NINA                              - Parole!...

FELICITA                      - Parole, quelle che avrà detto a te, a una ballerinetta!... Lasciami andare a vedere che cosa combina Gilda, con quei bauli. (Si avvia verso sinistra.)

NINA                              - E... se tuo marito si oppone?

FELICITA                      - (volgendosi) Eh?

NINA                              - È tuo marito, e può farlo.

FELICITA                      - (smarrita) Ah. no!...

NINA                              - Ha la legge dalla sua.

FELICITA                      - La legge?... Quale legge?... Che c'entra la legge con la mia vita?... E poi, voglio vederla la legge, contro di lui. (Al­lude a Teodoro. Ed esce per la porta di sinistra.)

CANDIDO                     - (rientrando) Dov'è andata?

NINA                              - A vedere i suoi bauli.

CANDIDO                     - Ah, parte, dunque?

NINA                              - Dice.

CANDIDO                     - Cioè: crede di partire.

NINA                              - Aquello che le ho detto anch'io.

CANDIDO                     - Ma poi, sarà vero tutto quello che ha raccontato?... Mi sembra impossibile!...

NINA                              - Eppure...

CANDIDO                     - E voi non le avete detto nulla per dissuaderla?

NINA                              - Non ho fatto altro sinora.

CANDIDO                     - E lei?

NINA                              - Mah!...

CANDIDO                     - È inverosimile!... Comunque, se immagina di potersene andare, così... So­no suo marito!...

NINA                              - Le ho detto anche questo!...

CANDIDO                     - Ah!... (il suo sguardo va alla por­ta di destra. Tende i pugni, e si tormenta come uno che cerchi una via d'uscita.) Ma quest'uomo, quest'uomo insomma, voi che... sì... lo conoscete, che tipo è?

 

NINA                              - Io che lo conosco, io che... io che... Mi avete seccato infine!... (Esce per la porta che è nel fondo.)

CANDIDO                     - (seguendola con lo sguardo) Scom­metto che la colpa è tutta sua!... Le avrà montato la testa... chi sa che cosa le ha raccontato. Che idea di tenersi in casa una ballerina!... (Vedendo Luca che entra) Ebbene, che ne dici?

LUCA                             - (preoccupato) Mah!...

CANDIDO                     - Se ne va... dice che se ne vuole andare!...

LUCA                             - Ma spero che tu...

CANDIDO                     - Naturalmente io glielo impedirò. E con questo?... Che cosa cambia?

LUCA                             - Cambia... che resta.

CANDIDO                     - Ma non è più la mia Felicita, la mia piccola Felicita, buona, sottomessa, af­fettuosa. Non è più la creatura dolce che divideva! a mia vita, e nella quale ripo­nevo ogni fiducia, sulla quale fondavo la mia tranquillità...

LUCA                             - La tua vita... la tua fiducia... la tua tranquillità!... E lei?... la sua vita?... Ti preoccupavi dei bisogni ilei suo spirito, del suo modo di intendere la vita, del suo mondo fantastico?... Tu non parli che di te. Lei è sul punto di andarsene, e tu non parli che di te!...

CANDIDO                     - Di me e di lei. Perché, senza di me, che cosa sarà?... Che cosa diverrà?... Parlo di me, perché io la considero una parte di me.

LUCA                             - E invece la devi considerare come un essere a sé.

CANDIDO                     - Un'estranea?

LUCA                             - Non un'estranea; ma una creatura che ha pure un'anima sua, un suo cervel­lo. E tu, invece, le tue idee, le lue ma­nie: la tavola pitagorica, gli orologi, la precisione. E lei?

CANDIDO                     - Ma non posso vivere occupan­domi soltanto di lei!

LUCA                             - Non, soltanto, ma anche, di lei. Al­trimenti, si sta soli.

CANDIDO                     - Soli?!... È mai possibile che io debba restare solo?... Senza di lei!... Ma tutto questo che abbiamo costruito insieme, in sei anni, può dunque crollare?

LUCA                             - Forse hai costruito la sua infelicità!...

CANDIDO                     - Anche la sua infelicità, se è in­felice, e una cosa nostra, prodotta da noi due, in sei anni di malintesi che si accu­mulavano giorno per giorno, e che sol­tanto noi due, come cosa nostra, possia­mo sanare!...

LUCA                             - Forse ieri cri ancora in tempo; oggi, non so.

CANDIDO                     - Ma che lei demolisca ogni cosa, la nostra vita, quando tutto può rientrare nell'ordine, e trovare un'intesa durevole, una pace armoniosa?...

LUCA                             - L'ordine, la pace... Ma dunque non capisci?... Ma sci dunque uno stupido co­me Olmo?... Si direbbe che il giorno in cui si sposano, gli uomini perdano il di­scernimento!... Ma Felicita vuol vivere!... E tu continui a parlarmi della pace... del­l'ordine... e di tutti gli altri tuoi ideali borghesi.

CANDIDO                     - L'ordine, sissignore, l'ordine. E l'ordine non è quello che pensate voi, menti piccine, e cioè i fogli da una parte e le buste dall'altra, la matita rossa a de­stra e quella blu a sinistra. L'ordine è un fatto dello spirito, una legge metafisica, . un'architettura ideale, e se non lo capite siete degli imbecilli.

LUCA                             - Lo capisco... Io capisco!... Ma, vedi, tu giudichi in astratto, vai troppo lonta­no, ti rappresenti tutto in grande; e noi invece siamo piccole cose concrete: un uomo e una donna; piccolissime cose.

CANDIDO                     - Piccole o grandi i principi non cambiano. Il sistema solare o una fami­gliuola di due persone è lo stesso.

LUCA                             - Ecco: una famigliuola di due per­sone. Di questo si parlava. Dove siamo andati a finire?... Se avessi sposato mia moglie, invece. Vuoi provare?... Te la ce­do per quindici giorni. Vuoi? Non sono geloso. E poi si tratta di un esperimento. Prova. Sono certo che ti si schiariscono le idee. (Vedendo Giulia che entra) Guarda che capolavoro!...

GIULIA                          - Capolavoro?... Che capolavoro?...

LUCA                             - Niente; si parlava di arte antica.

GIULIA                          - Sempre discorsi inutili. Se andassi­mo a dormire?... Tanto la nostra presen­za qui non giova a nulla.

LUCA                             - Sono appena arrivato, e già mi vuoi portare via? Andiamo a bere qualche co­sa, piuttosto.

GIULIA                          - Ah, che vita disordinata!...

LUCA                             - (volgendosi, a Candido) Hai senti­to?... Prova. (Esce con Giulia - per la por­ta che è in fondo.)

CANDIDO                     - (accennando alla porta di destra) -E quello è là e se la dorme, nella mia ca­mera, nel mio letto!... Dormi, dormi, ma la cosa non finisce così!... (Vedendo Felicita che entra dalla porta di sinistra) Ah!... E allora... questi... bauli?...

FELICITA                      - Hai voglia di riprendere il di­scorso di prima?.... Io no!...

CANDIDO                     - (deciso) Sì; e mi sembra che ne valga la pena!...

FELICITA                      - E invece sarebbe proprio inutile.

CANDIDO                     - Inutile è che tu faccia lavorare Gilda a quest'ora per preparare i bauli.

FELICITA                      - Ti prego, lasciami andare.

CANDIDO                     - Mi preghi?... Ma è mostruoso!...

FELICITA                      - È necessario. (Esasperata) Ma non capisci che io, qui, vicino a te, non ci posso più stare?...

CANDIDO                     - Ti passerà.

FELICITA                      - No, non mi passerà. Di te, di questa vita, basta!... Un'altra vita!

CANDIDO                     - Ma qual è quest'altra vita?... Che cosa immagini che sia?

FELICITA                      - Non lo so. Forse, se lo sapessi, non la desidererei tanto ardentemente.

CANDIDO                     - L'ignoto?

FELICITA                      - Una vita diversa.

CANDIDO                     - Con un altro?... Con quello lì?

FELICITA                      - Quello lì?... Ma per chi l'hai pre­so?... Quello lì!...

CANDIDO                     - Ho capito. Bisogna che faccia con la tua testa come con gli orologi: la smonto, l'accomodo, e la rimetto a posto.

FELICITA                      - Ecco, scherza, preferisco.

CANDIDO                     - Preferisco anch'io; perché, sul se­rio, non ti ci posso prendere.

FELICITA                      - Ah, no?...

CANDIDO                     - No. Resterai qui con me.

FELICITA                      - Vuoi trascinarmi a commettere una pazzia?

CANDIDO                     - T'impedisco di commetterla.

FELICITA                      - Con te?... Non è più possibile, te l'ho detto. Ma perché mi spingi a dirti delle cose che non voglio dire?

CANDIDO                     - Dille.

FELICITA                      - Ecco: perché oramai sono contro di te.

CANDIDO                     - Ah, sì?

FELICITA                      - Ed ho pensato, contro di te, le cose più cattive e più meschine!... Lascia­mi andare!...

CANDIDO                     - Ti lascio andare a dormire, se vuoi. Forse ne hai bisogno.

FELICITA                      - Ma che cosa devo fare perché tu mi lasci libera?

CANDIDO                     - No, no!... (Guardandola con af­fetto) Non sci che una bambina esaltata, una bambina!... Invenzioni!... (E si avvia verso la porta di fondo, mentre Luca entra.)

FELICITA                      - (con un grande scoraggiamento) Oh!... (E si lascia cadere su una sedia.) (Candido      risponde con qualche gesto vago ad una muta domanda di Luca, ed esce.)

LUCA                             - (dopo aver guardato a lungo Felicita) Ebbene, siamo sempre in crisi?

FELICITA                      - (quasi fra sé) Non crede!...

LUCA                             - E voi ci credete?

FELICITA                      - (trasalendo) A che cosa?

LUCA                             - A tutto questo vostro romanzo?...

FELICITA                      - Romanzo?... Vita e spasimo e di­sperazione!...

LUCA                             - Un romanzo!... Ma ci avete pensa­to?... Un re!... E voi con lui?...

FELICITA                      - Mi vuole!...

LUCA                             - Vi avrebbe voluto!... Ma la vita, le necessità, i doveri ve lo portano lontano.

FELICITA                      - Mi ha tenuta fra le sue braccia!...

LUCA                             - Un momento... un bagliore... un'il­lusione. Poi... egli stesso forse ha già pen­sato che, sarebbe stato bello, sì, ma che non è possibile.

FELICITA                      - Che ne sapete voi?... Che impor­tanza volete che abbiano le vostre chiac­chiere, dopo quello che mi ha detto lui?

LUCA                             - Che cosa vi ha detto?

FELICITA                      - Mi ha detto... Oh, ora non so più, non ricordo più. Mi sento come ubriaca.

LUCA                             - Cercate di ricordare. Perché, tutto sommato, non potreste aver dato alle sue parole un valore che non avevano?... For­se le avete trasformate nella vostra fan­tasia.

FELICITA                      - No. E poi le parole... che cosa contano le parole? Un bacio lungo... lun­go!... E mi ha regalato questa collana.

LUCA                             - Quale?

FELICITA                      - Questa. (Si tocca il collo, e si av­vede che non ha più la collana.) Oh, Dio!... Dov'è?... Dov'è... (Si tocca anco­ra il collo, il seno, guarda in terra, in aria, guarda Luca, smarrita.)

LUCA                             - Vi ha veramente regalato una col­lana?

FELICITA                      - Una collana di perle!... Dov'è?... Dov'è?... (Gira sperduta per la camera, guardando qua e là.) L'ho perduta?... Do­ve?... dove?... (Vedendo Candido che en­tra dalla porta che è in fondo) Candido... la collana... la mia collana?...

CANDIDO                     - E a me lo domandi?

FELICITA                      - Eppure l'avevo!...

LUCA                             - Ne siete sicura?

FELICITA                      - Ma certo. Non e vero, Candido?... L'hai veduta... l'avevo al collo.

CANDIDO                     - Mi sembra... Che vuoi che ti dica?...

FELICITA                      - Come: ti sembra?... L'avevo. (Agii altri che cominciano ad entrare) L'avete veduta tutti.

TERESA                         - Che cosa?

FELICITA                      - La collana; perduta!...

MATTEO                        - Perduta?... Dove?...

FELICITA                      - Non so... non mi sono mossa di qui!...

GIULIA                          - Ma allora si deve trovare.

 

 (Tutti si mettono in cerca della collana, dentro e fuori.)

LUCA                             - Quando sono entrata non l'avevate.

FELICITA                      - No?... Eppure... Candido?

CANDIDO                     - Che cosa vuoi?... Che mi metta carponi per cercare quella collana sotto i mobili?... Ci mancherebbe altro!...

GIULIA                          - (a Candido) Tuttavia, per una col­lana di perle, vi potreste anche scomodare. A meno che non fosse falsai...

FELICITA                      - (scuotendolo) Ma Candido... Can­dido!...

CANDIDO                     - (infastidito) Oh, ma insomma!...

FELICITA                      - In giardino non c'è?... Sotto la ta­vola?... Ai suonatori l'avete domandato?... (Esce per la porta che è in fondo.)

CANDIDO                     - Anche questa ci mancava!...

TERESA                         - Peccato!... Una così bella collana!... Che cosa dirà il re quando lo saprà. (E continua a cercare in giro.)

NINA                              - Gliene regalerà un'altra.

TERESA                         - Credi?...

CANDIDO                     - Quello lì ha finito di regalare collane; almeno in questa casa!...

FELICITA                      - (rientrando) Non c'è... non si trova!... Che sia caduta di là, quando mi son chinata sul baule!... (Esce per la porta di sinistra.)

GIULIA                          - È naturale: quando non si è abi­tuati a portare delle collane di perle, ac­cadono queste cose.

CANDIDO                     - E tutto questo trambusto, perché quel signore ha dei capricci. E fa girare la testa ad una donna, mette il disordine in una famiglia, distrugge l'intimità di due sposi, li pone l'uno contro l'altro...

OLMO                            - Proprio così!... Ma non si rendono conto del male che fanno?...

FELICITA                      - (rientrando, avvintissima, dalla por­ta di sinistra) Non si trova!...

TERESA                         - E qui non c'è. Se l'hai perduta, non può essere che in giardino, durante il pranzo.

(Tutti, meno Candido e Felicita, vanno di nuovo in giardino. Qualche cosa sem­bra che crolli intorno a lei; e immobile, assorta, non fa che portare le sue mani al collo nudo. A tratti guarda verso la porta di destra.)

CANDIDO                     - (quasi fra sé) Ed ero... così sicu­ro di te, di me...

FELICITA                      - E invece!...

CANDIDO                     - (con veemenza) Dunque dev'es­sere proprio così? Proprio così? (Entrano dalla porta che è in fondo Tere­sa, Nina, Giulia, Luca, Matteo, Olmo).

TERESA                         - Macché, non si trova; è sparita signor conte!...

CANDIDO                     - (esplodendo) Conte?... Conte?... Il signor Candido Lucenti, e basta. Candido Lucenti!... (E si avvia, deciso, verso la porta di destra. Apre con violenza la porta, ed esce).

FELICITA                      - Oh!...

(Passa qualche momento. Tutti attendono in silenzio, trepidando. Ed ecco che rien­tra Candido. Tutti lo guardano ansiosi. Candido è ora stranamente calmo. Guar­da gli astanti, e sembra che non si accorga della loro ansia.)

TESERA                         - (non potendone più) Ma dunque?

CANDIDO                     - (li guarda ancora, poi guarda verso la porta di destra; quindi fa dei gesti va­ga;, pot più precisi, cercando, tant'è la sua sorpresa, di manifestarsi con quei gesti. Alla fine) Non... Non c'è più!...

 

FELICITA                      - Eh?... (E si slancia verso la porta di destra; ma giunta sulla soglia, presa da un improvviso pudore, si arresta.)

NINA                              - Non c'è più?... (Esce per la porta di destra.)

FELICITA                      - (come una che si svegli da un so­gno) Non c'è più!...

TERESA                         - (a Candido) Ma, avete guardato bene?

FELICITA                      - (con angoscia) Ma non può esse­re... non può essere!...

NINA                              - (rientrando) No, non c'è proprio. E il letto non è nemmeno disfatto!.. Ha detto che andava a dormire, e invece...

MATTEO                        - E invece, com'è venuto se n'è an­dato. (Accenna all'altra uscita.)

NINA                              - Dev'essere andato via appena ci ha lasciato, dopo il pranzo.

TERESA                         - Peccato, era così simpatico!... (Esce per la porta di destra.)

OLMO                            - Che strano!... Scappano tutti!...

FELICITA                      - Se n'è andato!... Candido!...

CANDIDO                     - Buon viaggio!... (Ed esce per la porta di sinistra.)

FELICITA                      - Non c'è più!... (Si lascia cadere su una sedia; si prende la testa fra le ma­ni. Poi, lentamente, si toglie il diadema.)

MATTEO                        - Però, questo modo di arrivare e di partire... così... di nascosto... Eh, sì, la cal­ligrafia... la morale cambia... È l'educa­zione che cambia!...

TERESA                         - (rientrando) Proprio non c'è!... Ho guardato persino sotto il letto!... Peccato, era così simpatico!...( Candido rientra. S'è tolta la marsina, ed ha indossato una giacca da casa.)

GIULIA                          - (vedendo Candido) Ah, vi siete an­dato a cambiare? Ci congedate?... Avete ragione. È talmente tardi!... Io vado!... (A Luca) Se tu vuoi restare, fa come ti piace.

MATTEO                        - Oh, anch'io; ho un tal sonno!... (A Teresa) Non ti sembra che sarebbe ora?.... Oramai... qui... la festa è finita.

TERESA                         - Eppure non credo!... Ad ogni modo - sei così noioso! - andiamo pure. (Matteo - suona il campanello per chiama­re Gilda. Intanto si fanno i saluti d'uso. Gilda entra dalla porta di sinistra).

MATTEO                        - (a Gilda) Ce ne andiamo.(Gilda esce, e dopo un momento rientra, portando i mantelli di Giulia e Teresa, il cappello e il soprabito di Matteo.)

GIULIA                          - (a Luca) Guarda di non tornare all'alba!...

TERESA                         - (a Felicita) Ci vediamo domani, cara; domattina. (A voce bassa) Sono certa di portarti qualche notizia di Teodoro. (Giulia, Teresa e Matteo escono per la porta che è nel fondo).

FELICITA                      - E così... tutto sparisce, si dile­gua!... Ma ditemi che non ho sognato!...

LUCA                             - Forse avete sognato!...

FELICITA                      - Ma no, tutte cose concrete, uma­ne. Potete negarlo?

LUCA                             - Non lo nego. Ma credete forse che l'illusione sia fatta soltanto di cose imma­ginate? No. Le tre dimensioni non basta­no a costituire la realtà. È la quarta di­mensione, la dimensione dello spirito, che crea la verità. La collana, l'amore del re, illusioni, tanto è vero che tutto è svanito, nulla più esiste. Ma una realtà c'è, c'è la vostra fede in queste cose, o meglio in ciò che queste cose rappresentavano per voi; e contro questa realtà della vostra anima nessun ragionamento potrà mai combatte­re. Ah, potenza creatrice dello spirito, che tu sia mille volte benedetta, se ci sai dare una verità che non sia costruita dalle nostre mani abituate a comperare e a vendere!...

CANDIDO                     - Parole, parole!... La verità è che la nostra vita è finita!...

NINA                              - La vostra vita di ieri. Ma può co­minciare una nuova vita.

CANDIDO                     - Una nuova vita?... Fantasie!... È finita!...

FELICITA                      - È finita!... Più nulla ho!... Nem­meno la mia anima!... Se n'è andata con lui!...

NINA                              - Letteratura!... L'anima, come la in­tendi tu, sta dove la mettiamo: una balle­rina, nella punta dei suoi piedi; un ban­chiere, nella sua cassaforte; le donne come Giacomina, in un letto d'albergo.

OLMO                            - (scattando) Giacomina!... Che ne sa­pete voi di Giacomina?...

NINA                              - (a Olmo) So questo: che se n'è an­data, v'ha piantato. Perché?...

CANDIDO                     - Ve lo dico io il perché: perché egli ha tollerato che vivesse nel disor­dine.

OLMO                            - Disordine?... E tu, con il tuo or­dine, che risultato hai ottenuto?... Mi fai ridere!... (Esce per la porta di sinistra.)

CANDIDO                     - Eh, già, come Giacomina!...

FELICITA                      - Come Giacomina?... Magari!... E invece eccomi qua, ancora a discutere con te!....

CANDIDO                     - A discutere con me?... T'ingan­ni: noi non abbiamo più nulla da dirci!...

FELICITA                      - No?... E allora perché non mi lasci andare?...

CANDIDO                     - Va pure!... O, se preferisci, me ne vado io.

FELICITA                      - Oh, no. Addio!... (E prende quel fare deciso di chi si accinga ad un'azione definitiva. Poi l'inutilità di questa azione le comincia ad apparire manifesta. Ed al­lora alla sicurezza succede qualche primo sintomo di perplessità.) Vado... vado...

OLMO                            - (rientrando dalla porta di sinistra col soprabito e il cappello) A rivederci!...

FELICITA                      - Olmo?...

OLMO                            - Eh?...

FELICITA                      - Mi accompagnate?..

OLMO                            - Dove?...

FELICITA                      - Non so...

OLMO                            - Avete voglia di scherzare?... Buona notte!... (Si ferma sulla soglia della porta che è in fondo per accendere un sigaro; poi si volge e li guarda.) Mah!... Buona­notte!... (Ed esce scuotendo il capo.)

NINA                              - Lo spettacolo di quel pover'uomo vi dovrebbe insegnare molte cose!... (Esce per la porta di sinistra.)

(Squilla il campanello del telefono. Felicita ha un momento di esitazione piena di speranza; quindi accorre all'apparec­chio.)

FELICITA                      - Pronto!... Chi parla?... (Come non credendo alle sue orecchie) Eh?.... (Sul suo volto appaiono prima lo stupore, poi una grande delusione. E si lascia cadere dalle mani il ricevitore, e resta disfatta, annientata.)

CANDIDO                     - (dopo un silenzio) Chi è?... (Va al telefono.) Chi parla?... Eh?... Voi?.. Siete tornata?... Ah!... Sì, Olmo è uscito qualche momento fa; sarà a casa fra po­co... Brava... Auguri... (Un sorriso amaro è sulle sue labbra). 

FELICITA                      - È tornata!... Stupida... stupida... stupida!...

CANDIDO                     - (dalla soglia delta porta che è in fondo, chiamando forte) Olmo... Olmo!... Corri a casa... Tutto è rientrato nell'or­dine!...

FELICITA                      - (a Candido che rientra) E tu sei contento, non è vero?... Giacomina è tor­nata, Olmo la riprende, e tutto rientra nell'ordine. E il resto che cosa importa?... (Battendosi il petto) Ma l'ordine, qui, chi ce lo rimette?... Chi me la dà la forza di affrontare ancora la vita con te?... Ec­co!... (A Luca) Anche io ho imparato!... (Simula i gesti, il tono dì voce, il modo di fare di Luca, l'illusionista. E comincia col fare il gesto dì ehi si tiri su le maniche) Ecco: si prendono un uomo e una donna, si sposano, si mettono in una casa, si dà loro una ragione di vita, un bilancio fami­liare, un numero di telefono, amici, pa­renti, servitù... si rimescola, si rimescola, e ne vengon fuori un uomo di qua e una donna di là, due estranei, due nemici!... Si rimescola ancora, si rimescola... (Rom­pe in un gran pianto, e si abbatte su una poltrona.)

LUCA                             - (prendendo immediatamente il seguito del discorso di Felicita, accompagnandolo con gesti da giocoliere) Si rimescola, si rimescola ancora, e ne esce una coppia come tante altre, con un po' di tristezza e un po' di poesia, una coppia che ha ac­cettato la vita qual è, con i suoi accomodamenti e le sue trepidazioni!... (Mentre paria prende per mano Candido e lo por­ta vicino a Felicita) Una coppia che può trovare ancora la sua felicità nella casa e nei figliuoli, una felicità pacata e serena lontana dalle astrazioni e dai sogni. (A Felicita) Voi vivrete con un po' di no­stalgia... (A Candido) Tu, con un po' di rimpianto... E io... io corro a raggiungere mia moglie, altrimenti quando torno a ca­sa mi bastona. Buona notte... buona not­te!... (Ed esce di corsa per la porta che è in fondo.)

CANDIDO                     - (con grande commozione, e acca­rezzandole i capelli) Felicita!... (Felicita letta gli occhi, e lo guarda).

SIPARIO