Il certificato

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IL CERTIFICATO

IL CERTIFICATO

(anno 2007)

Commedia in due atti e quattro quadri

di ITALO SCHIRINZI

Personaggi:

Salvatore Cipolletta:     attore di teatro

Amalia:                         sua moglie

Rosario:                        il loro figlio

vicini di casa

 
Don Felice Monreale     |

Settimina                       |

Don Domenico Triaca:  l’uomo della verità

Anonimo:                      l’oste

Don Matteo Pulvirenti: l’amico di Don Felice

Il Brigadiere

L’Appuntato

Un omaggio a Luigi Pirandello e ad Eduardo, maestri di teatro,

dedicato a mia moglie Giovanna

E mail: italoschirinzi@alice.it

cell. 340 5837903

IL CERTIFICATO

Atto primo

(primo quadro)

La scena è costituita da un’ampia stanza facente parte di un appartamento, fatiscente, al piano terra di un quartiere povero di Napoli. L’arredo è molto modesto: una vecchia poltrona scolorita, un tavolino con quattro sedie intorno, due delle quali all’occorrenza possono essere accostate alle pareti o addirittura eliminate a discrezione del regista. In prima quinta a destra una porta conduce alla camera da letto ed in quella di sinistra un’altra porta conduce alla cucina. In fondo, al centro, la porta d’ingresso che dà sulla strada. In un angolo è appeso un quadro con l’effigie di San Gennaro. La storia si svolge ai giorni nostri.

All’apertura del sipario Salvatore Cipolletta, un uomo di poco più di quarant’anni, attore di teatro di bella presenza, sta preparandosi per uscire. Dà una spolveratina alla giacca di buona qualità ed in ottime condizioni, quindi la indossa sulla camicia, senza cravatta. Si dà un’aggiustatina ai capelli, lisciandoseli direttamente con le mani. Mentre è intento a lucidare le scarpe con un panno, entra in scena Amalia, la moglie: una donna ancora piacente, di qualche anno più giovane di lui, con capelli neri raccolti in un toupet e vestita un po’ dimessamente. Indossa un paio di ciabatte, che strascica vistosamente. Sebbene la sua bellezza sia sfiorita prematuramente, rimangono tuttavia in lei i segni inconfondibili di un antico fulgore. Alquanto robusta e pettoruta.

Scena prima

( Amalia e Salvatore )

Amalia:         (entra in scena con la scopa e con uno straccio in mano con il proposito di spazzare e spolverare) La camicia te la sei cambiata?

Salvatore:     Sì, sì. L’ho trovata sul letto e l’ho già indossata.

Amalia:         La cravatta la vuoi o non la vuoi stamattina?

Salvatore:     No, no. Non la voglio. Anche per le prove indosserò l’abito di scena, un doppio petto a righe verticali con la farfallina ed il cappello in testa, come se fossi un gran signore.

Amalia:         Un gran signore! Tu vivi di illusioni e non ti rendi conto che i tempi sono difficili per la povera gente come noi.

Salvatore:     Non ricominciare a fare la solita lagna, per piacere.

Amalia:         Mi dispiace di dovertelo dire ma con il teatro non si può andare avanti, caro Salvatore, perché è un’impresa pressoché impossibile arrivare alla fine del mese con quei pochi soldi, che mi dai.

Salvatore:     Porta pazienza, Amalia mia, questo è un momento passeggero ma il futuro sarà migliore, te l’assicuro io.

Amalia:         Mi auguro che sia come tu dici. Per conto mio, e a dirlo non vorrei fare peccato, le cose andavano molto meglio quando facevi il contrabbandiere di sigarette. Perché, nonostante i rischi che correvi, c’era più sicurezza nel guadagno. Eravamo più assestati, insomma c’era più tranquillità sull’introito mensile.

Salvatore:     Forse è come dici tu, però ho trascorso molti anni dentro le patrie galere per scontare le pene inflittemi dai vari tribunali.

Amalia:         Sì. Ma bene o male ci eravamo abituati al fatto che tu stavi un poco dentro e un poco fuori e non ci facevamo più nemmeno caso.

Salvatore:     Siccome non mi andava di continuare a farlo ho cercato di cambiare vita, con il proposito naturalmente di migliorarla.

Amalia:         All’improvviso ti sei fatto prendere dalla smania per il teatro e per noi sono cominciati i tempi duri. Questa è la verità.

Salvatore:     Ma come, dovresti essere contenta che ora occupo un posto di rilievo nella filodrammatica locale ed invece ti lamenti, come se fosse una iattura. E’ incredibile.

Amalia:         Il mio non è un lamento ma un invito, che ti faccio, ad essere più concreto.

Salvatore:     Tu non lo sai perché per colpa di tuo padre sei rimasta un'ignorante, ma il teatro è l’espressione più nobile del pensiero umano. Questo lo sapevano anche gli antichi romani e prima di loro i greci.

Amalia:         Si vede che sono rimasta solamente io a non saperlo.

Salvatore:     Qualche volta dovresti venire in teatro ad assistere alle prove per constatare personalmente quanto lavoro c’è dietro una rappresentazione. Un lavoro serio di costruzione e di rifinitura come fanno i muratori insieme al capomastro, che comincia con la lettura del copione e finisce con la calata del sipario.

Amalia:         Se ti fa piacere qualche volta  verrò davvero ad assistere alle prove.

Salvatore:     Per capire la bellezza del teatro e per apprezzarne l’intrinseco valore bisognerebbe viverci dentro, mangiarci, dormirci… respirare l’aria che c’è dentro. Oddio questo magari non è sempre conveniente ma è un modo di dire…

Amalia:         A me pare che il teatro ce l’abbiamo in casa nostra, costretti come siamo a vivere di stenti in due camere e cucina di questo edificio fatiscente, che il Comune ha già dichiarato pericolante.

Salvatore:     Amalia, l’arte ha bisogno del suo tempo per produrre buoni frutti. Ma tu devi stare tranquilla perché un giorno o l’altro io diventerò famoso e tutti i nostri problemi avranno una soluzione.

Amalia:         Con le chiacchiere non si fa la spesa ed ogni giorno, invece, c’è bisogno di mangiare. Tu la sera, almeno per un paio d’ore, reciti la parte di un uomo ricco e nobile e ti dimentichi di essere il miserabile che sei ma io, che tutto il giorno sto appresso ai problemi della casa, non ho nemmeno il tempo di farmi illusioni.

Salvatore:     Fa’ funzionare un po’ la fantasia.

Amalia:         La fantasia! Come fai a parlare di fantasia di fronte ad una realtà, che si fa sempre più pesante? Se continua così io un giorno o l’altro schianto e me ne vado all’altro mondo.

Salvatore:     Non ti angustiare, Amalia. Abbiamo un figlio, che si è fatto grande e presto ci potrà dare anche un aiuto.

Amalia:         Eh! Rosario. Rosario mi pare che sia un pochino scapestrato. Corre sempre appresso alle ragazze e gli piace molto divertirsi, ma di lavoro serio non ne parla mai ed io sono un po’ preoccupata per lui.

Salvatore:     A ventitrè anni penso che tutto questo sia normale ma io sono certo che prima o poi il ragazzo saprà fare il suo dovere e ci darà delle belle soddisfazioni.

Scena seconda

(Salvatore, Amalia, quindi, don Felice e Settimina)

                     Don Felice è un uomo di mezza età abbastanza in carne e non molto alto. Vestito di

                     bianco con la paglietta in testa ed un grosso sigaro che tiene ora in mano, ora in            

             bocca. La moglie, Settimina, è una donna piccola di statura e non molto bella. E’

                     vestita abbastanza dimessamente. (Si sente bussare alla porta)

Felice:           (Fa capolino, aprendo un po’ la porta) E’ permesso?

Salvatore:     Avanti, entrate pure, don Felice.

Felice:           Forse vi abbiamo disturbato nel bel mezzo di un’importante conversazione?

Salvatore:     Ma che dite, don Felice. Voi non disturbate mai. Stavamo ragionando di nostro figlio Rosario, che si è fatto grande, ed Amalia mi stava dicendo per l'appunto che…il ragazzo....

Amalia:         ...Che Rosario è un bravissimo ragazzo, volenteroso ed..... aspirante lavoratore.

Salvatore:     Sì, certo. Volenteroso ed anche affezionato ai suoi genitori. Ed io sono sicuro che saprà fare fino in fondo il suo dovere.

Felice:           Dovrà farlo il suo dovere se non vuole andare incontro a guai seri.

Salvatore:     Di quali guai state parlando?

Felice:           Dovete sapere che questo grande figlio di put… quesro grande figlio di put… scusate, donna Amalia, ma non vorrei per colpa sua mancare di rispetto a voi.

Settimina:     Dillo, dillo pure. Quando ci vuole, ci vuole, caspitina!

Felice:           Statti zitta, Settimina.

Salvatore:     Perché ce l’avete tanto con Rosario?

Felice:           Non lo sapete cos’ha fatto vostro figlio? Quel mascalzone vagabondo?

Amalia:         Cos’ha fatto la creatura?

Felice:           La creatura, dite?

Settimina:     Eh! La creatura, dice! Altro che creatura!

Felice:           Statti zitta, Settimina. Sto parlando io e so quello che devo dire.

Salvatore:     Ed allora dite, dite pure, don Felice, non fateci stare in pena.

Amalia:         Dite, dite, fatemi il favore.

Settimina:     E dillo, quello che devi dire, non la fare tanto lunga.

Felice:           Settimina, non mi fare innervosire. (Poi rivolgendosi ai due coniugi) Questo vostro figlio, che voi chiamate creatura, a forza di girarci intorno ha messo incinta Teresina, la mia unica figlia di appena quindici anni.

Amalia:         Oddio, come ha potuto fare una cosa del genere?

Settimina:     A forza di girarci intorno le si è avvicinato un po' troppo ed ha fatto il patatrac. Ecco come ha fatto.

Felice:           (Inizia a camminare nervosamente avanti ed indietro per la stanza mentre gli altri non sanno cosa dire ed a turno gli vanno dietro, invitandolo a calmarsi) Se li prendo li ammazzo di botte tutti e due, parola mia.

Salvatore:     Queste sono parole grosse, don Felice. A tutto c’è rimedio tranne che alla morte.

Felice:           (Continua a camminare) Vorrei vedere se nei miei panni non sareste nervosi pure voi, dopo avere appreso una notizia del genere. Una ragazzina di quindici anni........

Amalia:         Ora calmatevi, don Felice.

Salvatore:     Suvvia, don Felice, calmatevi. (Don Felice continua a borbottare).

Settimina:     E calmati, Felice.

Felice:           Ti vuoi stare zitta, Settimina, altrimenti va a finire che me la prendo anche con te, che non sei stata capace di vigilare sulla integrità fisica e morale della nostra Teresina.

Salvatore:     Don Felice, statemi a sentire. Queste sono cose che possono succedere quando due giovani si vogliono bene. Ormai lo sappiamo tutti come vanno certe cose. Una parola oggi, una parola domani, un bacetto, un abbraccio, una carezza e la paglia vicina all’accendino piglia fuoco e poi si fa l’incendio. Anche nel teatro a volte…

Settimina:     Ma qui non ha pigliato fuoco la paglia, è rimasta incinta Teresina, lo volete capire sì o no?

Felice:           Statti zitta, Settimina, quella della paglia è solamente una metafora. (Dopo un attimo di pausa) Devo dire francamente che una sorpresa come questa non me la sarei mai immaginata, per questo sono indignato.

Amalia:         A dire il vero, e lo potrei giurare davanti a Dio, nemmeno io, che sono la madre, mi aspettavo che Rosario facesse una cosa del genere.

Settimina:     Anche per me è stata una sorpresa inaspettata.

Salvatore:     Scusate tanto, non vorrei dire una cosa ovvia, ma le sorprese sono sempre inaspettate, altrimenti non sarebbero sorprese. Ve la immaginate voi una sorpresa con il preavviso? Queste cose si vengono a sapere quando il guaio purtroppo è accaduto. Ed a nulla serve mostrare meraviglia di fronte ad un fenomeno naturale, che è frutto dell’amore.

Felice:           Il guaio è stato grosso, però, e ancora non mi faccio persuaso di quello che è accaduto alla mia piccola Teresa.

Settimina:     Grosso, grosso, il guaio è stato grosso veramente.

Felice:           Che fai l’eco, Settimina?

Settimina:     Volevo partecipare pure io.

Amalia:         Prima che voi entraste in questa casa, io stavo per l'appunto dicendo a Salvatore che su Rosario non potevamo fare molto affidamento, perché negli ultimi tempi lo vedevo troppo distratto e femminaro.

Salvatore:     Allora tu sapevi qualcosa e stavi zitta?

Settimina:     Ah! Lo sapevi?

Felice:           Cosa sapeva?

Amalia:         Chi lo sapeva?

Settimina:     Tu lo sapevi.

Amalia:         Io? No. Io non sapevo niente. Avevo semplicemente un brutto presentimento, che purtroppo si è avverato prima del previsto.

Felice:           Ora ce l’ho io il presentimento e se non salviamo almeno le apparenze per Rosario può finire molto male. Ve lo giuro… sulla testa di mia moglie Settimina (le poggia una mano sulla testa).

Settimina:     Togli subito questa mano. Giura piuttosto sulla tua testa ed annulla immediatamente il giuramento che hai fatto sulla testa mia.

Felice:           Va bene, va bene. Consideralo già annullato. (Poi, rivolto verso i coniugi Cipolletta) Dite, perciò, a quel fetente di vostro figlio, femminaro, di mettere in atto una regolare fuitina, inscenando almeno un piccolo rapimento, per stroncare sul nascere qualunque malevola insinuazione da parte della gente sulla pelle della mia bambina.

Salvatore:     Faremo senz'altro come voi desiderate.

Felice:           E per ora non aggiungo altro, riservandomi di dire qualcosa di più preciso direttamente a vostro figlio. Statevi bene. (E si avvia verso l’uscita principale).

Amalia:         Buona giornata a voi.

Salvatore:     Buona giornata.

Settimina:     (Giunta sulla soglia della porta di uscita si gira ed accompagnando l’espressione con un gesto delle mani, esclama): che giornata!

                     (Escono don Felice e Settimina)

Scena terza

(Salvatore e Amalia)

Amalia:         Questo è veramente un guaio, caro Salvatore. Rosario è stato per la verità troppo imprudente. Troppo, troppo imprudente.

Salvatore:     Eh sì, veramente troppo.

Amalia:         Troppo l’ho già detto io.

Salvatore:     Allora io dico assai, sei contenta?

Amalia:         Rosario è ancora molto giovane, non ha un lavoro serio e noi non siamo nelle condizioni di potere aiutare questi due ragazzi.

Salvatore:     Ci deve pensare don Felice a mantenerli finché Rosario non troverà un lavoro stabile.

Amalia:         Quando ho sentito dire che Teresina è rimasta incinta per colpa sua, mi è crollato il mondo addosso ed ho avuto paura di svenire al pensiero che questo povero ragazzo si è inguaiato così presto. Ed ora cosa facciamo, ho pensato, ed il sangue mi si è gelato nelle vene.

Salvatore:     Non ti preoccupare, Amalia. Come dice il proverbio, quando una porta si chiude si apre sempre un porticato. Ancora non ti ho detto niente perché ti volevo fare una sorpresa… ma…

Amalia:         Oddio, un’altra sorpresa? Di cosa si tratta questa volta?

Salvatore:     Ieri sera, al termine dello spettacolo, all’osteria di Don Sasà mi hanno parlato di un signore benestante, che sta cercando un bravo attore per fargli interpretare, per ragioni che ancora non conosco, la parte di un suo zio che viene da lontano, ed io mi sono naturalmente dichiarato subito disponibile ad esaminare la proposta. Sembra, fra l’altro, che sia già al corrente della mia attività.

Amalia:         Salvatore, a te sembra, come al solito, di esserti spiegato chiaramente ma io ho capito poco di questa nuova interpretazione che dovrai fare.

Salvatore:     C’è poco da capire. E' un recita come un'altra.

Amalia:         Ed, invece, c’è molto da capire. Cosa c’entra, per esempio, lo zio che viene da lontano con la miseria, che c’abbiamo dentro?

Salvatore:     C’entra, c’entra. Eccome se c’entra. Vuole dire precisamente che quel signore benestante mi si affitta per qualche giorno come se io fossi, per esempio, un’automobile, una carrozza e mi chiede di fare la parte di suo zio. Hai capito ora?

Amalia:         (Poco convinta) Ho capito.

Salvatore:     In cambio ha detto che mi pagherà molto bene l’incombenza.

Amalia:         Cosa ti paga?

Salvatore:     L’incombenza.

Amalia:         L’incombenza?

Salvatore:     L’incombenza, il lavoro, la prestazione, il servizio, come caspita lo vuoi chiamare?

Amalia:         Non lo sapevo che il lavoro si chiama incombenza, scusa tanto.

Salvatore:     Ed ora lo sai. Va bene?

Amalia:         A me basta che ti paghi. Lavoro, servizio o incombenza per me fa lo stesso.

Salvatore:     Anche questa, a pensarci bene, è una forma di guadagno che deriva per riflesso dal teatro, al quale dovremmo essere, perciò, infinitamente riconoscenti e non disprezzarlo come, invece, fai tu ad ogni piè sospinto.

Amalia:         Se è lecito saperlo, che incombenza dovresti fare?

Salvatore:     Se ho ben compreso, devo recitare la parte dello zio seguendo un copione, come se la stessi facendo al teatro. L’unica differenza è che, invece, la devo recitare nella vita come se fosse una parte vera. Mi sono spiegato?

Amalia:         Io ho un brutto presentimento, Salvatore.

Salvatore:     Quale presentimento?

Amalia:         Se tu ti convinci di essere veramente lo zio di quel signore sconosciuto, non c’è il rischio che ti dimentichi di essere mio marito e mi lasci sola in mezzo a questi guai?

Salvatore:     Ma cosa vai a pensare? E’ tutta una finzione. Solo che il palcoscenico è un po’ più grande del normale e tutti gli altri personaggi sono veri e pensano che lo sia pure io.

Amalia:         Ma tu sei vero oppure finto?

Salvatore:     Per gli altri sono vero.

Amalia:         Ah! Ecco.

Salvatore:     Ma in effetti sono finto. Hai capito, si o no ?

Amalia:         Mamma mia, mi gira la testa con questi tuoi ragionamenti.

Salvatore:     Per questo ti ho detto che per me non fa alcuna differenza. Recitare devo quando sono sul palco del teatro ed altrettanto dovrò fare in questa circostanza sul palcoscenico della vita. E’ semplice, no?

Amalia:         Questa incombenza, come tu la chiami, è un passo avanti nella tua carriera di attore o una pagliacciata del momento?

Salvatore:     E’ una strada nuova, che si apre davanti a noi e che ci può portare qualche sostanziale beneficio di carattere economico. E’ il famoso porticato, che si apre dopo che si è chiusa la porta.

Amalia:         Sei sicuro?

Salvatore:     Sicurissimo. Oggi ho l’appuntamento decisivo con quel signore benestante e speriamo che sia per noi l’inizio di una nuova vita.

Amalia:         Speriamo. Speriamo che sia così.

Salvatore:     Ora devo andare perché mi stanno aspettando al teatro per le prove.

Amalia:         Salvatore, speriamo che anche Rosario trovi presto l’incombenza giusta e si sistemi.

Salvatore:     Speriamo, speriamo. Però ora non ti fissare con l’incombenza… (Esce)

Scena quarta

(Amalia e Rosario)

                     (Rosario, giovane, aitante, dimostra più dei suoi ventitrè anni. Ha un atteggiamento da spaccone ed un modo di parlare da malandrino. Entra e chiede subito alla madre che è intenta a spolverare):

Rosario:        Papà è già andato via?

Amalia:         E’ uscito proprio in questo momento.

Rosario:        Meno male!

Amalia:         Perché hai detto meno male, screanzato?

Rosario:        Perché deve venire don Felice, che ha necessità di parlarmi a quattrocchi di una cosa, che gli sta particolarmente a cuore, ed io gli ho dato appuntamento in questa casa.

Amalia:         Bada che quello ce l’ha con te perché dice che gli hai messo incinta la figliola, approfittando della sua ingenuità.

Rosario:        Ed allora, cosa c'è di strano? Teresina non è certamente la prima ragazza ad essere rimasta incinta e penso che non sarà nemmeno l’ultima. E’ meglio, perciò, che don Felice se ne faccia subito una ragione e non mi stia a rompere le scatole.

Amalia:         Sappi che ha parlato con noi e non sembrava affatto persuaso di abbozzare. Egli ritiene,  invece, che tu gli abbia fatto un grave torto.

Rosario:        Lo so, lo so che voleva fare confusione. Ma poi di fronte al fatto compiuto si è dovuto necessariamente rabbonire. Pensa che mi ha addirittura proposto di andare a vivere in casa loro insieme a Teresina.

                     (Bussano alla porta ed Amalia esce di scena)

Rosario:        Questo è sicuramente lui.

Amalia:         Io vado. Mi raccomando, non lo fare innervosire perché, quando s'innervosisce, don Felice può diventare pericoloso. (Si avvia ad uscire dalla porta interna).

Rosario:        Sta’ tranquilla, mamma, so io quello che devo fare, non sono più un ragazzino.

Scena quinta

(Rosario e Don Felice)

Rosario:        (Va alla porta ed invita Don Felice ad entrare). Accomodatevi pure, don Felice, per me è un grande onore avervi in casa mia.

Felice:           Giovanotto, vorrei che ti facessi innanzitutto persuaso che stai parlando personalmente con don Felice Monreale di Palermo. Ho accettato di buon grado di venire in casa tua per parlarti francamente a tu per tu e per schiarirti le idee nel caso ce le avessi ancora un po’ confuse.

Rosario:        Dite pure, don Felice, io sono a vostra completa disposizione.

Felice:           Tu hai fatto la bravata di sedurre sotto i miei occhi Teresina, una ragazza ingenua di appena quindici anni, ed anche se a malincuore ti devo dare atto che sei stato bravo a farmi fesso.

Rosario:        Vi chiedo scusa se vi ho mancato di rispetto, ma vi giuro che non è stata una bravata. Io e Teresina ci vogliamo bene veramente ed abbiamo intenzione di sposarci.

Felice:           Ma questo non è tutto, caro mio. Ora che ti sei voluto appropriare del ruolo, che fino a ieri era il mio, hai il sacrosanto dovere di mandare avanti la tua famiglia, assumendoti tutte le responsabilità, che ne derivano, per fare stare bene Teresina. Ora sei diventato capofamiglia.

Rosario:        Vi assicuro che farò interamente il mio dovere e prima possibile lascerò la vostra casa per andare a vivere da solo con Teresa.

Felice:           Ti ho detto queste cose non perché mi pesi ospitarti in casa mia ma solamente per salvaguardare la tua personale dignità di uomo.

Rosario:        Di questo vi ringrazio e vi sono riconoscente. Ma vi prometto che il bambino, che Teresina porta in grembo, com’è vero che c’è Dio, nascerà nella nuova casa, dove avrà tutto quello che io non ho mai avuto.

Felice:           Lo spero vivamente e ti faccio i miei auguri.

Rosario:        Se mi concedete un po’ di tempo non vi deluderò. Ho in mente un progetto che conto di realizzare molto presto.

Felice:           Non farai mica come tuo padre, il teatrante?

Rosario:        Certamente no. Farò, invece, come tanti miei amici, che hanno dato un calcio alla miseria e si sono sistemati molto bene.

Felice:           Così mi piaci. L’uomo deve essere uomo, caro mio, e non sono ammesse deroghe in proposito.

Rosario:        Sono d’accordo anch’io.

Felice:           Se per caso te ne dimenticassi, sappi che te lo ricorderei io, ma non sarebbe per te molto conveniente.

Rosario:        Sono certo che non ce ne sarà bisogno.

Felice:           Ti auguro buona fortuna ed intanto ti confermo che sarai il benvenuto nella mia famiglia.

Rosario:        Ringrazio per la fiducia, che mi date, e vi assicuro che Teresina è in buone mani. (I due si abbracciano e don Felice, salutando esce di scena dalla porta principale). Arrivederci.

Scena sesta

(Rosario e Salvatore)

Salvatore:     (Entrando dalla cucina) Ho sentito che parlavi con qualcuno, chi era?

Rosario:        Don Felice Monreale.

Salvatore:     Cosa voleva da te?

Rosario:        Niente. Discorsi fra uomini. Voleva chiarimenti sulla mia faccenda con Teresa.

Salvatore:     E tu, gliel’hai forniti i chiarimenti, vero?

Rosario:        Certamente ed egli è rimasto più che soddisfatto.

Salvatore:     Ero sicuro che te la saresti cavata bene. Tu sei un ragazzo in gamba.

Rosario:        Mi ha chiesto di andare a vivere con Teresina in casa sua.

Salvatore:     E tu cosa gli hai risposto?

Rosario:        Ho accettato.

Salvatore:     Bravo.

Rosario:        Ma l’ho subito avvertito che ci rimarrò per poco tempo perché presto conto di andare a vivere da solo.

Salvatore:     Come da solo?

Rosario:        Con Teresina, naturalmente, ma in una casa tutta per noi, dove fare nascere il bambino.

Salvatore:     Se è maschio ricordati di dargli il nome mio.

Rosario:        Questo, papà, non te lo posso assicurare perché don Felice mi ha chiesto la medesima cosa e  con Teresina non ne abbiamo ancora parlato.

Salvatore:     Rosario.

Rosario:        Cosa c'è ancora, papà?

Salvatore:     Vuoi venire con me a fare il teatrante?

Rosario:        No, papà. La miseria non mi attira tanto. Ho qualche altro progetto nella mente per costruirmi un solido avvenire. Bisogna essere concreti nella vita e mirare diritto al sodo. Non si può vivere solamente di fantasia.

Salvatore:     Eh! Caro Rosario, per capire la bellezza del teatro bisognerebbe viverci dentro, mangiarci, dormirci…

Rosario:        Sì, respirare l’aria polverosa che c’è dentro… vero papà?

Salvatore:     Tu e tua madre mi prendete sempre in giro perché sono innamorato del mio mestiere. Io ho scelto di fare l’attore sicuramente per vocazione ma anche perché mi piaceva fare un lavoro onesto. Un giorno, quando diventerò famoso e tutti parleranno di me, ne sarete orgogliosi pure voi, ne sono certo.

Rosario:        Ma tu sei già un grande artista. Non ti preoccupare per quello che diciamo noi, che non capiamo niente. Statti buono papà e non ci fare caso a quello che ti dice mamma. (Gli batte la mano sulla spalla ed esce dalla porta principale)

Scena settima

(Salvatore e Amalia)

Amalia:         (Entrando dalla camera da letto) Come mai così presto di ritorno?

Salvatore:     Le prove sono state rinviate a domattina.

Amalia:         A che ora ce l’hai l’appuntamento con quel signore benestante?

Salvatore:     Alle cinque e mezza del pomeriggio, all’osteria. Fra poco anzi sarà opportuno che io mi avvii per non rischiare di fare tardi. (Intanto si annoda la cravatta).

Amalia:         Salvatore, dimmi la verità senza giri di parole, che mi confondono le idee. Quel porticato, di cui mi hai parlato stamattina, per noi si aprirà davvero?

Salvatore:     Sento che qualcosa di buono potrà accadere. Forse siamo ad una svolta decisiva per il futuro della nostra vita.

Amalia:         Vorrei tanto che fosse vero quello, che stai dicendo.

Salvatore:     Mi sono raccomandato anche a San Gennaro, pregandolo vivamente di avere un occhio di riguardo per la nostra famiglia, perché ne abbiamo un gran bisogno.

Amalia:         Specialmente in questo momento ci farebbe comodo davvero.

Salvatore:     Gli ho detto: San Gennaro, voi siete un santo giudizioso e certe cose non vi possono sfuggire.

Amalia:         Ai santi non sfugge niente. Quelli ci guardano dal cielo.

Salvatore:     Mi dovete dare una mano per farmi andare le cose per il verso giusto perché io, Salvatore Cipolletta fu Mariano, vorrei continuare a vivere da cittadino onesto.

Amalia:         Gliel’hai detto così, papale, papale?

Salvatore:     Certo che gliel’ho detto così.

Amalia:         Speriamo che ti dia retta.

Salvatore:     Io sono stato molto chiaro con lui. Caro San Gennaro, gli ho detto, io mi arrabatto come posso fra realtà e finzione per raggiungere lo scopo di mantenere la famiglia ma i tempi sono duri e le tentazioni, di conseguenza, sono tante (e rivolgendosi ad Amalia), non è vero?

Amalia:         Sì, sì. Tante, tante, sono veramente tante.

Salvatore:     Se mi abbandonate, gli ho detto, ritornerò a fare il contrabbandiere di sigarette......

Amalia:         Oh! Grazie a Dio, finalmente!

Salvatore:     ......come mia moglie vorrebbe che io facessi, ma a voi potrebbe poi rimordere la coscienza se la pecorella si smarrisse nuovamente.

Amalia:         Cos’è questa storia della pecorella?

Salvatore:     Lascia perdere, Amalia. E’ una semplice metafora.

Amalia:         E cosa ti ha risposto?

Salvatore:     Sì, mi ha telefonato per dirmi di stare tranquillo.

Amalia:         Mi stai prendendo in giro?

Salvatore:     Scusami, ma tu fai certe domande!

Amalia:         Mi sono confusa con quel fatto della metafora, accidenti.

Salvatore:     Non ti preoccupare, non è successo nulla. Ora vado all’osteria ad incontrare quel signore e poi ti metterò al corrente sugli sviluppi della vicenda.

Amalia:         Va’ pure, che San Gennaro ti accompagni e ti protegga! (Salvatore intanto esce di scena) Che sarà mai questa metafora? Boh? Io sinceramente ancora non l’ho capito.

(Sipario)

Secondo quadro

Scena ottava

( Domenico, Salvatore e l'oste )

Osteria di Don Sasà. La saletta dell’osteria è arredata molto semplicemente con due tavolini agli angoli opposti e due sedie intorno. Ad uno di essi, quello più vicino agli spettatori è seduto Domenico Triaca, uno strano personaggio, soprannominato Eduardo per la perfetta somiglianza con il grande attore napoletano soprattutto nel modo di parlare. L’angolo è inizialmente poco illuminato, Domenico ha un bicchiere in mano ed un fiasco di vino a disposizione in bella vista sul tavolino.

Salvatore appena entra nell’osteria non si accorge della sua presenza ma, convinto che ci sia altra gente, fa un saluto collettivo.

Salvatore:     Buonasera a tutti e che buon pro vi faccia quello che bevete. (Poi si accorge che la sala è quasi vuota e con la coda dell’occhio vede che c’è solamente Don Domenico. Si dà un’aggiustatina al nodo della cravatta che, per la circostanza ha indossato su una candida camicia con il colletto inamidato e fa un respiro profondo per contenere la sua emozione) Buonasera, Don Domenico. Nascosto come siete nella penombra non vi avevo nemmeno visto. Vi chiedo scusa per la mia disattenzione e vi presento i miei omaggi. (Dicendo questo si avvicina molto al suo tavolo).

Domenico:    (Lo guarda dal basso verso l’alto). Tu sei un grande attore, un talento naturale, ed hai bisogno sempre della scena. Da quando hai intrapreso questa strada sei diventato veramente un personaggio.

Salvatore:     Accetto il complimento, che mi fate e spero di meritare il vostro elogio.

Domenico:    Mi sembra che tu stia andando di bene in meglio e credo anzi che presto potrai raggiungere importanti traguardi perché sei veramente bravo.

Salvatore:     Forse questo è per me un momento fortunato, ma vi devo francamente confessare che spesso di me la vita si è fatta scorno. Sapesse quante ne ho passate! Nella vita ho sempre tribolato.

Domenico:    Vieni, mettiti a sedere accanto a me e fammi un po’ di compagnia.

Salvatore:     Grazie, voi siete molto gentile. (Si siede)

Domenico:    A che ora ce l’hai l’appuntamento con quel signore?

Salvatore:     Alle cinque e mezza, ma avevo paura di fare tardi e mi sono voluto anticipare. Non volevo correre il rischio di perdermi questa buona occasione.

Domenico:    Cosa vuole da te precisamente questo signore?

Salvatore:     Mi hanno detto che mi vuole ingaggiare per farmi fare la parte di un suo zio, che viene da lontano.

Domenico:    A quale scopo?

Salvatore:     Questo sinceramente ancora non lo so. Ma ha promesso di pagarmi molto bene. Sa, io ho necessità di guadagnare un po’ di soldi perché Amalia mi ha detto che non ce la fa più ad andare avanti con i pochi soldi che io le posso dare facendo l’attore di teatro.

Domenico:    Lo capisco molto bene. (E dopo un attimo di pausa) Tuo figlio Rosario come si comporta?

Salvatore:     Non me ne parlate, Don Domenico, s’è messo nei pensieri.

Domenico:    Come mai?

Salvatore:     Ha combinato un guaio grosso.

Domenico:    Che tipo di guaio ha combinato?

Salvatore:     Ha messo incinta Teresina, la figlia di don Felice Monreale, di otto anni più piccola di lui e presto andrà a vivere con i parenti suoi per volere dello stesso don Felice.

Domenico:    Molto generoso don Felice in questa circostanza!

Salvatore:     L’ho pensato pure io. E su di lui mi sono in parte anche ricreduto. Lo credevo per la verità più selvaggio.

Domenico:    Ci si può anche sbagliare nel valutare certa gente. E forse tu ti sei sbagliato.

Salvatore:     Don Domenico, voi siete molto saggio e quando parlate mi mettete un po’ in soggezione. Voi parlate come se emetteste le sentenze e fate domande sempre pertinenti. La verità è che siete un genio e noi, a petto a voi, siamo tutti dei pezzenti.

Domenico:    Come fai a sapere che questa è la verità?

Salvatore:     Perché è la verità, don Domenico, anche se voi siete fin troppo modesto e cercate di mettere gli altri sempre a proprio agio.

Domenico:    Tu parli di verità con troppa leggerezza, forse perché vivi in un mondo fatto di illusioni. Ma se sapessi quanto è difficile trovare la verità, saresti un po’ più cauto nel nominarla.

Salvatore:     Perché la verità non è più vera?

Domenico:    Certo che lo è, ci mancherebbe altro che non fosse vera. Ma, per conoscerla, la devi prima scovare dove si trova.

Salvatore:     A me sembrava che fosse nella vita ma, da quando faccio l’attore, non ne sono più sicuro. Ci sono verità che mi sfuggono. Secondo voi dove si potrebbero trovare?

Domenico:    Fatti portare un bicchiere ed assaggia questo vino.

Salvatore:     Se è per questo vado a prenderlo da me. (Si alza e ritorna con il bicchiere in mano). Ecco fatto. (Si rimette a sedere).

Domenico:    (Solleva con una mano il fiasco ormai quasi vuoto, lo guarda, lo riguarda ed indicandolo con l’indice dell’altra mano infine dice) Vedi? Qua dentro c’è la verità. Lo sapevi?

Salvatore:     Confesso la mia ignoranza, ma non ci ho mai fatto caso.

Domenico:    Essa va assunta a piccole dosi, come il veleno, per non rischiare di esserne travolto. (Si alza in piedi). Di verità, caro Salvatore, ci si può anche ubriacare.

Salvatore:     Mi sembrate un poeta questa sera.

Domenico:    Ti concedo questo commento perché sei un vero artista. Ricordati, però, che la verità è sorprendente più della bugia ed a volte sa essere anche crudele.

Salvatore:     Anche questa forse è una verità.

Domenico:    Essa ti ferisce senza il minimo ritegno e poi per la vergogna si nasconde.

Salvatore:     (Impugnando il fiasco) Dentro il vino?

Domenico:    Precisamente. Quando hai bevuto tanto vino non ti senti un po’ confuso con la testa che ti scoppia?

Salvatore:     Eccome! Con le tempie che mi battono come due tamburi (e con la punta delle dita si tocca le tempie).

Domenico:    E’ la verità che ti martella le tempie perché bussa alla porta della tua coscienza. Se senti che lo stomaco ribolle ed un gorgoglio nelle budella è la verità che si ribella e che vuole uscire all’aria aperta.

Salvatore:     Ma guarda un po’, chi se lo poteva immaginare?

Domenico:    Allora è inutile tentare di resistere. Ti devi rassegnare perché la verità non la puoi più controllare e di prepotenza viene fuori.

Salvatore:     Avete proprio ragione. Avrei dovuto pensarci prima.

Domenico:    E quando viene fuori molto spesso sono dolori perché la verità è micidiale.

Salvatore:     Don Domenico, secondo voi la verità è così cattiva?

Domenico:    Cattiva? Di’ pure che è spietata. Io sono una vittima della verità. Ad un certo punto della mia vita ne ho conosciuto una che mi ha fatto veramente male e che mi ha tolto il piacere di sognare.

Salvatore:     Dev’essere stata una verità terrificante?

Domenico:    Ho scoperto di essere stato tradito nell’affetto più intimo, quello coniugale. Credimi, Salvatore, è stato un duro colpo per me quando mia moglie, che io credevo santa, mi ha gridato in faccia il suo tradimento senza farsi scrupolo di ferirmi.

Salvatore:     E, dopo quello che vi è successo, non siete ancora sazio di verità?

Domenico:    Continuo a bere questo vino perché la voglio completamente prosciugare. La voglio catturare per farla scomparire dalla faccia della terra e garantire a tutti gli uomini del mondo la possibilità di sognare.

Salvatore:     E’ una bella iniziativa quella vostra. Un proposito che vi fa onore e che spero venga coronato dal successo.

Domenico:    Se bevo, quindi, lo faccio anche per te.

Salvatore:     Vi ringrazio per la cortesia, che mi usate. Don Domenico, ve la posso dire una cosa?

Domenico:    Dimmi quello che vuoi.

Salvatore:     Perché non venite anche voi a fare l’attore di teatro? Vi potreste fare una scorta di illusioni per il prossimo avvenire e recuperare tutto il tempo perso. Mi sembrate già sulla strada giusta.

Domenico:    A che serve farsi delle illusioni se hai la morte dentro il cuore? Il teatro è una bella invenzione ma solamente per chi ha ancora la voglia di sognare.

Salvatore:     Vi confesso che la storia del vino, che ha la verità incorporata, mi ha parecchio incuriosito anche se temo che alla fine ci si ubriachi per davvero e non si concluda niente.

Domenico:    Perché dici questo?

Salvatore:     Perché la verità ha anche altri rifugi per nascondersi e per non farsi catturare.

Domenico:    Per esempio?

Salvatore:     Il cuore e la mente della gente ipocrita e bugiarda che, secondo la vostra teoria, dovrebbe essere rigorosamente astemia.

Domenico:    Riconosco che la mia tesi non ha un valore assoluto ma, secondo me, rende bene il senso di ciò che voglio dire. Si è sempre sostenuto che nel vino c’è la verità. Ce lo hanno insegnato anche i latini ed io stesso l’ho potuto constatare.

Salvatore:     Forse avete ragione, bisogna riconoscerlo, voi sì che siete saggio.

Oste:             (Entra, porta via il fiasco del vino ormai vuoto e rivolto a Salvatore) Non dargli retta perché con i suoi discorsi strampalati ti porta via il cervello e non ti fa più ragionare. Ci ha provato anche con me ma per fortuna io mi sono salvato.

Domenico:    Sta’ zitto, oste della malora, che nascondi nelle botti le mille verità dei tuoi clienti. Pensa a fare il tuo dovere e non ti immischiare negli affari miei. (L'oste esce dalla porta laterale ed i due si rimettono ambedue a sedere).

                     (Dall’ingresso principale entra Matteo Pulvirenti, l’uomo che Salvatore aspettava. E’ alto e magro, di portamento distinto e di modi cortesi. Capelli lisci, impomatati e baffetti ben curati, rigorosamente neri. Indossa un cappello di feltro a falde larghe, scarpe bicolore bianche e rosse, che stridono sotto il vestito grigio scuro o gessato. Età intorno ai cinquant’anni).

Matteo:         Buonasera! (Con gesto elegante si toglie intanto il cappello e lo poggia sul tavolino. Poi si mette a sedere ed accavalla le gambe, lisciandosi i baffetti).

                     (Domenico e Salvatore ricambiano il saluto). Buonasera.

Matteo:         Aspetto un certo Salvatore Cipolletta, attore di teatro. Lo conoscete?

Domenico:    (Rivolto a Salvatore, sottovoce). Va’, ma sta’ attento alla verità perché può essere pericolosa. (Si alza ed esce dalla porta centrale).

Salvatore:     (Si alza e va incontro a Matteo il quale fa la stessa cosa). Sono io, per servirla.

Scena nona

(Salvatore e Matteo)

Matteo:         (Stringendo la mano a Salvatore). Molto piacere, Matteo Pulvirenti.

Salvatore:     Piacere, Salvatore Cipolletta.

Matteo:         Sono amico e concittadino di don Felice Monreale e sono venuto appositamente da Palermo per concludere un affare che mi sta molto a cuore.

Salvatore:     Se posso esservi utile…

Matteo:         Lo sarai sicuramente. Don Felice mi ha parlato molto bene di te. Mi ha detto che sei un attore straordinario…

Salvatore:     Troppo buono, don Felice.

Matteo:         Di spirito collaborativo e servizievole.

Salvatore:     Sono a vostra completa disposizione.

Matteo:         Bene. Così mi piaci. Dovresti interpretare una parte molto importante, un ruolo, diciamo così, di un certo spessore anche mentale. Anzi, direi soprattutto mentale. In pratica dovresti fare la parte del matto.

Salvatore:     Del matto?

Matteo:         Sì, di una persona che è matta ma non sa di esserlo perché ha perso la ragione.

Salvatore:     Volete dire di un pazzo vero? Non di uno che si finge pazzo ma che pazzo poi non lo è?

Matteo:         Esattamente. Don Felice mi ha assicurato che sei una persona intelligente e, quindi, in grado di fare molto bene il deficiente.

Salvatore:     Fra i tanti personaggi, che ho interpretato sulla scena, non mi è mai capitato di fare il matto come voi mi state ora proponendo.

Matteo:         Un bravo attore come te non si pone certamente dei limiti.

Salvatore:     No. Almeno io non me ne pongo. Dicevo così per essere sincero. Io sono un professionista e non mi tiro indietro di fronte alle difficoltà, che comporta il rivestire certi ruoli particolarmente impegnativi.

Matteo:         Ne ero sicuro. Ho avuto su di te delle ottime referenze.

Salvatore:     Scusate ma potrei sapere in particolare di cosa si tratta?

Matteo:         Come hai potuto constatare dalle prime battute di questo colloquio informale, è mia abitudine non perdermi mai nei preamboli, che lascio fare volentieri a quelli addottorati, che hanno lingua sciolta e sapienza. In sostanza ho necessità di fare interdire dall’autorità giudiziaria mio zio Emanuele, che vive da molti anni nel Venezuela, pur essendo a tutti gli effetti napoletano, per potere disporre liberamente dei beni, che egli ha lasciato in Italia incustoditi.

Salvatore:     Se non sono indiscreto, come pensate di operare concretamente?

Matteo:         A questo scopo ho già predisposto tutti i documenti necessari perché tu possa sostituirlo momentaneamente nella persona.

Salvatore:     Ah! Ecco. Sostituirlo momentaneamente nella persona…

Matteo:         Come vedi si tratta di una cosa molto semplice. Devi fingere in pratica di essere mio zio Emanuele, sembrare pazzo e convincere di questo la giuria dei medici periti, nominati dal tribunale, che dovrà emettere il provvedimento di interdizione.

Salvatore:     Ho capito benissimo. Siete stato molto chiaro.

Matteo:         Se l’esito, come io mi auguro, sarà positivo, avrai una lauta ricompensa, che potrebbe fare contenta anche la tua signora.

Salvatore:     Lo sapete pure voi che mia moglie si lamenta?

Matteo:         Me ne ha fatto cenno don Felice.

Salvatore:     Ah, don Felice.

Matteo:         Allora, ti piace la mia proposta?

Salvatore:     Io sono un attore di grande vaglia, in grado di fare bene qualunque ruolo e, se la ricompensa sarà adeguata all’impegno che richiede, sono ben lieto di servirvi bello e pronto un matto veramente eccezionale. Ho già inquadrato l’obiettivo e mentalmente mi sento preparato all’incombenza.

Matteo:         Il venti per cento dei beni in questione sarà la parte che, a risultato conseguito,  spetterà a te. Sufficiente credo per comprarti un bell’appartamento in una zona signorile della città

Salvatore:     Accetto l’incarico se mi date, però, la caparra.

Matteo:         Sei simpatico ma un po’ troppo diffidente. Ti bastano tremila euro a mo’ di acconto?

Salvatore:     Affare fatto. Ecco qua la mano. (Una calorosa stretta di mano suggella il patto fra i due).

Matteo:         Mi raccomando: tieniti pronto perché nei prossimi giorni dovremo passare all’azione. (E si avvia verso l’uscita).

Salvatore:     E voi non scordatevi, però, di darmi la caparra. (E si mette a sedere).

(sipario)

FINE PRIMO ATTO

IL CERTIFICATO

Atto secondo

Scena prima

(Amalia e Salvatore)

(In casa Cipolletta. Mentre Amalia è intenta a rassettare, dalla porta centrale entra Salvatore).

Amalia:         Core, core ngratu, t'hai pigliatu a vita mia....  

Salvatore:     Amalia, ti devo dare una bella notizia. San Gennaro si è finalmente accorto di noi e fra poco in famiglia non ci mancherà più nulla.

Amalia:         Ci ha fatto il miracolo?

Salvatore:     Potremo persino cambiare casa, se lo vorrai, per andare ad abitare in un rione più elegante, in un palazzo dove abitano i signori, perché presto avremo i soldi necessari per comprarci un lussuoso appartamento con camera, salone, caminetto, bagno con la doccia e la cucina. Così lasceremo per sempre questa casa e questo quartiere. Qui c’è un’aria asfissiante, che puzza di miseria, ed io non la voglio più respirare.

Amalia:         Salvatore, stammi bene a sentire. Tu sei il re delle trasformazioni abituato, quindi, a cambiare ruolo in ogni momento e non trovi, perciò, difficoltà a passare da nobile a plebeo o da povero a signore. Ma io, che sono sempre stata una povera pezzente, non riesco, per quanti sforzi faccia, ad immaginarmi in un posto da signori.

Salvatore:     A stare bene ci si abitua presto, non ti preoccupare.

Amalia:         Fra l’altro mi sembrerebbe di tradire la mia gente, quella con la quale ho condiviso la gioventù e la miseria.

Salvatore:     Ma allora pensi che noi siamo nati per soffrire solamente?

Amalia:         Non ho detto questo ma, secondo me, è meglio continuare a vivere nel solito ambiente, con le nostre amicizie, con le abitudini comuni, con il linguaggio che usiamo sempre. Noi siamo dei poveri ignoranti. Cosa ci facciamo in mezzo a quelli sapienti?

Salvatore:     Che stai dicendo, Amalia? Le persone sono tutte uguali.

Amalia:         Dovrebbero essere tutte uguali ma in effetti non lo sono.

Salvatore:     Chi te l'ha detta questa fesseria?

Amalia:         Il direttore di banca o l’avvocato non sarebbero contenti di avere accanto a loro un teatrante con la moglie pacioccona ed ignorante. Ci scanserebbero come se fossimo appestati e noi ci sentiremmo umiliati. Dentro questo quartiere, invece, siamo tutti una famiglia e fra di noi c’è più comunità. Se ti manca, che so io, un po’ di sale, c’è qualcuno che senz’altro te lo dà. I signori questo non lo fanno perché pensano solamente ai fatti loro e non si curano di coloro, che hanno intorno.

Salvatore:     Io ti ho lasciato dire ma non condivido affatto questi tuoi timori. Anche i signori sono fatti di carne ed ossa come noi. Bisogna prenderne coscienza e non sentirsi inferiori.

Amalia:         A proposito, quale parte dovrai fare per compiacere questo signore tanto generoso?

Salvatore:     Non te lo puoi manco immaginare. Mi ha detto che devo passare per matto davanti ad una giuria, composta da esperti nominati dal tribunale.

Amalia:         E tu, hai accettato?

Salvatore:     Senza pensarci nemmeno un istante. Se tutto andrà bene mi darà per compenso quanto basta per acquistare un appartamento in una zona signorile. Una cosa favolosa, da non credere.

Amalia:         E di anticipo non ti darà niente?

Salvatore:     Come no? Tremila euro in contanti come acconto sull’impegno successivo. Ho già pensato di comprarti un abito da sera e di metterti al dito un bel gioiello per farti sentire appunto una signora, mentre io con il gessato a doppio petto con le righe verticali, i guanti bianchi ed il bastone con il pomello d’argento, potrei fare la figura del barone, che interpreto la sera sulla scena.

Amalia:         Sta’ attento, Salvatore, a non confondere mai la scena con la vita. Sono cose differenti e tali dovrebbero restare. L’una deve servire all’altra e non viceversa. Con i tremila euro, che ti ha promesso quel signore, potremmo intanto estinguere il debito, che abbiamo con Don Felice e metterci in pace la coscienza.

Salvatore:     Hai ragione. La tua saggezza è per me una cosa cara. Appena me li darà faremo come tu dici e con il resto si vedrà al momento giusto cosa fare.

Amalia:         Penso che la tua carriera sia proprio ad una svolta decisiva e che sarebbe bello, francamente, se tu riuscissi a raggiungere l’obiettivo di passare per matto davanti alla giuria, che dovrà emettere il verdetto.

Salvatore:     Imparerò presto a parlare ed a comportarmi da demente.

Amalia:         Vederti così sicuro di te e con tanto entusiasmo mi riempie il cuore di gioia. Ma, in concreto, come pensi di affrontare questa impresa?

Salvatore:     Studierò in modo approfondito il ruolo del demente, cercando di individuarne linguaggio, atteggiamenti e mimica facciale per rendermi credibile agli occhi degli esperti. Per fare questo mi ispirerò ad alcuni personaggi della vita quotidiana.

Amalia:         A quali personaggi rivolgerai la tua attenzione?

Salvatore:     Guardando la televisione, specialmente i telegiornali, ho spesso l’impressione che certi politici siano matti, non tanto per le loro caratteristiche somatiche quanto per quello che dichiarano, in fila, uno dopo l’altro, tentando anche di essere spiritosi. Penso, quindi, che sarebbe sufficiente imitare uno di loro per andare sul sicuro.

Amalia:         Hai in mente qualcuno in particolare?

Salvatore:     Penso, per esempio, a quel tale che ha detto che pagare le tasse è una cosa bellissima e ad altri personaggi, che non sono da meno di lui nel dire certe cazzate.

Amalia:         C’è un vasto campionario di matti in giro per il Paese?

Salvatore:     C’è l’imbarazzo della scelta. La pazzia è caratteristica comune a tanta gente. Secondo me nel cervello di ciascuno di noi c’è una casella, dentro la quale è custodita la pazzia, come c’è quella della memoria, dell’intelligenza, della gioia, della malinconia e se uno per caso la lascia aperta può avere qualche sorpresa. (Mentre parla si fascia il capo con una bandana bianca e con quel cencio avvoltolato sulla testa si rivolge alla moglie chiedendole): Amalia, come sto? Che te ne pare?

Amalia:         (Lo guarda per un attimo in silenzio, sbigottita). Bene! Molto bene! Temo, però, che così conciato rischi di richiamare alla mente dei giurati un personaggio noto, con conseguenze imprevedibili sull’esito finale.

Salvatore:     Hai ragione, è meglio non rischiare. (Si toglie la bandana). Forse è preferibile interpretare il ruolo del matto in maniera più semplice e lineare, in modo cioè tradizionale.

Amalia:         Com’è il modo tradizionale?

Salvatore:     Amalia, se io dicessi che in Italia va tutto bene, che i treni arrivano in perfetto orario, che c’è giustizia sociale, che la legge è uguale per tutti, che i politici sono per lo più persone oneste e che con lo stipendio di un operaio una famiglia può arrivare tranquillamente alla fine del mese, secondo te mi prenderebbero per matto, sì o no?

Amalia:         Altro ché. Anzi, rischieresti addirittura di essere ricoverato, perciò non esagerare nel dire certe cose E' meglio essere prudenti.

Salvatore:     Eppure qualche volta bisognerebbe avere il coraggio civile di squarciare il velo di ipocrisia, che ammanta di perbenismo e di saggezza tutte le bugie delle persone cosiddette normali e fare saltare definitivamente il banco.

Amalia:         Che sei matto, Salvatore?

Salvatore:     Non ancora ma mi sto preparando ad esserlo.

Amalia:         Allora sei sicuramente sulla buona strada.

Salvatore:     Diciamo che sono appena alle fasi preliminari.

Amalia:         Questa è sicuramente la prova più importante della tua vita e devi fare in modo di uscirne vincitore per il bene di tutta la famiglia.

Salvatore:     Li farò tutti sbalordire, sta’ tranquilla. E la nostra vita cambierà da così a così (ed accompagna le parole facendo il gesto con il palmo ed il dorso della mano).

Amalia:         Quei signori giudicanti ci hanno a credere veramente che tu sei matto, altrimenti perderai la stima di tutti i tuoi clienti spettatori e dovrai tornare a fare nuovamente il contrabbando.

Salvatore:     Quando si saprà nell’ambiente dello spettacolo il successo che avrò ottenuto, tutti mi guarderanno con rispetto considerandomi un attore affermato.

Amalia:         Tutti ti dovranno fare i complimenti per avere saputo fare il deficiente meglio di coloro che lo sono veramente. E riconoscere i tuoi meriti, che sono tanti.

Salvatore:     E’ questa la grandezza dell’attore: superare nell’interpretazione teatrale persino il modello cui si ispira.

Scena seconda

(Amalia, Salvatore, don Felice e Settimina)

Amalia:         (Bussano alla porta d’ingresso ed Amalia va ad aprire). Venite, venite.

Felice:           Disturbo?

Amalia:         No, non disturbate affatto, venite pure avanti.

Salvatore:     Stavamo chiacchierando del più e del meno per fare trascorrere le ore senza impegno.

Felice:           (Si fa serio). Non so se lo sapete ma sembra che Rosario sia deciso a trasferirsi quanto prima insieme a Teresina in un lussuoso appartamento della zona a mare della città, per controllare meglio l’andamento dei suoi affari.

Salvatore:     No. Non ne sono a conoscenza. Tu, Amalia, sapevi niente?

Amalia:         Non so nulla.

Salvatore:     Quali affari deve controllare?

Felice:           Di preciso non saprei. A detta degli amici il suo lavoro procede molto bene ed in poco tempo ha fatto passi da gigante, il giovanotto.

Settimina:     Rosario e Teresina stanno progettando addirittura di sposarsi in pompa magna.

Amalia:         (Fa due colpetti di tosse per richiamare l’attenzione di Settimina). Settimina, vieni con me in camera da letto così possiamo parlare fra donne in santa pace ed intanto lasciamo gli uomini liberi di conversare a piacimento.

Settimina:     Vengo volentieri perché ho da darti molte novità. (Amalia e Settimina escono dalla porta che dà nella camera da letto).

Scena terza

(Don Felice e Salvatore)

Felice:           Ti devo dire francamente che sono molto soddisfatto del tuo ragazzo.

Salvatore:     Mi fa piacere sentirvelo dire.

Felice:           Rosario è di ottimo lignaggio.

Salvatore:     Modestamente assomiglia al padre.

Felice:           E su di lui ci si può contare. Io sono convinto che con il nostro aiuto potrà raggiungere importantissimi traguardi e crearsi anche un ottimo avvenire.

Salvatore:     Lo penso anch'io.

Felice:           Ha carattere deciso e volontà di ferro. Sul principio lo avevo forse sottovalutato.

Salvatore:     Effettivamente Rosario è molto bravo, educato e si fa volere bene da tutti ma, intendiamoci, all’occorrenza sa farsi anche rispettare. Io sono orgoglioso di lui.

Felice:           Un uomo di rispetto non si deve fare sopraffare da nessuno, altrimenti è finito. Bisogna tenere le redini sempre bene in pugno per riuscire a domare anche i cavalli malandrini.

Salvatore:     E chi sarebbero questi cavalli malandrini?

Felice:           Rosario è capace, sa il fatto suo ed ha imboccato la strada giusta.

Salvatore:     Se lo ha fatto sono contento anche per lui.

Felica:           A quanto mi risulta in poco tempo si è già fatto un nome in quel difficile ambiente, che tu peraltro conosci molto bene per averlo un tempo frequentato.

Salvatore:     Don Felice, parlate chiaramente, per  favore.

Felice:           Più chiaro di così?

Salvatore:     Mi volete fare intendere che Rosario è entrato a fare parte della Camorra, come io ho sentito dire in giro?

Felice:           Io ti posso dire con certezza che è riuscito in breve tempo a conquistare il controllo di una zona e ad assicurarsi la cieca ubbidienza di un manipolo di agguerriti collaboratori, spacciatori, taglieggiatori…

Salvatore:     Madonna mia! Vi confesso che non ho mai creduto a quelle voci perché, conoscendo Rosario, non lo ritenevo capace di una simile azione. Pertanto voi mi confermate…

Felice:           Nell’intento di migliorare la sua posizione, sta ora tentando di allargare la sua zona d’influenza a scapito di un pericolosissimo concorrente, che appartiene ad una diversa organizzazione criminale.

Salvatore:     Forse non mi crederete se vi dico che mi sento annichilito sotto il peso di questa sorprendente verità. Temo che mi stia succedendo quello che è successo a Don Domenico Triaca quando ha scoperto la verità che la moglie lo tradiva.

Felice:           Bisogna farsene una ragione e non stare sempre a piagnucolare. Ogni giovane ha diritto di scegliersi la propria strada, senza rendere conto agli altri e meno che mai a noi.

Salvatore:     Non si finisce mai di imparare a conoscere i figli. Su Rosario io mi sono ingannato perché di lui non ho capito nulla.

Felice:           Coraggio, Salvatore, non ti mettere in pena per una fesseria. Dovresti essere contento che Rosario è un ragazzo pieno di iniziativa.

                     (Amalia e Settimina rientrano sorridenti)

Settimina:     Felice, ora dobbiamo andare a casa perché ci aspetta Teresina.

Felice:           Allora diamo senz’altro la buonasera a questi signori e togliamo subito il disturbo. Andiamo, Settimina.

Salvatore:     Buonasera, Don Felice, buonasera, Settimina.

Amalia:         Arrivederci, Settimina, buonasera, Don Felice. (Don Felice e Settimina escono di scena dalla porta principale).

Scena quarta

(Amalia e Salvatore)

Salvatore:     Amalia, ti devo dare una brutta notizia e non so da quale parte incominciare.

Amalia:         Non farti scrupolo e parla chiaramente.

Salvatore:     Le voci che da tempo circolano in città sono, purtroppo, veritiere. Rosario da qualche tempo fa un lavoro sporco. In pratica ha scelto di fare il delinquente e, se non si fermerà per tempo, correrà il rischio di essere ammazzato. Io conosco bene quell’ambiente, anche se ero l’ultima ruota del carro, e ti assicuro che è molto pericoloso.

Amalia:         Quando lo hai saputo?

Salvatore:     Ne ho avuto conferma proprio ora da don Felice. Ti giuro che io ero all’oscuro di tutto. Se non lo avessi sentito con le mie orecchie non ci avrei creduto.

Amalia:         Tu arrivi sempre tardi come la circolare destra. D’altra parte non c’è da meravigliarsi. Fai l’attore e vivi, quindi, sulle nuvole. Di tutto quello che succede sulla terra non ti accorgi mai di niente, o non lo vedi o fai finta di non vederlo. Sei attratto da tutto ciò che è fantastico, creativo, frutto della immaginazione e perdi di vista ciò che ti sta intorno. Fino a qualche tempo fa nemmeno io lo sapevo, perché nessuno mi aveva informato direttamente della scelta di Rosario, eppure immaginavo ciò che il ragazzo si era messo a fare senza darcene conto.

Salvatore:     Forse ce l’ha tenuto nascosto perché se ne vergognava?

Amalia:         Una volta gli ho visto troppi soldi in mano e mi sono insospettita. Quando i soldi sono troppi, mi sono detta, non sono quasi mai puliti e così in effetti era. Non ci ho dormito per diverse notti mentre tu, beato, riposavi accanto a me ignaro di quello che accadeva.

Salvatore:     Come hai fatto poi per saperne di più?

Amalia:         Dopo qualche giorno ho chiesto lumi a Don Felice ed egli mi ha consolata dicendomi che, anche se Rosario ha scelto di fare il malamente, lo sta facendo in una posizione di comando e con la dovuta dignità professionale.

Salvatore:     E questa la chiami dignità? Ma cosa stai dicendo, amore mio?

Amalia:         Salvatore, è inutile che uno si metta a fare il delinquente se poi deve continuare a vivere di stenti. Tanto vale allora che faccia l’impiegato o l’operaio.

Salvatore:     Ma almeno sarebbe un lavoro onesto.

Amalia:         I giovani non si accontentano e vogliono andare sempre avanti, vogliono progredire, farsi una posizione. Non sono come te, che sei fetente, e da contrabbandiere sei andato a fare il teatrante. Con il teatro non si guadagna abbastanza e tu hai messo in mezzo ai guai tutta la famiglia. Rosario è diverso, è intraprendente, appartiene alla categoria di coloro che si dicono rampanti. Lo sai cosa significa rampanti?

Salvatore:     Ma come, tu sapevi e non dicevi niente? Mi hai fatto vivere nell’ignoranza di quello che accadeva nella mia famiglia? Allora anche tu hai tenuto la verità nascosta dentro il vino, come diceva Don Domenico all’osteria?

Amalia:         Non so cosa ti abbia detto don Domenico ma, visto che non sospettavi nulla, ho preferito tacere per non farti troppo male. Più volte ho tentato di parlartene e di metterti al corrente ma ho sempre desistito perché non ho mai trovato il momento giusto per farlo. Mi sono mancate anche le parole adatte per esprimerti quello che avevo dentro il cuore.

Salvatore:     Quello di Rosario è stato un tradimento. Ho fatto tanto per dargli il buon esempio, mi sono messo persino a lavorare onestamente a costo di molti sacrifici personali ed egli, come se nulla fosse, ha scelto di fare addirittura il delinquente.

Amalia:         Non ti disperare, Salvatore. Nella vita ci sono varie combinazioni ed ognuno ha il suo destino. C’è chi ruba legalmente e c’è, invece, chi guadagna malamente. E’ questione di assecondare la propria vocazione senza forzare le cose.

Salvatore:     Quando Rosario era piccolo e lo vedevo crescere, speravo di farlo studiare per vederlo un giorno diventare avvocato, medico o professore ma, visto che non aveva voglia di studiare, mi sarei anche accontentato che facesse l’operaio, purché avesse un lavoro onesto e dignitoso.

Amalia:         Per fare poi la fine del morto di fame come te?

Salvatore:     Non lo voglio più vedere questo ingrato farabutto. Mi ha messo l’agitazione dentro il cuore, togliendomi la serenità e la pace familiare. Ma la colpa è anche tua perché gli hai tenuto bordo e non sei intervenuta al momento giusto. Ma con me ha chiuso definitivamente il giovanotto, io non lo voglio più vedere questo figlio snaturato.

Amalia:         Non promettere ciò di cui domani ti potrai pentire. Ricordati che Rosario è sangue nostro e, se un giorno o l’altro avrà bisogno di noi, lo dobbiamo, se possibile, aiutare. Egli è figlio a me come lo è a te e non ti puoi per principio esonerare dal tuo compito di padre, con la scusa che non approvi la sua scelta di vita.

Salvatore:     Sono molto sorpreso dalla tua determinazione, non ti ci facevo così decisa.

Amalia:         Perché pensavi che fossi meno volitiva?

Salvatore:     Non conoscevo questo lato del tuo carattere ed ora sono curioso di vedere fino a che punto sei capace di arrivare.

Amalia:         Arriverò fin dove sarà necessario arrivare per il bene di Rosario mio.

Salvatore:     Lo sai che mi fai un po’ paura con questo tuo cinismo?

Amalia:         Non sono io ma è la realtà che ti fa paura.

Salvatore:     Questa realtà mi fa paura, non la realtà. Eh! Cara Amalia, c’è una bella differenza.

Amalia:         Salvatore, cerca di aprire gli occhi una buona volta e guarda questo mondo così com’è e non come tu immagini che sia o come vorresti che fosse. Il mondo, che noi abbiamo sognato, non esiste più. Ce lo hanno portato via. L’hanno distrutto con il miraggio della bella vita, dei danari, del benessere da raggiungere a qualunque costo per non sentirsi emarginati dalla società. Quale esempio abbiamo dato ai giovani come Rosario? Quello della televisione, quello dei calciatori miliardari, delle veline, del Grande Fratello o dell’Isola dei Famosi?

Salvatore:     Amalia, non lo so, sono disorientato, non ti avevo mai sentito parlare in questa maniera.

Amalia:         Non mi hai mai sentito parlare in questo modo perché mi tenevo tutto dentro il cuore anche a costo di schiattare, ma lo vedevo che Rosario era troppo interessato ai danari e pregavo la Madonna che lo illuminasse e lo distogliesse dal proposito di intraprendere quella brutta strada.

Salvatore:     Io non ne sapevo niente. Ti giuro, Amalia, io non ne sapevo niente.

Amalia:         Come facevi a saperlo tu, se pensavi solamente al teatro, al vestito a doppio petto con le righe verticali, al bastone con il pomello argentato, che sul palcoscenico ti facevano illudere di essere un barone? Come potevi vedere quello che succedeva in casa nostra se eri concentrato nella parte del barone? Il barone!... Salvatore, anche se noi non ce ne accorgiamo perché li vediamo tutti i giorni e ci sembrano sempre delle creature, i figli crescono, si fanno grandi e ci guardano. Si guardano anche intorno, vedono il mondo come va e si comportano di conseguenza. Vogliono andare avanti mentre noi rimaniamo indietro e la distanza fra noi e loro aumenta e si fa ogni giorno più grande finché scopriamo all’improvviso che non ci si capisce più, come se parlassimo due lingue diverse. Se uno parla napoletano come fa ad intendersi con un altro che parla inglese? Ecco, ad un certo punto succede che noi continuiamo a parlare in napoletano ed i figli invece cominciano a parlare in inglese. Un giorno, mentre gli stavo stirando la camicia, Rosario mi ha guardata, si è fatto serio e mi ha detto: “mamma, Tizio ha l’automobile grande, Caio ha una bella casa, Sempronio tiene tanti danari” sempre i danari, i maledettissimi danari… “e noi, invece, non abbiamo niente. Ti sembra giusto questo?” Gli potevo rispondere che è giusto? No. Ed allora ho cercato di fargli intendere che nella vita ci sono altre cose più importanti dei danari. “Quali?” Mi ha domandato lui. Ed io gli ho risposto: di preciso non lo so ma credo che ci sia, per esempio, l’onestà, la dignità, l’amor proprio…lui mi ha guardata nuovamente e si è fatto una risata. Una risata, che me la sento ancora rimbombare nelle orecchie. Una risata di quelle strafottenti, che non scorderò mai più. Il cuore allora mi è diventato un niente, ho temuto addirittura che si fermasse, e non ho trovato nemmeno la forza di reagire. Che brutto mondo, Salvatore, che brutto mondo! In quel momento mi sono accorta che parlavamo due lingue diverse. Noi genitori non abbiamo più nulla da insegnare ai piccirilli, sanno tutto, loro, hanno imparato direttamente dalla vita e noi non serviamo più a niente. Che brutto mondo, Salvatore, che brutto mondo!

                    

(Spegnere le luci sul palco e fare luce in sala, poi una voce dice: “una settimana dopo”, poi riaccendere le luci sul palco e spegnere quelle della sala).

Scena quinta

(Salvatore, poi anche Matteo)

Salvatore:     (Suonano alla porta d’ingresso). Accomodatevi, Don Matteo, mi auguro che portiate buone notizie.

Matteo:         Altro che buone, ottime direi! L’altro giorno, quando sei stato chiamato a sostenere la parte del matto di fronte alla commissione, sei stato di una bravura eccezionale. Hai fornito un’interpretazione magistrale sia per efficacia che per qualità professionale.

Salvatore:     Ve lo avevo detto che non vi avrei fatto sfigurare. Ho fatto un matto che non avrà mai l’eguale.

Matteo:         Tale comunque da non lasciare dubbi in nessuno dei presenti. La logica dei tuoi ragionamenti ha dimostrato chiaramente che si può essere pazzi e sembrare lucidi di mente e, viceversa, essere sani e farsi passare per dementi. Bravo!

Salvatore:     Vi ringrazio per questi complimenti. Fanno molto bene al mio morale ed in un certo senso mi ridanno la fiducia nella vita.

Matteo:         Perché, l’avevi persa?

Salvatore:     A volte succedono certe cose, che ti inducono a pensare che la vita non vale niente. Poi, invece, per fortuna accadono fatti come questo e ti accorgi che c’è soddisfazione anche a fare un lavoro onesto.

Matteo:         Sono contento per te. A proposito, ti volevo dire anche che nel corso di questa bellissima vicenda, della quale sei stato brillantissimo protagonista, c’è stato purtroppo un piccolo disguido.

Salvatore:     Una cosa di poco conto, spero?

Matteo:         Sì. Un qui pro quo dell’ultimo momento, che non invalida, però, il risultato del tuo ineccepibile comportamento.....

Salvatore:     Ah, meno male!

Matteo:         .....anche se, ne mette purtroppo in discussione il lauto compenso pattuito in precedenza.

Salvatore:     Cosa state cercando di dirmi, don Matteo? Non fatemi stare sulle spine.

Matteo:         Ti volevo informare semplicemente che i documenti, che erano stati preparati per fare dichiarare pazzo mio zio, purtroppo non sono giunti a destinazione nei tempi previsti, per cui abbiamo dovuto necessariamente presentare alla commissione quelli tuoi con il risultato che, data la bravura con la quale hai recitato, la pazzia è stata riconosciuta a te

                     e non a mio zio, (tira fuori un foglio di carta e lo porge a Salvatore) come è riportato chiaramente nel verbale sottoscritto da tutti i componenti della giuria.

Salvatore:     In pratica cosa significa tutto questo?

Matteo:         Significa che da oggi in poi ti potrai vantare ufficialmente di avere conseguito questo importantissimo riconoscimento e fregiarti, quindi, del titolo di pazzo per dimostrare a tutti i tuoi concittadini che sei un attore di indiscutibile valore (gli consegna il verbale nelle sue mani).Ecco, prendilo pure e conservalo bene.

Salvatore:     Ma io non desideravo questo, mi ero prestato per fare un favore a vostra signoria ma non pensavo che si arrivasse a tanto.

Matteo:         Quello che pensavi prima non conta niente. Tu ora tieni in mano il certificato della commissione competente a giudicare sulle condizioni della nostra mente e questo è un atto ufficiale.

Salvatore:     Questo è uno scherzo, spero, che mi avete combinato per vostro divertimento? Le cose invece stanno un po’ diversamente, non è vero? (perdurando il silenzio di Matteo) Ditemi, perciò, che è tutto inventato e che non è vero niente. Su, ditemelo, per favore. Me lo volete dire sì o no?

Matteo:         No. Io non scherzo mai quando lavoro. Ed in questa circostanza ho lavorato.

Salvatore:     Allora perché l’avete fatto, rischiando di mettermi nei guai?

Matteo:         Non c’è stata premeditazione da parte mia. E’ stata solamente una casuale combinazione di fatti imprevedibili, che si sono intrecciati malamente fra di loro…

Salvatore:     Che si sono intrecciati malamente?

Matteo:         Sì, si, malamente ed hanno dato un esito a sorpresa, diverso comunque da quello che io stesso mi aspettavo.

Salvatore:     Ed ora cosa ci faccio io con il certificato?

Matteo:         Cosa ci fai? Se utilizzato bene ed al momento giusto il certificato può essere una risorsa di incredibile valore, non un impedimento.

Salvatore:     Don Matteo, per piacere, parlate chiaro perché certe cose sinceramente non le capisco.

Matteo:         Ah! Se non capisci questo vuole dire che sei davvero un deficiente ed allora il discorso potrebbe ritenersi chiuso e buonanotte ai suonatori.

Salvatore:     No, no. Vi prego, proseguite. Vorrà dire che mi sforzerò di comprendere tutto quello che voi dite ma se vi sarà possibile parlate chiaramente, abbiate un po’ di compassione per un povero ignorante.

Matteo:         Ora che sei un pazzo patentato sei libero, per esempio, di dire tutto ciò che vuoi, di spifferare la verità ai quattro venti, anche quella più crudele, senza che alcuno se ne possa avere a male, come se tu fossi diventato all’improvviso quel famoso personaggio di Pirandello, di cui al momento mi sfugge il nome… ah, ecco! Mi pare che si chiamasse Enrico.

Salvatore:     Giuro che fino a qui lo sto capendo, forse non sono ancora del tutto deficiente, vi prego quindi di proseguire.

Matteo:         Puoi consentirti anche di fare le pernacchie ai governanti, di dare del buffone al presidente senza rischiare una querela, di dire male dei potenti, di insultare tutti i tuoi parenti. Puoi prenderti in sostanza tutte quelle soddisfazioni che senza il certificato non potresti.

Salvatore:     Dite veramente o mi state prendendo in giro?

Matteo:         Salvatore, tu non sei un pazzo veramente ma hai la fortuna di sembrare tale agli occhi della gente. Se saprai sfruttare questa fortuna, che ti è caduta addosso, potrai essere utile a te stesso ed a chi ti vuole bene senza compiere un grande sforzo né rischiare più di tanto.

Salvatore:     Cosa dovrei fare, secondo voi, per rendermi utile a chi mi vuole bene?

Matteo:         In questo momento non saprei darti una risposta esauriente, non avendo ben chiara nella mia mente la situazione generale, ma prevedo che qualche cosa potrai fare a brevissima scadenza. Per ora ti saluto e ti rinnovo i complimenti.

Salvatore:     Molte grazie, siete stato molto chiaro ed io vi assicuro che ho capito tutto. Tutto, proprio tutto.

Matte:           Allora ricordati che il certificato è una risorsa da sfruttare.

Salvatore:     Spero che voi abbiate ragione. Questa è una specie di patente che, a mia insaputa, bontà vostra, mi avete voluto attribuire ed io cercherò di farne buon uso, come voi mi suggerite.

Matteo:         Bravo, così mi piaci. Addio, Salvatore, e buona fortuna. (Si avvia verso l’uscita).

Salvatore:     Arrivederci, Don Matteo. (Poi, passeggiando per la stanza, si rigira fra le mani il verbale e via via dà lettura ad alta voce di alcuni passi). Visto, visto, visto, ma cosa mai avranno visto?... Dopo l’audizione del paziente...., quello paziente sono io, naturalmente, perché gli altri mi sembravano molto nervosi, ...... la commissione giudicante dichiara all’unanimità che Salvatore Cipolletta, fu Mariano, è affetto da pazzia. All’unanimità… Eh! Cari professori, ci siete cascati. Chissà come ci rimarrebbero male se scoprissero di essere stati ingannati da un attore? Certo, la mia è stata una interpretazione perfetta, come ha riconosciuto lo stesso don Matteo, ma mi sa tanto che loro, i professori, capiscano poco dei misteri della mente se sono giunti alla conclusione che Salvatore Cipolletta è affetto da pazzia.. A meno che don Matteo non mi abbia giocato un brutto tiro, dandomi una bella fregatura. A dire il vero quel suo modo di parlare non mi è piaciuto tanto. Troppe reticenze, troppi sottintesi: vedrai, potrai, farai… Il certificato è una risorsa perché puoi dire tutto quello che vuoi, puoi fare quello che ti pare come quel famoso personaggio di Pirandello. Che paragone è questo? Cosa c’entra in questo caso Pirandello? Quel personaggio, famoso, io ce l’ho presente. Quello era caduto da cavallo… ma io, invece, non sono mai caduto nemmeno dal seggiolone. Forse don Matteo mi ha raggirato, facendomi credere una cosa per un’altra ed io ci sono cascato come una pera cotta.

Scena sesta

(Salvatore, quindi Amalia)

Amalia:         (Entra e chiede). Se n’è andato Pulvirenti?

Salvatore:     Tu lo vedi?

Amalia:         No.

Salvatore:     Allora vuole dire che se n’è andato. Domanda inutile.

Amalia:         Quanto sei spiritoso!

Salvatore:     A proposito, mi ha detto Don Matteo che è successo un qui pro quo. In sostanza mi ha detto che i documenti di suo zio non sono pervenuti in tempo utile e che è stato, quindi, necessario…

Amalia:         Presentare alla commissione quelli tuoi. So già tutto, non c’è bisogno che me lo spieghi pure tu.

Salvatore:     Perché, chi te l’ha detto?

Amalia:         Don Felice. Mi ha spiegato per filo e per segno tutto quello che è accaduto.

Salvatore:     E cosa te ne sembra?

Amalia:         Non ci trovo nulla di strano.

Salvatore:     Come nulla di strano?

Amalia:         Che colpa ne ha il povero Don Matteo se i documenti dello zio sono arrivati troppo tardi? Mica li doveva portare lui, poveretto?

Salvatore:     Amalia, tu mi stai sorprendendo ancora una volta. Mi sembri un po’ troppo accomodante e comprensiva nei confronti di Don Matteo Pulvirenti, che in fondo non è stato di parola ed ha combinato un bel pasticcio.

Amalia:         Lo faccio per sdrammatizzare. In fondo non è successo niente di grave. E' una vicenda quasi comica da non prendere, quindi, molto sul serio.

Salvatore:     Io ho l’impressione che tu non abbia compreso bene ciò che è accaduto o che deliberatamente lo voglia sottovalutare.

Amalia:         Ma cosa vai a pensare?

Salvatore:     In pratica sono andato per recitare la parte dello zio rincoglionito di don Matteo, amico fraterno di don Felice ed, alla fine di tutto questo, è risultato, invece, che il pazzo sono io.

Amalia:         Ebbene?

Salvatore:     Non ti sembra quantomeno stravagante questa cosa?

Amalia:         Cosa vuoi che sia uno scambio di persona. Può succedere tante volte. Al telefono, per la strada, ai mercati generali…

Salvatore:     Mi fai venire il nervoso a sentirti dire queste cose.

Amalia:         E’ importante che tutto questo non sia stato vano e che ora puoi fare sapere a tutti di avere in mano un certificato, che attesta la tua bravura nell’interpretazione teatrale. E’ la conferma, che ti ci voleva, per fare un passo avanti nella carriera di attore.

Salvatore:     A quanto pare tu trovi tutto questo normale, anzi addirittura interessante, stai diventando per caso una mia tifosa o ti stai innamorando del teatro?

Amalia:         Non tutti i tuoi colleghi teatranti possono vantarsi di avere lo stesso documento. Secondo me è un privilegio del quale dovresti andare fiero.

Salvatore:     Essere pazzo senza avere la pazzia è una situazione sconvolgente, Amalia mia. C’è il rischio che, prima o dopo, io impazzisca veramente. Da non augurare al peggior nemico. Al solo pensiero mi sento meno stabile il cervello.

Amalia:         Non esagerare con questo turbamento, pensa piuttosto ai vantaggi che potrai avere.

Salvatore:     Ti ha detto anche questo Don Felice?

Amalia:         No. Questo è ciò che penso io.

Salvatore:     E quali sarebbero, di grazia, questi vantaggi?

Amalia:         Ma come, non te ne rendi ancora conto? Hai la possibilità, più unica che rara, di fare, per esempio, il deficiente se ti devi togliere d’impaccio, di fingere di non capire ciò che non ti conviene, di trovare una scusante per un’offesa fatta o per una parola detta, di chiedere l’esonero per una pena inflitta. Avere il certificato al giorno d’oggi è una fortuna.

Salvatore:     Che fortuna!

Amalia:         Potessi averlo io, Santa Madonna! Mi metterei a strillare tutto il giorno contro le ingiustizie del mondo; contro chi ci fa marcire nella miseria più nera; contro chi non si fa carico delle esigenze dei giovani, poverini, che sono costretti ad arrangiarsi da soli per non farsi sopraffare da quelli prepotenti. Vorrei avere anch’io il certificato per dirti una volta per tutte che sei un buono a nulla; che non ti sei curato mai della famiglia; che vivi ancora di illusioni, mentre da un momento all’altro ci può crollare il mondo addosso senza darci nemmeno il preavviso. Beato te, che tieni il certificato e puoi continuare a recitare la commedia della vita mentre l’altra faccia, che è un dramma, la sto vivendo io.

Salvatore:     Sì, sì, certo. Io tengo il certificato! Ma cosa volete da me? Questo ancora non l’ho capito. Se lo volete ve lo regalo perché non lo posso più sentire nemmeno nominare.

Amalia:         Lo sai o non lo sai che, mentre tu ti lamenti per un semplice scambio di persona, tuo figlio è costretto a fare l’assassino?

Salvatore:     Chi, Rosario nostro?

Amalia:         Per l’appunto, proprio lui.

Salvatore:     E perché, se è lecito saperlo?

Amalia:         Come tu sai, Rosario si è messo a trafficare in un settore dove c’è una forte concorrenza e se vuole, poverino, migliorare la sua condizione non ha alternativa: deve eliminare ad ogni costo il suo rivale. Me lo ha detto l’altro ieri don Felice e mi ha messo nell’angoscia.

Salvatore:     Accidenti, ma don Felice è una fonte inesauribile di notizie. Peccato che siano tutte brutte, per la miseria!

Amalia:         Se decidesse di farlo personalmente, Dio ne scampi, Rosario rischierebbe trent’anni di galera o l’ergastolo addirittura, lo capisci questo, no?

Salvatore:     Non sarebbe meglio allora se rinunciasse a questo suo proposito omicida?

Amalia:         Come fa a rinunciarvi?

Salvatore:     Come fa? Lo fa e basta.

Amalia:         Ah! Se avesse almeno il tuo certificato…

Salvatore:     Pure lui?

Amalia:         Sarebbe senz’altro più protetto nei confronti della legge. Con quel pezzo di carta, che tu disprezzi tanto, potrebbe farla franca per accertata incapacità di intendere e volere oppure invocare la seminfermità mentale ed ottenere una drastica riduzione della pena se la situazione si mettesse male.

Salvatore:     Cosa possiamo fare noi per aiutarlo?

Amalia:         Se, invece di lasciare che il ragazzo vada personalmente allo sbaraglio, potessi farlo tu al posto suo, saremmo tutti più tranquilli, non ti pare?

Salvatore:     E che sono scemo io?

Amalia:         No. Tu non sei scemo. Sei pazzo. Ed in quanto tale saresti scagionato da tutti i tribunali.

Salvatore:     Ma chi crederebbe mai alla storiella di Salvatore Cipolletta che, diventato pazzo, s’improvvisa ad un tratto anche assassino?

Amalia:         Tieni o non tieni il documento, che fa fede della tua pazzia?

Salvatore:     Lo tengo, lo tengo, eccolo qua.

Amalia:         E se lo tieni ci devono credere anche con la soperchieria.

Salvatore:     Amalia, tu straparli, amore mio. Mi dispiace ma non me la sento di assecondarti in                      questa brutta fantasia, perché questa mi sembra una pazzia vera e non simulata com’è,             grazie a Dio, quella mia. Non mi ci vedo a sparare a tradimento ad un uomo, che non                mi ha fatto niente e che magari non conosco.

Amalia:         Non ti ci vedi?

Salvatore:     No. Al solo pensiero la mia coscienza si ribella e mi tremano anche le mani. No, non mi sento all’altezza per una operazione così complicata.

Amalia:         E va bene. Non lo vuoi fare? E non lo fare. Se sei così fragile e non te la senti di sparare, non sparare, così metti a tacere la tua coscienza, poverina, e puoi continuare a vivere tranquillo senza il tremolio delle mani. Quello che è giusto è giusto ed io rispetto la tua posizione.

Salvatore:     Meno male che sei d’accordo pure tu.

Amalia:         Ma una cosa la devi fare, Salvatore, per salvare nostro figlio dal pericolo imminente di andare carcerato. Questa cosa non me la puoi rifiutare, sennò per te saranno guai.

Salvatore:     Cosa dovrei fare? Sentiamo.

Amalia:         Mo’ te lo dico. Tu sei indubbiamente un attore di arte sopraffina ed anche se, come dici, non sei capace di sparare, all’occorrenza, se sarà necessario, dovrai almeno essere pronto a recitare la parte di quello, che ha sparato veramente.

Salvatore:     Tu sei pazza, Amalia. Mi faresti andare in galera da innocente senza provare per me alcuna compassione, al solo scopo di soddisfare la sfrenata ambizione che avete madre e figlio. Ma tu sei pazza, sei pazza!

Amalia:         Ti sbagli, caro mio, perché fino a prova contraria il pazzo in casa Cipolletta sei

                     solamente tu.

Salvatore:     Non è vero, non è vero, non sono pazzo, è stato tutto un imbroglio… mi hanno messo di mezzo. Io non sono pazzo… Non sono pazzo…Non sono pazzo....

Amalia:         Strilla, strilla, grida più forte che puoi. Fatti sentire da tutto il vicinato, così la gente ti prenderà per matto e crederà più facilmente alla nostra messa in scena.

Salvatore:     Io non sono pazzo ed il certificato ora lo faccio in mille pezzi. Ecco vedi, uno, due, tre… (Lo strappa). Ecco, così non c’è più il documento che attesta la mia pazzia, sei contenta ora?

Amalia:         Ma cosa strappi?  Non ti sei accorto che quella era una semplice fotocopia. L’originale è ben custodito dal notaio.

Salvatore:     Avete pensato a tutto! Siete una masnada di delinquenti.

Amalia:         Salvatore, forse non hai ancora capito, ma tu non hai scampo. Quello che in tanti anni non hai fatto da savio, lo devi fare ora che sei stato riconosciuto pazzo e per una volta nella tua vita ti devi sacrificare per la famiglia. Sei l’unico che lo può fare e non ti puoi sottrarre a questo imprescindibile obbligo paterno. E’ giunto il momento di assumerti la responsabilità, che ti compete, per avere messo al mondo un figlio. Da questa rete non potrai fuggire.

Salvatore:     Amalia, questa parte non la voglio fare. Non mi si addice veramente. Sono certo che andrei incontro ad un fiasco clamoroso con pregiudizio anche per la mia carriera di attore e per il mio decoro di artista. Io sono un attore, non sono un assassino.

Amalia:         Hai solo qualche giorno per pensarci sopra ma non credere di poterla fare franca o di lavartene le mani come Pilato. Te lo dice Amalia, la figlia di Don Marengo Nocesecca. Guardami in faccia, Salvatore. Questi miei occhi, che ora vedi asciutti, non dovranno piangere per colpa tua o della tua coscienza. Il figlio me lo devi salvare e me lo salverai a qualunque costo, tienilo bene a mente. (Esce di scena dalla porta che dà nella camera da letto).

Scena settima

(Salvatore da solo, quindi, con Don Domenico)

Salvatore:     (Passeggia nervosamente per la stanza, rimugina le parole che gli aveva detto Amalia e poco dopo si rivolge a San Gennaro, raffigurato nell’effigie attaccata alla parete). Il figlio me lo devi salvare e me lo salverai… A qualunque costo… tienilo a mente. Come? Come? San Gennaro, vi avevo pregato umilmente di darmi un aiuto in questa delicatissima vicenda ma è il caso di dire che avete esagerato. Mi sono trovato da un momento all’altro in una situazione paradossale a causa forse della scarsa attenzione, che avete prestato al caso mio. Se ora poteste rimediare con un intervento appropriato, caro San Gennaro, io vi sarei riconoscente. E non vi dico altro per non essere troppo pressante. (Riprende a passeggiare nervosamente per la stanza). Me lo devi salvare e me lo salverai… E me lo salverai… E’ una parola. (Si avvicina verso la porta della cucina, allunga una mano ed afferra un fiasco di vino dalla cucina. Lo guarda, lo riguarda). Ha detto Don Domenico che qua dentro c’è la verità. (Ne beve un sorso direttamente dal fiasco). Avesse ragione lui mi leverei subito lo sfizio di sapere finalmente cosa c’è sotto a tutto questo intrigo. Come mai Amalia, che di regola è molto combattiva, è stata così accomodante sul presunto errore commesso a mio danno da Matteo Pulvirenti? E quale ruolo sta svolgendo in questa vicenda quel ruffiano di Don Felice, che se ne sta acquattato dietro le quinte di tutta questa vicenda e poi si scopre all’improvviso che sa tutto lui? (Intanto suonano alla porta. Salvatore mette a posto il fiasco del vino, va verso la porta d’ingresso e riceve la visita inattesa di Don Domenico Triaca).

Domenico:    E’ permesso?

Salvatore:     Prego, prego, accomodatevi. Oh! Don Domenico, capitate proprio a proposito. Il cielo forse vi ha mandato in questa casa.

Domenico:    (Gli batte una mano sulla spalla) Caro Salvatore, i tempi sono duri e chi non ha strumenti adeguati per difendersi in questo mondo di lupi, rischia di soccombere inesorabilmente. Gira e rigira hanno ragione sempre i prepotenti perché per i deboli non c’è sufficiente protezione da parte dello Stato.

Salvatore:     Questa sera state dicendo una grossa verità ancora prima di avere bevuto il vino!

Domenico:    Se un povero cristo qualcosa non la vuole fare, perché non la ritiene giusta, lo mettono in croce e gliela fanno fare con la forza. Gli girano alla larga, gli fanno i complimenti e tentano di convincerlo usando il bastone e la carota. Ma, se non ottengono l’effetto desiderato, passano subito alle maniere forti ed a nulla vale allora resistere ai loro assalti. A nulla, proprio a nulla.

Salvatore:     Avete ragione, Don Domenico. Prima che voi arrivaste, inaspettatamente, in questa casa, io stavo riflettendo per l’appunto su queste cose e non vedevo via d’uscita.

Domenico:    Forse non la vedevi perché una via d’uscita non c'è?

Salvatore:     Voi afferrate l’attimo fuggente, come si suole dire volgarmente, e cogliete sempre nel segno. O siete un mago oppure siete molto bene informato. Forse avete fatto un patto con il diavolo, che vi suggerisce di volta in volta cosa dovete dire.

Domenico:    Niente di tutto questo, caro amico. Io sono semplicemente un attento osservatore della realtà, che ci circonda, e tengo le orecchie sempre tese per cercare di carpire cosa porta il vento. Certe cose si respirano nell’aria ed io da qualche giorno sento puzza di violenza.

Salvatore:     Ascoltando le vostre parole mi sono persuaso che non vi è alcuna possibilità di reagire di fronte a tanta prepotenza, organizzata da un manipolo di esperti del settore. Forse anche Amalia, poverina, non si è potuta ribellare all’arroganza di questi mascalzoni e sta cercando in tutti i modi di farmelo capire.

Domenico:    E’ inutile tentare di resistere quando l’esito è scontato.

Salvatore:     Don Domenico, se devo partecipare a questo dramma, allora credo che sia meglio che io lo faccia da protagonista, per prendermi almeno l’applauso a scena aperta. Questa potrebbe essere l’ultima recita della mia vita e desidero che essa sia esemplare per lasciare almeno un buon ricordo nella gente. Reciterò, pertanto, la parte, che mi tocca, cercando di  convincere tutti che sono un assassino, per il bene della mia famiglia.

Domenico:    Ti faccio i miei auguri.

Scena ottava

(Entrano Amalia, Don Felice e Settimina)

Salvatore:     Buongiorno, don Felice, quali notizie portate?

Don Felice:   Sono venuto per dirti di stare tranquillo perché tutto sta procedendo secondo le previsioni.

Salvatore:     Mi fa piacere saperlo.

Amalia:         E Rosario mio come sta?

Settimina:     Ha detto Teresina che è molto nervoso.

Amalia:         Povero figlio!

Don Felice:   Statti zitta, Settimina. Rosario non ha alcun motivo per essere nervoso. Salvatore, in attesa degli eventi penso sia opportuno che tu ti tenga pronto a qualunque evenienza.

Salvatore:     Sono pronto, don Felice, sono pronto.

Settimina:     E’ pronto, hai sentito, Felice? E’ pronto…

Don Felice:   Statti zitta…

Settimina:     Non parlo più.

Amalia:         Sei pronto, Salvatore?

Salvatore:     Sì, Amalia, sono pronto. Io sono un attore consumato, con anni di esperienza sulle spalle, e sono in grado, quindi, di affrontare situazioni anche difficili e di sostenere qualunque ruolo, anche quello più impegnativo. E’ vero, don Domenico?

Domenico:    E’ la verità.

Amalia:         Io ho ancora fiducia che San Gennaro all’ultimo momento ci faccia la grazia.

Settimina:     Ma quale grazia! Oramai è troppo tardi.

Don Felice:   Settimina…

Settimina:     (Si mette l’indice sulle labbra per significare che terrà la bocca chiusa).

Salvatore:     Cara Amalia, la vita dell’attore è imprevedibile ed è sempre in bilico fra realtà e finzione. Con il passare del tempo si fa molta fatica a tenere separata l’una dall’altra e non sempre purtroppo ci si riesce, perché le due cose tendono inevitabilmente a confondersi fra di loro. Io oggi sto facendo fatica a comprendere quello che sta succedendo in questa casa. Non si capisce più dove finisce la commedia e dove comincia, invece, il dramma. Dico bene, don Domenico?

Domenico:    E’ la verità, è la verità.

Amalia:         Era meglio se continuavi a fare il contrabbandiere di sigarette.

(Entra Rosario)

Rosario:        (Con fare strafottente). Buonasera a tutti. E’ bello stare a veglia, non è vero?

                     (Alla sorpresa generale segue il silenzio imbarazzato di tutti).

Amalia:         Perché sei venuto in casa, disgraziato?

Rosario:        Sono venuto per salutare papà e per ringraziarlo.

Amalia:         Hai una bella faccia tosta, non c’è che dire.

Rosario:        Papà, tu sei un grande attore. Io sono certo che te la caverai alla grande.

Don Felice:   Si, si. Salvatore è un grande attore…

Settimina:     Un grande attore, vero don Domenico?

Domenico:    E’ la verità.

Settimina:     Meno male, per una volta ci ho azzeccato.

(Entrano due carabinieri)

Brigadiere:   Salvatore Cipolletta, fu Mariano, di professione attore, chi è di voi?

Salvatore:     Sono io, per servirvi.

Brigadiere:   Ho per voi un mandato di cattura da eseguire. Siete accusato di omicidio volontario ai danni di tale Pasquale Di Bisceglie, di anni ventinove, pregiudicato.

Salvatore:     Se è così… (Offre i polsi per farsi mettere le manette e rimane con le braccia protese in avanti) non fate complimenti. Era una cosa che dovevo fare nell’interesse della famiglia ed io l’ho fatta. Me ne assumo, quindi, tutta la responsabilità.

Brigadiere:   Se lo avete fatto è giusto che ora ne paghiate le conseguenze?

Salvatore:     Naturalmente. Se uno sbaglia deve pagare il suo debito alla giustizia.

Brigadiere:   Appuntato, gli  metta le manette.

Amalia:         Un momento, brigadiere, voi non lo potete arrestare.

Brigadiere:   Perché?

Amalia:         Lui tiene il certificato.

Brigadiere:   Quale certificato?

Amalia:         E’ pazzo, brigadiere. Salvatore Cipolletta è pazzo (e con l’indice della mano destra si tocca la tempia).

Brigadiere:   Pazzo?

Amalia:         Sì, pazzo è.

Brigadiere:   Ma cosa state dicendo?

Don Felice:   Sì, sì, lo confermo. Salvatore Cipolletta è pazzo conclamato, non lo sapevate?

Settimina:     Lui ha il certificato della commissione della pazzia, lo sanno tutti ormai.

Amalia:         Don Domenico, ditelo anche voi al brigadiere che Salvatore è pazzo.

Domenico:    Sì, sì, è la verità.

Brigadiere:   (Fa cenno all’appuntato di eseguire e mentre questi prepara le manette).Non preoccupatevi, signori. La giustizia deve fare il suo corso normale e se il signor Cipolletta è pazzo, come voi dite, lo accerterà sicuramente e provvederà di conseguenza.

Don Felice:   Lui tiene il documento, non lo potete arrestare. Quello che state facendo è una soperchieria.

Salvatore:     (Mentre l’appuntato gli applica le manette ai polsi). Lasciate perdere, don Felice, per favore. I carabinieri devono fare il loro dovere. (Poi, rivolgendosi a Domenico). Caro don Domenico, avevate ragione voi nel dire che la verità è brutta assai. Essa non si trova, però, solamente dentro il vino ma, come potete constatare voi stesso, si trova anche dentro questa casa. Ed è brutta, proprio brutta la verità. (Si rivolge, quindi, ad Amalia, che vede commossa). Amalia, non piangere, non ce n’è motivo. Tanto sarò molto presto di ritorno, libero, non è vero, don Felice?

Don Felice:   Certo, certo, libero. Il certificato parla chiaro, chiaro, chiarissimo.

Amalia:         (Bacia Salvatore, lo abbraccia ma non riesce a dirgli nemmeno una parola e quando si scosta dal marito si asciuga gli occhi umidi di pianto).

Salvatore:     Hai sentito, Amalia? Il certificato parla chiaro. Piuttosto ricordati di portarlo quanto prima all’avvocato. (Poi si gira verso il figlio, lo fissa con lo sguardo e scuote la testa). A te, Rosario, voglio dirti solamente una cosa: era meglio per tutti se facevi l’attore di teatro. Brigadiere, per capire la bellezza del teatro, bisognerebbe viverci dentro, mangiarci, dormirci, respirare l’aria, che c'è dentro....

Brigadiere:   Certo, certo, dentro, dentro, stai tranquillo Cipolletta. Ma ora andiamo, non perdiamo altro tempo.

Salvatore:     (Mentre i carabinieri lo spingono verso l’uscita). Amalia, mi raccomando, non ti dimenticare del certificato, hai capito? Altrimenti questi mi lasciano dentro veramente.

Amalia:         (Annuisce ma non ha la forza di parlare e gli fa un cenno di saluto con la mano).

Salvatore:     (Insiste). Il certificato. (E, giunto sulla soglia della porta di uscita, alza le braccia al cielo mostrando i polsi con le manette, si volta verso la moglie e ripete). Amalia, il certificato, il certificato… (Esce insieme ai carabinieri).

Domenico:    (Fa un passo avanti e, rivolto a tutti gli altri, dice). Signori, questa è la verità.

SIPARIO