Il cilindro

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IL CILINDRO

IL CILINDRO

di

Stefano Iatosti

PERSONAGGI

Flavio Rocchi 
Benedetta 
Giada 
Pamela 
Gaspare 
Visitatore 


PRIMO QUADRO


Siamo a Roma, nei primi anni Ottanta, nella grande sala, dipinta di bianco, di una galleria d’arte, la “Scala a chiocciola”. Un bancone con ali curvilinee sulla sinistra. Dietro il bancone, sul fondo, una libreria, con libri d’arte, cataloghi e riviste. A destra, nell’angolo di fondo, una scala a chiocciola metallica. Le pareti, per l’occasione, sono nude, allo scopo di non interferire con le opere esposte. E’ il giorno successivo al vernissage della mostra di Flavio Rocchi, uno scultore in origine figurativo, ma ora convertito alla minimal art. Le sue opere si presentano come solidi geometrici di grandi dimensioni, realizzati in materiale plastico rigido. Le superfici sono brillanti, color pastello; parallelepipedi gialli, una sfera azzurra e un grande cilindro rosso, che chiude l’itinerario del visitatore, un percorso costruito sugli equilibri delle masse e la loro relazione con lo spazio circostante. 
In sottofondo si ascolta una lunga composizione strumentale “minimalista”, fondata sul principio della ripetizione ossessiva della stessa sequenza a cui vengono però apportate di volta in volta microvariazioni melodiche, ritmiche e/o timbriche. 
Flavio e Benedetta, la gallerista, sono seduti su poltroncine girevoli, dietro il bancone della galleria, sul quale troviamo fascicoli, riviste, libri e cataloghi d’arte, nonché, in bella mostra, un libro che raccoglie le firme e gli eventuali commenti dei visitatori. Flavio, svagato, sta sfogliando un catalogo. Squilla il telefono, sulla sinistra del bancone; Benedetta allunga una mano per afferrare la cornetta. 

BENEDETTA (al telefono) “Scala a chiocciola”, buonasera. (...) Ah, sei tu. 
Entra Gaspare, un critico d’arte, in completo color crema, di lino, un po’ sgualcito. 
GASPARE E’ permesso?
FLAVIO (alzando lo sguardo, ironico) Sei qui per il rinfresco? 
BENEDETTA (facendo, mentre parla al telefono, un cenno di saluto a Gaspare, che si è avvicinato al bancone) No, guarda, le cose non stanno così...
GASPARE Non ditemi che è finito tutto.
FLAVIO Credo che ci sia ancora una tartina, da qualche parte. Prova a cercare.
GASPARE No, grazie, sono a dieta. (Cambiando tono) Allora, vogliamo vederle, le tue opere? Ti giuro, se avessi potuto, sarei tornato ieri da Milano, ma tu sai bene che...
FLAVIO L’importante è il pensiero.
Gaspare alza le spalle in tono di scusa, poi si guarda attorno.
GASPARE Be’... io do’ un’occhiata in giro.
FLAVIO Prego.
Gaspare comincia a esaminare le grandi figure geometriche.
BENEDETTA (al telefono) Non è questo, il punto... no... (alzando la voce senza rendersene conto) glielo devi dire in faccia quello che è... sì, uno stron... (voltandosi verso Flavio, che la sta guardando) Scusate (al telefono) no, dicevo a Flavio, Flavio Rocchi... lo scultore, lo conosci, no? (...) Allora perché non fai un salto qui, magari più tardi... facciamo domani, allora... io sto tutto il pomeriggio, fino alle otto... poi, di quella cosa... sì, ne parliamo a voce... d’accordo... a domani. (Rimette a posto la cornetta)
GASPARE (a Flavio) Perché rosso, il cilindro?
FLAVIO Perché no...
GASPARE (non molto convinto, divagando) E la musica?
FLAVIO L’ha scelta Benedetta. Che ne pensi?
GASPARE (vago) E’... suggestiva. Appropriata all’ambiente, direi.
In quel momento entra nella sala un visitatore, un uomo alto, magro, con gli occhiali, un po’ impacciato; fa un cenno di saluto ai presenti, che rispondono silenziosamente e dopo essersi guardato attorno comincia a muoversi fra le sculture, ma seguendo il percorso inverso a quello di Gaspare, così che i due finiscono per incrociarsi.
GASPARE (lasciandogli il passaggio) Prego.
VISITATORE Scusi.
GASPARE (a Flavio) Hai visto la mostra di Parson, a Firenze?
FLAVIO Lo sai, che non vado alle mostre.
GASPARE No, te lo dico perché avete qualcosa in comune, tu e... bada, lui lavora solo con l’acciaio. Strutture modulari monocrome, niente di vistoso... 
FLAVIO Un puro...
GASPARE Senza ironia. C’è qualcosa che vi avvicina, nella ricerca.
Fa il suo ingresso nella galleria Giada, l’attuale amante di Flavio. E’ una ragazza minuta, dai lineamenti fini. Con la sua presenza attira subito gli sguardi diventando così il centro dell’attenzione generale.
GIADA (con discrezione) Buonasera.
Tutti rispondono al saluto. Giada si avvicina a Flavio sorridendo. L’uomo risponde meccanicamente al sorriso e al saluto sussurrato della ragazza: nei suoi gesti trapela una lieve insofferenza.
GIADA Come sta andando?
FLAVIO Come sempre. Ieri una folla, oggi il deserto.
GIADA Vedrai che la gente arriva.
Giada dà uno sguardo d'assieme alle opere esposte, mentre Flavio la osserva con aria scettica.
FLAVIO Ti piacciono?
GIADA (con semplicità) Sì.
FLAVIO Davvero?
GIADA Le trovo, come dire, “essenziali”. 
BENEDETTA (ironica) Gli manca solo la parola...
GIADA Voglio dire che esprimono solo se stesse.
FLAVIO E questo è bene?
BENEDETTA Tutta l’arte esprime solo se stessa. A meno che tu voglia riconoscerci Flavio, in quel cilindro.
FLAVIO Io mi ci riconosco.
GIADA Non credo che abbia ancora un senso... sempre che il mio giudizio conti qualcosa...
BENEDETTA (che prende la semplicità di Giada per una posa) Oh, senti...
GASPARE Per carità, è il nostro, giudizio, che ha poco valore. Direi quasi che non ha più ragion d'essere. Ecco, per esempio il signore, che presumo un appassionato d'arte... (al visitatore) Lei è d'accordo, con quanto è stato detto? Qual è la sua opinione?
VISITATORE (confuso, guardando prima il critico, poi Giada, poi di nuovo il critico) Non so, non ho capito bene la domanda.
GASPARE La prego di scusarmi, non intendevo metterla a disagio.
VISITATORE Ma no, la prego. Le discussioni sull'arte mi hanno sempre interessato. Il fatto è che sono soltanto, come dice lei, un appassionato, non un addetto ai lavori.
FLAVIO Non abbia timore. Le valutazioni del pubblico e soprattutto di chi non ho invitato io, m'interessano molto.
VISITATORE Grazie. Però... io non credo di saper valutare le sue opere, glielo dico sinceramente. Posso trovarle interessanti o insolite, ma –mi perdoni- non riesco a dire se... Il fatto è che l'arte, insomma l'arte astratta...
GASPARE Lei è stato molto chiaro, proprio con la sua difficoltà a esprimere un giudizio. Ma non si tratta di astrazione o figurazione. La minimal art non si rivolge al pubblico con un intento evocativo e tanto meno riproduttivo. E' piuttosto, per così dire, un turbamento dello spazio, la ricerca del grado zero della percezione.
VISITATORE Non credo d’aver afferrato il concetto...
FLAVIO Vuol dire che siamo noi che, con i nostri occhi, il nostro modo di guardare e di porci nei confronti di queste strutture, siamo noi, a dare un senso alla ricerca. 
GASPARE All’organizzazione dello spazio.
GIADA (scolastica) Che nasce dalla definizione di un ordine che lega gli elementi e la loro disposizione nell’ambiente.
VISITATORE Lei parla molto bene, signorina.
GASPARE Che ci vuol fare, è un’artista. E ormai ogni artista è un critico. Mi chiedo cosa ci stiamo a fare, noi.
GIADA Un artista è sempre invischiato nelle sue opere.
GASPARE E il critico nella sua fede.
Silenzio. Il visitatore, che si sente un estraneo appare un po’ a disagio. 
VISITATORE Se permettete, dovrei andare.
BENEDETTA Prima firmi il libro degli ospiti, la prego.
VISITATORE (impacciato) Ah sì, certo. (Scrive qualcosa sul libro aperto sul bancone).
BENEDETTA (cordiale) Torni a trovarci. 
VISITATORE Non mancherò. 
Il visitatore si avvia col suo fare un po’ goffo verso l'uscita, non senza aver rivolto ancora un cenno di saluto ai presenti e una rapida occhiata a Giada. Tutti si limitano a un cenno o a un sorriso di circostanza. Il visitatore esce. Benedetta appare urtata -per gelosia- dal successo di Giada; Gaspare invece è visibilmente attratto dalla studentessa. Dei tre, il meno interessato alla ragazza appare proprio Flavio. 
GIADA (girando fra le sculture) Sono così compiute, definitive...
GASPARE Certo non ti somigliano. 
GIADA (incuriosita) Che vuoi dire?
GASPARE Che tu sei giovane e in continua evoluzione...
Benedetta assume un’espressione ironica, ma si trattiene dal commentare.
GIADA Sei troppo gentile. Io non ho ancora fatto niente. Cosa sono in confronto a Flavio?
BENEDETTA (a Flavio, che sta sfogliando un catalogo) L’hai sentita?
FLAVIO Sì, sì...
GASPARE Flavio Rocchi, sarai uno scultore passabile, ma come uomo...
BENEDETTA Flavio è troppo preso da sé, come tutti i veri artisti.
GIADA Ma io so aspettare.
GASPARE Ah, che uomo fortunato... 
BENEDETTA (a Flavio, sempre preso dal catalogo) T'interessa tanto Mastrolli? Credevo che con la figurazione avessi chiuso.
FLAVIO Io non chiudo mai con niente.
GASPARE Certo. Lui è come Giada. Un esperimento continuo. Un fuoco d'artificio.
FLAVIO C'è un silenzio in queste figure... (alludendo alle opere riportate sul catalogo dell'artista, che sta sfogliando) Più silenzio che nelle mie.
BENEDETTA Se lo dici tu...
GIADA Posso guardare anch'io?
FLAVIO No, per te è ancora presto. Ci arriverai. Forse. (Prende il catalogo, lo mette sottobraccio e fa per uscire)
GIADA (stupita) Dove vai?
FLAVIO (vago) Ci vediamo più tardi. Se non vi dovessi trovare, buona serata. Benedetta... tu vai, a chiudere ci penso io.
BENEDETTA (premurosa) Non fare tardi.
GIADA (qualche secondo dopo l’uscita di Flavio) A volte è così strano...
BENEDETTA Sai, gli artisti... 
GASPARE Ancora con questa storia... 
BENEDETTA Un fondo di verità c'è. Flavio è un umorale. Ieri per esempio sembrava entusiasta. 
GIADA Ti sbagli, era solo apparenza. Non è per niente a suo agio, con tutta quella gente che lo incensa. Lui ha bisogno di solitudine, di silenzio. Come quando lavora. Per lui il mondo non esiste. Gli resto accanto le ore a guardare, per capire quello che cerca, quello che ha in mente, perché sceglie una forma o un colore piuttosto che un altro. Tante volte sono stata sul punto di dire “questo non va” ma poi, alla fine, ho capito che aveva ragione lui.
GASPARE (a suo modo sincero) Io credo che tu possa fare anche meglio, di lui. Tu hai un senso critico, una lucidità, una capacità di sintesi che lui non ha. Comincia a fidarti del “tuo” giudizio.
BENEDETTA E magari del suo... (alludendo ironicamente a Gaspare)
GASPARE Non vorrai negare che Giada...
BENEDETTA Per carità. Tempo un anno e la sala sarà sua.
GIADA Voi mi mettete in difficoltà. (A Gaspare) Se è vero che ho senso critico, come dici tu, è sul mio lavoro, prima di tutto, che devo esercitarlo. 
GASPARE Stai attenta all'eccesso di autocritica, non porta da nessuna parte.
BENEDETTA E poi non va più di moda. 
Silenzio
GASPARE Perché non andiamo a bere qualcosa? 
BENEDETTA Andate voi, io devo tenere aperto.
GASPARE (soddisfatto) Mi fai compagnia, Giada?
GIADA Sì.
Giada, sulla soglia, esita e si volta ancora a guardare le figure.
BENEDETTA Quando mi porterai i tuoi disegni? Flavio dice che sono bellissimi.
GIADA Flavio si accorge appena che esisto. Ho paura che si sia già stancato, di me.
BENEDETTA Lo vedi, noi donne, come siamo? Invece di pensare a noi stesse, a far valere il nostro talento, perdiamo tempo appresso agli umori del primo maschio che incontriamo, tanto più se quello neanche ci guarda. 
GASPARE Non sono tutti così, gli uomini. 
BENEDETTA (a Gaspare) C’è anche di peggio... 
GASPARE (A Giada) Vogliamo andare, mia piccola Artemisia?
GIADA (a Benedetta) Manterrò la promessa. 
Giada e Gaspare escono dalla galleria sotto lo sguardo dubbioso di Benedetta, che, rimasta sola, torna al telefono e compone un numero.
BENEDETTA (al telefono) Pronto... Adriana?





















SECONDO QUADRO


La stessa scena, ora vuota e in penombra, per la luce che proviene dalla strada illuminata. Le grandi forme geometriche assumono un’aria vagamente minacciosa. Dopo qualche secondo entra Flavio e accende la luce; l’accensione è sincronizzata con l’avvio del nastro e così la musica minimalista riprende da capo. Flavio si guarda attorno, insoddisfatto, poi va a sedersi dietro il bancone, i gomiti appoggiati sul piano, le palme a sorreggere il mento; è stanco e ha lo sguardo assente di chi è immerso nei suoi pensieri. La luce è più bassa e la musica si diffonde nell’ambiente con la sua ossessiva reiterazione. Flavio appoggia le braccia sul bancone, vi posa il capo e sembra abbandonarsi, a occhi chiusi, a quella melodia ipnotica. Per qualche secondo resta immobile, forse assopito. D’un tratto compare sulla soglia Pamela, una bella donna bruna sulla trentina, in passato modella di Flavio e sua amante. Pamela esita, poi vede Flavio e si avvicina.

PAMELA (scuotendolo leggermente) Flavio?
FLAVIO (tornando in sé) Pamela...
PAMELA Stavi dormendo?
FLAVIO No... 
PAMELA (guardandosi attorno) Com’è strano, qui.
FLAVIO Non ti aspettavo.
PAMELA “Dovevo” venire.
FLAVIO Sei arrivata tardi. E’ l’ora di chiusura.
PAMELA Ho aspettato. Volevo trovarti da solo.
FLAVIO Capisco.
Silenzio
PAMELA Non mi fai vedere le tue opere?
FLAVIO (vago) Sono lì. Fatti un giro...
PAMELA (avvicinandosi alle sculture) Sono così strane... 
FLAVIO Lo sapevi, di cosa si trattava.
PAMELA Sì, ma un conto è saperlo... Mi ci devo abituare.
FLAVIO Abituare a cosa?
PAMELA Sono grandi...
FLAVIO Sono grandi loro o siamo piccoli noi?
PAMELA Che vuoi dire?
FLAVIO Niente. Una battuta.
Silenzio. Pamela gira attorno alle sculture, con espressione dubbiosa e tenendosi istintivamente a distanza.
FLAVIO (notando il disagio di Pamela) Puoi anche toccarle, se vuoi...
PAMELA Sembrano... costruzioni per bambini in formato gigante.
FLAVIO (accademico) Sono forme elementari. Non hanno altro da proporre.
Silenzio
PAMELA E tu, hai altro da proporre? (Flavio non risponde. Pamela alza le spalle, poi accennando alla scala) Che c’è sopra?
FLAVIO Cosa? Ah, la scala... Niente di particolare. Un soppalco. Quadri accatastati. Niente che valga la pena.
PAMELA (avvicinandosi al cilindro e sfiorandolo con la mano) Com’è assurdo, questo.
FLAVIO Che ci trovi, di assurdo?
PAMELA La tipica monumentalità fallica.
FLAVIO Non sarà una “tua” ossessione?
PAMELA Può darsi.
Silenzio. Pamela siede poggiando la schiena contro il cilindro, le ginocchia strette fra le mani.
PAMELA Hai fatto tabula rasa, non c’è che dire.
FLAVIO Ho fatto quello che era giusto.
PAMELA Certo, certo...
FLAVIO Sei libera di non crederci.
Pamela si accovaccia sul pavimento con fare languido, da gatta, scoprendo le sue belle gambe. Sta giocando con Flavio, anche se non è così sicura di poter condurre il gioco.
PAMELA Che ne hai fatto, delle sculture?
FLAVIO Intendi quelle figurative? Sono ancora a studio. 
PAMELA A prendere la polvere?
FLAVIO La scultura è una lingua morta. Bisogna tornare all’origine della forma, all’essenza della percezione. 
PAMELA Non è che stai cercando una scusa per assolverti?
FLAVIO Da cosa?
PAMELA Dal fatto di aver gettato via il tuo talento. 
FLAVIO Per carità, il talento... Che cos’è il talento? Non è il talento che serve, all’artista. 
PAMELA Ma il tuo modo di guardare, di scoprire la forma rinchiusa nel blocco di marmo? 
FLAVIO Non c’è più nessuna forma, nel blocco di marmo. E il marmo non serve. (Indicando le figure) Questa è la nostra vita, questi sono i nostri materiali e le nostre forme.
PAMELA Non ti riconosco più.
FLAVIO Ah, io invece ti riconosco benissimo. 
PAMELA Sì?
FLAVIO Sei la solita moralista. 
PAMELA (con aria da donna vissuta) Moralista, io?
FLAVIO Non è alle mie sculture, che stai pensando.
PAMELA E a cosa starei pensando?
FLAVIO Senti Pamela, fra noi è stato bello, ma...
PAMELA Non mischiare le carte.
FLAVIO Lo so, qual è l’immagine che ti sei fatta di me. Che ho perso la testa per una ragazzina, che vendo fumo, mi atteggio a ad artista alla moda... Be’, se è questo che pensi...
PAMELA Non lo penso affatto.
FLAVIO (un po’ sorpreso, ma senza darlo a vedere) E che pensi, allora?
PAMELA Penso che sia tu, il primo a non crederci.
FLAVIO Davvero?
PAMELA Della ragazzina, ti sei già stancato...
FLAVIO Lasciala stare, lei...
PAMELA E chi te la tocca? Parliamo d’arte, invece.
FLAVIO (con ostentato cinismo) Lo sai cos’è l’arte? Un gioco di società. Come figurativo non ero nessuno; adesso sono quello del cilindro. 
PAMELA Complimenti.
FLAVIO (ostinatamente) No, guarda, non è come pensi. Le cose non nascono dal niente. I colori, ad esempio...
PAMELA Sono quelli dei giochi dei bambini.
FLAVIO Non è esatto. Un bambino non “conosce” i colori. Un bambino gioca, agisce, “usa” i colori. Non fa riflessioni sull’infanzia, non deve recuperare ciò che già possiede. Tutti dovremmo tornare a guardare con gli occhi dei bambini. Lo diceva Picasso,no? Be’, io sono andato avanti. Le mie forme non rappresentano una sintesi plastica. Appaiono semplicemente. Si manifestano.
Silenzio. Pamela si alza, rabbrividendo. 
PAMELA Fa freddo, qui.
FLAVIO Non sarà che sei vestita leggera?
PAMELA (maliziosa) Ti dispiace?
FLAVIO Perché dovrebbe dispiacermi?
Pamela si avvicina a Flavio, sempre seduto dietro il bancone. 
PAMELA (divagando) L’hai progettato tu, l’allestimento? 
FLAVIO Sì. 
PAMELA Anche la musica?
FLAVIO E’ stata Benedetta.
PAMELA (con ironia) Ah, Benedetta...
FLAVIO (ignorando l’allusione) Aiuta il visitatore a entrare in relazione con lo spazio.
PAMELA Chi, Benedetta?
FLAVIO La musica, scema...
PAMELA Proprio come al supermercato.
FLAVIO Se vuoi... Ma è proprio muovendosi, osservando, ascoltando...
PAMELA (di scatto) Ma chi è, che vuoi prendere per il culo? 
FLAVIO E’ questo, che pensi?
PAMELA Lo fai solo per giustificare la tua resa.
Silenzio. 
FLAVIO Continuare a farti il ritratto, non era già una resa?
PAMELA Era una scelta. La scelta di una forma che tu ricreavi ogni volta.
FLAVIO Si vede che non sono più capace di creare.
PAMELA Cos’è, una confessione d’impotenza?
FLAVIO Non devo renderne conto a te.
Silenzio
PAMELA Offeso?
FLAVIO Ma no...
Silenzio. Pamela assume un’aria distaccata e controlla il suo orologio.
PAMELA E’ tardi. Devo andare.
FLAVIO Sei attesa?
PAMELA Non devo rendere conto a te.
FLAVIO No, certo...
PAMELA (rassettandosi con rapidi gesti i capelli, la camicetta e la gonna) Be’, mi ha fatto piacere.
FLAVIO (sincero) Anche a me.
PAMELA Magari torno a trovarti...
Pamela si avvia verso l’uscita. Flavio aspetta che sia sulla soglia per chiamarla.
FLAVIO (sussurrando) Pamela.
PAMELA (rientrando, con aria falsamente infastidita) Cosa c’è ancora?
FLAVIO (a fatica) Resta. 
PAMELA Perché?
FLAVIO Ti prego.
PAMELA (dopo una pausa studiata) Solo un momento.
FLAVIO Avvicinati.
PAMELA Cosa vuoi?
FLAVIO Hai paura?
PAMELA Paura? E di che?
FLAVIO Di me.
PAMELA E perché dovrei averne? 
FLAVIO Vieni qui e lo saprai.
Pamela si avvicina. Ora è di fronte a Flavio.
PAMELA Ecco. Sono qui. 
FLAVIO Vieni dietro il bancone.
Pamela raggiunge Flavio dietro il bancone. E’ al suo fianco.
PAMELA (provocante) E allora?
FLAVIO (voltandosi verso la donna) Sta’ zitta.
I due si studiano per qualche attimo prima di baciarsi con passione. Flavio cerca di sbottonare la camicetta di Pamela, che si stacca da lui.
PAMELA Che fai? Ci vedono. 
FLAVIO Aspetta. 
Flavio va a chiudere la serranda. Si sente il rumore secco, metallico.
PAMELA (accennando alla scala) Andiamo nel soppalco.
FLAVIO (tornando nella sala) No, meglio qui.
PAMELA (accennando alle sculture) Cos’è, la vista ti eccita?
FLAVIO La tua vista, mi eccita...
I due riprendono l’amplesso, seminascosti dal bancone. Pamela è di schiena. Flavio le sbottona la camicetta e le slaccia il reggiseno, poi la costringe a voltarsi per possederla da dietro. Dissolvenza fino al buio.

TERZO QUADRO

E’ notte e Flavio è di nuovo da solo nella galleria. Seduto dietro il bancone, la testa rovesciata all’indietro, appare spossato, non solo fisicamente. Infine trova la forza per alzarsi e va a spegnere la luce centrale. Col buio, la musica s’interrompe, ma Flavio cambia idea e riaccende facendo ripartire la musica; comincia poi ad aggirarsi fra le sue opere, le scruta, le analizza, le tocca, si ferma accanto all’enorme cilindro, vi appoggia le mani sopra, ne percorre la superficie lucida, quindi si volta, vi si appoggia con la schiena, comincia a spingerlo, inutilmente. Con una risoluzione improvvisa, si avvia verso la scala a chiocciola, sale al soppalco. Ne scende qualche secondo dopo; in mano ha una sbarra di ferro con l’estremità a cuneo. Si avvicina al cilindro, usa l’asta a mo’ di leva e finalmente riesce a farlo cadere a terra con grande fragore; resta poi a fissarlo, con l’aria impotente e smarrita di una dichiarazione di resa, infine torna sui suoi passi, spegne le luci, abbandona la scena. Da fuori si sente lo schianto della serranda abbassata.

SIPARIO