Il creatore di illusioni

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IL CREATORE D’ILLUSIONE

Commedia in un atto

Di MARCEL GIRETTE

Traduzione di Virgilio Marchesini

PERSONAGGI

CELIA

VITTORIO

IL CONTE MAUPRE’

RAMEL

UNO SCOLARO

FANNY

La scena si svolge verso la metà del seco­lo XVIII, nel camerino di Celia, attrice tragica.

All'aprirsi del velario, Celia, seduta al tavo­lino da toeletta davanti allo specchio, con le spal­le coperte da un elegante mantellino, è occu­pata a tingersi con la matita gli occhi e le lab­bra. In piedi e dietro di lei, Vittorio, parrucchiere da signora (giacca rossa, calzoni neri, cal­ze di seta grigia) finisce di consolidarle sulla te­sta, a forza di forcine, l'edificio dei suoi capel­li. Il conte Maupré, in grande uniforme di colon­nello di fanteria, è seduto poco lontano da Ce­lia. Fanny l’abbigliatrice, va e viene tra il ca­merino di Celia e lo stanzino guardaroba.

Celia                              - (indifferente) Sentiamo, caro conte, la guerra m'interessa... così pure i rostri tre mesi in Austria!

Maupré                          - No! no!... La guerra, l'Austria, gli austriaci; è per dimenticarli che sono accor­so qui, senza nemmeno darmi il tempo di le­varmi l'uniforme. Parliamo di voi, Celia.

Celia                              - Io, Maupré? Durante questi tre me­si non ho cessato di figurare sul manifesto: « Elettra », « Didone », « Zenobia »... e, tra un'ora, per la decima volta, rappresento « An­dromaca ».

 Maupré                         - Entusiasmo? Acclamazioni? Maz­zi di fiori?

Celia                              - Naturalmente!... Ogni sera, uno di questi mazzolini mi cade dal... loggione. Grosso come un pugno, legato male, ma composto di villette fresche; non vale più di un soldo, ma mi intenerisce.

Maupré                          - Celia!

Celia                              - Mio caro conte!... Eh, ma, Vittorio, mi tirate i capelli!

Maupré                          - (guardando Vittorio) Non è più Gabriele?

Celia                              - Gabriele è malato e lo sostituisce Vittorio.

Maupré                          - Ha l'aspetto pulito questo giova­netto. E' abile?

Celia                              - Non troppo... Il suo merito reale è di essere muto. Questo mi cambia... Grazie, Vit­torio. Aspettate per l'arricciatura. (Vittorio va a sedersi in fondo. A Maupré) Dicevate?

Maupré                          - Quando mi riceverete?

Celia                              - 'Ma... vi riceverò! Non c'è fretta.

Maupré                          - (ridendo) Come? non c'è fretta?

Celia                              - Gli è che... avete un rivale.

Maupré                          - Avete una certa maniera, voi, di scherzare!

Celia                              - (con naturalezza) Non scherzo affat­to. Accordatemi quindici giorni di respiro.

Maupré                          - (con indignazione) Quindici giorni!

Celia                              - (stesso tono) Poiché avete un rivale!

Maupré                          - (rizzandosi) Sentiamo un po', chi?

Celia                              - (ridendo) Io non lo conosco.

Maupré                          - (risiedendosi) E' meno pericoloso.

Celia                              - (seria) Eh! eh!...

Maupré                          - (inalberandosi di nuovo) Volete darvi la pena di essere chiara?

Celia                              - Ebbene, qualcuno mi scrive da pa­recchi mesi. Ogni tre o quattro giorni, mi arriva una lettera, che mi fa piacere. Quella di oggi l'ho appena ricevuta e la vostra presenza m'im­pedisce di aprirla.

Maupré                          - (irritato) Datemi quelle lettere!

Celia                              - Con quel tono?... Niente affatto!

Maupré                          - Ebbene, vogliate permettermi...

Celia                              - (amabilmente) Ecco la chiave. Là, in quel tiretto... prendete il pacco!

Maupré                          - (aprendo un cassetto) Una trenti­na di lettere!

Celia                              - Esattamente 27.

Maupré                          - Numerate da voi! Che ordine! Numero uno, posso leggere?

Celia                              - Come no!... Fanny, datemi la veste. (Si toglie il mantello da toeletta. Fanny l'aiuta a entrare nella veste della sua parte, veste Luigi XV, in broccato grigio; con busto a punta e grandi pieghe sulle anche, senza faldiglia, e gliela aggancia sul dorso).

Maupré                          - (leggendo) « Non mi conoscerete mai, signorina; e questa per voi sarà una buo­na ragione per leggermi in confidenza. L'uomo che non aspetta da voi né amore, né amicizia, né alcun beneficio, è per lo meno sicuro che la sua ammirazione non vi sembrerà sospetta. Non vi parlerò che di voi; io sarò come assente dal­le mie lettere; voglio che il solo modo di esse­re personale consista nel lodarvi meglio che posso ». Eccetera. Frasi sdolcinate!... Ma lui, vi conosce?

Celia                              - Ila la pretesa d'indovinarmi; e che, per ciò, il mio esteriore gli basta. Per ciò, il mio viso, la mia persona, i miei doni d'attrice e il mio modo di recitare, formano la donna stes­sa che egli vede fino nella sua intimità.

Maupré                          - Questo mi sembra puerile

Celia                              - Giudicatene!... Numero quindici. (Leggendo) « Celia, ciò che fa di voi una con­fidente incomparabile, è che voi amate l'infinitamente piccolo del sentimento, ciò che senza di voi, non lascerebbe che un pulviscolo di gioia o di pena. Tutti i vostri amici, davanti a voi, conoscono la dolcezza di diffondersi in racconti dettagliati. Voi avete il grande segreto di saper ritrovare in ciascuno, sotto le esperienze e sotto le ironie, il bambino fatto adulto che soprav­vive, ma che si cela, perché troppo spesso quan­d'egli si mostrava le cose e le persone l'hanno mortificato e umiliato. Ah! egli può arrischiar­si con voi! Il vostro sorriso ha un senso chiaro: « Lasciate venire a me tutte le fanciullaggini del cuore! ».

Maupré                          - A me, queste svenevolezze, non dicono gran che. Ciò che vedo bene, è che il vostro incognito si sbaglia. Voi non siete colei che lui pretende.

Celia                              - Scusate, lo diverrò.

Maupré                          - Che dite?

Celia                              - Dico che i suoi elogi svegliano in me l'idea di non essere inferiore a essi. Le qualità che egli m'ha prestato è dunque un po' come se me le avesse donate. Senza dubbio, mi ci oc­corre uno sforzo; io lo faccio; e me ne seno ri­conoscente; e gliene sona riconoscente, in bre­ve: queste lettere mi sono benefiche.

Maupré                          - (fremendo) E poi, che cosa?

Celia                              - Questo, nella lettera 17°: « Mi leg­gete, signorina? Provate piacere a leggermi? Se sì, questa sera, avvicinando Pirro, invece di far soltanto tre passi, fatene cinque ».

Maupré                          - Ebbene?

Celia                              - Ne ho fatti cinque.

Maupré                          - (misurando a grandi passi la scena, poi fermandosi di botto) Sentiamo un pò: voi. l'amate!

Celia                              - Se l'amassi non vi avrei detto nien­te. Io imi limito a domandarvi... del tempo.

Maupré                          - Del tempo!... Dopo tre mesi!

Celia                              - E' come una ritirata che faccio nei miei pensieri... o piuttosto nei suoi. Aspettate che io termini questa ritirata prima di rientrare nel monde.

Maupré                          - Questo incognito, lo conoscerò!

 Celia                             - (assorta) Io vorrei conoscerlo!... Ma ne,ho effettivamente desiderio? Certo, l'uomo dev'essere squisite; ma può esserlo un po' me­no di quello che m'immagino. E sarebbe una piccola delusione.

Maupré                          - A me, il buon senso dice che, se potesse piacervi, si mostrerebbe. Voi parlate di una piccola delusione. Io vedo una grande, una colossale delusione.

Celia                              - Allora, naturalmente, io non me la auguro.

MaltprÉ                         - Sì, ma io ve la auguro! e voglio anche far di lutto per procurarvela subito!.... Fanny, fate un salto nella sala.

Celia                              - Fanny, non vi muovete!... (A Mau­pré) Che cosa vi prende?

Maupré                          - Fanny, chi è che ha fatto nomi­nare vostra sorella inserviente dei palchi?

Fanny                            - Siete stato voi, signore.

Maupré                          - Ebbene, se volete che, dall'ultimo ordine, ella discenda al primo...

Fanny                            - (a Celia) Signorina!...

Maupré                          - ... Obbeditemi.

Celia                              - (ridendo) Quanto dev'essere scioc­ca!... Obbedite, Fanny!

Maupré                          - Andate a domandare a vostra so­rella se, tra i frequentatori del suo ordine, non ha qualche applaudito re accanito che le faccia l'effetto d'un innamorato.

Celia                              - Bontà del Cielo!...

Maupré                          - In queste: caso, voi toccate l'inna­morato sulla spalla e gli dite all'orecchio: « La signorina Celia vi chiama: seguitemi! ». Com­preso?... Allora cosa fate costì? (La spinge col gesto. Fanny esce ridendo. Maupré trae l'orolo­gio) Si comincia la commediola: l'innamorato dev'essere al suo posto, ed è l'affare di due mi­nuti. Scommettiamo che ci conduce un gobbo!

Celia                              - (ridendo) Che non sarà punto l'au­tore delle lettere.

Maupré                          - Che lo sarà! Vedrete!... Per que­sto mi farete il muso dapprima, ma poi mi rin-grazierete.

Celia                              - (seria) Maupré, se ve i spingete più oltre questa burletta, vi avverto che non vi seguo.

Maupré                          - Non ho bisogno di voi.

Celia                              - Che cosa farete?

Maupré                          - Interrogare, dapprima.

Celia                              - E dopo?... Io non intendo che uno spettatole sia molestato perché mi applaudisce.

Maupré                          - E io non intendo che la mia amante divenga in disponibile, perché un mar­rano qualunque si diverte a rivolgerle delle frasi sdolcinate!

Celia                              - Voi non sapete dire che queste due parole: « frasi sdolcinate! ». Vi è... il concetto!

Maupré                          - Parliamone di questo!

Celia                              - Siete ostile al concetto?

Maupré                          - Perfettamente!... Almeno quando alberga nel cervello d'un marrano, ciò che, no­tatelo bene, accade quasi sempre.

Celia                              - Io lo noto, e con gioia, poiché io sono figlia del popolo.

Maupré                          - Andiamo dunque! Vostra madre vi avrà male informata sulla vostra nascita.

Celia                              - (incollerita) Non parlate male di mia madre!

Maupré                          - (beffeggiatore) Bah!...

Celia                              - (cupa) Io ne penso fin troppo di lei.

Maupré                          - (ridendo) Sia!... (Serio) Ma guai a colui che ha messo del «concetto» in quelle lettere!

Celia                              - Caro mio, non mi sfidate! Vi sono grata di molte cose, e, per precisare, di molti regali. Ma io non sono vostra suddita, e all'occasione ve lo proverò.

Maupré                          - Questo si dice!

Celia                              - Si dice e si fa. E la prova... è che l'ho fatto.

Maupré                          - (furioso) Durante la mia assenza?

Celia                              - (aggressiva) No, signore, non nella vostra assenza. Cercate tra i vostri amici.

Maupré                          - (minaccioso) Chi è? Chi è?

Celia                              - (insolente) Cercate, invece di minac­ciare l'uomo di cuore e di buon gusto che mi ha scritto queste lettere.

Maupré                          - Quello la pagherà per tutti!

Celia                              - (ridendo) Se lo scoprite!... (A Vit­torio, il parrucchiere) Mio povero Vittorio, vi faccio aspettare.

Fanny                            - (rientrando) Signorina, ne ho por­tati due. Li volete insieme?

Maupré                          - No, uno alla volta.

Fanny                            - (ridendo) Ce n'è uno alto e uno piccolo.

Maupré                          - Ebbene, prima il piccolo.

                                      - (Fanny introduce uno scolaro che s'avanza con gli occhi bassi).

Celia                              - (divertita) E' un ragazzo!

Maupré                          - (severo) Mio giovane signore, fate molto bene ad applaudire la signorina; però...

Celia                              - Non vorrete spaventare questo pic­colo ?

Lo Scolaro                    - (baldanzoso) Signorina, non mi fa paura.

Celia                              - (ridendo) Che età hai, mio piccolo amico? Sei in collegio?

Lo Scolaro                    - Sì, signorina. E ho sedici anni.

Maupré                          - Parlategli dunque delle lettere!...

Celia                              - (stupefatta) Allora, voi credete pos­sibile?... Siete uno sciocco, caro mio!

Maupré                          - Voglio tirargli le orecchie!...

Celia                              - Ah! Maupré, lasciateci in pace!

 (Conduce lo scolaro; Maupré, (immusonito, si siede su una poltrona voltando la schiena).

Lo Scolaro                    - E' gentile avergli detto « la­sciateci »!

Celia                              - Mio povero piccino, vi è un malinte­so. Perdonami di averti scomodato per niente.

Lo Scolaro                    - State per rimandarmi? Così presto! ...

Celia                              - Che cosa speravi?

Lo Scolaro                    - Discorrere un poco.

Celia                              - Di « Andromaca »?

Lo Scolaro                    - (sospirando) E di voi!...

Celia -                           - Se tu sospiri così, sarà per Andro­maca!... Sentiamo: i Greci di quel tempo che costumi avevano?

Lo Scolaro                    - Come i vostri.

Celia                              - Furbacchione! Ebbene, niente affat­to. Non avrai certo il premio in storia!

Lo Scolaro                    - Lo avrò se lo voglio, per farvi piacere.

Celia                              - - Bisogna vincerlo per far piacere... alla tua piccola amica.

Lo Scolaro                    - Non ne ho.

Celia                              - Durante le vacanze, non hai la cuginetta, al tuo paese?

Lo Scolaro                    - Sì! Ma... (ridendo) noi ci pic­chiamo.

Celia                              - Birbaccione! E' forse brutta?

Lo Scolaro                    - Questo no (Bisbigliando) E' tanto magra!

Celia                              - Vedrai per l'anno venturo, come sa­prà... aggiustarsi!... E' così incantevole una gio­vinetta!... E' così deliziosa!

Lo Scolaro                    - (gradasso) Preferisco le attrici.

Celia                              - (imitandolo) Tutte le attrici?

Lo Scolaro                    - (alzando il dito) Signorina, voi siete civettuola!

Celia                              - (ridendo) E' vero! E' per farti dire più presto ciò che, decisamente, tu hai una gran voglia di dirmi, eh?

Lo Scolaro                    - (commosso e sorridente) Oh, sì.

Celia                              - Vale a dire che tu mia...

Lo Scolaro                    - (molto commosso) Oh, sì...

Celia                              - Scioccherello... Ricevo tutti i gior­ni quindici dichiarazioni... E, con tutta la buo­na volontà del mondo...

Lo Scolaro                    - Signorina, si dice che voi ave­te tanta buona volontà!

Celia                              - Sentite il serpentello!

Lo Scolaro                    - So bene, signorina... dove si scaldano i serpentelli!

Celia                              - Ah! ma! birbantello!... Ti farò co­piare cinquecento versi!... Su, vattene! e ti dò da baciare... la mano... non il braccio!

Lo Scolaro                    - Signorina, è per avere un se­greto con voi.

Celia                              - Tu sarai molto più lieto a non aver­ne segreti. Ti permetto di dirlo ai tuoi came­rati.

Lo Scolaro                    - (saltando dalla gioia) E sapete c'ò che m'ha fatto molto piacere?

Celia                              - Che cosa dunque?

Lo Scolaro                    - (sussurrando) Quando avete detto al vecchio soldato che era uno stupido...

Celia                              - (imitando il suo bisbiglio) Ebbene! ha fatto piacere anche a me!... è un segreto.

Lo Scolaro                    - Che peccato! Era queste il più buffo a raccontarsi!

Celia                              - Via! via! (Lo scolaro passa davanti ai Maupré, fa goffamente il saluto militare, ed esce sgambettando).

Maupré                          - Ebbene?

Celia                              - Se l'altro somiglia a questo!...

Maupré                          - Fate entrare l'altro, Fanny. Lo confesserò io stesso.

Celia                              - Cerne se voi ne foste capace! Perché liete sospettoso, vi credete .perspicace!

Maupré                          - (irritato) Fate entrare l'altro!

Fanny                            - E' quello che getta i mazzolali.

Maupré                          - (a Celia) Lo vedete! Qui si brucia d'amore!

Celia                              - Povero Maupré... Vittorio, potete venire. (Durante la scena che segue, Vittorio procede all'acconciatura dei capelli di Celia).

Fanny                            - (aprendo la porta) Entrate, signore.

Celia                              - Calzatemi, Fanny. (Fanny va nel guardaroba a cercare le calzature da Androma­ca ». Aspetta un poco, poi le passerà ai piedi di Celia. Dopo di che, andrà a mettere un po' d'ordine nel guardaroba).

Ramel                            - (gioviale e volgare. Fa una smorfia davanti a Maupré che è seduto vicino a Celia. Con slancio) Signorina, m'avete ricono­sciuto ?...

Celia                              - (amabile e lontana) Ma... no, signo­re. Dove vi ho conosciuto?... Quando?

Ramel                            - Vi conobbi la sera in cui vi ho por­tata qui sulla mia spalla, in trionfo, dopo aver recitato la « Fedra »! Dopo ho preso il torcicol­lo per baciarmi la spalla su cui vi eravate po­sata. (Ridendo) Mia moglie era furente: mi ha picchiato.

Celia                              - (sorridendo) Vi prego di trasmettere il mio rammarico a vostra moglie. (Sottovoce a Maupré) Maupré, credo che non ci sia altro da chiedere.

Maupré                          - (sottovoce a Celia) Perché è vol­gare, non volete che sia lui. (A Ramel, fredda, mante) Signore, siete voi, lo sappiamo, che, ogni sera, gettate sulla scena un mazzolino di vio­lette.

Ramel                            - (ridendo) Ebbene?... (A Celia) Si­gnorina, devo rispondere?

Celia                              - (allegramente) Se volete.

Maupré                          - (freddo e ostinato) Queste violet­te, le cogliete voi stesso?

Ramel                            - (burlevole) In persona, a Saint Cloud, tutti i giorni e in ogni tempo. Vedete che v'informo al completo. Che cosa ne conclu­dete?

Maupré                          - Ne concludo che, sotto il vostro aspetto gioviale, voi celate un sentimento pro­fondo.

Ramel                            - Io nascondo, un... Io?

Maupré                          - Insomma, io affermo che voi sie­te innamorato della signorina!

Celia                              - (impermalita) Chiaritemi, Maupré!

Ramel                            - (ridendo) E io, signore, l'affermo più di voi! Credo bene di essere innamorato della signorina! E per essere innamorato, non occorre essere muto. Io sono gaio: ho l'amore gaio! Nei momenti solenni rido a crepapelle: è il mio carattere.

Celia                              - (ridendo, sottovoce a Maupré) Mau­pré, vi assicuro che la causa è stata chiarita.

Maupré                          - Ma niente affatto!

Ramel                            - E adesso, signore, che mi avete aiutato in modo così obbligante a fare... ciò che non avrei osato da solo, voglio dire una dichiarazione d'amore alla signorina...

Maupré                          - (col tono del disprezzo insultante) Ah! questo è troppo, signore!...

Celia                              - (ridando) Egli ha ragione.

Ramel                            - Perché ve la prendete con me?

Maupré                          - (minaccioso) Signore!..

Celia                              - (intervenendo) Oh! non facciamo storie... (A Ramel) Il signor conte Maupré, mio amico...

Maupré                          - Parola d'onore, voi mi presen­tate!...

Celia                              - (alzando le spalle) ... s'è commosso per me di un piccolo fatto anormale. Un in­cognito mi scrive da qualche tempo. Il mio amico si domanda non io... lui! se, per caso, non sareste voi, l'incognito.

Ramel                            - (ridendo) Io, signorina?... Sareb­be forse il mio carattere, restare incognito? No, io non potrei far questo.

Celia                              - (a Maupré) Sentite!

Maupré                          - (stizzito, fingendo di rivolgersi solo a Celia) Che cosa sento? Che il signore ne­ga? Che cosa prova questo? Dimenticate il principio della prima lettera: « Non mi cono­scerete mai »?

Ramel                            - Se sono io, convenite che devo ben divertirmi della buffa situazione in cui vi met­to.

(Ride).

Celia                              - E' faceto quello che dice!

Maupré                          - (furente) Faceto o no, è la con­fessione che è l'autore delle lettere.

Ramel                            - (ridendo) Ma no!...

Maupré                          - S'egli crede di sfuggirmi negan­do, la sua paura lo consiglia male!

Ramel                            - (ridendo sempre) Voi credete che io neghi per paura? Allora... non nego più!

Maupré                          - (che crede di trionfare) Celia, che cosa ne pensate?

Celia                              - (ironicamente) Ciò che ne pensa il signore!

Ramel                            - Il che soprattutto vuol dire, signo­re, che sono ai vostri ordini.

Maupré                          - Ma io non so affatto, se sono ai vostri, signor... signor...

Ramel                            - Ramel, redattore del « Mercure de France ».

Maupré                          - (sarcastico) Ah! ah! Un gazzet­tiere!... Uno scribacchino!... Lo sapevo bene che si brucia d'amore! Celia, la mia convin­zione è ottenuta. Vado laggiù a dare un or-dine, ritornerò immediatamente... per concludere! (Esce frettoloso).

Ramel                            - (va verso Celia mentre Vittorio, per discrezione, retrocede e s'allontana fino alla porta) Signorina, se non ho le traveggole, non ve n'avete a male se gli tengo fronte, nevvero ?

Celia                              - Cosa che torna forse a mio torto, perché la sua collera è molto nociva. Ma mi incarico io: gli metterò la museruola. Signor Ramel, voi siete un uomo per bene, e mi ri­corderò, ve lo prometto, del trionfo delle vio­lette, e della nostra amicizia. (Durante queste due risposte, Maupré s'è addossato alla porta con due servitori e ha loro designato Ramel parlando loro a bassa voce).

Maupré                          - (ritornando) Io non credo, signo­re, che ci resti gran che da dirci!

Ramel                            - Per qualsiasi altra spiegazione, si­gnore, vogliate tenere il mio indirizzo: al « Mercure de France ». (Salutando Celia) Si­gnorina! ...

Maupré                          - (calcando la voce sulle parole) Andate, signore!

Vittorio                         - (avanzando) Signore, non usci­te!... L'autore delle lettere sono io.

Maupré                          - (ridendo) Il parrucchiere? (A Ce­lia che guarda Vittorio con stupore) E' matto!

Ramel                            - (cordiale) Scusate, scusate!... ma non mi disdico.

Vittorio                         - Signor Ramel, vi si aspettava al varco allo svolto del corridoio.

Maupré                          - (camminando verso Vittorio) Mi­serabile servitore!

Celia                              - (imperiosa) Maupré... (Maupré si ferma) Voglio che parli!

Vittorio                         - (continuando) D signor Maupré ha detto or ora ai suoi servi: « Non ammazza­telo, ma picchiate sodo! ».

Celia                              - - E' vero?

Maupré                          - (con voce aspra) E' vero.

Ramel                            - Brrr!... Grazie, camerata!

Vittorio                         - Poiché vi è pericolo, non voglio sostituti.

Celia                              - (a Vittorio mentre corre al suo tavo­lino da toilette) Signore, cosa contiene la let­tera che mi è giunta poco fa, e che non ho an­cora aperta? (Fa saltare il sigilla e si appresta a verificare).

Vittorio                         - Vi è scritto: « Signorina, sto per partire, e voi non vi sarete mai immaginata che, per parecchi giorni, la mia vita ha fiancheggiato la vostra ».

Maupré                          - (canzonatore) Vi è scritto que­sto?...

Celia                              - (lascia cadere le braccia e gli fa cen­no di sì col capo).

Maupré                          - (dando uno scoppio di risa) Ah! ah! Signor Ramel, vi faccio le mie scuse: e poi­ché siete un uomo allegro, ridiamo!... Ah! ah! ah! « Celia e il suo parrucchiere », canzone in venti strofe!... Ah! ah! Vedo questo sul « Mercure de France ».

Ramel                            - (con bonomia) Ma no!

Maupré                          - Davvero!... Con le frasi del par­rucchiere! ... Ah! ah! ... e il suo «concetto », che dimenticavo!... Ah! ah! Cara amica, vi lascio nella vostra confusione. Quando ritorne­rò, fra mezz'ora, spero che mi avrete spazzato via tutto ciò! Bene, buona sera, signore... dal « concetto »... Ah! ah! ah! (Esce rumorosa­mente. Lo si sente ridere nel corridoio. Ramel s'inchina davanti a Celia, immobile, che si la­scia prendere e baciare la mano devotamente. Poi egli va verso Vittorio, gli dà in silenzio una stretta di mano vigorosa ed esce).

Celia                              - Fanny, se avete qualche cosa da fare!...

                                      - (Fanny, senza parlare, esce dietro Ramel e chiude la porta).

Celia                              - Ebbene, signore, eravate voi!

Vittorio                         - Voi non l'avreste mai saputo, si­gnorina, se non fosse necessario, innanzi tut­to;., non essere pusillanime.

Celia                              - (con un gesto di stima) In questo, vi rendo giustizia. Ma c'è il resto che non mi va!... Sentiamo un po': chi siete voi?

Vittorio                         - Signorina, scomparirò subito. Lasciatemi mantenere... l'incognito!

Celia                              - Troppo tardi, signore! Ho bisogno di sapere. Questo mestiere non è il vostro?

Vittorio                         - Evidentemente, no.

Celia                              - Ora, per impararlo occorrono dei mesi. Gabriele direbbe un anno!...

Vittorio                         - Per apprenderlo a un dipresso, quando « si vuole » come ho voluto io, quindi­ci giorni bastano.

CelIA                            - Ho conosciuto molti audaci; ma di fronte a voi sono animucce!...

Vittorio                         - Signorina, e dire che, in fondo, io sono un timido! Se voi sapeste che cosa pos­sa essere l'attrazione e l'allettamento di una idea!...

Celia                              - Questa idea si chiama, credo, con un nome conosciuto?

Vittorio                         - Quale nome?

Celia                              - Immagino, signore, che in questa follia, voi abbiate almeno la scusa... aiutate­mi!... (ridendo) dell'amore!

Vittorìo                         - (molto cortesemente) No, signo­rina.

Celia                              - (freddamente) Siete sicuro?

Vittorio                         - (sorridendo) Molto sicuro.

Celia                              - (ostinandosi) Allora, le vostre let­tere?... Una scommessa, senza dubbio?

Vittorio                         - (con slancio) Ah! Dio mio! che cosa dite? Non furono mai scritte delle lettere più sincere.

Celia                              - (un po' ammansita, ma soprattutto stupita) Ah!

Vittorio                         - E ne convengo d'altronde che avvicinandovi così dappresso, io mi sono portato fin sull'orlo dell'amore.

Celia                              - (che sembra prender atto) Ah!...

Vittorio                         - (sempre cortese e sorridente) Ma lo faccio con la ferma convinzione di non caderci dentro.

Celia                              - (ridendo nuovamente) Perché ?... Procurate di farmi comprendere!

Vittorio                         - (sorridendo) Perché io trovo as­surdo amare senza speranza!... E ancora di più lo sperare contro l'evidenza. Voi siete un fiore di lusso. Voi abitale, voi e le vostre simili, del­le regioni ove entrano soltanto coloro che son ricchi, e di buona condizione, o possessori di un nonne che abbiano reso illustre!... Io non dispero di illustrare il mio. Voglio scrivere...

Celia                              - Sì, va bene. Voi ne avete il dono.

Vittorio                         - ... e produrrò. Ma quando? De­vo lottare coi miei scrupoli. Con l'interdirmi, come faccio, il mediocre e 1'.abbastanza buono, col non accontentarmi dell'ottimo che quando è il meglio, mi meriterò il successo, senza dub­bio, ma bisogna che il meglio si avvicini!... E io che non mi crede, lo confesso, inferiore a nessuno, e... a nessuna, può darsi che, nel pe­riodo di parecchi anni, io sia il solo a crederlo, e che resti socialmente il meschinissimo perso­naggio che ho l'onore di presentarvi, signori­na: uno studente povero...

Celia                              - (impassibile) Ah! ah!

Vittorio                         - ... che abita in soffitta e che dà lezioni per vivere.

Celia                              - (impassibile) Ah! ah!

Vittorio                         - Voi comprendete ora (con mo­destia) come io non possa amarvi, (con fierez­za) che io non lo « voglio » (freddamente) e che... io... non vi... a...mo!

Celia                              - (impassibile) Sia, signore! Ma, non amandomi, perché diamine mi avete scritto?

Vittorio                         - Perché essendo la mia vita piut­tosto triste, prendo su di essa delle rivincite... d'immaginazione.

Celia                              - (ironica) Ah, questa è bella!

Vittorio                         - La maggior parte della gente, si serve della propria immaginazione per ren­dersi infelice. Io mi servo della mia per ren­dermi felice. Non è un gran male.

Celia                              - (aggressiva) Scusate!... Lasciale che gli altri stiano fuori della vostra fantasia!

Vittorio                         - Vi ho disprezzata o fatto torto signorina?... Voi che godete della vita, siate indulgente verso chi non ha per dono di natu­ra che l'illusione!

Celia                              - L'illusione?.... Questa vi sembra...inoffensiva, eppur non impedisce che, senza sospetto alcuno, io abbia tenuto davanti a voi i discorsi più imprudenti.

Vittorio                         - Io non so più però quali siano!

Celia                              - Oh bella!... Questa infedeltà grosso. lana e volgare di cui ho fatto paura al signor Maupré, per forza, perché io me ne vantavo, voi l'avete creduta!

Vittorio                         - Ma no! E' una smargiassata. Non un istante mi sono ingannato.

Celia                              - (provocata) Perché « non un istan­te »? Io trovo ben bizzarro che voi mi purifi­chiate così presto!... Infine, tanto meglio!... Ma dove io non voglio malintesi, è su quanto ho detto a Maupré dei suoi regali. Dei regali... non sono dei sussidi!

Vittorio                         - (scandalizzato) Signorina!.,. Voi sapete, dalle mie lettere, ciò che penso di Celia!

Celia                              - Ma, perbacco! le vostre lettere sono anteriori alla mia disputa col conte!

Vittorio                         - Prima o dopo, Celia resta nella mia stima a un'altezza ove nulla potrebbe rag­giungerla,

Celia                              - (ironica) Ah (breve)... Ah? (pro­lungato)... Dite dunque, caro signore, mi piace molto la fiducia; ma a questo punto però!... Proprio nel momento in cui mi sento impac­ciata a negare così (ridendo) senza molta ve­rosimiglianza!...

Vittorio                         - Signorina, ve ne supplico!

Celia                              - (cinica) Tutto quanto ho negato... era vero!

Vittorio                         - (freddamente risoluto) No!

Celia                              - (sorridente) ...Sì!

Vittorio                         - (cocciuto) D'altronde, questo non c'entra: io non voglio.

Celia                              - Come « non volete » ? Siete diver­tente, sapete! Vi farò constatare la realtà.

Vittorio                         - La realtà!... Credete dunque che ?o permetta di guastare il mio sogno? Io non le faccio questo onore!

Celia                              - Ah!.,, mio caro, dopo di ciò, que­sto è il colmo! non potreste trovar nulla di meglio!... E io che vi avevo preso, sul serio!

Vittorio                         - (nel tempo stesso ironico e conci­liante) Bisognerà continuare, signorina!... Io., quando occorre, so vedere la vita così come è; ma d'ordinario preferisco vederla altrimen­ti, perché essa non è bella; e io l'abbellisco con un po' d'illusione.

Celia                              - Sono già due volte che pronunciate questo vocabolo.

Vittorio                         - E' il nome di una mia filosofia.

Celia                              - Fatemene parte.

Vittorio                         - Non è molto adatta al vostro uso. E' soprattutto adatta per gli umili, come me.

Celia                              - Fatemene parte ugualmente. Io non so ancora bene se devo lacerare le vostre let­tere o no.

Vittorio                         - (malinconico) Ne sarei addolo­rato! ...

Celia                              - ( stesso tono) Anch'io!... (Con de­cisione) Losaprò meglio quandovi conoscerò un po' di più. Vi ascolto.

Vittorio                         - ... Signorina, la cittadina dove passo le vacanze è afflitta da luridi dintorni. Che cosa fareste voi?

Celia                              - (ridendo) Me ne andrei.

Vittorio                         - Se non poteste?

CelIa                             - Resterei a casa mia.

Vittorio                         - Al contrario, io ho scovato pa­zientemente a uno a uno, qualche ameno can­tuccio sperduto: ve ne sono sempre!... li ho al­lacciati tra di loro con delle scorciatoie di mia scelta; ed è così che attraverso un orrido pae­saggio mi faccio degli artistici itinerari che mi permettono di vedere il bello. Voi non sapre­ste immaginare a quante cose si applichi que­sto paragone.

Celia                              - (sorridente e interessata) Ma... se la bruttezza delle cose o delle persone vi si offre di sorpresa o all'improvviso?

Vittorio                         - Ho contro di essa un potere am­mirevole: basta non guardare! Io dispongo della mia attenzione. La mia attenzione è come un occhialino che io so a mio talento puntare su un oggetto, o scostarlo. Basta che io lo di­stragga, e ciò che mi spiaceva e irritava non esisterà più.

Celia                              - Permettete!... I drammi, i lutti, le catastrofi, vi costringono bene a guardarle, suppongo!

Vittorio                         - Ohimè, sì!... Davanti a questi grandi fatti, io sono disarmato come chiunque altro. Ma questi grandi fatti sono, insomma, l'eccezione. Quando si vagliano delle probabi­lità di fortuna, ciò che conta di più è l'ordina­rio, il quotidiano. Quante piccole noie, quante piccole miserie, che avvelenano la vita degli altri, e che io arrivo per mio conto a non scor­gere più!

Celia                              - Ma... le donne?

Vittorio                         - Le donne? Ebbene, la loro per­sona, il loro carattere, la loro storia, sono al­trettanti paesaggi su cui mi faccio degli itine­rari, che mi impongo di seguire per evitare gli angoli brutti e per incontrare solo i buoni. Che, se vado a urtare d'improvviso su alcunché di poco piacevole, è non di meno improvviso lo scostarsi del mio occhialetto.

Celia                              - E allora?

Vittorio                         - E allora, avendo così corrette e purificate le donne... io mi sogno di loro! e la mia immaginazione si incarica di variarmi questo sogno... indefinitamente.

Celia                              - Che età avete?

Vittorio                         - Ventitré anni.

Celia                              - E i vostri ventitré anni non recla­mano niente di più?

Vittorio                         - (ridendo) Questo è a parte. Que­sto riguarda Marietta o Ghita... che non mi hanno mai fatto sognare.

Celia                              - (ridendo) Parlatemi di esse!...

Vittorio                         - Ma né Marietti, né Ghita, pres­so le quali ho libero accesso, non avranno mai liberò accesso in casa mia. Quando alla sera, seduto.alla scrivania, accanto alla lampada, io chiudo gli occhi, a lavoro terminato, per ab­bandonarmi all'illusione, sento che nessun ri­cordo, nessun profumo di galanteria volgare aleggia intorno a me nell'atmosfera della ca­mera, a influenzare d'amore i miei pensieri. Per quanto ciò vi sembri ridicolo, la mia ca­mera di scapolo è restata casta come quella di una giovinetta.

Celia                              - (sorridente e pensierosa) Non siete troppo ridicolo! Ora è la mia volta?!... Mi parlerete alla fine di me?

Vittorio                         - Se non faccio altro!

Celia                              - (buona ragazza, ma un po' inquieta) Volete dire che voi avete «corretta » e « puri­ficata » anche me?

Vittorio                         - (dolce e cortese) Dio mio, sì! La vostra beltà squisita sembrava manifestare una anima eccezionale: le mie lettere vi hanno gra­tificata di un'anima eccezionale. ..

Celia                              - (che comincia a insuperbire) E' af­fascinante!

Vittorio                         - Questa Celia differente e sono franco superiore...

\ Celia                            - (stesso tono, crescente) Molto ironico!

: Vittorio                       - ... essa è, come vedete, l'opera del mio cervello che agisce su di voi.:

Celia                              - (sarcastica) Lo vedo, si!:

Vittorio                         - Quando questo lavoro, che mi ap­passionava, mi è divenuto meno facile da lon­tano, mi sono adattato a continuarlo da vicino.

Celia                              - (scuotendo il capo) Ed è tutto que­sto che voi chiamate « sincerità »?

Vittorio                         - Ma sì, certo!... Sincerità d'arti­sta che crede alla sua finzione, che la vive! La Celia delle mie lettere, l'ho amata alla buona e adorata ingenuamente.!

Celia                              - (aspramente) Grazie per lei!

Vittorio                         - E' anche per questo che ho po­tuto affermarvi, senza mentire, che io non amavo « voi »!

; Celia                            - (a parte) Aspetta un po'!

Vittorio                         - Però siccome siete voi che met­tete i vostri capelli nelle mie mani, e le vostre spalle sotto ai miei occhi, e che, se io mi la­sciassi mordere dalla tentazione, pagherei que­sto, fatalmente, con della sofferenza gratuita, ij» mi sono strappato in anticipo al pericolo.

Celia                              - Facendo che cosa?

Vittorio                         - Occupandomi come precettore...  a Londra

(Un silenzio).

Celia                              - (fa qualche passo) Quando partite?

Vittorio                         - Quando vorrò. (Celia fa un segno di soddisfazione) Ma parto, è la mia deci­sione, è irrevocabile.

 Celia                             - (misteriosa) E' meglio, infatti, che sia irrevocabile.

Vittorio                         - Che cosa volete dire?

Celia                              - (ridendo) Nulla che io possa dirvi prima del ritorno del conte. Ma per l'appunto! (Gli posa la mano sul braccio; poi corre a dare un giro di chiave; indi, dalla porta, mostrando il guardaroba gli sussurra) Nascondetevi là den­tro!

Vittorio                         - (con alterigia) Ma... no!

Celia                              - (correndo a lui e trascinandolo) Na­scondetevi là dentro!

Vittorio                         - Perché ?

Celia                              - (sottovoce) Lo voglio!... E non vi movete!... Lo manderò via molto presto.

Maupré                          - (dal di fuori) Olà! Siete rin­chiusa ?

Celia                              - (correndo ad aprire) Per chiunque, (con una riverenza) tranne che per voi!

Maupré                          - (entrando) E il parrucchiere?

Celia                              - Andato al diavolo!

Maupré                          - Alla buonora!... Ci si ama, al­lora?

Celia                              - Lo credo bene! (Maupré vuole ab­bracciarla e toccarla sulle labbra) No, non qui! Mi togliereste il rosso. Mi accorgo che non mi sono ancora incipriate le spalle.

Maupré                          - Le più belle spalle di Francia (Le bacia).

Celia                              - (lasciando fare) E... d'Austria, no?

Maupré                          - E d'Austria. (Vuole ricominciare: ella lo trattiene).

Celia                              - Vi ho colto!... Avete fatto un pa­ragone!

Maupré                          - (ridendo) Le austriache l'avreb­bero richiesto!...

Celia                              - (ridendo) Oh! vecchio soldataccio!

Maupré                          - Ma quando si è carezzata di que­sta carne!...

Celia                              - E' vero tutto questo?

Maupré                          - Mia bella, non arrischiatevi mai su una zattera di naufraghi: sareste divorata entro cinque minuti. (Baci).

Celia                              - Non è una buona ragione perché mi divoriate voi! Specie d'affamato!... Serba­tene per la nette!

Maupré                          - La notte è cominciata.

Celia                              - Non per me, che vado a recitare Andromaca. Entro in scena tra un quarto d'ora, e ho bisogno di raccogliermi. Andate ad atten­dermi a casa vostra; rimandate i servi, cene­remo soli, e non vi domanderò se avete appe­tito.

Maupré                          - Io ho sempre fame.

Celia                              - State attento., ingrassate. Maupré Anche voi, ma così leggiadramen­te che io non vi dico: « state attenta ».

Celia                              - Forse non l'ho più la fossetta?

Maupré                          - La deliziosa fossettina sul tondo della spalla sinistra!... C'è, sì; ma così picco­la... che sarei imbarazzato a trovarla nell'om­bra con la punta del naso.

Celia                              - Andiamo, bambinone, a questa notte!

Maupré                          - (baciandole la mano) A questa notte (Esce).

Vittorio                         - (uscendo dal suo nascondiglio) E' una cosa indegna!

Celia                              - (calmissima, incipriandosi le spalle) Che cosa è indegno?

Vittorio                         - Che voi mi abbiate voluto per testimonio di questo!

Celia                              - (stesso tono) « Questo»?... Spiega­tevi, mio caro, questo lo sapevate!

Vittorio                         - (con voce contenuta) Sapere non fa nulla!... Sapere non fa male ad alcuno!... Vi sono molte cose che io sapevo prima di scri­vervi e che in questi tre mesi sono riuscito a scordarmi completamente.

Celia                              - (stesso tono) Ditemi che cosa!... Parlate.

Vittorio                         - Sapevo le vostre tare, i vostri scandali!

Celia                              - (stesso tono) Continuate sempre!...

Vittorio                         - E sapevo da molto tempo ciò che voi e il signor Maupré... Ma perbacco, sapere è una cosa e « vedere » è un'altra!...

Celia                              - (freddamente ironica) «Vedere»? Perché mai consentite a «vedere»? I baci del conte vi urtano ? Ebbene! E questo occhialetto? Non avete che a scostarlo! Permettete che la realtà sciupi il vostro sogno? Voi non le fate questo onore!

Vittorio                         - Basta con le facezie, signorina. Il mio potere è nullo, l'ho riconosciuto, contro i drammi e le catastrofi.

Celia                              - (allegramente) E' una catastrofe per voi, che io mi lasci abbracciare dal mio amante?

Vittorio                         - Sono abbastanza clemente da ri­spondervi e di aiutarvi a farmi soffrire. Addio! (Va verso la porta).

Celia                              - (sempre gaia, ma più aggressiva) Soffrire?... Di che cosa?... Voglio che precisia­te... (Vittorio si arresta) Di che cosa?... Dite­lo!... Non sapreste dirmelo!... Voglio dunque dirmelo al vostro posto, e per vostro conto. Voi m'avete ripetuto tre volte che non mi amavate. Vi vantavate di tenervi sull'orlo dell'amore. Mio piccino, ci siete caduto. Mi amate!

Vittorio                         - (a bassa voce) Vi amo e me ne vergogno. Vi amo e vi disprezzo.

Celia                              - (ridendo) Ebbene! ciò mi lusinga! Un amore che il disprezzo non uccide, è un amore solido!... Ah! voi mi correggete! mi pu­rificate! Vi occorre una Celia differente! Una Celia superiore!... Io desidero, invece, che mi amiate tale e quale!

Vittorio                         - (scattando) Vale a dire vanitosa, vale a dire perversa!

Celia                              - (ironica, col tono della dimostrazione) E peggio che perversa. Poiché, per volere, come io voglio, che il povero Maupré pranzi da solo tuttora, e, questa notte, dorma solo e do­mani si svegli solo bisogna che io sia... Suggeri­temi l'aggettivo.

Vittorio                         - (sgomento) Signorina!...

Celia                              - Gli ho appena dato un po' di fiducia e la sua attesa sta cambiandosi in supplizio. Sentiamo, è una cosa « vile »! Ditemi che è una viltà!

Vittorio                         - (ansimando) Signorina!

Celia                              - (gentilmente) A meno che, dappri­ma, voi non desideriate sapere... a profitto di chi?

Vittorio                         - (smarrito) Celia! (Riprendendo­si) Ma no!... E' pazzia!... Lo studente povero e la regina del teatro!... vi è una contraddizione!

Celia                              - (misteriosa e dolce) E' così umana la contraddizione!... E' così femminile!

Vittorio                         - (fremente) Signorina!... Cosa de­vo intendere?

Celia                              - (sorridendo) Forse che io potevo de­centemente parlare di amore a chi non mi ama­va punto?

Vittorio                         - (esaltato) Ah... io vi amo!

Celia                              - (dolcemente) Ah, va benissimo!... Bisognava dirlo!... E dirlo così!

Vittorio                         - Vi amo!... Sono ebbro!... Ma co­s'è che mi accade?

Celia                              - (con una certa solennità) Vi accade, signor nomo dai sogni, che vi propongo un so­gno a due tra di noi.

Vittorio                         - Dite!... Dite!... vi prego!

Celia                              - Io, l'impura, la cinica...

Vittorio                         - Tacete!... Non dite questo!

Celia                              - Io, la Celia dagli scandali e dalle tare.

Vittorio                         - Perdono! vi ho offesa. Dimenti­cate!

Celia                              - ... ho nel cuore un astio contro tut­ti coloro, uomini o donne, che hanno mal cu­stodito la mia giovinezza, e, quasi, la mia in­fanzia. Quando io mi cerco nei tempi lontani, scorgo una fanciullina, e poi immediatamente una donna!... Questa gioia che immagino deli­ziosa, di sentirsi a diciotto anni pura e già tur­bata dall'approccio dell'amore, io non la im­magino che con le illusioni dei poeti e.le con­fidenze delle mie colleghe. Io non sono stata giovanetta! ... Ebbene, ricordatevi di ciò che voi m'avete scritto sulle « fanciullaggini del cuore ». E non ridete dunque! Sorridete sol­tanto. (Abbassa la voce) Ciò che i miei ricordi non mi danno, non può darmelo l'illusione? Della giovinetta che non sono stata, non pos­so col vostro aiuto ritrovare l'anima nel mio in­timo? Ho già respirato con delizia nelle vostre lettere un'atmosfera di rispetto. Continuatemi con la vostra condotta verso di me, le benevo­lenze delle vostre lettere; e io non prometto proprio di essere quella che le vostre lettere vor­rebbero che fossi; sarebbe troppo bello! Ma almeno lo sarò ai vostri occhi, per voi. E' un ruolo, ne convengo; e ne convengo pure che, se dovesse durare un pezzo, non potrei certa­mente sostenerlo. Ma voi partite! Dunque non durerà; e io metterò nelle vostre care lettere una sincerità appassionata. Volete?

Vittorio                         - (con passione) Sì, lo voglio!...

Una voce nel corridoio           - In scena per il  pri­mo atto!

Celia                              - Vittorio, devo staccarmi da voi.

Vittorio                         - Celia!... Non ancora!...

Celia                              - Rimanete. Abbiate pazienza. Tra due ore, i miei pensieri non voleranno che a voi. Ma per il momento, io divengo ancora, perché è necessario, la Celia d'« Andromaca ».

Vittorio                         - Mia diletta, datemi almeno un bacio!...

Celia                              - No, no. Non mescoliamo i generi! Non ho più un istante da perdere. Dov'è Fan­ny? Due colpi di campanello, volete? Il mio tignone si scioglie. Rifatemi il tignone, sostitu­to di Gabriele. (Si scioglie i capelli).

 Vittorio                        - (estasiato) Mi proverò.

Celia                              - (ridendo) Come « proverò »?

Vittorio                         - (si mette all'opera) E' che... la mia mano trema. Non ho più riveduto i vostri capelli da quando... da quando vi amo!... Non sono più capace...

Celia                              - Diavolo. Bisogna esser capace. (Con rimprovero) Vittorio, voi lo fate apposta a ,per­dervi dentro ai miei capelli!... Suvvia, presto, acconciatemi.

Vittorio                         - (scoraggiato) Temo che questo non reggerà.

Celia                              - Come fare?

Vittorio                         - (lasciando ricadére i capelli sparsi) Recitate così!

CELIA                          - Una Andromaca coi capelli svolaz­zanti!... Ehm!... Dopo tutto, però, crederanno che siano in segno di lutto!

Voce del buttafuori      - (nel corridoio) In scena per il primo atto!

                                      - (Bussano ed entra Fanny).

Celia                              - Fanny, la sciarpa!

Fanny                            - (sbarrando la porta) Signorina, que­sti signori si pigiano per entrare.

Celia                              - Entrino! (Fanny lascia la soglia: es­si si precipitano).

Primo signore                - Celia!... i vostri capelli?...

Celia                              - Avete dei consigli da darmi sulla mia aite?

                                      - (Fanny le porta la sciarpa che essa si aggiu­sta intorno alle spalle).

Secondo signore           - Ma che aria trionfante!...

Celia                              - Ho scoperto un mezzo per essere fe­lice.

Terzo signore                - Tutta la vita?

Celia                              - (ridendo) Come correte!

Il buttafuori                  - (dalla porta) Signorina, tocca a voi.

Celia                              - Vengo! (Corre da Vittorio; a bassa voce) Vittorio, sono folle!.. Non vi ho neanche domandato il nome.

Vittorio                         - (sorridendo) Mia amata, mi chiamo...

Celia                              - (ridendo) Zitto!... non ditelo!... è meglio così!... Voi siete          (con un gesto capric­cioso) il creatore d'illusione!

Vittorio                         - (ridendo pure, ma scuotendo la te­sta e trattenendo Celia) Celia!... L'illusione... non « sostituisce » la vita!

Celia                              - (maliziosamente) Sì... ma... « com­binandole » insieme?

Vittorio                         - (improvvisamente raggiante) Vi è tutto là dentro! La combinazione è perfetta!

Celia                              - (voltandosi) Andiamo, signori! (Esce precedendoli).

Vittorio                         - (solo) Cara illusione!...

FINE