Il decimo uomo

Stampa questo copione

IL DECIMO UOMO

Titolo originale: « The Tenth Man »

Commedia in tre atti

di PADDY CHAYEFSKY

Versione italiana di C.D. Marisi

PERSONAGGI

IL CABBALISTA

IL SAGRESTANO

SCHLISSEL

ZITORSKY

ALPER

FOREMAN

LA RAGAZZA (Evelyn Foreman)

AR­THUR LANDAU

HARRIS

IL RABBINO

I DUE RAGAZZI KESSLER

IL POLIZIOTTO

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

L'interno della sinagoga della Congregazione Ate-reth-Tifereth Yisroel. Si tratta di una congregazione non ricca, e la sinagoga è praticamente un negozio trasformato. Una piattaforma sopraelevata, circondata da una ringhiera, contiene il leggio e l'Arca Santa. Questo podio circondato da file di sedie pieghevoli, per i fedeli. Un po' più indietro c'è una vecchia cat­tedra dietro cui si siede il rabbino quando fa lezioni di ebraico. A destra è stata ricavata un'area separata, che è lo studio del rabbino: è un vano piccolissimo, che contiene una malandata scrivania di mogano con la sedia, una vecchia poltrona di cuoio, un divano di cuoio molto logoro e pile di libri di preghiera neri. Ai muri stanno quadri che rappresentano patriarchi bar­buti, in desolata ossessione curvi sui loro Talmud e anche qualche nota scena dall'Antico Testamento. Sul proscenio c'è una stufa di ferro. Sul fondo della scena c'è un'altra stufa, e una porta che evidentemen­te conduce ad un bagno. La porta d'ingresso si trova a sinistra.

Sono le sei e mezzo del mattino di una fredda gior­nata d'inverno. Quando si alza il sipario, il cabbalista sta ritto in piedi nel mezzo della sinagoga, in­teramente avvolto in uno scialle dì preghiera bianco con larghe strisce nere (il tallithy e prega silenziosa­mente leggendo da un grande libro appoggiato sulla balaustra del podio. A un tratto egli sospende le sue fervide preghiere, e si afferra alla ringhiera come se stesse per cadere. Pare che sia debole, che stia per svenire, è un uomo di bassa statura, barbuto, sulla sessantina, con un viso magro e rugoso, gli occhi spro­fondati nelle occhiaie. Porta in testa uno zucchetto nero, da cui escono ciocche grigie sulla fronte e sulle guance il che prova la sua ortodossia. Dopo un atti­mo, egli si riprende e torna alle sue preghiere. Tre uomini si precipitano nella sinagoga, come fuggen­do al terribile freddo della strada. Sono il Sagre­stano, Schlissel, e Zitorsky. Tutti indossano pesanti cappotti e cappelli grigi a larghe falde. Schlissel e Zitorsky hanno da poco compiuto la settantina, il Sa­grestano è un uomo piccolo e nervoso, con gli occhiali. Ha 48 anni. Sappiamo che è il Sagrestano perché ha un grosso mazzo di chiavi. Gli uomini si soffregano le mani per scaldarle, e soffiano, e sbuffano, e get­tano rapidi sguardi al cabbalista, che non si è nem­meno accorto del loro arrivo.

Schlissel                        - (sottovoce) Chiudete la porta. (Si fa luce nella sinagoga quando il Sagrestano gira l'inter­ruttore. Egli poi corre in fondo ad armeggiare con la stufa. Schlissel e Zitorsky, invece vanno sul proscenio verso il piccolo radiatore e là stanno in silenzio per un attimo, un po' stancamente. Poi Schlissel sospira) Allora, come va la vita per un povero ebreo, oggi?

Zitorsky                        - E come volete che vada?

Schlissel                        - Qua, una presa di tabacco.

Zitorsky                        - No, grazie.

Schlissel                        - Davis non ci sarà, stamattina. Sono passato a casa sua. Ha il raffreddore. Sua nuora mi ha detto che è ancora a letto.

Zitorsky                        - Mia nuora, che le capiti di diventar ricca e comprare un albergo con mille stanze, ed esser trovata morta in ognuna di queste.

Schlissel                        - Mia nuora, che possa fare forti inve­stimenti nella General Motors, e che tutta la baracca fallisca.

Zitorsky                        - Ma si, mettete al mondo dei figli.

Schlissel                        - Che il diavolo se li porti tutti via.

Sagrestano                    - (corre sul proscenio, e passando parla al cabbalista) Hirschman, state bene? (Si precipita poi alla porta dell'ufficio del rabbino, che apre con una delle molte chiavi appese alla catena)

Schlissel                        - Foreman non verrà, quest'oggi.

Zitorsky                        - Cos'è successo a Foreman?

Schlissel                        - Sua nipote, sapete, è per questa mat­tina.

Zitorsky                        - Oh, è vero. È per questa mattina.

Schlissel                        - Sentite, è la cosa migliore per tutti quanti.

Zitorsky                        - Certo.

Schlissel                        - Io gliel'ho detto, a Foreman. Gli ho detto: "È la cosa migliore per tutti." La ragazza sta diventando violenta. Ne ho parlato col padre. Mi ha detto che vivono nel terrore che faccia del male agli altri bambini. Una notte, tornando a casa, l'han tro­vata che stava prendendo a pugni uno dei piccoli.

Zitorsky                        - Beh, che ci si può fare?

Schlissel                        - Che ci si può fare? Si fa quel che fan­no loro. La rimandano alla casa di cura.

Zitorsky                        - Naturale. Là avrà il vantaggio di esser curata da personale specializzato.

Schlissel                        - La ragazza è incurabile. Non ha fatto che andare dentro e fuori dalle case di cura da quan­do aveva undici anni. Ho incontrato lo psichiatra a casa loro, quando sono andato a trovare Foreman la settimana scorsa. Abbiamo discusso l'intera questio­ne. Un giovanotto in gamba. La ragazza è schizofre­nica con tendenza alla violenza.

Zitorsky                        - (medita un attimo su questa diagnosi, poi sospira) Ah, mia nuora! Che possa mangiare ghian­de e che i rami le vengano fuori dalle orecchie.

Schlissel                        - Mia nuora! Che possa vivere cento­venti anni, e possa viverli tutti in casa di sua nuora. (Il Sagrestano intanto ha tirato fuori dall'ufficio del rabbino una grande scatola di cartone, e ne estrae due borse di velluto che porge a Schlissel e Zitorsky. Un quinto vecchio ebreo sta arrivando in questo mo­mento dalla porta della strada, un ometto aristocra­tico con una barba alla Vandyke e un cappello nero duro. Il suo nome è Alper. Entrando, egli prorompe in preghiera con voce stridula)

Alper                             - (salmodiando) "Ed io nell'abbondanza della tua amorosa bontà entrerò nella tua casa io adorerò verso il tuo tempio santo e avrò timore di te. Come sono amabili le tue tende, o Giacobbe...” (Tanto pre­cipitosamente come è cominciata, la preghiera si ri­duce ora a un rapido movimento delle labbra. Il Sa­grestano saluta l'arrivo di Alper con un cenno della testa e si riprecipita nell'ufficio del rabbino, dove si siede dietro la scrivania e comincia a fare un numero del telefono. La voce acuta di Alper si alza di nuovo) "...nella verità della tua salvezza. Amen!"

Schlissel                        - Amen.

Zitorsky                        - Amen. (Alper si unisce agli altri due vecchi, e tutti rimangono in silenziosa e triste medi­tazione)

Sagrestano                    - Pronto? Harris? Qui parla Bleyer, il Sagrestano. Venite, oggi? Abbiamo bisogno di voi, Foreman non ci sarà. Davis è ammalato. Non avremo dieci uomini per le preghiere del mattino se non ve­nite voi'... Il servizio comincerà fra venti minuti. Fate presto... Infilatevi un pullover sotto il cappotto... be­nissimo... (Riattacca, prende dalla scrivania un grosso libro mastro, e comincia nervosamente ad esaminare le pagine)

Schlissel                        - Hirschman è rimasto a dormire nella sinagoga un'altra volta, la notte scorsa. Avete mai vi­sto un ciarlatano tanto devoto?

Alper                             - Beh, è un uomo molto religioso. Uno stu­dioso della Cabbala.Il rabbino parla di lui con la massima venerazione.

Schlissel                        - Devoto davvero. Vi assicuro che tutta questa ostentazione di ortodossia è un affare molto vantaggioso. Mi hanno detto, in tutta confidenza, pro­prio ieri, che il suo vitto e l'alloggio son pagati da due stupide vecchie che lo considerano un santo.

Alper                             - Non può venirgli a costar molto. Non ha fatto che digiunare negli ultimi tre giorni.

Schlissel                        - E la ragione per cui tanto spesso dorme nella sinagoga è che la sua padrona di casa non gli passa il riscaldamento alla mattina.

Zitorsky                        - Ah, che cosa vuol dire esser vecchi, d'in­verno.

Alper                             - Devo confessare che non so che fare di me stesso in queste giornate cosi fredde.

Schlissel                        - Io sono ateo. Se avessi qualcosa di meglio da fare, credete che sarei qui?

Zitorsky                        - Sapete quale sarebbe un bel modo di passare il tempo? Io credo che sarebbe divertente fare una gita fino al cimitero di Monte Speranza, e dare un'occhiata al luogo dove sarò seppellito. Un cimi­tero delizioso. Sembra un campo di golf, per dire la verità. E con tutto il tempo che ci vuole per andare fin \i e tornare indietro, la giornata è bell'e passata. Vi piacerebbe venire? Pagherei il viaggio a tutt'e due.

Alper                             - Perché no? Io non sono mai stato a Monte Speranza. Mi son comprato la tomba al cimitero di Monte Sion.

Zitorsky                        - Oh, quello è un bellissimo cimitero.

Alper                             - Si, certo. Mia moglie voleva che ci com­prassimo la tomba al prato dei Cedri, perché tutta la sua famiglia è sepolta laggiù, ma io non ne ho vo­luto sapere.

Zitorsky                        - Oh, il prato dei Cedri. Non mi andrebbe di esser sepolto al prato dei Cedri.

Alper                             - E tenuto cosi male. Le pietre tombali sono cadute una sull'altra, e la gente cammina sopra i tumuli.

Zitorsky                        - Non hanno nessun riguardo, al prato dei Cedri. Mia moglie - pace all'anima sua - disse una volta che il prato dei Cedri è un cimitero per non residenti.

Alper                             - Una bellissima definizione.

Zitorsky                        - Lei sapeva parlare bene il Signore le dia la pace eterna.

Alper                             - Sarei felice se voi veniste a Monte Sion ogni tanto, a dare un'occhiata alla mia tomba.

Zitorsky                        - Potremmo andarci domani.

Schlissel                        - Ma senti un po' questi due idioti che parlano delle loro tombe come se fossero ville in cam­pagna.

Zitorsky                        - E voi dove vi seppelliscono, Schlissel?

Schlissel                        - Al prato dei Cedri.

Alper                             - Beh, sapete, ci sono delle bellissime zone, nel prato dei Cedri. Tutta la famiglia di mia moglie è sepolta là.

Zitorsky                        - Venite con noi, Schlissel, a dare un'oc­chiata alla mia tomba.

Schlissel                        - Perché no? E che altro ho da fare? (Alper ora procede lentamente alla bisogna di indos­sare lo scialle delle preghiere e i filatteri,1 che estrae da una borsa di velluto. Per gli ebrei la preghiera è una faccenda altamente individuale,, e peripatetica per giunta. Lo stesso rito di indossare i -filatteri è mol­to singolare. Alper estrae dalla giacca il suo braccio sinistro, e riabbottona la giacca lasciando penzolare libero il braccio sinistro in maniche di camicia. Ar­rotola poi la manica della camicia fino alla spalla, e il filatterio, una lunga striscia di cuoio nero, viene avvolto intorno al braccio sette volte, tre volte attorno al palmo, e tre volte attorno al dito medio della mano sinistra. Tutto ciò vien fatto coli'accompagnamento di preghiere recitate in fretta, cosi come quando ci si pone sul capo il filatterio per la fronte. Nel frattempo Alper cammina, curvandosi e piegandosi sulle ginoc­chia, alzando la voce di quando in quando nelle bel­lissime parole della preghiera. Nell'angolo più lontano della scena il cabbalista si rannicchia nello scialle bianco che lo avviluppa, voltando la schiena a tutti, profondamente immerso nelle sue meditazioni. La si­nagoga è piccola e squallida, i muri sono gialli e pieni di crepe, alluminati da una lampadina elettrica ap­pesa al soffitto. In verità in questo momento si ha la sensazione di essere al di fuori della storia, addirit­tura in un'epoca di primitiva barbarie. Nel frattempo, il Sagrestano ha fatto un'altra telefonata)

Sagrestano                    - Pronto? Il signor Arnold Kessler, prego?... Come state? Qui parla Bleyer, il sagrestano della sinagoga. Forse vi ricordate di me... Vi ho sve­gliato? Mi spiace moltissimo. Ma dato che siete al­zato, secondo i miei libri vi devo comunicare che ieri faceva un anno che è morto vostro padre, l'undice­simo giorno del mese di Shevat - possa la sua anima volare diritta alle porte celesti - e che ne direste di venire assieme a vostro fratello a dire una preghiera in memoria di vostro padre?... Permettete allora che vi dica come stanno le cose, signor Kessler. Non è possibile recitare le preghiere del mattino senza il numero legale di dieci uomini. Se voi e vostro fra­tello non verrete, non avremo il numero legale... In via di favore personale... Kessler, possano i vostri fi­gli essere figli altrettanto devoti e portate vostro fratello. Avrete fatto un'opera buona. La pace sia con voi. Fate presto. (Riappende il microfono, si siede ac­cigliato, contando il numero delle presenze sulla pun­ta delle dita, ed è preoccupato. Nella sinagoga, per un breve momento si alza la voce di Alper)

Alper                             - "... e sarà per te come un segno sulla tua mano, e un memoriale tra i tuoi occhi...” (Il Sagre­stano si alza bruscamente ed esce dall'ufficio precipi­tandosi alla porta d'entrata)

Sagrestano                    - (a nessuno in particolare) Sentite, va­do in strada. Devo assolutamente pescar fuori un de­cimo ebreo, in qualche posto. Schlissel, per cortesia, mettetemi a posto quella panca, ieri me l'avete pro­messo. (il Sagrestano esce. Schlissel annuisce e pren­de un martello. Per un momento si sente solo la can­tilena delle preghiere mormorate in fretta e il mar­tello di Schlissel sul fondo. Poi la porta della sina­goga si apre, e il sesto vecchio entra. È un uomo mi­nuto, dall'aria spaventata: si chiama Foreman. Ha chiaramente perduto il controllo di sé: lancia attor­no sguardi atterriti, e improvvisamente scompare nel-

1 I filatteri                     - (tefillin) sono strisce di cuoio con cui si as­sicura, alla fronte e all'avambraccio sinistro, una scato­letta contenente brani biblici dell'Esodo e del Deuterono­mio, ove Dio comanda di legare le sue parole "come un segno sulla mano" e "come frontale tra gli occhi". (N. d.T.). la strada, lasciando la porta aperta. Nessuno si ac­corge della sua breve apparizione. Un attimo dopo egli riappare conducendo per mano un'esile fanciulla di diciott'anni, avvolta in un soprabito, e che ha pure l'aria sconvolta. Rapidamente il vecchio la conduce attraverso la sinagoga fino all'ufficio del rabbino, ve la spinge dentro, p. chiude la porta dell'ufficio. La raterrore. Foreman corre a richiudere la porta d'en-terrore. Foreman corre a rinchiudere la porta d'en­trata. Schlissel lo vede e lo saluta con un cenno della testa, Foreman risponde con un altro cenno. Come tutti i suoi amici Foreman indossa un pesante pa­strano invernale e un cappello logoro, troppo piccolo per lui. Foreman si ferma e guarda gli altri con ap­prensione. Finalmente Alper .termina la cerimonia di indossare « filatteri, e di nuovo la sua voce si alza acuta in preghiera)

Alper                             - (a Foreman, muovendosi lentamente mentre prega) "...e sarà come un segno sulla tua mano, e un frontale tra i tuoi occhi, poiché con mano forte il Signore ci ha condotti fuori dalla terra d'Egitto. Amen!"

Foreman                        - (mormora, scuotendo nervosamente la te­sta) Amen.

Alper                             - Pensavo che oggi non saresti venuto, Fo­reman.

Foreman                        - (apre la bocca senza emetter suono. Poi) Alper...

Alper                             - Mi sembri agitato. C'è qualcosa che non va?

Foreman                        - (guardandolo con occhi sbarrati) Alper, l'ho portata qui.

Alper                             - Chi hai portato qui?

Foreman                        - Ho portato qui mia nipote Evelina. Qui nell'ufficio del rabbino.

Alper                             - Ma che dici?

Foreman                        - L'ho condotta via di casa mentre nes­suno mi badava, e l'ho portata qui. Mi sento debole. Fammi sedere. (Si lascia cadere su una sedia. Il suo amico lo guarda preoccupato)

Alper                             - Dai qui, Davide, dammi il cappotto.

Foreman                        - Alper, ho visto una cosa e udito tali parole che mi manderanno nella tomba prima che si canti il servizio della sera. "Benedetto tu, o Signore, Dio nostro, Re del mondo che hai creato le meravi­glie del mondo.” (Balzando improvvisamente dalla se­dia) Devo parlare a Hirschman. Questa è una fac­cenda per Hirschman, che si è sprofondato nella cabbala e conosce i misteri proibiti dei numeri.

Alper                             - Siediti, Foreman, e calmati. (Foreman tor­na a sedersi) Perché l'hai portata qui? Foreman, tu sei il mio più vecchio amico dei tempi della yeshivadi Rumni nella provincia di Poltava, e devo parlarti con durezza, come solo un amico può parlare. Tu la stai gonfiando troppo tutta questa faccenda della ra­gazza. So quanto bene le vuoi, ma la ragazza è pazza, per amor di Dio! Che razza di sciocchezza è questa, allora di portarla via di nascosto dalla casa di tuo figlio? A che scopo? Davvero, Foreman, un uomo pio e gentile come te! Immagino che tuo figlio in questo momento sta correndo per le strade chiamando Eve­lina. Telefonagli, e digli che tra un momento gliela ricondurrai. (Foreman lo guarda con occhi fissi, pieni di lacrime)

Foreman                        - Alper...

Alper                             - David, amico mio, rassegnati a questa si­tuazione.

Foreman                        - (in un sussurro) Lei è posseduta, Alper. Ha un dibbukdentro di sé. Un demonio! Mi ha par­lato. (Guarda il pavimento ai suoi piedi, mentre un cieco terrore gli si dipinge in volto) Il dibbuk mi ha parlato. Stamattina ero entrato nella stanza di mia nipote per confortarla un po', e le ho detto: "Come stai?" E lei sembrava del tutto normale. Ha questi momenti di lucidità totale. (Fissa di nuovo Alper con disperazione) Sembrava che sapesse che stavano per ricondurla nella casa di cura. Poi improvvisamente è caduta per terra ed è svenuta. Io ho detto "Evelina, che hai?" E lei ha guardato in su verso di me, e non era più il suo viso, ma un viso tanto contorto dall'odio che il sangue mi si è gelato nelle vene. E la voce che è uscita da lei non era la sua voce. "Rico­nosci la mia voce?" E io la conoscevo. Io conoscevo quella voce. Dio abbia pietà della mia anima. Me ne stavo là come una statua, e mia nipote giaceva sul pavimento con gli occhi chiusi, e una voce usciva da lei, ma le sue labbra non si muovevano, "Davide Fo­reman, figlio di Abramo, questa è l'anima di Hannah Luchinsky, che nella tua gioventù hai disonorato e tormentato, e le porte del paradiso sono chiuse in faccia a me." E mia nipote cominciò a torcersi sul pavimento nella più orribile agonia e a ridere cosi forte che ero sicuro che mio figlio e mia nuora do­vevano sentirla. Preso dal panico ho spalancato la porta e mio figlio e mia nuora eran li e parlavano     - e non sentivano niente. E ti dico che risate simili a latrati, uscivano da questa ragazza sul pavimento. E ho richiuso la porta e pregato Iddio, e finalmente il dibbuk si è azzittito. Che il Signore mi faccia ca­dere morto qui dove sono, Alper, se ogni parola che ti ho detto non è vera. (Alper si è lentamente messo a sedere sulla sedia vicina, affascinato dal racconto. Guarda Foreman con occhi sbarrati)

Alper                             - Un dibbuk?

Foreman                        - (annuendo) Un dibbuk. Non puoi cre­derci?

Alper                             - Chi ha detto di essere il dibbuk?

Foreman                        - Dovresti ricordarti di lei. Hannah Lu­chinsky.

Alper                             - Il nome mi è vagamente familiare.

Foreman                        - Non ti ricordi di Luchinsky, il sagre­stano della yeshivà di Rumni, con le sue tre figlie? Hannah era quella carina, che fu messa incinta, e le gettarono delle pietre addosso, la chiamarono sgual­drina, e la cacciarono dalla città.

Alper                             - (ricordando a poco a poco) Ooohhh.

Foreman                        - Fui io a sedurla.

Alper                             - Tu? Tu eri un ragazzo gentile e modesto, col naso sempre sui libri. Ma guarda. Un dibbuk. Davvero! Che cosa straordinaria. Schlissel, volete sen­tirne una?

Schlissel                        - (avvicinandosi) Che cosa?

Alper                             - (a Zitorsky che vaga per la sinagoga) Sen­tite questa. Foreman mi ha raccontato una storia che vi cambierà il sangue in acqua.

Schlissel                        - Che cosa è successo?

Foreman                        - E successo, Schlissel, che sono andato a vedere mia nipote stamattina e ho scoperto che era posseduta da un dibbuk. Ora, vi prego, Schlissel, pri­ma che vi lanciate in una delle vostre interminabili diatribe sulla funzione della superstizione nell'econo­mia capitalista, permettetemi di ricordarvi che io so­no un seguace di Maimonide1 e che...

Schlissel                        - Ma di che cosa state parlando?

Foreman                        - Di un dibbuk! Un dibbuk! Mia nipote, vi dico, è posseduta da un dibbuk. Oh, mi ronza tutta la testa. Non so proprio che fare.

Schlissel                        - Di che dibbuk state ciarlando?

Alper                             - (a Schlissel) La voce di Hannah Luchinsky gli ha parlato attraverso le labbra di sua nipote.

Zitorsky                        - Oh, un dibbuk.

Schlissel                        - Che sciocchezze son queste?

Alper                             - (a Foreman) Ne siete sicuro?

Foreman                        - (in collera) Se ne sono sicuro? Sono forse un contadino che salta ogni volta che vede un gatto nero? Mi sono mai mostrato suscettibile al mi­sticismo? Non mi avete mai visto impegnare Hirsch­man in dispute violente sulla fanatica numerologia della Cabbala? Non mi sono fatto beffa in faccia a lui della morbosa fantasia del Gilgul con le sue ani­me indemoniate che fluttuano nello spazio? Ma guarda! Se ne sono sicuro! Mi prendete per uno stupido, che propala chiacchiere di comari? Ma bene! Vi dico che ho udito la voce di quella donna cosi come sento adesso il vento gelato che fischia fuori della porta, e che ho visto mia nipote contorcersi tra le grinfie del demonio cosi come vedo il filatterio sulla vostra fronte in questo momento. Io ho insegnato biologia al liceo ebraico per 39 anni. Io sono un seguace del grande Rambam che se ne rideva dei profeti e dei maghi. Per amor del cielo! Io vi sto raccontando solo quel che ho visto! (Si mette a camminare a grandi passi; la collera gli svapora in modo subitaneo) Mio caro Alper, ti prego di perdonarmi questo scoppio d'ira. Sono cosi fuori di me per tutta questa faccenda. Non riesco a controllarmi. Ti assicuro che credere ai miei sensi è difficile per me quanto lo è per voi.

Zitorsky                        - Quando ero ragazzo in Lituania, c'era un giovane che lavorava per il macellaio che era pos­seduto da un dibbuk.

Schlissel                        - (con disprezzo) Un dibbuk, ma si, ma si. Quando ero ragazzo, in Polonia, anch'io udii par­lare di un uomo che viveva nella città vicina ed era posseduto dal dibbuk. Avevo otto anni, e un giorno, dopo la scuola, a piedi scalzi, coi miei amici mi feci le sei miglia fino a quella città, e lo domandammo a tutti: "Dov'è l'indemoniato?" E nessuno capiva di che stavamo parlando. Allora tornai a casa e dissi a mia madre: "Mamma, nella città vicina non c'è nessuno col dibbuk." E lei mi diede un ceffone tale che feci tre giri su me stesso. E mi disse: "Ahah! solo otto anni e già ateo!" Foreman, amico mio, tu parli come mia madre, che era un'ignorante e la moglie di un pescatore. Sono veramente stupito.

Foreman                        - Oh, lasciatemi in pace, Schlissel. Non sopporto di sentirvi pontificare questa mattina.

Alper                             - Non prendertela, Foreman. Lui è comu­nista.

Foreman                        - Non è comunista. È soltanto antipatico.

Schlissel                        - Amico mio, non ho mai creduto in Dio. E adesso dovrei credere nei diavoli? Un dibbuk!... Mi piacerebbe proprio vederlo.

Foreman                        - (furiosamente) E allora guarda! (Va al­la porta dell'ufficio del rabbino e la spalanca. Gli altri lo seguono lentamente e guardano dentro. La ra­gazza, Evelina, ricambia lo sguardo terrorizzata. Con voce di tuono, Foreman urla) Dibbuk! Ti ordino di rivelarti! (La ragazza guarda i quattro vecchi e a un tratto scoppia in una risata satanica. Essi fanno in­volontariamente un passo indietro e stanno a guar­dare la scena con occhi sbarrati)

Foreman                        - Come ti chiami, demonio?

Ragazza                        - Io sono Hannah Luchinsky.

Foreman                        - Chi sei?

Ragazza                        - Io sono la sgualdrina di Kiev, l'amica dei marinai.

Foreman                        - E come sei entrata nel corpo di mia nipote?

Ragazza                        - Io ero su una nave sul mare di Odessa, per il piacere di cinque ricchi mercanti. E venne una tempesta e tutti fummo perduti. E la mia anima si levò dalle acque e volò verso la città di Belgorod dove la mia anima si rivolse ai saggi di quella città. Ma poiché io avevo fatto una vita malvagia, essi mi vol­sero la schiena.

Foreman                        - E poi?

Ragazza                        - Poi la mia anima entrò nel corpo di una vacca che divenne pazza e fu portata al macello e io mi rifugiai nel corpo di questa ragazza come di­retta dalla mano di Dio.

Foreman                        - Che cosa vuoi?

Ragazza                        - Io voglio la forza di un'anima pura per apprendere la virtù e poter salire al cielo.

Foreman                        - Ti scongiuro di lasciare il corpo di que­sta ragazza.

Ragazza                        - Ho errato per il Gilgul molti anni, e voglio la pace. Perché mi tormenti? Ci sono alcuni, tra voi, che han fatto quel che ho fatto e che soffri­ranno il mio stesso fato. Ce n'è uno, tra voi, che molte volte si è giaciuto con donne di malaffare e sua mo­glie è morta di dolore quando l'ha saputo.

Zitorsky                        - (atterrito) Dio mio!

 Ragazza                       - (ridendo) Devo dunque rispondere alle domande di vecchi che non hanno nulla da fare se non visitare ciascuno il cimitero dell'altro?

Zitorsky                        - (atterrito) Un dibbuk... un dibbuk...

Foreman                        - Evelina... Evelina... È di nuovo in cata­lessi. (La ragazza ora siede sulla sedia del rabbino in atteggiamento sguaiato, con l'aria di aver concluso l'intervista. I quattro la guardano un po' istupiditi sono tutti pallidissimi. Foreman chiude la porta del­l'ufficio e i quattro se ne vanno silenziosi in gruppo verso il proscenio e là si fermano a rimuginare la strana esperienza avuta. Foreman si abbandona su una sedia e si copre la faccia con le mani. Dopo un lungo silenzio parla Zitorsky)

Zitorsky                        - Beh, è proprio un dibbuk, non c'è che dire.

Schlissel                        - La ragazza è pazza da legare e si im­magina di essere una puttana ucraina. Tutto qui il vostro dibbuk?

Alper                             - Per conto mio è stata un'esperienza spa­ventosa.

Zitorsky                        - Mi ha individuato subito, vi dico. Ero io l'uomo di cui parlava, che se ne andava in giro con le donne. Sapete, quando ero nel ramo abiti fatti, se uno non scovava delle donne per i compratori che venivano da fuori, non riusciva a vendere un vestito. Oh, mi piaceva la compagnia, allora      - ero proprio un bel matto. Un giorno, mia moglie mi trova nel ne­gozio assieme a un'indossatrice - chi poteva saperlo che sarebbe capitata in città quel giorno? - e da quel momento mia moglie è sempre stata malata, e tre an­ni dopo è morta, maledicendo il mio nome fino all'ultimo respiro. Era un dibbuk, non c'è dubbio. Co­me mi ha pescato subito. Mi ha fatto venire la pelle d'oca.

Alper                             - Avete notato che usava un linguaggio ar­caico, e l'accento russo? La faccenda mi sembra ge­nuina.

Schlissel                        - Che sciocchezze. L'ultima volta che so­no stato da Foreman la ragazza mi ha confidato in un sussurro che lei era Susan Hayward. Un dibbuk. Fin da quando era bambina Foreman non ha fatto che riempirle la testa con quelle maledette supersti­zioni del distretto russo e adesso lei crede di essere un dibbuk. La ragazza è matta e dovrebbe essere spe­dita in manicomio immediatamente. (Alper guarda Schlissel con disapprovazione, lo prende per un brac­cio e lo conduce da una parte per parlargli privata­mente)

Alper                             - Ma Schlissel, è proprio necessario che sia­te sempre cosi polemico? Siamo tutti d'accordo che abbiamo un dibbuk fra noi, e sembra che ce la met­tiate tutta per essere in contrasto con quelli che vi stanno attorno. Via, guardate il povero Foreman, com'è turbato. Per semplice cortesia, per favore, per un vecchio amico, non potreste almeno non espri­mere la vostra opinione? E dopo tutto, che altro avete da fare quest'oggi? Fare due ore e mezzo di treno per andare a contemplare la pietra tombale di Zitorsky? Se ci pensate un attimo, su, questo dibbuk in fondo, è assolutamente affascinante. Non è successo nulla di tanto interessante dal giorno in cui Kornblum e Milsky han fatto a pugni per decidere chi doveva avere il posto più vicino al muro orientale durante le feste autunnali.

Zitorsky                        - (avvicinandosi) è proprio un dibbuk autentico.

Schlissel                        - (aggrottando la fronte) Benone; e adesso che abbiamo questo dibbuk, che cosa ne fac­ciamo?

Alper                             - Mi sembra che ci sia una qualche ceri­monia rituale - una specie di esorcismo...

Zitorsky                        - Forse dovremmo dirlo al rabbino.

Schlissel                        - Un ragazzo, il rabbino. E cosa volete che ne sappia, quello? Un demonio deve venire esor­cizzato da un rabbino di valore. Non si può mica convocare un qualsiasi giovanotto ben rasato, fresco di scuole, per un caso importante come un dibbuk. Questo rabbino è qui solo da due mesi. Conosce ap­pena i nostri nomi.

Alper                             - Ha ragione. Ci occorre un grande rabbino per questa faccenda.

Schlissel                        - C'è da fare solo una cosa: mettersi in contatto col rabbino Korpotchniker di Williamsburg, che ha ereditato il mantello del Grande Korpotchni­ker di Lwow, la cui fama si è sparsa in tutto il mondo.

Zitorsky                        - Oh, un saggio tra i saggi.

Alper                             - Io stavo per suggerire il Rabbi Bobolovit-cher di Crown Heights.

Schlissel                        - Di dove venite voi per paragonare il Rabbi Bobolovitcher con il Korpotchniker!

Alper                             - Una volta ho assistito a un servizio pome­ridiano celebrato dal Bobolovitcher è stata dav­vero un'esperienza esaltante. Un uomo che viveva ve­ramente la grande tradizione dei rabbini chassidici.

Zitorsky                        - Un saggio tra i saggi possa il suo nome esser benedetto in eterno.

Schlissel                        - Ciò dimostra quanto siete ignorante. Il Rabbi Bobolovitcher è un discepolo del Korpotch­niker e se ne stava seduto ai piedi del Korpotchniker fino a pochi anni fa.

Alper                             - Sentite, io non ho voglia di discutere con voi. L'uno o l'altro per me va benissimo.

Schlissel                        - Il Korpotchniker è il numero uno dei rabbini chassidici. Se volete cacciarvi in questo pastic­cio, perché non vi servite almeno di uomini di prima qualità?

Alper                             - Vada per il Korpotchniker.

Zitorsky                        - Quanto a questo, il Rabbi Lubanower di Brownsville è un uomo di grande reputazione.

Schlissel                        - Il Lubanower, ma no! È un ragazzino, per amor di Dio!

Alper                             - Zitorsky, resti stabilito che sarà il Kor­potchniker.

Zitorsky                        - Era solo un suggerimento.

Schlissel                        - La questione è: come ci si arriva, al Korpotchniker? Non si può capitargli in casa come se fosse una biblioteca pubblica. Bisognerà avvisare il suo segretario e fare una petizione per esser rice­vuto. Ci vorranno delle settimane.

Alper                             - Penso davvero, Schlissel, che dovremmo trovare un rabbino un po' più accessibile. Ah, ecco qui Hirschman, che certo potrà darci eccellenti con­sigli in materia. (il cabbalista ha finito le sue devo­zioni e cammina lentamente verso il proscenio. Sem­bra piccolo e spaventato. Foreman balza su dalla sedia)

Foreman                        - Hirschman! (Tutti si affollano attorno al cabbalista)

Zitorsky                        - O Signore - Hirschman - le cose che abbiamo da dirvi !

Alper                             - Zitorsky, vi prego. Hirschman, voi siete un uomo versato nella Cabbala, un uomo che sa pre­gare con tutti i settantadue nomi del più Antico de­gli Antichi.2

Foreman                        - (prorompendo) Hirschman, mia nipote è posseduta da un dibbuk.

Cabbalista                     - (indietreggia terrorizzato) Un dibbuk!

Alper                             - Foreman - ti prego - una cosa del ge­nere non si annuncia in questo modo.

Cabbalista                     - Ne siete certo?

Foreman                        - Hirschman, di regola io non ho l'abitu­dine di scherzare.

Cabbalista                     - Si tratta dell'anima di una donna a cui è stato fatto torto in gioventù?

Foreman                        - Si.

Cabbalista                     - L'ho udita gridare, la notte scorsa. Mi ero svegliato per le mie devozioni di mezzanotte, e mentre pregavo udivo le urla dell'anima di una donna. (Una strana espressione di stupore appare sul suo viso) Ero rimasto digiuno per tre giorni e tre notti, e pensai che la voce di quello spirito fosse un'allucinazione, dovuta al mio stato di debolezza. Poiché solamente coloro davanti ai quali l'Antico ha levato il suo velo possono udire il clamore dei dibbuk. È questo un segno di Dio che la mia peniten­za deve aver termine? Ho tanto pregato per un segno. Ho avuto strane sensazioni in questi ultimi giorni. Improvvise, brucianti illuminazioni hanno abbagliato i miei occhi e ho udito le voci dei morti e visto cose soprannaturali. (Alza il suo piccolo viso appassito, con gli occhi sbarrati per lo stupore. Gli altri si sen­tono a disagio, per questo eccesso di abbandono. Fo­reman è assolutamente sopraffatto)

Alper                             - Praticamente, Hirschman, tutto ciò che vorremmo sapere è se voi conoscete il numero tele­fonico del Rabbi Korpotchniker. (il cabbalista con uno sforzo torna alla realtà)

Cabbalista                     - È mio cugino. Ve lo chiamerò io. (Sì muove adagio, ancora assillato dai suoi pensieri, ver­so la parete esterna dell'ufficio del rabbino)

Alper                             - (sopraffatto) Vostro cugino? Siete il cugi­no del Korpotchniker, Hirschman?

Zitorsky                        - (rincorre il cabbalista) Vi occorrerà un gettone, Hirschman. (Glielo mette in mano)

Alper                             - Schlissel, il cugino del Korpotchniker, ave­te sentito? Dunque, non è poi tanto un ciarlatano.

Schlissel                        - Io vi dico che mi fa venir la pelle d'oca, quell'Hirschman. (Il cabbalista ha fatto il numero. Foreman gli sta vicino, gomito a gomito, piegato in due dall'ansietà)

Cabbalista                     - (a Foreman, con gentilezza) E lei dov'è, il dibbuk?

Foreman                        - Nell'ufficio del rabbino.

Cabbalista                     - Siete saggio a rivolgervi al Korpotch­niker. Egli è un giusto tra i giusti. Eravamo molto uniti, da bambini, finché io non abbandonai la car­riera del rabbino. (Al telefono con voce gentile) Pron­to? Parlo con Chaim, figlio di Yosif...? Qui parla Israe­le figlio di Isacco... E la pace sia con voi... C'è un uomo qui, nella mia congregazione, che teme che sua nipote sia posseduta da un dibbuk, e vorrebbe cer­car consiglio presso mio cugino... Egli vi benedirà per la vostra cortesia. La pace sia con voi, Chaim, figlio di Yosif. (Riappende il microfono e si rivolge a Fo­reman) Datemi carta e matita. (Gli altri, che si sono raggruppati attorno per sentire la telefonata, si fru­gano in tasca e riescono a dargli una vecchia busta e un mozzicone di matita) Era il segretario del Korpotchniker, e dovete andare a casa sua al più presto possibile. Vi scriverò l'indirizzo. È a Williamsburg, a Brooklyn. E sarete ricevuti subito dopo il servizio del mattino. (Dà a Foreman l'indirizzo,^ si raccoglie ad­dosso lo scialle delle preghiere e si ritira sul fondo a continuare le sue preghiere)

Foreman                        - Grazie, Hirschman. L'occhio del Signo­re sarà aperto su di voi nel momento del bisogno.

Zitorsky                        - Oh, Williamsburg. È un bel viaggio da qui.

Schlissel                        - Ma che dite, Foreman? Prendete la li­nea di Long Island fino alla stazione di Atlantic Ave-nue; là scendete al piano di sotto e prendete la me­tropolitana per Brooklyn.

Alper                             - Forse dovrei venire con te, Davide, perché un uomo semplice come te si perderà certamente alla stazione di Atlantic Avenue, che è un immenso nodo ferroviario.

Schlissel                        - Tutto quel che dovete fare, Foreman, è prendere la linea di Long Island fino alla stazione di Atlantic Avenue; e là prendete il doppio G alla sta­zione inferiore...

Alper                             - Non il doppio G...

Schlissel                        - Cos'è che non va nel doppio G?

Alper                             - Si prende il treno per Brighton. Il doppio G lo porterebbe a Smith Street, il che vorrebbe dire farsi una passeggiata di otto isolati.

Schlissel                        - Il treno di Brighton lo porterebbe a Coney Island.

Alper                             - Foreman, senti quel che ti dico. Ti scri­verò le istruzioni perché tu ti confondi cosi facil­mente che se non ti mandassero nella direzione giu­sta, alla mattina non riusciresti neanche a trovare la sinagoga. Dov'è lamia matita? (Prende carta e mati­ta dalle mani rigide di Foreman e comincia a scri­vere)

Foreman                        - (guardando il muro dell'ufficio) E che ne faccio della ragazza? Non posso lasciarla qui.

Alper                             - Non preoccuparti per la ragazza. Mi co­nosce. Sono come un secondo, nonno per lei.

Foreman                        - Non mi piace lasciarla qui. Ho fatto bene, Alper? Dico, ho fatto bene a portarla via di nascosto da casa tua stamattina e a portarla qui? Per­ché lo psichiatra ha detto che dobbiamo esser rasse­gnati e che probabilmente lei passerà il resto della vita in una casa di cura. Irrevocabile! Il resto della vita! Ho pianto tutta la notte, pensandoci. Forse que­sto mi ha reso cosi sensibile e cosi disperato che io preferisco aggrapparmi ai dibbuk piuttosto che cre­dere che lei sia pazza senza speranza. Ora ripensan­doci a freddo mi sembra tutto cosi irreale, cosi scon­siderato. Ed eccomi qui, sul punto di precipitarmi da qualche spaventoso rabbino per ascoltare degli incan­tesimi:

Alper                             - Il Korpotchniker non è un imbroglione, Foreman. Non ha intenzione di venderti una medi­cina brevettata, semplicemente ti darà dei consigli, pieni di buon senso, ne sono certo.

Foreman                        - (abbottonandosi il soprabito) Si, si, an­drò a trovarlo. Voi dovrete tenerla nascosta finché non tornerò. Mio figlio a quest'ora avrà chiamato la polizia, e prima o poi verranno qui a cercarla.

Alper                             - Non preoccuparti per questo. Non lascerò il suo fianco per un solo minuto.

Foreman                        - Farò bene a dirle che vado via. Potreb­be spaventarsi, se si mettesse a cercarmi e non mi trovasse. (Torna in fretta nell'ufficio del rabbino e vi si sofferma un attimo, guardando la ragazza con un misto di tenerezza e terrore. La ragazza è rica­duta nel distacco del suo stato di schizofrenia e guar­da il pavimento senza vederlo)

Schlissel                        - Cosi la ragazza è ricercata dalla poli­zia. La situazione comincia a farsi interessante.

Alper                             - Guardate Schlissel. Questo rivoluzionario in pensione. Pur di mettersi contro la legge, crede persino ai dibbuk.

Schlissel                        - Io credo in qualsiasi cosa che implichi una cospirazione. (In questo momento la porta d'in­gresso si spalanca, il sagrestano rientra annunciando)

Sagrestano                    - Ho trovato il decimo ebreo!

Zitorsky                        - Sagrestano, abbiamo qualcosa da rac­contarvi!

Schlissel                        - (zittendolo) Ssst! Idiota. Dovete dirlo a tutti?

Sagrestano                    - (attraverso la porta, a uno che sta fuo­ri) Venite, venite dentro... (Entra un giovanotto, di bell'aspetto, sebbene piuttosto sconvolto, tra i tren­ta e i guarani'anni: indossa abiti ben fatti, sebbene sciupati, come se ci avesse dormito dentro per un paio di notti. Il suo nome è Arturo Landau. Resta in piedi, a disagio, accigliato. Il cappotto gli pende dalle spalle. Il sagrestano corre alla sua scatola e ne trae uno zucchetto nero: parla nervosamente) Harris non si è ancora visto?

Schlissel                        - No.

Sagrestano                    - E i due ragazzi Kesslcr, li avevo chia­mati per telefono, non sono ancora venuti? (Mette lo zucchetto in mano ad Arturo) Ecco qua, mettetevelo. (Arturo lo prende meccanicamente, ma non accenna a metterlo in testa. È immerso nei suoi profondi e non lieti pensieri. Il sagrestano si dirige alla porta d'ingresso) Il rabbino non è ancora qui?

Schlissel                        - Sarà qui tra un paio di minuti.

Sagrestano                    - Mancano solo sette minuti al servi­zio. Sentite, io vado dai Kessler. Dovessi tirarli giù dai loro letti, li porterò qui. Torno subito. (Ad Ar­turo) Troverete dei filatteri in quella scatola di car­tone. Alper, dategli un libro di preghiere. Ma si, valli a trovare, dieci ebrei, in una mattina d'inverno. (Esce chiudendo la porta d'ingresso)

Foreman                        - (uscendo dall'ufficio) Beh, io vado. La ragazza non ha mangiato niente stamattina, sicché vi prego di farle avere almeno del caffè. Vediamo, dun­que. Io prendo la ferrovia di Long Island fino alla sta­zione di Atlantic Avenue. Sentite, è un bel po' di anni che non salgo più sulla metropolitana. Beh, au­guratemi buona fortuna. I soldi per il biglietto ce li ho?... Si, si. Beh, beh... miei cari amici, la pace sia

 con voi.

Alper                             - E con te, Foreman.

Zitorsky                        - Amen.

Foreman                        - (aprendo la porta) Oh, fa freddo fuori. (Esce e chiude la porta)

Alper                             - Finirà col perdersi. Ne sono certo.

Zitorsky                        - Oh, ma che cosa eccitante, che cosa ec­citante. Come mi batte il cuore.

Alper                             - Ed è appena cominciato. Poi ci sarà l'e­sorcismo. Quello si dovrebbe essere uno spettacolo.

Zitorsky                        - Oh altroché!

Schlissel                        - Mah, non saprei. Una volta visto un esorcismo, li avete visti tutti.

Zitorsky                        - Ne avete visto uno, Schlissel?

Schlissel                        - Ma certo. Quando ero ragazzo, in Po­lonia, avevamo più dibbuk che soldini. C'era un tizio nel mio villaggio, un mulattiere, un omaccio tozzo che puzzava di letame ed era sbronzo dalla mattina alla sera. Un giorno, fini col perdere del tutto la tra­montana, e subito dissero che era colpa di un dib­buk. Io avevo dieci anni, forse undici, e potei se­guire tutta la procedura guardando attraverso un bu­co nel tetto della sinagoga. Un rabbino' miracoloso di passaggio nel paese fu invitato ad esorcizzare il dib­buk. Egli tracciò vari circoli sul pavimento e se ne stette nel mezzo circondato da quattro anziani della comunità, tutti vestiti di lino bianco e tremanti di terrore. Lui cominciò a ululare una serie di incante­simi, e il povero mulattiere, fuor di sé dallo spavento, urlò e... salve, Harris. (Entra Harris. È un uomo mol­to vecchio, che riesce appena a fare un cenno di sa­luto con la testa, affaticato com'è a entrare e chiu­dere la porta. Schlissel continua la sua allegra storia) ... e cadde per terra. Fu un trattenimento fenomenale, davvero. Io rimasi cosi esterrefatto che caddi dal tet­to e quasi mi ruppi una gamba. E quello che faceva i miracoli se ne andò a farne degli altri altrove, e il mulattiere vendette il suo mulo e parti per l'America, dove, immagino, dato che era un alcolizzato cronico e un tanghero del tutto privo di sensibilità, ebbe cer­tamente un successo considerevole. Il nostro piccolo villaggio godette un breve mese di notorietà, e noi eravamo molto orgogliosi di noi stessi.

Alper                             - Oh, deve essere proprio una cerimonia stu­penda.

Schlissel                        - Naturalmente, gli esorcismi di oggi­giorno non sono più quelli di una volta. Adesso il rabbino ti attacca un piccolo amuleto al collo, intona "Benedetto tu, o Signore..." e quello è l'esorcismo.

Alper                             - Oh, speriamo di no.

Schlissel                        - In verità la religione è diventata una cosa tanto scialba in questi ultimi tempi, che quasi non vale la pena di esser ateo.

Zitorsky                        - Io non so neppure se resterò a guar­darlo, questo esorcismo. Mi sento i brividi addosso solo a sentirne parlare.

Alper                             - Beh, sapete, qui abbiamo a che fare con l'occulto ed è una cosa che fa paura. Salve Harris, come va? (Nel frattempo l'ottuagenario si è tolto il cappotto, e sotto indossa parecchi strati di pullover, uno dei quali è certamente il giubbotto da rugby di suo nipote, un indumento rosso a strisce con il nu­mero 63 sulla schiena. Per tutto il resto dell'Atto egli sarà occupato a mettersi i filatteri. Alper batte le ma­ni, cordiale) Beh, vediamo un po' se si può dare una mano a questo giovane ebreo. (Va sorridendo verso Arturo Landau) Posso darvi i filatteri?

Arturo                           - (accigliato; si vede che ha dormito malis­simo la notte precedente) Temo che non saprei che farne.

Alper                             - Troverete uno scialle per le preghiere in una di quelle borse di velluto.

Arturo                           - No, grazie.

Alper                             - (offrendogli un libro) Comunque, questo è un libro di preghiere.

Arturo                           - Sentite, l'unico motivo per cui io sono qui è che un ometto mi ha fermato per la strada, mi ha chiesto se ero ebreo e mi ha dato l'impressione che si sarebbe suicidato se non fossi entrato a com­pletare il vostro numero legale. Mi è stato detto che tutto quel che dovevo fare era di stare in piedi per alcuni minuti con un cappello in testa. Io non so leg­gere l'ebraico, e non mi risulta di aver nulla per cui potrei pregare, cosi darmi quel libro non serve a nulla. Tutto quel che voglio sapere è quanto tempo ci vorrà, perché non mi sento troppo bene e ho un muc­chio di cose da fare.

Alper                             - Mio caro ragazzo, in quindici o venti mi­nuti sarete fuori di qui.

Arturo                           - Grazie. (Si mette in testa lo zucchetto nero distrattamente e si siede su una delle sedie di legno. Alper lo guarda per un momento, poi si volta e torna dai suoi colleghi)

Alper                             - (a Schlissel e Zitorsky) In tale stato si è ridotto oggi l'ebraismo. Lui non sa che cosa siano i filatteri. Lui non vuole uno scialle. Lui non sa leggere l'ebraico.

Zitorsky                        - Mi domando se è ancora circonciso. (Arturo si alza in piedi bruscamente)

Arturo                           - Vorrei fare una telefonata. (Nessuno gli dà retta, ripete più forte) Ho detto che vorrei fare una telefonata

Alper                             - (indicandogli il telefono a muro) Là, su quel muro.

Arturo                           - Si tratta di una telefonata piuttosto in­tima.

Alper                             - C'è un telefono nell'ufficio del rabbino. (Ar­turo va verso l'ufficio)

Schlissel                        - Non avete che da guardarvi attorno, quanto a questo. Qui voi avete il declino del Giudai­smo ortodosso, dipinto davanti ai vostri occhi. È una sinagoga, questa? Una drogheria trasformata, con una tintoria da un lato e un calzolaio dall'altro. Davvero, se non fosse per l'Arca Santa, questo posto assomi­glierebbe piuttosto a una sezione del partito laburista americano. In Polonia, dove eravamo tutti mezzo morti di fame, l'ombra della nostra sinagoga aveva più dignità di questo luogo.

Alper                             - E’ una vergogna, una sventura.

Zitorsky                        - Una vergogna, una sventura. (Nell'uffi­cio del rabbino Arturo guarda la ragazza, molto sec­cato)

Arturo                           - Chiedo scusa. Vorrei fare una telefonata di carattere privato. (La ragazza continua a guardare il pavimento senza udirlo, senza muoversi, assorta nel mondo fantastico della sua immaginazione distorta. Arturo siede dietro la scrivania del rabbino, le volge la schiena e comincia a fare il numero)

Schlissel                        - Dove sono gli ebrei ortodossi? Tutti apostati, passati ai templi riformati, in cui stan tutti seduti in circolo come gli episcopaliani, ascoltando musica d'organo.

Alper                             - Il vostro uso della parola "apostasia" con riferimento agli ebrei riformati mi interessa, Schlis­sel. Non sta forse scritto nel Sifré2 del Deuteronomio "Anche se essi sono sciocchi, anche se essi trasgredi­scono la legge, anche se essi sono pieni di pecche, sono tuttavia chiamati figli"? Cosi, dopo tutto, è tan­to tremendo essere un ebreo riformato? Ma che in­teressante argomento per una disputa, oh, Signore! (Gira su se stesso e va verso l'ufficio del rabbino. Lo stesso pensiero è venuto anche agli altri. Costernati seguono Alper che apre la porta e resta a fissare Ar­turo. Questi è ancora dietro la scrivania, e attende una risposta, e la ragazza è sempre immobile. Arturo getta loro una tale occhiataccia che i tre uomini indietreggiano e chiudono la porta. Finalmente qualcu­no risponde ad Arturo. I tre rimangono nervosamente fuori dalla porta)

Arturo                           - (al telefono, con una mano sulla bocca, a voce bassa) Buongiorno, dottore, vi ho svegliato? Parla Arturo Landau... Si, lo so. Credete di poter tro­vare un'ora per me stamattina?... Oh, potrei essere nel vostro ufficio tra un'ora circa. Sono qui a Mineola. Mia moglie vive qui coi suoi genitori, sapete. La mia ex moglie. E per tre giorni - oggi me ne sono reso conto - sono stato ubriaco morto. Mi sono risve­gliato qui alle due del mattino- stavo picchiando alla loro porta, urlando... (La presenza della ragazza lo disturba. Si china attraverso il tavolo e le parla) Sentite, questa è una telefonata molto intima e vi sarei veramente grato se mi lasciaste solo in questo ufficio per pochi minuti soltanto. (La ragazza lo fissa senza vederlo)

Ragazza                        - (cupamente) Io sono la sgualdrina di Kiev, la compagna dei marinai. (La cosa è tanto straordinaria che Arturo tace. Poi torna al telefono)

Arturo                           - (al telefono) No, sono ancora qui. Sto benissimo. Almeno, sono ancora vivo. (Si copre il viso con una mano e si stropiccia nervosamente la fronte) Devo assolutamente vedervi dottore. Almeno non riat­taccate, vi prego. Se il mio analista mi sbatte giù il telefono mentre gli parlo, è la fine. Lasciatemi par­lare per un paio di minuti... Mi trovo in una male­detta sinagoga. Stavo andando alla metropolitana. Oh, mio Dio, bisogna che chiami il mio ufficio. Avevo due udienze in tribunale, questa mattina. Spero che qual­cuno abbia tanto cervello da chiedere un rinvio. Cosi è comico, sapete. Mi trovo in questa maledetta sina­goga. Tra un'ora circa arrivo, dottore... Okei. Okei. Sto benissimo... No, sto benissimo... Tra un'ora circa. (Riaggancia, si copre il viso con le mani e lentamen­te riprende il controllo di se stesso. Poi guarda la ra­gazza, che ha di nuovo gli occhi fissi sul pavimento. Arturo aggrotta la fronte, apre la porta dell'ufficio e la richiude alle sue spalle. Si trova di fronte i tre vecchi che lo guardano interrogativamente) Sentite, spero che voi sappiate che c'è una ragazza piuttosto strana, là dentro. (i vecchi scuotono la testa nervo­samente. Arturo raggiunge una sedia e vi si abban­dona. Il suo viso è molto turbato. I tre vecchi lo guar­dano ansiosi. Poi Schlissel si avvicina ad Arturo)

Schlissel                        - Una ragazza strana, avete detto?

Arturo                           - Già.

Schlissel                        - Vi ha parlato?

Arturo                           - Ha detto: "Io sono la sgualdrina di Kiev, la compagna dei marinai."

Schlissel                        - Un'affermazione piuttosto provocante, no?

Arturo                           - Si, penso che la definirei provocante?

Schlissel                        - E... che cosa ne pensate?

Arturo                           - (irritato) Sentite, io me ne vado. Io ho un mucchio di cose da fare. Io...

Schlissel                        - No, no, no. Sedetevi. Per amor del cielo sedetevi.

Alper                             - (in fretta) Non andate via. O dio, non an­date via. Abbiamo bisogno di voi come decimo uomo. È più di una settimana che non abbiamo dieci uomi­ni qui alla mattina, credo.

Zitorsky                        - (di rincalzo) Almeno due settimane. (A questo punto Harris, che si è finalmente liberato del soprabito, dei guanti e di tutti i pesanti maglioni che aveva infilato sopra la giacca, e si è avviluppato nel­lo scialle delle preghiere, prorompe in una acutissima invocazione)

Harris                            - "Benedetto tu, o Signore Dio nostro, re del mondo, che ci hai santificato con i tuoi coman­damenti e...” (Le sue parole diventano impercettibili. Arturo Landau, che non era preparato a sentir pre­gare in questo modo, gli lancia un'occhiataccia, poi si allontana di qualche passo dal gruppo, e resta in piedi, fregandosi la fronte, in preda a forte agita­zione)

Alper                             - (a Schlissel, in un sussurro) Allora che co­sa è accaduto là dentro? Lei ha detto niente?

Schlissel                        - Si, ha detto che era la sgualdrina di Kiev, e la compagna dei marmai.

Alper                             - Oh, povero me.

Schlissel                        - Temo che dovremo portarla fuori dall'ufficio del rabbino, perché se continua a dire a tutti quelli che vanno dentro che è la sgualdrina di Kiev, ci spediranno in blocco al manicomio. E cerchiamo di considerare la situazione con un po' di buon senso. Se Foreman ha rapito la ragazza, per quanto gene­rosi possano essere i suoi motivi - l'ha rapita - e non è che io mi aspetti che la polizia consideri un dibbuk come una spiegazione ragionevole. Comunque sia, sarebbe una buona idea tenere la ragazza un po' meno a portata di mano. (Suona il telefono a muro) Ah! Ve lo dico io chi è. Questo è il figlio di Foreman che telefona per sapere se Foreman e la ragazza sono qui. (Altro squillo del telefono) Beh, se non rispon­dete voi, risponderò io. (Va verso il telefono)

Alper                             - Si potrebbe portarla a casa mia. Tutti dor­mono ancora. La mettiamo in cantina. (Nuovo squil­lo. Schlissel alza il ricevitore)

Schlissel                        - (al telefono) Pronto. (Si volta verso gli altri e annuisce, indicando che aveva indovinato. Gli altri due si avvicinano) Signor Foreman, vostro padre non è qui... Sentite, vi dico che qui non c'è... Non ne ho la minima idea. Non vedo la ragazza da quando sono stato a casa vostra, martedì scorso. Non è in casa?... Se viene, glielo dirò... Okei... (Riattacca e si volge agli altri due) Beh, adesso ci siamo dentro fino al collo.

Alper                             - (togliendosi i fìlatteri) Allora la portiamo a casa mia?

Schlissel                        - D'accordo. Zitorsky, va' a dirle che la condurremo in un altro luogo.

Zitorsky                        - (niente affatto entusiasta dell'idea) Si, certo...

Schlissel                        - Per l'amor del cielo, Zitorsky, non cre­derete sul serio che ci sia un dibbuk là dentro.

Zitorsky                        - Se non c'è nessun dibbuk andate voi e portatela via. (Schlissel sì dirige lentamente verso l'ufficio)

Schlissel                        - (fermo davanti alla porta dell'ufficio) La cosa si complica. Forse dovremmo chiamare il figlio di Foreman e dirgli che la ragazza è qui e non impicciarcene più.

Zitorsky                        - Oh, no!

Schlissel                        - Allora, andiamo avanti. Che cosa pos­sono fare a noi, dopo tutto? Diranno che siamo de­gli stupidi vecchi. La stupidaggine è l'unico privile­gio della vecchiaia. Avanti, Alper, sbrigatevela voi con lei. Voi sapete come parlarle, e la nasconderemo nella vostra cantina. Accadrà qualcosa di eccitante, finalmente. (Apre la porta: i tre vecchi guardano la ragazza che siede immobile quasi impietrita) Sentite, Alper, facciamo presto. Prima che il sagrestano tor­ni e cominci a domandarci dov'è che ce ne andiamo tutti quanti. (Alper annuisce con apprensione e fa qualche passo dentro l'ufficio)

Alper                             - (alla ragazza che non lo ode né si accorge della sua presenza) Come va, mia cara Evelina. Sono io, Alper. (La ragazza non risponde. Alper si volge agli altri due) È completamente apatica; le suc­cede.

Zitorsky                        - (precipitandosi indietro nella sinagoga)

                                      - Vi porto il cappotto, Alper.

Schlissel                        - (scruta Arturo per vedere se questi fa caso alle loro manovre, il che non è) Beh, pren­detela per un braccio.

Alper                             - Evelina, tuo nonno ha avuto l'idea che po­tremmo condurti a casa mia. Ti è sempre piaciuto giocare con i giocattoli dei bambini là nella mia can­tina, ti ricordi? Vieni, su, ci divertiremo.

Zitorsky                        - (dando un cappotto a Schlissel) Ecco qui. Datelo ad Alper. (Corre alla porta d'ingresso)

Harris                            - (immerso nella cerimonia di infilarsi i fìlat­teri) "... e nella tua saggezza, o Dio Altissimo, tu riserverai per me...” (La preghiera diventa un mor­morio)

Alper                             - (posa cauto una mano sulla spalla della ra­gazza) Evelina, mia cara... (Lei lo guarda, stupita)

Zitorsky                        - (affacciato alla porta d'ingresso scruta la strada a destra e a sinistra) Oh, fa un freddo, fuori.

Alper                             - (a Schlissel, che sta indossando il cappotto)

                                      - Ho l'impressione che qui non andrà liscia.

Schlissel                        - Ho qui il vostro cappotto.

Alper                             - Evelina... (Una specie di grugnito bestiale sfugge alla ragazza che comincia a lamentarsi) Eve­lina cara, non allarmarti, ti prego. C'è qui il signor Alper, che ti conosce da quando sei nata. (il panico lo prende nell'udire gli strani suoni che escono dalla gola della ragazza, e tenta di afferrarla per un braccio per farla alzare. Ella scoppia in un grido acu­tissimo, che fa sussultare tutti nella sinagoga, ad ec­cezione del cabbalista, che non si rende conto di nulla. Zitorsky, che ha appena richiuso la porta d'ingres­so, sembra congelato dall'orrore. Arturo è risvegliato dalla sua depressione. Il vecchio Harris tace per un attimo come disturbato da un lontano ronzio, e torna alle sue preghiere) Evelina, mia cara figliola, per amor del cielo...

Ragazza                        - (urla) Lasciatemi stare! Lasciatemi sta­re!

Arturo                           - (va verso Schlissel che rapidamente chiude la porta dell'ufficio) Che succede là dentro?

Schlissel                        - Niente, niente.

Ragazza                        - (urla) Sono i miei sette figli! I miei sette figli!

Alper                             - (tentando di uscire dall'ufficio) Chi ha chiu­so questa porta?

Zitorsky                        - (corre alla porta d'entrata) Io me ne va­do fuori di qui.

Schlissel                        - (a Zitorsky) Andate dove? (Ma Zitor­sky è già corso in strada)

Arturo                           - (a Schlissel) Cosa sono tutti questi urli?

Alper                             - (che finalmente è riuscito a venir fuori, corre da Schlissel) Le ho messo una mano sul braccio per aiutarla, e ha cominciato a urlare. (Arturo va a grandi passi alla porta dell'ufficio. La ragazza lo guar­da terrorizzata)

Arturo                           - (a Schlissel) Che avete fatto a questa ra­gazza?

Schlissel                        - La ragazza è posseduta da un dibbuk.

Arturo                           - Cosa?

Schlissel                        - (a Alper) Zitorsky è balzato in strada come un canguro.

Alper                             - Sentite, forse dovremmo chiamare qual­cuno.

Arturo                           - Ma dite, che succede?

Alper                             - Mio caro giovanotto, non c'è nessun motivo di allarmarsi. C'è una ragazza malata di mente nell'uf­ficio del rabbino, ma sembra che si sia quietata.

Arturo                           - Che intendete dire - una ragazza malata di mente nell'ufficio del rabbino?

Alper                             - Ma si, è una schizofrenica, con tendenza alla catalessi, occasionalmente violenta, ma tornate a sedervi, su. Non c'è motivo di allarmarsi.

Arturo                           - Devo dedurne, signore, che è vostra abi­tudine tenere ragazze malate di mente nell'ufficio del vostro rabbino?

Alper                             - No, no. Oh Signore, suppongo che dovremo raccontargli tutto. Ma voi, mio caro ragazzo, dovete promettermi di tener segreta questa faccenda. (A Schlissel) Zitorsky, voi dite, ha tagliato la corda?

Schlissel                        - Letteralmente volato fuori della porta.

Alper                             - Beh, per dir la verità non posso biasimarlo. È stato un momento veramente emozionante. Io stes­so sono alquanto scosso. (Guarda nell'ufficio) Si, sem­bra ritornata al suo stato di apatia. Forse faremmo meglio a lasciarla li per il momento.

Arturo                           - Dico che sta succedendo qui dentro?

Alper                             - Mio caro ragazzo, è comprensibile che vi sentiate confuso. La ragazza, vedete, è posseduta da un dibbuk.

Arturo                           - Si, certo. Si, questo spiega tutto.

Alper                             - Un dibbuk! Beh, naturalmente, come può saperlo, lui, che cos'è un dibbuk? Un dibbuk è un'ani­ma errante che si impossessa del corpo di un altro es­sere umano allo scopo di ritornare al cielo. È una cre­denza della dottrina dei Luriani, che di fatto si può far risalire agli Esseni, ma che comunque fu resa po­polare dai cabbalisti spagnoli. Io ho scritto vari arti­coli sull'argomento nei settimanali in lingua yiddisìh. Mi chiamo Mosè Alper, e ai miei tempi ero un pubbli­cista di qualche fama. (Zitorsky riappare sulla soglia, e scruta nervosamente nell'interno) Entrate, Zitorsky, entrate. È di nuovo tranquilla. (Zitorsky si avvicina cautamente)

Arturo                           - Sentite, voi state cercando di dirmi che là dentro avete una ragazza che, vi pare, è posseduta da un qualche demonio? E dove sono sua madre o suo padre o qualcuno che sia responsabile di lei?

Alper                             - Se si potesse parlare di responsabilità prima di tutto, lei, sarebbe malata di mente?

Arturo                           - Naturalmente tutto ciò non mi riguarda...

Alper                             - Siete un bravo ragazzo e lasciate che vi tranquillizzi. La ragazza è in buone mani. Nessuno ha intenzione di farle del male. Suo nonno, che l'ama più della sua stessa vita, si è allontanato solo per un momento.

Zitorsky                        - Per andare a Williamsburg col treno di Brighton.

Schlissel                        - Il treno di Brighton porta a Coney Island.

Zitorsky                        - Avete detto che quello era il doppio G.

Alper                             - Va bene, va bene.

Arturo                           - Naturalmente tutto ciò non mi riguarda.

Alper                             - (ad Arturo) Capisco la vostra preoccupa­zione, e questo dimostra che siete una brava persona

                                      - ma ve l'assicuro, la faccenda è in buone mani. (Si apre la porta d'ingresso ed entra il sagrestano con due giovani sulla trentina, che non sembrano affatto felici di esser stati buttati giù dal letto in questa fredda mattinata d'inverno. Se ne restano sconsolati nella parte posteriore della sinagoga)

Sagrestano                    - Eccone qui altri due, i ragazzi Kessler.

Alper                             - Ora siamo in dieci ed è il numero legale.

Zitorsky                        - Kessler? Kessler?... Oh, si, il negozio di cartoleria. Conoscevo vostro padre. (C'è un movimen­to generale. Il sagrestano in fretta si scopre il braccio sinistro secondo il rito, e distribuisce scialli per le preghiere e filatteri, mormorando nervosamente pre­ghiere. Arturo, di nuovo turbato, guarda la ragazza nell'ufficio, e poi lentamente vi si dirige. La ragazza è di nuovo assorta in se stessa. Arturo chiude la porta dietro di sé. Schlissel, Alper e Zitorsky, dopo averlo osservato, tornano a togliersi i cappotti preparandosi per il servizio. Improvvisamente la voce acuta dì Har­ris torna a farsi udire)

Harris                            - "E tu metterai da parte per il Signore tutto ciò che per la prima volta schiude la matrice, e il primo nato, che viene da una bestia che tu avrai, ap­parterrà al Signore..."

Schlissel                        - (a Harris) Che faremo quando il rab­bino tenterà di entrare nel suo ufficio? Vedrà la ragaz­za e questa sarà la fine del nostro esorcismo. Che cosa diremo al rabbino? (La porta d'ingresso si apre, e il rabbino entra a passi risoluti. È un giovane che ha da poco passato la trentina, ben vestito, sebbene i suoi abiti siano un po' Usi, e con una cartella da avvocato)

Zitorsky                        - La pace sia con voi, rabbino.

Rabbino                        - La pace sia con voi.

Alper                             - (intercettandolo mentre si dirige all'ufficio)

                                      - Come state, rabbino. (Y/ rabbino annuisce e va ver­so la porta. Schlissel gli blocca la strada)

Schlissel                        - Oggi abbiamo dieci uomini, rabbino.

Rabbino                        - Bene. (Pone la mano sulla maniglia) Mi prendo i filatteri.

Alper                             - (afferrando quelli di Zitorsky) Oh, prendete questi. È tardi, rabbino.

Rabbino                        - (prendendoli) Bene. Allora cominciamo il servizio. (Volta le spalle all'ufficio e si muove verso la sinagoga vera e propria. Tutt'intorno, le voci di tut­ti si alzano nella preghiera. Cala il sipario)

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Quindici minuti dopo. Zitorsky sta leggendo le pre­ghiere. È di fronte al leggio sulla piattaforma, e can­ta le antiche melodie.

Zitorsky                        - "E noi ti supplichiamo, in grazia della tua abbondante misericordia, o Signore..."

Sagrestano                    - Giovane Kessler, venite qui e aprite l'Arca. (il più giovane dei Kessler sale sulla piattafor­ma e apre l'Arca tirando la cortina e facendo scorrere

 i battenti)

Zitorsky                        - "E quando l'Arca si muoveva Mosè di­ceva : Levati, o Signore, e i tuoi nemici saranno disper­si, e quelli che ti odiano fuggiranno davanti a te. Poi­ché da Sion uscirà la Legge, e la parola del Signore da Gerusalemme.” (Immediatamente il resto dei fede­li mormora la risposta: "Benedetto sia il nome del so­vrano del mondo! Benedetta sia la tua corona, e il luo­go in cui tu dimori." Nelle preghiere degli ebrei si al­ternano le voci del lettore e le risposte della comuni­tà, però spesso avviene che la voce del solista e il mor­morio della congregazione risuonino contemporanea­mente. In questo particolare momento, in cui l'Arca è aperta e la Torà sta per essere tolta dall’Arca, la divi­sione tra solista g. congregazione è ben netta. Le porte scorrevoli dell'Arca, di legno scuro, sono ora aperte. Il sagrestano si curva per estrarre la Torà squisita­mente ornata che, quando sarà tolta dal suo involucro di velluto avrà l'aspetto di un grande rotolo di perga­mena avvolta su due perni intagliati. Egli la porge con cura a Zitorsky, che oggi è stato scelto per l'onore di sorreggere la Torà fino al momento della lettura. Zitor­sky, che, come lettore della giornata, finora ha letto assieme al gruppo sebbene a voce più alta, ora alza ul­teriormente la voce, per sottolineare la conclusione della preghiera) "... Possa esser Tua graziosa volontà di aprire il mio cuore alla tua legge, e adempi i desideri del mio cuore, e quelli di tutto il tuo popolo di Israele, in bene, in vita e pace.” (Pausa) "Magnificate con me il Signore, ed esaltiamo insieme il Suo nome. (La con­gregazione mormora in coro la risposta: "Tua, o Si­gnore, è la grandezza e il potere e la gloria e la vitto­ria e la maestà..." Zitorsky marcia solennemente ver­so il leggio, portando davanti a sé la Torà. Ognuno b eia la Torà, quando questa gli passa davanti. Ora, se­condo il rito, si toglie l'involucro e la Torà viene depo­sta sul leggio. Zitorsky, Harris e il sagrestano stanno in gruppo, curvi, avvolti negli scialli. Il rabbino, in pie­di a sinistra del leggio, si dondola leggermente avanti e indietro. Fuori della piattaforma, ma vicinissimo al­la balaustra, sta il cabbalista, che si dondola avanti e indietro e prega. Alper e Schlissel stanno più lontano e rispondono con un mormorio alle preghiere. 1 due Kessler si sono tolti i cappotti e indossano gli scialli, ma si tengono il più possibile vicino alla porta. Arturo osserva il rito con grande interesse appoggiato al mu­ro dell'ufficio del rabbino. La ragazza è ancora nell'uf­ficio, ma ora sta in piedi e tende l'orecchio alle pre­ghiere. Il suo viso è disteso un viso molto grazioso. Di nuovo si alza la voce di Zitorsky a indicare la fine di un tratto della preghiera) "Magnificate il nostro Dio, e rendete onore alla Legge.” (Ora c'è una piccola discussione sottovoce fra i tre vecchi al leggio, poi il sagrestano si china e chiama i due Kessler che si ten­gono indietro)

Sagrestano                    - Kessler, volete leggere dalla Torà?

Kessler Maggiore          - No, no, no. Trovate qualcun al­tro.

Sagrestano                    - Alper? (Alper annuisce e va al leggio. La voce del sagrestano, con una formula acuta e la­mentosa, si alza penetrante per annunciare il fatto che Mosè figlio di Abramo leggerà dalla Torà) Alzati, Reb Moses Ha'Kohan, figlio di Abramo, e recita la benedi­zione della Torà. "Benedetto sia Colui che nella Sua Santità diede la legge al suo popolo Israele. La legge del Signore è perfetta."

Congregazione              - (risposte sparse) "E voi, che siete fedeli al Signora Dio vostro, siete vivi, ognuno di voi in questo giorno."

Alper                             - (che ora sta al leggio, alza la testa e recita in fretta) "Benedite il Signore degno di benedizione".

Congregazione              - "Benedetto è il Signore che deve essere benedetto nei secoli dei secoli."

Alper                             - "Benedetto tu, o Signore, Dio nostro, Re dell'Universo, che hai prescelto noi tra tutti i popoli e ci hai dato la Tua Legge. Benedetto tu, o Signore, che ci dai la Legge".

Congregazione              - Amen.

Sagrestano                    - "E Mosè disse...” (Ci sono ora quattro ebrei attorno al leggio. Tutto diviene piuttosto confu­so, la voce di tenore del sagrestano di quando in quando si nota tra le altre, quando è il suo turno di lettura. Alper va al posto del lettore e comincia a leggere dal­la Torà, curvando schiena e ginocchia, e contorcendo­si tutto nello sforzo di decifrare le lettere dell'antica scrittura ebraica. SchHssel e i due Kessler si mettono a sedere là dov'erano, e cosi fa il cabbalista. Il rabbi­no e Harris restano sulla piattaforma, ma si siedono. La ragazza decide di uscire dallo studio del rabbino. Apre la porta e fa qualche passo. Arturo se ne accor­ge e cautamente si volge verso di lei)

Ragazza                        - (lucidissima, cortese) Scusatemi, signore, stanno leggendo dalla Torà, adesso? (Guarda gli uo­mini che stanno al leggio al di sopra della spalla di Arturo)

Arturo                           - Si, credo di si. (La scruta con attenzione. In questo momento lei sembra normalissima. Forse ha un'aria eccessivamente ingenua, una sorridente, stu­pita innocenza negli occhi spalancati)

Ragazza                        - Il mio nonno è qui? (Lo cerca con gli oc­chi ansiosamente)

Arturo                           - Com'è vostro nonno?

Ragazza                        - (allarmandosi sempre di più) No, non è qui. Vedo il signor Alper, ma non vedo il nonno. ^

Arturo                           - Sono certo che tra un momento sarà qui. (La sua calma rassicura la ragazza che rivolge a lui la sua attenzione)

Ragazza                        - Io credo che tutte le sinagoghe dovreb­bero essere povere perché m'immagino che Dio dove­va esser molto povero da bambino. E voi, come ve lo immaginate, Dio?

Arturo                           - Purtroppo, solo come il direttore delle imposte dirette... (La ragazza scoppia in una risata, immediatamente soffocata poiché è consapevole della solennità del luogo)

Ragazza                        - Sono irriverente. (Aggrotta la fronte, en­tra nell'ufficio, si siede nella sedia girevole del rabbino e comincia fanciullescamente a farla girare su e giù. Arturo la segue lentamente, studiandola con cautela, affascinato dalla sua semplicità. Ella gli lancia uno sguardo spaventato) Poco fa, eravate qui dentro?

Arturo                           - Beh, sì.

Ragazza                        - Io... ho detto qualcosa?

Arturo                           - (gentilmente) Beh, si.

Ragazza                        - (sospirando) Vedo. Bene, potrei anche dirvelo. Sono stata in parecchie case di cura per ma­lattie mentali. (Gli lancia un rapido sguardo. Egli sor­ride) Non mi sembrate sconcertato.

Arturo                           - Oh, suppongo che sia difficile trovare qual­cuno a cui un soggiorno in una casa di cura non po­trebbe giovare, ogni tanto. (Nella sinagoga il sagre­stano chiama Harris a leggere la Torà)

Ragazza                        - (accigliandosi) Il nonno ha detto quando sarebbe tornato o dove stava andando? (Di nuovo bal­za in piedi spaventata)

Arturo                           - Quel che so è che tornerà presto.

Ragazza                        - Siete il dottore?

Arturo                           - No. Non dovete assolutamente aver pau­ra di me.

Ragazza                        - (illuminandosi) Il nonno ed io ci voglia­mo molto bene. Io mi sento molto più vicina a lui che a mio padre. Preferirei non parlare di mio padre, se non vi dispiace. È una delle cose che mi fanno male. Sapete, quando avevo nove anni, mi sono rasata tutti i capelli perché questo è il costume delle donne ebree veramente ortodosse. Intendo dire che, se una vuole essere la moglie di un rabbino, deve radersi i capelli e portare una parrucca. Questo è uno dei sogni che io faccio sempre. Io continuo a sognare che sono la mo­glie di un giovane, bellissimo rabbino, con una ma­gnifica barba che gli scende fino alla cintura e una fac­cia severa e dei riccioli prematuramente grigi sulla fronte. Ho scoperto, dopo molti anni di trattamento psichiatrico senza alcun successo, che la religione ha per me una profonda connotazione sessuale. O Dio mio, temo di annoiarvi con la storia delle mie cure psichiatriche. Davvero, esser pazzi è un po' come es­ser obesi. Non si può parlare di niente altro. Vi pre­go di scusarmi. Vi annoio a morte.

Arturo                           - No, niente affatto. È bello sentire qualcu­no che parla con passione di qualche cosa, magari an­che della sua pazzia.

 Ragazza                       - (stupita) La parola non vi disgusta?

Arturo                           - Quale parola?

Ragazza                        - Pazzia.

Arturo                           - Santo cielo, no. Io sono un avvocato. La follia, in una forma o in un'altra, riempie la mia anti­camera. Inoltre, io stesso mi sottopongo a un tratta­mento psicanalitico, e anch'io amo parlarne fino alla noia. Voi siete giovane, siete di spirito. Quanti anni avete?

Ragazza                        - Diciotto.

Arturo                           - (fissandola) Mio Dio, siete cosi graziosa. Non posso quasi credere che siate psicopatica. Siete in uno stadio molto avanzato?

Ragazza                        - Alquanto. Mi rimandano di nuovo in una casa di salute. Al sanatorio del dottor Molineaux a Long Island. Io sono un poco paranoica e molto allu­cinata e ho uno scarsissimo senso della realtà, salvo per brevi intervalli come questo, e in qualsiasi minu­to, nel bel mezzo di una frase, potrei scivolar via di nuovo nell'incoerenza. Se questo dovesse accadere, do­vete esser molto pratico nei miei riguardi. Il modo più efficace di trattare gli schizofrenici è di far senti­re loro la realtà.

Arturo                           - Mi sembrate molto erudita sull'argomento.

Ragazza                        - Oh, io leggo moltissimo. Del resto, ci so­no poche altre cose che potrei fare. Verrete a trovarmi alla clinica del dottor Molineaux? Voi mi piacete mol­tissimo.

Arturo                           - Verrò, naturalmente.

Ragazza                        - Non sarà un'esperienza tanto deprimen­te come potreste pensare. Se non sono nel reparto dei violenti, probabilmente mi permetteranno di an­dare al bar e di prendere un gelato assieme a voi. La cosa peggiore, in una casa di cura, è che la gente se ne va vestita cosi male. Tutti con dei vecchi pullover rammendati - e a me piace tanto esser graziosa. (Un'espressione vacua comincia ad apparire sul suo viso) Mi chiedono di fare un sacco di film, sapete, quando ho tempo. Avete visto David e Betsabea con Susan Hayward? Ero io, quella. Io non lo dico a nes­suno. Non vogliono che io faccia l'attrice. Mia madre voglio dire. Lei non esce neppure per andare alla si­nagoga il sabato. Voi siete il nuovo rabbino, sapete. Qualche volta io sono il rabbino, ma loro hanno tutti paura di me. Il Tempio è lungo sessanta cubiti e fat­to di legno di cipresso e rivestito d'oro. Le brune le­gioni romane alzano clamori fuori delle porte, sapete. Avete visto i Dieci Comandamenti? Io l'ho visto mar-tedi. Mercoledì. C'ero anche in quello. Ero la ragazza che danzava. Ero io. Il signor Hirschman è pure qui, sapete, e anche il nonno. Tutti sono qui. Vedete quel ragazzo laggiù? Andate via. Lasciateci soli. Di fatto, lui è il signor Hirschman il cabbalista. Sta fabbrican­do un golem.' Dovreste venir qui, rabbino.

Arturo                           - (che l'ha ascoltata affascinato, ora dice con fermezza) Io non sono il rabbino, Evelina.

Ragazza                        - Bene, noi stiamo fabbricando un go­lem e...

Arturo                           - Voi non state fabbricando un golem, Eve­lina. (Lei fa una pausa, e fissa il pavimento. Una smorfia di dolore passa sul suo viso che poi torna a distendersi. Dopo un attimo, mormora)

Ragazza                        - Grazie. (Improvvisamente scoppia a pian­gere e si getta sul petto di Arturo, abbracciandolo, ed egli la sorregge gentilmente, accarezzandola come se fosse una bambina) Oh, io non posso sopportare di essere pazza.

Arturo                           - Ho sempre pensato che, poiché i pazzi si fabbricano un proprio mondo, questo doveva esser più piacevole di quello che ci han dato già bell'è fatto.

Ragazza                        - (allontanandosi) Oh no, è insopportabil­mente doloroso. È la desolazione più indescrivibile. Uno si sente tutto solo, in strade deserte. Non po­treste mai immaginarvi com'è.

Arturo                           - Temo di si. Ho tentato tante volte di sui­cidarmi che ora è diventato quasi uno scherzo in famiglia. Una volta, prima che divorziassi, mia moglie si è fermata a dire a un vicino, uscendo a far la spesa : "Oh, dimenticavo: se sentite odor di gas, non vi preoc­cupate. È solo Arturo che si ammazza di nuovo." I sui­cidi, sapete, si uccidono mille volte, ma un giorno io mi tagliere le vene dei polsi e mi scorderò di fare la telefonata dell'ultimo minuto e non ci saranno i sama­ritani della lavatura gastrica a correr su per le scale e buttar giù la porta della camera da letto e portarmi all'ospedale. Qualche giorno lo farò ve l'assicuro.

Ragazza                        - (guardandolo dolcemente, interessata) Non sembrate tanto triste.

Arturo                           - Oh, io sono diventato un professionista del distacco ironico. Mi deprime sentire che i pazzi sono soli come tutti gli altri. Avevo sempre sperato di diventar pazzo anch'io, un qualche giorno, dato che, evidentemente, non ho nessun talento per il suicidio.

Ragazza                        - Ho sempre pensato che la vita sarebbe meravigliosa se soltanto fossi sana di mente.

Arturo                           - La vita è semplicemente spaventosa se uno è sano di mente, e insopportabile se uno è sensi­bile. Io non posso immaginare nulla che sia tanto pri­vo di senso quanto la mia vita. I miei genitori erano cosi poveri che passai i primi venti anni della mia vita a dar la colpa ai ricchi dei miei incubi infantili. Oh, ero un vero anarchico, quando ero al liceo. Lasciai il partito comunista quando scoprii che c'erano dei modi più semplici per sedurre le ragazze. E dopo aver incolpato la società della mia solitudine, cominciai a incolpare mia madre e uscii tempestando di casa, per prendermi una stanza tutta per me nell'East Side. Poi mi. innamorai cioè trovai che viver solo era cosi in­sopportabile che mi sentii disposto a sposarmi. Lei sposò me perché tutte le sue amiche stavano sposando qualcuno. Inutile dirlo, ci dicemmo quanto profonda­mente ci amavamo. Volevamo essere molto felici. Gli americani, lo sapete, hanno la frenesia dell'esser feli­ci. Qual è il nirvana americano? È marito e moglie che guardano la televisione tranquillamente e poi spengono la luce e con grande naturalezza fanno all'amore nel più ardente dei modi. Disgraziatamente la televisione è una barba e l'amore ardente richiede delle spaventose riserve di energia. Io cominciai a la­vorare in ufficio, e oltre a divenire ricco, riuscii a evi­tare completamente la presenza di mia moglie. Cosi, mi han chiamato ambizioso, e tutti mi rispettavano, inclusa mia moglie, che con me si annoiava tanto quanto io mi annoiavo con lei. Decidemmo di avere dei bambini perché ci sembrava incredibile che fossi­mo tanto infelici assieme. E per tutto questo tempo io continuavo a massacrarmi di lavoro, nel timore che, se soltanto mi fossi fermato un momento, tutta l'esile, vacillante struttura della mia vita sarebbe venuta a crollare silenziosamente ai miei piedi. Andai da uno psicanalista che cominciò a interrogarmi sulla mia in­fanzia, quando io potevo a malapena ricordarmi se quel giorno avevo preso un autobus o un taxi per an­dare in ufficio. Cominciai a bere per istupidirmi, a dar la caccia alle mogli degli altri uomini, e a com­portarmi molto male in genere. Un giorno mi guardai nello specchio. riuscivo appena a distinguere i miei lineamenti. La vita è assolutamente senza signi­ficato. Io ho avuto tutto ciò che un uomo può avere dalla vita il prestigio, il potere, il denaro, donne, figli e una splendida casa a soli tre isolati di distanza dal famoso Club di Scarsdale      - e tutto ciò che riesco a pensare è che vorrei liberarmi di tutto questo al più presto possibile. (Arturo è adesso completamente scon­volto, e deve girarsi per nascondere le lacrime. Fa una pausa per riprendere il controllo, poi, sardonico) Come vedete, so essere molto teatrale, quando voglio.

Ragazza                        - (con calore) Oh, a me sembrate straor­dinariamente saggio.

Arturo                           - Oh, è stato detto molto meglio dal vostro re Salomone, l'uomo più saggio che sia mai vissuto, quando scrisse l'Ecclesiaste.

Ragazza                        - Oh, il re Salomone non scrisse l'Eccle­siaste. Quello fu scritto da un erudito ebreo di Ales­sandria, rimasto anonimo. E io non gli darei molto ret­ta. Essere stanchi della vita era di moda, tra gli ebrei ellenizzati.

 Arturo                          - (guardandola stupito) Siete veramente una ragazza straordinaria. (Ella gli sorride felice, mo­strandogli la sua simpatia senza inibizioni, il che lo imbarazza- Arturo si volta, apre la porta e guarda nel­la sinagoga, dove la lettura della Torà sta terminando)

Rabbino                        - (cantilenando) "Benedetto tu, o Signore Dio nostro, re del mondo, che ci hai dato la legge di verità, e hai seminato la vita eterna in mezzo a noi. Benedetto tu, o Signore, che ci dai la legge.” (Un ul­timo mormorio di risposta. Zitorsky prende la Torà e la alza al di sopra della sua testa e intona)

Zitorsky                        - "E questa è la Legge che Mosè diede ai figli di Israele, secondo il comandamento del Signore per mano di Mosè.” (/ quattro uomini sulla piattafor­ma si raggruppano mentre Zitorsky marcia lentamen­te verso l'Arca reggendo la Torà. Un mormorio di pre­ghiere corre per la sinagoga. Si alza di nuovo la voce di Zitorsky) "Che essi lodino il nome del Signore, poi­ché solo il suo nome deve essere esaltato". (Rimette con cura la Torà nell'Arca. Altro mormorio di preghie­re. Ora tutti stanno in piedi)

Arturo                           - (voltandosi alla ragazza) Rimettono via la Torà. Il servizio è finito?

Ragazza                        - No. Io ho un libro meraviglioso che vor­rei darvi. Me lo ha regalato il signor Hirschman, il cabbalista della nostra comunità. Si chiama il Libro dello Splendore: un libro terribilmente mistico! E voi siete un mistico, sapete.

Arturo                           - Davvero?

Ragazza                        - Si. Non ho mai incontrato nessun altro che volesse tanto disperatamente conoscere il signifi­cato della vita. Devo procurarvi quel libro. (Schlissel si affaccia alla porta dell'ufficio e fa segno ad Arturo che è desiderato fuori)

Arturo                           - Credo che abbia bisogno di me. (Va alla porta)

Ragazza                        - Si, veramente non avremmo dovuto chiac­chierare durante il servizio. (Arturo esce chiuden­dosi alle spalle la porta, raggiunge Schlissel che sta mormorando preghiere poco più in là)

Arturo                           - (scuotendo la testa) Che peccato, veramen­te. Una ragazza adorabile. Che peccato. Ora, voi mi sembrate un uomo di buon senso. Che sono tutte que­ste sciocchezze sugli spiriti maligni? Dovreste chia­mare suo padre o sua madre o chiunque è responsa­bile di lei.

Schlissel                        - Giovanotto, se chiamassimo suo pa­dre verrebbe e se la porterebbe via.

Arturo                           - Sicuro. Appunto.

Schlissel                        - E allora, il nostro esorcismo?

Arturo                           - Che esorcismo?

Schlissel                        - Sentite, dobbiamo esorcizzare quel dibbuk.

Arturo                           - (attonito) Esorcizzare! (Il sagrestano si china al di sopra della balaustra e li rimprovera con un forte sibilo)

Sagrestano                    - Sssssst!... (Schlissel torna immediata­mente alle sue preghiere. Arturo lo guarda incredulo)

Arturo                           - Parlate sul serio? (La voce di Zitorsky si leva alta e chiara)

Zitorsky                        - "... Ed è stato detto: e il Signore regnerà su tutta la terra; quel giorno il Signore sarà uno, e uno il Suo nome.” (L'assemblea torna ad alzarsi in piedi. Il sagrestano si curva sulla balaustra e chiama i due Kessler)

Sagrestano                    - Kessler, alzatevi. È venuto il momen­to delle preghiere in memoria di vostro padre. (i due annuiscono, si alzano e guardano i loro libri con aria infelice. Harris spinge un dito tremante su una pagina per mostrar loro dove leggere, e i due cominciano a leggere a fatica e senza aver idea di quello che stanno leggendo)

Due Kessler                  - "Sia magnificato e santificato il Suo nome grande nel mondo che egli ha creato secondo la sua volontà. Venga il Suo regno durante il tempo del­la nostra vita e nei vostri giorni, e nella vita della casa di Israele, presto, in un tempo prossimo a noi           - e dite amen".

Congregazione              - "Amen. Il suo grande nome sia be­nedetto nei secoli dei secoli."

Due Kessler                  - "Benedetto, lodato, glorificato, esaltato, innalzato e onorato, adorato e celebrato sia il nome del Santo (benedetto sia) al di là di tutti gli inni e le benedizioni, le lodi e i canti, che sono cantati nel mondo, e voi dite amen."

Congregazione              - Amen. (La porta d'ingresso della si­nagoga si spalanca e Foreman si precipita dentro, mol­to evidentemente fuori di sé, non tanto turbato tut­tavia da dimenticar di dire meccanicamente "amen" assieme agli altri)

Due Kesslek                  - "Possa esservi pace grande dal cie­lo, e vita per noi tutti e per tutto Israele, e voi dite amen".

Congregazione              - Amen.

Due Kessler                  - "Colui che dà la pace negli altri luo­ghi, dia la pace a noi e a tutto Israele, e voi dite amen."

Congregazione              - Amen. (Prorompe un generale mor­morio di preghiere, ma Schlissel corre da Foreman, che lo guarda con un'espressione spaventata)

Schlissel                        - Che è successo? Vi siete perduto? Ave­te preso la linea di Long Island alla stazione di Atlan­tic Avenue, e vi siete perduto alla stazione di Atlantic Avenue?

Foreman                        - Quale stazione di Atlantic Avenue? Non sono nemmeno riuscito a trovare la linea di Long Island!

Schlissel                        - Idiota! Siete proprio innocente come un bambino davvero. Il servizio sarà finito tra un minuto, e vi condurrò io stesso. (Alper si sporge oltre la balaustra, facendo gesti che indicano chiaramen­te che vuole sapere ciò che è accaduto. Anche Zitorsky alza la testa dal leggio. Schlissel sussurra forte, comin­ciando a infilarsi il cappotto) Non è nemmeno riuscito a trovare la stazione di Long Island. (Alper si prende la testa tra le mani, il sagrestano si volta ad ammoni­re Schlissel con un sst! Foreman ha cominciato au­tomaticamente a passeggiare su " giù, mormorando le preghiere che sa a memoria. Passando davanti a Schlis­sel, con un gesto della testa gli fa capire che vorrebbe sapere se sua nipote sta bene) Lei sta benissimo. Non vi preoccupate per lei. (Foreman annuisce, e continua a pregare. Nell'ufficio del rabbino la ragazza, che era rimasta seduta con aria pensosa, si alza in piedi, in­fila il cappotto, esce dall'ufficio, attraversa tranquil­lamente il retro della sinagoga ed esce per la porta d'ingresso. Nessuno se ne accorge. La congregazione prorompe in preghiere ad alta voce, evidentemente le ultime del servizio, dato che gli uomini sulla piatta­forma cominciano ad allontanarsi, e tutti quelli che indossano i filatteri cominciano a toglierseli sempre pregando)

Congregazione              - "Egli è il Signore dell'universo, regnava prima che alcuna creatura venisse creata. Al tempo in cui tutte le cose vennero create dalla sua vo­lontà, allora il suo nome fu proclamato re. E dopo che tutte queste cose avranno avuto un fine, egli solo, il terribile, regnerà Colui che era ed è, e sarà nella glo­ria.” (Schlissel, Alper, Zitorsky e Foreman, hanno tutti recitato frettolosamente questo inno finale, impazienti di concludere il servizio, mentre gli altri continuano la recitazione. I quattro si raggruppano davanti alla porta d'ingresso)

I Quattro                       - (recitando in fretta) "... e col mio spiri­to, pure il mio corpo. Il Signore è con me, ed io non avrò paura. Amen".

Alper                             - Amen. Che è successo?

Schlissel                        - Lo porto li io stesso, ora, subito.

Zitorsky                        - Che è successo, vi siete perduto?

Foreman                        - Io domando a questo individuo della strada, gli dico: "Potreste, per favore..."

Schlissel                        - (ad Alper, indicandogli Arturo) Senti­te, tenete d'occhio quello li. Ha intenzione di parlare al rabbino della ragazza. E sentite: dovrò condurre Foreman dal Korpotchniker tenendolo per mano. Va bene, sentite: noi andiamo. Arrivederci. La pace sia con voi.

Alper                             - Prendete la linea di Long Island fino alla stazione di Atlantic Avenue. Poi prendete il treno di Brighton.

Schlissel                        - Oh, per amor del cielo. Avreste la pre­sunzione di insegnarmi cosa devo fare per arrivare a

 Williamsburg?

Alper                             - Bene, allora andate.

Schlissel                        - (brontolando mentre conduce fuori Fore­man) Il treno di Brighton. Se prendessimo il treno di Brighton, passeremmo la giornata a Coney Island. (Esce con Foreman, chiudendo la porta. Il resto della congregazione è finalmente alla fine del servizio)

Congregazione              - (alzando la voce nel finale) "... e col mio spirito, pure il mio corpo. Il Signore è con me, ed io non avrò paura". Amen!

Zitorsky e Alper            - Amen! (Tutti si disperdono. 1 due Kessler mormorano un saluto e spariscono in strada abbottonandosi i cappotti. Harris, che lenta­mente, con. le sue mani tremanti, sta togliendosi i filat­teri, continua a rivestirsi per tutto il resto della sce­na. Il sagrestano gira raccogliendo i filatteri e gli scial­li e li rimette nelle borse di velluto e poi ripone tutte le borse di velluto e i libri delle preghiere nella scato­la da cui li aveva presi, e come al solito si muove fre­neticamente, quasi con disperazione. Solo il rabbino e il cabbalista continuano a recitare alcune preghiere in più: "I tredici articoli di fede" eccetera. Il cabbalista li legge stando seduto, curvo sul suo libro di pre­ghiere. Alper e Zitorsky sono seriamente allarmati perché Arturo si è diretto alla piattaforma, dove sta attendendo che il rabbino finisca le sue preghiere. Lo sorvegliano. Harris improvvisamente si sente in vena di chiacchierare)

Harris                            - (volgendo il viso verso Alper e Zitorsky) Ah, che sete!

Alper                             - (sorvegliando Arturo) Bene. (Il rabbino, che ha finito, sì volta e fa per scendere. Arturo fa un passo verso di lui)

Arturo                           - Rabbino...

Rabbino                        - (sorpassandolo) Vengo subito da voi un minuto di pazienza. (Va verso l'ufficio. Alper fa un balzo per intercettarlo)

Alper                             - Rabbino...

Rabbino                        - (continuando a camminare) Soltanto un minuto di pazienza, Alper. (Entra nell'ufficio e chiude la porta. Alper si prende la testa tra le mani e alza le spalle. Zitorsky mormora un involontario "ohi". En­trambi scuotono la testa e attendono con la sopporta­zione che è caratteristica della loro tribù. Arturo fa qualche passo verso la porta del rabbino e poi si fer­ma ad aspettare. Nell'ufficio il rabbino si siede - sem­bra un distinto uomo d'affari - e fa un numero. Poi parla al telefono) Vorrei parlare personalmente con il rabbino Harry Gersh a Wimington, Delaware. Il nu­mero di Wilmington è Kingswood 3-1973... (Canticchia un pezzo del servizio. Alper bussa alla porta e non ri­cevendo risposta entra. Spalanca la bocca per lo stu­pore, notando l'assenza della ragazza. Si tira la barba, meditando) Ebbene, Alper?...

Alper                             - Ebbene, rabbino, vi dirò... (Si acciglia, ar­rossisce, poi si volta ed esce) Chiedo scusa.

Rabbino                        - (al telefono) Locust 6-0932.

Alper                             - (a Zitorsky) Lei non c'è.

Zitorsky                        - Non c'è?

Alper                             - Dovrò andar fuori a cercarla. (Preoccupato e assorto, Alper si infila lentamente il cappotto ed esce dalla sinagoga. Il rabbino è ancora al telefono. La sua voce si alza nel tono usato generalmente per le interurbane)

Rabbino                        - Harry, come va, qui è Bernardo che par­la, mi dispiace che tu non mi abbia trovato in casa ieri sera, mia moglie Silvia mi ha detto che è stato meraviglioso risentire la tua voce dopo tanti anni, co­me stai, tu, Shirley e i ragazzi, oh, magnifico, sono lie­to di saperlo. Harry, mia moglie dice che tu hai ap­pena avuto la tua prima comunità, e che volevi un consiglio dato che io sono stato già licenziato varie vol­te... Bene, quanto ti danno?... Bene, cinquemila non è male per la prima nomina però pensavo che pagasse­ro meglio fuori di città. E cos'è, un contratto di un anno?... Beh, che genere di consiglio potrei darti? Spe­cialmente a te Harry. Tu sei un uomo buono, studio­so e profondamente pio e non capisco proprio perché tu faccia il rabbino. Quel che purtroppo ci si aspet­ta da te è che tu sappia tirar fuori del denaro, pur­troppo. La sinagoga in cui mi trovo adesso è in un incredibile stato di abbandono e io spero che riusci­remo ad avere dei locali un po' migliori entro l'anno. Sono riuscito a smuovere le acque. Ho fondato un Cir­colo Giovanile, un circolo per i giovani sposi, un tea­tro Club che il prossimo mese debutterà per la prima volta con L'Uomo che viene a pranzo           - mi piacereb­be che tu venissi, Harry, porta tua moglie, sono sicu­ro che passeremo una magnifica serata. E lascia che ti raccomandi, a proposito, di organizzare una piccola squadra di baseball. È un trucco meraviglioso, io adesso ho sedici ragazzi che vengono alla scuola festi­va... Harry, senti, e che ne so, io, del baseball?... Har­ry, scusa se ti interrompo. In nome del cielo, come vuoi riuscire a ispirare il timor di Dio a ragazzi che scapperanno fuori dalle tre classi di ebraico per far esplodere dei razzi in miniatura a duecento metri di altezza             - in tre stadi? Per i miei ragazzi Dio è un meccanico in pensione... Beh, in questo preciso mo­mento sto organizzando una lotteria. E appena avrò finito di parlarti, dovrò precipitarmi in tipografia per farmi fare dei manifestini e da li in Municipio per avere un permesso per organizzare dei giochi sai, quel tipo di tombola, il bingo... Difatti, questa matti­na avevo un tal programma di cose da fare che quasi mi scordavo di venire alla sinagoga... (gentilmente ag­giunge) Harry, con la mia prima Comunità anch'io pensavo che il mio dovere fosse di portare la parola di Dio. E ogni sabato montavo sul pulpito e li con­dannavo perché violavano le regole della loro religio­ne. Cosi la mia congregazione si sfasciò, e la sinago­ga di cui ero responsabile spari, inghiottita da una pa­lude di cambiali. Harry, ci sono delle volte, temo, in cui non m'importa nulla che essi credano in Dio, pur­ché vengano nella sinagoga... Naturalmente è triste... Harry, è stato un piacere. Ti ho depresso?... Vieni a trovarci, Harry... Buona fortuna... Naturalmente. Arri­vederci. (Depone il microfono, si alza, si guarda in gi­ro cercando la sua borsa, e poi passa nella sinagoga continuando la sua ricerca. Viene interrotto da Ar­turo)

Arturo                           - Rabbino, io ho fretta, devo scappare, ma prima vorrei parlarvi di quella ragazza nel vostro uf­ficio. Questi vecchi mi dicono che essa è posseduta da un demonio e ritengo che abbiano l'intenzione di fare un qualche esorcismo. Io devo avvertirvi che la ra­gazza dev'essere trattata soltanto da psichiatri com­petenti e il danno più terribile potrebbe venirne a lei se fosse assoggettata a qualcosa come... Sentite, ne sapete niente voi, di questo esorcismo? perché io non posso credere che voi tollerereste...

Rabbino                        - Chiedo scusa non riesco a seguirvi.

Arturo                           - Sto parlando della ragazza che è nel vo­stro ufficio.

Rabbino                        - Io sono nuovo qui, in certo modo, e an­cora non conosco tutti per nome. Vi prego dì aver pa­zienza. Ora, mi par di capire che avete intenzione di sposarvi. (Per un attimo Arturo lo guarda come du­bitando dei suoi sensi)

Arturo                           - (pensoso) Questa mattina mi sembra che tutto sia assolutamente... Rabbino, nel vostro ufficio c'è una ragazza che è pazza.

Rabbino                        - Nel mio ufficio? (L'attenzione del rabbino è improvvisamente attratta da Zitorsky, che nel frat­tempo non ha fatto che girare per la sinagoga, guar­dando tra le -file delle sedie, e ora sta guardando nella stanza da bagno sul fondo della scena) Signor Zitor­sky, che cosa state facendo?

Zitorsky                        - (ad Arturo, che sì sta dirigendo rapida­mente verso l'ufficio) Beh, si è mai vista una cosa simile? La ragazza si è semplicemente volatilizzata. (i7 rabbino è completamente stupefatto)

Arturo                           - (che ora esamina l'interno dell'ufficio) Sospetto qualcosa di più terrestre, semplicemente che se ne sia andata fuori dalla porta. (Va in fretta alla porta d'entrata, che si spalanca, lasciando pas­sare Alper che è scuro e soprapensiero)

Alper                             - (ad Arturo) Beh, questa è veramente una bella storia. Ho guardato di qua e di là, ma non sono riuscito a vederla. (Arturo esce sulla strada e comin­cia a guardare preoccupato a destra e a sinistra)

Rabbino                        - Signor Zitorsky, se voleste aver la cortesia di dirmi che succede.

Zitorsky                        - (con gli occhi larghi di terrore) Rab­bino, il signor Foreman ha portato giù sua nipote sta­mattina, e ha detto: "È posseduta da un dibbuk." Beh, cosa dite voi quando uno vi annuncia una cosa del genere?

Rabbino                        - Oh, la nipote del signor Foreman. Si, na­turalmente, capisco.

Zitorsky                        - E lui ci ha condotto nel vostro ufficio dove stava la ragazza, e lei ci ha parlato. Che espe­rienza! Non ve lo potete immaginare. La voce del dibbuk ci ha parlato. Era come un'eco cavernosa dell'eternità, e tutto il corpo della ragazza era circon­dato da un alone di luce. Il fuoco fiammeggiava dalla sua bocca. Noi tutti eravamo qui, domandate pure a Alper, lui ve lo dirà. Lo giuro sulla mia anima! La ragazza ha cominciato a sollevarsi nell'aria!

Alper                             - È un fatto che Zitorsky sta un po' miglio­rando la storia.

Zitorsky                        - (affascinato dalla bellezza della sua fan­tasia) Ma che dite? L'avete visto coi vostri propri occhi!

Alper                             - Beh, è stata una notevole esperienza, devo dirlo.

Rabbino                        - E la ragazza adesso se n'è andata.

Zitorsky                        - Volatilizzata!

Rabbino                        - E dov'è il Signor Foreman?

Alper                             - È andato a Brooklyn.

Rabbino                        - A far che, in nome del cielo?

Alper                             - A trovare il rabbino Korpotchniker.

Rabbino                        - (molto impressionato) Il Korpotchniker?

Zitorsky                        - Ma certo. Forse non lo sapete, ma è il cugino del signor Hirschman.

Rabbino                        - Del signor Hirschman? Devo ammettere che non lo sapevo.

Zitorsky                        - Oh, certo. Sentite, Hirschman è il figlio primogenito del vero Korpotchniker.

Alper                             - Temo che ci stiamo allontanando dal no­stro argomento.

Rabbino                        - (accigliato) La ragazza probabilmente se n'è andata a casa. Perché non telefonate a casa della ragazza, Alper, e non chiedete se è là? Mi pare che siate un amico di famiglia.

Arturo                           - (che è rientrato nella sinagoga) Sia rin­graziato Iddio. Questa è la prima proposta ragione­vole che ho sentito finora.

Alper                             - (annuisce con tristezza) Si, suppongo che farei bene a chiamare suo padre.

Arturo                           - (abbottonandosi il soprabito) Benissimo. (Guarda l'orologio) Signori, se non avete più bisogno di me, vorrei andare dal mio analista. Buon giorno. (Va deciso alla porta)

Rabbino                        - La pace sia con voi. (Arturo si ferma davanti alla porta, un po' divertito da quella forma arcaica di saluto)

Arturo                           - La pace sia con voi. (Apre la porta ed esce)

Rabbino                        - E quello chi era?

Zitorsky                        - Chi lo sa? Il sagrestano l'ha trovato per la strada.

Rabbino                        - (abbottonandosi il cappotto) Beh, io de­vo andare alla tipografia. Un dibbuk. Ma guarda. Che cosa insolita. Il signor Foreman è un mistico? Tra parentesi, signor

Alper                             - signor

Zitorsky                        - voi non siete venuti alla riunione della confraternita ieri sera. Credo che dovreste prendere un interesse più attivo alla vita della sinagoga. Non avete ricevuto l'avviso? Vi prego di intervenire la prossima volta. (Trova la sua borsa) Ah, bene, eccola qui. (Va alla porta) Mi piacerebbe sapere quel che ha detto il Korpotchniker. Sarete qui più tardi? Ripasserò. Fatemi sapere come va a finire. Alper, fareste bene a telefonare alla sua famiglia adesso, immediatamente. Buongiorno. La pa­ce sia con voi.

Alper e

Zitorsky                        - La pace sia con voi, rabbino. (Il rabbino esce. I due vecchi si guardano con aria delusa, poi vanno nell'ufficio del rabbino, dove Alper si siede e. mette la mano sul telefono, e ve la lascia, depresso dallo sviluppo degli eventi. Nella sinagoga, il cabbalista è immerso nella preghiera, e il sagrestano ha tirato fuori una scopa e sta scopando sul fondo. Un lungo momento di silenzio)

Alper                             - (sempre con la mano sul telefono) Zitorsky, ragioniamoci un po' su.

Zitorsky                        - Senz'altro.

Alper                             - (non per nulla è uno studioso del Talmud) Se chiamo la famiglia della ragazza, ci sono due pos­sibilità. O lei, è a casa, o non c'è. Se è a casa sua, perché telefonare? Se non c'è, ci sono due possibilità. 0 suo padre ha già chiamato la polizia, o non l'ha chiamata. Se ha già chiamato la polizia, sciupiamo una telefonata. Se non ha chiamato la polizia, la chia­merà. Se chiama la polizia, ci sono due possibilità. O prenderanno la cosa sul serio oppure no. Se non pren­dono la cosa sul serio, perché telefonare? Se pren­dono la cosa seriamente, si precipiteranno qui per sa­pere quello che sappiamo già, e che cosa ci avremo guadagnato? Niente. Ho ragionato bene, Zitorsky?

Zitorsky                        - Avete ragionato bene.

Alper                             - E per di più, Zitorsky, quanta gente volete che ci sia in strada a quest'ora, che non si possa indi­viduare la ragazza in pochi minuti? Perché dovrem­mo mettere in moto l'enorme macchina della legge? Usciamo: la ragazza la troveremo noi. (In un minuto si alzano, si abbottonano i cappotti e corrono alla porta là si fermano)

Zitorsky                        - (guardando Alper con ammirato timore) Alper, che farabutto siete! (Alper accetta graziosa­mente il complimento ed escono. Allora, dalla penom­bra della sinagoga, la voce del cabbalista si alza can­tilenando mentre egli si dondola avanti e indietro, con gli occhi chiusi in religiosa estasi)

Cabbalista                     - "Io credo con fede perfetta nella venu­ta del Messia, e per quanto egli tardi, ogni giorno at­tenderò la sua venuta. Io credo con fede perfetta che vi sarà una resurrezione dei morti nel giorno che vor­rà il Creatore; benedetto sia il suo nome, ed esaltato il suo ricordo nei secoli dei secoli.” (La porta d'ingresso si spalanca e la ragazza si precipita dentro, tenendo in mano un libro meravigliosamente rilegato in cuoio. Si guarda rapidamente attorno nella sinagoga ormai vuota salvo per il sagrestano e il cabbalista e poi corre nell'ufficio che è pure vuoto. Presa da una specie di panico, ritorna nella sinagoga e si rivolge al sagre­stano)

Ragazza                        - Signor Bleyer, quel giovanotto che era qui, sapete... (Gira su se stessa mentre la porta si spa­lanca e Arturo rientra. Pare che anch'egli abbia fatto la strada, se non proprio correndo, almeno di buon passo. Lui e la ragazza si guardano in silenzio per un momento. Poi lei dice) Ero andata a casa a prendere questo libro per voi. Volevo che aveste il libro di cui vi ho parlato.

Arturo                           - (quietamente) Davvero non potevo andar­mene senza sapere che stavate bene. (Si guardano an­cora, poi la ragazza corre a gettarsi tra le sue brac­cia)

Ragazza                        - (piangendo) Oh, io vi amo. Vi amo. Vi amo... (Restano immobili, cosi abbracciati. La voce del cabbalista si alza di nuovo in un canto arcaico, meraviglioso nel suo antico ardore)

Cabbalista                     - "Nella tua salvezza io spero, o Si­gnore! io spero, o Signore nella tua salvezza. O Si­gnore, nella tua salvezza io spero! Nella tua salvezza io spero, o Signore! Io spero, o Signore, nella tua sal­vezza! o Signore, nella tua salvezza io spero! (Cala la tela sulla prima scena)

SCENA SECONDA

Sono passate parecchie ore. C'è una quiete silenzio­sa nella sinagoga. Il cabbalista si è addormentato su un grosso volume nella parte più lontana dal podio, la testa avvolta nello scialle gli è caduta sul libro. Anche la ragazza dorme nella poltrona logora del rab­bino. Il sagrestano è seduto come un ciabattino su una sedia a sinistra. Alper e Zitorsky, mezzi addor­mentati, siedono al centro del palcoscenico. Solo Ar­turo, sempre irrequieto, si muove nella sinagoga. Egli guarda nell'ufficio, si preoccupa della ragazza, la stu­dia, ed è profondamente turbato dalla sua grazia nel

 sonno. Calma e silenzio. Improvvisamente il cabba­lista si sveglia e si rizza sulla sua sedia, come se uscisse dal più strano dei sogni. Guarda il muro di fronte con occhi sbarrati. Si alza e si muove verso il proscenio, il suo viso è pieno di terrore. Evidente­mente ha avuto un sogno che lo ha turbato molto, e porta la mano alla fronte come per trattenere i suoi pensieri. Poi un'espressione da esaltato appare sul suo volto pallido, rugoso e barbuto. I suoi occhi sono di­latati dal terrore.

Cabbalista                     - (in un sussurro pieno di terrore) "Be­nedetto sia il Signore. Benedetto sia il Signore. Be­nedetto sia il Signore.” (Ora è quasi all'altezza delle luci della ribalta, guarda il pubblico col viso illumi­nato dall'estasi e grida) Lodate il Signore! Alleluja! Lodate il Signore! Alleluja! Bello è cantare la lode del Signore, poiché il canto è dolce e la lode è giusta. Lodate il Signore! Alleluja! (Alper lo osserva con in­teresse, sebbene assonnato. Il cabbalista si volta e lo guarda) Miei cari amici, miei cari, cari amici... (i suoi occhi si riempiono di lacrime, la sua bocca si muove senza, emetter suono)

Alper                             - State bene, Hirschman?

Cabbalista                     - (come stupito da un miracolo interiore) Stavo studiando la codificazione della Legge, spe­cialmente quei paragrafi che cominciano con le lettere del nome di mio padre perché oggi è l'anniversario della morte di mio padre. Mi ero portato un pezzo di torta al miele, in memoria di mio padre. L'ho qui da qualche parte, involtato in una carta. Dove l'ho mes­so? L'ho portato qui ieri sera. È qui da qualche parte e mentre studiavo, mi sono addormentato con la testa sul Libro della Mishnà1. Oh, miei cari amici, avevo pregato il Signore di mandarmi un sogno, ed Egli mi ha mandato un sogno. Ho sognato che mi ba­gnavo in una polla della più limpida acqua montana. E un uomo pieno di dignità è apparso sulla riva e mi ha detto: "Rabbino, dammi la tua benedizione, per­ché parto per fare un viaggio." E io l'ho guardato in viso, ed era il viso di mio padre. E io ho detto a lui : "Padre mio, perché mi chiami rabbino? Non ho forse gettato via con gioia il grande scialle bianco con le frange dei rabbini, e non mi sono fatto beffa del Si­gnore di fronte a te? E non ho passato la mia vita in preghiera e penitenza per mondare la mia anima?" E mio padre mi ha sorriso, e la sua faccia barbuta splendeva di bontà, e mi ha detto: "Sorgi dall'acqua, figlio mio, e indossa questo vestito bianco che ho pre­parato per te. Poiché la tua anima è ormai monda e tu hai trovato un seggio tra i giusti. E il volto del Si­gnore sta sorridendo su di te in questo giorno. Dun­que alzati e godi e danza nel luogo Santo. Poiché tua è la pace eterna e tu sei uno dei giusti." Questo è il sogno che ho sognato con la testa sul libro della Mi­shnà. (Solleva il capo e guarda in alto) Il Signore re­gnerà in eterno, il tuo Dio, o Sion, per tutte le gene­razioni. Lodate il Signore. Alleluja! (Si guarda intor­no, fuor di sé dalla gioia) Dov'è il vino, sagrestano? Il vino! Venerdì ce n'era una bella bottiglia nuova. Mi è stato dato un seggio tra i giusti! È per un giorno come questo che ho digiunato e pregato! Io sono stato assolto. Alleluja, alleluja! Ah, ecco il dolce! Qui! Bene... (Comincia a ridere) Danzerò davanti all'Arca Santa! Sagrestano, sagrestano! Fate le parti in modo che tutti abbiano gioia in questo giorno di festa! Il Signore mi ha mandato un segno, e il viso di mio padre mi ha sorriso! (Improvvisamente, come aveva cominciato a ridere, scoppia in singhiozzi- Si abbandona su una sedia e comincia a piangere senza vergognarsi)

Alper                             - Mio caro Hirschman, come siamo lieti di quel che vi è accaduto. Sagrestano        - (offrendo a Zitorsky un pezzo di dolce)

                                      - Volete un pezzo di dolce, Zitorsky?

Zitorsky                        - Vorrei anche un po' di vino, dato che dobbiamo festeggiare. (Il sagrestano corre verso il leggio, che in basso è un armadietto contenente og­getti sacri e il vino)

Arturo                           - (che ha osservato la scena ed è piuttosto af­fascinato) Ma che cosa è successo?

Alper                             - Il signor Hirschman ha ricevuto un segno da Dio. Suo padre gli ha perdonato, e la sua anima è monda.

Arturo                           - Oh, magnifico!...

Zitorsky                        - (al sagrestano, che sta versando il vino da una brocca) Vi dirò, caro Bleyer, che se aveste un po' di whiskey lo preferirei. Il vino mi fa girar la testa.

Sagrestano                    - Dove lo prendo il whiskey? Questa è una sinagoga, non un bar.

Zitorsky                        - (prendendo il suo bicchiere) Felicità, Hirschman.

Alper                             - Un po' di vino anche per il nostro giovane amico qui. (Ad Arturo) Volete unirvi al signor Hir­schman nell'ora della sua gloria?

Arturo                           - Si, naturalmente. (Il sagrestano, che men­tre riempie i bicchieri ne sta sorseggiando uno per conto suo, ha cominciato a canticchiare un gaio mo­tivo chassidico. Porge ad Arturo un bicchiere)

Zitorsky                        - (porgendo il suo bicchiere perché sia riem­pito di nuovo) Oh, Schlissel si mangerà il fegato quando saprà che ha perduto la festa.

Alper                             - (facendo un brindisi) Rabbi Israele, figlio di Isacco poiché penso che sia giusto rivolgersi a voi usando il vostro titolo di rabbino, noi ci inchi­niamo con reverenza davanti a voi.

Cab-balista                    - (profondamente commosso) Miei cari, miei cari amici, non so descrivermi la mia felicità.

Zitorsky                        - Non c'è stata una festa in questo luogo da quando è stata celebrata la maggiorità di quel ra­gazzo un mese fa'. E che festa miserabile, per una occasione come quella. Un altro bicchiere, per piacere, sagrestano. Oh, io comincio a sudare. Che fe­sta miserabile, davvero. Il padre del ragazzo fa un sacco di quattrini trattando terreni e tutto quel che porta qui è po' di pan degli angeli e una bottiglia di whiskey. Una bottiglia di whiskey per cinquanta per­sone. Mi è toccato tanto whiskey che non sarebbe bastato per farmi passare un mal di denti. Oh, ra­gazzi, mi gira la testa. Da ragazzo ero capace di bermi un'intera caraffa di sidro. Vi ricordate il sidro di pa­tate che ci facevamo in Europa? Roba da ammazzare un cavallo. Oh, ragazzi, che vino è questo? mi sento già le gambe come se fossero di gomma. (Zitorsky improvvisamente batte un piede e fa alcuni brevi passi di una danza chassidica)

Alper                             - Mica male questo vino, sapete. Proprio gu­stoso.

Zitorsky                        - (va ondeggiando verso Arturo) Pren­dete un pezzo di dolce, giovanotto. Che cosa dice la Bibbia? "Andate e mangiate con letizia il vostro cibo e bevete il vostro vino con serenità." Date un altro bicchiere al ragazzo.

Arturo                           - (sorridendo) Grazie. Sto ancora lavoran­do su questo. (Il cabbalista improvvisamente alza la testa e si mette a cantare un gaio canto chassidico)

Cabbalista                     - "Vien seminata luce, luce per i giusti, e gioia per quelli che sono retti, che sono retti nel cuore. Oh, vien seminata luce, luce per i giusti...

Zitorsky                        - (unendosi a lui) "e gioia per quelli che sono retti, che sono retti nel cuore. Oh! “ (Il cabbali­sta e Zitorsky si prendono per le spalle e cominciano a danzare. La danza chassidica non ha un passo ben definito, ma i danzatori sono pieni di entusiasmo) "Vien seminata luce, luce per i giusti... (Il sagrestano e Alper si uniscono a loro, battendo le mani, e poi nella danza: i quattro vecchi formano un anello; cia­scuno tiene le braccia sulle spalle di altri due e muo­vono le gambe con esuberanza pestando i piedi e gi­rando intorno)

Tutti                              - "...e gioia per quelli che sono retti, che sono retti nel cuore. Oh! Vien seminata luce, semi­nata per i giusti, e gioia per quelli che sono retti, che sono retti nel cuore.” (Continuano a girare cantando e pestando i piedi, e la fronte si imperla loro di sudore. Le parole, a furia di esser ripetute, degenerano, dato che il respiro dei cantori è breve, in un "Bibu-bu-bi-bi-bi-bi-bibibi." Arturo li guarda pieno di simpatia. Fi­nalmente Alper, cui manca il respiro, esce dal cerchio e va barcollando verso una sedia)

Cabbalista                     - Erano almeno sessant'anni che non ballavo! Oh, basta! basta! Il cuore mi scoppia! (Bar­colla ridendo, esce dal cerchio e si siede, cercando di riprender fiato)

Alper                             - Ancora un po' di vino, Hirschman?

Cabbalista                     - (felice, ansimando) Oh! (Zitorsky al­za la testa e nota la ragazza che destata dal rumore è scivolata nella sinagoga e si sta godendo lo spetta­colo con un sorriso. Zitorsky avanza verso di lei, dopo averle, lanciato un'occhiata assassina, con le braccia tese è ancora il vecchio galletto)

Zitorsky                        - Bi-bi-bi-bi-bi-bi... jLa prende fra le braccia e comincia a farla girare vorticosamente. La ragazza ride forte, le sue gonne si sollevano girando. Zitorsky fornisce la musica, continuando a cantare "bi-bi-bi-bi-bi-bi...")

Cabbalista                     - L'ultima volta che ho ballato è stato in occasione dell'ultimo giorno della festa dei Taber­nacoli nel 1896. Avevo diciassette anni. (Improvvisa­mente aggrotta la fronte) Abbiate cura della ragazza, perché il dibbuk le sarà addosso tra poco.

Alper                             - (curvandosi su di lui) Che cosa avete det­to, Israele figlio di Isacco? (Il cabbalista si volta a guardare la ragazza che volteggia tra le braccia di Zitorsky)

Cabbalista                     - Lasciate che la ragazza si riposi, Zi­torsky, poiché sta lottando con il dibbuk. Guardate. (Infatti la ragazza si è staccata da Zitorsky e ha cominciato a improvvisare una danza per conto suo. Ogni gaiezza si è allontanata dal suo viso, su cui ap­pare un'espressione lasciva. La sua danza è aperta­mente provocante. Ella danza dapprima lentamente, poi con crescente abbandono e sensualità. Zitorsky indietreggia inorridito. La ragazza batte i piedi e vol­teggia sempre più selvaggiamente. I suoi occhi si fan­no audaci e scintillanti, ed ella grida vecchie parole del gergo degli zingari, un russo bastardo, dalla ca­denza orientale. Il cabbalista si muove lentamente verso di lei che, quando se ne accorge, arresta di colpo la sua danza e se ne resta immobile, con una strana espressione di dolore sul viso. Il cabbalista la guarda con dolcezza) Figlia mia, mettiti giù tranquilla, e ri­posa. (La ragazza comincia a ondeggiare come se stesse per svenire)

Ragazza                        - (con voce quasi impercettibile) Mi sento cosi debole, cosi debole. (Si lascia pian piano scivolare sul pavimento, non del tutto svenuta, ma su­ll’orlo di uno svenimento. Arturo corre al suo fianco)

Arturo                           - Non avete dell'acqua qui?

Alper                             - Del vino andrebbe meglio. Sagrestano, da­tele del vino. (Il sagrestano accorre con un bicchiere)

Arturo                           - (sollevando la testa della fanciulla) È una ragazza malaticcia?

Alper                             - Non è mai stata malata un giorno in vita sua.

Sagrestano                    - Ecco il vino.

Zitorsky                        - (al sagrestano) Non ve l'ho detto? non ve l'ho detto?

Ragazza                        - Mi sento cosi debole. Mi sento cosi debole.

Arturo                           - (porta il bicchiere di vino alle labbra di lei) Bevete un po' di questo.

Ragazza                        - (in un mormorio) Salvatemi... Salva­temi...

Cabbalista                     - È il dibbuk che la rende debole. Ho visto succedere una cosa del genere già un'altra volta.

Sagrestano                    - (a Zitorsky) Quando mi avete parlato di questo dibbuk, io non ci ho creduto.

Zitorsky                        - E cosi avevo ragione, no?

Sagrestano                    - Oh, santo cielo.

Arturo                           - Aiutatemi a farla sedere su quella sedia.

Alper                             - Si, certo.

Sagrestano                    - Lasciate che vi aiuti. (Tra tutti rie­scono ad alzarla e a farla andare lentamente nell'uffido del rabbino, dove la sdraiano delicatamente sul sofà)

Cabbalista                     - (a Zitorsky) Nessuna notizia di Foreman, ancora?

Zitorsky                        - No, aspettiamo...

Cabbalista                     - (accigliandosi) Williamsburg non è tanto lontano. Beh, ora la ragazza dormirà. (Esce dall’ufficio seguito da Zitorsky, Alper raggiunge gli altri nella sinagoga e per un brevissimo istante Arturo si trova solo con la ragazza e tiene dolcemente tra le braccia la testa di lei. Improvvisamente le bacia la fronte e le accarezza i capelli. Si alza rapidamente al ritorno degli altri)

Arturo                           - Credo che si sia addormentata.

Alper                             - Grazie al cielo.

Arturo                           - Sentite, io ho intenzione di chiamare la sua famiglia. Potrebbe darsi che stia malissimo. Cre­do che ci sentiremmo tutti più tranquilli se fosse nel­le mani di un medico. Se uno di voi mi dà il numero del telefono... (Un po' seccato, perché nessuno ri­sponde) Per favore, signori non credo che sia il caso di ostinarsi ancora con certe sciocchezze.

Cabbalista                     - Non sono sciocchezze. Non parlo di dibbuk per sentito dire. Da giovane, ho veduto centi­naia di persone venire da mio padre dichiarando che erano indemoniati, ma di questi solo due erano dibbuk autentici. Di questi due, una era una ragazza che assomigliava molto a questa povera figliola, e anche prima che fossero portate le candere nere e il corno d'ariete per l'esorcismo, cadde per terra e mori. Io vi dico che questa ragazza è posseduta e che morirà, con le mani alla gola e urlando e chiedendo la reden­zione, a meno che il dibbuk non venga esorcizzato. (Guarda gli altri e annuisce) Morirà. Svegliate la ra­gazza. La porterò io stesso dal Korpotchnìker.

Alper                             - Zitorsky, svegliate la ragazza. Io le prendo il cappotto. Sagrestano, chiamate un tassi per Rabbi Israele. (Fa per prendere il cappotto ma Arturo lo ferma. Lo guarda) Giovanotto, che volete fare?

Arturo                           - Signor Alper, la ragazza sta male. Forse sta malissimo, per quel che ne sappiamo.

Alper                             - Giovanotto, Rabbi Israele dice che sta mo­rendo.

Arturo                           - Ebbene, in tal caso, datemi il numero te­lefonico di casa sua.

Alper                             - (entra deciso nell'ufficio) La vostra è pre­sunzione e questa faccenda non vi riguarda.

Arturo                           - (seguendolo) Riguarda me tanto quanto voi. Provo una grande simpatia per questa ragazza. De­sidero che sia immediatamente consegnata a chi può curarsi di lei nel modo più adatto. Se è necessario, chiamerò un poliziotto. Basta con le sciocchezze, ades­so. (Alper scivola a sedere dietro la scrivania, furioso. Un momento di silenzio. Poi il cabbalista, che è rima­sto finora sul fondo a osservare tranquillamente dice)

Cabbalista                     - Il giovanotto non crede ai dibbuk?

Arturo                           - Temo di no. Mi pare che voi tutti vi stiate comportando come tanti pazzi. (Il cabbalista medita un attimo sulla sua risposta)

Cabbalista                     - Vi racconterò una vecchia parabola chassidica. Un uomo sordo passò accanto a una casa in cui c'era una festa nuziale. Egli guardò attraverso la finestra e vide che tutti là dentro stavano danzando e volteggiando, saltando e ridendo. Comunque, poi­ché l'uomo era sordo e non poteva udire la musica dell'orchestra, disse tra sé: "Ah, questo dev'essere un manicomio." Giovanotto, poiché voi siete sordo, ne consegue forse che noi siamo lunatici?

Arturo                           - Avete perfettamente ragione. Io non in­tendevo farmi beffa della vostra fede, e vi chiedo scu­sa. Comunque, intendo telefonare al padre della ra­gazza, e se lui vuole che la ragazza sia esorcizzata, questo è affar suo. (Siede dietro la scrivania, mette la mano sull'apparecchio, e guarda Alper) Beh?

Cabbalista                     - Dategli il numero, signor Alper. (Al­per pesca fuori un libriccino dal panciotto, lo sfoglia, lo tende aperto ad Arturo che comincia a fare il nu­mero) Non c'è nessuno a casa della ragazza. Suo pa­dre, che desidera solo dimenticarsi di lei, è andato al negozio in città e in questo momento sta riempien­dosi di cibo in una latteria. La matrigna ha portato i bambini più piccoli a casa di sua sorella. Il medico della ragazza ha chiamato la polizia e se n'è andato a fare il suo giro e la polizia, piuttosto scettica, sta perlustrando su e giù il quartiere ebraico, cercando un vecchio ebreo e sua nipote. (Arturo non dice nulla, continua ad aspettare una risposta. Il cabbalista si siede sul bracciolo del sofà, assorto. Poi) Non riesco a capire perché questo giovanotto non crede ai dib­buk.

Alper                             - È caratteristico della presente generazio­ne, Rabbi Israele, essere cinici riguardo a tutto. Par­lando da un punto di vista storico, un'epoca di pro­sperità che succede a un periodo difficile produce un certo numero di filosofie della disperazione e dell'iner­zia, poiché la gente, dopo essersi arricchita, scopre di essere non meno infelice di quando era povera. Cosi, quando un uomo intelligente di una generazione di questo tipo scopre che due apparecchi televisivi non hanno maggior significato di uno, o che non va meglio d'accordo con sua moglie in una villetta fuori città di quanto non andasse in un condominio in cit­tà, egli arriva alla naturale conclusione che la vita non ha alcun significato.

Cabbalista                     - Uno stato di cose, veramente disgra­ziato.

Arturo                           - (riappoggiando il ricevitore) Nessuno in casa.

Cabbalista                     - (ad Arturo) È proprio vero, giova­notto, che voi non credete assolutamente a nulla?

Arturo                           - Non credo a un accidente.

Cabbalista                     - Non c'è verità, non c'è bellezza, non c'è infinito non c'è nulla di conosciuto, nulla di ignoto.

Arturo                           - Esattamente.

Cabbalista                     - Giovanotto, voi siete uno sciocco.

Arturo                           - Davvero? Stavo leggendo il vostro libro, il Libro dello Zohar1. Sono certo che molto è andato perduto nella traduzione, però, signore, chiunque cre­da in questo abracadabra fa un atto di presunzione quando chiama qualcun altro sciocco. (Arturo estrae dalla giacca il libro che la ragazza gli ha dato e lo tende al cabbalista che lo accetta, pensoso)

Cabbalista                     - Stavate leggendo il Libro dello Zohar. Mio caro giovanotto, uno non legge il Libro dello Zo­har sfogliandolo e facendo delle note in margine. Io mi sono sepolto in questo libro per sessant'anni, nudo ed esposto ai suoi misteri nascosti, e non ho potuto percepire che vagamente la passione che lo anima. Dietro ogni lettera di ogni parola giace un'immagine segreta e dietro ogni immagine una scintilla di luce dell'ineffabile splendore dell'Infinito. Ma il concetto dell'Ignoto inesprimibile voi non potete afferrarlo. Sie­te un uomo posseduto dalle cose che si toccano. Se non potete toccare una cosa con le vostre dita, que­sta semplicemente non esiste. In verità questo dovreb­be essere l'epitaffio della vostra generazione     - che tutto vi è sembrato ovvio e che non avete creduto in nulla. Quel che noi conosciamo della vita è molto poco. Che vi posso dire? Io direi che è più saggio cre­dere nei dibbuk piuttosto che non credere a nulla.

Arturo                           - Signor Hirschman, un buon psichiatra per dir la verità anche uno psichiatra piuttosto mo­desto potrebbe in pochi minuti demolire le vostre teorie. Voi potete credervi un uomo con un Dio che lo protegge, ma io vi vedo come un uomo ossessionato da una colpa, che ha inventato un Dio per poter es­sere perdonato. Voi vi siete inventato tutto   - la col­pa, Dio, il perdono, il mondo intero, i dibbuk, l'amore, la passione, la soddisfazione della passione   - tutto questo fantastico, caotico pasticcio      - perché per voi è insopportabile il dolore di essere insignificante. Nes­suna di queste cose esiste. Ve le siete fabbricate tutto voi. Il fatto è che avrei una mezza idea di lasciarvi andare fino in fondo con questo esorcismo, perché, dopo che avrete suonato nei corni d'ariete e avrete mugolato formule di incantesimo e dopo che la ragazza sarà caduta svenuta sul pavimento ve l'assi­curo, lei si rialzerà pazza quanto era prima e io mi domando quali bizzarrie di razionalismo e misticismo voi dovrete elaborare per spiegare questo. Ora, se la disputa è finita, intendo chiamare la polizia. (Alza di nuovo il ricevitore e chiama il centralino)

Alper                             - Bene! Che si può dire a un uomo tanto amareggiato?

Cabbalista                     - (alza le spalle) Si può dire solo che il giovanotto non tiene in grande considerazione gli psichiatri. (La porta di fronte si spalanca e Foreman e Schlissel si precipitano dentro affannati, con gli occhi fuori della testa. Alper corre dall'ufficio nella sinagoga vera e propria e li guarda stupito)

Schlissel                        - Oh, grazie a Dio, la sinagoga è ancora qui!

Alper                             - Beh?

Schlissel                        - (ansima a tal punto che può appena par­lare) Beh che cosa?

Alper                             - Che cosa ha detto il Korpotchniker?

Schlissel                        - Chi lo sa? Chi l'ha visto, il Korpotch­niker? non abbiamo fatto altro che andare su e giù nella metropolitana per quattro ore, avanti e indie­tro! Prima su un treno, poi sull'altro treno! Io sono convinto che un posto che si chiama Williamsburg non esiste e, che non c'è una persona che si chiama Rabbino Korpotchniker! Io vi dico che per due volte siamo usciti in due stazioni diverse, proprio solo per vedere la luce del giorno, e Dio mi è testimonio, tutt'e due le volte eravamo nel New Jersey!

Foreman                        - Oh, io vi dico, mi sento veramente ma­le a forza di andare in treno.

Alper                             - Idiota! Non avete preso il treno di Brigh-ton!

Schlissel                        - L'abbiamo preso, il treno di Brighton! (Apre le braccia in un gesto di disperazione) Abbia­mo preso tutti i treni. Non ho mangiato un boccone in tutta la mattinata. Non mi parlate del treno di Brighton! Non mi parlate di niente. Lasciatemi in pace, e che il diavolo si porti l'economia capitalista! (Zitorsky, il sagrestano e il cabbalista son tutti usci­ti a sentire cosa grida Schlissel. Anche Arturo sta sul­la porta dell'ufficio, ascoltando) Noi domandiamo a questo, e domandiamo a quello. Uno dice questo treno. L'altro dice quel treno. Andiamo da un poliziotto. Lui ci mette su un treno. Viene il bigliettaio, ci dice: "Ultima fermata." Usciamo. Che Dio mi sia testi­monio, New Jersey. Torniamo indietro su quel treno. Il bigliettaio dice: "Scendete alla prossima stazione e prendete l'altro treno." Scendiamo alla prossima sta­zione e prendiamo l'altro treno. Uno ci dice: "Ultima fermata." Usciamo. New Jersey! (Nell'ufficio del rab­bino la ragazza improvvisamente si mette a sedere, presa dal panico, gli occhi serrati dal dolore, urlando in un modo terribile, angoscioso)

Foreman                        - (correndo al suo fianco) Oh, mio Dio! Eyelina! E velina! Che c'è? (La ragazza si porta le ma­ni alla gola e urla)

Ragazza                        - Salvatemi! Salvatemi! Salvatemi! (Zi­torsky e il sagrestano cominciano a mormorare pre­ghiere sottovoce)

Alper                             - (mette una mano sulla spalla di Foreman) Davide, lei è molto malata. Noi pensiamo che forse sta per morire. (Arturo è accorso: si siede sul sofà e la prende tra le braccia)

Arturo                           - Chiamate un medico.

Foreman                        - (preso dal panico, a Alper) Dice che dovrei chiamare un medico. (Arturo si prende la fronte tra le mani e scuote la testa come per schia­rirsi le idee)

Alper                             - (va accanto al cabbalista) Salvatela, Rab­bi Israele. Voi avete avuto il vostro segno da Dio. Voi siete uno dei giusti. (Arturo si volta lentamente e considera la figura curva del cabbalista)

Arturo                           - (al cabbalista, mentre la sua voce si spezza per l'emozione che non si rende conto di provare an­cora) Per amor di Dio, fate il vostro esorcismo o quel che dovete fare. Credo che stia morendo. (Il cabbalista guarda Arturo con profonda dolcezza. Poi si volta e con autorità istruisce il sagrestano)

Cabbalista                     - Sagrestano, avremo bisogno di candele nere, del corno dell'ariete, di scialli di preghie­ra di lana bianca, e ci dovrà essere il numero legale di dieci ebrei perché siano testimoni davanti a Dio in questa tremenda cerimonia.

Sagrestano                    - Solo semplici candele nere?

Cabbalista                     - Solo semplici candele nere. (Il sagre­stano già corre via col cappotto in mano. Alper va da Foreman che sta sulla porta dell'ufficio e gli tocca la spalla in un gesto pieno di timore e pietà. Fore­man, al contatto, comincia a piangere, appoggiando la sua vecchia testa tremante sulla spalla dell'amico. Alper lo abbraccia)

Zitorsky                        - (nella sinagoga, a Schlissel) Io sto bat­tendo i denti, letteralmente, battendo i denti. (Ar­turo, che in qualche modo ha ripreso il controllo dei suoi nervi, va a sedersi dietro la scrivania, cupo, con­fuso dagli eventi, e turbato dalla sensazione che egli non è in grado di capire ciò che sta succedendo, men­tre cala il sipario)

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

Mezz'ora più tardi. Quando si alza il sipario, la ragazza sta seduta sull'orlo del divano nell'ufficio del rabbino, nervosa, spaventata, guardandosi le mani che si tormenta incessantemente. Foreman siede dietro la scrivania, immerso nei suoi pensieri. Indossa sopra il vestito un lungo scialle bianco a strisce nere, co­me quello che il cabbalista ha sempre tenuto addosso. Anche gli altri portano simili scialli, salvo Arturo, che è pure nell'ufficio del rabbino, pensieroso. Il cabbalista sta sul proscenio a sinistra, con lo scialle ti­rato sopra la testa e sfoglia un libro di preghiere, pre­parando l'esorcismo. Il sagrestano è al telefono a mu­ro, col ricevitore all'orecchio, attendendo una rispo­sta, circondato da Alper, Schlissel e Zitorsky.

Zitorsky                        - E se provassimo con Milsky, il macel­laio?

Alper                             - Milsky non verrebbe. Da quando hanno dato il posto presso il muro orientale a Kornblum, Milsky ha detto che non avrebbe più rimesso piede nella sinagoga. In tutte le sinagoghe dove sono sta­to, ho sempre trovato due macellai Kosher che liti­gavano su chi doveva avere il posto migliore presso il muro orientale durante le grandi festività, quello che non l'otteneva regolarmente si allontanava dalla sina­goga in un accesso di furia, e quello che l'otteneva, regolarmente moriva prima della festività dell'anno dopo.

Schlissel                        - Il macellaio Kornblum è morto? Non sapevo che Kornblum fosse morto.

Alper                             - Ma si. È morto quattro anni fa.

Schlissel                        - Beh, la carne che vendeva era uno schifo, credetemi possa la sua anima riposare in pace. (il sagrestano riaggancia, ricupera il gettone, lo infila di nuovo e fa un altro numero)

Zitorsky                        - (al sagrestano) Nessuna risposta? (il sa­grestano scuote la testa)

Sagrestano                    - Chiamo Harris.

Zitorsky                        - Harris? Dite a un vecchio di 82 anni di venire a completare il numero legale per un esorci­smo, e gli verrà un attacco di cuore al telefono

Sagrestano                    - (facendo il numero) Beh, che altro posso fare? È abbastanza difficile riunire dieci ebrei nelle circostanze più favorevoli, ma a metà pomerig­gio di un giovedì è assolutamente pazzesco. Arono-witz è a Miami. Klein, il pellicciaio, è nel suo ne­gozio a Manhattan. La gente lavora, oggi! Chi devo chiamare? (Attende sempre la risposta) Avrei tante di quelle cose da fare. La tappezzeria dell'Arca, lo ve­dete bene, ha perso il colore e ha bisogno di un ram­mendo, e i candelabri e il calice d'argento per la be­nedizione del sabato devono esser lucidati. Ma ogni secondo della mia vita io lo passo a far solo e sempre questo: a cercare dieci ebrei... Pronto, Harris. Harris, qui parla Bleyer, il sagrestano. Abbiamo assoluta­mente bisogno di voi qui alla sinagoga per comple­tare il numero legale... Se vi dicessi perché, non ver­reste... Benissimo, ve lo dirò, ma per amor di Dio non ditelo ad anima viva, neppure a vostra nuora...

Schlissel                        - Mia nuora! Che possa diventare una cipolla, con la testa sotto terra.

Sagrestano                    - (al telefono) Hirschman intende esor­cizzare uno spirito maligno che sta nella nipote di Foreman... Ho detto che Hirschman... Un dibbuk. Esatto, un dibbuk... Proprio qui a Mineola... Esatto. Perché non ci dovrebbero essere dibbuk, a Mineola?

Alper                             - (cercando di ricordare un nome) C'era, mi ricordo, un ragazzo che veniva qui tutte le mattine, circa otto, nove anni fa        - un ragazzo molto pio con riccioli sulla fronte e sulle tempie            - un ragazzo pal­lido, che studiava per fare il rabbino.

Sagrestano                    - (al telefono) No Harris, non è uno scherzo.

Schlissel                        - Chwatkin.

Alper                             - Proprio, Chwatkin. Si chiamava cosi. For­se potremmo chiamare lui. Vive ancora nella comu­nità?

Schlissel                        - È diventato un famoso attore della te­levisione. È sempre sul video. Pinky Sims. Fa l'attore.

Zitorsky                        - Pinky Sims? Vi pare un nome per un futuro rabbino?

Sagrestano                    - Infilatevi un pullover e venite qui.

Alper                             - (al sagrestano, che ha appena riappeso) Allora viene Harris?

Sagrestano                    - Si, e con Harris, siamo otto, e fran­camente ho esaurito le mie risorse. Non so chi altri potrei chiamare.

Alper                             - È terribile. Davvero. Dio si manifesta nel­la nostra piccola sinagoga, e non riusciamo neanche a trovare dieci ebrei per dirgli buon giorno.

Sagrestano                    - Dovrò andare in strada a cercare due passanti. (Si mette il cappotto) Beh, è una cosa che non mi va per niente. Dovrò fermare della gente per strada, domandargli se sono Ebrei e questo è già abbastanza brutto e poi spiegargli che dovrebbero esser presenti all'esorcismo di un dibbuk non so se mi spiego, voi certo capite l'assurdità di tutto questo.

Alper                             - (al cabbalista che sta andando verso l'ufficio) Non riusciamo a riunirne più di otto. Una scia­gura. Veramente. Non potremo fare l'esorcismo per­ché mancheranno due ebrei.

Sagrestano                    - (uscendo) Va bene, io vado. (Esce)

Zitorsky                        - (a Schlissel) Al tempo in cui io facevo le corna a mia moglie, le dicevo sempre che dovevo trattare con dei compratori che venivano da fuori. E una volta le dissi che avevo da trattare con certi acquirenti forestieri una notte dietro l'altra per quasi tre settimane. Una cosa molto stupida, perché anche mia moglie poteva rendersi conto che le vendite non erano tanto abbondanti. Cosi una notte se ne venne al mio pied-à-terre sulla trentaseiesima strada, entrò e mi pescò in compagnia di... Beh, sono sicuro che questa storia ve l'ho già raccontata altre volte.

Schlissel                        - Molte altre volte. (Il cabbalista entra nell'ufficio. La ragazza balza in piedi, ovviamente molto turbata, controllandosi a malapena. Gli volta la schiena e si copre gli occhi con la mano per nascon­dere il suo terrore. Foreman guarda in su. Sembra in stato di shock. Il cabbalista si siede sul sofà, lascian­do ricadere lo scialle sulle spalle, e si guarda le mani che tiene intrecciate sulle ginocchia. Dopo un mo­mento, parla)

Cabbalista                     - (quietamente) Dibbuk, io sono Israele figlio di Isacco. Mio padre era Isacco figlio di Asher, e lo scialle frangiato che porto sulle spalle mentre ti parlo era suo. (A queste parole la ragazza si con­torce, come presa da un crampo. Si piega sullo sto­maco, e singhiozzi rattenuti le escono dalle labbra) Rivelati a me, dibbuk!

Ragazza                        - (con la voce del demonio) Io sono Hannah Luchinsky. (Nella sinagoga Alper, Schlissel e Zitorsky cominciano ad avvicinarsi, spaventati, alla porta dell'ufficio. Arturo guarda dalla sua sedia)

 Cabbalista                    - Perché possiedi il corpo di questa ra­gazza?

Ragazza                        - (contorcendosi, con la voce del dibbuk) La mia anima si è perduta sul mare e non c'è nes­suno che reciti per me le preghiere dei morti.

Cabbalista                     - Farò un patto con te. Lascia il corpo di questa ragazza uscendo attraverso il suo dito mi­gnolo, senza farle male, neanche un graffio, e io starò seduto su una panca di legno per te nei primi sette giorni del lutto e pregherò per la tua anima per i primi trenta giorni e dirò le preghiere per i defunti per tre volte al giorno per tutti gli undici mesi e accenderò una lampada votiva in ogni anniversario della tua morte1. Io ti chiedo di lasciare il corpo di questa ragazza. (La ragazza ride piano)

Ragazza                        - (con la voce del dibbuk) È poco quel che mi puoi dare in cambio, perché tu sarai morto prima delle preghiere per la nuova luna2. (Sulla porta dell'ufficio i tre vecchi rabbrividiscono. Il cabbalista chiude gli occhi. Foreman guarda in su)

Cabbalista                     - (serenamente) Come sai questo?

Ragazza                        - (con la voce del dibbuk) La tua anima volerà diritta alle porte del cielo e sarai abbracciato dall'arcangelo Michele.

Cabbalista                     - Allora io prego l'Angelo della Morte di affrettarsi. Dibbuk, io ti ordino di lasciare il cor­po di questa ragazza. (Il viso della ragazza prende improvvisamente un'espressione malvagia)

Ragazza                        - (con la voce del dibbuk) No! Io cerco vendetta per questi quarantanni di pena! Io sono sta­ta tradita nella mia gioventù e sono stata spinta allo Impulso Malvagio contro la mia volontà. Ho «offerto l'inimmaginabile, e il mio spirito ha vissuto tra i le­tamai e i mucchi di cenere, e chiedo che l'anima di David figlio di Abramo sia cacciata entro il Gilgul per dieci volte quarant'anni, a spasimare per un po' d'aria in quel mare in cui sono annegata...

Foreman                        - (balza in piedi atterrito) No! No!

Ragazza                        - (con la voce del dibbuk) ... in modo che la mia anima possa aver pace. Anima per anima! Que­sto è il mio patto.

Foreman                        - (grida) E cosi sia, allora. Lascia in pace mia nipote e in cambio io darò la mia anima.

Cabbalista                     - (con voce piena di autorità) Il desti­no dell'anima di David figlio di Abramo non sarà de­ciso qui. La sua caduta e il suo riscatto sono stati ordinati dal secondo universo di angeli. Questo patto non si^ farà. Dibbuk, ascoltami! Io ti ordino di la­sciare il corpo di questa ragazza attraverso il suo dito mignolo, senza causarle dolore, senza farle alcun ma­le           - e ti do la mia parola che si diranno preghiere per te, tante quante ne occorrono. Ma se tu non ti curi di queste mie parole, allora io dovrò procedere contro di te con la maledizione e l'anatema.

Ragazza                        - (ride) Non alzare il tuo braccio poten­te contro di me, poiché non mi fa paura. Anima per anima. Questo è il mio patto. (La ragazza comincia im­provvisamente a singhiozzare)

Cabbalista                     - (ad Alper) Dovremo prepararci per l'e­sorcismo.

Alper                             - Mi pare proprio che sia il caso.

Ragazza                        - (si siede sull'orlo del sofà, spaventata, partendo con la sua voce normale) Ho tanta paura.

Foreman                        - Non c'è da aver paura. Sarà tutto finito in un minuto, è come togliersi un dente, e poi te ne uscirai di qui allegra come una bambina.

Schlissel                        - (ritornando nella sinagoga con Alper e Zitorsky) Vi dico che mi sentirei più tranquillo se fosse il Korpotchniker a fare questo. Se ci si deve to­gliere un dente, almeno si va da un dentista laureato.

Zitorsky                        - Mi pare che Hirschman se la sia cavata molto onorevolmente con quel dibbuk.

Schlissel                        - (a Alper e Zitorsky) Vorrei dire qual­cosa a voi tutti; promettete che non me lo rinfacce­rete mai in avvenire.

Zitorsky                        - Che cosa?

Schlissel                        - Comincio a credere che la ragazza sia veramente posseduta da un dibbuk.

Zitorsky                        - E io comincio ad abituarmi a questa faccenda. (Il cabbalista si è alzato, è andato in fondo e sta meditando presso la parete. Foreman è seduto, come istupidito di fianco a sua nipote. Dopo un po' la ragazza parla)

Ragazza                        - Ho molta, molta paura, Arturo.

Arturo                           - (alzandosi) Beh, io ho parlato al mio psi­chiatra, lo sai, e lui ha detto che non credeva che questo esorcismo fosse una cattiva idea. Il punto è questo: se tu veramente credi di essere posseduta da un dibbuk...

Ragazza                        - Oh, si.

Arturo                           - Beh, allora lui ritiene che questo esorci­smo potrebbe essere una buona forma di terapia di shock, che ti renderà più sensibile alla terapia degli psichiatri e aprirà la via a una eventuale guarigione. Il signor Hirschman mi assicura che è una cerimonia indolore. Non devi aver paura di niente.

Ragazza                        - Tu starai qui?

Arturo                           - Naturalmente. Pensavi di no? (Foreman lentamente va nella sinagoga vera e propria, come per domandar qualcosa al cabbalista)

Ragazza                        - Ho sempre la sensazione che tu stia per fuggire.

Arturo                           - Ma no.

Ragazza                        - Sei sempre sul punto di tagliar la cor­da, Arturo. Specialmente in momenti come questi, quando vorresti esser tenero. Io so che tu mi ami altri­menti non mi sentirei cosi felice vicino a te, ma sem­bra che l'idea stessa dell'amore ti spaventi e tu con­tinui a correr via; per mantenere il distacco. Io sento che se ora volessi farti una carezza tu ti volteresti dall'altra parte, o senza dir nulla, mi sbatteresti il portone in faccia. Tu hai uno strano dibbuk, tutto tuo, un triste chiavistello, che gira, gira dentro di te, chiude tutte le porticine g dice : "Tu sei morto. Tu sei morto." Tu mi ami, Arturo. Io lo so.

Arturo                           - (con dolcezza) Io ti auguro ogni bene, Evelina. Questo almeno possiamo dirlo.

Ragazza                        - Io ti amo. Vorrei tanto essere tua mo­glie. (Lo guarda, raggiante d'amore. Poi dice quieta­mente) Ti darò una casa calda, Arturo. Sarai molto felice con me. (Lui la guarda, commosso, e tocca leg­germente il viso di Evelina, che non stacca gli occhi da lui) Io ti adoro, Arturo.

Arturo                           - (con profonda dolcezza) Sei assolutamen­te pazza. (Si guardano. Arturo non abbassa gli occhi)

Ragazza                        - Tu pensi che non sarebbe una cosa pratica, il nostro matrimonio.

Arturo                           - Si, come minimo direi che non sarebbe pratico.

Ragazza                        - Perché io non sono sana di mente e tu hai la mania suicida.

Arturo                           - Sono due motivi che dovrebbero darci abbastanza da pensare.

Ragazza                        - Beh, per lo meno noi cominciamo dal superfluo. Ci vogliono anni, nella maggior parte dei matrimoni, per arrivare a questo punto.

Arturo                           - Non scherzare, Evelina.

Ragazza                        - (seriamente) Oh, Arturo, io non parle­rei di matrimonio se pensassi che fosse proprio impos­sibile. Credo che potrebbe andar bene davvero. So che tu non hai fede nel mio esorcismo...

Arturo                           - Come ti ho detto, ritengo che possa es­sere un'efficace terapia di choc.

Ragazza                        - Ma potremmo sposarci anche in que­sto stesso minuto, e credo proprio che potrebbe andar bene. Io non sono una schizofrenica pericolosa, sono solo un'allucinata. Potrei benissimo dirigere una casa per te. L'ho fatto per mio padre, con molta compe­tenza, prima che lui si risposasse. Sono una buona cuoca, e tu mi trovi attraente, non è vero, Arturo? Io ti voglio bene, Arturo. Sei proprio la persona adat­ta per me. Accanto a te mi sento vicina alla realtà. Potrei essere una buona moglie. Molti schizofrenici funzionano benissimo se qualcuno ha fede in loro.

Arturo                           - (commosso dalla sua intensità) Mia cara Evelina...

Ragazza                        - Io non ti chiedo di aver fede nei dibbuk o negli dei o negli esorcismi, solo in me. (Lui le accarezza una guancia con dolcezza)

Arturo                           - In nome del cielo, come, siamo arrivati al punto di parlar di matrimonio?

Ragazza                        - È un argomento abbastanza normale tra gente innamorata. (Lui le si inginocchia davanti, le prende una mano tra le sue)

Arturo                           - (teneramente) Io non ti amo. E tu non ami me. Ci siamo incontrati cinque ore fa e non ci siamo scambiati che le più elementari, convenzionali cortesie, il resto è solo un'invenzione della tua inge­nuità.

Ragazza                        - Non mi ricordo di esser mai stata cosi felice come in questo momento. Mi sento come den­tro un incantesimo. (Ora sono terribilmente vicini. Arturo si curva su di lei, il suo braccio si muove per circondarla. Poi si ferma, e l'incanto è interrotto. Si allontana. Si alza) Sei già in fuga, un'altra volta, vero?

Arturo                           - Possiedo un minimo di principi morali e quindi non ho l'abitudine di approfittare di mino­renni irresponsabili.

Ragazza                        - Perché non puoi credere che ti amo?

Arturo                           - (in collera) Io semplicemente non credo che nessuno ami nessuno. Finiamola! (Si rende conto improvvisamente che tutta la loro scena d'amore è stata osservata dai vecchi, che sono raggruppati pres­so la porta del rabbino. Con un sospiro rabbioso, Arturo va alla porta q la chiude in faccia ai vecchi. Poi si volta verso la ragazza, aggrondato) Veramente, questo oltrepassa ogni immaginazione. Ma si! Entro un'ora tu sarai di nuovo nella tua casa di cura. Io forse verrò a trovarti e forse no. (La ragazza si ri­siede lentamente)

Ragazza                        - Se io non fossi già pazza, il pensiero che potrei non rivederti mai più mi farebbe impaz­zire.

Arturo                           - Non so che cosa tu voglia da me.

Ragazza                        - (sul punto di piangere) Voglio che tu trovi in me il significato della tua vita.

Arturo                           - Ma questa è pazzia. Come puoi chieder­mi una cosa tanto impossibile?

Ragazza                        - Perché tu mi ami.

Arturo                           - (urla) Non so che cosa tu intenda per amore! Tutto ciò che l'amore significa per me è che io dovrò offrirti una cena, condurti a teatro, e poi ri­portarti indietro alla capanna del nostro cuore, dove tenterò di metter le mani sotto la tua camicetta per amor della tradizione mentre tu respirerai affannosa­mente nel mio orecchio fingendo la passione. Mormo­reremo effusioni meccaniche, mordicchiandoci reci­procamente i lobi delle orecchie, e nel frattempo ci daremo goffamente da fare con bottoni e chiusure lampo, maledicendo sottovoce i nodi nei lacci delle scarpe, e dicendo a noi stessi che tutte queste ridicole manovre per sfilare i calzoni sono un atto naturale come l'impollinazione delle piante. Anche in quell'u­nico breve momento in cui i nostri sensi finalmente ci faranno scordare la nostra solitudine individuale, sentiremo risuonare nelle orecchie il riluttante scric­chiolio delle molle dei materassi. (La ragazza lo guar­da, spaventata dalla sua amarezza)

Ragazza                        - Tu sei posseduto da uno spirito ma­ligno.

Arturo                           - Alla tua età, suppongo, si può ancora tro­vare un fascino teatrale in questa suprema fantasia, ma quando sarai stata dietro le quinte tanto quanto me, scoprirai che l'amore è una faccenda meschina, di creme detergenti e biancheria intima.

Ragazza                        - (sempre fissandolo) Tu sei posseduto da un dibbuk che non ti permette di amare.

Arturo                           - (urla, di nuovo in preda all'angoscia) Oh, lasciami in pace! Sbrighiamoci con questo maledetto esorcismo! (Va alla porta, ma improvvisamente si volta, confuso, turbato, come se volesse dire qualco­sa, ma non sa che cosa. Apre la porta e trova i vecchi che lo aspettano con sorrisi radiosi. Questo lo scon­certa e si volta a guardare la ragazza senza saper che dire. Lei fissa il pavimento)

Ragazza                        - Noi potremmo essere molto felici se tu avessi fede in me. (Arturo si volta ed esce dall'uffido)

Arturo                           - (ai quattro uomini) Non è stato per nul­la delicato da parte vostra spiarci cosi. (Entra nella sinagoga seguito dai vecchi, si siede ed è immediata­mente circondato da loro)

Foreman                        - Vi interessa questa ragazza, giovanot­to? Perché mio figlio non è ricco, assolutamente no, ma è in grado di offrirvi una magnifica festa nuziale, un rinfresco eccellente e anche un buon cantore per la cerimonia...

Zitorsky                        - E un coro.

Foreman                        - ... probabilmente, e una dote, forse, dell'ammontare di cinquecento dollari, una cifra che, credetemi, è quasi più di quanto possa permettermi. Comunque, ho sentito che siete un professionista, un avvocato e il padre della sposa deve metterli fuori i quattrini, per un partito come questo!

Alper e Zitorsky            - Certo... Assolutamente.

Foreman                        - Naturalmente la ragazza è irresponsa­bile e voi dovrete rivolgervi ai tribunali perché la sua persona vi venga affidata...

Alper                             - Una formalità, ve l'assicuro, dopo che l'a­vrete sposata.

Foreman                        - Quanto alla ragazza, ve lo posso assi­curare per conoscenza diretta, è una brava ebrea...

Zitorsky                        - Modesta...

Alper                             - Devota...

Foreman                        - ...e sa fare dei dolci eccellenti.

Arturo                           - (guardando incredulo i quattro vecchi tutti allegri) Voi siete tutti pazzi, più pazzi della ragaz­za, e se non me ne vado di qua subito, diventerò pazzo anch'io.

Zitorsky                        - È una bellezza, giovanotto. Sentite, c'è un detto: "Meglio sposare una donna con un bel se­no che una Rothschild."

Schlissel                        - Lasciatelo in pace. Noi tutti siamo sta­ti mariti infelici, per mezzo secolo. Come si può, in buona fede, raccomandare a un altro il matrimonio?

Alper                             - La ragazza è cosi palesemente innamorata di lui. Farebbero una bella coppia.

Foreman                        - (con ansia) Forse è già sposato.

Alper                             - (a Arturo) Mio caro ragazzo, che cosa me­ravigliosa essere innamorati.

Arturo                           - Io non amo niente.

Cabbalista                     - Si. La ragazza ha perfettamente ragio­ne. Lui è indemoniato. Lui non ama niente. L'amore è un atto di fede, e la vostra è una generazione senza fede. Questo è il vostro dibbuk. (La porta della sina­goga si apre e il sagrestano scivola dentro, richiuden­dola poi silenziosamente)

Arturo                           - (al cabbalista) Non vi pare che sia tempo di andare avanti col vostro esorcismo?

Cabbalista                     - Si. (Va alla porta dell'ufficio del rab­bino e guarda la ragazza supina sul divano)

Alper                             - (al sagrestano) Avete trovato qualcuno? (Il sagrestano si aggira per la sinagoga nervoso come il solito, è evidente che non ha fatto che correre da quando era uscito: è tutto sudato e respira affanno­samente)

Sagrestano                    - (sbottonandosi il cappotto e asciugan­dosi la fronte) Signori, siamo nei pasticci

Schlissel                        - Non avete trovato nessuno?

Sagrestano                    - Di fatto, per il momento siamo in no­ve, ma la questione del numero legale è ormai dive­nuta accademica. Oh, lasciatemi riprender fiato. Il l'abbino sarà qui a minuti.

Alper                             - Il rabbino?

Sagrestano                    - L'ho incontrato sul Woodhaven Bou­levard, e mi ha detto che sarebbe venuto. Harris è già per strada. L'ho visto venir giù dalla collina. Ma vi dico, si tratta di una questione accademica.

Alper                             - Avete detto al rabbino che abbiamo biso­gno di lui per esorcizzare il dibbuk della ragazza?

Sagrestano                    - Beh, che altro potevo fare? Lui mi domanda perché ho bisogno del numero legale all'u­na del pomeriggio, e io glielo dico. Lui ci pensa su per un momento, e dice: "Va bene, tra pochi minuti sarò alla sinagoga." È una persona perbene, magari somiglia un po' troppo a un agente pubblicitario, ma è pieno di buona volontà. Oh, sto ansimando come una bestia. Di sicuro domani mi verrà la febbre. Non ho fatto che correre da una parte e dall'altra in cerca di ebrei. Sono andato persino da Friedman, il sarto. Non era neppure in città. Ma lasciate che finisca. Tor­navo indietro di corsa. Ho voltato l'angolo della 33sima strada, e cosa vedo, parcheggiata davanti alla sinagoga? un'auto di pattuglia della polizia. (Gli altri sussultano)

Alper                             - (interessato) Oh?

Sagrestano                    - Ecco quel che intendo, quando dico che siamo nei pasticci.

Schlissel                        - Vi hanno detto qualcosa?

Sagrestano                    - Sicuro che mi hanno detto qualcosa. Vi dico che il cuore mi è saltato in gola quando ho vi­sto l'auto della polizia. Se ne stavano li seduti quei due poliziotti, due tipi di cosacchi, enormi, con la faccia scura come angeli vendicatori, che fumavano, colle pistole che gli gonfiavano i cappotti blu. E mentre attraversavo la strada per venire alla sinagoga, le gi­nocchia mi battevano insieme.

Alper                             - Quando è stato questo? Ora?

Sagrestano                    - In questo minuto. Proprio prima che entrassi... Salve, Harris, come state? (L'ottuagenario, avvolto nel suo pesante cappotto, colla sciarpa e, col cappello ben calcato in testa, è appena entrato)

Zitorsky                        - (al sagrestano) E allora cos'è accaduto?

Harris                            - (colla sua voce acuta, sbottonando il cappot­to) Signori. Avete sentito di questo dibbuk?

Schlissel                        - Harris, eravamo tutti qui quando lui vi ha chiamato.

Sagrestano                    - Harris, avete visto l'auto della polizia là fuori?

Schlissel                        - Allora, cosa vi ha detto il poliziotto?

Sagrestano                    - (sbottonandosi il colletto e asciugandosi il collo con un fazzoletto) Questo tipo enorme, e con l'uniforme piena di bottoni mi guarda e dice: "Conoscete un uomo che si chiama Davide Foreman? Stiamo cercando lui e sua nipote, una ragazza di diciott'anni." Beh? Eh! Siamo o non siamo nei pasticci? (Schlissel va alla porta d'ingresso la socchiude con aria da cospiratore, guarda)

Arturo                           - Non credo che la polizia vi disturberà se cominciate subito con questo esorcismo. Non inter­rompono mai una cerimonia religiosa, specialmente se sanno di che si tratta.

Cabbalista                     - (deciso) Sagrestano, distribuite le can­dele nere, una per ciascun uomo. (Il sagrestano corre all'ufficio, dove si trovano le candele, avvolte in carta marrone, sulla scrivania del rabbino)

Arturo                           - (avvicinandosi alla porta d'ingresso) Io starò vicino alla porta e parlerò con la polizia, se ver­ranno dentro.

Schlissel                        - (chiude la porta d'ingresso) Sono pro­prio qui fuori.

Cabbalista                     - (si guarda in giro nella piccola sinagoga, pieno di dignità, quasi santificato dalla sua autorità. Gli altri pendono dalle sue labbra) Bisogna che io esegua le abluzioni dei Cohanim. C'è un Levita tra voi?1

Schlissel                        - Io sono un Levita.

Cabbalista                     - Voi verserete l'acqua sulle mie mani. (il sagrestano corre per la sinagoga, distribuendo le candele)

Harris                            - (guardandosi intorno smarrito) Cosa fac­ciamo adesso? Dov'è il dibbuk?

Alper                             - Harris, mettetevi uno scialle di preghiera.

Harris                            - (si muove nervosamente verso l'ufficio) Ma allora fate sul serio? Dov'è il dibbuk? Ditemelo, perché Bleyer, il sagrestano, non mi ha detto niente... (Le sue parole finiscono in un mormorio. Entra nell'ufficio e vede la ragazza, seduta rigidamente su una sedia. Sobbalza, strappa uno scialle dalla scatola, e terrorizzato scappa dalla sinagoga)

Cabbalista                     - Non c'è niente nei Codici che dia la procedura di un esorcismo,'perciò io ho scelto per la lettura quei passi che mi sono sembrati più adatti. Allo scopo di purificare le nostre anime, reciteremo insieme l'Al-chait, e reciteremo quella preghiera di penitenza che comincia con le parole: "Figli dell'uo­mo che sedete nelle tenebre." Mentre recitate queste preghiere, che l'immagine di Dio in uno dei suoi set­tantadue volti sorga davanti a voi.

Alper                             - (si dirige all'ufficio) Prendo i libri.

Sagrestano                    - (dà a Schlissel una coppa di metallo e una brocca) Riempitela d'acqua.

Schlissel                        - Io sono ateo. Com'è che mi trovo im­mischiato in questa faccenda?

Alper                             - Non abbiamo il numero legale. Sarà va­lido?

Cabbalista                     - Lasceremo a Dio la decisione.

Sagrestano                    - Quando dovrò suonare il corno di ariete?

Cabbalista                     - Ve lo dirò io.

Harris                            - (indossando lo scialle) Che devo fare? dove devo stare?

Zitorsky                        - (a Harris) State qui, e non abbiate pau­ra. (Foreman esce dall'ufficio portando un lungo scial­le bianco, che dà ad Arturo)

Foreman                        - (ad Arturo) Vi mostrerò io come si fa a indossarlo. (Aiuta Arturo ad ammantarsi nello scial­le. Schlissel esce dal bagno reggendo con cura la sua bacinella d'ottone e la brocca piena d'acqua. Va dal cabbalista, che sporge le sue mani bianche sopra il bacile. Schlissel vi versa sopra l'acqua. Il cabbalista parla con grande chiarezza)

Cabbalista                     - "Benedetto tu, o Signore Dio nostro, Re del mondo, che ci hai santificati con i tuoi precetti, e ci hai comandato di lavarci le mani."

Tutti                              - Amen. (Gli altri stanno a guardare finché tutta l'acqua non è stata versata. Un silenzio improv­viso. Ora sono tutti in piedi, otto uomini ammantati di bianco coi libri in mano. Il cabbalista si asciuga le mani in un panno che gli viene porto da Schlissel. Depone il panno, si riabbassa le maniche della cami­cia, prende lo scialle e con un movimento rapido se lo passa sulla testa, alza il viso e grida)

Cabbalista                     - "Tu conosci i segreti dell'eternità e i misteri più riposti di tutto ciò che vive. Tu frughi nei recessi interiori, e scruti le reni e i cuori. Nulla è nascosto a te, o celato ai tuoi occhi. Sia perciò tua volontà, o Signore Dio nostro e Dio dei nostri padri, di perdonare tutti i nostri peccati, di perdonare tutte le nostre iniquità, e di accordarci indulgenza per tutte le nostre trasgressioni". (Tutti assieme gli altri si co­prono la testa con gli scialli e cominciano l'antica confessione dei peccati. Sono di fronte all'Arca, in piedi, inchinandosi sulle ginocchia, e si battono il petto colla mano destra serrata a pugno. Ognuno pre­ga per conto suo, alzando la voce in una specie di la­mento, solo Arturo resta silenzioso)

Tutti                              - "Per il peccato che abbiamo commesso da­vanti a te sotto costrizione, o di nostra volontà, E per il peccato che abbiamo commesso davanti a te per durezza di cuore! Per il peccato che abbiamo commesso davanti a te senza saperlo"

Zitorsky                        - "E per il peccato che abbiamo commes­so davanti a te colle nostre labbra"

Foreman                        - "Per il peccato che abbiamo commesso davanti a te con la lussuria"

Schlissel                        - "Per il peccato che abbiamo commesso so davanti a te con la derisione"

Harris                            - "Per il peccato che abbiamo commesso davanti a te con la calunnia, E per il peccato che ab­biamo commesso davanti a te con la protervia dell'orgoglio” (Questa desolata confessione è un rito pie­no di gravità. Lo spettacolo degli otto uomini amman­tati di bianco, che gridano la lunga serie dei loro peccati e invocano misericordia, ha una suggestione arcaica e impressionante che fa pensare agli antichi Ebrei. Stanno con gli occhi chiusi nel fervore della loro comunione con Dio, i visi tormentati dal dolore e dal pentimento. L'ultimo di loro, Harris, finalmente grida da solo nel silenzio le ultime parole della sup­plica)... "E anche per i peccati per cui noi siamo pas­sibili di una delle quattro pene di morte inflitte dal tribunale: lapidazione, rogo, decapitazione e strango­lamento. Poiché tu sei Colui che perdona Israele e colui che assolve le tribù di Jeshurun1 in ogni gene­razione e oltre a te non abbiamo altro re, che assolve e perdona” (Di nuovo il silenzio cade sulla scena)

Cabbalista                     - "I figli dell'uomo, che sedevano nella tenebra e nell'ombra di morte, avvinti in afflizione e ferro, Egli li ha condotti fuori dalle tenebre, e dall'ombra di morte".

Altri                              - "I figli dell'uomo, che sedevano nella te­nebra e nell'ombra di morte, avvinti in afflizione e ferro, Egli li ha condotti fuori dalle tenebre e dall'ombra di morte."

Cabbalista                     - "Folli perché hanno trasgredito la Leg­ge, e afflitti a causa delle loro iniquità".

Altri                              - "Folli perché hanno trasgredito la Legge, e afflitti a causa delle loro iniquità".

Cabbalista                     - "Essi gridano verso il Signore nella loro angoscia, ed egli li salva dalla loro miseria” (La ripetizione di questi versetti turba Arturo. Le sue labbra cominciano a muoversi involontariamente, e presto egli mormora le preghiere in coro con gli altri)

Arturo e gli Altri           - "Essi gridano verso il Signore nella loro angoscia, ed egli li salva dalla loro miseria"

Cabbalista                     - "Allora egli diviene misericordioso e dice"

Arturo e gli Altri           - "Allora Egli diviene misericor­dioso e dice..."

- Cabbalista                   - "Sia liberato dall'abisso, io ho trovato un riscatto"

Arturo e gli Altri           - "Sia liberato dall'abisso: io ho trovato un riscatto"

Cabbalista                     - Amen.

Arturo e gli Altri           - Amen.

Cabbalista                     - Conducete qui la ragazza, Foreman. (Foreman annuisce ed entra nell'ufficio del rabbino)

Alper                             - (a Schlissel) Questo non mi va. Anche se viene il rabbino, saremo soltanto in nove. Io sono tradizionalista. Senza il numero legale di dieci, non può funzionare.

Schlissel                        - (in un mormorio) E che volete che ci faccia io? (Nell'ufficio, Foreman tocca sulla spalla la ragazza ed essa si sveglia dal suo stato di apatia e lo guarda)

Foreman                        - Vieni. E l'ora. (Lei annuisce nervosa­mente e si rizza a sedere; ha l'aria vacua, distratta dei folli)

Ragazza                        - (senza espressione) Dove mi state por­tando? Mia madre è a Roma. Hanno messo al rogo i suoi sette figli, e tengono lei come ostaggio, (Si alza obbediente, e entra nella sinagoga al braccio del non­no, continuando nel suo delirio) Dove sei stato ieri? Ho chiesto a tutti di te. Avresti dovuto esser qui. Ci siamo divertiti tanto. C'è stata una festa, e c'erano migliaia di persone, Calebiti e Beduini, e danzavano come zingari. (Improvvisamente cade in un silenzio imbronciato, e guarda a terra. Le sue spalle sussul­tano. Gli altri la guardano a disagio)

Sagrestano                    - Tiro fuori il corno?

Cabbalista                     - Si. (Il sagrestano estrae una tromba a forma di buccina di montone di sotto al leggio. La porta d'ingresso della sinagoga si spalanca, e appare un enorme giovane poliziotto, terribilmente imponen­te nel suo cappotto blu, e fa un passo nell'interno. Ri­mane sulla porta aperta, con una mano sul chiavi­stello, in un atteggiamento duro, come se gli fosse impossibile essere cortese nell'esercizio della sua au­torità)

Poliziotto                      - Il rabbino Marks è qui? (Alper sol­leva le braccia in segno di disperazione. Gli altri guar­dano per terra o fissano il poliziotto come istupiditi. Arturo, ancora turbato, si stropiccia la fronte. Il cabbalista comincia a pregare in silenzio, solo le sue lab­bra si muovono rapidamente)

Sagrestano                    - No, non c'è.

Poliziotto                      - Sto cercando una ragazza che si chia­ma Evelina Foreman. È quella? (Indica la ragazza)

Alper                             - (si allontana dal gruppo, mormorando) Sergente, è proprio necessario che siate cosi brusco e che ve ne stiate li con la porta spalancata facendoci gelare le ossa?

Poliziotto                      - (chiude la porta dietro di sé) Scusate.

Schlissel                        - (a Zitorsky) Un vero cosacco, eh? Che bruto. Ci porterà tutti al commissariato e ci batterà con i manganelli.

Poliziotto                      - (un po' più cortesemente) Una ragaz­za che si chiama Evelina Foreman. Suo padre ci ha ordinato di cercarla. Manca da casa. Lui ci ha detto che forse era qui col nonno. C'è il signor Davide Fo­reman tra voi? (Nessuno risponde)

Alper                             - State interrompendo una funzione, ser­gente.

Poliziotto                      - Mi dispiace. Ditemi soltanto questo: È lei la ragazza? Io telefono e gli dico che l'abbiamo trovata. (Schlissel improvvisamente va verso il poli­ziotto)

Schlissel                        - Prima di tutto, come osate entrare qui dentro come se faceste irruzione in una bisca clande­stina? Questa è una sinagoga, bestione. Abbiate un po' di rispetto.

Poliziotto                      - Va bene, va bene. Mi dispiace. Si dà il caso che sia ebreo anche io. (Alper lo guarda)

Alper                             - Siete ebreo? (Si volta lentamente verso il sagrestano) Sagrestano, il nostro decimo uomo.

Sagrestano                    - Alper, siete pazzo?

Alper                             - Un bellissimo ragazzone ebreo. (Al poli­ziotto) Sentite, noi abbiamo bisogno di un decimo ebreo. Ci aiuterete non è vero?

Schlissel                        - (nervosamente, passandogli vicino) Al­per, che cosa fate, per amor di Dio?

Alper                             - Ci occorrono dieci uomini.

Schlissel                        - Ma che razza di chiacchiere son que­ste? siete un fanatico impossibile, sapete.

Alper                             - (prende da parte Schlissel) Ma perché vi eccitate cosi? Non è necessario che lui sappia di che si tratta. Gli diremo che è un matrimonio. Anzi mi sembra molto buffo.

Schlissel                        - Beh, vedremo quanto sarà buffo quan­do ci porteranno nelle cantine al commissariato e co­minceranno a batterci coi loro manganelli.

Alper                             - Coi manganelli. Davvero, Schlissel, siete un romantico. (Va verso il poliziotto) Vi dico, sergente, ci dareste veramente una mano se poteste restare qui dieci o quindici minuti. Questa ragazza, se proprio volete saperlo, sta per sposarsi, e ciò che avrà luogo qui è il rito della Accusazione.

Zitorsky                        - Accusazione?

Alper                             - Una specie di cerimonia di purificazione. È un rito che ormai non viene quasi più celebrato e ho idea che lo troverete interessante.

Harris                            - (a Schlissel) Di che sta parlando?

Schlissel                        - Chi lo sa? (Il poliziotto apre la porta e parla al suo collega rimasto all'esterno)

Poliziotto                      - Ritornerò tra un dieci minuti, Tommy, va bene? (Apre un po' di più la porta per il rab­bino, che entra correndo, sempre con la sua cartella) Salve, rabbino, come state? (// rabbino aggrotta le ci­glia, confuso dalla presenza del poliziotto)

Rabbino                        - Salve, sergente, che cosa fate qui? (En­tra nell'ufficio, osservando attentamente mentre passa i sette vecchi e Arturo cogli scialli, e la ragazza im­mobile come una statua nel centro della sinagoga. Alper e Zitorsky gli dicono buon giorno, ed egli ri­sponde con un cenno del capo)

Poliziotto                      - Mi hanno chiesto di rimanere per fare il decimo per la Accusazione.

Rabbino                        - (sbalordito, entrando nell'ufficio) Accu­sazione? (Apre la scrivania, estrae il suo grande scial­le bianco, e intanto si sbottona il cappotto. Osserva Alper che lo ha seguito ed è fermo sulla soglia) Che ci fa qui quel poliziotto?

Alper                             - Avevamo bisogno di un decimo uomo. (Nel­la sinagoga, il poliziotto rivolge amichevolmente la parola a Zitorsky)

Poliziotto                      - È quella la ragazza, vero? (Zitorsky annuisce, muto) Dite un po': che succede realmente qui dentro? (Nell'ufficio il rabbino si passa lo scialle sulle spalle)

Alper                             - Abbiamo recitato l'Alchait e una preghiera di pentimento, e stavamo proprio aspettando voi. (Il rabbino è preoccupato, e si mette in testa lo zucchet­to quasi con lo stesso gesto con cui si toglie il cappello. Nella sinagoga, Zitorsky sussurra a Schlissel)

Zitorsky                        - (indicando il poliziotto con un cenno del capo, piano) Lui sa. Lui sa.

Schlissel                        - Naturalmente. Forse Alper sperava di cavarsela con quella storia del matrimonio? (Nell'uf­ficio, il rabbino finisce una sua rapida, muta preghie­ra a occhi chiusi. Guarda Alper)

Rabbino                        - Io preferirei non prendere parte attiva a questo esorcismo. Non sono del tutto sicuro di quale sia la posizione di un rabbino in una faccenda del genere. E tuttavia sarei veramente felice di poter cre­dere ancora una volta in un Dio di dibbuk (Passa da­vanti ad Alper ed entra nella sinagoga. Alper lo se­gue) Bene, siamo in dieci. (Una pausa)

Foreman                        - Che Dio guardi su di noi con occhio pietoso e compassionevole e ci perdoni se noi pec­chiamo nonostante le nostre intenzioni.

Gli Altri                        - Amen.

Cabbalista                     - Sagrestano, accendete le candele. (Il sagrestano accende le candele. Il cabbalista si avanza lentamente verso la ragazza, scossa da radi sussulti in uno stato visibilmente schizofrenico. Il cabbalista traccia una linea di fronte alla ragazza con la punta del piede. Parla a voce bassa) Dibbuk, io traccio que­sta linea al di là della quale tu non verrai. Tu non puoi far male a nessuno in questa stanza. (I vecchi attorno si agitano nervosamente. Il cabbalista si vol­ge al sagrestano) Aprite l'Arca. (Il sagrestano va rapi­damente al podio e apre le porte scorrevoli dell'Arca, scoprendo i vari rotoli della Legge che stanno ritti, nei loro involucri di velluto. Il cabbalista ritorna in­dietro lentamente dov'era prima, e parla a bassa vo­ce) Dibbuk, tu sei in presenza di Dio e dei suoi sacri libri. (La ragazza ansima) Io ti scongiuro per l'ultima volta di lasciare il corpo di questa ragazza. (Nessuna risposta) Allora io invocherò la maledizione della sco­munica sulla tua anima trista. Sagrestano, suona Tekià. (Il sagrestano porta il corno alle labbra e un suono acuto e misterioso si leva nell'aria) Sagresta­no, suona Shevarim. (Il sagrestano suona di nuovo) Sagrestano, suona Teruà. (Terza variazione del tema) Sagrestano, suona la grande Tekià, e al suono di que­ste note o dibbuk, tu sarai cacciato dal corpo della ragazza e sarà gettato su di te l'anatema finale di sco­munica da tutto il mondo dei viventi g da tutto il mondo dei morti. Sagrestano, suona la grande Tekià. (Per la quarta volta il sagrestano porta alle labbra il corno d'ariete q suona una rapida successione di note. Un silenzio pesante. Non avviene nulla. La ragazza ri­mane dove era, in piedi, quasi insensibile, fa dei pic­coli movimenti con le mani. La testa di Foreman gli ricade sul petto mentre gli appare sul viso una intensa espressione di dolore. Il cabbalista fìssa intensamen­te. Improvvisamente, Arturo comincia a lamentarsi piano, e poi sempre più forte, finché un urlo terribile gli esce dalla gola. Egli barcolla, fa un passo avanti. Al culmine del suo grido cade pesantemente sul pa­vimento della sinagoga svenuto. Gli altri restano pie­trificati mentre si spegne l'eco dell'urlo, guardando il corpo inerte sul pavimento)

Alper                             - Mio Dio, dobbiamo aver esorcizzato il dib­buk sbagliato. (Il poliziotto si muove verso il corpo inerte di Arturo)

Poliziotto                      - Bene, non vi affollate attorno, lascia­telo respirare.

Cabbalista                     - Tra un momento starà meglio.

Zitorsky                        - Se non l'avessi visto coi miei occhi, non ci crederei.

Rabbino                        - Signor Hirschman, starà bene veramente?

Cabbalista                     - Si.

Schlissel                        - (con semplice devozione) Sia Lode al Signore, poiché la Sua misericordia è in ogni luogo. (Harris si abbandona su una sedia, esausto e terroriz­zato dalla tremenda esperienza. Il rabbino si allonta­na un poco e guarda Arturo mentre Schlissel, Zitorsky e Alper lo aiutano a sedersi su una sedia)

Alper                             - Figliolo caro, come state?

Arturo                           - (ancora in stato di choc) Non so.

Sagrestano                    - (si fa avanti con del vino) Volete un sorso di vino?

Arturo                           - (prendendo il calice) Si, grazie tante. (Si volta a guardare la ragazza) Come sta lei? (Lo stato di schizofrenia della ragazza è ovvio. Arturo volge via il viso, col viso contratto e gli occhi serrati in una maschera di sofferenza)

Schlissel                        - £ stato molto doloroso, amico?

Arturo                           - Non so. Mi sento al di là del dolore. (Le sue mani tremano come se avesse freddo, il suo viso è rigido come quello di una maschera. Le parole esco­no con difficoltà dalla sua bocca) Mi sento come se fossi stato ricondotto al momento della nascita, come se l'universo fosse divenuto una fame. (Sembra sull'orlo del collasso)

Alper                             - Una fame di che?

Arturo                           - (in un sussurro) Non so.

Cabbalista                     - Di vita. (A queste parole, Arturo si lascia andare sulla sedia, esausto)

Arturo                           - Si: di vita. Io voglio vivere. (Apre gli oc­chi e comincia a pregare piano) Dio dei miei padri, tu hai esorcizzato, tratto fuori da me tutte le verità che io sapevo. Tu ne hai tolto la ragione e la definizione. Dammi dunque un desiderio di risvegliarmi al mat­tino, una passione per le cose della vita, un piacere per il lavoro, uno scopo per la sofferenza... (Si alza lentamente in piedi, come senza rendersene con­to, e guarda la ragazza) Dammi tutte queste cose in una volta, rendimi capace di amare. (Nel silenzio del­la scena egli si dirige lentamente verso la ragazza e rimane in piedi davanti alla sua figura raggomitola­ta) Dibbuk, ascoltami. Io vorrò bene a questa ragaz­za e le darò una casa. Io provvedere ai suoi bisogni e la terrò tra le braccia quando griderà con la tua voce. La sua anima ora è mia, la sua anima, la sua grazia, la sua bellezza anche tu, che sei la sua follia, mi appartieni. Se Dio non ti vuole esorcizzare, dibbuk, lo farò io. (Alla ragazza) Evelina, ti prendo il cappotto, Abbiamo molte cose da fare questo po­meriggio. (Si volge agli altri) Non è una cosa sempli­ce ottenere che qualcuno sia rilasciato da una casa di cura a New York. (Va con sicurezza verso l'ufficio, e alla porta si ferma) Sergente, perché non telefonate che avete trovato la ragazza e che stanno riconducen­dola da suo padre? (A Foreman) Fareste bene a veni­re con noi. Per favore, qualcuno vuol darmi il mio soprabito? Avremo bisogno dell'approvazione del pa­dre. Dovremo passare dal mio ufficio e bisogna che la mia segretaria mi faccia preparare delle carte. (Fo­reman in fretta ha preso il cappotto della ragazza, quello di Arturo e il suo. Quasi in preda a un incan­tesimo i tre si dirigono verso la porta)

Poliziotto                      - Rabbino, siamo a posto?

Rabbino                        - Si, tutto è a posto.

Arturo                           - (fermandosi alla porta, trasognato) Oh, grazie a voi tutti. Addio.

Tutti                              - Addio.

Zitorsky                        - State bene.

Alper                             - Tornate a fare il decimo per noi, qualche volta. (Arturo sorride e fa uscire davanti a se Fore­man e la ragazza. La porta si chiude dietro di lui)

Schlissel                        - (sedendo con un profondo sospiro) Beh, che si può dire? Un'ora fa, non credeva in Dio. Adesso si dedica a esorcizzare i dibbuk.

Alper                             - (rialzando una sedia) Neanche adesso lui crede in Dio. Semplicemente ha bisogno di amare. (Zitorsky li raggiunge) Ma se ci pensate su un mo­mento signori miei che differenza c'è tra le due cose? Facciamo una supposizione... (Mentre cala il sipario, la vita riprende lentamente nella sinagoga. I tre vec­chi sono impegnati in una disputa, il cabbalista torna ai suoi studi solitari, il sagrestano scopre qualcosa da fare, il rabbino va nell'ufficio, e il poliziotto comincia ad abbottonarsi il soprabito)

 

 

FINE