Il destino

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IL DESTINO

Commedia in un atto

di SABATINO LOPEZ

                                   

PERSONAGGI

BERTACCHI, capocomico

ALDA, generica

FLAVIA, generica

FLORIDO

GIULIANI, primo attor giovane

MONTEDORO, autore

GIUSEPPINA, prima attrice giovane

VIT­TORIA, prima donna

MELLINI, brillante

Commedia formattata da

 (La scena: il palcoscenico del teatro di Imola, preparato per la prova di una compagnia di prosa. Varie sedie sono disposte a destra, e sinistra, in fila, come a segnare un limite; nel mezzo della scena un tavolo con due sedie, ed ac­canto alla buca del suggeritore la tradizionale poltroncina per il capocomico e il piccolo tavolo con la bottiglia e il bicchiere. Le uscite sono tutte libere perché si perdono tra le quinte dall'una e dall'altra parte della scena).

Florido                             - (in fondo, distaccandosi dalla Flavia colla quale discorreva) Ho capito. (S'avvia per uscire dalla seconda quinta di sinistra).

Flavia                               - (gli grida dietro) Se poi trovi le triglie, com­pra invece le triglie.

Florido                             - (voltandosi) Ho capito.

Flavia                               -  Grosse... (Si fa avanti, poi grida ancora) E non le pagar troppo, secondo il solito. L'altro giorno erano piccole e care.

Florido                             - (seccato) Ho capito, (Via).

Flavia                               -  Ha capito, ha capito e poi probabilmente non ha capito nulla. (Ad Alda che è seduta inoperosa su una sedia, a sinistra) Bongiorno, piccina. Come la va? (Le alza la faccia) Facciamo vedere il musetto. Dor­mito bene?

Alda                                - (fa una smorfia) Così.

Flavia                               -  Perché non s'è dormito bene? Non si ha forse la coscienza tranquilla?

Alda                                -  La coscienza era tranquilla, ma le zanzare eran furibonde. E poi son andata a letto molto tardi. Ho scritto un letterone. C'è voluta la doppia fran­catura...

Flavia                               - (sull'aria della « Carmen ») Bel capitan, bel capitan - L'amore è un brutto gioco...

Alda                                - (sorridendo) No; niente. Lei è fuori di strada. Già, niente capitano. Se mai, tenente. Ex, molto ex... e poi... e poi le confesso che spero di poterlo dimenti­care. Ne vuole una prova? Ieri ho contato mental­mente: sette volte, durante il giorno; ho pensato alla mamma e sette volte... a... sì, a Casirò. Sono già alla pari... prima, quindici giorni fa, un mese fa, povera mamma era indietro, molto indietro... Ne vuole un'al­tra prova? Lui mi ha scritto. Sì, mi ha scritto che non avendo più scopo di restare a Bologna ora che non ci son più io, è andato nella sua villetta di Faenza, solo, e che non è venuto a Imola perché non sa come l'accoglierei... io... non gli ho risposto, né gli rispondo. La lettera che ho scritto stanotte, non era per lui: era diretta alla mamma. E' quello il letterone.

Flavia                               -  Brava! Ci hai fatto scorrer sopra qualche lacrimuccia? No? Meglio così. Ma oggi si prova o non si prova? S'era detto per le undici.

Alda                                - Si prova, pare. Intanto di là c'è un gran di­scorrere nel camerino del signor Bertacchi.

Flavia                               -  Che cos'hai lì in grembo? Il « Piccolo Faust »? C'è corrispondenza da Imola?

Alda                                - (sorride) Sì.

Flavia                               -  C'è qualche cosa anche per te? Vedere. (Apre il giornale, cerca l'articolo) Imola, Imola, Imola... Ah! ecco. (Mugola tra sé due o tre frasi, poi ad alta voce) « Superiore ad ogni elogio quella eccellente attrice »... (fa un inchino) grazie, tutta bontà sua... « che risponde al nome di Flavia Prioris ». Risponde... risponde alle persone gentili... ai seccatori non risponde. (Continua a leggere) « Peccato che non si faccia recitare un po' più spesso quell'angioletto... » oh oh! che fuoco « ...quell'angioletto che risponde al nome di Alda Savelli. Ella ha tanta grazia e tanto talento che dovrà far molta strada ».

Alda                                - (ridendo d'un sorriso amaro) Moltissima, se ce ne andremo in America!

Flavia                               -  Come? Tu davvero pensi di non fare strada? E allora perché resti sul palcoscenico? Piuttosto ti dico questo (le rende il giornale) che gli altri, soprattutto la D'Ippolito e la Giuseppina saran furiose. Figurati! Nemmeno nominate! E sai, letican sempre tra di loro, ma per dare addosso a una terza van d'accordo.

Alda                                - E' passata prima, la D'Ippolito, con un muso, un muso... Non ha risposto nemmeno al mio saluto... Io non la guardo più in faccia... Del resto poi, non so com'abbia fatto il corrispondente ad accorgersi che ho ingegno. Se ho detto due parole in quindici giorni.

Flavia                               -  Due parole? Non esageriamo.

Alda                                - Ho sbagliato. Tre: sono andata in scena la prima sera con una signora che non parla al terz'atto del « Padrone delle ferriere » ; la seconda sera niente, la terza un'altra « signora che non parla » al quarto atto della « Signora dalle Camelie » ; la quarta, la quinta, la sesta niente; la settima la cameriera della « Fedora »...

Flavia                               -  (un po' seria, un po' scherzando) Per imparare a recitare bisogna cominciare così: a star zitte. Son le parti che riescon meglio e poi, vedi: la prima sera non parli, ma il pubblico trova che sei carina molto: dunque, primo successo: successo della mamma e un po' anche di tuo padre, perché una parte di me­rito l'ha avuta anche lui. La seconda sera invece non dici nulla, ma hai un abitino che ti sta d'incanto. Secondo successo: successo della sarta. La terza sera poi taci, ma tutti guardano te: terzo successo, suc­cesso tuo.

Alda                                - Già; ma non eran questi i patti stabiliti...

Flavia                               -  Stabiliti con chi?

Alda                                - Col signor Bertacchi.

Flavia                               -: Già, i patti bisognava farli con la signora Bertacchi... Con la D'Ippolito insomma... E poi... come dice la tua scrittura? Generiche e parti d'importanza con obbligo di comparse. Ecco! Per ora fai l'obbligo di comparse: le parti d'importanza verranno dopo. Come alla trattoria: sulla nota leggi « polpettone con patatine » invece che ti portano? « Poche polpette con molte patatone ». Ad ogni modo, quando viene il Capocomico, chiamalo in disparte e fagli le tue la­gnanza. (Montedoro entra, incerto, e timido) Chi è quello lì? Vedi che aria da stupido. Quello senza dubbio è un autore drammatico... (Correggendosi) No, perché non ha nessun copione in tasca... Eh! sì, ma può essere che venga a riprenderne uno. (A Montedoro che stava col cappello in mano gi­rando attorno pel palcoscenico, curioso come se si trovasse in paese sconosciuto) Si copra, sa... Desidera?

Montedoro                      -  Grazie, il signor Bertacchi.

Flavia                               -  Non c'è il signor Bertacchi.

Montedoro                      -  (sorridendo) Lo so. E' di là. Mi ha fatto dire che vien subito.

Bertacchi                         - (entrando) Oh! caro... (Cerca il nome, non lo trova) Sta bene? Sta bene? Bravo. Prego, tenga il cappello in testa. Fa freddo qui sopra. (Saluta le due donne con la mano) Buongiorno. Addio bellezze-Dunque lei, lei voleva una risposta per quella sua commedia, eh?

Montedoro                      -  (timido) Veramente, dramma, signor Ber­tacchi, dramma,

Bertacchi                         -  Ecco... dramma... del resto la vita non è tutta una commedia?

Montedoro                      -  Sono stato due o tre volte a cercarla...

Bertacchi                         -  Lo so e me ne dispiace. Se avessi imma­ginato che lei... Dunque ho letto... Sicuro ho letto. (Una breve pausa. Flavia e Alda discorrono tra di loro. Montedoro e Bertacchi sono sul davanti a destra).

Montedoro                      -  (arrischiandosi a domandare) E, come le sembra?

Bertacchi                         -  Ah! non è un cattivo lavoro... non è un cattivo lavoro... no davvero, ma...

Montedoro                      -  E' un po' troppo ardito?

Bertacchi                         -  Ecco: è un po' troppo ardito.

Montedoro                      -  (quasi ci ha gusto) Anche a qualche amico aveva fatto la stessa impressione.

Bertacchi                         -  Sì, eh? vede, come si va d'accordo, signor...

Montedoro                      -  Montedoro.

 

Bertacchi                         -  Montedoro... I nomi, sa, per me, sono un affare serio... mi sfuggon subito di mente. Dunque si diceva?...

Montedoro                      -  Forse quel finale del prim'atto è un po' audace.

Bertacchi                         -  Proprio, proprio quello. Il finale del prim'atto.

Montedoro                      -  Con qualche ritocco, però...

Bertacchi                         -  Ah! con qualche ritocco.

Montedoro                      -  Il secondo atto, no, vero?... Mi pare che possa andare così...

Bertacchi                         -  Ah! quello va bene com'è.

Montedoro                      -  (convinto) E l'ultima scena del dramma le piace?

Bertacchi                         -  A me piace... Sta a vedere come la pren­derà il pubblico. Sa, del pubblico non si può mai esser sicuri.

Montedoro                      -  (tentenna la testa un po' incerto) Forse il suicidio...

Bertacchi                         -  Eh! già! Chissà se lo trovan necessario... Quel suicidio è triste... Eh! sì! Un suicidio è sempre triste...

Montedoro                      -  Ma io ho dimostrato nell'ultima scena che un matrimonio fra Elisa e Carlo è impossibile, dunque... Non le par dimostrato?

Bertacchi                         -  Ah!... Per dimostrato è dimostrato. E allora, visto che il matrimonio è impossibile, o saltar questa finestra o mangiar questa minestra... E il pub­blico la mangerà... stia tranquillo; la mangerà... Ma non qui.

Montedoro                      -  Come? Nemmeno a Imola? Lei mi aveva fatto sperare...

Bertacchi                         -  Di rappresentarla qui... E' vero. Ma lei vede i teatri scarsi che facciamo quasi ogni sera. Non vai la pena di dar commedie nuove all'  Arena ». E parlo per il suo vantaggio. Già, il tempo stringe... (Sor­ridendo) Lei ha da fare qualche ritocco al primo atto: il resto va bene com'è. Ora lei passa dal segretario, si fa rendere il copione, ci fa quei ritocchi poi lo riman­derà a Milano che lo metto subito in prova.

Montedoro                      -  Grazie sa.

Bertacchi                         -  Di nulla. 

Montedoro                      -  Tante, tante grazie.

Bertacchi                         -  A rivederla signor Pontedoro.

Montedoro                      -  (sorridendo corregge) Monte, Monte...

Bertacchi                         -  (correggendosi) Montedoro. (Montedoro esce).

Alda                                - (alzandosi) Senta, signor Bertacchi. Può darmi ascolto un momento?

Bertacchi                         -  Cosa mai, piccina? Discorso lungo? Se è un discorso lungo si rimanda a più tardi. E anche se è corto, perché anch'io ho da dirti qualcosa. Di là invece ci son quegli altri che mi aspettano.

Flavia                               -  Ma si prova o non si prova?

Bertacchi                         -  Si prova... ma un po' di pazienza.

Flavia                               -  Se non c'è nessuno!

Bertacchi                         -  Gli altri sono già nell'atrio che aspettano. Hanno l'« Arte Drammatica», e il «Piccolo Faust» da leggere. Figurati! (Via).

 

Alda                                - (dopo aver esitato un momento) Senta, signora Flavia. Un'altra cosa volevo dire al signor Bertacchi oltreché lamentarmi perché recito poco... Ma è meglio che invece la dica a lei... Anzi, legga, legga... e guardi che infamia. (Agitata, quasi convulsa per il ricordo trae di tasca un biglietto) Ed è firmata, anche!

Flavia                               -  (prende il biglietto) Cosa c'è? Vediamo.

Alda                                - Non l'ho stracciato, perché volevo mostrarlo al signor Bertacchi... Ma dal momento che anche lei lo conosce questo signore, gli dica che non mi capiti vicino, che non mi parli, che non m'interroghi, perché non garantisco di me, non garantisco di lui...

Flavia                               -  (che finora leggeva) Ah! che canaglia!

Alda                                - Capisce? E offre denaro... Come io fossi... (Si copre il viso colle mani poi stringe i pugni) Ah!

Flavia                               -  (ripiega il biglietto e lo mette in seno) Vec-chiaccio antipatico!... E tu non gli avevi dato nessun appiglio.

Alda                                - Nessuno! Se ci ho parlato una volta o due in tutto! Faceva il galante, ma io non credevo!

Flavia                               -  Tu non te ne occupare; lascia fare a me. Penso io... Ci son io per difenderti da lui e dagli altri... Io son buona finché non toccano i miei, ma poi... (Sor­ridendo) E tu sei figlia mia. (Stringendo le labbra) Vero, piccina? Ossia un po' mia, un po' della tua mamma, E se ne dicon due io so risponderne quattro. E così Florido. Se gliene danno due, ne risponde quat­tro. Per recitare te lo raccomando: un bel cane! Ma il pugno è ancora forte. E quell'altro, il brillante, Mellini, come si comporta?

Alda                                - Male.

Flavia                               -  Ti tormenta ancora?

Alda                                - Mi secca. E mi nausea. Ah! che brutto mondo, che brutto mondo. Pare che non ci sia altro che questo da fare... chiedere da parte degli uomini; negarsi da parte delle donne...

Flavia                               -  (sorridendo) No, c'è un'altra cosa: chiedere da parte degli uomini e acconsentire da parte delle donne. Se così non fosse, gli uomini non chiedereb­bero più.

Alda                                - Io, mai!

Flavia                               -  Ora lo dici.

Alda                                - Mai! Creda, l'immaginare soltanto questo im­peto, questa brutalità mi dà un disgusto, un disgusto... Mellini mi è antipatico per questo, perché sta sempre lì, come aspettando quel che non accadrà mai. Parla, ride, a volte fa il tenero, il sentimentale, a volte l'u­mile, a volte lo spiritoso, ma sempre in fondo agli occhi gli leggo tante cose e tante brutte cose.

Flavia                               -  Beh, penserò io anche a Mellini... Ma quanto al resto, bambina mia, non c'è rimedio. Non si può cambiare il mondo. Gli uomini son come tanti rospi che a bocca aperta aspettano l'usignolo che canta, canta e poi gli cade in bocca. E gli usignoli siamo noi donne, che qualche volta si canta, qualche volta si piange, qualche altra si ride, ma poi, specialmente sul palcoscenico, bisogna fare proprio come gli usignoli, cadere in bocca ai rospi.

Alda                                - Io, mai...

Flavia                               -  (seria molto) E allora vattene.

Alda                                - Come faccio ad andarmene, a tornare a casa dopo quindici giorni che son venuta via? Lo sa? Le amiche ridevano, mi burlavano per questa mia pre­tesa vocazione del teatro: mi chiamavano « La Duse ». Chissà con che gusto riderebbero adesso! E di loro me ne importerebbe fino a un certo segno. Ma la mamma, la mamma, che non voleva ci venissi qua sopra e mi vede tornare... Ha pianto tanto, mi ha pregato tanto perché rimanessi con lei... Ora che i quattro o cinque­mila franchi che eran destinati alla mia dote, e tutti i risparmi, sono stati spesi negli abiti, nel corredo per me, perché facessi bella figura, come faccio a tornare? Non sa che mi restano due trecento franchi forse! Come faccio?

Flavia                               -  E allora rimani. Rimani... e se mai sarà, rassegnati. Non ti parla più una mamma adesso... ti parla un'amica, una compagna, una donna... una donna, ecco un donna che è passata per la stessa tua strada. Rimanere oneste - oneste come intendi tu - e andare avanti quando si è sole, belle come sei tu, e povere... è un sogno. Un sogno che ti farà spargere tante la­crime quante ne ha fatto spargere a me... Vuoi sa­pere? Anch'io son salita su queste tavole avendo le stesse tue idee e le ho dovute rimangiare con le la­crime, perché quelle idee erano la mia rovina. E la fisima che mi fa rimanere fedele a Florido, è ancora la mia rovina.  Perché io sono un'artista, e lui, Florido, è un cane, ma siamo legati alla stessa catena, e in una compagnia di prim'ordine se scritturan me in un ruolo primario lui lo piglian per far le parti di ser­vitore. E io non voglio, per la sua dignità. Capito? Hai capito bambina? Senti me: se... se... se vuoi tornare dalla mamma come la mamma ti ha fatto, fila, vattene. Ma se hai forza, e talento per importi, per ridere in faccia a tutti, resta.  Perché il talento dà più consola­zione e vai più del capriccio, della passione, più di tutto. Macché alcova! L'alcova vera è questa qui: il palcoscenico, e il più bell'amante è il pubblico. Ma dell'amore si può farne a meno soltanto dopo. Prima è un'acqua fangosa che bisogna bere, anche se rivolta lo stomaco.

Florido                             - (entrando) Niente triglie, sai. Ho comprato invece le alici.

Flavia                               -  Bravo! Sai che non mi piacciono.

Florido                             -  Come, non ti piacciono? Se una volta ne andavi matta. Le triglie costavano tre lire al chilo. Se le compravo, tu gridavi per tre ore.

Flavia                               -  (a Alda) Vedi? Vedi la prosa? (A Florido) E, almeno, come sono le alici? Sono belle?

Florido                             -  Sono come devono essere. Le ho portate a casa. Volevi che le mettessi in tasca e portassi alla prova anche loro? (Giuliani entra. Figura di primo attor giovane: con molte pretese di eleganza. Si tocca appena il cappello e siede. Non parla mai con nes­suno, limitandosi a toccare il cappello quando entran le attrici, a dir svogliatamente « Ciao » quando entran gli uomini).

Flavia                               -  (a Alda) Sai che nome gli ho messo io? Massimo Odiot. Il protagonista del « Romanzo d'un gio­vane povero ».

Alda                                - Si potrebbe anche chiamare il povero muto. Non dice mai una parola.

Flavia                               -  Ne dicon tante gli altri, compensa.

Alda                                - Ah! per me, si figuri.

Giuseppina                      - (figura di prima attrice giovane) Buon­giorno, signora Flavia.

Flavia                               -  Buongiorno. Pare che cominci questa bene­detta prova.

Giuseppina                      -  Pare. Buongiorno, signor Florido. Ci han mandato a chiamare... Buongiorno, signor Giuliani. (Giuliani si tocca nuovamente il cappello e accenna ad alzarsi ma non s'alza).

Florido                             -  Buongiorno.

Giuseppina                      - (a Flavia) Noi eravamo giù nell'atrio. Si leggeva il « Piccolo Faust » che è interessantissimo. L'ha letto lei?

Flavia                               -  Me l'ha passato la signorina e ci ho dato sol­tanto una scorsa.

Giuseppina                      -  Non è abbonata lei?

Flavia                               -  No: sono abbonata soltanto all' Arte Dram­matica ».

Giuseppina                      -  Ah! bisogna abbonarsi anche a quello, per stare al corrente delle novità. Si figuri che oggi hanno scoperto una nuova stella che spunta sull'orizzonte drammatico... Ossia non una stella... un angiolo... un angioletto.

Vittoria                            - (figura imponente di prima donna) Oh! Eccoci qui. Buongiorno, signori.

Tutti                                 - (meno Alda e Giuliani) Buongiorno, signora Vittoria. (Giuliani si tocca il cappello ma non parla).

Flavia                               -  Si comincia o no, questa prova? Altrimenti a che ora andiamo a pranzo oggi? Ci ho anche da pre­parare la cesta per stasera.

Vittoria                            -  Pare che si cominci. Benché proprio non ne valga la pena. Ammazzarsi a studiare, buttar via in­telligenza e polmoni, e poi per che cosa.? Gente in teatro poca, la stampa ci tratta come ci tratta.

Florido                             - (ingenuo) Come la stampa? Se non si pubblican giornali a Imola.

Vittoria                            -  Ci sono però i corrispondenti dei giornali artistici. Bei corrispondenti! Ragazzi bocciati agli esami che dicon bianco quel che è nero e nero quel che è bianco! Ah! quando vedo Lambertini e Polese glie lo dico io che cambino corrispondenti... Che, che, che... altrimenti disdico l'abbonamento. Non ho ragione?

Giuseppina                      -  Non una ma cento ragioni. (Alda freme).

Mellini                             -  (brillante, gentile, cerimonioso, sillaba tutte le parole) Buongiorno a tutti questi signori. (Ha la pretesa di imitar Leigheb, va subito a salutar Flavia) Come va la nostra illustre sì, ma sempre giovane amica? Bene? E la non meno illustre signorina Alda sta bene?

Alda                                - (che è distratta, secca) Bene, grazie. (Giusep­pina e Vittoria discorron tra loro).

Florido                             - (a Flavia) Di', Flavia. A proposito d'illu­stre, quelle camicie che mi hanno stirato hanno un lu­cido impossibile... Guarda questa che ho indosso. (Flavia s'alza per guardare. Mellini pronto occupa il posto di Flavia che discorre con Florido, ma segue cogli occhi Alda e Mellini).

Mellini                             -  Brava. Abbiamo letto nel « Piccolo Faust ». I miei complimenti. Abbiamo conquistato il giovane corrispondente del giornale.

Alda                                - Non abbiamo conquistato nessuno. Il corri­spondente io non lo conosco neppur di vista. Quindi ha detto quel che ha creduto di dover dire... Chi ci ha rabbia peggio per lui.

Mellini                             -  Io rabbia? Al contrario. (Un po' a bassa voce) Vedo un bottoncin di rosa, che schiude le sue foglioline al sole di maggio...

Alda                                - Guardi che siamo in settembre. Lasci, lasci i madrigali. Quasi quasi la preferisco quando fa dello spirito...

Mellini                             -  E' in collera con me?

Alda                                - Non sono in collera con nessuno io.

Mellini                             -  Non si direbbe. C'è qualcuno che non scrive? Ha scritto a me, sa, quel qualcuno. E' a Faenza.

Alda                                - Lo so e non me ne importa. Ma lei, piuttosto, come sa?

Mellini                             -  Di Castro? Eh! i segreti di palcoscenico...

Flavia                               -  (dal fondo) Sì prova o non si prova?

Mellini                             -  (a Alda) Se poi è in collera perché le altre di compagnia non la trattano come dovrebbero, si fa un torto. Non ci deve badare: sono invidiose, invidiose dei bei vestiti, della sua gioventù, della bella faccina...

Giuseppina                      - (a Vittoria) Li guardi, li guardi ora. Guardi Mellini. E lei ci sta!

Vittoria                            -  E come ci sta! Tanto che cosa ci perde, lei?

Giuseppina                      -  Quell'antipatico di Mellini! Già, io piut­tosto che mettermi con un attore...

Vittoria                            - (secca) Chi volete? Un principe? Una volta eravate più discreta.

Mellini                             -  (si mostra sempre più insinuante, vanitoso. Alda sempre più seccata. Ora Mellini sorride) Ve lo dico più nell'interesse vostro che nel mio.  Perché voi... o già sapete leggere... e allora (indica se stesso) che vi fa, un capitolo di più? O non sapete leggere ancora, e se è così bisogna imparare... altrimenti non saprete mai recitar bene.

Alda                                - (tagliente) Voi, o siete uno stupido o siete... (S'alza. Mellini rimane un momento come sbalordito, poi va per seguire Alda che s'è diretta verso il fondo. Bertacchi comparisce dal fondo. Alda gli va incontro) Con lei devo parlare.

Bertacchi                         -  Cosa c'è? Cosa c'è? (Le cinge con un brac­cio la vita ed esce con lei).

Flavia                               -  (si distacca da Florido e impedisce la strada a Mellini che voleva uscire) Che cos'ha la Savellì?

Mellini                             -  Ha... ha delle arie da principessa offesa. E' capace di esser andata a piangere col capocomico. Tutto questo per una parola. Io le faccio un complimento e lei risponde con insulti.

Flavia                               -  Non sarà stato un complimento, o sarà stato troppo vivace... Tu la tormenti troppo. Anzi, lei si è lagnata di te, con me... Non te l'ho voluto dire finora per non far nascere pettegolezzi. Dal momento che non ne vuol sapere, non la tormentare.

Mellini                             -  Ma chi la tormenta?

Flavia                               -  La secchi. (Il tono della voce cresce. Oramai Giuseppina, Vittoria, Florido han cessato di discor­rere e prestano attenzione alla disputa).

Mellini                             -  Sarò forse il primo?

Flavia                               -  Sgradito certo.

Mellini                             -  Ah! ecco.  Perché gli altri saranno stati meglio accetti.

Flavia                               -  Ma hanno ottenuto quanto te.

Mellini                             -  Ritorni a far le parti d'ingenua adesso, alla tua età?

Flavia                               -  (come per volgergli le spalle) Va', va', va'...

Mellini                             -  Se io ne diventassi l'amante, avrei avuto cento predecessori.

Flavia                               -  (tornando violenta) Chi lo dice?

Florido                             -  Flavia, Flavia.

Mellini                             -  Io lo dico.

Vittoria                            - E lo dico anch'io.

Flavia                               -  State zitte, state zitte voi che è meglio.

Florido                             -  Voi parlate per gelosia.

Vittoria                            - Di chi?

Florido                             -  E per invidia.

Vittoria                            - Ma che cosa ho mai da invidiarle? Quei quattro cenci comprati chi sa da chi?

Mellini                             -  Ah! per quello, si sa benissimo da chi.

Giuseppina                      -  Lo sappiamo tutti.

Flavia                               -  (a Giuseppina) Anche voi lo sapete? (Giu­liani ascolta con un certo interesse, ma scuote la testa sorridendo come di cosa che non arriva sino a lui).

Vittoria                            - La prende per un'innocentina, lei! Bella, quell'innocente che riceve ogni giorno lettere degli amanti!

Flavia                               -  Quali? Quali? Aprite le sue lettere per sa­pere di chi sono?

Mellini                             -  Non occorre aprirle per sentirne l'odore un miglio lontano.

Vittoria                            - Lo chiamate odore, voi? C'era stamani un biglietto che appestava. E conosco anche il carattere sulla busta.

Flavia                               -  Allora ne avete ricevute anche voi di quello stesso carattere? Congratulazioni. Ecco qui, ecco qui il famoso biglietto. (Trae dal seno il biglietto avuto da Alda).

Vittoria                            - Quest'oggi, sapete, si prova un lavoro nuovo e sicuro: « La innocenza calunniata, ovvero l'angio­letto buono con Stenterello protettore dell'orfane ».

Florido                             - (con le mani sulla faccia a Vittoria) Chi Stenterello? Chi?

Flavia                               -  Lasciali dire. E sta' fermo tu. Le vostre sono spiritosaggini e i miei sono fatti. Il famoso biglietto è nelle mie mani. L'ho qui per insegnare alla canaglia che l'ha scritto il modo di contenersi. Non è di un amante. E' di un vecchio imbecille, cara Vittoria, d'un vecchio imbecille che ha la sfacciataggine d'offrire un prezzo...

Mellini                             -  E il bell'ufficiale... Casirò, nemmen quello è vero?

Vittoria                            - (ironica) Ah! calunnie.

Mellini                             -  E gli abiti chi glie li ha comprati?

Giuseppina                      -  Sono di un gusto scellerato, ma devon costare...

Vittoria                            - (ironica) Quelli glie li ha comprati la mamma.

Giuseppina                      -  Quella che vende i cappellini?

Mellini                             -  No, quell'altra... quella che una volta era-tenente di cavalleria... Sono il piatto di lenticchie di Esaù... Non capite? Casirò ha pagato la... primogeni­tura... (Le due donne ridono).

Alda                                - (rientrando ha sentito le ultime frasi, ha in mano un ventaglio. Si slancia contro Mellini) Ho detto che eravate uno stupido. Siete invece un vigliacco... (Flavia e Flòrido la trascinano indietro. Flòrido la ri­para contro Mellini).

Mellini                             -  (le si slancia contro) Ah! perdio! (Vittoria e Giuseppina lo frenano).

Giuliani                            - (con molta dignità fermandolo) Non fac­ciamo chiassate. (Nel mezzo della disputa sopraggiunge nuovamente Bertacchi).

Bertacchi                         -  Che cos'è tutto questo baccano?

Mellini                             -  Signor Bertacchi, imponga a questa ragazza di chiedermi scusa perché mi ha insultato.

Alda                                - Siete stato voi il primo ad insultarmi.

Mellini                             -  No, voi siete stata la prima. Flavia e

Florido                             -  No, prima lui.

Giuseppina e Vittoria      - No, prima lei.

Alda                                - Voi avete detto che sono stata l'amante di Ca­sirò, che Casirò mi ha pagato gli abiti...

Mellini                             -  Ma voi prima mi avete ingiuriato. Dovete chiedermi scusa. (A Bertacchi) O mi chiede scusa o io me ne vado dalla compagnia.

Giuseppina                      -  Me ne vado anch'io perché son solidale con Mellini.

Vittoria                            - E anch'io me ne vado.

Bertacchi                         -  Anche te? Anche te? Via, ora, via tutti. Resti sola la Savelli... Poi sentirò gli altri. Via tutti.

Vittoria                            - Non occorre gridar tanto sa. Tanto non mi fa paura.

Mellini                             -  O chiede scusa o lascio la compagnia.

Vittoria                            - E io faccio altrettanto.

Giuseppina                      -  Anch'io.

Florido                             -  Io resto.

Bertacchi                         -  Ora andatevene tutti... Poi faremo i conti, e parleremo. Via. (Escono tutti dalle quinte meno Alda e Bertacchi) Hai visto quello che è successo? Pareva che l'indovinassi, io, cinque minuti fa. Che cosa t'ho detto? Un giorno o l'altro scoppia la bomba. E invece è scoppiata subito. Beh, ora guardiamo di rimediare, se si può. Siedi, siedi e sentimi, qui... T'hanno insultata, vero? Son cattivi, hai ragione, bisogna che sian cat­tivi... perché non dai noia a nessuno, e loro... ma anche tu, scusa, col tuo contegno li hai provocati...

Alda                                - (sorpresa, balza in piedi) Io?

Bertacchi                         -  (facendola seder nuovamente) No, no... non provocati, ho sbagliato, volevo dire un'altra cosa... Volevo dire... Insomma, tu dovevi mostrarti più sottomessa... Più... più... (non trova la parola) ecco, più sot­tomessa. Dovevi sembrare più modesta, più umile... Ca­pisco, hai quel carattere e il carattere non si può cam­biare... Ma anche nel vestire, per esempio. Troppo lusso.

Alda                                - Se me l'ha raccomandato lei, di vestirmi bene, sempre, fin dalla prima volta che le parlai di entrare nella sua compagnia!...

Bertacchi                         -  Sì; lo so, lo so che te l'ho detto io. Ho sba­gliato. Non si può sbagliare? Ho sbagliato. Tu ti sei messa troppo in vista: bellina, giovane come sei... Si sa bene. Sai come sono le donne, la gelosia... « quella è più bella di me »... « quella ha il vestito più bello del mio ».  Perché in fondo Vittoria non è cattiva... ha un caratteraccio ma poi... E con la Giuseppina... E poi qui non si scherza: è la lotta per il pane, sai.

Alda                                - E lui... lui?

Bertacchi                         -  Lui, lui ha torto... siamo d'accordo. Ha tutti i torti... ma anche con lui tu ti sei mostrata troppo ri­gida, troppo onesta... se si potesse dire.

Alda                                - E' un torto questo?

Bertacchi                         -  (confuso) Sì che è un torto... ossia, un torto... No; non è un torto... E' un torto, e non è un torto. (Come conclusione) In palcoscenico è un torto... Cioè... Ecco, in palcoscenico fra compagni bisogna sa­pere anche accettare lo scherzo. Se non vuoi ridere, non ridere. Capisco anch'io... Certi scherzi, certe pa­role un po'... un po' libere non ti piacciono... Hai ragio­ne... Non hai ragione... Bisogna essere un po' più tolle­ranti: ecco la parola: più tolleranti; più remissivi. Io ti capisco e ti scuso... anzi, ti ammiro, guarda che cosa arrivo a dirti... ti ammiro ma ti dò torto... perché gli altri, intendi, gli altri ti trovan superba. E allora la gelosia, l'amor proprio offeso, le lodi sui. giornali...

Alda                                - Ma li ho pagati forse, i giornalisti, perché lo­dassero me?...

Bertacchi                         -  No, lo' so, lo so che tu non li hai pagati, l'han fatto perché sei bellina, ecco. E hanno fatto be­nissimo. Se fossi giornalista farei lo stesso anch'io... E così anche i giovanotti in teatro par che non abbiano mai visto una bella ragazza. Non guardan che te.

Alda                                - Ma che ci posso fare io?

Bertacchi                         -  Niente, lo so, lo so.

Alda                                - Me lo dica: se mi vesto bene desto invidia, se vesto male sono una stracciona, se non guardo son su­perba, se guardo son sfacciata, se...

Bertacchi                         -  Lo so, lo so che hai ragione... ma insomma bisogna cedere, bisogna capire, bisogna... Ecco: non lo so nemmen io quello che bisogna fare... Questo so: che non tutte le cose in questo mondaccio vanno come si vorrebbe, eppure bisogna rassegnarsi... Anch'io vorrei incassar mille lire per sera e invece ne prendo cento­cinquanta. Bisogna che tu ti adatti un po' più al pal­coscenico. Ecco tutto. E perdonami la predica. Vedi: ora, come ho parlato paternamente con te che sei una brava figliola, parlerò paternamente con loro, con loro che non se lo meritano... Non vorrei, ma bisogna che mi rassegni... e così tu chiederai scusa a loro, e loro chiederanno scusa a te e tutto sarà finito.

Alda                                - Io, io chiedere scusa a loro? Se son io che ho ragione!

Bertacchi                         -  Lo so, benedetta da Dio, lo so che hai ra­gione... Ma cosa vuoi? Che mi metta in lite con Mel­imi, con la Giuseppina, con Vittoria, con tutto il mondo, perché tu hai ragione e tutto il mondo ha torto? Vuoi che si sfasci tutta la compagnia per te? Gli affari ora van male: lo vedi; a Bologna, sempre tempo cattivo, sono andati anche peggio. Ho firme fuori, cambiali, ma dopo andiamo pagati, a Verona, a Udine, son sicuro di rifarmi, di rimettermi in gamba. Adesso ci ho metà dei cassoni in pegno... Capisci? Capisci? Capisci che se si impuntano a voler le scuse, quello è il pretesto buono per piantar baracca e burattini e far loro una com­pagnia che sperano di combinare senza di me, senza di te, senza quelli che non voglion loro? Tutti, tutti quanti (con un sospiro) anche la Vittoria che pure dovrebbe... Santo Dio non mi far dire delle cose che non voglio!

Alda                                - Io non chiedo scusa.

Bertacchi                         -  Ora no? Non vuoi ora? Ci penserai dopo, eh? Adesso vuoi andartene a casa? Capisco, è dura dover umiliarsi quando si sa di aver ragione, ma d'al­tronde...

Alda                                - Io non chiedo scusa...

Bertacchi                         -  Ma allora... dimmelo tu come deve fare un povero capocomico a andare avanti? Dio sa se mi piange il cuore a doverti parlare così... ma dillo tu, dillo tu, come devo fare? Te o loro... Questo è il dilemma capisci? Prima di questo incidente ho dovuto sudar sette camicie per trattenerli...

Alda                                - (si alza) Io non chiedo scusa. (Va alla seconda quinta a sinistra chiama) Signora Flavia. (Tornando) Addio signor Bertacchi. Tenga pur loro. Me ne vado io.

Bertacchi                         -  (prendendole le mani fra le sue) Perdo­nami, sai, figlia mia... (Alda ha paura di commuoversi; si distacca da lui e va incontro a Flavia, a testa alta mangiandosi le lacrime).

Flavia                               -  Mi vuoi?

Alda                                - (un po' commossa, ma semplice) Sì, la volevo salutare... E saluti anche il signor Flòrido.

Flavia                               -  (sgomenta) Vai via? (Poi muta tono) Brava, torna dalla mamma che è meglio, torna dalla mamma                                - (L'abbraccia, la bacia sulla bocca, le passa le mani sul viso) Va' Alda. (Alda si avvia a testa alta all'uscita fa­cendo un grande sforzo per non piangere).

Bertacchi                         -  (si è alzato dal suo posto, è andato a sedersi presso la buca del suggeritore. Vedendola avviarsi scuote la testa, sospira, poi come per cacciare un pen­siero molesto batte le mani e grida ad alta voce) Ragazzi, si prova. Chi è di scena? (Da tutte le quinte sbucan fuori gli attori: internamente si sente uno scoppio di pianto).

FINE