Il diavolo Peter

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IL DIAVOLO PETER

Un racconto in tre parti

di SALVATO CAPPELLI

PERSONAGGI

PETER KURTEN, il mostro

MARIA LICER, la moglie

IL GIUDICE KRAUST, procuratore generale

ROSA HERZMULLER, la ragazza

HONNIGER, ispettore della polizia speciale

Il Presidente della Corte d'Assise speciale di Dusseldorf

I tre bambini

CURTISS, ispettore della polizia speciale

MAX, un bambino

LA SIGNORA HOTZINGER, la madre di Max

L'avvocato di parte civile

L'avvocato della difesa

I due giudici

II capo della polizia tedesca

Gendarmi, uscieri, pubblico, voci sperdute

PROLOGO

Appena si alza il sipario comparirà una scena, una scritta su tela, visibilissima. La scritta dice: QUALCHE TEMPO DOPO LA FINE DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE, IN UNA GRANDE CITTA' OPERAIA, FU GIUDICATO E GIUSTIZIATO UN UOMO CHE PER DUE ANNI AVEVA TERRORIZZATO CON I SUOI DELITTI DI SANGUE IL TERRITORIO TEDESCO PROSPICIENTE IL RENO. IL SUO ARRESTO FU MECCANICO E CASUALE, QUASI UNA SUPREMA POTESTÀ' AVESSE VOLUTO INFINE COLPIRE QUESTA CREA­TURA SENZA LUCE. PETER KURTEN NON DOMANDO' GRAZIA COSI' COME MAI L'AVEVA CONCESSA ; MORI' IN UN'ALBA DI PIOGGIA CON LA TORVA MAESTÀ' DI UN ANGELO NERO. CON LIBERA INTERPRETAZIONE QUI NE VIENE SCRITTO IL CON­CLUSIVO EPITAFFIO AD EDIFICAZIONE DI COLORO CHE SI SORPRENDONO DELLE IMPONDERABILI INTENZIONI DELL'ESSERE VIVENTE NEL NOME DI DIO. IL «MON-STRUM» E' UN ANIMALE STRANAMENTE CONFORMATO NEL MALE E NEL BENE; E DI QUESTO «MONSTRUM» DETTO DUESSELDORF, OGGI DORMIENTE LA SUA ESTREMA PACE, VOI GENTE TRAETENE PENA E UN POCO DI MALINCONICA PIETÀ'

 

 


Subito dopo il passaggio della scritta, la scena tornerà completamente nera ed una voce impersonale dirà:

« Molti testimoni non vennero a deporre nel corso di questo giudizio perché morti almeno venti anni prima. Peter Kurten era biologicamente anormale, uno " speciman " suggestivo per quei biologi che intravvedono, nelle brume del più antico mistero, quello della na­scita e dello sviluppo della specie, giungere, affamato e dolorante, l'uomo della prima età. Un uomo senza tempo e senza destino sociale, ma tuttavia già nostro padre, nostra stessa origine. Questo " falso contempo­raneo " ci appartiene perché egli è come noi fummo; ma ugualmente non è più nostro perché noi da oggi rifiutiamo questa paternità e viviamo nella speranza del bene. Peter Kurten era una di queste antiche ra­dici, oggi guasta, allora sana; e anche Peter fu bam­bino, e su questo bambino Peter altri a lui simili incisero un tetro segno. Invano Kurten li chiamò ripe­tutamente al suo fianco il giorno del suo giudizio; forse i loro spiriti erano negli informi paradisi del pliocene, allorché il terziario diveniva mite e la spe­cie provò a pensare. Non risposero; ma eccoli, uno ad uno, Suzel la contadina...

 Nella scena entra una statua di cera, raffigurante una donna di circa cinquant'anni, vestita in costume slesiano, con parrucca grigia sciolta sulle spalle, un ghi­gno idiota, discinta.

... che dormiva con i santi e si lamentava perché i suoi dolori non la distruggevano; ebbe di Peter la cura gelatinosa che solo può esprimersi dalla nin­fomania e dall'idiozia... un duca dell'Impero...

 Nella scena entra, e si affianca alla statua di Suzel, un'altra statua di cera, quella di un maresciallo tede­sco in uniforme da campagna, con l'elmo a chiodo foderato di grigio, con i baffi dell'epoca 1897. Indossa, aperta sulla giubba da ussaro, una vestaglia a chi­mono. Monocolo, aria triste, bocca imperiosa.

 ... l'uomo che offrì a Peter il senso della morte e quello più ancora riposto del piacere irrealizzabile nei modi comuni, nel folle scenario delle grandi manovre estive di cavalleria. E la baronessa Von Honniger, la demente che lo condusse in diaboliche corse...

 

 Nella scena entra, e si affianca alle altre due statue di cera, una terza, quella di una donna, fisicamente sanguigna e forte, con le trecce alte sulla testa im­mensa. Indossa stivaloni coperti da una gonna nera da amazzone. Ha Varia svagata e lontana di chi ascolta voci che non riesce ad afferrare.

... oltre i limiti della verità fisica umana, che gli ino­culò il gusto dei deliri che sembravano, ma non erano, poesia.

Le luci che hanno accompagnato, una per una, l'in­gresso delle tre statue, ognuna di differente colore, mutano in un quarto colore, il verde, e inquadrano la scena. Un lungo silenzio.

... Peter Kurten, a suo tempo, li invitò vicino a sé. Non risposero. Abitavano in tombe lontane e i loro spiriti avevano lunghe strade da percorrere per giun­gere, infine, a Dusseldorf. Forse, il loro linguaggio non sarebbe apparso intelligibile. Ma come tre antichi simboli infernali dominarono la vita e la morte di Kurten. Ed è giusto che anch'essi vi fossero offerti affinché la pietà non divenga tenerezza e la compren­sione assoluzione ».

ATTO PRIMO

QUADRO PRIMO

La scena è nettamente divisa in due, nei senso della pro­fondità. Prospiciente al boccascena, schierato su una fila sola, così che prenda il minor posto possibile, un Tribu­nale disposto nel seguente modo: nel centro, lo scranno del Presidente, ai suoi latigli scranni più piccoli di due giudici. A destra del Presidente il Procuratore gene­rale; alla sua sinistra un piccolo tavolo, quello degli av­vocati, due, uno di Parte Civile, l'altro per la Difesa. Più a sinistra lo scorcio di una gabbia, con dentro Peter Kurten, pesantemente incatenato ai polsi. Davanti al Presi­dente una sedia per i testimoni. Questo schieramento non deve superare in altezza un metro e dieci, cioè l'altezza presuntiva del Tribunale allorché è seduto. A questa altezza, quindi, ha inizio il palcoscenico vero, dove si svolge la vera azione scenica. II fondale del Tribunale deve essere nero in modo che, illuminato il vero palco­scenico, i giudici, l'imputato, i difensori, i testimoni, siano, al possibile, invisibili.

SCENA PRIMA. (Il Tribunale brillantemente illu­minato) .

Il Presidente                    - Ma, avvocato, l'imputato è con­fesso.

L'Avvocato Difesa          - Mi consenta. L'ispettore Honniger ha arrestato in due anni sessantadue «monstrum», tutti confessi. Se l'eccellentissima Corte deciderà in conformità, proveremo che anche il sessantatreesimo «mostro» è innocente come, se non più, degli altri che lo hanno preceduto nelle celle delle sezioni speciali...

Kraust                              - (interrompendo) Avvocato, il Kurten è confesso in modo particolare ed esauriente...

L’Avvocato Difesa         - (interrompendo a sua volta)

                                        - Il Kurten è stato battuto in modo altrettanto esauriente...

Il Presidente                    - Ma non per farlo confessare.

L’Avvocato Difesa         - (continuando) ... sottoposto ad interrogatori di oltre trentasei ore, e a pressioni di ogni genere. Su un tipo evidentemente malsano quale l'imputato, queste pressioni hanno determi­nato una irreale identificazione tra la sua persona fisica e quella che io sosterrò essere ancora del tutto sconosciuta, del vero mostro... Abbiamo ben altro nelle corsie degli ospedali psichiatrici... D'altronde, se lo scopo delle sevizie, Eccellenza, non fosse stata la confessione, perché seviziare un reo confesso?

Kraust                              - Si tratta di una naturale anche se ripro­vevole reazione al cinismo del Kurten. Io ho se­guito l'istruttoria punto per punto...

L’Avvocato Difesa         - Lei ha seguito punto per punto solamente quanto è avvenuto nel corso degli interrogatori ai quali ha presenziato. Lasciamo an­dare, Procuratore Generale! Comunque, la difesa fa istanza perché questa Corte decida un nuovo approfondito esame dello stato mentale dell'impu­tato. Confido che la Corte non si opporrà, ma che anzi interromperà questo giudizio disponendo l'in­ternamento del Kurten in un manicomio criminale.

Kraust                              - Kurten! (Kurten, assorto, tace. Dopo un momento di silenzio) Kurten! Noi ci siamo par­lati quotidianamente per oltre otto mesi, ed io non penso che voi pensiate di essere stato fisicamente, o moralmente, maltrattato da me o per mio ordine, Kurten! Vi sentite innocente o colpevole?

Kurten                             - (senza alzarsi, senza alzare il capo) Colpevole, giudice Kraust!

Kraust                              - (sedendo) L'accusa di Stato si oppone alla perizia domandata dalla difesa...

Il Presidente                    - La Corte si ritira in Camera di Consiglio, purché non si decida seduta stante... (Il Presidente e i giudici parlano sottovoce tra loro) La domanda è respinta. Il dibattito prosegue. Uscie­re, chiamate la teste Rosa Horzmuller.

La voce di un Usciere     - Rosa Horzmuller, Rosa Horzmuller...

SCENA SECONDA.

(Entra una ragazza molto giovane, bionda, con pesanti trecce sulle spalle. Prende posto di fronte al Presidente, non volgendo del tutto le spalle al pubblico, ma non scoprendo altresì troppo il viso).

Il Presidente                    - Sedete... Siete Rosa Horzmuller, di anni venti e sette mesi, nata a Monaco di Ba­viera, residente in questa città?

Rosa                                - Sì, Eccellenza.

Il Presidente                    - Raccontate in quale giorno in­contraste l'imputato, che cosa vi disse, che cosa face­ste insieme e tutto il resto.

Rosa                                - (esitante) Era una domenica, il ventotto giugno, e camminavo per Reichstrasse quando quell'uomo mi domandò se mi sarebbe piaciuto ballare e se ero sola...

Kurten                             - (senza alzare gli occhi, immobile) Non è vero. Mi chiedeste se sapevo dove una ragazza sola poteva andare a ballare.

Il Presidente                    - (a Kurten) Non interrompete. (A Rosa) Attenetevi ai fatti. Foste voi a chiedere o lui?

Rosa                                - (evasiva) Non ricordo. Forse fu lui.

Kraust                              - Domando permesso alla Corte; Kurten, perché avete rettificato il racconto della testimone?

Kurten                             - (sempre immobile) Per il motivo che le spiegai ripetutamente. Io...

L’Avvocato Difesa         - C'è una strana aria di fami­glia tra il mio difeso e il Procuratore Generale.

Kraust                              - Ho seguito il principio di lasciare indi­scriminatamente l'imputato dire, spiegare, chiarire a suo modo le sue colpe. Lei chiama aria di famiglia la mia onestà o, in un certo senso, l'obiettività del Kurten...

Il Presidente                    - L'imputato non deve interrom­pere i testi, e richiamo la difesa all'ordine. (A Rosa) Proseguite senza paura e bugie.

Rosa                                - Parlammo un poco insieme e mi offrì una birra. Poi prendemmo un tram e andammo in cam­pagna.

Kraust                              - Quando incontraste l'imputato che ora era?

Rosa                                - Le due del pomeriggio. Alle tre eravamo in campagna.

Il Presidente                    - Vi disse qualche cosa?

Rosa                                - Che cosa, Eccellenza?

Un Giudice                      - Di quelle cose che si dicono in certi casi.

Rosa                                - (scuotendo la testa) Parlava poco ed era molto gentile. Prendemmo un'altra birra e poi en­trammo nel bosco.

Kraust                              - C'era molta gente?

Rosa                                - Nessuno. Io, anzi, domandai perché la gente non veniva più in campagna la domenica. (la voce è diventata roca) Lui mi rispose che forse era per il mostro.

Il Presidente                    - Ne parlò lui o ne parlaste voi?

Rosa                                - (ira i singhiozzi, indicando Kurten) Lui. Mi disse che avevamo fatto male e che potevamo incontrare il mostro. Io ridevo. Mi disse anche che il mostro doveva essere un toro con la, testa di un uccellino. Mi fece molto ridere. Poi si mise a can­tare.

Un Giudice                      - Quando finì di cantare che cosa fece?

Rosa                                - Voleva che cantassi. Ma io sono stonata. Anche lui era stonato. Camminavamo sottobraccio, ma non mi chiese nemmeno un bacio. Poi mi disse di non parlare più perché c'erano i pettirossi. Ero stanca di lui perché era diverso dagli altri. Quando il sole tramontava gli dissi che dovevo tornare a casa. Così riprendemmo il tram.

Il Presidente                    - Il Kurten tentò di persuadervi a rimanere?

Rosa                                - No.

Kraust                              - Non aveste nessun sospetto?

Rosa                                - Nessuno. Sembrava un originale e non doveva aver dormito perché quando ci sdraiammo nel bosco si addormentò.

L’Avvocato Difesa         - Da tutto questo risulta che il difeso si è comportato come una persona qua­lunque e perbene.

Kraust                              - Da questo racconto non risulta niente. Ma non anticipiamo conclusioni, avvocato!

Il Presidente                    - Non vi diede nessuna noia?

Rosa                                - No, mi disse che dovevo essere ! bianca nel corpo. Ma non disse altro in quel senso, se ho capito bene la domanda.

Un Giudice                      - Non vi fece capire niente? Rosa             - (cinica) Pensai che non gli piacesse il bosco o che avesse paura. Io ero tranquilla perché c'era lui. (Piange ancora) Anzi, gli dissi che se fosse venuto il mostro gli avrei fatto « bum » e il mostro sarebbe scomparso.

Il Presidente                    - L'imputato che cosa rispose?

Rosa                                - Che il segno della croce sarebbe stato meglio.

Kraust                              - Lo disse seriamente?

Rosa                                - Non lo so. Sorrideva.

Il Presidente                    - Vi sembrava anormale?

Rosa                                - Non era come gli altri.

Il Presidente                    - Quando siete ritornati in città perché Io avete seguito?

Rosa                                - Andava nella mia stessa direzione. Pen­savo che forse- non gli sarebbe dispiaciuto se fossi andata a casa sua.

Il Presidente                    - Vi aveva invitata?

Kurten                             - (secco) No.

Rosa                                - (esitante) No, ma mi ritenevo obbligata a non lasciarlo solo. Mi aveva detto che abitava solo. Abitava in una strada lunga lunga che non conoscevo, vicino alle officine del gas.

Kraust                              - Non parlava?

Rosa                                - Non ne aveva voglia. Mi disse soltanto che la campagna l'aveva stancato.

Il Presidente                    - Perché l'aveva stancato?

Rosa                                - Perché non gli piacevano i boschi. Poi arrivammo al portone. La portinaia non c'era. Sem­brava una casa morta. Mi disse che abitava al quarto piano.

Il Presidente                    - Non avevate paura?

Rosa                                - No, Eccellenza.

Rraust                              - Ma i giornali invitavano ogni giorno gli abitanti di questa città a non accompagnarsi per nessun motivo con persone sconosciute...

Rosa                                - Mi sentivo sicura perché non aveva fatto niente affinché io salissi con lui a casa sua. Pen­savo che il mostro rapisse le sue vittime o tentasse in tutti i modi di persuaderle.

Kraust                              - Questa è la tesi dell'imputato.

Kurten                             - Questa è la verità.

Kraust                              - (accalorato) Una tecnica da ragno.

Kurten                             - E' la verità. Le servirà per il libro.

Il Presidente                    - (a Rosa) Proseguite.

Rosa                                - (con voce malferma) Ero stanca; avevamo camminato un bel po' e non avevo più voglia. In fondo al cortile c'era un cancello, e come una mano cercava di impedirmi di 'passarlo. Avrei voluto tor­nare a casa, ma non avevo il coraggio di farlo. Mi dispiaceva per lui... E così passai il cancello... La scala era quasi buia ed era molto sporca. Tutti quei gradini mi facevano paura...

QUADRO SECONDO

SCENA PRIMA.

(Il velario si chiude; alle spalle del Tribunale, il vero palcoscenico, sopraelevato di circa un metro e dieci, si apre. Velata, appare una scala, divisa in quattro rampe. Scala popolare, con angoli bui e morti, illuminata appena da qualche luce. Ai piedi della scala, vestiti a festa, Rosa e Kurten. Il Tribunale è scomparso nel buio. Rimane, bene illu­minata sulla sua sedia Rosa che continua la depo­sizione) .

Rosa                                - (continuando) Prima di salire, lui mi disse che stava al quarto piano, e che dovevamo salire piano le scale perché era stanco... (Mentre Rosa farla il pubblico può vedere dietro il velo Rosa e Kurten che parlano, e seguirne i gesti; pratica­mente questi gesti glossano la narrazione della testi­mone) Cominciammo piano piano. Subito dopo qual­che gradino cominciò a parlare. Allora mi sembrò anormale. Diceva...

SCENA SECONDA.

(Azione sulle scale, teste silen­ziosa).

Kurten                             - Ho sempre sognato una capanna in mezzo ai boschi. Vicino a un fiume. In fondo, sono nato contadino. (Si ferma) Invece abito qui in mezzo al cemento. A te piace il cemento?

Rosa                                - Non mi piace.

Kurten                             - Mi chiude, quest'aria mi chiude. Tante volte, queste case mi soffocano; e più mi soffocano più vorrei correre, cantare, vedere gli alberi. (Sale ancora qualche gradino).

Rosa                                - Mi hai detto che i boschi non ti piacciono.

Kurten                             - Ho detto che mi piacciono. (Si ferma, e anche Rosa si ferma) Vedi...

SCENA TERZA.

(Sosta nell'azione sulle scale. Tri­bunale) .

Rosa                                - (continuando la sua deposizione) Aveva detto che gli piacevano, non che non gli piacevano. Aveva il viso rosso e le mani gli tremavano. Non ero preoccupata per questo, anzi mi sembrava nor­male, finalmente. Ma non avevo più voglia di sa­lire, volevo tornare giù...

SCENA QUARTA.

 (Azione sulle scale, teste silenziosa).

Kurten                             - Vedi, sei già stanca. Anch'io sono stanco. E' il cemento...

Rosa                                - Ti dispiace se non salgo?

Kurten                             - (cortese) Mi dispiace, certo. Ma non voglio costringerti. Però non me la sento di riac­compagnarti al tram. Puoi andare da sola? Volta a destra, poi subito a sinistra, poi ancora a sinistra e ti troverai in un viale dove passano i tram. Buona notte, Rosa, grazie della bella giornata...

Rosa                                - (esitante) Ma, ora che sono quasi arrivata mi dispiace andar via. Riposerò su da te. Mi farai riposare vero?

Kurten                             - Non ti spettinerò.

Rosa                                - (con una acuta risata) Questo è il meno. Devi promettermi che non mi farai niente...

Kurten                             - Non ti farò niente. Chissà che corpo bianco devi avere! Bianco, bianco, bianco... (Rosa ride a lungo, acuta).

SCENA QUINTA.

(Sosta nell'azione sulle scale. Tri­bunale) .

Rosa                                - (continuando la sua deposizione) Conti­nuammo a salire, ma ero nuovamente pentita. Mi sembrava evidente che lui non desiderava la mia presenza, ed era la prima volta che avveniva. Un disagio che non riuscivo a dominare mi strin­geva il cuore... mi sembrava di essere com'ero la prima volta e come allora avevo paura... Eppure non era la prima volta...

SCENA SESTA.

(Azione sulle scale, teste silenziosa).

Kurten                             - (gravemente) Sì, deve essere bianco.

Rosa                                - Perché non abiti al primo piano?

Kurten                             - Te l'ho detto: il cemento. Abitando in alto è come se fossi in campagna, qualche volta mi ricorda una torre che avevo quando ero bam­bino...

Rosa                                - Che torre era?

Kurten                             - Una vera torre, alta, nera e con lo stemma. In cima c'era una stanza con delle vecchie bandiere.

Rosa                                - Io non ho mai avuto una torre.

Kurten                             - Non era del tutto mia, ma era anche mia.

Rosa                                - Di chi era?

Kurten                             - Della padrona, una baronessa. Mi piz­zicava tutto il corpo di notte e mi sorvegliava. Se sapessi che impressione fa... ma poi uno si abitua.

Rosa                                - Io da bambina dormivo. (Pausa) Senti, questa scala non mi piace. Chissà che cosa c'è sopra.

Kurten                             - Niente.

Rosa                                - Perché è così poco illuminata?

Kurten                             - Perché siamo poveri.

SCENA SETTIMA.

 (Sosta nell'azione sulle scale. Tri­bunale).

Rosa                                - (proseguendo la deposizione) Non volevo più salire. Forse perché qualcuno mi aveva detto che il mostro faceva il solletico ai piedi delle vit­time. Non lo so, non volevo più salire. Era irragio­nevole, ma non avrei fatto più un gradino. Invece continuavo a salire, come un burattino, ma volevo scappare. Non avevo la forza di stare in piedi, mi aggrappai alla ringhiera di ferro. A questo punto non avrei fatto un passo ancora per nessuna cosa al mondo, ma salii ancora un gradino. Avevo paura, e lui capì che avevo paura...

SCENA OTTAVA.

(Azione sulle scale, teste silenziosa).

Kurten                             - (con voce acuta) Che hai?

Rosa                                - (sussurrando) Niente, voglio tornare a casa.

Kurten                             - (aspro) Perché? Che cosa ti ho detto?

Rosa                                - Non mi hai detto niente. Verrò un'altra domenica.

Kurten                             - Parla, che cosa ti ho detto?

Rosa                                - Sto male. (Si ferma sulle scale, poi scende un gradino) Sto male. Buona notte. (Scende altri due gradini, guardando Kurten in viso).

Kurten                             - Se vai via ti ammazzo. Sali!

Rosa                                - (alzando la voce, con singhiozzi) Perché mi ammazzi? Non toccarmi, non toccarmi. (Scende altri gradini) Dio, il mostro! (E' terrificata della sua stessa intuizione) Se mi tocchi grido, grido... (Que­sto è detto in sordina; poi Rosa si volta e si preci­pita come una pazza per le scale).

Kurten                             - (inseguendola) Io ti ammazzo! Fer­mati... (Per le rampe, che il pubblico può vedere, Kurten corre dietro a Rosa, ma tuttavia non riesce a raggiungerla. Si vede Rosa scomparire dietro il cancello e Kurten guardarla, fermo da dietro le sbarre. Poi lentissimamente risale le scale. Lo si vedrà salire, fino a che Rosa non avrà finito di deporre in 'Tribunale).

SCENA NONA.

(Kurten sale le scale. Rosa parla in Tribunale).

Rosa                                - Quando fui sulla strada mi accorsi che ero stata pazza. Lui non mi aveva fatto niente di male, e se era diventato cattivo lo dovevo soltanto a me stessa. Aveva avuto paura anche lui. Mi ver­gognavo. Più mi allontanavo da quella casa, più mi vergognavo. La notte mi svegliai e mi persuasi di essere stata pazza, stupida e cattiva. Avrei voluto chiedergli scusa perché era un bell'uomo e avrebbe potuto anche sposarmi. Ma non conoscevo la strada dove abitava né come si chiamasse. Non ci pensai più; ma qualche giorno dopo scrissi ad una mia amica di Berlino tutta la storia più per farla ridere...

SCENA DECIMA.

(Kurten sale sempre; continua Tri­bunale).

Il Presidente                    - (improvvisamente illuminato da un vivo fascio di luce, così che ora sono pienamente visibili, nel Tribunale, lui e Rosa) Il resto è noto a questa Corte. La lettera fu recapitata per errore a una distinta signora di Berlino che la lesse rite­nendo che fosse indirizzata a lei. Questa signora spedì la lettera al Capo delle sezioni speciali di po­lizia che ritrovò la ragazza, la interrogò e provò comunque a identificare l'uomo. Più, tardi ascolte­remo anche questa teste. Proseguite... (ha luce si spegne).

SCENA UNDICESIMA.

(Kurten saie sempre; continua Tribunale).

Rosa                                - L'ispettore Honniger mi fece accompa­gnare da due gendarmi in uniforme affinché ritro­vassi la strada ed il portone...

SCENA DODICESIMA.

(Kurten sale sempre; Tribu­nale).

Kraust                              - (illuminato dì colpo) Lo ricordavate fisi­camente bene?

Rosa                                - Vagamente... (La luce su Kraust si spegne).

SCENA TREDICESIMA.

(Kurten sale sempre; Tri­bunale).

Un Giudice                      - (illuminato di colpo) Quando vo­leva uccidervi, come vi apparve?

Rosa                                - Un mostro. (La luce sul giudice si spegne).

SCENA QUATTORDICESIMA.

(Kurten sale sempre; Tribunale).

L’Avvocato Difesa         - (illuminato di colpo) E' una domanda tendenziosa.

Rosa                                - Un mostro. Gli occhi si erano ingranditi, la bocca era aperta... (La luce sull'avvocato sì spe­gne).

SCENA QUINDICESIMA.

(Knrten sale sempre; Tribunale).

Kraust                              - (illuminato dì colpo) Tremava?

Rosa                                - Tremava, e la faccia gli si era allungata come una proboscide... (La luce su Kraust si spegne).

SCENA SEDICESIMA. (Kurten sale sempre; Tribu­nale) .

L'Avvocato Parte Civile  - (illuminato di colpo) Noi non ammettiamo che si faccia passare come epi­lettico un assassino di donne, di bambini...

Rosa                                - Aveva la proboscide... (La luce sull'avvo­cato si spegne).

SCENA DICIASSETTESIMA, (Kurten sale sempre; Tribunale).

Kurten                             - (illumiato di colpo) Io sono colpevole...

Rosa                                - (indicandolo, impazzita dì terrore) Guar­datelo, eccolo, eccolo! Guardategli la bocca... E' un mostro, è un mostro... (La luce su Kurten si spegne).

SCENA DICIOTTESIMA:   - (Kurten sale sempre; Tri­bunale) .

L’Avvocato Difesa         - (illuminato di colpo) E' isterica e pazza. Ecco il suo teste principale, Procu­ratore Generale!

Kraust                              - (luce di colpo) E' un teste d'accusa, definitivo...

Un Giudice                      - (^illuminato di colpo) Sul viso di Kurten non c'è proboscide.

Il Presidente                    - (illuminato di colpo) Signorina Horzmuller, calmatevi. Il mostro non può più farvi nulla di male...

L’Avvocato Difesa         - (è già illuminato) Protesto contro queste parole del Presidente. Nessuno può chiamare Kurten «mostro» fino a che non sarà emessa sentenza... (Rimangono tutti illuminati, poi la luce sì spegne. Rimane illuminata solamente Ro­sa. Intanto sulle scale Kurten è appoggiato alla rin­ghiera, stanco).

SCENA DICIANNOVESIMA.

Rosa                                - (molto più calma) Cercai fino a che non ritrovai il viale. Dal viale risalii fino alla strada dove abitava. Erano le tre del pomeriggio, d'agosto. Ero stanca ed anche i gendarmi erano stanchi. Quando mi trovai sul portone, non lo riconobbi subito...

SCENA VENTESIMA. (Azione sulla scala in basso. Kurten è scomparso. Rosa e due gendarmi).

Primo Gendarme             - Senta, abbiamo camminato tre ore. Ho sete, lei non ha sete?

Secondo Gendarme         - Una birra, diavolo, una sola birra...

Rosa                                - Non lo ritroveremo mai quell'uomo.

Primo Gendarme             - Senta, lei non avrà sognato per caso...

Rosa                                - Darò uno sguardo alle scale. Quel can­cello mi pare di riconoscerlo...

Secondo Gendarme         - E' il centesimo cancello! Noi, intanto potremo andare a bere una birra qui davanti. Sicuramente, il cancello non è questo...

Rosa                                - Farò subito e verrò anch'io... (I gendarmi scompaiono, Rosa si addentra di più, attraversa il cancello, guarda le scale, le riconosce, non è sicura, sale un gradino, poi un altro, poi un altro ancora).

SCENA VENTUNESIMA. (Rosa sale sempre; Tribu­nale).

Rosa                                - (continuando la stia deposizione) Mi sem­brava proprio che fossero quelle scale, ma non ero certa. Era stato tanto lo spavento che avevo per­duto la memoria delle cose. Il cancello quella sera mi aveva così impressionata da lasciarmi solamente un ricordo indistinto... Però, dopo aver salito ancora qualche gradino, lo spavento di quella sera mi ri­prese. Non volevo più salire, ma continuavo a sa­lire... La casa non mi sembrava più deserta, ma sulle scale non c'era nessuno... (Azione sulle scale: Rosa sale, sì ferma, guarda in su, si appoggia alla rin­ghiera, si asciuga il viso con il fazzoletto. Poi, ad un certo momento, sì ode, nel silenzio, lo sbattere dì una porta e dei pesanti passi sui piani e sui gra­dini superiori. Rosa si ferma). ...Sentii una porta sbattere e dei passi. Ne fui sollevata. Non ero più sola. Questi passi mi rimbalzavano sulla testa... (Azione sulle scale. Improvvisamente una voce sì mette a cantare sottovoce, stonando. Appare Kur­ten che scende le scale. Rosa lo guarda affascinata) ...Poi la sua voce cantò, e lo vidi. Era lui! (Indica con la mano Kurten in gabbia che non sì vede) Lui non mi aveva ancora vista, ma... (Azione sulle scale: Kurten, voltando di corsa, quasi urta Rosa. Sì ferma con uno sforzo, la guarda, la riconosce, emette un ringhio e la spinge verso il basso. Rosa si divincola e scappa. Kurten ha un coltello in mano, l'insegue, le tira una coltellata che la sfiora, Rosa cade, lui la supera, riesce ad imboccare l'androne e scompare. Rosa, che si è rialzata, lo insegue gridando. Qual-, che porta si apre. Ricade il telone nero. Il Tribu­nale riaffiora piano, piano. Tutte le luci si riac­cendono).

SCENA VENTIDUESIMA. (Tribunale).

Rosa                                - ...Veniva correndo e quasi mi urtò. Mi riconobbe, voleva ancora uccidermi, con un coltello, mi buttò a terra, e scappò. Aveva una bocca tre­menda, dei denti terribili, le mani sembravano arti­gli di ferro. Non era un uomo, ma una macchina. (Silenzio) La polizia beveva la birra.

Il Presidente                    - (a Kurten) Dove andaste, subito dopo?

Kurten                             - (gravemente) Da mia moglie. Erano due anni che non la vedevo più...

Il Presidente                    - (a Rosa) Potete ritirarvi. La di­fesa intende domandare ancora qualche particolare alla testimone? No? Potete ritirarvi.

SCENA VENTITREESIMA.

Il Presidente                    - (proseguendo) Ho qui uno ste­nogramma che riguarda questa misteriosa questione. (Cerca in un fascicolo) E' sempre apparso strano questo colloquio, tra l'imputato e sua moglie. Ec­colo. (Legge) Domanda: Sono le cinque del mat­tino... Da quando tua moglie sapeva che eri un assassino? Risposta: Da giovedì. Domanda: Anda­sti da lei per confessare? Da quanto tempo non la vedevi? Risposta: Da due anni. Domanda: E per­ché andasti da lei? Risposta : Non lo so. Domanda : Che giorno era quando sei andato da lei? Risposta : Giovedì, ieri l'altro, scappavo. Domanda: Perché sei andato da tua moglie? Risposta: Non lo so... Mi sembra che il Kurten sia particolarmente reti­cente su questo punto...

L’Avvocato Difesa         - Da dove viene quel ver­bale?

Il Presidente                    - Dalla polizia.

Kraust                              - L'imputato non ha mai chiarito il mo­tivo di questa visita e solamente dopo mesi di osser­vazioni una mia idea iniziale ha assunto una certa verosimiglianza. La scena è perfettamente ricono­scibile se si accetta questa premessa.

Kurten                             - (immobile) Quale premessa?

Kraust                              - (brutalmente) La vostra povertà e quella di vostra moglie... Subito dopo l'incontro con Rosa Horzmuller, il Kurten riesce a fuggire. Voltato l'an­golo modera il suo passo. Deve riflettere. Capisce che il suo arresto è questione di ore... Kurten non ha amici e non ha denaro. Questo non lo preoccupa per sé... è conscio della situazione... Ma la sua man­canza di denaro gli ricorda che l'unica persona in un certo senso cara, dalla sua cattura e dalla sua condanna avrà un danno irreparabile... Forse desidera ancora un'ora di sosta... pensare se gli ri­mane una strada di salvezza. E' allora che decide di andare da Maria Liger, sua moglie, che da due anni non vede più... Abbiamo una prova che il Kurten ha detto il vero; egli si reca alla vecchia abitazione della moglie... da dove l'indirizzano a quella attuale... Un rapida visita, vero Kurten?... Dieci minuti, forse venti, mettiamo trenta, ma suf­ficienti affinché tra i due si stabilisse un patto... Un patto che Maria accoglierà in una vertigine di or­rore, ma che in seguito difenderà con accanimento, aiutata disperatamente da Kurten... Perché, Kur­ten, vostra moglie ha capito che soltanto dalla buo­na riuscita del patto dipende per lei la vita futura, e un poco di pace e l'oblio... E la povertà, l'ango­scia di rimanere soli, sfuggiti da tutti, senza difesa e aiuto, sommersi, senza liberazione possibile, dal nome in comune, dal sospetto. Oh, io l'ho letto que­sto vostro patto!... Kurten, io non mi opporrò a che esso sia messo in valore... perché questo patto rispetta, almeno formalmente, la legge e alla vostra assurda maniera è atto d'amore... un amore che mi rifiuto di qualificare, ma che mi rende pensoso. Se è così, e non può essere che così, questo colloquio è ricostruibile... Si spiegano i vostri silenzi, l'orrore di Maria Liger... guardatela! (indica un punto ipo­tetico) ...Guardatela, ha gli stessi occhi di allora, lo stesso viso impietrito, la stessa fanatica decisione... Difende la sua vita, e ha ragione, umanamente ra­gione... Si spiega, altresì, l'inconcepibile brevità di questo colloquio, tre ore prima che il Kurten si con­segni alla polizia, volontariamente, davanti alla Cat­tedrale di questa città... Maria Liger viene a denun­ciare l'assassino, e porta un appuntamento alla po­lizia... Dice: « Il mostro vi aspetta alle sette di que­sta sera davanti alla Cattedrale. Non uccidetelo». Si fa arrestare, questa singolare Maria Liger, senza una protesta; dice: «Ne ignoro il nome, ma tra due ore lo saprete... si corregge... lo sapremo... ». Alle diciannove precise cade in ginocchio e non risponde più alle domande... E a quell'ora il mira­colo atteso da due anni avviene. La polizia presidia i tetti circostanti, ha armato il campanile, ha preso possesso della chiesa. Verrà? Noi tutti pensiamo: verrà? Intanto, Kurten dov'è? Guardavamo da die­tro i vetri chiusi questa città, e pensavamo: l'incubo è finito, è finito... Alle diciannove, Kurten esce dal­la chiesa, tra la folla, si avvicina ad un gruppo di ufficiali di polizia e dice : «Eccomi, non sono in ritardo? » ... Ma prima c'era stato un colloquio, e ne vedemmo i risultati... Kurten sale le scale di corsa, bussa, Maria Liger gli apre, è stupita...

QUADRO TERZO

(Si apre il velario e appare una piccola, vecchia camera da pranzo; Maria Liger è sulla porta, entra ansimando Peter Kurten).

Kurten                             - (ancora ansando) Le scale sono faticose. Non ti dispiace, vero, Maria?

Maria                               - No, mi fa piacere vederti... Sono quasi due anni che non venivi.

Kurten                             - Sto per partire, e allora ho pensato di venire. Non ti dispiace?

Maria                               - Non mi dispiace.

Kurten                             - Sono contento. Partirò fra breve... Sono le quattro.

Maria                               - Non si può più vivere a Dusseldorf. Ma io ho un buon lavoro e non posso lasciarlo. Se non avessi un buon lavoro me ne andrei...

Kurten                             - Perché?

Maria                               - Per il mostro. Sono una donna sola e ho sempre paura. Quattro notti alla settimana le passo su una sedia perché il mio lavoro finisce tardi e ho paura di tornare a casa quando è buio.

Kurten                             - Vedrai che finirà presto. Ma poi il mostro non ha mai ucciso in città...

Maria                               - E' vero, ma i morti abitavano in città. Dunque sono stati rapiti. Penso sempre che una sera o l'altra possa capitare anche a me. (Un penoso silenzio).

Kurten                             - Maria!

Maria                               - (strappata dalle sue fantasticherie) Que­sta volta non posso aiutarti, non ho denaro.

Kurten                             - Volevo dirti: credi che il mostro sia un uomo?

Maria                               - (svogliata) Dicono anche che sia lupo. Ma non ci credo. E' un uomo nato dall'inferno...

Kurten                             - Tu come credi che sia fatto?

Maria                               - Credo che sia un soldato. Secondo me, questo è il motivo perché non l'hanno ancora arre­stato... Può anche darsi che sia quella vecchia ve­stita di nero che i bambini hanno visto... Chi lo sa?... (Ancora silenzio).

Kurten                             - Senti!

Maria                               - Vai a Berlino?

Kurten                             - (negando con la testa) Molto più lon­tano, non credo che tornerò più. (Silenzio) Senti, Maria!

Maria                               - Non posso darti neanche da mangiare. (Con irritazione) Non posso aiutarti questa volta.

Kurten                             - Senti! Io debbo partire, debbo. Mi cer­cano.

Maria                               - (apatica) E' una cosa grave?

Kurten                             - No, no... Ma io possiedo una informa­zione che vale centomila marchi...

Maria                               - Non posso comprartela nemmeno per un marco. Da buono, su, non ho niente da impegnare né da vendere.

Kurten                             - (sfiduciato) Maria, senti! E' una infor­mazione vera, e non voglio niente in cambio. Vo­glio soltanto che tu possa incassare i centomila mar­chi e andare a vivere in campagna.

Maria                               - (tetra) Se è così, perché non li incassi tu e non andiamo, dopo, a vivere in campagna?

Kurten                             - A me non darebbero quel denaro, a te sì. Maria, vedi, senti, Maria! Io conosco il mostro...

Maria                               - (con un lamento) Tu?...

Kurten                             - (febbrile) No, ho poco tempo ormai, non interrompere. Lo conosco, so chi è, dove abita, come si chiama e perché faceva quelle cose. Tu puoi farlo arrestare, così la taglia sarà tua. Tu alle sette di questa sera puoi farlo prendere. Va sempre in chiesa, alle sette di sera; e alle sette sarà da­vanti alle porte grandi. (Con un gesto suppliche­vole, vedendo che Maria vuol parlare) No, ho poco tempo... Devi andare da un certo ispettore Honniger, e consegnargli questa lettera. (Mostra una let­tera chiusa a Maria) Questo poliziotto è il capo delle squadre speciali, e vorrà più bene a questa lettera che a sua madre. (Con un pallido sorriso) E' la confessione del mostro.

Maria                               - (con terrore) Lo conosci?

Kurten                             - Il poliziotto no, il mostro sì. E' un uomo come gli altri...

Maria                               - Chi è, Peter, per carità chi è?

Kurten                             - E' un mostro. Ma devi andare subito...

Maria                               - Lo conosco?

Kurten                             - (dopo una lunga esitazione) Sì.

Maria                               - Peter, per l'amor di Dio, chi è?

Kurten                             - E' un uomo, un pover'uomo qualun­que, peggiore del demonio, ma non sempre sa di esserlo. Ma non importa chi è. Lo farai?

Maria                               - (esaltata) Certo che lo farò. Dio mio! Debbo andare. (Si alza, cerca uno scialle da met­tersi in capo, lo trova) Dammi la lettera. (Si avvia verso la porta, esita) Dimmi, per te che lo cono­scevi, non avrai altri fastidi?

Kurten                             - (le si avvicina, le dà la lettera, torna al centro della camera, si siede) Tra breve sarai ricca, Maria, e vivrai in campagna come una si­gnora. D'inverno andrai a letto presto e sentirai picchiare la neve sulle finestre... Avrai porci e gal­line e anche delle mucche. Da bambino mi piaceva la neve... Quando la cavalleria faceva le manovre, a casa mia c'era un comando, e un duca del Wuttemburg mi teneva con sé, e c'era sempre la neve che | batteva sulla finestra... Mi teneva sulle sue ginoc­chia perché ero bambino e perché a lui piacevano i bambini... Dopo, non ho mai sentito più la neve sulle finestre... Centomila marchi! (Pensieroso) In Pomerania ci sono delle fattorie che si possono avere per poco, o in Prussia o in Baviera? Non ricordo... (Accarezzandosi le munì) Sarà un peccato se non ti risposerai, sei ancora giovane... penso sia giusto che ti conceda il divorzio...

Maria                               - (sulla soglia) Peter, non potremmo invece...

Kurten                             - No, non potremmo. Sarà molto diffi­cile che possa tornare. Mi imbarcherò e andrò in America. (Balbettando) Mi piacerebbe andare in America, nelle praterie, tra gli indiani. (Incoeren­temente) A me piace la pianura, da bambino avevamo una casa in Slesia... D'estate, nel grano, c'era­no i papaveri... (Maria si è immobilizzata vicino alla porta) ... C'erano tanti papaveri. D'inverno il fiume straripava e anche d'estate... Morivano tanti, bestie, cani, uomini e bambini. (Sorridendo, smarrito) Allora correvo sempre. Il mondo non era mai fermo, adesso è fermo. Un mondo finito. Non c'è più... Sognavo di essere un cane grande quanto la pia­nura... (Rabbrividendo) ...Ed io mangiavo la pia­nura... Sognavo di mangiare, e lottavo contro il cani che non riuscivano a mangiarmi. Io mangiavo loro... (Maria si siede lentamente, senza rumore) ... Solo Dio mi vinceva. Mi affogava nei laghi, ma io li bevevo. Quando avevo finito di bere, mi guar­davo ed io non c'ero più. Tornavo uomo, sognavo che correvo nei boschi (Con un'altra voce) Mi pia­ceva nascondermi nei boschi. La gente si crede sola e fa tante cose strane perché non ama sentirsi sola... A me, di notte, anche da bambino, piaceva cantare ad alta voce. (Maria sta comprendendo, ha lettera le cade. Kurten, cambiando di umore) Come può Dio non morire1? Chissà cosa vorrà dire la morte? Se potessi, verrei anch'io in campagna, in Pomerania... (Un lungo silenzio. Maria è raccolta in sé) ...Con porci e galline... con porci e galline... e le mucche.. Vicino a un gran fiume... Le città chiu­dono, chiudono... (Con un gemito) ... Mi chiudono... (Continua il silenzio. Forse Maria sta morendo) ...Com'era bello il fiume quando straripava, Maria! (Sottovoce) Mi piacerebbe rivederlo ancora, ma sen­za argini, come ai tempi di Turly e di Karl... (Si alza. Impercettibilmente Maria si scuote) ...Addio, Maria! (Attraversa la stanza, fino alla porta, si guar­da attorno, come se la vedesse per la prima volta, stanco) ... Come ai tempi di Turly e Karl! Chissà se c'è ancora l'albero del duca, il maestro Freidien, il pastore Moiser... (Torna indietro, pone una mano sulla spalla di Maria, immobile e morta mila sedia, le accarezza ì capelli. Kurten, con un sospiro) Centomila marchi... difendili... (Prende la lettera da iena e gliela pone a forza tra le dita. Si avvia, deciso, verso la porta) ...Centomila marchi! Una casa in campagna... porci e galline, mucche... (Si volta, stanco) Alle sette, Maria, proprio alle sette! Se non fosse puntuale, guardate in chiesa... Farò finta di pregare.

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

SCENA PRIMA. (Il Tribunale brillantemente illu­minato) .

Rraust                              - (parla come riprendesse, dopo una sospen­sione, la sua arringa di accusa; è un poco roco, ma la sua oratoria ha guadagnato in passione) Sono due giorni che l'accusa di Stato porta contro Kur­ten il complesso delle prove raggiunte in otto mesi di istruttoria... Prove inutili, ha detto la parte ci­vile: il mostro è confesso, dunque giustiziamolo e non ricordiamolo più nemmeno nel nome... Tut­tavia queste prove sono servite a ricostruire i limiti e le misure dei delitti di Kurten; ma nel raccogliere queste prove, l'accusa di Stato intendeva risolvere non dirò il problema metafisico che i morti di Kur­ten ci pongono, ma il problema umano e più aper­tamente sociale che il mostro stesso presenta sola­mente vivendo... E' buona norma, eccellentissima Corte, per ogni Accusatore Pubblico, non dimenti­care mai che egli rappresenta nel giudizio una me­dia moralità collettiva. Ed io che parlo a nome di questa media moralità sono pieno di orrore perché pieno di orrore è il cuore della gente tedesca... Ma io parlo, forse indegnamente, anche a nome di una più ristretta categoria, ansiosa di conoscenza e sem­pre più inquieta allorché viene posta di fronte a realtà incomprensibili... Qualunque sia il naturale o l'innaturale rapporto tra quest'uomo che non è un uomo, e le cose nostre d'attorno, Kurten e Dio, Kurten e gli uomini, Kurten e la vita, Kurten e l'amore, l'essenza sua rimane inqualificabile men­tre scolorisce e logora tutte le altre... E' vero che l'inconoscibile è la verità, lo diceva Spencer che era anche un biologo : « Non c'è altro Dio che l'in­conoscibile »...

L’Avvocato Difesa         - ... E Spencer è suo profeta.

Kraust                              - Grazie della citazione, avvocato! Ma quando Kurten pone delle domande, non poter rispondere, che tristezza! Io ho vissuto otto mesi in una certa dimestichezza con il Kurten, otto ore al giorno di continuo colloquio con la sua stessa ridestata coscienza sociale...

L'Avvocato Parte Civile  - (con sdegno) Co­scienza sociale!

Kraust                              - Avvocato, alla tedesca: coscienza so­ciale... Niente di drammatico o di poetico, niente pentimenti, crisi mistiche o religiose, discorsi edi­ficanti... Un modo come un altro per tentar di ca­pire, io Kurten, Kurten se stesso... Un tentativo sbagliato perché queste reazioni che credevo scien­tifiche si sono dimostrate stranamente malefiche e gli stimoli che ne sono derivati peccaminosi; il Kur­ten fu subito una creatura intenta a fare uso di un diritto che fino allora mai aveva pensato di avere, l'uso di una potestà superiore ad ogni altra, morale o sociale che sia; l'imperscrutabile diritto di porre al suo Creatore, e con odio, domande che si pon­gono solo con amore. Kurten ha scritto a Dio una spaventevole lettera che io non vi leggerò, ricca di annotazioni che la sezione istruttoria ha voluto per pura vocazione speculativa approfondire... indica­zioni, che, purtroppo, sono state riconosciute esat­te... Può darsi che queste nuove acquisizioni pos­sano spostare il concetto di responsabilità, trasfe­rirle, in parte, su piani insospettati, sociali, certo anche sociali, ma in maggiore misura morali, teolo­gici perfino... Spostare in cielo, a suo tempo, nell'ora del più grande giudizio, non in terra, Kurten...

Kurten                             - (interrompendo) Io chiederò a Dio per­ché sono nato...

La voce acutissima di una donna che non si vede    - Mostro, Dio ti incenerirà...

Il Presidente                    - Guardie, espellete quella donna!

Kurten                             - (agitato) Perché Dio mi incenerirà? Ma prima gli domanderò...

Kraust                              - Io non sono soddisfatto di aver deter­minato questo transfert di idee e di impulsi... Il giorno che Kurten fu tradotto alla sezione istrut­toria, egli era in un certo senso sereno, pronto a sostenere una sua tesi, una tesi inattesa; e che, cioè, gli uomini si dividevano in due categorie: l'una attratta da lui, l'altra che ne rifuggiva! Allora la polizia cercava disperatamente complici necessari e non necessari, dubbiosa che il mostro fosse solo negli affetti e nella vita... Kurten aveva paura, ma conservava in sé qualcosa di minaccioso, di crudele, con delle improvvise umiltà che lo rendevano simile a una bestia ipocritamente domata...

Il Presidente                    - (interrompendo) Un giudice ha chiesto informazioni più precise sulla cosiddetta da­ma in nero, e si insiste perché io ponga delle do­mande all'imputato in merito ad un periodo di tempo che non è stato bene illuminato a questa Corte. Mi dispiace interrompere la sua arringa, Procura­tore Generale, ma mi sembra urgente che il Kur­ten. ci parli di sé. Lei sta delineando grosso modo una diagnosi di infermità mentale...

Kraust                              - (interrompendo vivamente) Non è esatto, non è mia intenzione.

Il Presidente                    - Comunque, la sua arringa è circonstanziata anche in sede psicologica. Vogliamo far parlare anche questo Kurten?

Kraust                              - Trovo giusto, io posso riprendere dopo. (Si siede) Avanti Kurten, parlateci di voi. (Kurten tace).

Il Giudice di destra         - Quando foste arrestato gli interrogatori come si svolsero? E' vero che foste picchiato? (Kurten tace).

Il Presidente                    - Kurten, se non rispondete vi condannerò per offese alla Corte. (Kurten tace) Cento marchi di ammenda. (Al giudice) Riproponga la domanda.

Kraust                              - (togliendo la parola al giudice) Kurten! La dama in nero esisteva o no?

Kurten                             - (con voce monotona, come se continuasse a ripetere pazientemente la stessa cosa da ore) La donna in nero non esisteva, l'avrei saputo.

Il Giudice di sinistra        - E' stata vista da migliaia di persone e dei bambini le hanno parlato. Che lei si sia vestito anche da donna non cambia la sua posizione.

Kurten                             - Non esiste, è stata inventata, anche se può essere vera... L'avrei trovata. (Un momento di silenzio).

Il Giudice di destra         - Quando uccidevate ave­vate orrore?

Kurten                             - (dopo aver riflettuto) No.

Kraust                              - Perché dite che la donna in nero non esiste e poi ammettete che può essere vera?

Kurten                             - Qualche vecchia donna un giorno avrà offerto delle caramelle a un bambino. In piazza le donne offrono pane ai colombi. E' la stessa cosa.

Il Presidente                    - Ma quando sapeste dai giornali che in questa zona operava un mostro di sesso fem­minile voi che cosa faceste? Kurten, voi avete una testa sola!

Kurten                             - L'avevo.

Kraust                              - Perché comunicavate ai giornali il punto dove avevate sepolto le vostre vittime?

Kurten                             - Scrivevo ad un giornale che rappre­sentava la mia corrente di idee.

Kraust                              - Siete iscritto ad un partito politico?

Kurten                             - Lo avrei voluto, ma ero stato condan­nato troppe volte. Ho conservato le mie idee.

Il Giudice di sinistra        - Domani molte persone saranno umiliate di doverle condividere con voi.

Kraust                              - Quindi voi avete sempre escluso che potesse esistere una donna che vestiva di nero. Non avevate mai pensato che potesse esserci un essere come voi, ma donna?

Il Presidente                    - Abbiamo bisogno di una rispo­sta precisa. Mia figlia non portò il lutto per sua nonna perché temeva di essere linciata. Ricordo, alla stampa, che alle quattro di sera, d'inverno, e alle sette d'estate, a Dusseldorf, si camminava in gruppi con le donne in mezzo.

Kurten                             - Era molto ridicolo.

Una Guardia                    - (gli si avvicina e deliberatamente lo colpisce con un manrovescio sulla bocca) Era ridicolo! Perché era ridicolo, ripetilo, perché era ridicolo?

Kurten                             - (balbettando) Perché io non ho mai agito contro la volontà altrui. Venivano spontanea­mente, e alcuni senza essere invitati.

Il Presidente                    - (dopo un istante di stupore, e gri­dando come un ossesso) Arrestate la guardia. (Alla guardia) Lei si consegni ai suoi superiori... Il comandante si presenti a me...

Kraust                              - Vostra Eccellenza, chiedo l'incrimina­zione del gendarme, e una condanna a due mesi di reclusione. Non è ammissibile che in quest'aula si tenti un linciaggio.

L'Avvocato Parte Civile - Procuratore Gene­rale, lei è il vero responsabile di questa situazione, Noi non accettiamo il tentativo di dare un'anima ad un mostro. Io difenderò il colpevole, certamente da redarguire, non da condannare. (La guardia fa un inchino al Presidente e si allontana tra due uo­mini in borghese. Kurten non si è mosso).

Il Presidente                    - E' con indignazione che ho assi­stito ad un fatto senza precedenti in una Corte di Giustizia tedesca. Il gendarme sarà giudicato, e con­dannato. Riprovo il patrono di Parte Civile, e mi as­socio al Procuratore Generale. Avverto il pubblico che non tollererò azioni e gesti del genere, e che farò proseguire, se sarà il caso, a porte chiuse. Si ri­prenda al punto interrotto. (Un lungo silenzio).

Kraust                              - Era, dunque, ridicolo; perché le vit­time venivano spontaneamente. Si tratta di donne?

Kurten                             - (che guardava davanti a sé, assorto, sob­balza) Donne e uomini.

Kraust                              - Perché uccidevate?

Kurten                             - Adesso non saprei dirlo. Allora era lo­gico...

Kraust                              - Che tipo di logica? Vi proponevate un fine nell'uccidere una donna? Quando andavate nei boschi sapevate perché essa veniva con voi. La uccidevate per derubarla?

Kurten                             - Oh, no! Posso provarlo. Non avevo un fine quando andavamo in un bosco; andavamo, e basta.

Kraust                              - Perché un uomo conduce una donna nel bosco?

Kurten                             - (agitato) Ora capisco. Andavamo nei boschi e parlavamo. Mi piaceva che cantassero. Ma non posso dirle che avessi un fine stabilito, non riu­scivo a pensare.

Il Giudice di sinistra        - Quasi la « cosa » non vi interessasse.

Kurten                             - (rapidamente) Si, non pensavo mai che dovesse avvenire quella «cosa». La sentivo dentro di me, ma non ci pensavo. Bruciava piano piano... saliva...

Kraust                              - Ripeto: sapevate ciò che sarebbe avve­nuto nel corso di queste passeggiate?

Kurten                             - No, e se non avessi avuto memoria di fatti analoghi già avvenuti, sarebbe stata sempre la prima volta. In quei momenti ero inquieto, co­me se diventassi di vetro.. Subito dopo non ero più inquieto, tornavo normale. (Riflettendo) No, non sempre, ma quasi sempre...

Il Presidente                    - La donna in nero non è stata trovata... Kurten colleziona trenta condanne, con­travvenzioni, risse, ferimenti, resistenza alla forza pubblica, e nessuna per reato sessuale! Neanche una annotazione! E la strage ha avuto inizio due anni fa. Voi avete quarant'anni, quindi fino a tren­totto anni non avete mai avuto nessun problema, o seppure avete potuto contenerlo...

Kraust                              - (sottovoce) O risolto in un altro modo...

Il Presidente                    - Ma senza uccidere. Oppure ucci­dendo senza che nessuno ne sia mai venuto a cono­scenza, oppure in speciali condizioni di sicurezza. Questo è uno dei punti che non è stato ancora chia­rito. La Corte non è certa che la dama in nero non sia mai esistita. C'è stato un confronto, risulta da un verbale della polizia, ma qualche dubbio è rima­sto. Il Procuratore Generale fu presente a questo confronto. La preoccupazione dei giudici mi sembra dunque legittima. Possiamo interrogare il funzio­nario di polizia che decise il confronto, oppure ascoltare il Procuratore Generale. Lei (a Kraust) accettò per buono il risultato del confronto? Perché?

Kraust                              - Il confronto avvenne la stessa notte dell'arresto. Il dottor Kurtiss, che guidava allora gli accertamenti di polizia, ne dispose i termini con molta accortezza. Kurten fu vestito da donna, velato di nero, e posto di fronte all'unico testimone che sembrava in grado di riconoscere la vecchia signora che lo aveva blandito con dolci, e poi accarezzato. Erano le quattro del mattino...

SCENA SECONDA. (Una parete ferocemente illumi­nata, addirittura d'argento. Tre donne vestite e velate di nero, impietrite, siedono su tre sedie. Ai lati, quat­tro agenti in borghese. La luce deve essere addirit­tura terribile. Kraust, davanti alle donne, con i capelli arruffati, le osserva, voltando la schiena al pubblico).

Kraust                              - Dov'è?

Un Agente                       - Credo a destra.

Kraust                              - Alla mia destra?

Un Agente                       - Sissignore, giudice.

Kraust                              - Le altre chi sono?

Kurtiss                             - (entrando) Due fermate per prostitu­zione clandestina. Vorrei che anche lei fosse all'oscuro di chi tra le tre è chi sappiamo... Non voglio che il riconoscimento appaia estorto. Ci sono giornalisti stranieri a mucchi, fuori... Ma è lui, Kraust, senza alcun dubbio, è lui.

Kraust                              - E' lui, sì, Ma chi è questo lui?

Kurtiss                             - Ma che importanza può avere? Esi­ste, è una bestia immonda, e va abbattuto. Il resto è romanzo o esame oltre quanto ci spetta.

Kraust                              - Kurten è suggestivo...

Kurtiss                             - E' infame. Lei può aver ragione, ma io dico che se un individuo uccide per trarre pia­cere dalla morte, bisogna a nostra volta eliminarlo per almeno due motivi: 1) perché non continui ad uccidere; 2) perché non soffra se la società gli impedirà di soddisfare il suo piacere. Le sembra sufficientemente moderno?

Kraust                              - (seccamente) Perfettamente moderno, dottor Kurtiss.. Faccia ammanettare quelle tre (in­dica le tre figure in nero) altrimenti si ammazzano tra loro... (Una delle donne, quella di sinistra, si è tesa quasi fosse in preda ad un attacco isterico).

Una Donna                      - Aiuto! Aiuto!

Kurtiss                             - (accorrendo) Ammanettatela. Sentite­mi, se qualcuno di voi dovesse parlare durante il confronto senza mio ordine, farò tanto da tenerla dentro fin che potrò, e se sarà rimessa fuori la ri­piglio e ricomincio da capo: se obbedite, tra un'ora sarete libere... Tu - (ad una guardia) porta dell'ac­qua... (La guardia esce, e a suo tempo darà da bere alla donna. Un agente, intanto, terrà un suo braccio attorno alle sfalle della detenuta, quasi a protezione).

Kraust                              - Adesso la scelta è più facile... Onesta­mente Kurtiss, lei dovrebbe dirmi chi è.

Kurtiss                             - Credevo che l'avesse capito. Introdu­cete il testimone...

SCENA TERZA. (Entra timidamente un bambino mal .vestito, accompagnato da una giovane donna sciupata, con un bimbo in braccio).

Kraust                              - (al bambino) Vieni avanti… come ti chiami?

Il Bambino                      - Max.

Kraust                              - E di cognome?

La Donna                        - Hotzinger, siamo profughi. Siamo stati occupati dai polacchi.

Kraust                              - Non aver paura, Max. Guarda bene quelle donne. Riconosci quella che parlò con te?

Max                                 - (dopo aver guardato fissamente) Non lo so.

Kurtiss                             - Qual'è la donna che ti offriva le caramelle? Guardale bene, Max! Quel giorno che quella donna ti disse... che cosa ti disse?

Max                                 - Non disse niente.

Kurtiss                             - (paziente) Tua madre disse che ti aveva detto: « Bambino, vuoi una caramella? ».

Max                                 - Ha detto: «Vuoi una caramella?».

Kurtiss                             - (alle donne) Ripetete una per una, a cominciare da sinistra: Vuoi una caramella? Len­tamente... Via da sinistra...

Prima Donna                   - Vuoi una caramella?

Seconda Donna               - Vuoi una caramella?

Terza Donna                    - Vuoi una caramella? (Un pro­lungato silenzio).

Kraust                              - (a Max) Hai riconosciuto la voce?

Max                                 - Non lo so.

Kurtiss                             - Bisognerà che camminino... Da destra, alzarsi una per volta, e camminare. Via. (ha donna esegue, lentamente. Si notano le catene ai polsi. Quando essa passa, quasi sfiorandoli, Max e sua madre si ritraggono spaventati).

Kraust                              - La riconosci? Guardala bene.

Max                                 - Non lo so. (La donna sì è seduta. Sì alza quella di centro. Dopo ancora, quella di sinistra. Lungo silenzio).

Kraust                              - Ebbene?

Max                                 - Non lo so.

Kraust                              - - Raccontami come hai incontrato quella donna.

Max                                 - Ho paura che diventi lupo.

Kurtiss                             - (sfiduciato) E' un'altra storia di Dus­seldorf... Non diventa un lupo, Max. e se lo diventa lo ammazziamo. (Mette sul tavolo una grossa pi­stola d'ordinanza) Che cosa ti disse quando ti of­ferse le caramelle? Voleva portarti via?

Max                                 - (rassicurato dalla pistola) Mi disse se vo­levo una caramella.

Kraust                              - (meccanicamente) Era buona?

Max                                 - Sì.

Kurtiss                             - Ti prese per mano?

Max                                 - No.

Kurtiss                             - E che cosa ti disse quella signora? Voleva portarti con sé?

Max                                 - No, voleva darmi un'altra caramella...

Kurtiss                             - (con un sospiro) Quella signora dun­que ti diede la caramella e poi voleva offrirtene una seconda che tu non hai voluto.

Max                                 - L'ha data ad un altro bambino.

Kraust                              - Max, è necessario che tu sia bravo e attento. Guarda bene quelle tre donne. Avvici­nati, cerca di ricordare, un gesto, una mossa, qual­che cosa, insomma. E' molto importante, per tutti, per tua madre che avrà un premio, per te che ti metteranno sul giornale... Avvicinati... e voi (alle tre donne impietrite) alzatevi in piedi, così... Più luce, se possibile... (Esitante Max si avvicina alle donne, tra Kurtiss e Kraust, poi fa un passo indietro, mette una mano davanti agli occhi per ripararsi dalla luce, tace).

Max                                 - (con una mano alzata) E' quella. (Indica la donna di centro. La donna di centro sviene, mentre la donna dì sinistra comincia a ridere aspro e forte e quella di destra piange).

Kurtiss                             - (sfiduciato a Kraust) Naturalmente Kurten è quella lì... (Indica la donna a sinistra. Il Tribunale toma a mostrarsi, la stanza con le tre donne sì dissocia e scompare).

SCENA QUARTA.

Kraust                              - La donna indicata dal bambino era in­nocente. Era arrivata da pochi giorni da Berlino e potemmo ricostruirne la vita giorno per giorno per oltre tre anni. Si trattava di una schedata con obbligo di presentarsi due volte alla settimana al più vicino posto di polizia. Quindi, Max si era sba­gliato. Oggi in coscienza posso dire che la dama in nero non è mai esistita. Probabilmente si trattò di qualche povera vecchia signora che voleva bene ai bambini... Se la Corte non è soddisfatta, può interrogare il dottor Kurtiss, oppure predispone un I supplemento di istruttoria...

Il Presidente                    - I signori giudici vogliono interrogare ancora il mostro? Io propendo per accettare la tesi del Procuratore Generale. Il Giudice di destra (dopo essersi consultato con il collega) Noi ci riteniamo soddisfatti.

Il Presidente                    - La parola al Procuratore Generale;

Kraust                              - (alzandosi) Kurten, guardate queste foto. (Kurten, con la destra sfoglia un album. Finito dì sfogliarlo ricomincia meccanicamente da capo. Alla terza volta Kraust stende il braccio e si riprende l'album) Li riconoscete?

Kurten                             - (tremante) Chi? Certo, li riconosco... chi sono? Quella donna con lo scialle la riconosco benissimo... chi è. (Sfinito) Se debbo riconoscerli; li riconoscerò... Ma sono molto agitato... non ho I memoria quando sono agitato...

Kraust                              - Li riconoscete?

Kurten                             - Non li conosco, non li ho mai visti­mi faccia guardare. (Kurten sfoglia l'album).

Kraust                              - Li riconoscete ora?

Kurten                             - (più calmo) No, ma penso siano i morti. Non li conosco, voglio dire che non li riconosco, personalmente mi erano indifferenti. Un istante ed erano irriconoscibili... Non avrei potuto vivere se fosse stato altrimenti.

Il Giudice di destra         - E hai vissuto abbastanza.

Kurten                             - Avevo anche una vita normale; e questa era possibile a condizione di non confon­dere cose con altre cose.

Il Presidente                    - Doveva costarvi molta fatica.

Kurten                             - (ingenuamente) Mi era naturale.

Kraust                              - Che studi avete fatto?

Kurten                             - Ho letto qualche libro. Da bambino una baronessa slesiana voleva adottarmi. Se non fosse morta oggi sarei barone.

Kraust                              - Chi era?

Kurten                             - La baronessa Von Honniger.

Kraust                              - (ai giurati) Di costei parleremo tra breve. (A Kurten) Perché avrebbe dovuto adot­tarvi?

Kurten                             - Perché sapevo ascoltare. (A voce bassa) Ero bambino e i miei vivevano in campagna. Poi venne l'esercito per le manovre, e il Kaiser. Dopo scoppiò il vaiolo e Gertrud morì... Avevamo una torre...

Kraust                              - Dite ad alta voce: che cosa avevate?

Kurten                             - (pavoneggiandosi) Una torre.

Il Presidente                    - Una torre di che cosa?

Kurten                             - Una torre con le bandiere dei crociati. Ma Gertrud non era normale, sognava... (Balbet­tando) Sognava e mi raccontava i suoi sogni... La notte eravamo soli... Nelle notti di luna mi con­duceva in cima alla torre e mi raccontava le sue storie. Una volta mi vestì da colonnello degli ulani...

Kraust                              - (bruscamente) Queste non sono scioc­chezze, signori, sebbene io non legga mai. romanzi. Ieri Kurten ha parlato di una contadina che si chiamava Suzel e dormiva con i santi oltre che con lui. Adesso è una baronessa che racconta storie sulle torri. Soltanto da qualche mese sono certo che in quella vita non ci fosse una regina che ucci­deva i malati come la Brinvilliers... (Indica Kurten) Una vita singolare, quella di Kurten, automaticamente intesa ad assorbire ogni altra creatura pari a lui nell'idea del male, sebbene a lui impari nell'azione. E Kurten che non è un vile, ha avuto sempre paura. Ma tuttavia, dal giorno del suo ar­resto, con il tempo, qualche cosa in lui è mutato... Lo avete ascoltato: vuole portare delle domande a Dio. Da tempo egli sa che noi non potremmo ri­spondere se non invocando su di lui la folgore. Questa nostra invocazione è giusta, è moralmente media. Il richiamo a Dio dunque, è l'ultima spe­ranza sua di essere ascoltato... Noi siamo una spe­cie di lavoro, Kurten, abbiamo combattuto per cen­tinaia di millenni, veniamo da lontano, da molto lontano, portandoci i nostri morti e le nostre speranze... Noi non ammettiamo, non possiamo am­mettere, non vogliamo ammettere più le inutili morti, le morti che servono a un uomo solo...

Il Presidente                    - Procuratore Generale, lei parla da due giorni...

Kraust                              - Torno ai fatti... Ho detto che sono in possesso di un documento del Kurten, scritto di suo pugno mesi prima di questo processo. Per con­trollare alcuni elementi di fatto ivi contenuti, que­sta sezione d'accusa si è trasferita nelle regioni sle-siane, in un piccolo villaggio, e con i miei occhi ho visto la pianura, il fiume, la casa degli Hon­niger, delle tombe dimenticate, due con una pic­cola croce e una lontana data, Kurten!... la vostra data! Un'altra priva di segni, alla memoria di Suzel Steigel... un'altra ancora, ricca, piena di marmi: Qui giace... ascoltate, Kurten... la baronessa Ger­trud Von Honniger, l'ultima del nome... Quel tem­po indistinto è tornato, Kurten, ed è un amaro tempo... Questi morti non sono presenti, oggi, e non verranno. Ma se tornassero, servirebbero alla vo­stra causa, forse, a noi stupefatti dalle misteriose origini del male, ma non allevierebbero il peso che schiaccia la vostra anima che mi rifiuto di augu­rarvi immortale! Kurten era un bambino allorché la parola « morte » cominciò a battere nella sua testa... Ogni anno, per sei anni di seguito, le di­visioni di cavalleria dell'impero hanno in quelle pianure compiuto manovre a fuoco... Per circa tre anni questo spaventevole bambino Peter è stata protetto da una signora del luogo, che avvicinò a Kurten temi che questi non doveva più dimen­ticare... In quello stesso periodo di tempo, certa Suzel, accompagnò passo passo, con la bassa tu­mefazione morale della ninfomania, questo svilup­po precoce di istinti... Su questo scheggiato ter­reno biologico, un fermento malsano ha inaridito ogni succo, ogni giusta capacità di relazione... E dopo ancora quell'orribile Duca wuttemburgese... e le esperienze delle grandi città industriali, ricche per alcuni, tragicamente povere per altri... e la guerra, la nostra stupenda grande cavalcata tra i vivi e i morti di ogni terra... Kurten, dunque, non ha avuto niente o ha avuto troppo... Questo vale in un senso più grandioso, non perché gli uomini perdonino, ma perché capiscano...

Il Presidente                    - Procuratore Generale, sono due giorni...

L'Avvocato di parte civile     - Il Procuratore Ge­nerale ha uno strano modo di rappresentare l’accusa di Stato...

Kraust                              - La mia missione è quella della giustizia con amore non con odio... In questo omicida sgan­gherato, c'è il fascino torvo di certi costanti, per noi, errori di natura... Io, per il primo, Kurten, riconosco che voi siete così come per terribili coincidenze altri esseri hanno voluto che foste... Ma non vi gioverà: io ho una prova che vi rende totalmente responsabile... Una prova che noi, già vostri fratelli, già consanguinei vostri, sentiamo vera così com'è vero il Dio nostro, così com'è vera la nostra coscienza, così come è vero il diritto datoci dalla natura di scegliere, dividere, optare, accettare o negare in modi selettivi e critici, quanto è fuori o dentro di noi... Oh, Kurten! Vorrei che quegli esseri che io ho ritrovati nella lontana terra di Slesia fossero vivi per incriminarli uno ad uno, l'una strappandola alla sua capanna, l'altra dalla maledetta torre, ed altri ed altri di questa e di altre città... Vorrei che il pesante carico che vi è destinato pesasse su tante altre schiene ugualmente colpevoli... Io non faccio, come voi fate, Kurten, domande a Dio, ma a quelle creature avrei qual­cosa da chiedere. (Con voce sempre più stanca e quasi disperata) Signori giurati, io non dimenticherò mai quelle piccole tombe smarrite tra i papaveri; Kur­ten le ha aperte quando noi, suoi coetanei, gioca­vamo negli orti e nei cortili; le ha aperte a undici anni di età, deliberatamente, sul fiume in piena; le ha aperte a undici anni, per due creature in­nocenti, anche essi bambini...'Karl e Turly... Al­lora Kurten si chiamava soltanto Peter e si gua­dagnava il suo pane vivendo nella torre degli Honniger i sogni mostruosi di Gertrud, ultima del suo nome, dice l'epitaffio, e così sia. E Kurten mi nar­rava... e a un certo momento, perché anch'io ve­dessi recitò una mostruosa pantomima, così con tre cartoccetti di carta infilati su tre dita, e il dito di mezzo soverchiava gli altri, e li schiacciava mentre il fiume... Una immagine che torna nel corso delle mie notti, che mi ha tolto il sonno e la pace... Kurten, questa diabolica bisogna vi spetta... Chiedo scusa a questa Corte (voce rotta) ma penso...

Il Presidente                    - Procuratore Generale, è contro il Codice di procedura...

Kraust                              - Questo è un giudizio nel quale noi veramente significhiamo la parte buona di Dio.

L'Avvocato di Parte Civile    - Non esiste una parte cattiva di Dio...

Kraust                              - Questo punto sarà deciso dalle nostre individuali coscienze. (Guarda il Presidente che gli fa un cenno col capo) Kurten! Un pomeriggio di giugno del 1893 Bismark, seguendo il comando della Quarta Armata di Cavalleria residente in casa di vostro padre per la durata delle manovre di primavera, abbandonava rapidamente il villag­gio... Sembra un racconto... vero?.., Pioveva...

Kurten                             - (con voce monotona) Le manovre era­no terminate con la vittoria dell'Imperatore, e i soldati ripiegavano oltre il fiume perché in pia­nura era scoppiato il colera... Mio padre era molto contento che gli ufficiali tornassero a Berlino... io no... da qualche giorno soffrivo di una specie di collera, i cavalli mi facevano impazzire... e poi per tre, giorni avevano sparato e gli ulani avevano fatto una carica fino al fiume e anzi due ulani erano annegati... Nel cielo si vedevano le fiamme degli accampamenti che erano stati incendiati per il co­lera... La pioggia le soffocava... Quella sera dovevo tornare dalla baronessa perché gli ufficiali avevano lasciato anche la sua casa... Buttavano petrolio dap­pertutto e poi incendiavano... Il petrolio bruciava pure il fiume... Pioveva fitto fitto... Anche tra le case passavano di corsa le carrette dei soldati... Pioveva... Allora uscii di casa e incontrai Karl e Turly, due miei amici di poco più piccoli di me... Così andammo in giro e aiutammo a spargere pe­trolio... Poi scendemmo in riva al fiume per ve­dere i fuochi sull'acqua... Karl aveva un ombrello, io lo tenevo ed ero in mezzo... Prima che gli uffi­ciali partissero un Duca mi aveva fatto bere dello champagne... Mi girava la testa e sentivo la collera dentro di me... il fiume stava per straripare...

QUADRO QUARTO

SCENA PRIMA. (Il velario alle spalle del tribunale si apre. Sì vede una scorcio di prato, e il fiume; un ponte diroccato. Nel prato un grande albero. I ri­verberi dei fuochi. Lontani tre bambini, Karl, Turly e Peter in mezzo con l'ombrello aperto. Piove. Peter è il più alto di statura. L'ombrello è contadino).

Kurten                             - ...attraversammo il ponte... Io ero in mezzo... ed entrammo nel prato bagnato... (I bambini non parlano, eseguono solamente, lentamente, i movimenti che Kurten descrive. Praticamente si tratta di una pantomima ritmica, quasi danzata. Il tribunale è scomparso, meno Kurten che rimane illuminato) ... In questo punto il fiume aveva rotto gli argini, e l'acqua gorgogliava tra le siepi... Karl j aveva l'ombrello di suo padre, ed io ero in mezzo, tenevo l'ombrello... Lontano passavano gli ussari e la guardia... (Silenzio) Ero pieno di rabbia, ma pure avevo voglia di ridere... Volevamo vedere il fiume, i cani morti... Non avevamo fretta. (Silenzio) Eravamo bagnati e faceva freddo. Turly voleva vedere il fiume... io ero arrabbiato e non ne conoscevo il motivo... così arrivammo fino all'argine rotto... niente aveva importanza.

SCENA SECONDA. (I bambini camminano verso l'argine. Sono vicinissimi, stanno per incurvarsi sull'acqua. Nel silenzio due sole battute).

Karl                                 - Ma la sentite la puzza del petrolio?

Turly                                - (eccitato) C'è un cane morto, c'è un cane morto...

SCENA TERZA.

Kurten                             - (monotono) L'acqua ci bagnò i piedi I e ci curvammo per vedere il fiume. Era un fiume grande grande... (Sulla scena scende il velario mentre i tre bambini sempre più indistinti sono curvi sull'acqua).

La voce di una donna      - (gemendo) Dio, l'An­ticristo! (Kurten si alza, è solo, e con l'ombrello aperto torna a scomparire da dove era venuto).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La scena del terzo atto è sostanzialmente eguale a quella degli atti precedenti. Il Tribunale è aperta­mente illuminato; dietro, il velario nero che nasconde l'altro palcoscenico. All'inizio di questo atto Kraust parla, proseguendo la sua arringa.

SCENA PREMA.

Kraust                              - (proseguendo) Per la seconda volta, Kurten, dico che voi sentirete orrore di me così come io, noi tutti sentiamo orrore di voi... Era notte quando improvvisamente mi diceste: «Po­trei anch'io chiedere pietà perché anch'io ho avuto pietà»... Parlaste di questa città subito dopo i primi vostri delitti, quando vi sentivate condannato a non fermarvi mai più... Potrei leggervi la sua de­posizione, umile, schiva di retorica... E proprio in questa mancanza di retorica risiede l'abbominio di quell'ora notturna... a parlare tanto di morte ave­vamo un po' tutti una sorda voglia di morire, uno sconforto che diventava sempre più grande... La vostra lugubre contabilità, Kurten, gli addendi di questa tetra operazione prospettavano un bilancio fatto da un demonio per altri demoni... e noi era­vamo indifesi dinanzi a questo aritmetico passaggio infernale... Fu allora che interrompeste il vostro riandare nel tempo, per dirmi : « Potrei anch'io chieder pietà perché anch'io ho avuto pietà »... Si­gnori della Corte! Era la prima seppure indiretta ri­sposta ad una domanda che noi avevamo posto giorno e notte all'assassino : « Dall'età di undici anni, dall'epoca, cioè, dei vostri primi due delitti, all'inizio della strage, in questa città, come si è svolta la vostra vita?». Domanda senza risposta, do­manda che pure al metodicismo di Kurten presen­tava il pretesto per svolgere uno dei suoi tanti beni contabili... Nessuna risposta... mai... Ci sono stati cinque anni di guerra... nessuna risposta... meno la seguente : « Potrei anch'io chiedere pietà perché anch'io ho avuto pietà»... E come un pic­colo, sgrammaticato romanzo per signorine, ecco che Kurten scrisse quella sera, per noi ormai in­differenti, pensosi di altre cose, il documento della sua pietà affinché noi avessimo, a nostra volta, pietà... non una pietà reale, concreta, ma egli la voleva egualmente per sentirsi umano, pari no­stro... Intanto i pensieri andavano lontano, la ve­devamo la sua pietà, e anche noi, allora, fummo presi prima dall'ira e poi dalla stanchezza... il protagonista passivo di questa pietà non aveva che una minima importanza, vero Kurten?... Come te­ste capitale per l'accusa di Stato chiedo che questo protagonista sia ascoltato da questa Corte...

Il Presidente                    - (di malumore) Procuratore Ge­nerale, lei parla da cinque giorni e adesso mi porta un nuovo teste. L'escussione dei testimoni è finita da molto tempo...

Kraust                              - Sono d'accordo nel ritenere poco nor­male questa procedura ma non può dirsi che io ab­bia preso questa decisione con leggerezza. Tutta­via ritengo che a sostegno della tesi principale dell'accusa di Stato questo teste sia decisivo... Mi per­metto d'insistere...

Kurten                             - Giudice Kraust, ma perché?

Kraust                              - Kurten, c'è un triste prezzo che bi­sogna pagare. Troppe vittime vostre avrebbero po­tuto dire: ma perché? E' necessario...

L'Avvocato di Parte Civile    - Se è un teste d'accusa non mi oppongo.

L'Avvocato di Difesa      - Qui riapriamo ogni mo­mento la fase istruttoria del processo. Questo Pro­curatore Generale è una scatola a sorpresa e non fa complimenti. Io sostengo...

Il Presidente                    - (interrompendo) Questo teste è ammesso... Usciere, chiamate a deporre questa... questa...

Kraust                              - Maria Liger in Kurten...

Il Presidente                    - (nervoso) Procuratore Generale, avevamo convenuto che la moglie dell'imputato non sarebbe stata più interrogata...

Kraust                              - E' indispensabile, Eccellenza. Bisogna ricostruire qualche cosa che la Liger ha vissuto sen­za sapere di vivere... da questa ricostruzione sor­gerà veramente qualche cosa di nuovo...

Il Presidente                    - (rassegnato) Maria Liger in Kur­ten che entri per deporre...

La voce dell'Usciere        - Maria Liger in Kurten, Maria Liger in Kurten...

SCENA SECONDA. (Entra, scortata da un gendarme in uniforme, Maria Liger).

Kraust                              - La testimone è stata tradotta in istato di arresto perché responsabile di resistenza alla forza pubblica. E' stata citata a comparire davanti a questa Corte in virtù del Decreto Legge 14 ago­sto 1891, n 587. Decreto al quale faccio esplicito riferimento contro la certa opposizione dell'avvo­cato difensore del Kurten. In alcuni casi anche il coniuge può essere convocato non per presentare testimonianza contro un altro coniuge, o a favore, ma per illuminare la giustizia su punti necessari da chiarire... Non si tratta, avvocato, di una te­stimonianza nel senso che comunemente diamo a questa espressione ma di una chiarificazione di stati d'animo... Comunque, essendosi rifiutata a deporre, la polizia su mio ordine ha tradotto a forza la nominata Maria Liger in Kurten...

Il Presidente                    - Procuratore Generale, è nei suoi poteri convocare questo teste e nei miei rifiutarlo...

Kraust                              - Non può esservi conflitto, in questo caso, Eccellenza, tra l'accusa di Stato e Lei che rap­presenta la giustizia in tutta la sua estensione... Se lei rifiuterà questa teste, io come potrò oppormi?

Il Presidente                    - (al gendarme, dopo un poco di si­lenzio) Voi, tiratevi da parte. (A Maria Liger) Conosciamo le vostre generalità... Non possiamo farvi giurare di dire la verità, ma è nel vostro di­ritto di giurare...

Maria Liger                      - Sulla Bibbia lo giuro.

Il Presidente                    - Professione, mestiere'?

Maria Liger                      - Innocente!

Il Presidente                    - (alzando le sfalle, e rivolgendosi a Kraust) Maria Liger, è stata già interrogata? C'è un verbale, una deposizione, qualche cosa in­somma?

Kraust                              - Eccellenza, ho preferito non interro­garla su quanto interessa l'accusa in questo mo­mento... Ignora perfino per quale motivo io l'ho convocata davanti a questa Coìte...

Il Presidente                    - (a Maria Liger) Conoscete l'im­putato?

Maria                               - E' stato mio marito per undici anni.

Kraust                              - Voi vi divideste da vostro marito circa tre anni or sono. Perché?

Maria                               - Non andavamo d'accordo.

Kraust                              - Non andavate d'accordo. Vi divideste consensualmente?

Maria                               - Ci dividemmo in pieno accordo.

Kraust                              - Perché?

Maria                               - Non c'era un perché preciso.

Kraust                              - Riflettete bene: cosa vi decise a divi­dervi per sempre?

Maria                               - (sottovoce) Forse fu per colpa mia.

Kraust                              - Una vostra colpa? Riguardava il pas­sato?

Maria                               - (dopo un lungo silenzio) Anche.

Kraust                              - E' essenziale che voi...

L’Avvocato della Difesa       - E' essenziale che Maria Liger dica quanto ritiene giusto dire.

Kraust                              - E' essenziale che Maria Liger. dica quanto conosce. Vi divideste per un fatto, non so, per un contrasto, per una incapacità di convivere insieme, per una incompatibilità sostanziale di ca­rattere? Oppure per un motivo preciso, esempio, un motivo attinente ai fini di questo processo?

Maria                               - Non c'era un perché preciso.

Kraust                              - L'imputato poteva rimproverarvi qual­cosa?

Maria                               - Non credo.

Kraust                              - Come è già noto a questa Corte, ri­tengo opportuno sottoporre al Presidente e ai Giudici il certificato penale di Maria Liger in Kurten. (Consegna a un usciere un foglio di carta che a sua volta l'usciere consegna al Presidente. Seccar mente) Domando che il processo prosegua a porte chiuse data la delicatezza delle domande che l'accusa di Stato deve rivolgere alla teste... faccio formale istanza.

Kurten                             - (sollevando il viso) Le ripeto, giudice Kraust, che mia moglie è innocente.

Kraust                              - (meccanicamente) Faccio formale richiesta a Sua Eccellenza il Presidente.

Il Presidente                    - La richiesta del Procuratore Generale è accolta. Guardie, fate sgombrare l'aula... (Si sente un tramestio di voci e di passi. II Tribu­nale siede silenzioso).

Il Giudice di destra         - Qualche giornalista po­trebbe rimanere?

Il Presidente                    - Non più di otto, compresi i giornalisti stranieri. (Rivolgendosi ad un ipotetico banco della stampa). Rimaniamo intesi che quanto udrete non dovrà essere pubblicato, ma utilizzato esclusivamente ai fini di meglio comprendere la situazione processuale e la psicologia dell'imputato e dei testi. Sono sicuro che questa vostra assicurazione |non sarà negata alla Corte da me presieduta....

SCENA TERZA.

Kraust                              - La condanna da voi subita a cinque anni di reclusione per omicidio è stata la causa dei vostri dissensi con l'imputato?

Maria                               - (stecchita) Quando mi sposai con Peter Kurten egli sapeva. Non se ne parlò mai tra noi.

Kraust                              - Perché?

Maria                               - Non l'avrei permesso. Io ho ucciso e non ho nascosto perché ho ucciso. La Corte d'Assise mi condannò a cinque anni proprio perché comprese che avevo diritto a delle attenuanti. Tra me e Peter vi fu un accordo vero e proprio che entrambi abbiamo rispettato.

Kraust                              - (a un ipotetico banco della stampa) Com'è noto, Maria Liger uccise dopo undici anni di convivenza il suo amante, un giardiniere, perché l'aveva abbandonata. Kurten la sposò subito dopo la sua liberazione dal carcere. (A Maria Liger) Quindi la vostra separazione non fu originata dal vostro passato, ma da qualche cosa di presente, di preciso... Allora, vi divideste da Kurten, perche?

Maria                               - Non c'era un perché preciso.

Kraust                              - Avevate immaginato, forse, che Kurten non era un uomo normale?

Maria                               - (dopo un lunghissimo silenzio) Non ho mai pensato a certe cose...

Kraust                              - Durante la vostra vita in comune c'è stato mai qualche episodio che vi abbia portato a riflettere, ad aver paura...

Maria                               - (dopo un altro lungo silenzio) Non ho capito la sua domanda

Kraust                              - Dove avete incontrato, per la prima volta Kurten?

Maria                               - In una birreria.

Kraust                              - Che impressione vi fece?

Maria                               - Di una brava persona, povera...

Kraust                              - Vi fece altra impressione?

Maria                               - Non gli piacevo, questo lo ricordo benis­simo. Debbo testimoniare che con me fu sempre corretto e signorile. Ricordo, anzi, che la prima volta si mise anche a piangere.

Kraust                              - Perché?

Maria                               - (indifferente) Non ricordo. Quando mi chiese di sposarlo, mi disse anche del suo passato. Dieci anni fa Peter era stato condannato almeno venticinque volte, ma per piccole cose.

Kraust                              - E lo sposaste lo stesso?

Maria                               - A quel tempo non me la sentivo in grado di giudicare nessuno. Io stessa ero uscita dalla pri­gione da pochi mesi.

Kraust                              - L'avete sposato per amore?

Maria                               - (rivolgendo un breve sorriso a Kurten) Non saprei rispondere, ma avevo bisogno di pace, di una mano che mi proteggesse, di una casa. Peter a quel tempo era un vero signore.

Kraust                              - (insistente) L'amavate?

Maria                               - (riluttante) Credo di sì... Era buono.

Kraust                              - Allora, perché vi siete divisa da lui?

Maria                               - (con uno scatto di ribellione) E' la quarta volta che mi domanda questo perché. Perché non lo so... Non andavamo più d'accordo; non avevo trovato la pace né la casa... non c'era un motivo preciso.

Kraust                              - (dopo molto silenzio) La vita familiare è anche fatta di rapporti sessuali... Come erano questi rapporti?

Maria                               - (arida) Dopo qualche mese dal nostro matrimonio, nulli.

Kraust                              - Vi siete divisa per questo motivo?

Maria                               - Anche.

Kraust                              - Nella vostra vita in comune vi è mai apparsa la possibilità che vostro marito fosse anor­male?

Maria                               - (titubante) Una volta sola.

Kraust                              - E quali furono le vostre reazioni?

Maria                               - Così... (Alza le spalle).

Kraust                              - Parlateci della vostra vita in comune col mostro.

Il Presidente                    - L'anormalità di vostro marito non vi pose nessun problema?

Maria                               - No, Eccellenza.

Il Giudice di sinistra        - Perché?

Maria                               - Non ho voluto che lui notasse che io l'avevo notato.

Il Presidente                    - Che cosa avevate notato?

Maria                               - (tace a lungo) Non credo sia utile al processo.

Il Presidente                    - Questo è un punto che giudi­cherò io...

L’Avvocato Difesa         - Per il carattere stesso di questa testimonianza che io ritengo inoperante ai fini del processo, ingiusta e viziata, mi permetto di ricordare alla teste che, se vuole, può non ri­spondere.

Maria                               - Non rispondo.

Il Presidente                    - Non rispondete?

Maria                               - (accomodante) Se posso non rispondere, non risponderò.

L'Avvocato Difesa          - Potete anche ritirarvi, se lo desiderate.

Maria                               - (brevemente) Non lo desidero.

Kraust                              - Potete parlarci della vostra vita in co­mune con Kurten?

Maria                               - L'ho incontrato in una birreria, a Dus­seldorf, ed ero da pochi mesi uscita dal carcere femminile di Lipsia... Avevo molto sofferto, ed ero molto inquieta per il mio avvenire... In quel momen­to ero cameriera presso una signora francese. Dopo sposata trovai un posto da una signora sola... e a casa sua, di notte venivano sempre degli ufficiali francesi, qualche volta marocchini... Non è stato un bel periodo... a quel tempo ero anch'io una donna che poteva interessare... dovevo sempre difen­dermi... e non sempre ci riuscivo... Quando ho in­contrato Peter Kurten, in una birreria, e quando mi disse che voleva sposarmi mi sembrò di toccare mille cieli con un dito solo... anche se mi disse di essere pregiudicato...

Kraust                              - Potevate non sposarlo.

Maria                               - (con un gesto di disperazione) Perché? Io non ero niente meglio di lui... Siamo stati felici qualche mese, poi Peter diventò rabbioso... La ve­rità è che quando mio marito si trovava in una rissa o in una lite, per forza doveva buttarcisi den­tro... Era come se perdesse la testa... Giudice Kraust, lei mi ha interrogato giorni e notti, ed io ho sem­pre difeso Peter...

Kurten                             - (blando) Perché, Maria?

Maria                               - (bellicosa) Ma adesso parlo (a Kurten) non contro di te, ma parlo, parlo         - (istericamente) parlo... Peter era un uomo normale, ma non lo era, io posso dirlo... Quasi sempre mi svegliava di notte con i suoi latrati... ringhiava come un cane... La nostra vita non era vera, ma falsa, fatta di niente... e non c'era cosa peggiore di quando sor­rideva... Avevo una paura mortale... e non ne sa­pevo il motivo. Non apparteneva al nostro mondo... si metteva seduto in cucina, vicino a me, e non parlava... Non parlava mai... guardava il fuoco... Pensava, ma i suoi pensieri rimanevano sempre con lui... (Con un brivido) Era tremendo, sempre cor­tese, pulito, per bene, ma non riuscivamo a comu­nicare tra noi... Pensava sempre a cose che io non potevo pensare... Ho passato otto anni in questo modo... Non avevamo mai niente da dirci, io e Peter. La notte dormiva e sembrava un cane... ran­tolava... e poi scriveva poesie...

Kraust                              - Presentatene qualcuna a questa Corte.

Maria                               - No, sono mie... A quel tempo Peter era militare...

Kraust                              - Non eravate ancora sposati?

Kurten                             - Mi sono sposato di nascosto, da soldato.

Maria                               - Allora eravamo sicuri che la guerra era vinta, e ci sposammo, perché volevamo andare nel Transvaal... invece la guerra era già persa, ma non lo sapevamo... Dopo andai come cameriera dalla signora Srodew, qui a Dusseldorf.

Kraust                              - Eravate già sposata?

Maria                               - Sì.

Kraust                              - E avvertiste vostro marito dei pericoli che correvate in quella casa?

Maria                               - Sì.

Kraust                              - E lui che cosa vi disse?

Maria                               - Voleva che gli raccontassi tutto.

Kraust                              - Tutto?

Maria                               - Tutto. In quel tempo era continuamente in carcere per risse.

Kraust                              - Vi invitò a lasciare la signora Srodew?

Maria                               - No, mi disse che certe cose non hanno importanza.

Kraust                              - Fu questo episodio che vi allarmò?

Maria                               - No. Allora avevo già capito che Peter non era come tutti gli altri, così che inventavo per­fino dei fatti per fargli piacere... Debbo dire la verità, giudice Kraust?

Kraust                              - (dolcemente) Sì, e fin dove potete.

Maria                               - Dopo qualche mese di matrimonio fui contenta che Peter fosse così com'era. Non riu­scivo a capirlo, e allora dovevo dimenticarlo, dimen­ticare tante cose oltre di lui... Peter non si forma­lizzava su certe cose, purché io gli raccontassi tutto... (vergognosa) niente escluso... e lui era contento... Ma quando non era in prigione, io non vivevo, mi guardava sempre con degli occhi sbagliati... voglio dire, non mi guardava... Non mi chiedeva mai niente, neanche di ciò che facevo...

Kraust                              - E quando invece, vi chiedeva di que­ste cose?

Maria                               - Quando era in carcere... sono stati otto anni terribili, senza niente da rimproverargli, senza liti... Era come se non esistessi. Una vita soffocata, lui usciva la sera, tornava all'alba, ringhiava, can­tava, e una volta dormì accanto al camino... Ero infelice, giudice Kraust, infelice perché non c'era niente, perché le ore erano sempre uguali, perché Peter non aveva misericordia... Non potevo nem­meno sfogarmi con lui perché era sempre buono... ma lontano, adesso capisco il perché, lontano come se vivesse nella luna... Quante volte veniva, all'alba, sporco di terra bagnata... il rumore mi destava... diceva: buon giorno, e si addormentava fino a sera... Qualche volta mi raccontava delle assurdità... che io credevo allora alle assurdità... i canti nei boschi, di notte... Ma intanto la mia casa deperiva, eravamo troppo soli, io e Peter, lui usciva, poi rien­trava, diceva: buon giorno e dormiva... Ma io non volevo lasciarlo, avevo sofferto troppo con Karl...

Kraust                              - Chi era Karl?

Maria                               - Karl l'ho ucciso, lei lo sa bene... Non volevo soffrire ancora. Ma non avrei mai pensato che Peter fosse peggiore di Karl...

Kurten                             - (triste) Io non sono peggiore di Karl, Maria...

Il Giudice di sinistra        - Questa deposizione è inutile ai fini del processo...

Il Presidente                    - Procuratore Generale, conti­nuiamo?

Kraust                              - Maria Liger arriverà inavvertitamente al punto che io aspetto1. Maria Liger, avete mai pensato che Kurten avrebbe potuto uccidere anche voi?

Maria                               - Dopo l'ho pensato. Ma perché non mi ha ucciso?

Kraust                              - Siete sicura che Kurten non abbia mai tentato di uccidervi?

Maria                               - Sono certa.

Kraust                              - Certa, matematicamente certa?

Maria                               - Se avesse tentato di uccidermi me ne sarei accorta.

Kraust                              - E se non ve ne foste accorta?

Maria                               - Con me è sempre stato cortese...

Kraust                              - Non vi ricordate che abbia tentato di stringervi il collo?

Maria                               - (seccamente) No.

Kraust                              - Vi ha sorpreso la confessione di Kurten?

Maria                               - Credo di essere quasi svenuta... addirit­tura morta...

Kraust                              - Continuate, ma riflettete su questo punto: io vi dico che Kurten una sera ebbe il desiderio di uccidervi... forse pensandoci ricostruirete quel momento... Io ho la sua confessione, Eccellenza. (Al Presidente) Una confessione senza alter­native... non esiste né può esistere alcun dubbio...

Kurten                             - Io ho confessato uno stato d'animo… a lei in via privata...

Kraust                              - No, Kurten, avete confessato un fatto ed io non sono un uomo privato...

Kurten                             - Ma Maria non se n'è nemmeno accorta...

Kraust                              - Avete chiesto pietà per la vostra pietà... Ma perché fare delle polemiche fra di noi? Voi, Kurten, avete o no avuto, una notte, pietà di vostra moglie? Se sì, qual è stata la conseguenza di questa pietà?

Kurten                             - (serenamente) Io non l'ho uccisa.

Kraust                              - Questo è il punto che io debbo stabilire, e lo stabiliremo insieme... Io assumo per vera la vostra versione, ma vostra moglie non riesce a ricordare un episodio del genere... Maria Liger, ve lo ricorderò io...

Maria                               - Io sono stata infelice, con Peter, ma niente altro... Io non accuserò mai mio marito di quanto non ha fatto.

Kraust                              - (interrompendo) Questo fa parte del patto? (Un minuto di silenzio).

Maria                               - (scattando come una pazza) Non mi importa, non mi importa... Lei che cosa crede di es­sere? Un uomo buono? Che m'importa... Non c'è stato patto, non c'è stato niente... E' venuto da me, dopo due anni che eravamo divisi, e mi ha detto di conoscere il mostro... Sissignore, voleva che io avessi la taglia che la polizia ha messo sul mostro... Sissignore, è così, è proprio così... ma chi è che lo ha denunciato? (Con voce funebre) Io non lo avrei denunciato, l'avrei ucciso se avessi potuto, se non fossi svenuta... L'ho denunciato perché è lui che l'ha voluto1, ma se anche non l'avesse voluto l'avrei denunciato lo stesso, o l'avrei ammazzato... (Singhiozzando) Non ho avuto il coraggio, mi fa­ceva paura... aveva la faccia di un bambino... E' vero, mi ha detto: denuncia il mostro, ti comprerai una fattoria in Pomerania... Non mi ha detto ti voglio bene: mi dispiace per te... Sapeva che lo avrei ammazzato se si fosse addormentato, e che avrei portato la sua testa alla polizia... Non è un patto, ma dopo che sarà decapitato dove andrò io che non c'entro, io che sono innocente? (Piange accoratamente con grossi singhiozzi) Non è un patto... non è un patto... se l'avessi saputo prima l'avrei denunciato o l'avrei ammazzato... non è un patto...

Kraust                              - (dolcemente) La taglia dovrà esservi riservata...

Maria                               - (piangendo sempre più forte) ... Aveva la faccia di un bambino... (Un lungo silenzio; i giudici sono immobili),

Kraust                              - Nessuno ha mai sostenuto in buona fede una qualunque complicità vostra con Peter Kurten! Il problema è diverso, Maria Liger... qui nessuno è cattivo... nessuno vuol farvi piangere... avete già pianto, troppo, ed io non permetterò an­cora pianto inutile in questa storia di diavoli e di inferni.,. (Tace per un poco) Quando vi siete di­visi, in che epoca?

Kurten                             - (ringhioso) Giudice Kraust, lasciate per­dere Maria...

Kraust                              - (senza notare l'interruzione) Vediamo, non fu una imprecisata sera del giugno millenove-centoventisei?

Maria                               - (sempre piangendo) Non fu studiata, venne da sé.

Kraust                              - Perfettamente, questo coincide con le dichiarazioni di Kurten. Andaste prima in una bir­reria, poi, uscendo da quel locale, intervenne la decisione... Ne avevate già parlato?

Kurten                             - Sì, signor giudice.

Kraust                              - (rivolgendosi a Maria) Da molto tempo?

Kurten                             - Da qualche mese.

Kraust                              - Io sto interrogando il teste, non voi. Domando: Maria Liger, prima di quella sera ave­vate tra voi già discussa l'opportunità di separarvi?

Maria                               - (sempre con singhiozzi, via via più brevi) Sì, qualche volta.

Kraust                              - Sapevate che quella sera si sarebbe conclusa con la vostra separazione?

Maria                               - Sì, o quasi.

Kraust                              - Che vuol dire: o quasi.

Maria                               - Pensavo che Peter non volesse che questo avvenisse.

Kraust                              - Invece avvenne?

Maria                               - Sì.

Kraust                              - Non ricordate niente di particolare che avvenne quella sera?

Maria                               - (asciugandosi gli occhi) No.

Kraust                              - Vediamo... Non ricordate la data?

Maria                               - Era la fine di maggio o i primi di giugno.

Kraust                              - Andaste prima in una birreria. E dopo?

Maria                               - Ero disperata, non avevo voglia di an­dare a casa. Non avevo denaro. In quel tempo abi­tavo con la signora Srodew e avrei voluto non tor­narci più... Peter sin da allora abitava, cerne quando fu arrestato, vicino al gasometro... Io pensavo che se avessi potuto tornare con lui avremmo, forse, potuto riconciliarci... Andammo a piedi, io lo accompagnai.

Kraust                              - Di che umore eravate?

Maria                               - Ero triste, avevo paura... Paura non di Peter, ma della vita. Nessuno è mai stato buono con me... Io credevo che sulla porta della birreria ci saremmo separati, e per sempre, ma era pensoso e ne approfittai per accompagnarmi con lui... spe­ravo ancora...

Kraust                              - Ricapitoliamo, e tentate di ricordare con la maggiore esattezza possibile... Dunque, usci­ste da quel locale che era notte inoltrata...

L’Avvocato Difesa         - (inquieto) Procuratore Ge­nerale, questo non è più uno stato d'animo.

Kraust                              - Io non faccio trucchi, e mi sembra giu­sto che la teste dica quello che sente... Io l'accom­pagno dove lei ha dimenticato o non troverebbe la buona strada.

L’Avvocato Difesa         - Io non discuto le sue buone intenzioni, ma questa deposizione giova all'impu­tato. Mi sembra significativo, e per la difesa pre­occupante, che proprio il Procuratore Generale insi­sta perché divenga sempre più giovevole...

Kraust                              - Avvocato, è proprio questo che io voglio dimostrare...

L’Avvocato Difesa         - (interrompendo) Che cosa, santo Dio?

Kraust                              - Che Kurten era capace di pietà e di bontà...

Il Presidente                    - (a Maria) Raccontateci di quella notte.

Maria                               - -.Io lo accompagnai... Camminavamo piano piano, e mi venne anche da piangere... Parlavamo che eravamo tanto infelici...

QUADRO QUINTO

SCENA PRIMA. (Si alza il velario. Un piccolo giar­dino pubblico, spoglio, con qualche accenno di fiori. Una statua nel centro. Kurten parla, seduto su una panchina, con Maria a fianco. Nel giardino arriva una lieve luce lunare).

Kurten                             - Io non prego mai... e tu'?

Maria                               - Secondo... Come faceva, di', quel mo­tivo che cantava la berlinese?

Kurten                             - (accenna ad alta voce, stonando, un mo­tivo) Sembra una marcia di cavalleria... Tum, tum, tum, tum, li senti i cavalli tra il grano? Tum, tum, tum, tum. Adesso come ritornerai indietro?

Maria                               - A piedi... Senti, Peter, non vorrei ritor­nare dalla signora Srodew.

Kurten                             - (pensoso) Io non prego mai... Quel Dio che se ne sta lassù credo non sappia nemmeno che io esista...

Maria                               - (stanca) Perché? Dio ama tutti, ma ognuno ama ed è riamato diversamente... Quando lo disse un pastore non ci volevo credere, ma poi è così... Io ho sempre amato in un modo e sono stata riamata in un altro...

Kurten                             - Hai visto che vai in chiesa?

Maria                               - Beh, che c'è di male? I poveri, Dio, li ama diversamente.

Kurten                             - (filosofico e triste) I poveri peccano in un altro modo dei ricchi, ecco tutto. (Si prende il capo tra le mani) Sembra ancora inverno...

Maria                               - Per fortuna non abbiamo avuto figli.

Kurten                             - E' una fortuna?

Maria                               - Sì... I figli cominciano come vuoi e fini­scono come vogliono. Senti, adesso chi starà attento alla tua casa?

Kurten                             - (seguendo una sua idea) Tu sei con­tenta?

Maria                               - Io no, ma non mi fido di morire... Una donna fa i suoi calcoli, soffre in terra, avrà la gloria in cielo, ma Dio è capace che la prende in un'altra maniera... Uno non può soffrire sempre e a forza di soffrire può anche scoprire il modo di goderci, qualche volta... Pensa se ti dicessero, poi, che in fondo, sì, va bene, hai sofferto, ma pure goduto! Prima di conoscerti avevo per amico un anarchico che non si fidava di come le cose pos­sono essere viste lassù... Lo hanno ammazzato.

Kurten                             - (interessato) Perché?

Maria                               - Non lo so... Adesso dovrà fidarsi per I forza... Se Dio vedesse le cose come le vedo io, io mi fiderei, capisci...

Kurten                             - Un giorno ho scritto una poesia che I diceva: «Gli uomini son buoni e son cattivi -Ma davanti a Dio dovranno andar - Allora i cattivi saranno buoni - Come tutti i buoni che stan qua... ».

Maria                               - Che significa? Senti, perché non pensarci ancora? Fa freddo, è così triste. Che hai?

Kurten                             - Significa che i cattivi sulla terra potranno anche essere i buoni in cielo... non ti pare?

Maria                               - E' un'idea... e poi fa comodo... (Silenzio) Ma non senti freddo?

Kurten                             - (con scherno) Che stupida primavera! Al mio paese, in primavera, i fiori sono grandi così (indica fino al petto) ...rossi. (Si altera) Mettevano rabbia... erano tanti che si mangiavano trai di loro... Buona notte, Maria.

Maria                               - (irritata) Lascia che venga ancora una volta a casa tua... Peter... I tram sono finiti e noni so nemmeno dove mi trovo... (Esitando) Vedi, noni vorrei stare più con la signora Srodew... potrei trovare un posto di cameriera... ma non ho nemmeno un marco... Non puoi darmi cinquanta marchi?

Kurten                             - (furioso) Piangete sempre! (Il viso gli si scompone, diventa demoniaco, Maria non lo vedi I perché è seduta sui gradini del monumento e piangi con la testa china) Piangete sempre... (Bruscamente le solleva il viso e la guarda negli occhi) E piangi, piangi!

Maria                               - Piangerai anche tu, sta certo... Perché; mi hai fatto venire fin qui? Ancora una notte…Peter...

Kurten                             - (sedendo vicino a lei, sui gradini del monumento) Ma che cosa vuoi? (Sottovoce, selvaggiamente) Io vi odio tutti, tutti... (A sua volta » mette a piangere) Ma che debbo fare?

Maria                               - (spaventata) Non voglio tornare dalla! signora Srodew. Fammi venire a casa tua, questa notte soltanto, così non andrò dalla Srodew... domattina, se mi darai i cinquanta marchi, troverete da dormire in un albergo e in pochi giorni mi dal ranno un posto di cameriera presso qualche famiglia francese... Sono tanto stanca... se mi porti a casa tua mi dai il paradiso...

Kurten                             - (terribile e freddo) Lo vuoi proprio questo paradiso?

Maria                               - (improvvisamente sgomenta) Dammi il cinquanta marchi, allora, così domattina lascio lai signora Srodew... (Un lungo silenzio; la luna diventa esigua) Ma che cos'hai, Peter, che cos'hai

Kurten                             - (come destato) Che cosa hai detto?

Maria                               - (pazientemente) Vedi, con cinquanta! marchi dormo e mangio almeno per cinque giorni (Carezzevole) Vedi, tu che possiedi una casa non hai mai sognato una casa; ma per me l'idea di dor­mire, al caldo, sicura, senza francesi e marocchini che battono alla porta della signora Srodew, non è che l'idea del paradiso... Dio è l'idea di un letto, gli angeli li vedo come il caffelatte e il pane con burro...

Kurten                             - (ridendo e piangendo insieme) Gli an­geli caffelatte?

Maria                               - Il paradiso è soggettivo... dammi cin­quanta marchi...

Kurten                             - (svagato) Ma non li ho, Maria...

Maria                               - (risoluta) Allora lascia che torni a casa...

Kurten                             - (bieco) Partenza per il paradiso, allora... (Si alza) Andiamo.

Maria                               - Da questo punto non potrei ritrovare la casa... Che cosa sono quegli alberi?

Kurten                             - Da quella parte c'è il bosco, io abito tra il bosco e il gasometro...

Maria                               - Ci arriverò appena tanto sono stanca. Ma se preferisci che io vada, dammi i cinquanta marchi... Oh, Peter, quanti anni sono passati dalla prima volta...

Kurten                             - (nervoso) Non li ho, non li ho, ho detto. Andiamo...

Maria                               - ... Oh, se gli uomini fossero più buoni...

Kurten                             - (si china, strappa un fiore e glielo offre) Anche a me piacerebbe, ma come si fa? Io non ci credo... (Con il viso infuriato) Essere buoni penso voglia dire pensare...

Maria                               - Io non so se sono stata buona, ma non ho mai avuto niente, e per essere buoni bisogna avere qualche cosa...

Kurten                             - (prendendola per la mano e guidandola per il bosco) Per esempio?

Maria                               - (ingenua) Per esempio, dell'amore, della pietà, oppure del coraggio, oppure cinquanta mar­chi quando veramente ti occorrono...

Kurten                             - Questi sono pensieri, Maria...

Maria                               - (fermandosi) Ho coraggio e pietà, ma chi me li ha mai domandati?

Kurten                             - (trascinandola) Se te li avessero chie­sti, li avresti dati?

Maria                               - (aspra) Tu non me li hai chiesti, ed io te li ho dati egualmente... Ma bisogna almeno essere amati un poco, un po', non dico molto che fa male... (Escono dal giardino, si sentono le voci diventare semfre più fioche. Per un istante, scena vuota. Ma subito dopo, Maria e Kurten ritornano. Kurten è nervoso, quasi avesse subito un forte collasso).

Maria                               - (terrificata) Tu sei pazzo... mi hai fatto male. (Fredda ma ancora spaurita) Siamo sposati da dieci anni, ma credevo che non pensassi più a certe cose... Neanche in una notte d'addio come questa. (Gli si avvicina e gli mette le braccia al collo) Ma tu hai ragione, che ci sarebbe di male?

Kurten                             - (impazzito) Andiamo nel bosco...

Maria                               - (sottovoce) Peter, andiamo a casa, a casa nostra... (Cow slancio) Ma se preferisci il bosco, andiamo pure, ma è così lontano... Ma qui non è meglio? Sono le tre, chi vuoi che passi...

Kurten                             - (con voce caricaturale, ma terribile) Sono le tre, chi vuoi che passi?

Maria                               - E' una buona chiusura, Peter... (Bisbi­gliando) Dietro il monumento è scuro...

Kurten                             - (con tragico autismo) Fa freddo, fa freddo, fa freddo... (Sembra cercarle il collo men­tre le accarezza il viso) Fa freddo...

Maria                               - (dandogli un bacio) Quello chi è? (In­dica il monumento).

Kurten                             - Federico il Grande!

Maria                               - (roca) Siamo a Potsdam... (Con un alto, lamentoso grido) Oh, Dio!

Kurten                             - (stravolto, con un ghigno stupido) Che cosa ti ho fatto?

Maria                               - Che dita fredde! Non mi stringere il collo, Peter, Dio... Dio!

Kurten                             - (si stacca da lei e si mette seduto sui gra­dini del monumento) Lascia che io vada a casa.

Maria                               - (paziente) Stai male? (Convenzionale) Staremo sempre male ormai, Peter... sempre male... Noi non ci siamo mai amati, se nemmeno in que­sta ultima notte possiamo avere dei rimpianti... Pe­ter, dammi i cinquanta marchi.

Kurten                             - (lentamente) Ti ho dato ben altro, e non lo sai... Che cosa farai, da domani?...

Maria                               - (arida) Sono affari miei. (Conciliante) Dammi cinquanta marchi, il benservito per dieci anni di matrimonio, Peter...

Kurten                             - Sì.

Maria                               - (selvaggiamente) Dici come si fa ad es­sere buoni? Dammi i soldi e vado a dormire... Sarà il tuo solo< gesto di bontà... Vedi, quando uno ha dei dispiaceri, i dispiaceri rimangono, Peter, non vanno via fino a che non hanno' partorito. (Sten­dendo la mano) Dammeli...

Kurten                             - (parlando a se stesso) Tu non ti fidi...

Maria                               - (alzando la testa) No, non mi fido, non mi fido in terra né in cielo, non mi fido... Dammeli, non ne posso più, dammeli... (Lamentosa) Dam­meli... ti prego, Peter, dammeli... sono tanto stanca...

Kurten                             - (apre il portamonete, sceglie accuratamente e conta del denaro che versa nella mano tesa di Maria) Fa freddo, Maria, fa tanto freddo. (Len­tamente Maria se ne va. Kurten è quasi riverso sui gradini del monumento. Si odono i suoi singhiozzi, più rantoli dì bestia che di uomo. La luce della luna è tornata).

Maria                               - (voltandosi appena) E' finita, Peter.... Adesso, viene anche il vento...

QUADRO SESTO

SCENA PRIMA. (Scende il velario, e il Tribunale torna a riaffiorare nella sua solita, violenta luce).

Kraust                              - Una deposizione risolutiva, eccellen­tissima Corte... Kurten ha, senza supporlo, giuocato la sua testa e l'ha perduta... Molte notti 1k» vegliato in un dubbio per me atroce: Kurten era responsa­bile o no? Kurten era pazzo o no? Kurten era ca­pace di libero arbitrio o no? Io, titolare in questo giudizio della coscienza morale e giuridica del popolo tedesco, a nome di questa coscienza dovevo, da voi, tentare di ottenere la testa di Kurten oppure l'internamento in un manicomio criminale? Costui doveva ancora vivere o doveva morire? Poi, una sera, egli chiese pietà perché anche lui aveva avuto pietà... Ma, Kurten, se il vostro dubbio che que­sta Maria, morendo, sarebbe stata infelice così co­m'era infelice viva, ha potuto salvarla, perché non avete dubitato ancora, perché non avete salvato le altre creature, innocenti come Maria Liger? Kur­ten! Se avete vinto una volta l'immonda forza che, dite, vi dominava, perché non avete combattuto ancora? E non avete ancora vinto? Lo potevate...

Kurten                             - (interrompendo) Lei dice che questo fatto avvenne in una imprecisata notte di giugno. Preciso, era il due...

Kraust                              - E' una precisazione che...

Kurten                             - (insistendo) Ma controlli le date, Ec­cellenza!

Kraust                              - (cercando tra le carte, nervosamente, fino a che trova un documento) In questo caso la data non ha nessun valore... (Si ferma sbigottito)Kurten ha ragione... (Con voce afona) E' una data che ha importanza... E' la data del suo quarto delitto compiuto a Dusseldorf, un'operaia che, a piedi, andava al lavoro... Località giardino Federico...

Kurten                             - (ceni un sorriso mite) Io e Maria era­vamo uguali...

Maria                               - (che ha compreso) Vigliacco, vigliacco! (Si dibatte tra le braccia del gendarme che si è precipitato su di lei) Sporco, maledetto da Dio... sporco... voleva uccidermi... siamo uguali?

Il Presidente                    - (nervoso, al gendarme) Porta­tela fuori... state zitta...

Kraust                              - Questa notte sono andato a vedere i miei due bambini dormire... Davanti al loro sonno ho capito che non avrei mai capito, che i miei dubbi, rappresentavano il naturale terrore della specie uma­na davanti ai suoi distruttori, uomo o animale che siano... Ma se essere vuol dire essere anche così... oh, Dio! perché esistere? I miei due figli dormi­vano sereni e inconsciamente sentivano che la spe­cie alla quale appartengono aveva vinto il suo- tempo più amaro, quello della morte per la morte, e che nasce un tempo che appartiene finalmente alla vita... E' stata una triste notte, ed eravamo soli, io, il pensiero di Kurten, i miei figli, e nel silenzio; ognuno di noi viveva un dramma senza parole: Kurten condannato per sempre, ma noi salvi? Se essere vuol dire anche essere nel modo di Kurten, ecco che io non volevo più esistere. Non è stata una buona notte: meglio morire per mano di Kurten che rinnovare tra noi e lui anche una momen­tanea fraternità comune... (A Kurten) Uomo, tu sei un uomo! Vattene per la tua strada, breve o lunga che sia, e Dio voglia, il Dio che ha creato te, che noi, gente di una specie di dolore, non si faccia cattivi incontri... Per la prima volta, Kurten, io sento che tra noi e te non esiste, non può esistere, non esisterà mai una intenzione che ci faccia eguali... Tuttavia questo Peter Kurten, questo errore mo­struoso della natura, ha creato in me sospetti e pensieri che non avevo mai nutrito... Io ho com­preso tutto il suo male, niente del suo bene, se esiste! E, come la coscienza collettiva che rappre­sento, ecco che io vedo senza vedere, soffro e cerco nel buio un indizio, un segno, una speranza, una luce che mi guidi! (Con disperazione) Non ci sono i riuscito... Il ragionevole, dialettico, razionale Dio, che è fondamento stesso della mia conoscenza ha taciuto,., forse è morto... Per questi motivi, io, Pro­curatore Generale, nego a me stesso il diritto di indossare ancora questa toga, di parlare a nome del popolo tedesco inorridito... Io ho paura di giudicare! (Si toglie cautamente la toga, la deposita sulla seda dei testimoni) Chiedo che a Peter Kurten, ricono-sciuto colpevole di dodici omicidi non premeditati, sia irrogata la pena di morte, e che sia decapitato con la scure... E, più che un atto di giustizia, è una liberazione... Addio, Kurten! Io so che voi, un istante prima di morire, direte al Signore vostro: Oh, Signore! Gli uomini mi hanno condannato dodici volte al taglio della testa, ma lascia, o Signore, che la mia unica testa io la porti a te... Può darsi che Egli l'accolga...

Kurten                             - (dopo un lungo silenzio, con un inchino rigido alla tedesca) Grazie!

FINE