Il generale dei Teddy Boys

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IL GENERALE DEI TEDDY BOYS

Commedia in due parti

Di Giuseppe MAROTTA e Belisario RANDONE

PERSONAGGI

Il Generale ATTILIO ZEDD

VINCENZO, suo figlio

GIULIA, moglie di Vincenzo

DANIELE, loro figlio

OLGA, domestica di casa Zedd

Il Prefetto DE GUBER

Il Maggiore VELASQUEZ

Il Colonnello GIRARD

Il Generale CANOS - Il Tenente BUTT

Il soldatino che sviene

Il soldatino dei bicchieri

GUFFAND

CANNAVON

La Baronessa

Il Primo invitato - Secondo invitato

Prima ragazza - Seconda ragazzo.

ALVARO DE GUBER

ENNIO GUFFAND

GIULIANA - BRIGITTE

TULLIO - ALFREDO

TONY – NUNZIO - ETTORE

ANDROMACA

Il "decimato" - Il Commissario

L'ufficiale inglese

L'avvocato ODDIT

S. E. BROWN, leader del Partito Nazionalista

S. E. GUSTAFSON, leader del Partito Progressista

L'azione si svolge in un paese immaginario dell'Europa Centrale. Oggi.

Commedia formattata da

PARTE PRIMA

LA CAMERETTA DEL GENERALE

Tutto è buio nella stanza del generale. Dall'ampia porta-finestra, che dà sul giardino, si scorge un lembo di cielo illuminato da improvvisi bagliori. Si odono lontane esplosioni, spari, urlio di sirene delle camio­nette della polizia. Entra la domestica Olga, una vec­chietta, che ad ogni esplosione si fa il segno della croce. Essa accende la luce, riassetta il tettuccio da campo. Viene dal giardino un fischio di richiamo. La donnetta va alla finestra, si mette due dita in bocca e risponde allo stesso modo. Subito entrano due gio­vani frati che sostengono Daniele, ferito alla testa. Tutti e tre sono sporchi, laceri.

Olga                              - (con trepida sollecitudine) Daniele!...

Daniele                          - (sprezzante) Che c'è, Olga?

Alvaro                           - Niente. Sciocchezze.

Nunzio                          - Un po' d'alcool. Una benda. (Olga si ap­presta a medicare Daniele che si è seduto sul tettuc­cio, mentre i due frati, svitando acconciamente il fondo dei grossi ceri che portano con loro, ne trag­gono sigarette e fiammiferi. Accendono. Fumano)

Daniele                          - Dov'è Pantera?

Olga                              - Di sopra. In terrazza. Con questo freddo!...

Daniele                          - Freddo? Di che si tratta?

Olga                              - Come di che si tratta! È il prologo delle polmoniti... E poi perché? Che c'è da vedere di bello?

Alvaro                           - Uno spettacolo meraviglioso, Olga! Indi­menticabile!

Nunzio                          - Scoppiettii, vampatelle... La città sembra il focolare dei nonni.

Olga                              - Come vanno le cose?

Daniele                          - Bene. La bandiera malata ha fatto mi­racoli! (Cava di tasca una bandiera avvoltolata e la spiega. È una bandiera abbastanza grande, di seta, da un lato rossa con tanto di falce e martello, dall'altro nera con una spada romana e un serto di alloro ri­camati)

Alvaro                           - Che te ne pare, Olga?

Olga                              - (tenera e ingenua)   - Mi pare bella...

Daniele                          - Ha funzionato splendidamente! (Nunzio e Alvaro afferrano la bandiera e la rigirano come una muleta)

 Nunzio                         - Di qua c'erano i progressisti!

Alvaro                           - E di qua i nazionalisti! Quando noi ci siamo tolti di mezzo, sono cominciate le legnate fra di loro. (/ ragazzi ridono)

Nunzio                          - Se ne stanno dando che se ne stanno dando.

Daniele                          - Qualcuna ne abbiamo presa anche noi, naturalmente. (Si ode una lontana sirena di automo­bile)

Olga                              - Lo vedo. Ti fa male, Daniele?

Daniele                          - (sfottente) Non ho informazioni precise!

Olga                              - (per rabbonirlo, mentre lo fascia) Si, si... È del tutto superficiale. (Stridio di freni d'automobile. I ragazzi balzano in piedi. Nunzio spegne la luce grande. Olga spia dalla finestra) Un'automobile nera...

Nunzio                          - (spiando anche lui) Ahi. Prefettura.

Alvaro                           - (precipitandosi) Accidenti! Mio padre!

Olga                              - E chi è tuo padre?

Alvaro                           - È il Prefetto. Chi deve essere? (Ol­ga accende una veilleuse accanto al lettuccio, mentre si ode una imperiosa scampanellata dall'esterno)

Olga                              - Andate di là, ragazzi. (/ ragazzi si introdu­cono nell'armadio e scompaiono, ultimo Daniele, con la testa fasciata. Egli non si avvede che il generale è entrato. Il generale indossa una lunga vestaglia e por­ta un enorme binocolo sostenuto da cinghia)

Generale                        - (con qualche apprensione) Daniele!... (Ma il ragazzo è scomparso, l'armadio si richiude)

Olga                              - Nulla di grave.

Generale                        - Chi ha suonato?

Olga                              - (liberando il Generale del binocolo) Pare che sia il Prefetto.

Generale                        - Ah. Come vanno le cose qui? Mio figlio?

Olga                              - È partito.

Generale                        - Meglio cosi. (Sparì lontani)

Olga                              - Ma Eccellenza, non sente? Potrebbe essersi messo nei guai.

Generale                        - Chi, lui? Impossibile. Mia nuora?

Olga                              - Scomparsa anche lei. È rimasto soltanto il Signor Cannavon che mi ha ordinato tre volte il caf­fè. Dice che tutto questo chiasso gli dà molta sonno­lenza e se dorme adesso, domattina, poi, non riesce a chiudere occhio. (Nuova scampanellata)

Generale                        - Il Prefetto. Va'. Introducilo qua. Non mi scomodo.


(Olga esce. Il generale va a guardare dalla fine­stra, indi raggiunge il lettuccio, vi si stende. Bussano. Olga introduce il Prefetto, un uomo di mezza età, che va a stringere la mano del Generale)

Generale                        - Ehi, chi si vede, caro Fabrizio!

Prefetto                         - Caro Attilio. (Si siede accanto al let­tuccio)

Generale                        - Come va? Come va? Ti annoi?

Prefetto                         - Io? (Si alza e va ad accendere la luce grande. Le guance e la fronte del Prefetto sono qua e là macchiate di un rosso rappreso) Guarda.

Generale                        - Sangue?

Prefetto                         - No, per fortuna. Pomodori. Ho percorso vie traverse, ma mi sono malauguratamente imbattu­to nel sindacato degli erbivendoli. Mi hanno ignobil­mente mancato di rispetto e dileggiato! (Il Generale si alza. Si avvicina al Prefetto che si sta pulendo alla meglio. Stacca delicatamente dalla sua faccia una buccia di pomodoro)

Generale                        - Cribbio! Sembri un ragù! Ma sei certo che ti abbiano riconosciuto?

Prefetto                         - Certissimo! Gridavano: dagli al Prefet­to!

Generale                        - Nulla di personale, allora. Tanto me­glio. Non miravano all'uomo, bensì alla carica. Buon segno!

Prefetto                         - Buon segno un corno! Se ne avessi qual­cuno fra le mani, lo rieducherei a modo mio!

Generale                        - Nerbate? Luci negli occhi? Sappiamo... E commetteresti una ingiustizia. Non ce l'avevano con te. Nel nostro paese, quando si riesce a prescin­dere dall'individuo, le tragedie in genere sono evitate. Chi invece agisce contro o a favore delle istituzioni? Non darebbe fastidio a nessuno se domani la Prefet­tura diventasse che so? una sala da ballo.

Prefetto                         - Vorrei vedere!

Generale                        - La preghiera segreta di ogni buon cit­tadino è: "Non dateci oggi la costituzione di ieri!" Invece nel proposito di impiccare te, Fabrizio Maria Gustavo De Guber, dimostrerebbe una rara costanza. (Scrosta con difficoltà l'ultima buccia dalla faccia del Prefetto e si distende placido sul lettuccio)

Prefetto                         - (dopo aver considerato con attenzione il Generale) Ti trovo... ti trovo un po' cambiato nei discorsi Attilio... Più vivace, forse... ma... Che vita fai, da quando hai lasciato l'esercito?

Generale                        - Meditativa. Osservo, rifletto, leggo. Ec­co, per esempio... (Gli porge un libro che prende dalla sedia accanto al letto) Guderian, l'impiego dei mezzi corazzati nella guerra moderna. Interessantissimo. Quasi un giallo. Oggi come oggi, il carro armato non ha più la minima possibilità di utilizzazione. Ergo, ci troviamo di fronte a un libro di pura fantasia, a parer mio non inferiore alle favole di Andersen.

Prefetto                         - Lo dici tu! Averne, in questo momento, di carri armati!

Generale                        - Non ne hai? È spiacevole. Comunque la corazza del massimo spessore è l'intraprendenza, il coraggio. Sono certo che un uomo come te farà presto a riavere la città in pugno.

Prefetto                         - Non tanto. Ad essere precisi, anzi, sia­mo sull'orlo dell'abisso.

Generale                        - Non hai in mano i fili della situazione?

Prefetto                         - Si, ma sono viscidi... fai conto insapo­nati. Mi sfuggono misteriosamente... Pietre negli in­granaggi dappertutto...

Generale                        - Guarda guarda... Sapone e pietre... Il caso lavora contro di te?

Prefetto                         - (sbirciandolo) Mi domando se sia pro­prio e solo il caso... Mettiti di fronte ai fatti. Dunque abbiamo... (Lontano si sentono sempre gli scoppi)

Generale                        - Ti preoccupano questi rumori? Al pit­tore Cannavon conciliano il sonno.

Prefetto                         - Il pittore Cannavon non ha la città sul gobbo. Parliamo seriamente, Attilio. Qui tutto preci­pita. Siamo al quinto giorno di sciopero generale. Scontri violenti si verificano dovunque. I partiti si sbranano nelle piazze. Impossibile sapere chi ha co­minciato e perché. Case del popolo e sedi del Partito Nazionalista incendiate...

Generale                        - E i pompieri?

 Prefetto                        - Introvabili. Ritardatari. Sfuggenti.

Generale                        - Capisco. Hanno incrociato le pompe. E le associazioni cattoliche?

Prefetto                         - Quelle poi! Picchiano più degli altri. Hanno manganelli in forma di ceri.

Generale                        - Accesi o spenti?

Prefetto                         - Che ne so?! Aggiungici le officine, le fabbriche occupate, assediate...

Generale                        - Da chi?

Prefetto                         - Da tutti. Non posso dire altrimenti. Av­vengono fatti strani. Le posizioni si invertono. Abbia­mo gruppi di reazionari che si comportano come bol­scevichi e viceversa. Non sappiamo chi proteggere e chi percuotere. Noi, forze dell'ordine, siamo quasi sul punto di rivolgere le armi contro noi stessi! Infatti qui non si affrontano soltanto le fazioni. C'è in ballo anche la gioventù, ragazzi di ogni ceto, questa folle, dissennata generazione che non sa quel che vuole e non vuole quello che sa. Attilio! Io ho quattro figli!

Generale                        - Troppi, evidentemente.

Prefetto                         - (non rilevando la interruzione) Tre di essi compreso il minore: diciassette anni in questo momento si trovano nelle carceri di San Vittorio. Di Alvaro non ho notizie neppure dagli ospe­dali.

Generale                        - Mi dispiace. Non hai avuto fortuna.

Prefetto                         - Pensi che si tratti solo di me? È negli stessi guai il Questore, dico il Questore! E il Presi­dente del Tribunale no? E l'Intendente di Finanza, no? Aggiungici l'Alta Banca, l'Alta Finanza, la Si­derurgia... Quei ragazzi, che dovrebbero essere l'orgo­glio del nostro paese, sono in preda a una specie di delirio...

Generale                        - Mi ci fai pensare. Ho intravisto, poco fa, mio nipote Daniele, con la testa rotta. (Toccandosi l'occipite) Qui. Che idioti! Vogliono battersi e non hanno nella schiena quella specie di radar che distin­gue gli eroi. Ricordo come presentii in Africa la scia­bolata di un traditore. Mi avrebbe spaccato in due come un'anguria... Ma ebbi quella sensazione che si prova, sai? quando sta per alzarsi il vento... Balzai lateralmente e non ci rimisi che un attendente di colore.

Prefetto                         - Già e qui invece ci rimettiamo l'intera nazione. Brancoliamo nel buio. È un labirinto. Un enigma. (Una forte esplosione relativamente vicina)

Generale                        - E questo è un gasometro. Riconosco perfettamente il timbro dello scoppio. Lo udii per la prima volta a Carchov. È un fa diesis.

Prefetto                         - (irritato) Ti prego!... (Ricomincia) Gli ospedali rigurgitano di feriti e di ustionati. Gli in­fermieri, che scioperano a singhiozzo...

Generale                        - ...curano un ricoverato si e uno no.

Prefetto                         - Come lo sai?

Generale                        - Lo immagino. Divertente, vero? Ma i tuoi uomini? Come fronteggiano tutto questo?

Prefetto                         - Fronteggiano? Diciamo che si profilano qua e là, in genere dove non occorrono. Sono fuor­viati da false chiamate e da ordini apocrifi. Ieri han­no presidiato le fontanelle d'acqua sulfurea al Parco. Intanto i sovvertitori aprivano le gabbie del giardino zoologico. Abbiamo leoni vaganti, foche in Piazza dell'Opera. (Drammatizzando) Ascolta bene. Attilio, ho l'impressione che elementi estranei debbano essersi infiltrati nella compagine stessa della Polizia.

Generale                        - A tale punto?

Prefetto                         - Già. Gli ultimi reclutamenti furono for­se un grosso errore.

Generale                        - Purtroppo oggi nessuno è chi dice e dimostra di essere. Ti do un suggerimento.^ Il po­liziotto del futuro dovrà essere reclutato all'età di sei mesi, ed allevato ad hoc, come le formiche guerriere. Ispiriamoci agli insetti, Fabrizio, da' retta.

Prefetto                         - Lascia perdere! Efficienti o meno, qua mi occorrono uomini uomini uomini! E il ministro degli Interni non se ne rende conto. Dice che non può distogliere in questo momento forze di Polizia dalle altre città del Nord. La situazione è torbida do­vunque. E allora che resta?

Generale                        - Già. Che resta?

Prefetto                         - L'esercito. (Lo guarda) Bisognerebbe far intervenire l'esercito. Coprifuoco. Stato d'assedio.

Generale                        - E tribunali militari, no? Ecco. Eccovi al vecchio giuoco dei soldatini di piombo. (Facendo ogni volta un gesto come per spostare qualcosa di peso) Li mettiamo qua. La mettiamo qua. Li mettia­mo qua. E il rancio quando capita. Avranno final­mente qualcosa da fare, questi fantaccini. S'annoia­no, ammuffiscono. Ma si, dagli una occasione. (Cam­biando tono, con qualche amarezza) Senti, Fabrizio Maria Gustavo De Guber, la mia personale opinione è che questi guai non vanno combattuti negli effetti, ma nelle cause. Lasciamo perdere. Sarebbe un di­scorso troppo lungo... Io che c'entro poi nelle tue dif­ficoltà prefettizie? Ti saluto. Voglio dormire.

Prefetto                         - C'è tempo, Attilio. Non ti ho ancora det­to perché sono piombato qui", alle quattro del mattino.

Generale                        - Be', nei tuoi panni lo direi nel modo più spiccio e me ne andrei.

Prefetto                         - Sono venuto da te per un consiglio.

Generale                        - Tecnico?

Prefetto                         - Psicologico.

Generale                        - Ah. Non t'aspettare granché. I generali non hanno la minima scienza dell'animo umano.

Prefetto                         - (sarcastico) Nemmeno del proprio?

Generale                        - Che intendi?

Prefetto                         - Non lo so. Ma in tutta questa baraonda c'è qualcosa... un elemento imponderabile... Tu hai parlato di caso. (In tono mellifluo) Ebbene... il caso è magari geniale a volte, ma non intelligente.

Generale                        - C'è differenza?

Prefetto                         - Si. Il genio è un balzo, un diagramma con le sue punte, i suoi vertici improvvisi. L'intelli­genza è una costante, mi capisci? Una linea retta.

Generale                        - Insomma, caro. Io ho sonno e non sono Euclide. Per favore, concludi.

Prefetto                         - Si, certo. Questa baraonda, ecco, ha speciali caratteristiche. Direi meglio che ha uno stile, una fisionomia inconfondibile...

Generale                        - (reprimendo a stento un sorriso soddisfat­to) Può darsi. Mi ci fai pensare.

Prefetto                         - Bene. Pensiamoci. Immaginiamo di do­ver identificare te in un'opera anonima. Potremmo non tener conto di Leopoli? Chi e come entrò per primo, giovane tenente, in quella munitissima for­tezza?

Generale                        - (con un vago compiaciuto sorriso) Io. Tu per ultimo.

Prefetto                         - Chi, brillantissimo colonnello dei mitra­glieri, privo di viveri e di munizioni, insegui per no­vanta chilometri le orde nere nella guerra coloniale?

Generale                        - Io. Ma sapevo benissimo di avere altre orde nere alle spalle.

Prefetto                         - Chi attraversò il Guadalquivir senza per­dere un uomo, usando barili vuoti?

Generale                        - Per forza, i tedeschi avevano bevuto tutto.

Prefetto                         - Storie! Non diminuirti, Attilio. In tutte quelle imprese c'era un tuo segno inequivocabile, la tua firma. I metodi Zedd, fecero epoca, inutile ne­garlo. Negli stessi memoriali nemici dei vari dopo­guerra, tu rifulgi. Abbiamo in dotazione oggi perfino un missile, battezzato all'unanimità "Lo zeddino"!

Generale                        - Speriamo che scoppi! È inutile, irrive­rente direi, che le armi siano intitolate a me, quando a fabbricarle, purtroppo, siete voi! E ciò sia detto anche per il passato! Mentre io facevo i miracoli del­la moltiplicazione dei pani e dei pesci bellici, tu ti arrampicavi su una montagna di scartoffie. E quando uno è sulla vetta della montagna in questione, che fa?

Prefetto                         - (sfottente) Vorrei saperlo. Che fa?

Generale                        - Dice: Tu sei indubbiamente un eroe, ma l'importante è che mi piaci. E allora vieni qua. Ti nomino, che so? Ambasciatore, Ministro della guer­ra. Oppure dice: Ma si... si, tu sei abbastanza eroico. Però ti ho in antipatia, e allora piglio e ti colloco a riposo.

Prefetto                         - Se alludi al tuo caso, sia ben chiaro che io non c'entro.

Generale                        - Non c'entri? Hai l'impudenza di una sgualdrina! Chi non sa che tu sei il genero del Capo

 del Governo?

Prefetto                         - Dal momento che parliamo senza peri­frasi, il provvedimento, sappilo, venne preso anche nel tuo interesse. (Come rievocando) Ci fu quel tuo leggero deliquio alle Grandi Manovre...

Generale                        - Puah. Una banale indigestione.

Prefetto                         - L'elettrocardiogramma purtroppo con­fermò il tuo stato di salute.

Generale                        - Puah! Puah! Le vostre macchine fun­zionano come i vostri cannoni.

Prefetto                         - Sappi che il tuo successore, il generale Anton, ha una tempra eccezionale. Spezza con le mani un ferro di cavallo.

Generale                        - E questa è una prova delle sue alte qua­lità di stratega?

Prefetto                         - Fa un grosso effetto sulla truppa.

Generale                        - Nei tuoi panni gli farei dare ugualmen­te un'occhiatina dai medici.

Prefetto                         - Fatto. Ha un cuore d'acciaio.

Generale                        - Ma io alludo all'encefalogramma. (Irri­tandosi) Filippo Maria De Guber, hai detto che eri qui per un consiglio? Parla.

Prefetto                         - (se-rio scandendo le parole) Attilio ho riconosciuto, senza ombra di dubbi, un certo stile ne­gli attuali gravi disordini. (Pausa) Che cosa rispondi?

Generale                        - (lo guarda, gli sorride) Rispondo: Bra­vo. La vera faccia, di questa Torre di Babele, è la mia. Tu, col collocamento a riposo, mi hai consegnato alla noia... e a una famiglia che... lasciamo perdere... Io, col mio successivo lavoro, ti ho consegnato ai pomo­dori in faccia... per il momento. Ma vedrai il seguito. Ci divertiremo...

Prefetto                         - Non tanto...

Generale                        - (balzando in piedi, irritato) Moltissimo invece! Ti voglio sbalordire! Elettrocardiogramma? Senti senti che forza aveva dentro il mio vecchio cuo­re, che la tua macchinetta non ha registrato! Tutto ebbe origine dal mio collocamento a riposo. Ricordi... quando mi festeggiarono qui in casa, tut­ti? C'eri anche tu...

IL SALONE DI VILLA ZEDD

Molti invitati, prevalentemente militari, sono in at­tesa. In un angolo è sistemato il buffet, con due sol­dati in servizio. Sono presenti anche i figli del Gene­rale e il nipote Daniele con alcuni suoi amici, fra i quali Alvaro, figlio del Prefetto De Guber, Nunzio ecc. Essi si affaccendano intorno agli invitati scattando fotografie. Il colonnello Girard, vecchio militare che porta l'uniforme come se fosse la sua pelle, parla con un ufficialetto.

Girard                           - Tenente, lei vuole un consiglio? Osservi tutto, se lo imprima nella memoria, ma non fiati.

Ten. Butt                       - Vorrei almeno mostrargli questa let­tera. (Cava dalla tasca una busta) Ma dica, potevo essere più scalognato? Ho una potentissima racco­mandazione del Ministro per il Generale Zedd, e non mi va in pensione proprio adesso?

Girard                           - Si consideri fortunato, invece. Una lette­ra di raccomandazione per il generale sarebbe stata la sua rovina. Il generale è tetragono alle commendatizie. Avrebbe fatto di lei un sottotenente a vita. La statua del sottotenente.

Ten. Butt                       - Sul serio?

Girard                           - Ah ah, mi viene da ridere! Una lettera del Ministro della Difesa? Il Generale avrebbe detto: E chi è il Ministro della Difesa? Un borghese, nella migliore delle ipotesi un ex capitano di complemen­to, che presume di guidare i generali! Ma vada a tirare al piccione!

Ten. Butt                       - E allora che me ne faccio di questa? (Agita ancora la busta)

Girard                           - La mangi. (Gli volta le spalle e interpella Vincenzo Zedd che sta passando con una signora) Scusi, ingegnere. Suo padre è già in casa?

Vincenzo                       - No, colonnello. Sarà qui a momenti, pe­rò. Mi hanno telefonato poco fa dalla caserma.

Entra un vecchietto rigido e nervoso.

Vincenzo                       - (dandogli la mano) Caro Generale.

Gen. Canos                   - Ahi! Non stringa troppo dottor Zedd.

Vincenzo                       - Oh, scusi! Ma la tua vecchia ferita non è alla gamba?

Gen. Canos                   - Si, ma si tratta di una scheggia va­gante! Va' a sapere dove è ora? Ieri, era qua. (Si tocca l'anca. Attorno a un altro ufficiale - un maggiore da­gli enormi baffi bianchi - si sono radunate alcune persone. Il maggiore ha ceduto alla commozione e, scosso da singhiozzi, piange a calde lacrime. Giulia Zedd lo rincuora)

Giulia                            - Su, Maggiore, coraggio.

Magg. Velasquez          - Non ho mai pianto, né in cie­lo, né in terra, né in mare! Nessun rovescio mi ha piegato. Una roccia. Ma ora!... Il mio Generale... (Sin­ghiozza) Attilio Zedd!

Giulia                            - Gli è successo qualcosa?

Magg. Velasquez          - Tutto gli è successo, signora! Tutto! Ci abbandona. Indossa gli abiti borghesi, esce dalla divisa come... come da una... come da una...

Giulia                            - Come da una divisa. (E gli asciuga le lagrime nei baffi)

Magg. Velasquez          - Appunto. (Infervorandosi) È in­concepibile! Attilio Zedd in borghese! Lui! Una mi­serabile giacca a tre bottoni, pantaloni con risvolto, il gilè - Dio del cielo!- il gilè! E un lurido cap­pello floscio!

Giulia                            - Perché lurido, maggiore?

Magg. Velasquez          - Vuoto, privo di gradi, sporco di spazio! È inutile io non riesco a rassegnarmi!

Giulia                            - (allarga le braccia e gli porge un fazzoletto)

                                      - Continui pure a piangere se questo le fa piacere. (E gli volta le spalle. I fotografi sono all'opera e il maggiore, notandoli, si impettisce un poco. Entrano ora il Comm. Guffand, pingue, soddisfatto e il pit­tore Cannavon, collare di barba, capelli tosati ecc.)

Guffand                        - (baciando la mano a Giulia) Come stai, Giulia?

Giulia                            - (con gli occhi addosso al sofisticato pittore)

                                      - Bene, Guffand... E chi è questa giovane belva?

Guffand                        - Il pittore Cannavon. Semplicemente squisito. È un classico dell'informale.

Cannavon                      - (stringendo la mano a Giulia) Mi ri­faccio direttamente al magna cosmico, alla sostanza fecondativa che generò gli astri e i pianeti. Nego su-perfici e contenuti. Arrivo cosi a una totale astra­zione dell'astratto.

Giulia                            - (ammirandolo incondizionatamente) Con una faccia cosi concreta! (Intanto si è confuso in mez­zo agli invitati il Prefetto De Guber che saluta qui e là qualcuno. D'un tratto si sente dall'esterno una sirena d'automobile e subito gli invitati si agitano. Qualcuno si aggiusta macchinalmente la divisa e prende posizione, schiarendosi la voce)

Ten. Butt                       - È il Generale? (Nessuno gli bada. U-diamo solo, nell'assoluto silenzio del salone, lo sbattere progressivo dei tacchi nel corridoio, lo schiocco dei talloni che va avvicinandosi e finalmente appare il Generale Zedd, seguito da un ufficiale di ordinanza. È splendente, addirittura maestoso. Sono i suoi ul­timi gesti di militare e vuole scolpirli nel bronzo. Si ferma, sicuro dell'effetto, sulla soglia del salone e sa­luta militarmente, in perfetta regola, tutti gli invitati, con gesto unico, circolare. Egli è a pochi passi dal buffet. Uno dei due soldatini, quello che reca in mano un vassoio carico di bicchieri, è colto da uno spa­ventoso tremito e fa tintinnare violentemente i cri­stalli. Il Generale lo trapassa da parte a parte con una occhiata e dice)

Generale                        - Che diavolo ti prende, macaco? (A queste parole, l'altro soldatino, poco distante dal pri­mo, crolla svenuto, senza un gemito. Come succede quando perde i sensi un soldato della guardia inglese, nessuno si cura del caduto, che rimane stecchito sul pavimento. L'emotività della scena soverchia il mag­giore Velasquez che scoppia in laceranti singhiozzi-La indignazione del Generale, trascurando i due sol­dati, si rovescia immediatamente sull'ufficiale. Pian­tandosi a gambe larghe davanti al maggiore) È lei che ha perduto la balia, maggiore?

Magg. Velasquez          - (facendo riaffiorare un filo di voce da quell'oceano di lagrime) Signorsì.

Generale                        - Posso sperare che le abbia dato di volta il cervello?

M. Velasquez                - Signornò.

Generale                        - Lei piange sapendo di piangere?

M. Velasquez                - Signorsì.

Generale                        - Lei è un pusillanime e un idiota! (Indi­cando il soldato svenuto e quello tremante) Lei dif­fonde nell'esercito viltà ed effeminatezza. Se ne vada! Si consideri agli arresti! (L'ufficiale d'ordinanza ha subito estratto un taccuino ed ha preso frettolosa­mente degli appunti, mentre il maggiore comincia ad indietreggiare lentamente, illuminandosi e dicendo)

M. Velasquez                - Gli arresti? Da lei? In questo gior­no? Grazie! Sarà il più bel ricordo della mia vita! (// generale ha un moto di stizza, ma il vecchio Canos lo calma)

Gen. Canos                   - Non badargli, Attilio. È un lettera­to. (Il maggiore è scomparso. Il Generale viene cir­condato dagli invitati che scambiano con lui strette di mano e saluti. Giulia intanto si avvicina al 50Z-datino che è rimasto a terra, gli spruzza un po' di acqua in faccia, lo aiuta a rialzarsi, non mancando di tastargli i bicipiti. Ma deve allontanarsi da lui nel movimento degli invitati. Il Prefetto si va metten­do in mostra, battendo sul bicchiere)

Prefetto                         - Eccellenze, Signore, Signori. Sono feli­ce e infelice di prendere la parola, perché questa è una festa, ma è anche un addio. Il mio saluto al Ge­nerale Zedd, che qui gli rivolgo a nome del Governo, non è soltanto un dovere da compiere, per me, ma è anche una testimonianza di antico affetto. Ebbi l'ono­re di essere suo commilitone nelle varie guerre colo­niali e mondiali. So io quello che provo pronunziando le parole "commilitone" e "guerra". Ma è proprio dal Generale Zedd che ho imparato a non commuovermi. L'impassibilità, la freddezza, il rigore, fecero di lui quel genio militare che è stato ed è. Non voglio dun­que scalfire questo miracolo di oggettività e di pu­dore, abbandonandomi ai sentimenti. Dirò soltanto: Viva il Generale Zedd! Viva il glorioso capitolo di storia che si chiude con lui! (Applausi. Urrà, batti­mani)

Gen. Canos                   - (avanzando a stento) Il mio... il mio è un saluto sul campo, Attilio! Da soldato a soldato! (Altri battimani, altri evviva, mentre i ragazzi conti­nuano a scattare flash)

Col. Girard                    - (battendo sul bicchiere per ottenere un po' di silenzio) Credo che il Generale Zedd gradirà maggiormente il mio saluto, quando lo avrò infor­mato che ero con lui, nel '18, durante la dolorosa riti­rata. Fu un'ora di smarrimento per tutti. Fughe, re­se, decimazioni. Ma il nostro reparto rappresentò, grazie a lui, un'eccezione decisiva per la Patria. Con la pistola in pugno, ci costrinse a ricordare chi era­vamo. Non glielo dissi allora, signor Generale. Glielo dico adesso: Grazie! (Nuovi battimani che vengono subito smorzati da un gesto del Generale)

Generale                        - Ricordo. Si, si, maggiore, ricordo... (Ri­volgendosi a tutti) Ma, scusate, oggi, è proprio dai ri­cordi che vorrei uscire. Questa è per me una giornata speciale, unica, irripetibile. Come la nascita e come la morte, il collocamento a riposo avviene una sola volta nella vita. Dico bene, Eccellenza De Guber? Non potrai dunque tenere una seconda volta il tuo bel discorso.

De Guber                      - Non avrei voluto tenerlo nemmeno la prima, se è per questo.

Generale                        - Certo certo... Dicevo... voi che indossate ancora l'uniforme, mettetevi un momento in quelli che saranno fra poco i panni miei. Dai cammina­menti, dalle ridotte inamovibili della vita militare, alla immensa, libera prateria del normale borghese. Invidiatemi e fatemi i vostri auguri! Benché anzia­no, io sono, rispetto alla vita che mi attende, un fanciullo, un collegiale, un esordiente. Riflettete un momento sull'enorme differenza fra il borghese e il militare. Mentre, sotto l'uniforme, l'uomo, genio o cretino, deve essere genio o cretino a modo altrui, in abiti civili può esserlo finalmente a modo proprio. (Tutti ridono imbarazzati) E un esercito in un indi­viduo solo. Si comanda e si ubbidisce da sé. È lui il proprio regolamento. Riflettete! Mi darete ragione! Supponiamo che mi resti da campare ancora una trentina d'anni - i militari (abbassando la voce) specie se riformati - sono longevi - ebbene sarà un ventennio da trascorrere dove... più fortemente ho desiderato. Qui. Prenderò in mano, finalmente, le re­dini della mia famiglia. (Vincenzo e Giulia si guar­dano, cominciano a isolarsi) Finalmente ci possedia­mo! C'era ima volta il padre. C'erano una volta i fi­gli. Si ricongiunsero... eh eh... e vissero felici e con­tenti. (Li accarezza con lo sguardo) Non più lunghe assenze, non più manovre, levatacce notturne. Basta. Addio. Famiglia e riposo. Che in fondo sono sinonimi. Uno dice riposo, e intende famiglia. Ne sente il calore. Dice famiglia, e i suoi nervi si distendono. (Stringendo la mano a chi gli è da presso) Compli­mentatemi, invidiatemi! Ci pensate? Voglio dormire? Dormo. Voglio cantare? Canto. Voglio disobbedire a me stesso, alla natura, a Dio? Lo faccio. Voglio ren­dermi ridicolo? Sia! Voglio andare con le donne? Ci vado!

LA CAMERETTA DEL GENERALE

II Generale è seduto al centro, su una poltrona. È sempre brillante e sorridente, quasi euforico. Vincen­zo gli passeggia nervosamente davanti, mentre Giu­lia, in disparte lo sogguarda freddamente. Quasi so­spettosamente.

Generale                        - (con un tono stranamente infantile carico di timidezza e di contenuto timore) Forse ho ecce­duto, eh... Vincenzo? Non avrai mica pensato... non avrete mica pensato che io adesso voglia darmi alla pazza gioia?

Giulia                            - (col suo tono sofisticato e svagato) Gioia? Ma non esiste per nessuno! Chi è contento a questo mondo, papà?

Generale                        - (sempre più confuso e remissivo, con un puerile tentativo di conciliazione) Appunto... eh?... Vero?.,. Parlavo... e... voi mi capite, eh... nell'euforia e nella commozione del momento cosi eccezionale... Ma s'intende che non facevo dei veri e propri pro­grammi... Si capisce che debbo consultarmi con voi, eh!... (Si rivolge particolarmente al figlio) Eh, Vin­cenzo? (Il figlio continua a passeggiare) Non l'ho sem­pre fatto... quando le guerre me ne lasciavano l'op­portunità?

Vincenzo                       - (fermandoglisi davanti) E quindi assai di rado.

Generale                        - Caro, le guerre non le dichiaravo mica io!

Vincenzo                       - Be', chi lo sa? I militari di carriera sono un invito continuo alle guerre.

Generale                        - (quasi contento che la conversazione ac­cenni ad assumere una linea diversa) Eh, ma que­sto concetto si potrebbe facilmente ritorcere. Le guer­re sono un continuo invito ai militari.

Vincenzo                       - (tornando all'argomento che gli preme, falsamente affettuoso) No, scusa, papà... (Pausa) Sto cercando le parole per dirti...

Generale                        - (fermandolo col gesto) E le troveresti in­fallibilmente. Tu sei una cassetta di sicurezza di pa­role. (Vincenzo si allarma. Il Generale sorride)... Vo­glio dire che ne hai tante, sistemate, al sicuro... Però, le parole che stai pensando, preferisco che tu non le dica... Un figlio... un figlio è meglio che si lasci indo­vinare... (Vincenzo lo guarda perplesso. Una pausa. Il Generale continua con tono dolcemente puerile, come se parlasse a un giovinetto) D'accordo? Io ades­so mi butto a indovinare. Ecco... Tu e Giulia vorre­ste, come si dice? pianificare il mio avvenire.

Giulia                            - Ma papà! Pianificare è una parola grossa!

Vincenzo                       - Interessarsene, diciamo. Dopo quanto è accaduto...

Generale                        - Che diavolo è accaduto?...

Vincenzo                       - Lo svenimento alle Grandi Manovre...

Generale                        - Oh, basta! Anche tu! Erano le mano­vre del Prefetto De Guber, quelle...

Vincenzo                       - Si, si... l'importante, per noi, è che tu viva il più a lungo possibile...

Generale                        - Grazie... ma non più di voi... sarebbe innaturale. (Ride) Comunque mentirei se dicessi che una lunga vecchiaia non è anche il mio desiderio. (Tira una grossa boccata di fumo e li sbircia. Vin­cenzo sta per dire qualcosa, ma lui lo ferma ancora) È ovvio... il privilegio di una perfetta salute, a una certa età, implica qualche rinuncia... (Vincenzo e Giu­lia annuiscono e fissano, con atteggiamento di ripro­vazione, il sigaro. Il Generale se lo avvicina) Ah. Questo? (Infantilmente) Non dovrei più fumare?

Vincenzo                       - Sai bene quanto è nocivo il tabacco, papà.

Generale                        - Ma tu non sei fumatore! Che ne sai?

Vincenzo                       - Ti parlo come chimico e come biolo­go, se permetti. (Gli toglie il sigaro e lo spegne)

Generale                        - Ma non come uomo! Non si tratta cosi il tabacco! Se tu ami una donna e le dici: "È fatale che tu mi tradisca!" e la fai pedinare e le apri la corrispondenza e le controlli il telefono, come va a finire? Eh? (Prende dalla scatola un altro sigaro e se lo gira beatamente fra le dita) E cosi il tabacco. Se dici al sigaro: "Tu non me la racconti giusta! Il tuo non è profumo! Non è aroma! E odore di enfisema polmonare e di cancro!" il sigaro come diavolo si deve comportare con te? E va bene! L'hai voluto! (Aspettando l'effetto che non viene, accende un fiam­mifero) Ma io mi regolo in modo ben differente, col sigaro. Lo vanto, lo esalto, forse lo adulo un poco magari, lo metto insomma nelle condizioni di non smentirsi, eh? (Fa per accendere)

Giulia e Vincenzo         - (con ipocrito calore) Ma papà! (Vincenzo toglie dalle mani del Generale il sigaro e lo ripone nella cassettina che Giulia tiene aperta. La donna richiude subito la cassettina e la tiene fra le mani. La lascerà sul tavolo andandosene, ma vuota)

Generale                        - (battendosi le mani sulle ginocchia) Eh no! Cosi mi togliete il piacere di indovinare! (Vincen­zo e Giulia arretrano di un passo vagamente intimi­diti. Il Generale continua, meno vibratamente, col to­no benevolo e conciliante di prima) Non solo. Ma di­menticate che debbo essere io a dettarmi i miei nuo­vi doveri... (Si è alzato e fa qualche passo avanti e indietro) Sicuro. Da uomo a uomo e da soldato a sol­dato! (È ora di fronte a una specchiera e apostrofa, col dito puntato, l'immagine riflessa) Generale Zedd! Chi ti ha conservato cosi fresco e vigoroso? (Accenna a leggere flessioni degli avambracci) Una regola! E una regola ti occorre! Esci da una disciplina, diciamo da una cella... si, si... ed entri in un'altra. Dunque, ascolta. (Si irrigidisce sull'attenti) Niente fumo... s'è detto, mi pare. (Si volta a guardare Vincenzo e Giu­lia che lo fissano a loro volta un po' tesi) Alimenta­zione sobria. Vincenzo, che è un chimico e biologo, calcolerà il numero delle calorie strettamente neces­sario. Niente alcoolici, poche letture, vigilate... circo­lano certi libri...

Giulia                            - (col suo fare astruso e quasi come entrando nel giuoco, con un tono un po' stridulo, isterico) E niente donne, eh!

Generale                        - (voltandosi vivamente verso di lei) Ma Giulia!

Giulia                            - Perché? È un'età preoccupante, la tua, papà!

Generale                        - Se è un complimento, grazie. (Si volta nuovamente verso lo specchio) Dunque... dicevamo?... Eh, ti conosco... No, no, no. Viaggi niente. Una leggera ginnastica da camera. Camomilla. Pantofole, lunghi e tranquilli sonni... Andrai a letto alle dieci. (Sbircian­do Vincenzo e Giulia) O facciamo alle nove? (Allo specchio) Come? Ti avevano parlato tanto bene di questa televisione? Sciocchezze. Al diavolo la televi­sione! Silenzio! Acqua in bocca! A me e ai miei fi­gli, preme soltanto la tua felicità... il tuo benessere. Tu t'eri posto il limite di novant'anni? Grazie alle nostre premure, chissà che non raggiunga il secolo! Si vive una volta sola! (Col fazzoletto fa il gesto di cancellare dallo specchio, come da una lavagna, l'im­magine e si volge a Vincenzo e a Giulia) Va bene? Di lui rispondo io. Il Generale Zedd obbedirà! (Vincen­zo e Giulia si scambiano uno sguardo da farisei)

Giulia                            - (come continuando il giuoco dello sdoppia­mento del Generale) Eh, ma tu dimentichi una co­sa, papà...

Generale                        - Si?

Giulia                            - Tu ti distrai un momento, e lui...

Generale                        - Che cosa?

Giulia                            - Lui si procura di nuovo tutto... fumo, viag­gi, liquori, donne...

Generale                        - (ingenuamente) E... come fa?

Giulia                            - (fatua) Oddio, non gli manca il denaro...

(Il Generale sembra aver accusato duramente il col­po. Vincenzo interviene)

Vincenzo                       - (con dolcezza) Papà, senti... ne feci io stesso la esperienza. La tarda maturità e la prima giovinezza in fondo si somigliano, no?

Generale                        - (rinfrancato) Ah, ah... Potendo sceglie­re, opterei per la giovinezza!

Vincenzo                       - (senza raccogliere l'interruzione) Quan­do io avevo diciotto anni...

Generale                        - (sbattendo le ciglia e ripiombando in quel lontano passato) Ah se me lo ricordo! Come eri bello, Vincenzo... quei capelli ondulati... gli occhi chia­ri che poi, non so come, ti si sono scuriti... quella seta di barba...

Vincenzo                       - Si... si... in quel periodo, la mamma mi proibiva assolutamente di fumare. Se mi trovava in tasca le sigarette, le faceva a pezzi.

Generale                        - E poi?

Vincenzo                       - E io appena uscivo, dal primo tabac­caio...

Generale                        - (dopo una pausa carica, penosa) Basta cosi. Ho capito. Niente denaro.

Vincenzo                       - (falsamente scandalizzato) No, papà. Non hai capito affatto. Nessuno qui vuol mettere il naso nei tuoi conti in Banca, nei tuoi titoli dì ren­dita...

Giulia                            - ...nel tuo libretto di pensione...

Generale                        - E allora? Pensi che il generale Zedd si possa comportare come facevi tu a diciotto anni?

Vincenzo                       - Non so... tutto è cosi fluido oggi... Noi ci conosciamo poco... poco...

Generale                        - Che volete? La mia parola d'onore che non toccherò denaro? Vi basta la mia parola d'onore?

Vincenzo                       - (allargando le braccia) Certo, natural­mente...

Generale                        - (per un attimo contrae la mascella, poi trova ancora la forza di sorridere) L'avete. (Il generale passa una mano sulle spalle di Vincenzo e l'altra su quelle di Giulia. Si accosta con i due allo specchio e sorride come se si vedesse con loro in una posa fotografica di famiglia. Anche sulle labbra dei due appare uno storto sorriso. Intanto è entrata Olga che guarda con meraviglia il gruppo e si avvicina finché anche la sua immagine è riflessa nello spec­chio)

Giulia                            - (notandola, si volta subito, imitata dagli al­tri) Olga, la vestaglia di Sua Eccellenza. Le pan­tofole. (Mentre la domestica trae dall'armadio gli og­getti richiesti, Giulia e Vincenzo aiutano il Generale a sfilare la giubba, che consegnano a Olga. La donna guarda interrogativa Vincenzo)

Vincenzo                       - Naftalina. Le medaglie nella scatola. (La scena è andata via via oscurandosi. Il Generale guarda allontanarsi la giubba vuota che dondola e, come parlando a sé, dice)

Generale                        - Sembra quasi una degradazione, (è tuttora seduto su una poltrona girevole. Puntando i piedi a terra, si volge da un lato, per non vedere la divisa partire. Il figlio e la nuora, con un cenno d'in­tesa, escono. Di li a un momento, il Generale rivolge lentamente la poltrona nella posizione di prima. Si avvede di essere solo. Ha un lungo profondo sospiro. Apre macchinalmente la scatola dei sigari, vede che è vuota, la richiude. Olga rientra in questo momento)

Olga                              - La pillola, Eccellenza.

Generale                        - Che pillola?

Olga                              - È un sedativo, un sonnifero. Suo figlio mi ha raccomandato di insistere perché la prenda.

Generale                        - Io? Non occorre. Chiamo il sonno quan­do voglio, ed eccolo là, sugli attenti.

Olga                              - Vede... È che ci sarà un po' dì movimento stanotte in casa... Musica... E lei potrebbe svegliarsi.

Generale                        - Come musica? Che fanno?

Olga                              - È una festa.

 

Generale                        - Sempre per me?

Olga                              - No, per loro. Succede spesso. L'avrebbero rimandata, ma non hanno potuto, oggi...

Generale                        - Ah. E si divertano pure... Io ho il son­no duro. Piuttosto, mi raccomando, Olga... Acqua in bocca coi birilli.

Olga                              - Si immagini, Eccellenza, Vuole? (Il Genera­le fa un cenno affermativo. La donna va alla cassapanca, prende il giuoco e lo dispone)

Generale                        - Volete sentirvi uomini? Abbiate un se­greto. Se non lo avete, inventatelo. (Fa schioccare le dita come per dire a Olga "spicciati". La donna che ha disposto i birilli, torna con le biglie in mano; se­guendo il filo del suo pensiero, il Generale soggiunge) Qui poi abbiamo un vantaggio. Siamo relegati nell'ala estrema della villa. Al tempo di mio padre, que­sta era una specie di foresteria. E io sono forse un aborigeno qui? No. Sono un allogeno. Olga, ma ol­fatto ne hai, oppure no? Non senti un odore d'esilio?

Olga                              - (vagamente commossa) Tocca a lei, Eccellen­za.

Generale                        - (gira e rigira la biglia fra le dita e rimane assorto) Olga, ci credi tu al sangue?

Olga                              - Eh! Basta un graffio.

Generale                        - Non dico in questo senso. Parlo dei le­gami, dei sentimenti che si attribuiscono agli indi­vidui dello stesso ceppo. È obbligante o non è obbli­gante, il sangue? Per il solo fatto che è nato da te, un figlio deve amarti?

Olga                              - No, Eccellenza. Non è per quel solo fatto. Per tutto il resto. Sa, i rapporti, il viverci insieme. Lei, per esempio, dà uno schiaffo a suo figlio.

Generale                        - Mai successo!

Olga                              - Supponga di si. Quello schiaffo crea un ri­cordo. Non brutto, sa, Eccellenza. Col tempo, diventa un bacio. Lei piglia il suo bambino malato e lo fa dormire nel suo letto, vicino vicino. Quello respira il suo odore, apre gli occhi e la prima cosa che vede è la sua barba, se lei ce l'ha. Col tempo la vede im­mensa, una foresta, la confonde coi paesaggi, come si vedono dal finestrino di un treno...

Generale                        - Ma io l'ho fatto! S'intende quando po­tevo essere qui!.., Olga! Ma hai dimenticato? Non facevo altro! Ero il cavallo di mio figlio, ero il suo orso...

Olga                              - Anche la luna, una volta ha fatto, Eccel­lenza! (Gonfia le gote) Si ricorda? Cosi!

Generale                        - (rifacendo l'espressione) È vero, cribbio! Una tenda faceva da nuvola e io m'affacciavo... mi nascondevo e gli occhi di Vincenzo erano larghi tanto!

Olga                              - Eh si, era bello! (Pausa) Però solo questo, sempre questo... I bambini sì stancano dei vecchi gio­cattoli.

Generale                        - Forse non hai torto. Avevo un meccani­smo elementare. Era troppo facile...

Olga                              - Già. Un padre deve cambiare. Deve essere un po' come il cielo. Un giorno è sereno, un giorno è tempestoso.

Generale                        - Non potevo, Olga. Non potevo.

Olga                              - Perché?

Generale                        - (sta per gettare la biglia, prende la mira, ma non ne fa niente) È difficile spiegare. Non imma­gini quante ne ho viste, fuori di qui! La conquista delle Colonie, la prima Grande Guerra, un po' di Spagna in incognito - sa, sono qui solo di passag­gio, en touriste, e giù migliaia di morti - poi la con­clusione, il trentanove-quarantacinque. Che te ne pare?

Olga                              - Certo, Eccellenza, ne ha corsi di rischi!

Generale                        - Rischi? Olga e che sono i rischi. Ogni respiro e ogni battito di cuore è un rischio. Il brutto della guerra è quello che devi e quello che vedi fare. Tu, il nemico, forse anche Dio, ne siete ugualmente imbrattati. Schizza fango fino alle stelle, in guerra. Gli uomini si sostituiscono ai terremoti, alle pestilen­ze, ai cicloni. E come lo fanno bene! Tu arrivi accal­dato, affannato a un pozzo. Che frescura sale dall'in­terno! Sul muretto c'è l'erba, la carrucola è una mu­sica, il secchio viene su. Lo afferri a due mani, ah... bevi. E sei morta. L'acqua era avvelenata. Oppure vedi da lontano un cancello dal quale pende una stoffa rossa accarezzata dal vento. Pensi che sia un panno messo ad asciugare... No. È un vestitino. Ci sono ancora dentro i pezzi di una bambina. Qua un braccio sporge dalla neve, là una gamba dalla sabbia. Oppure arriva un fonogramma: "Decimate il quinto reggimento". E che ci vuole? Chi non sa contare fino a dieci? Uno due tre quattro... Non ti accorgi nem­meno se il decimo è biondo o bruno... (Guardando Olga, come se ricordasse qualcosa) Oppure c'è una contadina, vecchia come te, su un'aia, o in un sen­tiero. Scusa. Metti un momento la mano per terra. Cosi... (Olga esegue guardando stupita e il Generale finge di appoggiare il suo piede sul dorso della mano) Ecco, il soldato, che è alto due metri, schiaccia con tutto il suo peso le tue dita. "Che strada hanno preso i partigiani?" E preme, preme... (Olga involontaria­mente emette un urlo e il Generale fa un salto in­dietro, spaventato) Eh, cara Olga, quante ne ho viste! L'importante è che tutte queste cose ti debbono sci­volare addosso come l'acqua. Devi starci a tuo agio. La morte è niente. La morte è naturale, la morte è una pianta. Ma la guerra ne fa una cosa ibrida, mo­struosa, che non ha più nessun diritto sugli uomini. E un generale, è praticamente un industriale di que­sto genere di morte. Ha in mano gli indici e i dia­grammi di questa produzione. Il suo compito è di incrementarla al massimo. Che mestieraccio. Olga! Che mestieraccio!

Olga                              - (dopo una pausa, mentre il Generale fa gual­che passo riflettendo) E non potevate sceglierne un altro?

Generale                        - Non lo scelsi io. Mi scelse. Puntò il dito e disse: Tu! E mica si sbagliò. Attilio Zedd è stato il tenente dei tenenti, il capitano dei capitani, il generale dei generali. Quanti nomignoli ho? Il ter­rore delle caserme... L'incubo degli avamposti... Bar­ba di ferro... Doccia di fuoco... La tarma dei retico­lati... Sì, contali un po'... Ma che stavamo dicendo? Ah si... la casa... i ragazzi... Questo è il punto. Tu vedi e fai, impassibile, quieto, cose che ti fanno deside­rare di rientrare nel grembo di tua madre! Ecco per­ché, ogni volta che rimettevo i piedi qui, diventavo chi diventavo... un imbecille, un timido... Un fesso, Olga. Ti ricordi quel giorno - 19 aprile 1924 - quan­do - eravamo a tavola - Vincenzo, che allora aveva otto anni, mi disse: "Taci tu, idiota!" Non io, ma la madre - pur condividendo l'opinione - gli dette uno schiaffo e lo mandò digiuno in camera sua.

Olga                              - E lei, gli portò di nascosto un panino e le arance.

Generale                        - Infatti, Fu una grave ma squisita debo­lezza. È inutile mentire. Ho sempre avuto bisogno, nella vita privata, si... di.,. usiamo una parola for­te - di umiliazione- (trasalendo) e perché poi? (come spiegandoselo) Chiamiamola una reazione, un paga­mento. Versavo, diciamo, il corrispettivo dei miei no­mignoli. Per ogni barba di ferro e doccia di fuoco, un quintale di irriverenza, di indifferenza e di di­sprezzo fra queste mura.

Olga                              - Eh... Ci deve aver patito molto, Eccellenza.

Generale                        - Chi, io? Ti sbagli, Olga, È questo il bel­lo. Sotto sotto, ci godevo. Mi ricaricavo. Rientravo in caserma, o ripartivo per il fronte, più carogna di prima. I miei subalterni si domandavano: "Ma dove è stato? All'inferno?" Mi viene da ridere quando leggo: il Gigante, il Titano, l'Eroe! Nessuno più del Gigan­te, del Titano, dell'Eroe ha bisogno di essere sorret­to, confortato, aiutato. La forza... la forza è pesante, la forza è una croce, Olga. La forza è debole. Devi imparare a sopportarla ricorrendo a un mucchio di segrete viltà. Omero, quando parla di Astianatte, è un buffone. Sai chi era Astianatte? (Comincia a sba­digliare, Olga gli toglie la biglia dalle mani. Lo aiuta a stendersi e a spogliarsi)

Olga                              - No, Eccellenza. Non lo so.

Generale                        - Lo so io. (Sbadiglia) Non è vero che quel tenero bambino si spaventò guardando l'elmo del padre. Quando mai! Astianatte scoppiò a ridere ed Ettore si vergognò... come un pagliaccio.., (Sba­diglia ancora, si stende) come un pagliaccio... (Il Ge­nerale s'è addormentato. Olga spegne la luce grande ed esce. Resta accesa solo la veilleuse accanto al let­to. Passa un momento. Si ascolta, dapprima lontanis­sima, una musica rarefatta. La luce della lampada comincia a palpitare e ad accentuarsi con un che di vaporoso e di irreale. Il Generale sogna. Entra Ettore, tutto scintillante nella sua armatura, con un elmo sontuoso in testa. È seguito da Andromaca che porta in braccio Astianatte)

Generale                        - (che si è sollevato a metà sul tettuccio e come prevedendo una lite) Confermo quel che ho detto! (Ettore e Andromaca si scambiano un'oc­chiata)

Andromaca                   - Che osso duro!

Ettore                            - (con tono conciliante e vagamente umile) Generale! Mettiamo pure le carte in tavola. Va bene, Astianatte non pianse. Ma nemmeno - come tu di­ci - scoppiò a ridere! Eh!

Generale                        - Mentisci sapendo di mentire, Ettore! I figli ridono! Altroché se ridono! Tu con quella mon­tagna di piume in testa potevi far paura a Ulisse, magari ad Achille, ma non ad Astianatte! (Nuovo scambio di occhiate imbarazzatissime fra Ettore e Andromaca) I figli ridono! Si! I figli disprezzano, Et­tore! I figli sono il nemico più feroce del guerriero! (Ettore accusa il colpo e non trova parole da opporre. Andromaca guarda il prode marito)

Andromaca                   - È inutile stare a negare, mi sembra.

Ettore                            - (arrendendosi) Va bene. Astianatte scop­piò a ridere. È la pura verità. Ma Generale... non ren­diamolo di pubblica ragione...

Generale                        - E perché?

Ettore                            - Guastiamo una delle più belle pagine dell’Iliade!

Generale                        - Me ne infischio.

Andromaca                   - (supplichevole) Fallo per Omero. Fal­lo per la poesia.

Gen. Canos                   - (intervenendo, ancora più squittente del solito) Deve ancora nascere chi si permetta di ridere della mia scheggia vagante!

Generale                        - Non ti preoccupare, Generale Canos. Chiunque sia, preferirà non nascere. Una risata non vale una vita.

L'ufficiale inglese         - (patetico) Io la conosco, si­gnor Generale, una cosa che vale la vita.

Generale                        - Zitto voi, che avete snaturato anche l'acqua. Ci rimisi duecento soldati per colpa vostra! (Ridacchia) Che fate adesso? Che fate? Siete oste a Birmingham?

L'Ufficiale inglese        - (avvilito) Signor Generale, non mi giudichi dall'episodio del pozzo avvelenato, la prego. Non avrei mai fatto una cosa simile. Non mi sarebbe mai venuto in mente. Ebbi un ordine ca­tegorico. Che dovevo fare? Mi guardi, ero studente di lettere a Oxford e scrivevo poesie. Le giuro, prima di allontanarmi dal pozzo, pensai per un attimo di mettere un cartellino che dicesse: "Attenzione! Acqua avvelenata! " Ma c'era la truppa... C'era il dovere...

Vincenzo                       - (corre scostando furiosamente i personag­gi) Mio padre! Lasciatemi parlare con mio padre! (Lo vede) Papà! Finalmente! Ho una notizia per te! Ti voglio bene!

Generale                        - Vincenzo. (È imbarazzato e felice) Ma quanti anni hai?

Vincenzo                       - Quelli che vuoi, papà. Dillo tu.

Generale                        - (dubitativo) Otto? Come quando ti por­tai il panino e le arance?

Vincenzo                       - Si!... Si!

Generale                        - Dimmi... ma... quando ti sei accorto?...

Vincenzo                       - Di che, papà?

Generale                        - Di volermi bene. Quando?

Vincenzo                       - Adesso, papà.

Generale                        - Allora che aspettiamo? Abbracciamoci!

Vincenzo                       - Si, si! Non c'è tempo da perdere! (Si tendono le braccia)

Tutti                              - Bene! Ci voleva! Bravo! Ti sei deciso! (E, come se avessero assistito a una scena di teatro, im­provvisamente applaudono. Ettore è più scalmanato degli altri)

Ettore                            - Bis! Bis! Bravo, Vincenzo!... Bis! (Vin­cenzo si volge irresoluto, fa qualche piccolo inchino alla maniera degli attori, domandandosi evidentemente se deve o no concedere il bis. Ettore lo incoraggia sospingendolo verso il padre)

Vincenzo                       - (riaccendendosi) Papà! Finalmente! Ho una notizia per te!

Generale                        - (lo ferma con un gesto della mano) No, no... Basta cosi... Non riuscirebbe come la prima vol­ta... cosi spontaneo... cosi sentito... (Vincenzo ubbidi­sce, volta le spalle, si avvia; tutti desistono dall'ap­plaudire, convinti dalle parole del Generale. Un sol­datino arriva correndo con una grossa collana di vetro in mano)

Il "decimato"                 - (allegrissimo, quasi felice) Mi rico­nosce, Eccellenza? Uno due tre quattro cinque... Sono il terzo decimato del Quinto Reggimento. Lei ha det­to che non badava nemmeno se il prescelto fosse biondo o bruno. Eccomi qua. Mi dia un'occhiata ades­so. Sono biondo, guardi... non bruno.

Generale                        - (interessato, benevolo) E poi?

Il "decimato"                 - E poi, niente... tutto è stato cosi spiccio. Mi avevano mobilitato nel dicembre del '16. Non avevo che diciotto anni. Lavoravo nella vetreria. Anzi, vede? Le ho portato un ricordino. Permette? (Gli aggancia la collana. Il Generale si impettisce come chi riceve un'alta decorazione)

Generale                        - Grazie... (Giulia arriva, toglie la colla­na al Generale)

Giulia                            - Niente decorazioni.

Vincenzo                       - (che nel frattempo è tornato, prende la collana dalle mani di Giulia e la passa a Olga) Naftalina. (La bimbetta vestita di rosso passa corren­do attraverso la stanza, si ferma un attimo davanti al Generale che l'accarezza)

Generale                        - Dove vai? Sta' qui!

La bimbetta                   - (divincolandosi) Lasciami... Lascia­mi... Vado a giocare sul cancello... Vado a giocare sul cancello... (E corre via. Il Generale fa un moto come per arrestarla, ma la bimba è sparita. Egli si copre gli occhi con le mani. I personaggi dileguano. La luce si fa reale. Ritroviamo il Generale che dorme sul lettuccio da campo. La porta si spalanca e irrom­pe nella stanza una giovane donna discinta che, evi­dentemente ubriaca, lanciando piccole grida, è inse­guita da Guffand truccato da pellerossa, con penne in testa e un'ascia di gomma in mano, che urla)

Guffand                        - Ugh! Ugh! A me la donna bianca! (La donna bianca fa due finte attorno al lettuccio del Ge­nerale e dilegua nel giardino attraverso la porta-fine­stra. Il generale riesce ad afferrare Guffand)

Generale                        - Ehi! Fermatevi!

Guffand                        - (mettendosi buffonescamente sugli atten­ti) Oh! Il signor Generale! (Poi col tono di prima) Si fa per ridere!... Una pelliccetta di visone e la don­na bianca è mia!

Generale                        - Un momento!... Ma... siete vero?

Guffand                        - Io? Come no! Sono la verità in perso­na... Tocchi, tocchi! Mi dia uno schiaffo, se vuol sin­cerarsene!... (77 Generale gli molla un ceffone) Ha visto? Tanto me lo merito in ogni ora del giorno e della notte! (Ride) Ugh! Ugh! Dove s'è cacciata? A me la donna bianca!... (E agitando l'ascia di guerra, scompare anche lui nel giardino. Il Generale, dopo un attimo di sbalordimento, infila rapidamente la ve­staglia e tenta di raggiungere l'inaudito personaggio di cui sentiamo ancora le urla sguaiate. Ma sulla por­ta si trova di fronte a un'altra apparizione: due signo­ri in smoking che portano, avvolta in un leggero ma­terasso, una giovane donna seminuda)

Generale                        - Che diavolo cercate qui?

Primo invitato               - E si domanda? Un letto! (Ridono e si allontanano mentre il Generale li minaccia)

Generale                        - Miserabili! (Si ode una risatella. È Da­niele, in blu jeans e blouson noir, addossato allo sti­pite della porta) E tu chi sei?

Daniele                          - Ehi! Sono l'unico tuo nipote, Daniele Zedd. Ti dice niente? Il figlio di tuo figlio... Vincen­zo... (Il Generale brontola qualcosa, rientrando. Da­niele lo segue caricando e accendendo una corta pipa) Su, calmati, nonno! Calmati! (E senza mai sorridere, anche quando le sue battute hanno qualche vivacità) Te l'hanno fatto l'abbonamento al Corrierino dei Pic­coli?

 Generale                       - (sospettoso) Hai l'incarico di occuparti delle mie letture?

Daniele                          - (conciliante, ma sempre assente) Non aver paura. Nessuno può incaricare me di niente.

Generale                        - (ha un sospiro di sollievo. Si siede vicino al nipote e lo osserva) Ci conosciamo poco, noi due.

Daniele                          - Già. È seccante dover chiedere un favore a uno sconosciuto.

Generale                        - Tu... hai bisogno di me? Qualcuno ha bisogno di me? Perché sei qui?

Daniele                          - Anzitutto per mostrarti le fotografie dell'avvenimento.

Generale                        - Quale avvenimento? (27 Generale è per­plesso di questa strana maniera di condurre un di­scorso e non sa che atteggiamento assumere. Daniele intanto ha cavato di tasca un pacco di fotografie e le spiega come le carte da giuoco, senza mostrarle all'interessato. Continua a parlare sempre con la pipa fra i denti)

Daniele                          - Ma guardati! Guardati un po'! Sei di una losca magnificenza! Il grande macellaio riceve l'o­maggio dei garzoni di bottega!

Generale                        - (un po' irritato) Ma che discorsi fai? Levati quella pipa di bocca!

Daniele                          - (si toglie la pipa di bocca e la guarda rivol­gendola fra le dita come se la vedesse per la prima volta. Il suo contegno è astruso e provocatorio al mas­simo) Sei favoloso in questi ritratti, nonno! Sei già il tuo monumento. Purtroppo manca la base con le principali buffonate della tua vita... L'ingresso a Ti­rana e l'obbedisco all'ordine di andare a letto alle nove di sera... La difesa di Saragozza e la rinuncia involontaria del sigaro! (Dà una buffata dalla pipa in faccia al generale, sorridendo) Eh si, caro nonno!

Generale                        - (gli strappa dalle mani le fotografie) Da' qua e non mi chiamare nonno a quel modo!

Daniele                          - E come dovrei farlo? Ma nessun uomo che ragioni dovrebbe accettare di diventare nonno. È umiliante e vergognoso che uno abbia resistito al di­sgusto di essere diventato padre e tolleri perfino quel­lo di diventare nonno!

Generale                        - (sbalordito, addolorato) Ma come ti esprimi, Daniele? Sono pentito di non aver cercato di conoscerti più a fondo, quando forse eravamo ancora in tempo a giovarci l'uno con l'altro. Ma anche a pre­scindere dalle mie lunghe assenze, qui non mi hanno mai concesso di...

Daniele                          - ...di farmi ballare sulle tue ginocchia! Ah, ah!

Generale                        - Perché no? Non hai detto poco fa che devi chiedermi qualcosa? Saresti meno imbarazzato, se ci volessimo bene...

Daniele                          - Imbarazzato? Ma non lo sono affatto. Mi occorre denaro, nonno.

Generale                        - Denaro? Quanto?

Daniele                          - Trecentomila.

Generale                        - (balza in piedi) Trecentomila? Ma quan­ti anni hai?

Daniele                          - Una ventina. Perché, c'è un nesso?

Generale                        - Cribbio se c'è! Cosi giovane!... Deve es­serti accaduto qualcosa di grave. Parla.

Daniele                          - Ah nonno... se vuoi anche un memoriale, ti chiedo un milione. Su. Dammi le trecentomila e falla finita.

Generale                        - (lo guarda, si mette a camminare, com­battuto fra l'evidente piacere che proverebbe potendo aiutare il nipote e la coscienza di essere nell'impossi­bilità di farlo) Il fatto è che... non dispongo. Già... il mio denaro è mio, certo, certo, ma a patto che non lo usi. Ho dato la mia parola. (Pausa) È un impegno d'onore.

Daniele                          - (sempre col suo impercettibile risolino) L'onore? Scioglici un po' di bicarbonato. Passerà.

Generale                        - Daniele!

Daniele                          - L'onore! Accidenti, l'onore! Mi sembra di vedertelo addosso! Ma a Nizza! Per il carnevale. Vacci! Su un carro allegorico! Cosi! (Si gonfia. Rifa il fantoccio evocato) Questo è l'onore!

Generale                        - Ma chi lo dice?

Daniele                          - Noi lo diciamo. Io e gli amici miei. Lo abbiamo deciso all'unanimità, per difenderci.

 

Generale                        - E da che? Quali pericoli corri, tu?

Daniele                          - Il pericolo di somigliarvi, a te, a mio padre, a mia madre, agli altri...

Generale                        - Piantala, o ti prendo a ceffoni! (Il sot­tofondo musicale si accentua mentre dal giardino si sentono scoppi di voci e risate)

Daniele                          - Non è il momento. Senti, senti... (Con uno schioccar di frusta, avanza dal giardino un cu­rioso tiro a due: Guffand guida, mediante improvvi­sate redini, due caracollanti signore)

Guffand                        - Vuole un passaggio, signor Generale? (E corre via subito)

Generale                        - Ma chi è quel bruto?

Daniele                          - Non l'hai riconosciuto? È una persona rispettabilissima. È l'olio vergine d'oliva Guffand. Ha rapporti d'affari con mio padre...

Generale                        - Si si... Devo averne sentito parlare... Af­fari, Vincenzo, con quel pagliaccio? Cribbio!

Daniele                          - (dopo la solita risatella) E allora? Que­sto ceffone arriva o non arriva? (Porge la guancia) Alle corte, nonno. Tu volevi notizie mie e io proprio te cercavo. La mia tenuta non ti dice niente?

Generale                        - No. Che mi deve dire?

Daniele                          - Sono un Teddy Boy.

Generale                        - Come?

Daniele                          - Sono un Teddy Boy. La mia è la banda dei Bruciati. La più forte della Zona Nord.

Generale                        - (che ancora non realizza) La banda...? Ma cosa è? Una associazione a delinquere?

Daniele                          - E dai!

Generale                        - Spiegati! Chi siete! Che volete?

Daniele                          - Be', chi lo sa... Siamo pietre negli ingra­naggi. Bastoni nelle ruote di qualunque cosa. Il nostro motto è: Tutti nemici. Cosi non sbagliamo, ogni colpo fa centro.

Generale                        - Quali colpi? Quali centri?

Daniele                          - Ci interessano le distruzioni. Incendiamo chioschi di giornali, sfregiamo automobili in sosta, azzoppiamo le panchine del parco, prendiamo a ra­soiate le poltrone dei cinema. Insomma diamo fa­stidio.

Generale                        - Questo è cieco vandalismo! E poi per­ché? La ragione...?

Daniele                          - Ci avete stancati. Piglia mio padre, mia madre...

Generale                        - Che hai da dire? Dovresti gloriarti di loro. Tuo padre è un uomo geniale, un chimico illu­stre... conosciuto anche all'estero... non lontano dal Premio Nobel...

Daniele                          - Ah si? E mia madre?

Generale                        - È una dama... una intellettuale... una fine intenditrice d'arte...

Daniele                          - ... e di artisti, specie giovani. (il Generale gli salta addosso, lo prende per il bavero del blouson)

Generale                        - Tu stai parlando di tua madre... di tuo padre... del suo onore...

Daniele                          - Se ti dicessi che mio padre è un ladro?

Generale                        - Basta!

Daniele                          - Noo. (Si libera della stretta) Siamo ap­pena al principio, nonno! Chi ha inventato l'olio di stracci... imbottendo di milioni il pellerossa Guffand? Tuo figlio Vincenzo. Mio padre Vincenzo. Chi falsifica, corrompe, snatura qualsiasi cosa? Tuo figlio, mio pa­dre, il probabile premio Nobel per la chimica. È lui, soltanto lui, il creatore di questa specie di bomba atomica che scoppia ogni giorno in quello che man­giamo, in quello che beviamo, perfino nei vestiti che abbiamo indosso. E chi ci salva da questo vampiro? Le autorità costituite, forse? Le direzioni Generali? Senti senti... (Tira fuori da un logoro portafogli un ritaglio di giornale) "Il ministro ha quindi dichiarato che, grazie alla scienza, l'uomo potrà, fra non molto, nutrirsi e abbeverarsi dei propri escrementi, debita­mente depurati."   - (Pausa) Auguriamoci che, per un po' di varietà nel menu, io possa servirmi dei tuoi e tu dei miei.

Generale                        - (disgustato, ma stando alla polemica) E voi? Incendiando chioschi o tagliuzzando poltrone, che cosa ottenete?

Daniele                          - Un accidente di nulla. Ma almeno siamo canaglie genuine, canaglie pulite!

Generale                        - Che ragionamenti!

Daniele                          - Ci battiamo per l'individuo sincero, ani­male, terreno. Vogliamo l'inquilino somigliante alla casa, l'uomo fedele alla natura. La natura è brutta, feroce. Chi lo nega? Ma è sincera!

Generale                        - (lo considera, poi alza le spalle) Non ti capisco. (Intanto i clamori degli invitati sono an­dati avvicinandosi e accentuandosi)

Daniele                          - Capisci almeno questo? È una festa che si sta svolgendo in casa tua, nella famosa villa Zedd, prima che diventi Monumento nazionale. Una cin­quantina di invitati, ubriachi fradici dal primo all'ul­timo. È il loro alibi d'altronde. Una volta sbronzi, pos­sono fare di tutto. Non ci credi? Di tutto. Vuoi l'elen­co dettagliato? (Il Generale, che non può credere ai suoi occhi, muove qualche passo verso il gruppo, men­tre Daniele sempre appoggiato alla porta, lo osserva. Il gruppo di giocatori ha raggiunto il Generale)

Voci                              - Evviva il Generale! Festeggiamolo!

Guffand                        - Dobbiamo incoronarlo!

Giulia                            - Mio suocero è magnifico!

Voci                              - Si, si! Incoroniamolo! Re della borghesia! (Viene fuori una sorta di lenzuolo che qualcuno getta sulle spalle del Generale. Giulia, gridando e ridendo più degli altri, gli mette in mano, a guisa di scettro una bottiglia di champagne, ordinando in pari tempo a Cannavon)

Giulia                            - Presto! Una corona! (Cannavon improvvi­sa con un pezzo di cartone una corona che, fra urla e battimani, viene issata sulla testa del Generale. Egli è ora incoronato. Sembra un ecce homo. In questo momento entra correndo Vincenzo, con in groppa una giovane donna discinta. La vista del Generale, ridotto e quel modo, fa svanire i fumi che gli intorbidano la mente. Egli butta a terra la ninfetta e fattosi addosso al gruppo, grida)

Vincenzo                       - Che fai qui, papà? Conciato a quel mo­do? Vattene a letto! A quest'ora devi dormire! A letto! A letto! (E ai suoi amici) Andiamo... Sgombriamo... Presto... Muovetevi! ... (Tutti si ritirano ridendo, schia­mazzando e cantando qualcosa come: Viva viva il Ge­nerale... viva il gran re dei borghesi) - (Il Generale ri­mane solo, imbambolato, con lo sguardo assente. Da­niele si scuote, gli va vicino, gli toglie gentilmente la corona dalla testa, fa scivolare a terra il ridicolo manto)

Generale                        - (guardando Daniele con occhi nuovi) Ah... Sei tu? (Daniele lo guarda fumando, con la sua solita aria impertinente e indolente. Allora il Gene­rale con improvvisa durezza) Dammi da fumare! (Daniele gli offre la pipa. Il Generale dà avidamen­te qualche boccata e si avvia verso la stanzetta. Si ferma. Si volta) D'accordo. Avrai il denaro... quelle sudice trecentomila che ti occorrono      - (Si avvia nuo­vamente. Si ferma ancora, si volta) Ma a una condi­zione. Sarò dei vostri. (Daniele fa un cenno di saluto e si dilegua, mentre il Generale entra nella stanzetta. La luce diventa normale. Egli chiude la porta e resta assorto, con la testa appoggiata ad essa)

Prefetto                         - Un blouson noir, tu?

Generale                        - (si riscuote, si volta a guardare il Prefetto) Perché no?

Prefetto                         - Un Teddy Boy alla tua età?

Generale                        - Si.

Prefetto                         - Inaudito! Mi domando dove tu prenda il coraggio di raccontarmi cose simili.

Generale                        - Taci! Tu non sei un esperto di coraggio!

Prefetto                         - Ma di buon senso, si! Dai un calcio a tutto il tuo passato perché quattro fessi hanno fatto un po' di baldoria in casa tua! Ugh! Ugh, materassi, bighe, eccetera... E tu? Generale! Forse da giovane non sei stato anche tu allegro e puerile con le donne?

Generale                        - Mai. Mi sono comportato sempre con la massima serietà. E poi, che donne erano le mie? Gialle, nere... Sciarmutte di cui non ricordo nemmeno le facce... femmine di guerra... sulle quali io non ave­vo che un semplice diritto di precedenza.

Prefetto                         - (interessato suo malgrado) E come era­no? Come erano?

Generale                        - Olfattivamente sgradevoli.

Prefetto                         - Peggio. Non capisco perché tu abbia dovuto turarti il naso vedendo alcuni gentiluomini e al­cune dame abbandonarsi a qualche intemperanza pro­dotta, immagino, dallo champagne.

Generale                        - Filippo Maria De Guber, sei ben degno del posto che occupi! Tutto è lecito alle persone del tuo ceto! Ma se cose simili fossero accadute in una bettola, fra gente del popolo, tu l'avresti fatta chiu­dere per sei mesi. Quanto a me, non mi vergogno af­fatto delle mie azioni. Esule dall'esercito, esule dalla famiglia, non avevo altra scelta. O tirarmi un colpo di pistola alla tempia, oppure tentare una sortita!

PARTE SECONDA

LO STANZINO BLINDATO ALL'ISTITUTO DEI PESI E MISURE

È un piccolo ambiente di pareti d'acciaio, molto il­luminate. Una guardia, armata di mitra, passeggia da­vanti a una bacheca nell'interno della quale spicca, in un astuccio di raso, aperto, il famoso prototipo del metro in platino. Sul fondo è un signore, in redingote e tuba, di spalle, e di spalle sono due giovani ai suoi lati, bene abbigliati ma con un che di divisa, di collegio. Il signore si volge: è il Generale. Porta occhiali di tartaruga, grossi baffi e parla con un tono professio­nale ai due giovani in uno dei quali riconosciamo Da­niele, che cammina con una gamba rigida

Generale                        - Penso, ragazzi miei, che non dimenti­cherete mai questo eccezionale momento. Infatti l'og­getto che vedete là dentro, è alla base di tutto il mon­do. Il metro, ragazzi. Riflettete: il protometro. (Fa un passo verso la bacheca, ma la guardia interviene im­mediatamente)

Guardia                         - (autoritaria) Prego, signori. Indietro.

Generale                        - Non è permesso osservare più da vicino?

Guardia                         - Non è permesso avvicinarsi, a meno di un metro, al metro.

Generale                        - Giusto... giusto... Vorreste avere la com­piacenza di prenderlo, che misuriamo?

Guardia                         - Indietro! C'è la linea bianca apposta. (E indica una striscia dipinta a terra)

Generale                        - Grazie. Non la oltrepasseremo. Dunque, ragazzi, che cosa è il metro? È l'unità di misura li­neare, corrispondente alla quaranta milionesima parte del meridiano terrestre. Da ciò è facile intuire quante fatiche...

Daniele                          - ... e viaggi!

Generale                        - Anche. Dicevo... quante fatiche e quanti viaggi siano stati necessari per_ stabilire con la massi­ma esattezza questa unità di misura, alla quale si ispi­rano, manco a dirlo, tutte quelle in circolazione. Que­sto prototipo è di preziosissimo platino. Direte: per­ché? Lo dite?

Alfredo                         - Si, professore. Perché?

Generale                        - E io vi rispondo. Perché il platino, me­tallo prezioso assai duttile e malleabile, di color bianco plumbeo, di difficile fusione, è quindi (alla Guardia) dico bene?... il metallo meno dilatabile che si conosca. (Sempre alla Guardia) È cosi?

Guardia                         - Sissignore... Ma si scosti... (Indica la stri­scia bianca a terra) e non agiti troppo le braccia.

Generale                        - Obbedisco. (In questo momento entra un'altra guardia che si ferma di fronte alla prima e fa un rigido saluto militare. Poi dice)

Seconda Guardia          - Cambio.

Prima Guardia               - (consultando l'orologio) Mancano cinque minuti.

Seconda Guardia          - Ho anticipato.

Prima Guardia               - Parola d'ordine?

Seconda Guardia          - Le cicogne volano all'alba.

Prima Guardia               - I ramarri giuocano a carte. (Scam­bio di saluti) Diciotto mila trecento ventisette.

Seconda Guardia          - Trentatré, virgola trentaquattro. (A queste parole, la prima Guardia consegna il mitra alla seconda Guardia, saluta e se ne va. Appena è scom­parsa, Daniele, Alfredo e la nuova Guardia, si danno da fare ed eseguono gli ordini secchi del Generale)

 Generale                       - (a Daniele) Diamante. (Daniele cava fuo­ri un diamante e opera una incisione nella parte po­steriore della bacheca) Palo! (Alfredo si mette con aria indifferente sulla porticina di uscita) Presto... (Guarda l'orologio) Sono già passati dodici secondi... (Alla Guar­dia) Taglia il contatto elettrico... (La Guardia esegue)

Alfredo                         - (guardando fuori) Si, certo, signor pro­fessore... (E fa un cenno al Generale)

Generale                        - (mentre aiuta la falsa Guardia e Daniele a sfilare dall'apertura praticata a tergo della bacheca l'autentico metro e a sostituirlo con un altro, identico, di un metallo assolutamente simile al platino, ma as­sai più corto del modello originale)... è l'unità di misu­ra lineare, corrispondente alla quaranta milionesima parte... (Alfredo fa cenno che basta) Uffa. Avete finito? (La sostituzione è operata. Daniele si infila in un pan­talone il metro originale e si allontana con gli altri, con la gamba rigida)

Generale                        - (allontanandosi) Passeremo ora, ragazzi, allo studio e all'osservazione di un'altra unità ugual­mente importante... il protolitro... misura di capacità per liquidi e aridi... (Tutti escono, meno la finta Guar­dia. Passa qualche secondo. Arriva una terza Guardia, che si ferma di fronte alla seconda e saluta militar­mente)

Terza Guardia               - Cambio.

Seconda Guardia          - Sei in anticipo.

Terza Guardia               - (consultando l'orologio) No. Sono in ritardo di un minuto.

Seconda Guardia          - Parola d'ordine?

Terza Guardia               - Le cicogne volano all'alba.

Seconda Guardia          - I ramarri giuocano a carte. (Scambio di saluti) Diciottomilatrecentoventisette.

Terza Guardia               - Trentatré virgola trentaquattro. (A queste parole la falsa Guardia consegna il mitra alla terza Guardia, saluta e se ne va. Buio)

IL QUARTIER GENERALE DEI TEDDY BOYS

Una vasta sala di Villa Zedd adibita a quartier ge­nerale dei Teddy Boys. Grande tavolo al centro, sul quale sfolgorano il protometro, il protolitro e il proto­chilo. Varie mappe della città su telai illuminabili. Casse e oggetti vari ammucchiati negli angoli. Molte sedie situate come per una conferenza. Fisarmonica, chitarra. Ai due lati estremi della stanza, si fronteg­giano due giovani, coi soliti Musoni, coi soliti blu jeans. Stanno adagiati pigramente su sedie affiancate e si guatano con estremo disprezzo. Uno è Alvaro De Guber, figlio del Prefetto, l'altro è Ennio Guffand, figlio del "Pellerossa". Daniele è seduto al grande ta­volo e sta pigliando appunti. È evidente che esiste un lungo e provato odio fra i due.

Alvaro                           - (toltasi la cicca di bocca, la lancia con uno scatto del pollice all'indirizzo di Ennio, che subito, pronto alla rissa, si alza lentamente dalla sedia) Co­me vanno gli storpiati della tua zona? Io personal­mente te ne ho disarticolati una diecina.

Ennio                            - Buffone. Dalle parti tue, in questi giorni, si vende più vegetallumina che zucchero. (Daniele alza la testa e vede Ennio che si è levato in piedi. Si alza a sua volta e con i suoi movimenti dinoccolati ed esau­sti, si avvicina frapponendosi ai due)

Daniele                          - Piantatela. Questo è un Quartier Generale e voi vi state comportando come in casa De Guber e in casa Guffand.

I Due                             - (contemporaneamente) Ehi!

Daniele                          - Ehi che? Voi siete, in tutta la città, gli unici dissenzienti.

Alvaro                           - Chiamaci indipendenti.

Daniele                          - Fa lo stesso. Avreste eventualmente tutti contro di voi. Dunque, o vi sottoponete a Pantera, o prenotatevi l'epigrafe dal marmista. (Li palpa improv­visamente) Mollate le armi! (Daniele scarica sul ta­volo il contenuto delle tasche dei due giovani: coltelli a serramanico, pugni di ferro, pezzi di corda, una arcai­ca pistola da duello, ecc. Finita l'operazione Daniele se ne torna tranquillamente al suo posto, mentre Ennio e Alvaro si slanciano uno contro l'altro, si avvinghiano, si rotolano a terra percuotendosi selvaggiamente. Daniele volge per un attimo la testa, crolla le spalle, si rimette al lavoro) Entra il Generale. È in divisa da Teddy Boy. Da­niele si alza.

Daniele                          - (allargando le braccia) Ecco il materiale di cui disponiamo. (Indica subito dopo le armi sul ta­volo, come per dire: tanto non si possono uccidere. Il generale osserva i due ragazzi che inestricabilmente avvinti, stanno addirittura mordendosi, si avvicina lo­ro e li afferra per i baveri sollevandoli e immobilizzandoli)

Generale                        - (ad Alvaro) Tu sei?

Alvaro                           - Alvaro De Guber

Generale                        - Figlio del Prefetto?

Alvaro                           - Quando si può essere figli di un Prefetto. Comando gli sciacalli di villa Fiorita.

Generale                        - Bene. Allora ci servi. (All'altro) Tu?

Ennio                            - Ennio Guffand.

Generale                        - Figlio del "pellerossa"?

Ennio                            - Che pellerossa?

Generale                        - Lo so io. Quale è il tuo gruppo?

Ennio                            - Rione Mercato.

Generale                        - Sedetevi e ascoltate bene. Non posso più tollerare l'esistenza di altre bande in città. Lo sa­pete.

Daniele                          - Gliel'ho già detto. O con noi o eliminati.

Generale                        - È ineluttabile. Voglio una totale efficien­tissima coalizione. Uno strumento infrangibile. È idio­ta che i ragazzi si azzuffino per una banale suprema­zia di quartiere. (Avvicina il suo al volto di Alvaro e dice): Macaco! (Idem con Ennio) Lo stesso attuale or­dinamento del mondo ci suggerisce questo. Due grossi blocchi oggi si fronteggiano. Le piccole nazioni non sono più che spettri, larve di un lontano passato. Men­dicanti. Fate la carità di una istallazione di rampe missilistiche! Per amor di Dio, dateci un pizzico di stronzio 90. Anche la nostra città quindi, sarà divisa in due blocchi: noi, i Teddy Boys, e gli altri, la socie­tà. La battaglia, come potete constatare, è iniziata. Ho diretto io stesso, stamane, l'operazione trafugamen­to del protométro (lo solleva e lo mostra) del protoli­tro (idem) e del protochilo           - (idem). Tutta roba di pu­ro platino. (Mormorii di approvazione e di meraviglia) E continueremo. Inutile sottolineare che ogni nostra azione non sarà priva di sarcasmo. Per dirne una, io non soltanto ho prelevato queste unità di misura, ma le ho sostituite con altrettanti facsimili di misure in­feriori. Il metro che abbiamo lasciato nella bacheca dell'Istituto, è di soli sessantacinque centimetri. E cosi via. Vedete l'ironia?

Una Voce                      - No, Pantera...

Generale                        - E sei un imbecille. Noi adesso inviere-mo ai commercianti volantini del seguente tenore. (A Daniele) Leggi.

Daniele                          - (leggendo) Attenzione! I metri in vostro possesso sono notevolmente maggiorati. Un'occhiata al prototipo, che si trova all'Istituto dei Pesi e Misure, vi persuaderà. Risultato: per anni, per decenni, avete venduto in pura perdita di ben trentacinque centime­tri per metro.

Generale                        - A voi i commenti e le relative azioni giudiziarie contro lo Stato. (Urrà dei Teddy Boys)

Nunzio                          - E che ce ne faremo poi di tutto questo platino?

Generale                        - Non siamo ladri, no? Fra un mesetto, quando l'episodio avrà dato tutti i suoi frutti, faremo ritrovare il protométro nella sporta della spesa della serva di qualche alta personalità. (Mormorii, approva­zioni. Sono entrati frattanto altri Teddy Boys fra i quali riconosciamo Alfredo e la falsa guardia Tony, ca­richi di disparatissimi oggetti: pubblicità stradale, lavandini, rubinetti, insegne di negozi, un casellario postale, ecc. Il Generale ha osservato questi movimen­ti senza distrarsi)

Generale                        - (a Daniele) Siamo pronti per il rappor­to?

Daniele                          - I capigruppo ci sono tutti.

Generale                        - Avanti. Cominciamo.

Nunzio                          - Il direttissimo delle 15,40 e il rapido per la capitale sono partiti privi di rubinetti e di saponie­re nelle ritirate. (Mostra una cassetta dì rubinetti) Dell'accelerato delle 20, è partita soltanto la locomo­tiva. Lo sganciamento dei vagoni all'ultimo istante è perfettamente riuscito.

Generale                        - Bene. (Facendo un cenno a un altro)

Tullio                             - (alzandosi) Venti cartelloni pubblicitari dell'Autostrada maggiore incendiati o asportati.

Generale                        - Pochi. (Altro cenno)

Alfredo                         - Noi, di Porta Sud, abbiamo otturato er­meticamente gli scappamenti di ottantacinque auto­mobili parcheggiate per la notte nella zona. Domattina fotograferemo i risultati.

Generale                        - (a Daniele) Inviane qualche copia alla stampa. (A un altro ragazzo) I monumenti?

Nunzio                          - Abbiamo lavorato molto su quello del Presidente della Repubblica. Verde il cavallo, blu il cavaliere. Niente di verniciato ancora al Monumento del Padre della Patria. C'erano troppi vigili notturni.

Generale                        - (duro) Non avete un'oncia di talento. Bastava una piccola azione dimostrativa, per esempio una finta rissa, sotto i portici, per allontanarli tutti.

Nunzio                          - Accidenti! Non ci abbiamo pensato. (Questi rapporti non mancano di influenzare Ennio e Alvaro, sui volti dei quali si va dipingendo una espressione ammirativa)

Brigitte                          - Cassette postali. Operazione compiuta in dieci stabili. Che uso dobbiamo fare della corrispon­denza?

Generale                        - Tenetela li per ora. Forse la pubbliche­remo. (E rivolgendosi ai due "dissidenti ) Alvaro De Guber, Ennio Guffand, veniamo a noi. Che decidete? (/ due giovani sì consultano rapidamente con gli sguardi, mentre gli altri li guardano con divertita superiorità)

Alvaro                           - Aderiamo! (Tutti corrono verso gli adepti felicitandosi, con strette di mano, colpi sulle spalle, ecc.)

Generale                        - (ristabilisce il silenzio) E adesso ascol­tatemi. (Egli accende con voluttà un grosso sigaro, mentre i giovani prendono posto davanti a lui) Men­tirei se dicessi che sono pienamente soddisfatto dei risultati che abbiamo raggiunto. Obiezioni?

Daniele                          - Abbiamo eseguito alla lettera gli ordini tuoi.

Generale                        - D'accordo. Senonché, ho voluto di pro­posito, in questa prima fase della nostra attività, sag­giare con imprese di lieve conto, le vostre effettive pos­sibilità. Insomma semplici azioni di pattuglia. Ades­so invece, è giunto il momento di adottare piani or­ganici e ben più redditizi. Questi piani sono suddivisi in quattro categorie: quella del costume, quella dell'igiene, quella delle finanze e infine quella politica. Co­minciamo da quest'ultima. La nostra città è una pol­veriera. Basta una scintilla. Noi, con abili azioni pro­vocatorie, metteremo sulle piazze gli uni contro gli altri, e scoppierà il dramma.

Tony                              - Ma come?

Generale                        - Mediante piccoli accorgimenti. Per esempio utilizzando, a tempo debito, un vessillo di mia ideazione, detto "Bandiera bifronte, o malata". Diamo tempo al tempo. (Breve pausa) Vengo ora al Settore finanziario, a) distribuzione su larga scala di false cartelle esattoriali, perfettamente imitate. Voi già in­tuite le conseguenze psicologiche e sovvertitrici di questa iniziativa... Caos nell'amministrazione... caos fra i contribuenti, b) Diffusione a voce e per iscritto - manifestini, giornaletti, opuscoli, ecc. di notizie sconvolgenti: prossimo fallimento di istituti di Credi­to, cambio della moneta, e cosi via... Settore dell'igie­ne, a) Occlusione delle fogne. Che il fango li sommer­ga! b) Siringhe di emetici nelle bottiglie del latte, e) Pulci al teatro dell'opera. (Mormorii di approvazio­ne) Sono idee ancora allo stato di abbozzo. Ma venia­mo al settore del costume. Avremo lunghe e dettaglia­te consultazioni su ciò. Eccovene intanto qualche esempio, a) Legami extraconiugali. Ci conviene fo­mentare l'adulterio? Le corna?

Voci                              - Sii!!

Generale                        - O ci conviene ostacolarle, invece? En­trambe le eventualità annunziano soluzioni brillanti. Vedremo, b) La piaga delle pratiche innaturali. Inizierei questa campagna con una catena di San Pancrazio, postale ovviamente, degli invertiti, e) Legge sulla chiusura delle case di tolleranza. O meglio le conseguenze di essa. Qui desidero intervenire poten­temente. Sono indignato per quanto avviene. Da un la­to c'è il problema del soldato, al quale non vi dispia­cerà che vada, anche in questo momento, il mio pen­siero. La recluta è sessualmente nei guai. Le meretrici non sono affatto scomparse, ma sono enormemente rincarate. Ne consegue che, o il Governo ripristina - almeno per l'esercito- le modiche accessibili case, o istituisce per il soldato una speciale indennità, li­quidabile con la cinquina. (Clamore dei Teddy Boys)

Daniele                          - Tu per quale decisione opteresti?

Generale                        - Tutte e due. Oggi come oggi, questa ca­renza di agevoli amori si riflette in modo particolar­mente negativo sull'addestramento e sull'efficienza del­la truppa. Mi domando che razza di guerre si illudono di poter ingaggiare i nostri governanti! (Approvazioni) La seconda faccia del problema riguarda invece quei ricchi che eccedono, nei rapporti con le innumerevoli donne prezzolate, che la errata Legge ha moltiplicato. Questi uomini, che non esito a definire ignobili, van­no perseguiti e colpiti a fondo.

Tony                              - In che modo?

Generale                        - Mi occorre qualche ragazza di spiccata avvenenza e intelligenza.

Nunzio                          - Eh, figurati! Mia cugina! Eccola li.

Giuliana                        - (accennando un saluto appena sollevandosi dalla sedia) Ciao, Pantera!

Generale                        - (fissandola) Ciao...

Nunzio                          - È appena uscita di collegio, ma l'abbiamo già rodata.

Generale                        - Vieni qui. Fatti vedere. (Giuliana si al­za, avanza. Il Generale, si dà le arie di quell'intendito­re che non e) Si... in fondo... Perché no?

Giuliana                        - È un complimento?

Generale                        - Muoviti un poco... armonicamente... co­me se volessi affascinarmi... (Ridacchia ammiccando verso i ragazzi)

Giuliana                        - (candida) Mi spoglio?

Generale                        - (scandalizzato) Ma che diavolo dici?

Giuliana                        - E fammelo vedere tu allora, come si af­fascinano gli uomini della tua età! (Risate, mormorii dei ragazzi)

Generale                        - (imbarazzato) Cribbio!... Suppongo, ri­tengo... press'a poco cosi... (Muove qualche passo an­cheggiando femminilmente. Tutti i ragazzi, eccitati e ironici, applaudono e fischiano all'americana. Uno di essi, alzandosi e facendo una specie di mossa sivigliana, canta: "Uè! Uè! Aggio visto na femmena!" Risate. Clamori. Il Generale, confuso, grida) Silenzio! (Il fra­casso si spegne. Il Generale ricomincia a catechizzare la ragazza, ma evidentemente grossi dubbi sono sorti in lui) Un momento, Giuliana. Ma quanti anni hai?

Giuliana                        - Quasi diciannove.

Generale                        - (sussulta come se solo adesso si rendesse conto dell'età della ragazza) Allora... mi pare im­possibile.

Giuliana                        - Sono troppo vecchia?

Generale                        - No... Ma è la particolare natura della missione che vorrei affidarti. Immagino che tu... sia... ignara... ignara e (improvvisamente, lasciandosi sfuggi­re la grossa parola di bocca e quasi gridandola) il­libata! (Clamori altissimi di tutti i ragazzi)

Alvaro                           - Viva Pantera!

Daniele                          - Nulla sfugge al nostro Generale!

Ennio                            - Ha l'occhio radioscopico!

Giuliana                        - (gridando) Basta! (Sì ristabilisce un cer­to silenzio. Giuliana, con atteggiamento spavaldo, af­fronta il Generale) Pantera, non fare lo stupido. Non sono ignara!

Generale                        - (agitando il dito come un maestro) Ma sei?...

Giuliana                        - Vergine? (Pausa) Magari si. Magari no. Se dovessi trovar marito in Italia, direi si. Se dovessi trovar marito in Francia, direi forse. Se dovessi tro­var marito in Danimarca, direi "No, no! per carità!"  - (Uragano di applausi da parte dei ragazzi)

Generale                        - Be' be'... non formalizziamoci! Lasciamo a Giuliana i suoi dubbi. D'altronde la missione che le affido è si molto delicata, ma scevra di veri pericoli

 fisiologici.

Giuliana                        - Dunque sono scelta?

Generale                        - Si!

Giuliana                        - (con impeto e già lanciandosi nella prima piroetta) Allora ragazzi, l'inno! (Tutti balzano in piedi allontanando a calci le sedie, mentre Daniele e Tony, afferrata la fisarmonica e la chitarra, danno ini­zio a uno sfrenato Rock'n Roll. Il ritmo è marcatissimo. I ragazzi cominciano a ballare cantando in coro. Giuliana, che da qualche attimo sta ballando attorno al Generale, lo afferra a un certo momento, obbligan­dolo a muoversi. Il Generale dapprima è imbarazzatis-simo e goffo nei movimenti, poi suo malgrado si sca­tena e regge validamente il paragone con i più scalma­nati, cantando anche più forte degli altri. La musica non manca di avere, a un certo punto, il suo effetto vandalico. I ragazzi, giunti al massimo della tensione, cominciano a fracassare soprammobili, sedie, ecc. Il Generale, dopo una brevissima esitazione, afferra an­che lui un grande vaso e lo fracassa. Su una nota ur­lata e acutissima, si fa buio di colpo)

UN PAESAGGIO CAMPESTRE DI ESTREMA PERI­FERIA

È una notte di nebbia. Il silenzio è rotto da clacson lontani e dal gracidare di rane. Si sentono delle voci che si avvicinano. Entrano Guffand e Giuliana. La ra­gazza indossa un impermeabile spiegazzato, col cap­potto dal bavero alzato, porta un grosso plaid d'auto­mobile.

Giuliana                        - Fermiamoci qui. È il posto ideale, sa.

Guffand                        - Si, si... (Si guarda attorno) Mi pare di si... (Stende sull'erba il plaid e vi si siede, invitando Giuliana. La ragazza lo imita. Un attimo di silenzio. Un sorriso scialbo. Poi la ragazza accarezza voluttuo­samente la lana del plaid, come una che non è abi­tuata a cose di lusso)

Giuliana                        - Ha avuto ima buona idea a portare que­sto dall'automobile.

Guffand                        - Il plaid?

Giuliana                        - Si. Come è morbido... che spessore... Mette caldo solo a guardarlo.

Guffand                        - Dici? Sai che quando ti ho vista per il Corso, ti ho scambiata per un'altra? Sembravi una brava ragazza che avesse perduto la chiave del por­tone.

Giuliana                        - (ride) Invece cercavo un bel signore che mi tenesse un po' di compagnia.

Guffand                        - (considera meglio la ragazza e intanto le palpa un braccio) Non ci sei male, vero?

Giuliana                        - Grazie. Lei è tanto gentile, sa?

Guffand                        - Non ci diamo del tu?

Giuliana                        - Come vuole. Io, sa, non ho molta pra­tica.

Guffand                        - Ma no!

Giuliana                        - Ma si! È l'ottavo giorno, questo.

Guffand                        - Eh! Bada che le bugie, nuove o usate, io non le compero.

Giuliana                        - Non dubiti. E chi gliele mette in conto? Lei è talmente un signore! (Fa una carezza al cappotto di Guffand, palpandone la stoffa) Cosi elegante... cosi fine... Certo lo sa quello che deve fare... Niente assegni però...

Guffand                        - Ma te l'hanno bruciato qualche volta il paglione! Ah ah!... Il tuo nome?

Giuliana                        - (esita) Zaira. È brutto, vero? Ma sa, vengo dalla montagna. Qui facevo la pantalonaia...

Guffand                        - Non tanto lontana dall'argomento, in­somma! Eh eh... (Giuliana fa una gran risata e come sopraffatta dal divertimento si lascia cadere supina sul plaid. Lui si appoggia su un gomito vicino a lei) E poi?

Giuliana                        - (bamboleggiando) Non ho avuto fortu­na. Prima la morta stagione... poi quel farabutto di Luigi...

Guffand                        - Ah ah. La solita storia. E perché non l'hai sposato?

Giuliana                        - Chi l'ha più visto?

Guffand                        - Svanito... Ah ah!... In fondo Luigi ti ha aperto una carriera... ormai un avvenire ce l'hai...

Giuliana                        - (tirandosi su) Non scherzi su queste cose. Una principiante incontra mille difficoltà. Mi piz­zicarono subito. Vuol saperlo? Da lunedì contravven­go al foglio di via. Non ha conoscenze in Questura, lei?

Guffand                        - Come no! Dopo mi darai le generalità. A proposito, quanti anni hai?

Giuliana                        - Quasi diciannove. Per l'età sono in re­gola, non abbia paura. (Pausa) E lei?

Guffand                        - (tirandosi su anche lui) E io? Come sa­rebbe io?

Giuliana                        - Oh, pardon... che stupidaggine! Questa è bella! Non c'è limite per gli uomini... Ha ragione, si, si... lei potrebbe essere mio padre.

Guffand                        - Tuo padre! Non esageriamo...

Giuliana                        - Dico per gli anni. Potresti essere il pa­dre di un ragazzo del mio ambiente. (È passata al tu, con una improvvisa durezza)

Guffand                        - (un po' seccato) Del tuo ambiente! Che discorsi, Zaira! (Fa per baciarla)

Giuliana                        - (lo trattiene) Perché no? Ma se somigli tale e quale a Ennio.

Guffand                        - Ennio?

Giuliana                        - Si. Ennio Guffand, il biondino. (Stac­candosi da lui, cambiando adesso decisamente tono di voce e ridendo) Commendator Guffand, ma che ti ven­ga un colpo! Tu non sei che il genitore di Ennio dal principio alla fine!

Guffand                        - Signore Iddio! (La guarda) Ma tu chi sei?

Giuliana                        - Uffa. Sono Giuliana. Giuliana Guaccix.

Guffand                        - La figlia del Comm. Guaccix? Le Metal­lurgiche?

Giuliana                        - Si, le metallurgiche Guaccix.

Guffand                        - Allora sei la nipote dell'onorevole Burgos?

Giuliana                        - Perché no?

Guffand                        - Ma non eri in collegio?

Giuliana                        - Un mese fa. E che credi? Anche i collegi finiscono!

Guffand                        - (con voce alterata, alzandosi) Signore Iddio, che vergogna! Io... io vedo e non credo! Ma sei pazza? è una malattia?

Giuliana                        - Quando mai! Sto benissimo. E tu? E tua moglie? Lo sa come lo curi il tuo celebre esauri­mento nervoso?

Guffand                        - (sussulta) Bada! Esigo... pretendo che tu mi riveli... Ma come? Certo non è per bisogno che fai questo!

Giuliana                        - No, davvero! E tu? Con tutti i miliardi che hai, non è per bisogno che mistifichi l'olio vergine d'oliva? Perché lo fai, allora?

Guffand                        - Zitta, canaglia! Zitta! Vada come vada, riferisco tutto a tuo padre! Finirai in una clinica psi­chiatrica! Su, alzati! Andiamocene! (Le allunga una mano)

Giuliana                        - Eh no. Abbiamo appena incominciato! Altro che clinica! Non sono mica quella che sembro, sai? Tutta apparenza. Vedi laggiù quella tenue luce? È un'automobile. Dentro ci sono cinque giovani e forti amici di Giuliana, anzi no, di Zaira tua!

Guffand                        - E che vuol dire?

Giuliana                        - Eh, se non mi lasci finire!... Noi pe­schiamo ogni notte qualche grosso pesce_ come te. Lo attiriamo qui e vendichiamo su di lui gli andirivieni, i sospiri e le bronchiti delle vere passeggiatrici. Ti garba? Trenta ragazze come me battono apposta i marciapiedi della città!

Guffand                        - (agitato) Ma figliuoli miei, che avete? Con chi diavolo ce l'avete? Perché, perché ve la pi­gliate con la gente?

Giuliana                        - Tu? Tu sei "gente"? Eh no, Guffand! Tu hai quintali di nome e di personalità, invece! Non diminuirti, caro e non svalutare le fatiche nostre. Che abbiamo? Niente, niente. Non abbiamo niente di nien­te e ai lati di niente! Ecco tutto! Ma scusa... i miei amici aspettano. Non c'è più tempo. (Fa il solito fischio di richiamo. Da lontano risponde lo stesso fischio) Abbi pazienza. Non sarà una cosa lunga. (Guffand si guarda attorno smarrito: vorrebbe fug­gire, ma Giuliana fa tintinnare un mazzetto di chiavi) E dove andresti? Ce l'ho io, le chiavi della tua macchina.

Guffand                        - Pazzi! Pazzi criminali! (Agitatissimo) Mi deruberanno?

Giuliana                        - Per chi ci prendi? Te le daranno sol­tanto. Forse ci rimetterai qualche dente. Forse no. Hai la piorrea? (Vociare di Teddy Boys che stanno arrivando)

Guffand                        - Per carità, Giuliana! Torna in te! Digli chi sono!

Giuliana                        - Lo vedranno benissimo chi sei! E sarà peggio, che vuoi farci? Ma non aver paura. Ne avrai al massimo per un mesetto. Non è morto nessuno, fi­nora! (Si allontana di qualche passo per potersi godere la scena a una distanza ragionevole. Da ogni lato ir­rompono, coi volti coperti da fazzoletti neri, urlando come congolesi, i Teddy Boys)

LA CAMERETTA DEL GENERALE

II Generale, in tenuta da Teddy Boy, passeggia ner­vosamente davanti a quattro dei suoi ragazzi: Daniele, Ennio, Alvaro e Tony. I ragazzi stanno addossati alle pareti, con atteggiamento sfottente. Le loro risposte al generale sono studiatamente pausate.

Generale                        - Su, avanti. Fatevi uscire il fiato. (Silen­zio dei ragazzi) Ce l'avete con me? (Silenzio) I motivi?

Alvaro                           - La tua fiacchezza.

Generale                        - Io fiacco?

Tony                              - Si. Fiacco ed egoista.

Ennio                            - La nostra opinione è che tu abbia ad arte tenuto sempre fuori da ogni nostra azione la tua fa­miglia.

Generale                        - (guardando Daniele) Ma è anche la tua.

Daniele                          - Occasionalmente.

Generale                        - (sussulta un poco) Già. E allora?

Alvaro                           - Allora c'è chi dice: "Io, per la causa, ho trafugato a mio padre il Prefetto, in Prefettura, i pia­ni di blocco di eventuali manifestazioni e torbidi."

Generale                        - Ah!

Ennio                            - C'è chi dice: "Io, per la causa, ho colloca­to un registratore nel pied-à-terre di mio zio, deputa­to al Parlamento. Successivamente ho ricattato l'ono­revole Burgos, obbligandolo a togliere il suo voto alla maggioranza e ho provocato quella crisi governativa che tanto ci giova."

Generale                        - Si, si... Non nego che sia stata un'im­presa ammirevole!

Tony                              - E c'è chi dice di aver ottenuto, con gravis­simo rischio e sacrificio personali, le prove che il se­natore suo cugino, colonna del partito cattolico, è in pari tempo un'alta personalità massonica.

Ennio                            - Ne vuoi ancora, Pantera? Mio padre, l'olio vergine d'oliva Guffand, con l'aiuto di Giuliana, ne avrà per una quarantina di giorni, salvo complicazioni.

Generale                        - Capisco. (Una pausa) È arrivata l'ora della famiglia Zedd. Volete demolire Vincenzo. Met­terlo nei guai, rivelare le sue truffe, i suoi raggiri, le sue connivenze?

Alvaro                           - Be', questo no. A che servirebbe? Lui e i suoi pari farebbero immediatamente fronte comune e non si muoverebbe una foglia intorno a loro.

Generale                        - Hai ragione. Oggi, con la verità, non si cava un ragno dal buco. La verità è di piombo. Va' a fondo. È solo con la menzogna che si può ottenere qualche risultato apprezzabile. Dimmi che cosa non fai e ti dirò chi sei. Concludete.

Tony                              - Non abbiamo alzato un dito, fino ad oggi, contro Vincenzo Zedd. Chi gliela attribuisce questa speciale immunità?

Generale                        - Chi?

Ennio                            - Mi dispiace, Pantera. Tu. Proprio tu.

Generale                        - (colpito, quasi piagnucoloso) Daniele-Daniele... Tu conosci questa mia debolezza che è stata il dramma di tutta la mia vita...

Alvaro                           - (intervenendo) Si, che la conosce! Ma nel­le attuali circostanze...

Generale                        - (irrigidendosi, a Daniele, non badando agli altri) Alle corte. Sei disposto a sacrificare tuo padre?

Daniele                          - Ora come ora, per una ovvia questione di prestigio, direi di si.

Generale                        - (allargando desolato le braccia) E al­lora, non posso non sacrificare mio figlio.

IL SALONE DI VILLA ZEDD

È sera. Vincenzo entra dall'esterno e chiama.

Vincenzo                       - Giulia... Giulia... (si avvede di Olga) Oh, scusa. Sono tre giorni che non incontro mia mo­glie. Dov'è?

Olga                              - Adesso? È in camera sua (indica una porta)

Vincenzo                       - Chiamala, per favore.

Olga                              - Impossibile. Non vede? C'è la luce rossa?

Vincenzo                       - (dubitativo) Ci vado io?

Olga                              - Non mi sembra corretto.

Vincenzo                       - Forse hai ragione. (Suonano all'uscio esterno. Olga va ad aprire. Vincenzo si guarda attorno, È tentato di mettere l'occhio alla serratura della por­ta di Giulia, ma il ritorno di Olga, glielo impedisce)

Olga                              - Ci sono due signori. Hanno questa lettera da parte del Ministro dell'Agricoltura.

Vincenzo                       - (illuminandosi, mentre apre e legge la let­tera) Falli passare... Falli passare subito... (Olga esce. Olga introduce i due signori. Sono Tullio e Al­fredo. Entrambi ostentano una grande serietà di abbi­gliamento e di modi. Accentuano anche, parlando, il tono grave, maschio della voce. Uno dei due, il più giovane, reca una grossa busta, un cavalletto pieghe­vole e una macchina per diapositive. Olga si ritira, mentre Vincenzo si fa incontro ai due, cordialissimo, a mano tesa) Benvenuti!... Una commendatizia di Sua Eccellenza è un ordine per me. Sono a vostra dispo­sizione. (Li fa sedere)

Tullio                             - Grazie... grazie, dottore. Non le ruberemo troppo tempo.

Vincenzo                       - Sentiamo. Di che si tratta?

Alfredo                         - Desideriamo soltanto un suo giudizio su una nostra...

Tullio                             - ... fenomenale, scusi l'aggettivo.

Alfredo                         - ... invenzione fisico-chimica.

Vincenzo                       - Dunque, siamo sul mio terreno.

Tullio                             - Altroché, Maestro, se ci permette di usare questa parola.

Vincenzo                       - Per carità, no.

Alfredo                         - Eeh, come no! La sua genialità è troppo nota! È lei, è proprio lei, che riesce a rendere com­mestibile e profumata, mediante prodigiose iniezioni, qualsiasi carogna di gatto, di cane o di scimmia tra­sformandola in ottima carne bovina, ovina...

Tullio                             - ... e suina!

Vincenzo                       - (soddisfatto) Sciocchezze... sciocchezze... non parliamo di me... Lo faccio per il benessere del Paese. Veniamo a voi, piuttosto. Il Ministro mi dice mirabilia. (Dà ancora un'occhiata alla lettera e poi la depone su un tavolo)

Tullio                             - (alzandosi) Ecco. I nostri studi riguarda­no per ora appunto il bestiame. Ma, come lei vedrà, potranno estendersi facilmente anche all'uomo.

Vincenzo                       - Risultati ottenuti?

Alfredo                         - Siamo in grado di modificare le dimen­sioni di ogni animale.

Vincenzo                       - (ironizzando un poco) Ah, vedo... Man­gimi speciali, sostanze ormoniche e vitaminiche?

Tullio                             - Nulla di tutto questo, dottore. Nulla. Noi interveniamo nell'interno stesso della cellula.

Alfredo                         - Se crede, siamo in grado di darle anche qui una piccola dimostrazione.

Vincenzo                       - Prego. Fate pure.

Tullio                             - Fermo restando il numero delle cellule che compongono la struttura organica del soggetto, noi riusciamo a ingrandire fino a mille volte le pro­porzioni della singola cellula. (Alfredo ha intanto sro­tolato un piccolo schermo portatile e piazzato la mac­china da proiezione fissa. Nel compiere queste azioni, Tullio si è impadronito della lettera del Ministro e l'ha sotterrata dentro un vaso da fiori, non visto natural­mente da Vincenzo).

Vincenzo                       - (che si è fatto estremamente serio) For­midabile! Confesso che mi avete molto incuriosito! (Per affrettare i preliminari della proiezione, va lui stesso a tirare le tende e a spegnere la luce. Indi si va a sedere di fronte al piccolo schermo. Inizia la dimo­strazione)

Tullio                             - (mentre mostra la prima diapositiva: una co­mune gallina, inquadrata accanto alla mano della mas­saia, per dare il senso delle proporzioni) Ecco il massimo sviluppo di una normale gallina, conseguito con i mezzi normali.

Alfredo                         - (mentre cambia la diapositiva) Ed ecco invece una gallina trattata col nostro VV 960 X 26, di cui per ovvii motivi, non le riveliamo subito la formula. (Si vede un'enorme gallina più grossa e alta dell'in­tera massaia, che a mani alzate sul capo, porge il man­gime)

Vincenzo                       - Inaudito!

Alfredo                         - (mentre cambia nuovamente diapositiva) Questa invece mostra chiaramente... (Appare sullo schermo una donna nuda da cartoline pornografiche francesi, formosissima e volgare)

Tullio                             - (come accorgendosi improvvisamente di un errore) Oh, mi scusi, dottore! Che diavolo hai com­binato, Alfredo?

Alfredo                         - (rimestando nell'apparecchio) Pardon... pardon... questa immagine fa parte di una raccolta del tutto diversa, maestro!... Me ne vergogno... ma sa... siamo giovani...

Vincenzo                       - (cordialissimo ed eccitato) Che dice! Anche io sono giovane, sa! Avanti, avanti... mostrate­mi il resto di questa collezione... Alle galline pensere­mo più tardi...

Tullio                             - Come vuole... (Si sente dal giardino un acuto squillo di fischietto, mentre una voce imperiosa grida)

Voce                             - Circondate la casa! Voi due seguitemi! Per di qua!

Vincenzo                       - (allarmato, alzandosi) Che succede? (La porta sul giardino e le tende vengono aperte. Irrom­pono un commissario di polizia e due agenti. La sala è sempre immersa nella semioscurità e sul piccolo schermo c'è sempre la donna nuda. Nel trambusto, Alfredo si è fulmineamente spogliato ed è rimasto in slip)

Vincenzo                       - (scrollando il giovane) Ma è pazzo? Che fa?! (Si volta verso Tullio e ha un nuovo sussulto: il giovane a sua volta si è liberato della giacca e dei pan­taloni)

Commissario                 - (gridando) Fermi tutti! Luce! (Un agente cerca l'interruttore)

Alfredo                         - (con voce profondamente mutata, di chiara inflessione femminile) Lo sapevo! Lo sapevo che era un agguato!

Tullio                             - (anche lui contraffacendo la voce) E ora siamo nelle mani di questo bruto! (La luce intanto si è accesa e il Commissario si fa avanti)

Commissario                 - Tutto come volevasi dimostrare! La denuncia telefonica era precisa!

Vincenzo                       - (gridando anche lui) Ma lei chi è? Che vuole?

Commissario                 - Silenzio! Squadra del Buon Costume. Resti dove è. Non si muova! (A un agente) Tu scrivi. (Si mette a passeggiare descrivendo via via quello che vede) Fatta irruzione nella casa, abbiamo trovato: oscurità propiziatoria... immagini oscene pro­iettate su schermo ad hoc, due giovani seminudi, chia­ramente appartenenti al cosiddetto terzo sesso... (Lun­gi dall'offendersi, Tullio e Alfredo fanno qualche passo ondeggiando)

Vincenzo                       - Ma che dice? La farò mettere a posto io! Non ha capito che questa è una ignobile farsa? Giu­lia! Olga!!

Commissario                 - Per il suo bene, le ho detto di far silenzio! (Prende intanto dalla borsa di Tullio altre diapositive, che osserva controluce, ghignando) Anche una gallina... In trent’anni di Buon Costume, mai suc­cesso! Ah ah... Ignobile farsa! Qui ce n'è per un paio d'annetti! Di carcere, egregio signore! (È intanto arri­vata Olga che guarda costernata la scena, senza capire)

Vincenzo                       - Non ammetto!... Non ammetto!... Vo­glio un avvocato, subito!

Olga                              - Si, si... Ci penso io, signor Vincenzo... C'è l'avvocato Oddit a due passi.

(E fugge via. In questo momento si apre la porta dalla luce rossa. Ne esconoGiulia e il pittore Cannavon. Giulia indossa il maglio­ne e i calzoni del pittore; costui invece l'abito da mezza sera di lei. Essi si mostrano vagamente incurio­siti, ma con la solita suprema freddezza)

Giulia                            - Buonasera a tutti. Che accade?

Commissario                 - (esplode) Aaaah! Ma questa è una miniera, è il pantheon della moderna depravazione!

Vincenzo                       - Moderate i termini! La signora è mia moglie!

Commissario                 - (indicando Cannavon) E il signore chi è? Vostro marito? (All'Agente) Scrivi, scrivi... Nell'attigua camera intanto... (Vincenzo stringe i pugni e fa per slanciarsi verso il Commissario, ma Tullio e Alfredo lo trattengono, accentuando i modi femminili)

Tullio                             - Per carità, non fare sciocchezze!

Alfredo                         - Non sai come sono rozzi, quelli!

Commissario                 - (continuando a dettare)... si svolgeva una intima riunione alquanto equivoca...

Cannavon                      - Lasci perdere, commissario. Lei è as­solutamente impreparato alle cose dell'arte. Noi stia­mo solo tentando un travaso di personalità...

Commissario                 - E io vi travaso in galera! (Si spa­lanca l'uscio: Olga introduce un signore, l'Avvocato, che si rende conto immediatamente della situazione e si precipita da Vincenzo)

Avvocato                      - Sono l'avvocato. Non risponda a nessu­na domanda! Neghi tutto! (Al Commissario che si è avvicinato) Spiacente, signor Commissario, ma lei mi lascerà parlare da solo a solo col mio cliente...

Commissario                 - (facendo dietro-front) Che parla a fare? C'è la flagranza!

Avvocato                      - (a Vincenzo) Se lo ricordi: nessuna am­missione! Io solo devo conoscere i fatti con la massima precisione. Dunque? Cocaina? Contrabbando d'armi? Una piccola orgia?

Vincenzo                       - Sono vittima di uno sconcio intrigo, av­vocato! Vogliono farmi passare per... lei mi capisce?...

Avvocato                      - (guarda Tullio e Alfredo che gli sorridono femminilmente. Si illumina, ricambiando il sorriso) Dottore... ma quand'è cosi... quand'è cosi... (Strizza l'occhio ai due) Mi domando se non sia il caso di replicare: ebbene?

Vincenzo                       - Ebbene cosa?

Avvocato                      - (si infervora, mette una mano sul fianco, come una donna) Gettiamo la maschera, dottore, Io l'ho già fatto pubblicamente, or non è molto, sulla ri­vista "Apollon". Vi collaborarono i più insigni lette­rati della nostra sponda. Ammetta, ammetta la sua presunta colpa. Gridiamo alto il nostro diritto all'amore, alla gioia!

Vincenzo                       - (dandogli uno spintone) Imbecille! (L'Avvocato barcolla e cade fra le braccia dei due gio­vani in slip) In che mondo siamo? Impazzisco? (Dà in escandescenze, abbattendo a calci lo schermo porta­tile. Il Commissario si precipita verso di lui)

Commissario                 - Non tocchi nulla! (Vincenzo, fuori di sé gli molla un ceffone. Le guardie accorrono e lo im­mobilizzano. Sulla porta è apparso il Generale. È in vestaglia e rimane colpito a guardare la scena. Vin­cenzo si illumina di speranza)

Vincenzo                       - Papà... (Subito si disillude) Ma tu non mi difendi? Non lo sai che è una infame calunnia, questa?

Generale                        - Vincenzo... Tutto è cosi fluido oggi, nel­le cose e nella gente. E noi ci conosciamo poco... poco...

LA CAMERETTA DEL GENERALE

Siamo di nuovo nella cameretta del Generale, come all'inizio il Prefetto sembra un po' contagiato dalla eroicizzante puerilità del racconto del Generale: l'ef­fetto dei miti è immancabile su tutti.

Prefetto                         - E cosi rovinasti pure tuo figlio.

Generale                        - Fu terribile. Ero come Muzio Scevola davanti a Porsenna. Introdussi il pugno nella brace ardente. Ma non potevo non farlo, anche se nell'inti­mo soffrivo parecchio nel vedere Vincenzo allontanarsi ammanettato.

Prefetto                         - Oltre alla insulsa imputazione di atti osceni, c'erano la innegabile ribellione e le percosse alla forza pubblica.

 

Generale                        - Tu sai meglio di me che in ogni paese, quando il governo è debole, la polizia giganteggia. Do­ve mette un dito, là          - volendo         - fa nascere una pia­ga. La temono anche gli uomini politici. La temono anche le alte cariche dello Stato. Ah ah ah!... Giuro che la teme anche il Questore! (Risatina del Prefetto) Il tuo dossier non c'è l'hanno forse?

Prefetto                         - La mia vita è limpidissima.

Generale                        - Appunto. Che gusto ci sarebbe a intor­bidare acque già torbide? Creare, inventare è una delle più alte necessità dello spirito. Abbiamo, nella nostra gendarmeria, cervelli non inferiori a quelli di Balzac.

Prefetto                         - Be', mi pare che tu e i tuoi giovinastri non abbiate nulla da imparare in questo campo!

Generale                        - Si, la messinscena, quel giorno, non era malvagia.

Prefetto                         - Ma si trattava di tuo figlio, perbacco!

Generale                        - Già... Io però non rimasi del tutto inat­tivo. All'insaputa dei miei gregari, mossi qualche va­lida pedina e Vincenzo ottenne presto la libertà prov­visoria. (Il Prefetto si alza e comincia a passeggiare davanti al Generale con le mani in tasca)

Prefetto                         - E la tua coscienza tornò a brillare! Il Generale Zedd a fronte alta dinanzi a se stesso! (Du­ro, piantandoglisi davanti) Attilio, mi hai sbalordito abbastanza. Ho registrato perfettamente quello che c'era nel tuo vecchio cuore. Incredibile quanto può scatenare un collocamento a riposo!

Generale                        - (lustrandosi le unghie, soddisfatto) Te lo dicevo: una vera Torre di Babele!

Prefetto                         - Non ci sono che due spiegazioni. O sei un pazzo. O sei un criminale.

Generale                        - (divertito) Tu per quale ipotesi pro­pendi?

Prefetto                         - Per la seconda, è cosi evidente. Un bel giorno, o un brutto giorno, tu esci dall'esercito, che ri­tenevi una specie di feudo personale. Diventi borghe­se, cioè nessuno. Torni in famiglia, dove, indubbia­mente per tua colpa, chi eri sempre stato? Nessuno. E ti rodi. E pensi di rifarti in qualche modo. E ap­profitti di quattro ragazzi scentrati e balordi che sfrut­ti ignobilmente ai tuoi fini. E l'imponderabile ti aiu­ta. Le cose vanno anche oltre le tue intenzioni... (Urlio di sirene e scoppi) Senti? Contento? Hai instaurato il caos! (Infuriandosi e andandogli addosso fino ad af­ferrargli il bavero del blouson) Ma a prescindere da questo, io dovrei, da uomo a uomo, prenderti per il collo e dirti: "Ci sono perfino i miei figli, con te! Che ne hai fatto, canaglia, dei miei figli?"

Generale                        - Erano già Teddy Boys prima che io li conoscessi. Io non ho voluto essere che un loro compagno. Tu non immagini quanto mi sono riposato in mezzo a loro. Teddy Boys, anche questa parola drammatica, Teddy Boy, ha un che di carezzevole e di buffo!

Prefetto                         - L'aveva, forse. Ma oggi chi sono i tuoi Teddy Boys? Squadre d'assalto? Guastatori? Arditi?

Generale                        - (con una certa vanità) Niente di tutto questo, e forse molto più di tutto questo. Erano dei ragazzi, e io, se non ti dispiace, ne ho fatto degli uomini.

Prefetto                         - (considerandolo, allibito) Ma... Ma dim­mi... Sii sincero. Che pensi? Che provi? Che c'è in fondo a te?

Generale                        - (riflettendo e come analizzandosi) Un bisogno di favola, non so... di linee spezzate, defor­mate, come quelle dei sogni... Sai che cosa è la gio­ventù, prima di essere sovrabbondanza di vigore e di impulsi? È un'enorme, irresistibile necessità di spen­dersi. E, oggi come oggi, la gioventù non trova nulla da comprare...

Prefetto                         - Chi lo dice? Ai giovani si aprono tante vie...

Generale                        - Quella di mio figlio Vincenzo? La tua? No, Fabrizio, no. La giovinezza è una stagione di ansia, di scelta, è da giovani che si diventa Santi o mostri. Siano date magari delle menzogne, ai gio­vani, ma belle, ma in un certo senso, vere! Altri­menti non sorprendiamoci se essi dedicano i loro an­ni migliori a ciechi impeti distruttivi, o a una cinica indifferenza.


Prefetto                         - (che è rimasto sbalordito ad osservarlo, come dicendosi: voglio vedere dove va a finire!) Basta cosi. Sai che ti dico. Ho cambiato opinione su di te. Non sei un criminale. Sei un pazzo!

Generale                        - Può darsi. Ma geniale. Mentre tu... non sei che un cassetto di notaio, pieno di imbrogli e di falsi testamenti. Non mi seccare! (Va all'armadio, lo apre e chiama, scostando i vestiti) Daniele! Tony! (Quattro Teddy Boys entrano quasi subito) Sua Ec­cellenza ha le idee un po' confuse, ragazzi. Potrem­mo buttarlo nel cestino, ma purtroppo ci serve. Sì, Fabrizio, ho bisogno di te.

Prefetto                         - Tienimi fuori da queste tragiche buf­fonate!(Indica i giovani variamente travestiti)

Generale                        - Mi dispiace, no. Voglio parlare alla radio. Un discorso al popolo, o una memorabile de­clamazione della Vispa Teresa. Non ho ancora deciso.

Prefetto                         - Ecco, bravo. Ti consiglio la Vispa Te­resa. Ad ogni modo io che c'entro?

Generale                        - Semplice. La Radio è ancora nelle ma­ni del Governo. Daniele! Come è la situazione?

Daniele                          - Cavalli di Frisia e un centinaio di gen­darmi.

Generale                        - Appunto. Bisogna dirottare la Forza Pubblica e impadronirci dei microfoni. Ci arrivi, Fa­brizio Maria?

Prefetto                         - No. Non ho immaginazione.

Generale                        - Nemmeno un grammo. Si tratta di fir­mare due ordini. Uno per allontanare i tuoi sbirri, l'altro che autorizzi l'ingresso nel Palazzo delle tra­smissioni ai miei uomini.

Prefetto                         - Neanche se mi scanni.

Generale                        - Forse non arriveremo fino a tanto. Forse si. Ragazzi, ve lo affido. Carta intestata della Prefet­tura ne abbiamo? (Si sente dall'esterno una scampa­nellata)

Daniele                          - Qualche risma.

Generale                        - Allora, sbrigatevi.

Daniele                          - (inquadrando il prefetto con gli altri) Si accomodi, Eccellenza. (E gli mette una mano sul braccio)

Prefetto                         - Giù le mani! (Ma tutti e quattro lo af­ferrano solidamente e si accingono a trascinarlo ver­so l'armadio. Il prefetto si impaurisce) Ma che vo­lete fare? Attilio, che vogliono fare?... Attilio!... At­tilio!... (La sua voce affievolisce in mezzo ai vestiti dell'armadio. Il Generale ridacchia. Entra dalla porta Olga spaventata che annuncia)

Olga                              - Eccellenza... Due signori chiedono di lei. Hanno la pistola in pugno... Si minacciano! Sem­brano matti!... (Irrompono dalla porta, tenendosi sot­to la minaccia delle pistole, sua Eccellenza Brown e sua Eccellenza Gustafson. Il Generale non si scom­pone)

Generale                        - Calma, calma, signori. Un po' di aplomb, diamine! (/ due si scaricano alquanto) Voi siete?

Gustafson                     - Cosmo Gustafson! Come? Non mi co­noscete?

Generale                        - Non leggo i giornali di sinistra. Ma debbo aver visto qualche vostra fotografia. Voi siete, se non erro, il duce del Partito Progressista. Compli­menti. (Gustafson appare un po' disorientato. Il Ge­nerale ne approfitta per rivolgersi all'altro) Volete presentarvi, per favore?

Brown                           - Sono Augusto Brown, Capo del Partito Nazionalista!

Generale                        - Ah, lo zio della Patria in persona! È incredibile! E come mai siete insieme, voi due?

Gustafson                     - Sa Iddio se non vorrei liberarmi di questa carogna! Ma l'ho incontrato qui fuori...

Brown                           - Signor Generale, io vengo per...

Gustafson                     - Un momento. Parlo prima io!

Brown                           - Non vedo perché. Parlo prima io!

Gustafson                     - Vi contesto questo diritto!

Brown                           - E io lo contesto a voi!

Generale                        - Permettete? Un suggerimento. Decida la sorte. (Piglia una moneta. A Gustafson) Testa?

Gustafson                     - No, croce!

Generale                        - Giusto. Dimenticavo. Voi siete all'op­posizione. (A Brown) Dunque la testa è per voi. Posso?

 I due                            - Prego.

Generale                        - (lanciando la moneta) Testa.

Brown                           - (un po' tronfio per la piccola preferenza di­mostrata dalla sorte) Signor Generale! (Si schia­risce la voce) L'ora è grave. Anzi tragica, per la Pa­tria. Una disperata lotta è in corso. I nazionalisti sono pronti a morire per la salvezza...

Generale                        - ... di vostra nipote.

Brown                           - Come? (Gustafson si è alzato e passeggia nervosamente)

Generale                        - Si, della Patria insomma. Continuate.

Brown                           - Per la salvezza, dicevo, dei valori ideali appunto... della... Nazione. Tutto può essere inghiot­tito nella catastrofe: il retaggio di gloria lasciatoci dai nostri padri, l'ordine costituito, la libertà, la re­ligione, la famiglia!

Generale                        - La famiglia, avete detto? Quale? La vostra o quella della vostra amante?

Brown                           - (colpito) Come? (Cambiando bruscamen­te tono e come se avesse deposto la toga dell'orato­re) Lo sapete anche voi?

Gustafson                     - (ridendo) E chi non lo sa?

Generale                        - Il marito.

Gustafson                     - Be'... non è detto. È il suo segretario.

Generale                        - (compito, mondano) Lo era, caro Gu­stafson. (A Brown) Vero, Eccellenza? Oggi infatti è sottosegretario ai Pubblici Trasporti, e ciò lo costrin­ge, immagino, a viaggiare parecchio. (Ride, insieme a Gustafson. Brown invece tossisce diplomaticamente. Il Generale rimette la conversazione sui binari) Di­cevate?

Brown                           - Dicevo... (Riprende il suo tono enfatico) ... dicevo, signor Generale, che tutte le nostre forze, con tutte le armi disponibili sono in questo momento impegnate negli scontri con la marmaglia!... (Ha guardato ferocemente il suo avversario politico, indi­candolo. Questi tira fuori la pistola, subito imitato da Brown. Pazientemente, come coi bambini, il Gene­rale li disarma)

Generale                        - Signori! Calma! Calma (A Brown) Ec­cellenza, volete concludere?

Brown                           - In breve. Alle forze del nostro Partito non manca certo la fiamma. Manca però, in una pa­rola, l'uomo che la ravvivi. Mi capite: l'uomo!

Generale                        - (battendosi un dito sul petto, con una cer­ta civetteria) E avreste pensato a me?

Gustafson                     - Generale, non gli date retta! Il vostro posto è con noi, al comando delle impavide milizie operaie. Con la vostra guida, il trionfo del Partito Progressista sarà immancabile! Non lasciatevi sfuggi­re, voi, col vostro passato ammirevole, si, ma indub­biamente legato alla più odiosa reazione, questa ful­gida possibilità di inserirvi in un mondo nuovo di giustizia, di libertà, di progresso!

Generale                        - (dopo una pausa) Capisco... Mi perdo­nereste quarant’anni di vergogna immagino che sia la parola giusta per voi...

Gustafson                     - Si, infatti...

Generale                        - ...mi concedereste un abbuono, insom­ma, purché?...

Gustafson                     - Esatto.

Generale                        - E se rifiuto?

Gustafson                     - Ai muro. (Brown sta per dire qualco­sa, ma il Generale lo ferma)

Generale                        - So già quello che volete dirmi. Qualora io accetti la proposta dell'Eccellenza Gustafson e le previsioni dell'Eccellenza stessa non si verifichino, mi fucilerete voi.

Brown                           - Con rammarico. Ma...

Generale                        - (dopo una pausa, si alza, cammina, fuma a grandi boccate, si ferma) Signori, vi prego di ri­flettere. Voi state perdendo di vista il concetto fon­damentale, l'idea base del termine "Generale". È il Generale un professionista libero? Una ditta? Una so­cietà in accomandita semplice? No. Decide recluta­menti e dichiara guerre in proprio? No. Raduna la folla servendosi di una scimmietta ammaestrata, o mangiando fuoco, per poi vendere invasioni, difese, eccetera? No, non mi pare. Il Generale, signori miei, è un formidabile strumento di precisione. Ogni stru­mento presuppone un individuo o una comunità che lo metta in funzione. Nel caso specifico, la mano che muove i fili di un Generale, è lo Stato legittimo, all'ombra di una bandiera rispettabile.

Brown                           - Ma noi siamo al Potere, quindi siamo lo Stato, signor Generale!

Generale                        - Non tanto, in questo momento. Il Go­verno è in crisi, mi pare... Le preannunziate nuove elezioni sono state sostituite da azioni di piazza, il cui risultato, se non lasciate finire il mio lavoro, è ancora incerto...

Brown                           - Il vostro lavoro?

Gustafson                     - Che lavoro?

Generale                        - Nulla che vi interessi. Vi chiedo di al­lontanarvi. Pigliatevi lo Stato, agitate la bandiera e io sarò (scatta sugli attenti davanti a Brown) ai vostri ordini! (Scatta sugli attenti anche davanti a Gustaf­son) O, per carità, ai vostri! (Li sospinge verso l'u­scio) Buonanotte! (Chiude fragorosamente la porta alle loro spalle ed entra, canterellando soddisfatto, nell'armadio)

IL QUARTIER GENERALE DEI TEDDY BOYS

C'è movimento nel Quartier generale. Chi termina di indossare il saio da frateschi il giubbotto da pom­piere, ecc. Giuliana sta cucendo a macchina la "Ban­diera malata". Circondato da quattro Teddy Boys, il Prefetto, seduto al tavolo, sta scrivendo. Il Generale entra, dal fondo dell'armadio, e getta attorno uno sguardo soddisfatto. Indi si avvicina al tavolo e indi­ca il Prefetto.

Generale                        - Come andiamo?

Tony                              - Fatto.

Generale                        - È stata dura?

Daniele                          - No no.

Generale                        - Come avete proceduto?

Daniele                          - Gli abbiamo versato sulla giacca un po' di benzina, minacciando di accendere un cerino.

Alfredo                         - Ha mollato subito. (Il Prefetto scosta le carte firmate. Due Teddy Boys le afferrano e corrono via)

Generale                        - Bravo. Sei stato ragionevole. Povero Fabrizio! Mi domando come se la caveranno i tuoi biografi, quando saranno arrivati a questa pagina della tua vita.

Prefetto                         - Ti sarei grato se mi risparmiassi le tue ironie. (Il Generale ride, tira fuori un sigaro e lo ac­cende. Alla vista della fiamma, il Prefetto balza in piedi rovesciando la poltrona e arretrando di qualche passo) Per carità! Che fai? Scostati!

Generale                        - (tirando beatamente al suo sigaro) Lo vedi? Avevo ragione. Non sei né Muzio Scevola, né Attilio Regolo.

Prefetto                         - (togliendosi la giacca imbevuta di benzina e buttandola lontano) Infatti. Non sono che un Prefetto. Un articolo della Costituzione in un uomo, o, se preferisci, un uomo in un articolo della Costi­tuzione. Forse questo è il mio unico torto, eh?

Generale                        - Appunto. Il torto di essere chiuso in un ergastolo di norme che nessuno rispetta. (Lo con­sidera a lungo, poi, improvvisamente cambiando to­no) Senti... Anche tu avresti bisogno di qualcosa...

Prefetto                         - Che intendi dire?

Generale                        - Sai? Ho avuto notevoli vantaggi nel fisico, da quando sono Generale dei Teddy Boys. (Gon­fiando il petto) Mi sento bene. I miei famosi disturbi epatici e pressori, finiti, scomparsi.

Prefetto                         - Rallegramenti. Ti invidio.

Generale                        - Perché? Chi ti impedisce di essere dei nostri?

Prefetto                         - (al colmo della stupefazione) Io? Io un blouson noir?

Generale                        - Certo. Ma naturalmente ti manca l'a­nimo. Tu la salute, la forza, la gioia, le chiedi alle vitamine, agli ormoni, alla novocaina.

Prefetto                         - Non sono efficaci, secondo te?

Generale                        - Da' retta a me, Fabrizio Maria! Pianta ogni cosa, indossa i blu jeans e andiamo insieme fino dove il riso e il pianto di questa baraonda ci portano!

Prefetto                         - Non dire sciocchezze. Io resto fedele al­la mia carica e, oso dire, alla mia età. (Entra correndo un Teddy Boy con un fascio di manifesti)

Alfredo                         - Ragazzi! I manifesti!

Generale                        - Vediamoli vediamoli... (Un manifesto viene spiegato e appuntato su una parete. Vi si legge: "LAVORATORI, in queste drammatiche ore stringetevi attorno ai vostri vessilli!")

Generale                        - (a uno dei ragazzi) Animale! Bel lavoro hai combinato stanotte nella tipografia di tuo padre! Vessillo con una esse! (Risate dei Teddy Boys)

Tony                              - Non ne avevo più, con tutti gli abbasso che abbiamo stampato! (Dal fondo dell'armadio appare Vincenzo, che nessuno nota. Egli si arresta, sorpreso)

Generale                        - Però... Ora che ci penso, non è stato un male. Cosi il manifesto sembra autentico, sgorgato dal cuore stesso del popolo. Sai che ti dico? Bravo!

Vincenzo                       - (sarcastico, violento) Bravo! (Il Gene­rale si volta, sussulta, anche la sorpresa dei ragazzi è notevole. Tuttavia essi non perdono la loro tipica in­differenza) Ti ho seguito. Ho percorso anch'io           - (con un gesto verso l'armadio) il tuo camminamento segre­to. Bravo! Una volta, in una certa occasione, mi di­cesti: "Ci conosciamo poco... poco... Adesso ci cono­sciamo un po' meglio, non credi?"

Generale                        - (riprendendosi) Si. E probabile. E con questo?

Vincenzo                       - Li debbo a te, dunque, tutti i miei guai. Lo scandalo, le conseguenze in Borsa e nelle mie imprese...

Generale                        - Si e no...

Vincenzo                       - Tu! Sorvoliamo pure sul fatto che sei mio padre. Ma eccoti diventato un clown, un mimo. Chi sei? II generale dei Teddy Boys! Ragazzi senza ambizione e senza spina dorsale!

Generale                        - Si? Eppure noi metteremo il vostro mondo a ferro e a fuoco!

Prefetto                         - (intervenendo e scostando Vincenzo) In che senso, nostro mondo? Non è forse anche il tuo? Non è forse anche il loro? (Il tono estremamente di­gnitoso e forte che il Prefetto assume in questo mo­mento, come riaffiorando dall'abisso di vigliaccheria in cui era caduto, sorprende tutti. C'è un silenzio. Macchinalmente il Prefetto si guarda, si rende conto di essere in maniche di camicia, e, come se le parole che sta per dire, non consentissero assolutamente questa "mise", corre a riprendersi la giacca, se la in­fila, si riassetta la cravatta e riprende) Che diavolo dici, Generale, ripeti!

Generale                        - Dico che noi siamo ai margini della vostra giungla. L'abbatteremo! E vi spargeremo il sa­le. Il ribrezzo ci soffoca. I miei ragazzi sapevano, ma io, chiuso nella prigione della vita militare, avevo idealizzato ogni cosa che fosse al di là di quelle mura di uniformi. Pensavo che nel mondo di Vincenzo e dei suoi pari esistessero egualmente bandiere, simbo­li e certezze, il senso di un dovere insomma... di un dovere qualsiasi! Invece il loro motto è: "Dammi que­sto minuto! Del minuto che viene dopo, sia quel che sia! "

Giuliana                        - Il minuto di mio zio, l'onorevole Burgos, sta durando da cinque legislature!

Prefetto                         - E tu? Se tu zio e tuo padre non fossero quello che sono? Moriresti di fame, idiota!

Generale                        - Si può morire di fame anche se, degli ottimi cibi che ti porgono, hai un insopprimibile di­sgusto! Ecco la malattia, o la salute, di questi gio­vani. Si chiama nausea! La società che voi gli offrite, li fa vomitare!

Prefetto                         - Un momento. Li ho avuti anch'io venti anni. Ho l'età di tuo figlio, press'a poco. E quale so­cietà ci è stata offerta? Quando terminasti di splen­dere nella prima guerra mondiale, che è successo? Le­gnate, scioperi, dittature, inflazioni, droghe, tratta delle bianche, tabarin, musiche negre, società delle nazioni, irredentismi, gangsters... Un cielo nero nero con uno scialbo arcobaleno su cui c'era scritto: "Ar­rangiatevi! " ... E noi, quelli con un tantino di cervello, ci siamo arrangiati!

Generale                        - Si! (Indicando Vincenzo) Lui ha arraf­fato tutto quello che c'era da arraffare e tu... regni come un principe consorte, hai sposato la figlia del Capo del Governo. Ti succede mai di chiamarla, distratto, Carriera, invece di... come si chiama? ... Guendalina? Bene, io a queste viltà, preferisco la maschia reazione dei miei ragazzi! (Coma risovvenendosi qual­cosa, guarda l'orologio e dice a Daniele) A che ora doveva saltare la Sede B del Partito Progressista?

Daniele                          - Alle ventitré precise!

Generale                        - Curioso! Sono in ritardo di mezzo mi­nuto. (Si sente una lontana esplosione) Ah, ecco.

Vincenzo                       - (urlando) Ma è una pazzia!

Generale                        - Vincenzo, per favore. Siamo occupatis­simi. Muovetevi, ragazzi. (Ancora a Vincenzo) E tu vattene. Stai ancora qui?

Vincenzo                       - Vado. Si. Vado. A denunziarvi. E su­bito! È quello che meritate.

Generale                        - (sorridendo) Denunziarci? Ma l'hai già fatto. Non è forse il Prefetto, questo? (Sirene della polizia. Scoppi) Non ti rendi conto? Cittadini, auto­rità, gerarchia, sono tutti nelle piazze. Ti do un con­siglio. Se ti rimane un briciolo di orgoglio, non aspet­tare di sapere chi è il vincitore per buttarti in braccio a lui! Hai due strade dinanzi a te. Scegline una e seguila fino in fondo!... Adesso! (Sospingendolo con tutto il corpo verso l'uscita) Adesso! (Vincenzo è già scomparso, quando il Generale grida per la terza vol­ta) Adesso!

Vincenzo                       - (rimettendo la testa dentro) Ho riflet­tuto, papà. È ho deciso. Tutto sommato, me ne vado in Svizzera ad aspettare gli avvenimenti. (Scompare)

Generale                        - Accidenti! C'era una terza strada!

Prefetto                         - (autoritario, deciso, come lo abbiamo visto negli ultimi minuti) Scusa, Attilio... Non ho altro tempo da perdere. Fa' chiamare il mio capo di Ga­binetto e il mio segretario, subito. Mi aspettano, fuo­ri, nell'automobile.

Generale                        - (sfottente) È un ordine?

Prefetto                         - Si.

Generale                        - E allora vedremo che cosa si può fare. Li ho invitati all'estero per una missione importante. A nome tuo, naturalmente.

Prefetto                         - Ti pentirai amaramente di tutto questo. (Si allontana verso la porta)

Generale                        - (ai ragazzi) Fermatelo. (/ ragazzi bal­zano addosso al Prefetto e lo immobilizzano. Il Ge­nerale indica ai ragazzi di trascinare il Prefetto verso una sedia e di farvelo sedere) Eh si... Costituisci per noi un ostaggio prezioso. (Ai ragazzi) Legatelo solida­mente. (/ ragazzi eseguono divertendosi. Il Prefetto schiuma. Il Generale indifferente apre la radio)

Voce del radiocronista  - (fredda, ma eccitata) At­tenzione... Attenzione... Ripetiamo l'appello della Pre­fettura. A tutti gli abitanti della città e della provin­cia. Non prestate fede alle menzogne degli agitatori... Rientrate subito nelle vostre case. Mantenete la calma. L'ordine sarà immediatamente ristabilito... Ripe­tiamo: mantenete la calma!... Mantenete... (Con bru­sco cambiamento di voce) Chi siete? (Rumori, spari) Via di qui! Non mi toccate! Via di qui!...

Generale                        - (girando la chiavetta) Devo ringraziar­ti, Fabrizio. Fatto. Anche la Radio è nostra. Adesso ci divertiremo!

Prefetto                         - In che modo, se è lecito? (Mentre il Ge­nerale pronuncia la battuta che segue, i ragazzi fanno gruppo, confabulando. Poi, via via, quelli camuffati, cominciano a gettar via tonache, divise, ecc., e a ri­vestirsi dei loro panni)

Generale                        - In tutti i modi. Potremo anche a nome del Governo, informare il popolo che la patria si sal­va unicamente camminando a testa in giù, con le ma­ni. (7/ Generale scoppia in una fragorosa risata che rimane però senza eco, da parte dei Teddy Boys)

Generale                        - (un po' imbarazzato, continuando) Po­tremo anche...

Ennio                            - (che si è staccato dagli altri) Non credo. Anzi no. No senz'altro.

Generale                        - Come no?

Ennio                            - L'avvenire non ci riguarda. Ci penseranno gli altri.

Generale                        - Gli altri! Chi?

Nunzio                          - E che ne sappiamo? Chiunque.

Alfredo                         - I Partiti. I soldati.

Ennio                            - Il primo che passa. Noi, no. È vero? (Mormorii di approvazione dei ragazzi)

Generale                        - (corrugando le sopracciglia, allarmato) Che diavolo state dicendo? Chi comanda, qui?

Nunzio                          - Nessuno.

Generale                        - (irritandosi) Ma che vi prende? Che di­scorsi sono questi? È un complotto? Parlate, perdio! Nel momento in cui abbiamo occupato la Radio, voi?...

Ennio                            - Appunto. Era un segnale convenuto fra di noi.

Alfredo                         - Ci eravamo posti quel limite. (Ai com­pagni) È cosi?

Giuliana                        - Occupiamogli la Radio e poi sganciamo.

Generale                        - In che senso?

Tony                              - Nel senso che basta. Uffa.

Ennio                            - Noi ci fermiamo qui. Chiaro? Non voglia­mo più starci.

Generale                        - E perché? Avreste paura?

Daniele                          - (togliendosi la pipa di bocca, molle e indo­lente) Chi, noi? Di che?

Generale                        - (polemizzando, violento) Dei risultati che stiamo per ottenere! Si!... Lo intuisco!... È cosi!... (Cercando di riattizzare l'orgoglio dei ragazzi ed otte­nere un ritorno di entusiasmo, di energia) Non vi sentite all'altezza! Sono cose più grosse di voi!

Tony                              - Calma, Pantera. Niente è più grosso di noi!

Alfredo                         - Nemmeno tu!

Generale                        - Ma allora perché avete fatto tutto quel­lo che avete fatto?

Ennio                            - Ci divertivamo. Adesso non ci divertiamo più.

Generale                        - (più sommesso) Non era una reazione, la vostra?

Tony                              - Si, si. L'abbiamo fatta, abbiamo avuto suc­cesso e cordiali saluti. (Mormorii di approvazione de­gli altri)

Generale                        - Ragazzi...

Daniele                          - (con qualche autorità) Che cosa vorresti che ci mettessimo a fare, domani? Una nuova co­stituzione? Bandi? Leggi? Ricostruzione degli immo­bili distrutti o danneggiati? Cazzuole e cemento? Ma non farci ridere!

Prefetto                         - (ha assistito a tutta questa scena, progres­sivamente riprendendosi. Ascolta ora con la massima attenzione e un vago sorriso) Ecco qualcosa che la tua strategia non prevedeva! Ah ah... Non te la pren­dere. Successe anche a Napoleone.

Generale                        - (gli si volge contro, furioso, per un atti­mo, alzando i pugni) Zitto, tu! (Poi verso i ra­gazzi, chiamandoli per nome, implorante e stizzito in­sieme) Daniele! Ennio! Giuliana! Ragazzi... tornate in voi! Sfebbrarvi proprio adesso che siamo in vista del traguardo!...

Daniele                          - E dai! Traguardi! Che ce ne importa? Non ci consideriamo né partiti, né arrivati.

Tony                              - Chiaro?

Generale                        - (desolato, implorante) Vi scongiuro di riflettere! Siamo alla vigilia di avvenimenti enormi, dico enormi! (Tentando di sedurli) Ecco... Ve ne an­ticipo uno, uno solo, ma sensazionale, clamoroso! Re­centemente, ho preso contatto con i maggiori espo­nenti del nostro movimento in tutte le nazioni. Avre­mo presto una conferenza al vertice! Tutti i capi del teddyboysmo internazionale, non esclusi quelli di ol­trecortina! Saremo la ruggine del sipario di ferro!

Tony afferra, per tutta risposta, la chitarra e mar­catamente ritma il rock'n roti che conosciamo. Tutti i ragazzi si mettono immediatamente a ballare, con le solite urla, i soliti atteggiamenti ridicoli e sfrenati. Il Generale ne afferra uno e vigorosamente lo schiaf­feggia.

Generale                        - (urlando) Userò la sferza con voi!

/ ragazzi gli balzano addosso, lo immobilizzano su una sedia, legandocelo, spalla a spalla con il Prefetto. Poi se ne vanno via, correndo, dandosi colpi, ridendo, caracollando. Ultimo resta Daniele, sul quale si appun­tano gli sguardi del Generale. Daniele, che durante la lotta è rimasto in disparte a guardare, ora rag­giunge i due prigionieri, sui quali si dipinge una luce di speranza. Ma Daniele si è avvicinato solo per strin­gere meglio un nodo.

Generale                        - (accoratamente) Tu quoque, Daniele?

Daniele gli infila la sua pipa in bocca e si allon­tana correndo. Il Generale e il Prefetto restano soli; il Generale scuote il capo tristemente. Il Prefetto in­vece si è ripreso.

Prefetto                         - Mi pare che nemmeno tu sia stato mol­to eroico, Attilio. Eccoti immobilizzato e impotente, quanto me.

Generale                        - La forza è la forza.

Prefetto                         - Appunto. E dunque, visto che ne ab­biamo l'opportunità, che insomma siamo sullo stesso piano, parliamo seriamente. Sono venuto qui perché avevo intuito chi c'era dietro i deplorevoli avveni­menti che si erano scatenati. E non mi ero inganna­to. Ora spetta a me agire. Ancora una volta non ci sono che due alternative. O io - mi dispiace - ti arresto e finisci davanti al Tribunale Militare... Sai bene che il Generale Anton sarebbe felice di presie­derlo.

Generale                        - E figuriamoci.

Prefetto                         - Oppure, regolandomi come se non aves­si visto e udito nulla qui, ti dico: "Generale Attilio Zedd, sei richiamato in servizio. Assumi immediata­mente il comando della piazza e riporta l'ordine nel paese."

Generale                        - Al posto del Generale Anton?

Prefetto                         - Appunto.

Generale                        - Riconosci che è un cretino, implicita­mente. (// Prefetto ha un mormorio) E in nome di chi dici questo?

Prefetto                         - In nome del Capo del Governo.

Generale                        - Lo hai consultato?

Prefetto                         - Posso permettermi di non farlo. Per le note ragioni.

Generale                        - Già. Hai consultato tua moglie e tanto basta. (Evidentemente la nuova situazione comincia a piacergli) Dunque, non sono un criminale?

 

Prefetto                         - Non ha importanza.

Generale                        - Non sono un pazzo?

Prefetto                         - Non ha importanza. Ci occorre un ge­nerale abitato da un vero Generale... (il prefetto pro­nuncia via via gli elogi con lentezza, staccando le frasi una dall'altra come se porgesse man mano vi­stosissimi doni. E il generale progressivamente si il­lumina) Il vincitore delle Ande... L'espugnatore di Leopoli... L'annientatore di Saragozza...

Generale                        - Grazie... ma...

Prefetto                         - Devi immediatamente decidere. Si o no? Rispondi.

Entra Olga che resta impietrita dalla sorpresa. Il Generale riflette un istante, poi, con un dito rimasto libero, fa cenno ad Olga di avvicinarsi.

Olga                              - Oh, Eccellenza...

Generale                        - Scioglici! (Olga, con piccoli gemiti, af­fannosamente esegue. I due si alzano e si sgranchi­scono)

Prefetto                         - Dunque?

Generale                        - Olga, la mia divisa, subito. (La donnet­ta esce in fretta)

Prefetto                         - (stringendogli la mano) Ottima decisio­ne. Non posso che rallegrarmene, anche a nome del Governo. (Il Generale si sfila il blouson noir e i blu jeans. Rimane in maglietta e mutandone Entra Olga che reca, come un vessillo, su un'altissima stampella, l'uniforme completa del Generale, tintinnante di medaglie. La divisa assume, in questo momento, quasi l'aspetto di un santo portato in processione. Il Pre­fetto raccoglie la stampella dalle mani di Olga)

Olga                              - (indicando il blouson noir e i blu jeans su una sedia) E questi, Eccellenza?

Generale                        - (scuote le spalle come per dire: regalali, vendili. Poi, come sovvenendosi di qualcosa, dice in fretta) Naftalina!

 

FINE