Il lupo mannaro

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IL LUPO MANNARO

Commedia in tre atti

DI RODOLFO LOTHAR

PERSONAGGI

LA DUCHESSA DI CAPABLANCA

DON ELIFAS

FLORENCIO DE VIANA

PAOLO MOREIRA

IL CURATO

CAMILLA

VICENTE

NINA-CATALINA

RODOLFO LOTHAR

 Quando Lothar aveva 16 anni e mezzo si inna­morò follemente di una siamese che faceva Vantipodista nel circo Hagembeck. Era piccola, bruna, di quell'esotico bruno sporco che manda in estasi noi europei; il giovane Rodolfo era sopratutto innamorato della grazia squisita con la quale essa sapeva reggere sul pollice del piede destro un tavolo di mogano e sul calcagno del sinistro una botte di ferro. Aveva già deciso di parlarle e, forse, di chiederla in isposa, quando seppe dal direttore del circo che la pic­cola siamese bruna aveva 48 anni ed era madre di sei figli, di cui tre facevano gli uomini vo­lanti e tre gli eccentrici cascatori.

Circa venti anni dopo aveva una magnifica barba da sacerdote ebraico e aveva anche scritto /'Arlecchino Re. Tanto la barba che la com­media ottennero il più strepitoso successo; la commedia si replicò 333 sere e ogni sera una

 incognita ammiratrice chiedeva all'autore una ciocca della sua meravigliosa barba. Alla fine delle repliche la barba da patriarca di Lothar era ridotta un modesto pizzo alla De Musset. Allora Lothar scrisse II figlio di Don Giovanni. Il successo fu stragrande e le ammiratrici, at­tratte dalla forza dell' abitudine, seguitarono a chiedere riccioli di barbe. Terminate anche queste repliche, Lothar aveva un volto glabro e rasato come un dandy americano. E allora scrisse II lupo Mannaro, che leggerete in questo numero, una delle più divertenti e spiritose commedie che siano apparse nel 1926.

Morale: la barba va e viene; il commedio­grafo resta.

Quanti anni ha Lothar? Semplicissimo: egli ha esattamente la somma delle età di tutti i suoi personaggi, diviso per il numero dei personaggi stessi. Ma li porta bene.

ATTO PRIMO

 La sala del castello, detta dei Saraceni, in stile moresco: a destra e a sinistra, bassi e lar­ghi divani: intorno alcuni tavolinetti con sedie in stile esotico. Nel fondo due poltrone gigan­tesche, con le spalliere alte e scolpite con gli stemmi nobiliari, volte verso il pubblico. Il jondo della scena è tutto occupato da una larga porta a vetri che si apre sulla terrazza. A destra una porta che mette nella sala da pranzo; a sinistra, un'altra porta.

SCENA PRIMA

Vicente e Nina

Nina esce dalla sala da pranzo, portando sopra un vassoio, il servizio da caffè. La segue Vicente, col servizio da liquori: egli chiude la porta dietro di sé. Nina è una cameriera molto fine, graziosa e civettuola; Vicente un gio­vanotto tarchiato.

Vicente                         - No sulla terrazza, Nina: fuori, fa troppo caldo: si soffoca.

Nina                              - (mette rapidamente dei tovaglioli sui ta­volinetti e vi dispone le chicchere).

Vincente                       - (appressandosi a lei) Dì, Nina? Stanotte, qui, all'ora solita!

Nina                              - (il viso duro, arcigno) Puoi aspettare un pezzo, mostro che non sei altro!

Vicente                         - A. più tardi - ti prego - certe intimità...

Nina                              - Se credi, che non mi sia accorta delle tue libertà colla cuoca, colla dispensiera e... non so con chi altra!? tu le vuoi tutte per te... le donne...

Vicente                         - (sornione) Non basta volere: il più è... potere!

Nina                              - Per me, intanto, ti puoi forbire la bocca, sai!

Vicente                         - Ne riparleremo stanotte, qui...

Nina                              - Ne stanotte; ne mai: è finito tutto fra noi...

Vicente                         - (malizioso) E puoi parlarmi così, tu, proprio qui, ove anche ieri sera mi sussur­rasti delle paroline dolci?... Se questo di­vano potesse parlare...

Nina                              - Non avvicinarti: ti cavo gli occhi: è inutile ormai, te lo ripeto, non verrò più da te, no, e poi no!

Vicente                         - Pazienza! verrò io da te!

Nina                              - Te lo sconsiglio sai? La mia camera è a muro con quella della Duchessa e, con la duchessa, c'è poco da scherzare!

Vicente                         - (alzando le spalle) Quando la Duchessa è in camicia….. capirai  è una donna come tutte le altre...

Nina                              - Faccia tosta!

Vicente                         - E poi... adesso crede negli spiriti e...

Nina                              - Anch'io ci credo, per quello!(un segno di croce).

Vicente                         - Parola d'onore, quel vostro Don Elifas, coi suoi stupidi esorcismi, vi fa dare di volta il cervello a tutti. Gli spiriti! Perché non viene a contarle a me queste storie!

Nina                              - Ma che vuoi credere tu, che sei figlio del diavolo! Ah! meglio, meglio che mi sia sbarazzata sempre di te.

Vicente                         - Lo credi sul serio? Vedremo sta­notte.

Nina                              - Aspetti un pezzo, te lo dico io!

(La porta della sala da pranzo si apre e vi compare Don Fiorendo, un signore elegantis­simo, vestito all'ultima moda, con monocolo all'occhio).

D. Florencio                  - Vicente, un sigaro!

Vicente                         - Subito, signor Procuratore, (via dall'altra porta).

SCENA SECONDA

Florencio e Nina

Florencio                       - (facendo per allungare una carezza un po' audace a Nina che si scosta) Sem­pre scontrosa?

Nina                              - Sono una ragazza per bene, signor Pro­curatore...

Florencio                       - Sicuro: quando la scontrosità di­venta cronica, si chiama virtù. Ma che vuoi farne tu della virtù? Lasciala alle donne brut­te. Se dai ascolto a me, non avrai a pentirti della mia generosità...

Nina                              - Ma io non so che fare della generosità del signor Procuratore... (abbozzando una scherzosa riverenza) Ho l'onore di salutare il signor Procuratore...

Florencio                       - Che è quanto dire, piccola cana-glia, che mi mandi a spasso.

Nina                              - Oh, che dice mai, signor Procuratore!! Io non sono una signora della buona società, per poter far questo. Una povera figliuola co­me me, può dire, tutt'al più(con una riverenza) Grazie! Ma non fa per me!

Florencio                       - (tra se e se) Dà tempo al tempo, scimmietta, e ti farò vedere io!

SCENA TERZA

La Duchessa - Camilla - Don Elifas - Florencio - Il Curato - Paolo Moreira

(La Duchessa esce con don Elifas: seguono Camilla e il Curato, ultimo Paolo. La Duchessa è elegantissima e assai bella. Si vede subito la  signora di razza. Don Elifas è un uomo di età indefinibile: porta una gran barba nera, che lo fa somigliare a un re assiro. Il Curato è il solito prete di campagna. Il professore Paolo è un giovanotto molto impacciato nei suoi movimenti).

Duchessa                       - E così, signor Curato, che novità in paese?

Curato                           - Una grandissima. Ritornano gli uomini...

Florencio                       - Quali uomini?

Duchessa                       - Voi ignorate, don Florencio, che questo è un villaggio di arrotini che stanno in giro tutto l'anno con le loro carrette, visitando i paesi circonvicini, per ritornarsene a casa quando hanno messo insieme un bel gruzzolo. Più di uno di essi è riuscito, così, a mettere insieme una piccola fortuna.

Florencio                       - E... le donne? Che fanno le donne, durante tutto questo tempo?

Duchessa                       - Che volete che facciano? Aspettano.

Curato                           - E vengono in chiesa: io le consolo...

Florencio                       - (malizioso) Non deve essere un affare da poco...

Curato                           - (senza cogliere l’allusione) Le con­solo con la parola di Dio, e con la speranza del domani - e quando - come oggi - io posso annunciare loro dal pulpito, che gli uomini tornano, allora tutta la chiesa rintrona dì un grido di gioia generale. Dovevate sentirle, poco fa!

 Florencio                      - Me lo immagino. Ma, come va, signor Curato, che le donne abbiano avuto la notizia da voi? Gli uomini non scrivono?

Curato                           - A me scrivono: le poverette non sanno leggere. La scuola è lontana, la strada pessima. E poi in fondo non è neanche un gran male the non sappiano leggere. Tante tentazioni di meno a peccare, Perché sono proprio la scrittura e la stampa che diffondono il peccato pel mondo. Eva non sapeva nè leggere ne scrivere, nel Paradiso terrestre, e per questo si chiamava il Paradiso...

Florencio                       - Ciò che non impedì, per altro, al Serpente...

Curato                           - Era il Demonio, quello...

Florencio                       - Oh! Il Demonio non è veramente pericoloso che quando prende la figura di donna...

Duchessa                       - (volgendosi verso don Elifas) A proposito: dite un po' io vi pongo questo que­sito unicamente per curiosità scientifica. Col vostro grande potere di medium, sareste voi capace di costringere anche il Demonio a manifestarsi con dei colpi sul tavolino?

Curato                           - Dio ci salvi dal nemico!

(Tutti si fanno il triplice segno di croce co­m2 è costume di Spagna: uno sulla fronte, uno sulla bocca, uno sul petto; anche Florencio, co­me obbedendo ad un'occhiata imperativa della duchessa).

Elifas                              - Dio ci salvi, signor Curato! E' già un pericolo, signora Duchessa, rivolgermi una domanda simile: io non voglio aver nulla a che fare con la magia nera: non saprei come difendermi dal Demonio, né come sfuggirgli.

Curato                           - Purché egli non sia già in agguato, e non vi giuochi, un giorno o l'altro, un brutto tiro

Duchessa                       - Prego, signor Curato: prima di ogni seduta, noi non manchiamo mai di reci­tare un Pater e un'Ave, è appunto per la sua pietà, che il nostro don Elifas gode un così alto prestigio nelle sfere metafisiche.

Curato                           - Eppure, se al Demonio Dio ci salvi! saltasse il ticchio di gettare le sue grinfie addosso ad una donna di così grande bellezza come è la nostra illustre ospite...

Florencio                       - Come vedete, è tutto possibile al Demonio, se è riuscito a trasformare il nostro buon Curato in un Abate galante. E che male ci sarebbe, dopo tutto? Io, per me, sarei felicissimo di incontrarmi almeno una volta con lui.

Curato                           - Non bisogna scherzare con certe cose...

Duchessa                       - Questa è anche la mia opinione: anzi, scusatemi, Don Elifas, di avere involon­tariamente, provocato questo discorso: ma ho tanta fiducia nei vostri poteri di esorcista, che nulla mi parrebbe impossibile per voi. In queste quattro settimane, da che siete qui, non avete fatto che sbigottirci, tutte le sere, con sempre nuove esperienze, tutte comple­tamente riuscite...

Elifas                             - Eppure il mio potere è assai limitato: io non sono altro che un servitore degli spi­riti: invece di trasmetter loro degli ordini, debbo ubbidire a quelli che essi mi danno.

Florencio                       - Che volete? Io sono un po' scet­tico in materia:

Duchessa                       - Ci penserà Don Elifas a convin­cervi, come ha convinto tutti noi. Vi ricor­date, don Elifas, di quello che dovevate dirci?

Elifas                             - Me ne ricordo: ma voi mi avete pro­posto un problema quasi insolubile, quello d'evocare lo spirito di Don Giovanni. Ebbe­ne: esso non risponde.

Florencio                       - (malizioso) Si vede che... sarà occupato.

(La Duchessa gli saetta un'occhiata di rim­provero).

Elifas                             - E io credo, invece, ch'egli non ri­sponde unicamente perché... non è esistito.

Duchessa                       - Don Giovanni non è mai esistito? Ma non lo dite neanche per ischerzo: egli è esistito: io lo so, lo sento.

Elifas                             - Eppure, per evocare lo spirito, io ho messo in tensione tutte le forze del mio essere, invano. Esso non si rivela e, in vece sua, mi appariscono a frotte gli spiriti amanti di tutti i tempi. L'aria è come impregnata d'effluvi erotici che mi sussurrano le più infuocate parole d'amore, formando intorno a me come uno sciame compatto e assordante di desiderio.

Florencio                       - Nientemeno!

Elifas                             - E' un giuoco pericoloso. Queste forze erotiche cercano ogni mezzo per divenire attive - Perché questa è la natura propria di tutti gli spiriti - e io ho paura che debba succedere una catastrofe.

Elifas                             - (sospirando) Ahimè! Mi sento sof­focare in quest'atmosfera di fuoco.

Camilla                          - Davvero, oggi è una giornata sof­focante.

Elifas                             - (scuotendo il capo) Cara contessina, quello che ci opprime, oggi, non è tanto il   caldo esteriore, quanto il soffiar infocato di  tutti questi spiriti amanti che i miei esorci­smi hanno risvegliato. Don Giovanni, però, lui non s'è mosso...

Duchessa                       - Eh! Chissà che non si risvegli anche lui!

Elifas                             - Tentiamolo pure! Solo ho voluto mettervi in guardia prima dell'esperimento.

Duchessa                       - Avreste forse paura?

Elifas                             - Oh! Se mai, non per me!

Duchessa                       - (sorridendo) Un Don Giovanni in carne e ossa, forse, potrebbe essere pericoloso: ma, in ispirito, che farci mai?

Elifas                             - Con gli spiriti, Duchessa, non si può mai sapere...

Duchessa                       - (alzandosi) Allora, a stasera. Ci sarà seduta, nevvero?

Elifas                             - Agli ordini vostri, Duchessa!...

Duchessa                       - Arrivederci, signori! (volgendosi poi, bruscamente, a Paolo che finora non ha detto una parola) Ah! Dimenticavo: ho da dire una parola a voi, signor professore...

Paolo                             - (arrossendo, imbarazzato) Signora Du­chessa...

Duchessa                       - A me piace che anche gli uomini di lettere siano un po' ordinati nelle loro car­te. Ho trovato nel mio boudoir, sul mio tavolino di lavoro, un foglio che certo vi ap­partiene. E' una poesia dedicata a Venere dal bianco mantello.

Paolo                             - (seccatissimo, balbetta) Non capisco come mai la mia poesia...

Duchessa                       - Io non mi permetto di giudicare i versi: la loro forma è perfetta: ma l'ispira­zione, signor professore, l'ispirazione! Come si fa a dimenticare nella camera di una si­gnora una poesia che accarezza con tanta au­dacia le grazie del corpo femminile, compia­cendosi in una descrizione così suggestiva che... Sporgendogli con un gesto di grande dignità un foglio di carta) Là! Facciamo finta ch'io non l'abbia letta!

SCENA QUARTA

Vicente e detti

Vicente                         - Scusi, signora Duchessa: ma c'è Concetta che..

Duchessa                       - Chi è Concetta?

Vicente                         - La moglie di un arrotino, la donna che si occupa del bucato, qui, nel castello..

Duchessa                       - E che vuole?

Vicente                         - Desidera parlare d'urgenza alla signora Duchessa.

Duchessa                       - E dov'è?

Vicente                         - Qui fuori: sulla scala.

Duchessa                       - E andiamo a sentire: non vo si dica che sono inaccessibile ai desideri miei dipendenti. Arrivederci, signori...

SCENA QUINTA

Gli stessi, meno la Duchessa e Vicente

Florencio                       - Ah! Andiamo a scrivere qual che lettera.

Curato                           - (intascando il breviario) Io darò capatina in chiesa... (s'inchina ed esce).

Elifas                             - Raccogliamoci per la seduta di stasera! (alzandosi, mentre s'avvia) Ma che caldo asfissiante!

SCENA SESTA

Camilla e Paolo

Paolo                             - Se credete, contessina, noi possiamo riprendere la lezione al punto al quale siamo rimasti ieri, si parlava - mi pare - dei Tro­vatori.

Camilla                          - (brusca) Oggi sono troppo nervosa e non ho proprio voglia di occuparmi dei Trovatori...

Paolo                             - Contessina!

Camilla                          - Voi, poi, non avete neanche l'ombra del pudore! Non penserete spero, che la scena di un momento fa mi abbia fatto piacere. Mia zia ha tutte le ragioni: vi siete compor­tato con lei come l'ultimo dei collegiali.

Paolo                             - Pardon!

Camilla                          - Non c'è pardon che tenga. Già, la colpa è tutta mia che ho avuto la peregrina idea di farvi invitare da mia zia per darmi lezione di letteratura e di poesia. Bella poesia la vostra. La Duchessa di Capablanca Venere dal bianco mantello! In verità il gioco di parole non potrebbe essere più banale.

Paolo                             - Pardon!

Camilla                          - Non c'è pardon che tenga! Siete dunque, diventato pazzo, oppure... che vi credete? Non siete certo il primo a perdere la testa dietro il fascino di mia zia: ma nessuno ancora, prima di voi, si era permesso di rivolgerle dei versi... libertini...

Paolo                             - Libertini, poi!!

Camilla                          - Tacete! Non c'è scusa per voi. Ma ditemi, per amor di Dio; che cosa sperate di ottenere da mia zia? Che voglia, forse, coronare i vostri desideri? Che la Duchessa di Capablanca possa compromettersi col pro­fessore Paolo Moreira, del Liceo delle Fan­ciulle di Barcellona? Bisogna essere pazzi solo a pensarlo.

Paolo                             - Ma io non ho neanche pensato. I de­sideri che si formulano in poesia sono sempre irrealizzabili e, per questo, non vanno presi sul serio...

Camilla                          - Ed io che vi credevo un uomo serio! Facendovi invitare qui, al castello, io mi ero fatta in certo qual modo, garante della vostra moralità...

Paolo                             - Vi prego di non mettere neanche in dubbio la mia moralità...

Camilla                          - E sia! Non parliamone: ma un uomo castigato non deve permettersi di sfiorare, neanche in versi, argomenti coi quali non oserebbe esprimersi in prosa...

Paolo                             - Vi giuro che, ora, siete ingiusta. Io nutro pel sesso femminile in genere, e per la signora di questo castello in ispecie, un ri­spetto e una venerazione, che mi renderebbe impossibile...

Camilla                          - (guardandolo negli occhi) Che cosa?

Paolo                             - Di... sperare nell'attuazione dei sogni che faccio in versi.

Camilla                          - Non vi credo più. Quando seguivo le vostre lezioni, al Liceo, ero felice di avere scoperto in voi un uomo che sapeva mettere la castità, l'ideale, i sentimenti cavallereschi al di sopra di tutto il resto: le vostre parole mi entusiasmavano.

Paolo                             - Oh! contessina!

Camilla                          - E ora rimpiango d'essermi ingan­nata: voi non siete, invece, né casto, ne ca­valleresco...

Paolo                             - Lo sono! Lo sono! Vi giuro che an­cora, io non ho mai... come spiegarmi? La signora Duchessa mi ha rimproverato di essermi occupato con manifesto piacere, delle grazie del corpo femminile: ma io vi giuro che la sola parte d'un corpo femminile che le mie labbra abbiano mai sfiorato è la mano che vostra zia mi ha dato così graziosamente a baciare quando sono giunto qui. Questo ve lo posso giurare sulle undicimila Vergini di Colonia: ve lo posso giurare - tenete!  sul martirio di San Sebastiano!...

Camilla                          - Che c'entra adesso San Sebastiano!

Paolo                             - Sì, Perché anche lui fu trafitto, come me. dalle frecce della passione!

SCENA SETTIMA

Gli stessi, la Duchessa, poi Florencio e Elifas

Duchessa                       - (entrando assai agitata dalla destra seguita poco dopo da Florencio ed Elifas) E' inaudito! Incredibile!

Camilla                          - Zia, ch'è successo? Come sei tur­bata!

Duchessa                       - Va a chiamare Don Florencio e Don Elifas: questi signori debbono aiutarmi a spiegare un fatto inesplicabile. Voi potete restare, professore, e chissà che il caso non vi possa ispirare il soggetto di un dramma... (Camilla è uscita dalla sinistra e rientra quasi subito seguita dai due. Durante questo tempo la Duchessa va e viene per la scena, fuori di se).

Florencio                       - (entrando) Che accade, Duchessa?

Elifas                             - Che è avvenuto di così terribile?

Duchessa                       - (accennando) Sedete, signori! Io non so trovare le parole, non so come dirvi, come raccontarvi. Figuratevi: una contadina che io faccio lavorare qui, al castello, come altre donne del paese, moglie di un arrotino che deve tornare domani o dopodomani, come il Curato ci spiegava, poco fa... questa donna...

Florencio                       - E' bella?

Duchessa                       - Non fate delle domande fuori di posto, Don Florencio, sì, è anche molto bella. Due minuti fa, era qui con me. Immaginate un po' che cosa mi raccontava?

Florencio                       - Come potremo indovinarlo?

Duchessa                       - Ebbene! ecco qua. (articolando ogni sillaba) Ieri sera, mentre scendeva dal castello in paese, uno sconosciuto l'ha assa­lita e le ha fatto violenza!

Camilla                          - E' spaventevole!

Duchessa                       - La poveretta piangeva a calde la­crime, mentre mi raccontava questa orribile scena. Che consolazione potevo darle? Le ho promesso che se... l'infame attentato avesse avuto... delle conseguenze, mi sarei occupata di lei e... delle conseguenze.

Florencio                       - Generosa Duchessa!

Duchessa                       - Essa ha una gran paura del ma­rito. Quando tornerà parlerò con lui. Non è giusto ch'egli la debba tenere responsabile della sua disgrazia. Anche il Curato farà ap­pello alla sua coscienza.

Florencio                       - Certamente il caso è dei più pie­tosi: ma la vostra bontà, Duchessa, avrà avuto il potere di calmare quella povera donna. Non state, dunque a tormentarvi più.

Duchessa                       - E lo potrei anche volendo? Ascol­tatemi ancora un momento. Concetta stava baciandomi le mani e se n'andava un po' racconsolata, quando è comparsa Teresa...

Florencio                       - Chi è Teresa?

Duchessa                       - La moglie di un altro arrotino! La poveretta, piangendo, mi ha raccontato la stes­sa storia,

Florencio                       - (che è divenuto improvvisamente at­tentissimo) Questo, poi, è veramente strano! Ma come? Anch'essa?...

Duchessa                       - Anch'essa, ieri sera, lasciando il castello. Teresa piangeva anche più dirotta­mente di Concetta...

Florencio                       - E voi l'avete consolata... allo stesso modo?

Duchessa                       - Eh! sì: che altro potevo fare? Sarà bene che voi preveniate subito la gen­darmeria e che facciate denuncia del fatto alla polizia...

Florencio                       - Ma certo. Lancerò un dispaccio in tutte le località dei dintorni e manderò Vicente al villaggio. Ditemi un po': non è possibile che l’attentato sia stato consumato nel parco?

Duchessa                       - Che supponete?

Florencio                       - Bisogna assolutamente escludere il prato come luogo del... delitto, diciamo così, perché, se si dovesse ammettere che la vio­lenza sia stata commessa nel parco, non rimarrebbe che un'ipotesi possibile...

Duchessa                       - Quale?

Florencio                       - I cani non hanno abbaiato: si trattava dunque non di uno sconosciuto. E allora...

Duchessa                       - (interrompendolo) Spero che non crederete che qualcuno del castello?...

Florencio                       - Io non credo niente ancora. Ana­lizzo i fatti senza trarne alcuna conclusione.

Duchessa                       - C'è da perdere la testa! All'infuori di voi, signori, non ci sono che quattro uomini al castello: Baldassarre, il giardiniere, un vecchione di più di settant'anni; José, suo aiutante; Pietro, lo chauffeur, e Vicente. José è, da più di una settimana, a letto, con la bronchite e trentanove gradi di febbre. Pietro lo chauffeur, è tornato un'ora fa da Barcel­lona con la vettura e vi era restato quattro giorni per far riparare il radiatore. Rimar­rebbe Vicente...

Camilla                          - Vicente, dalle nove a mezzanotte, ieri sera, non è uscito dalle camere: questo lo so con esattezza.

 Duchessa                      - Noi abbiamo avuto una seduta dopo pranzo: e, in seguito, Vicente ci ha servito qui il té.

Camilla                          - Durante la seduta, egli non si è mosso dalla grande sala da pranzo, dove ha riordinato l'argenteria: dopo, me ne ha consegnato l'inventario.

Florencio                       - Enigma! Straordinario enigma!

Camilla                          - Tu sei persuasa, zia, che le due donne ti abbiano detta la verità?

Duchessa                       - Ma, cara figliuola, a che fine mi avrebbero raccontato una storia simile? Mi hanno fatto l'impressione che fossero sincere tutte e due.

(Si vede dalla terrazza, Vincent avvicinarsi accompagnando Catalina che piange).

Camilla                          - (osservando) Oh! zia! Ecco la moglie di un altro arrotino, tutta in lagrime!

Florencio                       - Questo, poi, è il colmo. Questa lasciatemela interrogare a me!

SCENA OTTAVA

Vicente - Catalina e Detti

(Catalina è una bellissima contadina, robusta, ben fatta, vestita in costume basco).

Vicente                         - Su, non aver paura: la signora Duchessa non ti farà alcun male: essa è tanto buona!

Catalina                         - (fa per parlare, ma non può).

Florencio                       - Duchessa, mi volete permettere...

Duchessa                       - Anzi, ve ne prego...

Florencio                       - Avvicinati, figliuola mia. Non ti farò niente. Nessuno di noi vuol farti niente di male.

Vicente                         - Parla, dunque! Racconta quello che, mi hai riferito adesso.

Catalina                         - (intimidita dalla presenza di tutte quelle persone, si passa le mani nervosamente sul grembiule, fa come per parlare, ma non riesce).

Florencio                       - Andiamo: ti aiuterò io. Scommetto che indovino la cagione delle tue lagrime. (una pausa) Ieri sera, quando lasciavi il castello per rientrare al villaggio, tu sei stata assalita...

Catalina                         - (fa segno di sì).

Florencio                       - Bene! Cioè, no! Male, anzi: molto male! Andiamo avanti. L'uomo! era uno stra­niero?

Catalina                         - (accenna di sì).

Florencio                       - (a Vicente) A che ora le donne, lasciano il castello?

Vicente                         - Alle dieci si chiude la porta.

Florencio                       - E la porta del giardino?

Vicente                         - Subito dopo.

Florencio                       - Chi è incaricato di chiudere?

Vicente                         - Il portone grande, io: la porta del giardino, il giardiniere.

Florencio                       - Benissimo: e i cani?

Vicente                         - Sono sguinzagliati pel parco.

Ilorencio                        - Credete voi, Vicente, che uno straniero possa introdursi nel parco senza che i cani se ne accorgano?

Vicente                         - (esita un momento a rispondere: poi, con voce ferma e convinta) No, è impos­sibile!

Florencio                       - Che distanza c'è tra il parco ed  il villaggio? Duecento passi?

Vicente                         - Tutt'al più.

Florencio                       - La faccenda diviene sempre più misteriosa. Abbandoniamo l'idea del parco: nessuno straniero può entrarvi. E nel prato? Altra ipotesi insostenibile, anche perché il più piccolo grido sarebbe stato subito udito. Hai gridato, tu, Catalina?

Catalina                         - (piena d'impaccio e di confusione, guarda smarritamente di qua e di là).

Duchessa                       - Eppure, Catalina, in simili casi, una donna grida. A meno che...

Florencio                       - A meno che lo spavento non para­lizzi. Ma che proprio nessuna delle tre donne non abbia gridato? (afferrando un'idea im­provvisa) Le tre donne sono andate via in­sieme ed è capitata loro la stessa avventura tra il castello e il villaggio: bisogna, dunque, ammettere che l'atto sia stato consumato nello stesso tempo. Una cosa... materialmente as­surda, impossibile. E allora? A un breve in­tervallo... l'uno dall'altro? Ah! Dev'essere un uomo d'una forza straordinaria... altro che straordinaria! (tornando subito il giudice istrut­tore, freddo e preciso) Che aspetto aveva quest'uomo? (Catalina lo guarda come inebettita) Era grande, piccolo, biondo, bruno? (Cata­lina non risponde) Com'era, insomma? (Ca­talina scoppia in singhiozzi) (irritato) Non è il momento di piangere, adesso: e poi, or­mai, non serve più a niente.

Vicente                         - La poveretta non si sa più racca­pezzare...

Florencio                       - E le altre due, Duchessa, non han­no saputo dare alcuna indicazione sulla persona dell'aggressore?

Duchessa                       - Non sono riuscita a strappar loro una parola di bocca. Esse sono state soltanto concordi sul luogo e sull'ora dell'aggressione.

Florencio                       - Verso le dieci: questo lo sappiamo. E non avete insistito per saperne un po' di più?

Duchessa                       - Ma non ci pensate voi alla scon­venienza di... certe domande?

Florencio                       - Eppure, Duchessa, bisogna che la verità si faccia strada a tutti i costi, anche a prezzo di qualche sconvenienza, (a Catalina) Tu insisti nella tua affermazione che, cioè, il... fatto sarebbe avvenuto immediatamente dopo che tu eri uscita dal castello? (Catalina fa cenno di sì) Ma, andiamo! Questo non ha senso comune! Tre donne assalite: nessuna ha neanche gridato: i cani non hanno abbaia­to: ma tutto ciò ha... del fantastico... del soprannaturale!

Elifas                             - Del soprannaturale! Ecco la mia pre­cisa opinione!

(Tutti rivolgono lo sguardo verso di lui).

Duchessa                       - (nervosamente) La vostra opinio­ne? Precisate, Don Elifas!

Elifas                             - Io ho subito sentito, sin da principio che questa faccenda non era normale; intendo dire, che si trattava di fenomeni assoluta­mente soprannaturali

Duchessa                       - Spiegatevi meglio!

Elifas                             - Mi spiegherò in seguito: per ora, vorrei rivolgere qualche domanda a Catalina. Me lo permettete?

Duchessa                       - Fate pure!

Elifas                             - (parlando con grande dolcezza e con tono quasi paterno a Catalina) Dimmi un po' figliuola: è possibile che tu non abbia proprio notato niente di particolarmente spe­ciale in questo sconosciuto?

(Catalina lo guarda senza capire).

Elifas                             - Non ti ha fatto, per esempio, l'im­pressione ch'egli fosse dotato di una forza soprannaturale? Non hai sentito come... come una scossa elettrica?

Vicente                         - Catalina non sa che cosa sia una scossa elettrica.

Elifas                             - Diciamo allora... come un colpo di fulmine! (Catalina fa segno di sì) E tu, non hai cercato di difenderti: sfido io: non lo avresti neanche potuto. Tu hai visto scintil­lare migliaia e migliaia di stelle...

Vicente                         - (burlone) Deve averle viste di si­curo: il cielo era sopra la sua testa...

Duchessa                       - (con accento severo) Vicente!

Vicente                         - Perdoni, signora Duchessa. Catalina è così turbata ch'io cercavo d'essere il suo in­terprete.

Elifas                             - Evidentemente non è possibile strap­parle una parola di più. Ma io ormai ne so abbastanza! Più che abbastanza! (Catalina è scossa da una nuova crisi di pianto).

Duchessa                       - Torna pure a casa tua, Catalina, e fatti coraggio. E' una gran disgrazia che tutti deploriamo: ma tuo marito dovrà pure essere ragionevole: io gli parlerò  e anche il signor Curato. Se quello che ti è successo... dovesse avere delle conseguenze, ebbene... me ne occuperò io: va bene?

(Catalina bacia piangendo le mani della Du­chessa ed è ricondotta da Vicente).

SCENA NONA Detti

meno Catalina e Vicente

Florencio                       - Ebbene, Don Elifas, se voi ci capite qualche cosa in tutta questa storia, siete più furbo di me.

Elifas                             - Ma... la cosa per me invece, è chiara Perché io conosco gli usi e i costumi del mondo degli spiriti, e potrei anche citarvi una quantità di casi analoghi corredati da tutte le prove.

Duchessa                       - Casi analoghi? Spiegateci piutto­sto il nostro, se vi riesce.

Elifas                             - Ricapitoliamo. Il triplice attentato del quale non mi sorprende affatto la simul­taneità, è stato consumato certamente nel par­co e per opera di uno che aveva piena fami­liarità col castello...

Florencio                       - Non pretenderete spero, di con­cludere che qualcuno di noi...

Elifas                             - Calma - vi prego - un po' di calma. Riassumiamo ancora una volta. Ieri sera, noi abbiamo tenuto seduta alla quale hanno partecipato la Duchessa, voi, e la mia umile persona. La contessina Camilla leggeva. Il professore Paolo dove si trovava?

Paolo                             - Ero malato, in letto.

Elifas                             - Verissimo: sono io che vi ho anzi consigliato di coricarvi alle nove, Perché ave­vate l'emicrania.

Camilla                          - E io ho portato al professore un cachet di aspirina.

Elifas                             - A che ora?

Camilla                          - Suonavano le dieci, alla pendola, proprio mentr'io salivo la scaletta che conduce alla camera del professore.

Elifas                             - E... siete entrata nella camera?

Camilla                          - Ah! no! Ho bussato; Paolo ha socchiuso la porta e ha preso il cachet. Io gli ho stretto la mano, augurandogli buona notte,

Elifas                             - Resta, dunque, assodato, che il pro­fessore Paolo non è uscito né di camera sua, né dal castello. Non ho formulato neanche per un momento un sospetto così pazzesco..,

Paolo                             - Oh! Io vi dò la mia parola d'onore...

Elifas                             - (interrompendolo) Non ce n'è proprio bisogno: voi non vi siete mosso di camera, e io sono, anzi sicurissimo che voi dormivate profondamente nel momento in cui furono consumati gli attentati. Vi ricordate quando vi siete addormentato?

Paolo                             - Come si fa a precisare? Ma, io credo, subito dopo la breve visita della Contessina:' certo, non ho sentito battere alla pendola il primo quarto d'ora.

Elifas                             - (fa un gran cenno d'approvazione, con aria evidentemente soddisfatta) E... vi ricordate di che avete sognato?

Paolo                             - Oh! Sì!

Elifas                             - Ditecelo!

Paolo                             - (arrossisce violentemente guardando la Duchessa) E' assolutamente impossibile.

Elifas                             - Ma è della maggiore importanza che io sappia di che avete sognato!

Paolo                             - Ma... veramente... No, non: non posso raccontarlo...

Elifas                             - Il sogno, era bello?

Paolo                             - Divinamente bello!

Elifas                             - Questo mi basta! (una pausa: poi, alzandosi solennemente) Ed ora in grado di darvi la soluzione del problema. Il colpevole - l'unico colpevole - è stata la forza ema­nata dal professore Paolo!

Tutti                              - Che?!?

Elifas                             - Certamente. La forza, staccatasi dal suo corpo, se n'è andata alla ventura, senza che il detentore di questa forza potesse avere, per un solo momento, neanche il sospetto di ciò che avveniva.

Duchessa                       - Non capisco, Don Elifas.

Paolo                             - E quella forza sarebbe emanata da me?

Elifas                             - (col tono d'una dissertazione scientifica)

                                      - Prestatemi bene ascolto, signore e signori: la cosa del resto, è infinitamente semplice. Voi sapete che l'anima abita il corpo né più né meno d'un locatario d'una casa: essa è come... una noce nel suo guscio - o, meglio - come un'ape prigioniera nel suo bugno. Quando il bugno si rompe, la morte restitui­sce la libertà all'anima prigioniera, ed essa allora, si perde nell'infinito e si ricongiunge al suo creatore. Ma noi sappiamo anche che l'anima non ha bisogno d'attendere la morte per violare la sua prigione corporea e che essa può abbandonarla, a intervalli, anche durante la vita. Una moltitudine di fatti ci hanno provato che queste manifestazioni erano possibili presso gii esseri viventi. Du­rante il sonno corporeo, l'anima compie spes­so dei lunghi viaggi e le azioni più meravi­gliose..

Duchessa                       - E voi credete, Don Elifas, che... anche qui?

Elifas                             - (continuando, senza lasciarsi sviare, sempre in tono scientifico e con grande fred­dezza) L'anima, in fondo, non è altro che la forza che ci fa vivere. Essa sopporta malvo­lentieri l'inerzia: qualche volta, stanca di es­sere oppressa, essa abbandona temporanea­mente il corpo.

Florencio                       - Ma in questo momento noi par­liamo d'una forza, d'una violenza anzi!

Elifas                             - Nelle cose d'amore, forza, violenza, sono sinonimo di spirito

Duchessa                       - Ma... in nome del cielo, e non ci ha da essere un rimedio?

Elifas                             - Questo non lo so ancora: ma voi ve­dete, Duchessa che avevo ben ragione, poco fa, d'avvertirvi: la temuta catastrofe erotica è purtroppo avvenuta!

Duchessa                       - Ma che c'entra questa storia con le vostre previsioni?

Elifas                             - Come « che c'entra? » Per appagare il vostro desiderio, io ho tentato d'evocare lo spirito di Don Giovanni e, per riuscirci, io ho messo sossopra tutto al di là erotico: e si vede che le forze amorose del male hanno, con ogni verosimiglianza, preso possesso del castello.

Paolo                             - Come? Io avrei... o meglio... io ho senza saperlo?... Senza volerlo?

Elifas                             - Calmatevi, amico mio: noi del resto, non ve ne facciamo - non ve ne possiamo fare - alcun rimprovero!

Duchessa                       - (guardando fissamente Paolo, il viso poggiato ad una mano) E... tre alla volta! Una cosa... interessante! (sorridendo) Ma sapete, professore che siete... un bel criminale?

Paolo                             - Io un criminale? Io che non ho an­cora... che in tutta la mia vita, non ho ancora mai...

Elifas                             - (con tono di superiorità) Anzi! Ma appunto per questo! Solo un uomo come voi, un essere giovane, possente, può servire di valido strumento per fatti di questo genere...

Camilla                          - Un lupo-Mannaro! Signor Paolo, voi siete un Lupo Mannaro.

Elifas                             - Non proprio un Lupo Mannaro, ma comunque, è certo, una varietà erotica inte­ressante; « Lycantropos eroticus fortissimus »..

Duchessa                       - (con ammirazione) Fortissimus!!

Paolo                             - Povero me! e... che farci? Io perdo la testa. Tre contadine e io le ho...

Duchessa                       - Calmatevi, andiamo, calmatevi; voi non ci avete colpa.

Paolo                             - E come calmarmi? Io sognavo... oh! Che sogno! E intanto, quelle tre contadine, io le ho... (si nasconde la testa tra le mani). Io non ricordo nulla... Ma... è materialmente impossibile... impossibile!

Elifas                             - Materialmente sì, ma spiritualmente nulla è impossibile, giovanotto. Il vostro atto, questo atto ripetuto tre volte, è una testimo­nianza irrefutabile contro di voi. Le donne non vi hanno resistito, non hanno neanche gridato, Perché voi eravate un essere impon­derabile, nel senso vero della parola: cioè: senza peso: uno spirito senza viso. Voi non eravate più che una forza la quale vi tra­sformava in un atto.

Paolo                             - Ah! Sento che non potrò sopravvi­vere a questo! (cade in sincope).

Camilla                          - (accorrendo) Dio! Povero giovane! Si sente male!

Duchessa                       - Subito! la mia boccetta di sali!

Florencio                       - Una coppa di champagne! (Tutti si occupano di Paolo).

Duchessa                       - - Non avrei mai creduto che questo giovanotto fosse tanto interessante!

Elifas                             - Povero giovane! E' svenuto, (alzando le mani) Iddio solo sa dove agisce la sua forza in questo momento!

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

(La stessa scena dell'atto primo. La stessa sera, tardi. I lumi sono accesi e la strana luce diffusa dalla lampada turca, conferisce all'in­sieme un carattere d'incanto pieno di grazia. Il parco è immerso nella semioscurità del cielo stellato).

SCENA PRIMA

Florencio e Vicente

(Fiorendo è in abito da sera   - come tutti quelli che compaiono in quest'atto).

Florencio                       - Dite un po', Vicente: la seduta non è ancora finita?

Vicente                         - Nossignore.

Florencio                       - Mi hanno mandato via. Sono trop­po scettico io e gli spiriti di Don Elifas ce l'hanno con me. Io li disturbo - così pare. Avete fatto spedire i dispacci?

Vicente                         - Sì, signor Procuratore.

Florencio                       - E avvertito il brigadiere?

Vicente                         - Sì, signor Procuratore. Ma io vor­rei permettermi d'osservare che, trattandosi di spiriti, è probabile che la polizia non trovi nulla.

Florencio                       - Phm! La storia mi pare... molto misteriosa e io dubito che fino all'ultimo no-mento... Voi, Vicente, vi siete fatta una opi­nione in proposito?

Vicente                         - Ma io non mi permetterei mai, si­gnor Procuratore...

Florencio                       - Quando v'interrogo, vi prego di rispondermi. La vostra opinione può, forse essermi di grande utilità, (una breve pausa) Credete proprio che tutte e tre le donne ab­biano detta la verità?

Vicente                         - Lo credo.

Florencio                       - Ah! Voi lo credete! Evidentemente, voi conoscete da un pezzo queste donne!

Vicente                         - Certo, signor Procuratore: tutte tre hanno la loro occupazione al castello.

Florencio                       - E... non troppo furbe, eh!? Per inventare una storiella come quella che ci hanno... data a bere, è necessario avere... un po' d'immaginazione e questa voi non la sup­ponete in loro?

Vicente                         - Ah! No! certo.

Florencio                       - E allora, accettiamo per un momento il fatto come ce l'hanno raccontato. Dopo mezzodì, io ho fatto la mia piccola in­chiesta su luogo e ho esaminato la strada che il tra il portone e la porticina del giardino a destra e a sinistra, nient'altro che una aiuo­la di tulipani e... neanche un fiore calpestato. Neanche una panca vicino. A che ora il giardiniere rastrella la sabbia?

Vicente                         - Ogni mattina.

Florencio                       - Allora forse, può darsi che abbia cancellato le impronte dei piedi.

Vicente                         - Ma il signor Procuratore, forse, dimentica che trattandosi di uno spirito...

Florencio                    - Ah! Certo, per uno spirito, per una forza incorporea, le leggi terrestri non avrebbero più alcun valore. Con tutto questo, io non intendo abbandonare le mie ricerche... il signore ha altri ordini da darmi?

SCENA SECONDA

Florencio - Vincente – Nina

Florencio                       - Ah! Ecco i dispacci. Aspettate un momento Vicente!

(prende le carte, va verso il canapè e le apre dopo l'altra. Durante questo tempo, Vicente e Nina sono a destra, sul davanti della scena).

Vicente                         - (piano, a Nina) A mezzanotte, qui!

Nina                                         - Non verrò!

Vicente                         - La vedremo!

Florencio                       - (che, intanto, avrà scorso i dispacci) Potete andare, Vicente: non c'è risposta. (Vicente esce) Nina!

Nina                              - Comandi, signor Procuratore!

Florencio                       - (mostrando i dispacci) - Niente! tutte le parti, mi telegrafano che non è stato segnalato nessun individuo sospetto.

Nina                              - Lo sapevo bene.

Florencio                       - Come lo sapevi?

Nina                              (convinta) Ma certo: si tratta di uno spirito!

Florencio                       - E... non hai paura?

Nina                              - Paura? Al contrario. Trovo che tutto io è semplicemente meraviglioso!

Florencio                       - Sicché tu preferiresti uno spirito a me?

Nina                              - E' una cosa molto diversa... Eccolo che viene!

Florencio                       - (tremando di paura) Chi? Lo spi­rito?

Nina                              - No! Il professore!

SCENA TERZA

Florencio - Nina (che esce) - Paolo

Florencio                       - Ebbene, Don Giovanni senza sa­perlo, come va?

Paolo                             - Male, Don Florencio: assai male. Mi pare che tutto giri intorno a me.

Florencio                       - (accennando a destra) La seduta è finita?

Paolo                             - No, non ancora: ma Don Elifas mi ha rimandato Perché mi sentivo spossato, al punto di non poter raccogliere i miei pen­sieri, mentre quelli che partecipano a una seduta debbono concentrare - dice lui - tutte le loro forze verso un solo oggetto. Chissà se potrò mai più riconquistare l'invi­diabile calma che avevo.

Florencio                       - Andiamo: sedete, qui, vicino a me, mio giovane amico, prendete una siga­retta e bevete un bicchierino di cognac, (una, pausa) Un altro bicchierino: così... e... e adesso, raccontate. A tavola, eravate molto si­lenzioso. V'è successo qualcosa di nuovo in questo pomeriggio?

Paolo                             - Altro che! La notizia di questa av­ventura deve essersi subito diffusa Perché le donne del villaggio sono salite, in folla al castello: ce n'erano una trentina almeno fuo­ri della terrazza: e tutte volevano vedermi.

Florencio                       - Vedervi... soltanto?

Paolo                             - Vedermi e... toccarmi. Mi avevano por­tato dei fiori, dei dolci, delle frutta. Non sa­pevo più che fare.

Florencio                       - (che non capisce) Di che? Di quei doni?

Paolo                             - Esse erano venute, evidentemente, per qualcos'altro: per fare omaggio alla forza che è in me.

Florencio                       - Chissà che direbbero le signorine del Liceo se sapessero...

Paolo                             - Non me ne parlate. Lo verranno certo a sapere e allora. Dio mi salvi! Pen­sate: ho centoventi allieve!

Florencio                       - Diamine! Neanche uno spirito se la potrebbe cavare!

Paolo                             - La cosa più terribile, vedete, è che io non posso difendermi, ch'io non abbia il menomo potere sulla forza eh'è in me. Non posso dire né sì, né no: anche poco fa nel corridoio, mi sono incontrato con Nina, la cameriera e mi ha detto...

Florencio                       - (interrompendolo) Vi ha detto?

Paolo                             - Questo: Speriamo che non vi venga il pensiero di farmi una visita, stanotte: la mia camera è al secondo piano, la prima a destra »!

Florencio                       - (stropicciandosi le mani, tra se) Buono a sapersi: Ninetta non aspetterà in­vano la visita dello spirito! (volgendosi di nuovo a Paolo) Perché, per voi, occorre lo amore puro?

Paolo                             - E come si può... senza amore?

Florencio                       - Eppure... quelle tre belle conta­dine...

Paolo                             - Ma io non ci avevo neanche pensato: non lo sapevo neanche. E come fare Perché non ricominci? Bisogna che Don Elifas mi aiuti, mi consigli.

Florencio                       - Ma che bisogno avete di lui? La­sciatevi guidare dalla vostra logica.

Paolo                             - La mia logica?

Florencio                       - Ma certo. Supponiamo, intanto, che Don Elifas si sbagli: La vostra forza - dice lui - vi abbandona per vagabondare a suo piacimento. Ma Perché vi abbandonereb­be, se mai? Perché non trova presso di voi elementi a cui interessarsi. Occupatela, dun­que, e vedrete che essa non ci penserà nean­che a correr dietro a delle povere contadine!

Paolo                             - Voi credete?

Florencio                       - Provate: che vi costa?

Paolo                             - Ah! Non ne avrò mai il coraggio!

Florencio                       - Ma sì: cercate d'essere un po' più a contatto con le donne e vedrete che esse non esigono, in fondo, da noi, che una sola virtù: l'audacia!

Paolo                             - Ho paura che non ne avrò mai!

Florencio                       - E perché? La vostra forza non conosce, forse, tutte le audacie quando è indipendente da voi? Invece d'essere il predone pieno di fierezza, voi vi contentate d'essere un guardiano che lascia scappare di notte, la bestia dalla sua gabbia. Non vi offendete amico mio: ma che brutta figura ci fa il guardiano!

Paolo                             - Eh! lo vedo anch'io! Ma purtroppo, io non sono nato per fare l'eroe!

SCENA QUARTA

La Duchessa, Camilla e Detti

Duchessa                       - (venendo dalla destra) Che ne dite, eh? Don Elifas ci ha rimandate tutte e due perché pretende che siamo distratte e che lo disturbiamo nel suo lavoro. Ha voluto] restar solo coi suoi spiriti.

Camilla                          - Non so capire, zia, perché tu sia così nervosa!

Duchessa                       - Eh, sfido io! Con le belle cose che succedono sotto il mio tetto! Ah! Eccolo il nostro caro professore?! Vi siete un po' rimesso? Ci avete fatto una tale paura quando siete svenuto!

Paolo                             - Siete molto buona, Duchessa!

Duchessa                       - Non vi sentite un po' sfibrato, stanco?

Paolo                             - Oh! No: niente affatto!

Duchessa                       - Non è stanco! Ma è meraviglioso!

Camilla                          - E Perché dovrebbe essere stanco?

Duchessa                       - Figliuola mia: tu non puoi capire!

Florencio                       - Il signor professore vi ha raccontato dell'invasione delle donne del villaggio?

Duchessa                       - Le ho vedute anch'io dalla finestra. Ci vuole proprio una bella sfrontatezza!

Camilla                          - Almeno venisse Don Elifas!

Florencio                       - Che vi aspettate da lui, contessina?

Camilla                          - Sta facendo un nuovo tentativo evocare Don Giovanni: in questa specie di cose, Don Giovanni è un vero specialista e se rispondesse, ci potrebbe dare qualche buon consiglio. Io non penso che a voi, caro professore!

Paolo                             - Oh! Duchessa! Voi pensate a me!

Duchessa                       - Al modo di potervi essere utile.

Florencio                       - Forse il Professore non ci tiene che si cerchi di essergli utile. Io so che al posto suo...

Duchessa                       - Vi prego di non fare riflessioni fuori di posto. E' già abbastanza difficile mantenere al discorso il tono che dovrebbe avere e questa povera Camilla è costretta a sentire cose che non sono certo per gli orecchi d'una signorina.

Camilla                          - Oh, zia! Adesso tu calunni i nostri tempi. Una giovinetta al giorno d'oggi, ne sa per lo meno quanto un giovanotto della sua età: del resto, non potrai negare che anche l'amore fa parte... della cultura generale.

Duchessa                       - E che c'entra l'amore in questo caso? Nessuno di noi si sogna neanche di supporre che il professore Paolo fosse innamorato di queste tre contadine! Sentiamo: era l'amore che vi guidava?

[Duchessa                     - Rispondete!

Paolo                             - Io mi sforzo inutilmente di spiegare questo fenomeno che mi ha piombato nella più nera tristezza. Per ben ventisei anni..

Duchessa                       - Avete ventisei anni?

Paolo                             - E qualche mese... Non mi era mai ca­pitato nulla di simile. Io ero un uomo asso­lutamente... sì, senza la più lontana idea di... di certe cose. Io non ho mai... importunato nessuno.

Florencio                       - Dicendo così, voi, però, fate torto al sesso femminile!

Duchessa                       - (interrompendolo, con severità) Don Florencio!

Paolo                             - E ora, invece, tutt'a un tratto, il mio povero essere è stato messo sossopra, perché i miei sentimenti mi soffocavano.

Duchessa                       - (a Paolo) M'interessate, profes­sore: andate avanti...

Camilla                          - Invece, non dite più niente! Un uomo non deve sciorinare in pubblico i suoi più riposti sentimenti.

Duchessa                       - Non mi piace, Camilla, che tu metta il naso negli affari del professore Paolo!

[Camilla                        - Ma io sono l'ultima ad occuparmene: e appunto per questo credo fermamente d'essere l'unica a mostrare un po' di buon  senso.

SCENA QUINTA

Don Elifas e Detti

Elifas                             - (entra da destra, stanco morto, accasciato) ,

Duchessa                       - Finalmente!

Camilla                          - Ebbene?

florencio                        - Don Giovanni s'è fatto vivo?

Elifas                             - (scuotendo il capo) No. Un bicchier d'acqua, per favore: io non ne posso più. Finché siete rimasti seduti attorno al tavolino, nessuno spirito ha voluto mostrarsi: eravate troppo eccitati e troppo distratti. Appena sono restato solo, il tavolino ha cominciato a muoversi, ma... parlava in ebraico.

Florencio                       - Ma allora non era Don Giovanni!

Elifas                             - (con gravità) No, non era Don Gio­vanni, ma un uomo che sapeva congiungere la più profonda saggezza con la più alta scienza dell'amore: un uomo che conobbe più donne di Don Giovanni e che evidentemente ne seppe fare migliore uso di lui, pérché non morì come lui, per colpa loro...

Duchessa                       - E chi può essere costui?

Elifas                             - (solenne) Il Re Salomone. Io mi sono profondamente inchinato sul mio tavo­lino.

Duchessa                       - Il Re Salomone in casa mia! Quale onore! E che s'è degnato di dire Sua Maestà?

Elifas                             - (sentenzioso) Non lasciar le pecorelle pascolare sulla collina senza alcuna sorve­glianza. Conducile nei buoni pascoli e ucci­dile in onore del Signore prima che di­vengano preda degli stranieri e degli empi!

Florencio                       - Ma io non capisco. Qui non ci sono pecore.

Elifas                             - Parlando così, il saggio Re ha voluto designare le forze del nostro amico Paolo. La immagine di questa sentenza mi pare assai chiara.

Paolo                             - E cosa dovrò fare con una pecorella?

Elifas                             - Imparate a pensare logicamente, giovinotto. L'avventura notturna di eri ha un profondo significato morale; sì, morale. E' come una punizione inflittavi dal cielo per la vostra mancanza d'energia.

Florencio                       - Ed è il Re Salomone che vi avreb­be personalmente rivelato tutte queste verità coi suoi colpetti sul tavolino?

Duchessa                       - (severamente) Don Florencio!

Elifas                             - Proprio lui! Mi ha illuminato. La sua benefica presenza ha fugato risoluta­mente tutte le malefiche ombre amorose che, ieri ancora, ronzavano a sciami intorno a noi. Esse, ora, si sono nascoste, sono scomparse. « Afflavit et dissipati sunt » soffiò, e gli spi­riti maligni sparvero. Noi, ora, respiriamo un'aria pura, la balsamica aria dei nostri Pirenei, (una pausa, poi, con voce vibrante, inchinandosi profondamente) Ecco: il Re Sa­lomone è entrato, ora, in questa sala: io sento il suo alito possente ventarmi sulla fronte. Vedo! Vedo la sua luminosa corona e lo stra­scico del suo mantello reale, sorretto da mi­gliaia e migliaia di donne che gli sono ricono­scenti della loro felicità...

Florencio                       - Migliaia e migliaia di donne: ma che sciupone delle sue forze!

Elifas                             - Anzi, al contrario: che magnifico maestro nell'arte di economizzare! Per ren­dere felici un numero così grande di donne, egli non doveva sciupare. Salomone fu il Re saggio per eccellenza e Don Giovanni un pazzo!

Duchessa                       - Che ora indimenticabile!

Elifas                             - Sono completamente sfinito: ho dato tutte le mie forze. Scusatemi, Duchessa, ma io mi ritiro. E' tardi

Duchessa                       - Andiamo tutti a dormire, (suona)

Florencio                       - Sono curioso di sapere cosa suc­cederà stanotte, (a Paolo, ridendo) Professore, seguite il consiglio di Don Elifas. Siate energico!

Vicente                         - (entra con le candele).

Florencio                       - Buona notte, Duchessa.

Elifas                             - Buona notte, signora Duchessa.

Duchessa                       - (a Don Elifas) E grazie ancora d'averci fatta la luce nel caos di questi fatti strani, con la vostra saggezza.

Elifas                             - Non mi ringraziate: io non sono altro che l'umile portavoce degli spiriti che stanno al di sopra di noi.

(Elifas e Fiorendo seguono Vicente che lì precede facendo lume. Anche Paolo si accinge a congedarsi dalla Duchessa)

Duchessa                      - Ancora una parola, mio caro professore.

(Mentre Paolo si stava congedando, Camilla, facendo finta di ritirarsi, è scomparsa improvvisamente. Essa si è nascosta dietro una delle grandi poltrone che hanno l’alto schienale vol­tato verso il pubblico, senza che ne i personaggi che sono in iscena, né il pubblico, possano ac­corgersi di lei).

SCENA SESTA

Duchessa e Paolo

Duchessa                       - Io sono inquieta per voi, caro pro­fessore e non so, in verità, se posso assumer­mi la responsabilità di lasciarvi dormir solo.

Paolo                             - Pensate, signora Duchessa, ch'è mez­zanotte e che siete stanca.

Duchessa                       - Stanca?! Ma credete voi che io potrei dormire dopo tutte le emozioni di questa giornata? Io non farei che pensare a voi.

Paolo                             - A me, Duchessa? Voi mi fate troppo onore

Duchessa                       - Io vi vedrò nel vostro letto - con l'immaginazione, naturalmente - prima nervoso, febbricitante, agitato: poi, addor­mentato profondamente. Tutto ad un tratto, la forza si stacca da voi, come una nube densa e maestosa, va vagando pei corridoi, scende le scale, percorre il parco. Verso chi si dirige? Qual'é la sua vittima designata? E' certo che nessuno dormirà stanotte, nel villaggio: ne sono sicurissima. Tutte, tutte s'aspettano la visita dell'essere meraviglioso! E io non voglio, ecco! Ditemi dunque, che questo non avverrà...

Paolo                             - lo posso promettervi, di tutto cuore,! Duchessa, che farò il possibile per concentrare tutti gli sforzi onde impedire questa... passeggiata notturna della metà del mio: ma pure, che volete mai? Un uomo ad­dormentato è forse padrone di se stesso? Egli è in preda a tutte le potenze del sogno.

Duchessa                       - Già, e d'un sogno che prende subito una forma pericolosa, e commette degli atti veri e propri...

Paolo                             - Atti ch'io esecro altrettanto, quanto rimpiango...

Duchessa                       - Rimpiangere che vale, quando! potreste invece - come vi consigliava Don Elifas - impedire alla vostra forza di vagabondare fuori di voi, con un atto della vostra energia!

Paolo                             - Per Salomone - Duchessa – è facile consigliare: ma io ho così poca disposizione per l'energia! Finora, sono stato costretto al chinare il capo e subire la volontà degli altri. Ma non mi posso neanche lagnare: il mio ultimo libro ha trovato persino un editore.

Duchessa                       - Ah! scrivete anche dei libri! E qual'è l'argomento di quest'ultimo?

Paolo                             - Non ne ha veramente... o piuttosto ne ha uno solo: l'Amore. Sono poesie.

Duchessa                       - (fingendo di interessarsi) Veramente? Dovete conoscerlo assai bene, l’amore, voi, per consacrargli tutto un libro!

Paolo                             - Non lo conosco ancora. Eppure... sono; un innamorato dell'amore... d'un amore inac­cessibile come di chi cercasse d'afferrare una! stella: chi potrebbe mai arrivarci?

Duchessa                       - Però, ci sono anche delle stelle cadenti!

Paolo                             - Sì, ma quelle si snaturano, cadendo e divengono un pezzo qualunque di metallo nero infocato. Una meteora può, tutt'al più estasiarci nella sua parabola luminosa: ma che delusione quando la vediamo precipitare a terra!

Duchessa                       - Lasciamo stare le meteore e parliamo invece d'una... d'una Dea che, mossa a compassione dalle preghiere d'un semplicemortale, discenda dal suo trono di nubi. Non son cose che possono succedere?

Paolo                             - Nelle fiabe...

Duchessa                       - Vi piacciono le fiabe?

Paolo                             - Io son vissuto, fin'ora, si può dire, nel loro ambiente; e qui, tutto, richiama, nel pensiero, il mondo delle Fate: quando ho veduto voi, signora del castello, ho pensato che dovevate essere la Ninfa del lago sul quale dormono i petali dei fiori meravigliosi.

Duchessa                       - (con un lieve movimento lascia ca­dere dalle spalle la sciarpa leggera di pizzo che le copriva, ed appare in tutta la opulenta bellezza delle sue forme rivelate). E... non vi sono mai venuti dei desideri... dei desideri in­sensati?...

Paolo                             - Oh! sì. Quante favolose ricchezze non ho possedute nel mio dormiveglia estati­co! Talora, mi par d'essere un Imperatore!

Duchessa                       - (sorridendo) Desideri troppo dif­ficili da realizzare! Ambizioso! Pazienza an­cora se aveste il genio di un gran pittore o di un poeta! Di vostro, io non ho letto che una poesia...

Paolo                             - Dimenticatela, vi prego, e perdonatemi.

Duchessa                       - Vi ho perdonato da un pezzo. Certo, la mia sorpresa fu grande quando trovai, sul mio tavolino da toilette,, la vostra poesia improntata a tanta audacia. In fondo era, forse, una forma di energia!

Paolo                             - Eppure voi mi avete mosso rimpro­vero per quei versi!

Duchessa                       - (con civetteria) Davanti agli altri! Potevo, forse, fare altrimenti, amico mio? Come avrei io potuto, dinanzi ai miei invi­tati, lasciar trasparire quello che, invece, la raccolta intimità di quest'ora mi permette di dirvi? (avvicinandosi a lui, provocante) Prendetemi fra le vostre braccia! (Paolo ar­retra timidamente) Di che avete paura? Siam soli: e, ora, non c'è più, qui, la Duchessa di Capablanca, ma soltanto una donna: me­glio ancora: una Dea che ha tutto un cielo da donare.

Paolo                             - (incerto, se la Duchessa si faccia beffe di lui) Voi vi prendete giuoco di me, Du­chessa: e non va bene!

Duchessa                       - Prendermi gioco di voi, io, in­grato? Ma pensate ai racconti azzurri: qui, c'è la Fata che, a mille miglia dal mondo della realtà, incontra un giovanotto e gli dice: esprimi pure i tuoi desideri e io li appagherò tutti!

Paolo                             - A mille miglia dal mondo della realtà?...

Duchessa                       - Ma sì: immaginate pure che il castello sia a questa distanza dal resto del mondo. Non sentite come una musica celeste?

Paolo                             - (oppresso) Sento solo il rombo del mio sangue che mi martella le tempia.

Duchessa                       - Esso vi martella, come se volesse fuggire da voi e chiedere altrove un asilo. Ecco batte alla porta di un altro essere. Agi­sci, osa, e... chiedimi tutto quello che vuoi. (Essa è in piedi dinanzi a lui, in un'attitu­dine deliziosamente provocante).

Paolo                             - (che non crede ancora ai suoi occhi)

Duchessa                       - Ma che Duchessa! Lascia questo nome e trovane un altro più ardente!

Paolo                             - (inginocchiandosele dinanzi) Oh mia divina Anadiomène!

Duchessa                       - Ben detto! Ma adesso non par­lare, è così che mi piaci di più. Le parole non servono ad altro che ad allontanarci dalla felicità presente: esse sono delle realtà e noi vogliamo dei sogni.

Paolo                             - Duchessa!

Duchessa                       - Ma smetti, dunque, di chiamarmi Duchessa. E' esasperante, alla fine!

Paolo                             - Scusatemi, Duchessa: sono ancora così goffo e malaccorto!

Duchessa                       - Ah! lo vedo! Tu hai bisogno di essere messo sulla buona strada, piccolo gigante mal dirozzato.

Paolo                             - Oh! Come vi sarei riconoscente. Du­chessa, se voi voleste...

Duchessa                       - Senti, mio dolce Paolo, non dir più niente: tu non sai come le tue parole mi... mi guastino tutto l'incanto di questo mo­mento. Giurami che questa notte tu starai zitto e io... io chiuderò gli occhi, eh? Vieni! (ella apre le braccia; ma Paolo non sa che fare e s'avanza goffamente verso di lei).

Paolo                             - (tastandosi, come sgomento) E il cielo che crolla sopra di me, oè Vicente che viene a svegliarmi nel mio letto?

Duchessa                       - Ascolta. Io salgo un momento in camera mia: appena avrò fatto la mia toilet­te da notte, Nina andrà a dormire. Se potesse farti venire in camera mia, eh! sarebbe bello, ma non è possibile: la camera di Nina è a fianco della mia: e allora... no, no: questo no! Aspettami qui: verrò subito! Sii paziente!

Paolo                             - Oh, Duchessa! Non tornerete?

Duchessa                       - Ancora! Ma insomma! Giura che non dirai più neanche una parola, altrimenti nontorno, (insinuamente) Giura, dunque, e tra un minuto io sarò qui.

Paolo                             - Oh! Mio Dio! E pensare che questo è proprio il momento in cui vorrei parlare in versi!

Duchessa                       - Mettiti qui, sul sofà e ricorda la consegna: non muoverti e non aprir bocca!

                                      (con tenerezza) Un po' di pazienza, mio dol­ce amico! (giunta alla porta, gli manda un bacio con la mano)

(via).

SCENA SETTIMA

Paolo e Camilla

(Paolo è seduto sul canapè, a sinistra, af­franto e si asciuga il sudore sulla fronte. Una pausa. Camilla si alza senza far rumore dalla poltrona sulla quale era, finora, rimasta na­scosta e viene, adagio, sul davanti della scena. Paolo se ne accorge, solo quando essa è da­vanti a lui).

Camilla                          - Siate energico!

Paolo                             - (con un brusco soprassalto) Come? Voi, contessina?

Camilla                          - Sì, io: il vostro angelo custode! senza di me, voi sareste sul punto di commettere la più grande delle follie. Un sì eser­cita su di voi tanta seduzione soltanto Perché non avete il coraggio di dire un bel no.

Paolo                             - Ma contessina! Io non capisco di che vogliate parlare!

Camilla                          - Naturalmente, voi siete discreto e dovete tacere il motivo pel quale siete seduto su questo sofà. Ma è inutile, sapete? Io ero là- (accenna) e ho sentito tutto!

Paolo                             - Oh! Dio!

Camilla                          - Non temete: Io non vi farò niente! Anzi, questo mio intervento, a quest'ora è forse di troppo. Ditemi: siete realmente in­namorato di mia zia?

Paolo                             - Contessina! Io non posso ascoltarvi!

Camilla                          - Non pensate che io voglia sparlare di mia zia! Mia zia è una donna superba, energica, consapevole di ciò che vuol fare, e nasconde il suo giuoco, fino all'ultimo mi­nuto. D'un superbo assolutismo, la sua forza d'oblio è ammirevole: senza di che, essa non si potrebbe creare l'illusione che ogni nuova avventura sia la prima della sua vita.

Paolo                             - No, no: non dovete dir questo.

Camilla                          - Avete forse pensato un sol momen­to, caro amico, che mia zia abbia impiegato gli anni migliori della sua vita nell'aspettare voi? La duchessa di Capablanca non si dona, ma solo si degna, talora, di accettare. Quando afferra, ha un suo gesto di regina che amma­lia: poi lascia cadere. Lascerà cadere anche voi, e non più tardi di domattina.

Paolo                             - (interrompendola) Anche se considerassi questo, e se, domattina, la morte mi aspettasse dietro questa porta...

Camilla                          - Dietro questa porta, non attendi la morte, ma invece... (giunge da lontano, la molle cadenza, di una canzone d'amore, dolce e voluttuosa, cantata da una gradevole voce maschile) Sentite? Un innamorato canta. La sua voce sale verso una finestra qualunque, per sempre! tutta la vita... (una paura. La canzone giunge più distinta, più calda e appassionata) Siate franco, ora, con me. Siete proprio innamorato della duchessa?! Dite un sì, e io me ne vado. Rispondetemi'.

Paolo                             - (esitante) Non lo so neanch'io.

Camilla                          - Quando si è presi sul serio, non si parla così. Non c'è cosa che si sappia in modo! più preciso! Non si sa se si vivrà, se si morrà; ma si sa sempre se si ama. Voi amate la duchessa?

Paolo                             - Non lo so (scoppiando bruscamente) Come sono disgraziato!

Camilla                          - Che? Voi siete disgraziato? mentre la duchessa, fra un istante, entrerà da questa porta come una fata, pronta ad esaudire tutti i vostri desideri, anche i più arditi e più audaci? Mia zia non si aspetta certo di trovar qui un uomo esitante, ma, al contrario, un uomo innamorato!

Paolo                             - Finalmente ci vedo chiaro. Sì, voglio essere energico: non amo la duchessa. Io amavo in lei la donna che mi pareva inacces­sibile, quella che mi sembrava troppo fiera per concedermi un solo sguardo. Ora che! essa è così vicina a me, io interrogo inutilmente il fondo del mio essere: il mio cuore è sordo.

Camilla                          - Eppure, malgrado ciò, siete qui ad aspettarla, schiavo del suo capriccio, zim­bello del suo desiderio, passatempo della sua curiosità!

Paolo                             - (irresoluto) E che potrei fare ormai?

Camilla                          - Che potete fare? (con freddezza) Buona notte Paolo!

Paolo                             - No: non ve ne andate: il nostro col­loquio non è ancora finito.

Camilla                          - Non vedo proprio che cosa avremmo ancora da dirci.

Paolo                             - Non lo so neanch'io, ma quello che so è che, ora, non posso più lasciarvi andare via. Aiutatemi!

Camilla                          - Ma come potrei aiutarvi? Vi ho di­stolto da un'avventura che non vi avrebbe procurato che amarezze e delusioni: il mio compito è finito: buona notte!

Paolo                             - No, no: voi non ve ne andrete così!

Camilla                          - (ironica) Oh! oh! Quant'energia, tutta di un colpo!

Paolo                             - Ah! sì: perché, alla fine, sono riu­scito a ritrovare la mia strada! Adesso capisco Perché ero così follemente felice quando mi avete fatto invitare qui al castello!

Paolo                             - (con risolutezza) Mi avete. aperto gli occhi e, ormai, nulla riuscirà a impedirmi di seguire la mia strada (l'afferra ai polsi).

Camilla                          - Ahi! Voi mi fate male!

Paolo                             - Scusatemi: ma, qui, si esagera sem­pre in tutto quanto concerne me: prima di tutti, don Elifas, poi vostra zia, e adesso an­che voi!

Camilla                          - (sinceramente sorpresa) Io?

Paolo                             - Intanto, io sono molto meno bestia di quello che pare: e so... quello che so...

Camilla                          - Sentiamo quello che sapete.

Paolo                             - (guardandola negli occhi) So che non è per nulla che mi avete fatto invitare al ca­stello, in piena estate, col pretesto di darvi qualche lezione di letteratura e di poesia.

Camilla                          - Ah! Con pretesto? E per quale altra ragione vi avrei fatto invitare, signore?

Paolo                             - Perché... Perché non vi ero antipatico.

Camilla                          - Spero che non arriverete a sognarvi ch'io sia addirittura innamorata di voi, eh?

Paolo                             - E se me lo sognassi, credete che an­drei molto lontano dal vero? Tutto mi prova che non m'ingannerei, invece: la scena che mi avete fatto, dopo colazione, a causa di quegli stupidi versi il vostro tentativo di sta­sera per salvarmi da una situazione critica...

Camilla                          - Ma sapete che ci vuole una bella sfrontatezza?

Paolo                             - Ma sì anche quella, se occorre! Dal momento che tutti vogliono ch'io sia ener­gico, ebbene, lo sarò. Voi mi amate, mi ama­te: provatevi a negarlo!

Camilla                          - Per amor di Dio: non gridate così forte!

Paolo                             - Ditemi che non m'inganno.

Camilla                          - Ma io non ho conti da rendere a voi.

Paolo                             - V'ingannate: invece ne avete, per­ché…….

Camilla                          - Sono proprio curiosa di sentire su qual fondamento potreste esigere...

Paolo                             - Come si fa a conoscere il proprio cuo­re se esso si apre all'improvviso, come una sorgente impetuosa che irrompa da una ca­verna misteriosa? Quando, un minuto fa, la duchessa mi ha lasciato, io sono rimasto qui, con il sudore dell'angoscia senza un brivido di gioia: tremavo, non di desiderio, ma... di paura, quasi. Sei venuta tu, e s'è fatto il miracolo: eccomi felice e con un desiderio solo, ma grande, intenso, un desiderio paz­zo di ……

Camilla                          - Di?...

Paolo                             - ... di stringerti tra le braccia...

Camilla                          - Voi non oserete...

Paolo                             - Oh! io oserò... (la stringe fra le braccia).

(Camilla si dibatte per un po', ma la sua re­sistenza s'indebolisce sempre più, finche è sul punto di abbandonarsi; poi, riprendendosi).

Camilla                          - No! no!

Paolo                             - Oh! perché, poi? Camilla: tu vedi con quanta felicità io pronuncio il tuo nome, mentre quello di tua zia non riusciva a ve­nirmi sulle labbra. Le ore cattive sono pas­sate: io non ho bisogno che di te sola, (l'at­tira di nuovo tra le sue braccia).

Camilla                          - Dio del cielo! Non ci dimentichia­mo che la zia può tornare da un momento all'altro.

Paolo                             - Sì: hai ragione. Vieni! Io desidero di restar solo con te: però non in questa sala soffocata, ma in piena libertà. Scendiamo nel parco!

Camilla                          - (reclinando il capo sulla spalla di Paolo) E se la zia viene e non ti trova?

Paolo                             - Penserà che la mia forza s'è staccata nuovamente da me e se n'è andata a zonzo pel villaggio...

(Egli si dirige verso la porta a vetri e l'apre. Di fuori, una di quelle notti meravigliose come ce ne sono nei Pirenei. Paolo e Camilla escono insieme. La scena rimane vuota per un istante. Poi Vicente compare con grande pre­cauzione).

SCENA OTTAVA

Vicente e Duchessa

Vicente                         - Nina? Ninetta? Demonio! Non si è ancora mossa: e allora... chi è che ha la­sciato accesa la luce? (ridendo) Noi non ab­biamo bisogno della luce, (spegne ogni luce: la scena è immersa nella piena oscurità. Egli siede sul canapè a sinistra, esattamente al posto dov'era seduto Paolo, all'uscire della Duchessa. Egli aspetta: poi, tendendo l'orec­chio) Ah! Eccola!

Duchessa                       - (venendo da destra, in toilette da notte assai trasparente e d'una fantasia insu­perabile. S'appressa alla porta-finestra, don­de entra un raggio di luna: il resto della scena è nella più completa oscurità: poi, volgendosi vivamente) Dove sei?

Vicente                         - (atterrito, pianissimo, soffocando la voce) Duchessa!

Duchessa                       - Taci: non una parola. Aspetta che chiuda la porta: la luna è troppo indiscreta. (Va a chiudere la porta: per un attimo, il chiaro di luna la investe in pieno disegnando arditamente le armoniose linee del corpo scultoreo, che traspare dalla leggerissima toilette da notte).

Vicente                         - (vedendo la Duchessa appressarsi ai canapè, non sapendo rendersi alcun conto della situazione nella quale si trova trascinato, balbetta, tra il terrore e il desiderio) Duchessa!

Duchessa                       - (che è ora presso a lui) Ti ordino, di tacere: che bisogno c'è di parlare quan­do.... (gli cade fra le braccia. Un bacio interminabile, mentre, di fuori, l'innamorato effonde in accenti trionfali di gioia, la piena della sua felicità sul mandolino).

Fine del secondo tempo

ATTO TERZO

SCENA PRIMA

Paolo e Camilla

(Paolo esce dal castello, raggiante di gioia, come se non potesse neanche credere alla sua felicità: va verso la balaustra e ammira il pae­saggio. Quasi subito sopravviene dall’interno Camilla).

Camilla                          - Buongiorno, amor mio!

Paolo                             - Buongiorno, amor mio!

Camilla                          - Come hai dormito, tesoro?

Paolo                             - A meraviglia: e tu, angelo mio?

Camilla                          - Divinamente.

Paolo                             - Lo sai a che ora siamo rientrati? L'orologio del villaggio suonava le quattro, e quando siamo usciti sulla terrazza, era ap­pena mezzanotte!

Camilla                          - Qui mi hai dato il primo bacio. Bi­sognerà far mettere una pietra commemora­tiva!

Paolo                             - Ma allora, nel parco, bisognerebbe metterne delle migliaia!

Camilla                          - Delle migliaia?! Non bisogna con­tarli i baci. Eri divenuto di una tale arditezza, di una tale energia!

Paolo                             - Eh! L'amore! Se l'amore non cam­biasse un uomo!

Camilla                          - E tu avevi proprio bisogno di cam­biare, sai! Eri un buono a nulla! Era proprio necessario che ti scoprissi io, no - anzi  - che t'inventassi io!

Paolo                             - Te ne ringrazio di tutto cuore!

Camilla                          - Ma noi stiamo qui a chiacchierare, mentre abbiamo da parlare sul serio.

Paolo                             - Sul serio, un giorno come questo? Ma non vedi come tutto ci sorride? Anche la campana del villaggio pare che sorrida con noi.

Camilla                          - Eh! eh! La campana della Catte­drale di Barcellona ha una parola seria da dirci: Dlin! Dlan! la deliziosa contessina Ca­milla - Dlin, dlin, dlin! Si sposa - Dlan! col Professore Moreira - Dlan, dlan, dlan!

Paolo                             - (come rapito in estasi) Si sposa?

Camilla                          - Che idea vi siete dunque fatta di me?

Paolo                             - (che non sa ancora persuadersi) Mia moglie!?

Camilla                          - Certo. Io non ho dubitato neanche un momento della purezza delle vostre intenzioni. Senza di che, credete forse che mi sarei lasciata baciare tante volte? Sui ca­pelli, stilla fronte, sugli occhi?...

Paolo                             - E quelli sulla bocca li hai dimenti­cati? (tornando triste) Ma io... che sono per te? Io sono un povero professore di Liceo...

Camilla                          - Tu dimentichi ch'io sono una delle più ricche ereditiere della Catalogna: e a che servirebbe a una ragazza d'aver tanto da­naro se non avesse il diritto di scegliersi un marito di suo gusto?

Paolo                             - E... e la Duchessa?

Camilla                          - La Duchessa non c'entra: sono mag­giorenne e posso fare quello che voglio.

Paolo                             - E non rimpiangerai poi d'esserti spo­sata con un professore?

Camilla                          - Rimpiangere? Non sei dunque si­curo di potermi rendere felice, se tu pensi che un giorno possa rimpiangere d'averti sposato, allora diciamoci subito addio. Ma se tu in­vece ti senti capace di poterlo forgiare con le tue mani il destino, allora dimmi pure... io mi sento in grado di offrirti tutta una vita di felicità, benché io non sia che un povero professore - e io ti crederò.

Paolo                             - Ma pensa dunque: se quella forza ma­ledetta mi costringesse di nuovo a far qualche escursione fuori del tetto coniugale, me la perdoneresti tu?

Camilla                          - Io? Ti caverei soltanto gli occhi. Non contarci su' quello, caro: provati una volta, una sola volta Paolino, e... ti giuro che te ne faccio passare la voglia per tutta la vita.

Paolo                             - Eppure tu sai che la mia volontà non c'entra.

Camilla                          - E tu cercherai di farcela entrare. Quello che ti è accaduto è stato per colpa ' della tua debolezza... Quelle tre contadine sono tre gocce d'amarezza nella coppa dalla quale io voglio bere la felicità. Vuol dire che sposo un uomo che ha un passato: ecco tutto!

Paolo                             - Ed io che ero così orgoglioso di non avere un passato!

Camilla                          - Come diceva il Re Salomone? « Im­mola la pecorella in onore di Dio, e tu sarai liberato ». Prima, tu non sapevi dove tro­varla la pecorella: ora, essa è tra le tue brac­cia: e... e l'altare ci attende pel sacrificio.

Paolo                             - Ma io non ho alcuna voglia di im­molarti....

Camilla                          - Basterà che tu... compia il sacrificio. Ci si sacrifica sempre, reciprocamente, in onore dell'amore: e questo appunto si chiama sposarsi. Io vedi ho una così cieca fiducia in... in me stessa, che sono sicura che tu non m'ingannerai una sola volta, sia ch'io dorma o che sia desta...

Paolo                             - Amen!

Camilla                          - E adesso, amor mio, salgo nella mia stanza per preparare le valigie, per rimettere tutto in ordine, e per scrivere una lettera di congedo alla zia. E' meglio che non ci vi. vediamo più. Dev'essere fuori di sè dalla rab­bia. Quello che tu le hai fatto, una donna non lo perdona.

Paolo                             - Io le spiegherò... le dirò...

Camilla                          - Ma che puoi dirle? Che l'hai la­sciata per amor mio? Non pensare neanche un momento che la zia ti possa mai perdo­nare l'oltraggio che le hai fatto stanotte. Sop­porta in santa pace la tempesta che ti mi­naccia, e cerca di salvaguardare meglio che puoi la tua dignità nel prendere congedo da lei. Alle undici ti aspetto alla stazione!

Paolo                             - Alla stazione?

Camilla                          - Già: noi non possiamo più restare neanche un'ora sotto lo stesso tetto, oramai che siamo fidanzati. Andremo a Barcellona. Senza discussioni (entra in fretta).

SCENA SECONDA

Paolo solo, poi Nina

Paolo                             - Come sarei felice, a marcio dispetto di tutte le duchesse della terra, se non avessi una maledetta paura... di questa mia forza... vagabonda...

Nina                              - (viene dall'interno, portando un vassoio e guarda amorosamente Paolo, che non le bada neanche) Buondì, mio caro Paolino!

Paolo                             - (sussultando a quell'apostrofe e calcando sulle parole) Buongiorno, signorina Nina.

Nina                              - Mi dai della signorina? No! Eccoti ri­diventato timido e impacciato: ma c'è da ri­dere, sai? Di notte, sei un demonio in carne ed ossa, e di giorno, un poltrone qualunque!

Paolo                             - Ma si può sapere che andate fanta­sticando?

Nina                              - (offesa) Via, non siete niente affatto gentile. Sono, è vero, una cameriera: ma quando, di notte, mi si tratta come una si­gnora, voglio che anche di giorno mi si usi la stessa considerazione.

Paolo                             - Non vi capisco, insomma.

Nina                              - Ah! E' troppo. Chi è stato, in camera mia, stanotte, dalla mezzanotte alle due?

Paolo                             - E voi credete che sia stato io? Ma che vi passa per il capo: io non sono stato in camera vostra.

Nina                              - Ah! No? E avete il coraggio di dirmelo sul viso?

Paolo                             - Ve lo giuro anche: com'è vero che, ora, son qui.

Nina                              - (segnandosi) Dio del cielo! Non era dunque, la vostra forza, staccatasi da voi, che è venuta a farmi una visita?

Paolo                             - La mia forza, in camera vostra, da mezzanotte alle due! Evvia!

SCENA TERZA

Duchessa e Detti

Duchessa                       - (venendo dall'interno, in un seducentissimo deshabillé, il viso improntato alla più grande soddisfazione) Presto! La mia colazione! Ho una fame terribile! (Nina rientra lentamente, gli occhi sempre fissi su Paolo: sulla porta, si fa ancora il segno della croce, poi esce).

Duchessa                       - Ti ritrovo, finalmente, mio pic­colo Ercole!...

Paolo                             - (sbigottito) Come?

Duchessa                       - Sei un bel mostro, va. Ti avevo detto sì, di non aprir bocca, ma non c'era, poi bisogno di un'obbedienza così stretta! Mi avresti potuto dire almeno una parolina...

Paolo                             - (sempre più sbigottito) Una parolina?

Duchessa                       - Eh, sì! Perché, quantunque tu abbia sorpassato, a fatti, le mie più ardite previsioni, anch'io.. sono stata... molto ca­rina, con te, no?

Paolo                             - (dandole a vedere la più grande angoscia) Ma Duchessa! Signora Duchessa!

Duchessa                       - Oh! basta con la duchessa. Ti ri­cordi qual'era il patto? L'oblio: però, io non mi oppongo che il tuo oblio cominci... dopo colazione.

Paolo                             - Ma io, Duchessa, io non ero con voi, stanotte, e voi... con queste vostre parole vo­lete evidentemente prendervi beffe di me, e farmi amaramente rimpiangere le ore che ho perdute. Perdonatemi di non avervi aspettata.

Duchessa                       - Come? Tu non mi hai aspettata? Ma quando io sono tornata qui, tu eri an­cora seduto al posto dove ti avevo lasciato io!

Paolo                             - Io? V'ingannate. Non ero io...

Duchessa                       - Tu, tu: mi hai presa tra le brac­cia: eravamo qui e ci siamo restati, non so quanto tempo: fino al momento in cui sei scappato.

Paolo                             - (con molta energia) Non ero io, Du­chessa!

Duchessa                       - (fuori di sé) Oh! Dico! Prova­tevi un po' a negare un'altra volta!

Paolo                             - Scusatemi, Duchessa, ma io nego!

Duchessa                       - Ma infine, se non eravate voi, chi era allora?

Paolo                             - Questo, poi, non lo so.

Duchessa                       - Naturalmente, voi non sapete mai niente: anche ieri, voi non sapevate niente: non c'è che una spiegazione possi­bile: se non eravate voi, era la vostra forza.

Paolo                             - Naturalmente, voi non riuscite a trovare con me altra spiegazione: ma è una cosa incredibile! Prima la Nina, e poi voi.

Duchessa                       - Anche la Nina? Ah! Mostro: e magari, anche la Camilla, no?

Paolo                             - Ah! La Camilla, quella sì. Ci siamo fidanzati pochi momenti fa: partiamo fra poche ore per Barcellona per sposarci...

Duchessa                       - Ma benissimo! E così? Ed io ho offerto ospitalità in casa mia ad un essere simile!

SCENA QUARTA

Florencio  (venendo dal giardino) e Detti

Florencio                       - Buongiorno, Duchessa: buondì professore. Sapete? Vi porto una interessante  notizia!

Duchessa                       - Si tratterà verosimilmente di qualche nuova prodezza di questo... signore.

Florencio                       - No, calmatevi, Duchessa: Don Paolo è puro come la Vergine più innocente.

Duchessa                       - Una vergine... lui!

Florencio                       - Per così dire... Io ho condotto a termine la mia piccola inchiesta, la quale mi ha fornito la prova evidente che lui è as­solutamente estraneo a tutti gli eccessi che gli erano stati attribuiti.

Duchessa                       - E chi sarebbe stato l'altr'ieri, e chi ieri?

Florencio                       - (sorpreso) Perché? C'è stato qual­che cosa anche ieri?

Duchessa                       - Sì! Anch'io ho la prova pro­vala che... la forza misteriosa ha agito anche stanotte, al castello...

Florencio                       - Oh! (a bassa voce) Stanotte, ero io!

Duchessa                       - (anch'essa a bassa voce, stupefatta) Come? Voi Don Florencio! Ah! questo, poi, è il colmo!

Florencio                       - Poi, se me lo permetterete, cer­cherò di giustificarmi ai vostri occhi...

Duchessa                       - Non vi riuscirete!

Paolo                             - Parlate, dunque, Don Florencio: voi lo vedete ch'io sono ansioso di conoscere la verità.

Florencio                       - Debbo continuare?

Duchessa                       - (sostenuta) Anzi, ve ne prego!

Florencio                       - Stamane, di buon'ora ero sceso giù al villaggio, dove regnava un'emozione incredibile. Il Curato, credendo fermamente che fosse in ballo il diavolo, si preparava a venir qui ad esorcizzarlo: tutte le donne pa­revano impazzite: solo Concetta, Teresa e Catalina erano mute come pesci. Impossibile farle... cantare: non ci sono come i colpevoli per tacere. Io le ho chiamate ad una ad una, ed ho impiegato uno dei vecchi trucchi che si usano quando si fa un'istruttoria. A ciascuna ho fatto credere che l'altra avesse cantato.

Paolo                             - Ero io?

Florencio                       - (ridendo, con aria di superiorità) Oh! Voi no! Era stato... Vicente!

Paolo e Duchessa          - (insieme) Vicente?

Florencio                       - Vi sorprende, vero? Eppure, è un tale tipo quello là, da sbalordire. Quando i mariti dopo più di un anno d'assenza, tor­neranno a casa e sapranno che li attende... la gioia... della paternità, ci dovranno essere certamente delle spiegazioni tempestose - ha pensato Vicente - e per venire in aiuto alle sue amiche, ha inventato la storia del tri­plice attentato notturno, ed è riuscito nel suo intento, Perché voi, impietosita della triste sorte di quelle tre donne, avete loro promesso, col concorso del Curato, di ado­perarvi presso i loro mariti al fine di con­vertirne la giusta collera, in pietà. Voglio però sperare, Duchessa, che, malgrado la verità non vorrete abbandonare le colpevoli alla vendetta dei mariti ingannati: meglio, forse, lasciar sussistere, per la piccola gente del villaggio, la leggenda della... forza vaga­bonda. Ci credono oramai tutti.

Duchessa                       - Ma sì! Quanto a Vicente.,.

Paolo                             - Duchessa, mi volete voi permettere?

Duchessa                       - (tornando la donna altera e inacces­sibile) Come? Ancora voi, professore Paolo?

Paolo                             - Permettetemi di deporre umilmente ai vostri piedi, Duchessa, l'espressione più viva del mio profondo rispetto e di espri­mervi la mia gratitudine per la vostra alta ospitalità. Come voi vedete, io non ero colpe­vole: e i sospetti...

Duchessa                       - Vi prego di non sfiorare neanche quest'argomento; e confido che voi sarete tanto corretto da non coprirvi delle penne del pa­vone, anche se si tratti di un vago ricordo...

Paolo                             - Delle penne del pavone?

Duchessa                       - Sì: voglio dire, delle... penne di Vicente. Tenetevelo per detto, professore Moreira, e... e buon viaggio! Vi dispenso con questo, di prendere congedo da me: e credo preferibile di non rivedere Camilla prima della sua partenza. Ho l'emicrania.

Paolo                             - (facendole una profonda riverenza) Signora Duchessa! Io sono il vostro umilissi­mo servo,

 (rientra).

SCENA QUINTA

Duchessa e Florencio

Duchessa                       - E ora a noi due, signore. Dun­que... eravate voi!

Florencio                       - Non lo posso negare.

Duchessa                       - Ma voi avete un modo tutto vo­stro particolare di interpretare l'ospitalità.

Florencio                       - Speravo che... non ve ne sareste accorta.

Duchessa                       - Ah! Voi speravate?

Florencio                       - E ho cercato di star più zitto che potevo: anzi, non ho detto una parola!

Duchessa                       - Me ne sono accorta.

Florencio                       - Io vi domando il permesso dì prendere congedo...

Duchessa                       - Ah! questo poi! Ed è tutta questa la ricompensa di questa notte? Voi non ten­tate neanche di riparare...

Florencio                       - Riparare? In verità, Duchessa, io non posso sposare tutte le donne con le quali ho passato una notte, ma penso di met­tere su, a Barcellona, una pasticceria, una piccola ma elegante pasticceria...

Duchessa                       - Una pasticceria? Bellissima idea! E che me ne importa?

Florencio                       - No: era per mostrarvi che... sono riconoscente... so di esser stato molto ardito: ma la circostanza mi si offriva così favorevole!

Nina                              - (rientra portando sul vassoio la colazione per la Duchessa).

Florencio                       - (a bassa voce alla Duchessa) Essa non sa niente!

Duchessa                       - Naturalmente non sa niente! Ci mancherebbe altro! (a Nina, che sten­ta a trattenere le lacrime) Che hai tu da pian­gere?

Nina                              - Il professore parte con la contessina Camilla: l'automobile è già davanti al porto­ne, (essa esce per nascondere le lagrime).

Florencio                       - (con aria sicura) Oh! le sue la­grime! Seccheranno nella pasticceria: ne sono sicuro!

Duchessa                         - Ma che avete da fare voi, con la pasticceria?

Florencio                       - Ma ve l'ho detto, Duchessa? Per disobbligarmi con Nina, le monto una pastic­ceria a Barcellona.

Duchessa                       - Ma che c'entra Nina, in tutta questa storia?

Florencìo                       - Ma se abbiamo parlato di lei finora! E' certo ch'io ero sulle spine perché sapevo che la camera di lei era a muro con la vostra: ed ho cercato di fare il minor ru­more possibile: ma voi, Duchessa, dovete avere il sonno assai leggero...

Duchessa                       - Ma allora... siete stato voi con la Nina, mentre essa credeva che... fosse Paolo!

Florencio                       - Ed ero io. Siccome m'era parso che voi vi foste accorta di qualche cosa, così non vi ho voluto lasciar sospettare di qualche innocente.

Duchessa                       - Ma benissimo! Benissimo: spero, però che non penserete certo ch'io possa te­nere ancora al mio servizio Nina, dopo quello ch'è stato!

Florencìo                       - E così, in maniera delicata, mi fate intendere che è meglio anche per me di... cambiar aria! Se ce lo permettete, noi po­tremmo approfittare dell'automobile che sta per condurre vostra nipote alla stazione.

Duchessa                       - Noi?!

Florencio                       - Eh! sì: io non posso, ormai, ab­bandonare la povera Nina: mi riprenderò la mia libertà appena le avrò montato la sua brava pasticceria sulla Rambla: comprerò da lei il cioccolato, quando ne avrò bisogno. (bacia la mano alla Duchessa, e si ritira all'interno del castello).

SCENA SESTA

Duchessa sola, poi Vicente

Duchessa                       - Paolo no: Fiorendo, no: Don Elifas, neanche, che la sua barba l'avrebbe tra­dito, e io tenevo tra le mani un viso giovane, fresco, dalle guancie ancora imberbi...

(In questa entra Vicente, che si avanza verso la Duchessa, la quale lo guarda a bocca aperta, gli occhi spalancati, trovando tutt'ad un tratto la soluzione dell'enigma. La scena muta tra la Duchessa e il cameriere è come una domanda e ima risposta, una certezza e una confessione. La Duchessa, per un momento, par che perda il suo contegno, sbigottita, fuori di se, annientata dalla brusca rivelazione: ma presto riesce a do­minarsi, nascondendo meravigliosamente tutti i sentimenti ridestati in lei, e torna di colpo la donna altera e disdegnosa, che non può avere nulla di comune con un cameriere).

(Vicente sorride impercettibilmente, Perché sente che è stato già perdonato: e questa cer­tezza lo fa completamente tranquillo)

Duchessa                       - So tutto, Vicente!

Vicente                         - Io ho, dunque, perduto per sempre la buona grazia della signora Duchessa?

Duchessa                       - Voi avete avuto l'ardimento di... di giuocare... al Lupo Mannaro... voi avete osato... Voi avete sottoposto i miei sentimenti sociali ad una ben dura prova!

Vicente                         - Riconosco che la mia insolenza è stata inaudita!

Duchessa                       - Ma io non voglio che le vostre povere vittime, quelle povere contadine, abbiano da soffrire per colpa vostra. Io desi­dero anzi, vi ordino d'essere, pel futuro, più virtuoso e meglio disciplinato!

Vicente                         - Io capisco, signora Duchessa, e sarò discreto

Duchessa                       - Su tutto quanto è avvenuto nel villaggio, io non voglio che la mia casa sia esposta a maldicenza. La storiella degli spi­riti, ha il suo lato buono... Adesso, Vicente, sbarazzate la tavola, e portatemi il libro di preghiere e la mia « mantilla »: andremo in chiesa.

SCENA SETTIMA

Duchessa - Elifas

Vicente                         - (riordina la tavola e si ritira: tornerà poi, sulla fine della scena, con il libro da messa e la « mantilla ».)

Elifas                             - Ah! Che atroce notte ho passato, Duchessa!

Duchessa                       - Che?! Anche voi?

Elifas                             - Ma non avete sentito che l'atmosfera era tutta impregnata d'amore? Sentivo un parlottare languido e carezzevole; sospiri vo­luttuosi, tutto un concerto d'intonazioni amo­rose. Il calore mi schiantava: credevo di sof­focare: i miei capelli si drizzavano sul capo: avevo certe visioni, e pensavo a voi!

Duchessa                       - A me? In un momento come quello?

Elifas                             - Ma sì, a voi la protettrice della virtù oppressa, a voi, la donna più pura di tutta la Spagna, a voi la Principessa senza macchia e senza paura! Io m'inchino profondamente dinanzi a voi!

(Vicente ha portato il libro di preghiere e la « mantilla » che la Duchessa s'accomoda sul capo).

Duchessa                       - Arrivederci, Don Elifas; vado in chiesa.

Elifas                             - Con questo caldo!

Duchessa                       - Vado in chiesa a confessarmi, tutte le mattine.

Elifas                             - Ah! Vi confessate al nostro buon Cu­rato?

 Duchessa                      - Non ho bisogno di intermediari, fra il buon Dio e me. Racconto a Dio i miei peccati grandi e piccoli: ah! amico mio! Dio è il solo del quale la discrezione è assoluta: e, dopo d'aver un po' parlato col buon Dio, io mi rialzo dall'inginocchiatoio tutta rinfran­cata!

Elifas                             - Oh! i vostri peccati, Duchessa, sono certo trascurabili!

Duchessa                       - Non lo dite! (rivolgendosi al pub­blico) Noi pecchiamo tutti, miei cari amici.

(Seguita da Vicente, che reca in mano il libro di preghiera con grande sussiego essa esce maestosamente).

                    

FINE