Il pittore esigente

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IL PITTORE ESIGENTE

Commedia in un atto

di TRISTAN BERNARD

Traduzione di Vittorio Guerriero

PERSONAGGI

HOTZEPLOTZ

IL SIGNOR GOMOIS

ENRICO

TOURILLON

UN OPERAIO

LA SIGNORA GOMOIS

LUCIA

LA DOMESTICA

LA CUOCA

Commedia formattata da

La scena si svolge in una ricca casa borghese nel quartiere di Passy. Una vetrata, a sinistra, lascia scorgere un giardino. A destra, una porta a due battenti. Una porta a sinistra, in primo piano. La tenda della porta di destra è di un panno evidentemente nuovo e di un colore di­verso da quello delle altre tende della sala. Vi­cino alla vetrata, in fondo, uno specchio e una specie di cassaforte da salotto. Ai due lati dello specchio, due quadri dissimulati da altrettante tendine di seta verde, come si usa in qualche museo. Il quadro di sinistra è scoperto; quello a destra dello specchio è invece coperto a metà. La signora Gomois è seduta sul divano, a sini­stra. Il signor Gomois e il signor Tourillon sono seduti alla tavola in centro della sala e stanno fumando dm sigari. Tourillon è in costume da automobilista; ha il tipico berretto da viaggio e gli occhiali sopra la fronte. La signo­ra Gomois è in toeletta da visita; quindi, molto vestita. Il signor Gomois è in « redingote » e ha un fiore all'occhiello.

SCENA PRIMA

Gomois, la signora Gomois, Tourillon.

Tourillon                       - Allora, vediamo un po'! Che cosa vuol dire questo? Una delle due: o io vi disgusto... (la signora Gomois protesta),.. oppure siete voi che avete paura... Di qui non s'esce!

Gomois                         - No, amico mio, non si tratta di que­sto... Non te lo posso dire... (alla signora Gomois) Mi autorizzi a parlare?

 La signora Gomois       - Non so…..

Gomois                         - Lo vedi? Non te lo posso dirò.

Tourillon                       - Dal momento che non potete dirmi nulla, tenete per voi il vostro segreto.

Gomois                         - Sì, ma non avertene a male!

Tourillon                       - Io non mi offendo: ognuno ha un certo numero di segreti da conservare... (una pausa). Anche se mi diceste tutto, non fareste che affidarvi ad uno che i segreti li sa ben conservare, ma dal momento che non potete...

La signora Gomois        - Voi ve la siete avuta a male, signor Tourillon....

Tourillon                       - Perché ? Ho forse l'aria di uno che se l'è avuta a male?

Gomois                         - Sì... (alla signora Gomois) Tuttavia, cara, potremmo anche dirglielo...

Tourillon                       - Ma io non ci tengo, vi ho detto. Vi ho forse domandato qualche cosa? Io non voglio saper niente. Preferisco che non vi confidiate con me. Andiamo! Mi conosci da trentacinque anni e se questo non ti è suffi­ciente per ammettermi a godere della tua in­timità!...

Gomois                         - Ascolta... Ecco di che si tratta: te lo dico proprio perché sei tu...

La signora Gomois        - Ah! sì, proprio perché si tratta di voi.

Gomois                         - (alla signora) Posso cominciare?

La signora Gomois        - Dì pure, dal momento che abbiamo deciso...

Gomois                         - Ebbene: ci stiamo facendo fare il ritratto!

Tourillon                       - (guardandolo con stupore) E que­sto è il segreto di cui mi onorate? Vi ringra­zio. Mi avete data una prova di confidenza che io non dimenticherò mai.

Gomois                         - Ho l’impressione che tu non ti 6ia reso esattamente conto della importanza del­la cosa.

La signoraGomois         - No, non ne ha compresa l'importanza.

Gomois                         - Sfido! Non sa con quale pittore noi abbiamo a che fare!

La signora Gomois        - Un uomo di genio!

Gomois                         - Si è detto di tanti pittori che aveva­no del genio... Non è vero; non è mai stato vero... E' vero solamente per il pittore che ci farà il ritratto.

Tourillon                       - E come si chiama?

Gomois                         - Tu non conosci certamente il suo nome.

La signora Gomois        - Voi non conoscete certamente il suo nome.

Gomois                         - Ad eccezione di pochi privilegiati, nessuno conosce il suo nome.

La signora Gomois        - (entusiasticamente) Ma è un pittore di genio!

Gomois                         - E' il solo vero grande pittore dei nostri tempi.

Tourillon                       - Il solo vero grande pittore dei nostri tempi? Accidenti! Ma chi lo ha detto?

Gomois                         - Te lo dico io.

Tourillon                       - Tu? E' ammirevole! Ma da quan­do in qua ti è venuta fuori questa compe­tenza? Ancora due mesi fa, tu non ti occu­pavi affatto di pittura...

Gomois                         - (alla signora Gomois, sorridendo ironi­camente) Lo senti? Due mesi fa, io non mi occupavo di pittura!

La signora Gomois        - (col medesimo tono) Sì.

Gomois                         - Lui crede di avermi messo a posto. Secondo lui, siccome due mesi fa io non mi occupavo affatto di pittura, oggi sono incapace di dare dei giudizi! Come si vede che non sei al corrente, vecchio mio!

La signora Gomois        - Come si vede che voi non conoscete il nostro amico!

Gomois                         - Me se tu lo conoscessi, magari per due giorni soltanto, tu diventeresti subito l'uomo più competente di pittura che ci sia in Francia... E ti capiterà di vedere dei pro­fessori cosiddetti autorevoli, degli accademici, che si occupano di pittura fin da bambini e che, ciononostante, si illudono di intender­sene...

La signora Gomois        - (con un tono autoritario) E invece non se ne intendono affatto!

Gomois                         - L'importante è avere la fortuna di imbattersi in un uomo che se ne intenda sul serio. Una volta che lo si è incontrato, ci si fa dire da lui tutto quello che bisogna sapere.

La signora Gomois        - Quello che è capitato a noi con il signor Hotzeplotz.

Tourillon                       - Hott... plott...?

Gomois -                       - E’ il nome del nostro pittore.

Tourillon                       - Ma di che paese?

Gomois                         - Ha un nome straniero, ma è fran­cese. In ogni modo, ha l'occhio francese. Ce l'ha spiegato lui.

Tourillon                       - E i vostri ritratti dove sono? Sono a buon punto?

Gomois                         - (guardando la signora Gomois) Lo senti? Vuol sapere se i nostri ritratti sono a buon punto?

La signora Gomois        - Crede che i ritratti si facciano da soli.

Gomots                         - Crede che il ritratto si crei da sé. (a Tourillon) Vedrai che cosa ha fatto in una sola seduta! (va a prendere su di un ca­valletto un quadro che rappresenta vagamen­te un personaggio)... Perché, bisogna che te lo confessi, sta lavorando qui, da ieri.

La signora Gomois        - Prima, andavamo noi, tutti i giorni, nel suo studio.

Gomois                         - Poi, lui ha preferito vederci nella nostra atmosfera.

Tourillon                       - (guardandolo stranamente) Ah!

Gomois                         - Nel nostro ambiente.

Tourillon                       - (come sopra) Ah!

Gomois                         - Guarda! (la signora Gomois mostra il quadro).

Tourillon                       - Ma questo non è un ritratto...

Gomois                         - (sdegnosamente) Si capisce che non è un ritratto!

Tourillon                       - Mi sembra piuttosto un paesaggio.

Gomois                         - Sì, sembra infatti quello che la gente chiama: un paesaggio. Decisamente tu non sai che cosa sia la pittura (va a rimet­tere il quadro al suo posto).

Tourillon                       - Ma al vostro ritratto, non ha an­cora lavorato per niente?

Gomois                         - Vorrai dire che non sta facendo al­tro... Non ha ancora messo nulla sulla tela, ma sta lavorando ininterrottamente da tre set­timane... Decisamente, tu vivi con le vecchie idee! Tu ti credi che un pittore venga da noi, si metta di fronte alla tela, prenda i suoi pen­nelli e via! Sì, ce ne sono purtroppo di que­sti pittori! Ma, però, non sono dei pittori. Lui ci farà il ritratto solo quando sentirà di poterlo fare. Probabilmente, presto, perché ieri lasciandoci ci ha detto: a: Vi ho tro­vati! ».

La signora Gomois        - (commossa) Ci ha tro­vati!

Gomois                         - Però, nell'attesa di. trovarci, ha do­vuto cercarci.

LA signora Gomois      - Quante volte ci ha det­to: « Tacete!... Tacete!... Vi sto cercando ».

Tourillon                       - (dopo averli esaminati con inquie­tudine, si alla, bruscamente) Dove ho mes­so il mio berretto?

Gomois                         - Adesso sta cercando anche nostra fi­glia Lucia.

Tourillon                       - Ah! Ah!

La signora Gomois        - Che volete dire con que­sto: Ah! Ah!

Tourillon                       - Niente... Forse cercandola, le fa la corte.

Gomois                         - Non c'è pericolo: magari fosse così!

La signora Gomois        - Magari fosse così!

Tourillon                       - Come? Voi vorreste che fosse così?

Gomois                         - Lo desidererei vivamente. Prima di tutto perché, se Lucia pensasse a Hotzeplotz, la finirebbe di pensare a suo cugino Enrico...

Tourillon                       - Lo conosco: quello che è impie­gato alla Banca Dorin?

Gomois                         - Proprio lui... Disgraziatamente En­rico piace a mia figlia, ma né io, né mia mo­glie vogliamo saperne.

La signora Gomois        - Né io né mio marito...

Tourillon                       - Ma perché? Enrico è un grazioso giovinotto...

Gomois                         - Sì, ma non ha una posizione abba­stanza solida. Essere impiegato alla Banca Dorin non vuol dire avere una posizione. Non è serio. Se almeno fosse socio o cointeres­sato. Ma non lo è ancora. Lo diventerà chis­sà quando. E mia figlia ha già vent'anni e io non intendo aspettare che ne abbia trenta­cinque per darle marito.

La signora Gomois        - Ah! certo.

Tourillon                       - Alla fine dei conti, queste sono cose che riguardano solamente voi... Insom­ma, non posso proprio condurvi con me?

Gomois                         - Come vedi, non è possibile.

Tourillon                       - Sta bene: e allora chi potrei por­tare con me?

Gomois                         - Dunque, eri venuto a cercarmi, pro­prio perché non sapevi chi portare con te?

Tourillon                       - No, che c'entra? Con voi mi sa­rei divertito... In ogni modo, sarà per un'altra volta.

La signora Gomois        - Arrivederci!

Gomois                         - Arrivederci!

Tourillon                       - (andandosene) Ma com'è, avete cambiato la tinta del vostro salotto?

Gomois                         - Sì, abbiamo messo quel panno nuovo su quella tenda.

Tourillon                       - Come stoffa, per dire la verità, non mi entusiasma troppo.

Gomois                         - Eppure l'ha scelta Hotzeplotz.

Tourillon                       - L'ha scelta Hotzeplotz!...

Gomois                         - Gli serviva come sfondo e siccome di stoffa di quel colore non ce n'era a suffi­cienza nei negozi, così abbiamo dovuto ordi­narne dell'altra apposta alla fabbrica... E costa molto!...

Tourillon                       - Del resto, sono forse io quello che ha torto: può darsi anche che sia una bellissima stoffa... Arrivederci!

Gomois                         - Arrivederci!

La signora Gomois        - Arrivederci!

Tourillon                       - (uscendo s'incontra con la domesti­ca che ha una casseruola in mano).

SCENA SECONDA

Gomois, la signora Gomois, la Domestica.

Gomois                         - (alla domestica) Cosa avete in quella cesseruola?

La domestica                - Della cenere: la debbo get­tare sulla tenda nuova.

La signora Gomois        - Ma siete impazzita?

La domestica                - E' il signor Hotzeplotz che mi ha detto ieri di gettare della cenere sul panno perché è troppo nuovo. Lui ci tiene che sia un poco sporco... Ha detto che ne ha bisogno per lo sfondo

La signora Gomois        - Sì, ma è noioso rovinare quel panno nuovo! Le macchie non se ne an­dranno più e noi saremo poi costretti a spor­care anche la stoffa nuova elle abbiamo ordi­nata.

Gomois                         - (alla domestica) Per ora, posate quella casseruola: vedremo quello che dirà il signor Hotzeplotz. (La domestica esce).

SCENA TERZA

Gomois, la signora Gomois

La signora Gomois        - Prima di rovinare quella stoffa, voglio domandare al signor Hotzeplotz se è assolutamente necessario.

Gomois                         - Sì, ma la tua domanda gli dispia­cerà.

La signora Gomois        - (inquieta) Credi? Alla fine dei conti, daremo la colpa alla domestica. Diremo che se n'è dimenticata e le daremo due lire perché non ci smentisca, (si sente suonare) È' lui!

Gomois                         - E' lui!

La signora Gomois        - Chi sa che cosa farà oggi?

Gomois                         - Non lo so: ma non te ne occupare... Adesso, quando entra, stai attenta a non dar­gli il buongiorno... L'ultima volta, gli hai dato il buongiorno mentre lui stava inseguen­do le sue immagini e si è irritato... Non dirgli niente e aspetta che ti dia lui il buongiorno per il primo... Accidenti! Speriamo che non veda nulla! (copre precipitosamente il qua­dro coperto a metà).

La signora Gomois        - Meno male che hai pen­sato in tempo!

Gomois                         - Meno male!

SCENA QUARTA

Gli stessi, Hotzeplotz

Hotzeplotz                    - (passa senza dir niente davanti a Gomois e alla signora. Fa semplicemente un segno colla mano, al disopra della spalla. Poi, tira fuori una chiave dalla tasca, va ad aprire la cassaforte e vi prende con precauzione due tele, una paletta e due pennelli. Poi mette tutto sulla tavola).

Gomois                         - (sottovoce alla signora) Taci, dal mo­mento che non dice niente! Eccolo che si fer­ma davanti alla tenda!... Bisognerà che gli dia delle spiegazioni... (a Hotzeplotz, timidamente) Voi avevate dato degli ordini per quella tenda?

Hotzeplotz                    - (con un'aria sognatrice) Sì, in­fatti, avevo dato degli ordini.

Gomois                         - Non li hanno eseguiti... Vi spie-gherò...

Hotzeplotz                    - Meglio così, perché ho cambiato idea nei riguardi di questa stoffa.

Gomois                         - E' una stoffa così bella!

Hotzeplotz                    - Intendo lacerarla. La sottomet­terò all'azione di alcuni acidi e la farò ba­gnare in una soluzione di piombo. Dopo avremo uno sfondo meraviglioso... (giocosa­mente) Pieno d'espressione!

Gomois                         - (felice alla moglie) Meno male che è di buon umore.

Hotzeplotz                    - Signor Gomois, io credo che og­gi lavorerò: capite? Uscirà qualche cosa, ma, attenzione! Adesso io mi siederò qui. (si siede) Voi camminerete, popolerete la ca­mera, camminerete fino a quando io vi dirò di fermarvi. Quando vi dirò: « Alt! », voi vi fermerete, ma nella posizione esatta in cui verrete a trovarvi quando io lancerò il mio grido... Siamo intesi? Via!... (il signor Go­mois e la moglie camminano l’uno dietro all’altro attorno a Hotzeplotz). Vi stanca cam­minarr così, signora Gomois?

La signora Gomois        - No, signor Hotzeplotz, non mi stanca affatto.

Hotzeplotz                    - Tanto peggio! Una persona an­ziana che fa del moto: mi sarebbe piaciuto vedere delle tracce di stanchezza sul vostro viso... (guardando Gomois). Come è bello quel Gomois! E' il vero mercante: il mer­cante! (si alza, strappa e getta a terra U fiore che Gomois aveva all’occhiello; poi, torna a sedersi).

Gomois                         - Infatti, sono stato in commercio trent'anni!

Hotzeplotz                    - (in piena estasi) Sì, sì, è la fe­rocia, la cupidigia tipica del mercante. L'uo­mo che resta dietro al suo banco ore ed ore, senza mai stancarsi, senza annoiarsi mai, pen­sando solo a guadagnare e ad accumulare, pur rimanendo scrupoloso nei suoi affari... Co­gli scrupoli che occorrono per forza però, non uno di più... Ah! che bel modello! (dopo una pausa, guardando la signora) Ah! ma anche la signora Gomois è ammirevole!

La signora Gomois        - Signor Hotzeplotz, voi siete molto gentile!

Hotzeplotz                    - (con tono patetico) La figura tradizionale della massaia guardinga ed at­tiva. E soprattutto - dico: soprattutto - nient'affatto intelligente! Non la bruta, la nauseante intelligenza. No: quello che mi occorre per il quadro è proprio della idiota semplicità. Voi non potete comprendere come io sia felice nel constatare che non siete per nulla intelligente!

La signora Gomois        - (timidamente) Eppure, a scuola mi dicevano che lo ero.

Hotzeplotz                    - Ma nemmeno per sogno! In ogni modo, non lo siete più!

Gomois                         - (alla moglie) Ringrazialo, dunque.

La signora Gomois        - Ma perché: è un bene o un male, non essere più intelligente?

Gomois                         - (sottovoce) Non lo so, ma in ogni modo è meglio ringraziarlo.

La signora Gomois        - (dopo una leggera esita­zione rivolgendosi a Hotzeplotz) Mille grazie.

Hotzeplotz                    - Grazie, di che? Ma di che cosa mi ringraziate? Perché siete quello che siete? Ma bisogna che non ve ne accorgiate neppure. Bisogna che siate così, inconsciamente. Se cominciate ad avere coscienza, tutto è finito! (gemendo e cadendo affranto sul divano) Se per disavventura perdete la vostra magnifica ingenuità, che cosa potrò più fare io? (bru­scamente) Fermatevi... Fermatevi tutti e due! Mettetevi vicini l'uno all'altra... Accidenti! ma lasciate pendere con naturalezza le vostre braccia e le vostre mani! Semplici... Sempli­ci.... Così... Così... (cambiando tono) E, ades­so, andatevene!

La signora Gomois        - Non avete più bisogno di noi?

Hotzeplotz                    - No: sento che le mie idee stan­no maturando. Vuol dire che se avrò ancora bisogno di voi. vi farò chiamare. Per ora, via!... Non voglio che le vostre immagini so­vrapposte vengano ad annebbiare l’immagine che adesso mi avete data. Chiamatemi inve­ce vostra figlia.

Gomois                         - (verso l'interno) Leontina, chiamate la signorina...

Hotzeplotz                    - Cercherò di lavorare un poco con vostra figlia. Le vostre immagini si rea­lizzeranno a suo tempo... Forse fra pochi minuti, forse fra cinque o sei anni, non so... (dopo averci pensato, con la mano sugli oc­chi) Signor Gomois, ci tenete molto alla vo­stra barba?

Gomois                         - Veramente l'ho sempre portata...

Hotzeplotz                    - Errore! Vi offusca e vi toglie ogni espressione: stareste cento volte meglio senza quella barbaccia.

Gomois                         - Ma io non ci tengo alla civetteria...

Hotzeplotz                    - - Cosa c'entra? (con disprezzo) Non ho mica voluto dire che senza barba diventereste più bello, ma avreste un volto più interessante, più eloquente, più vivo.

Gomois                         - Andrò domani dal mio barbiere.

Hotzeplotz                    - Ha il telefono, il vostro bar­biere?

Gomois                         - Credo.

Hotzeplotz                    - Non faremo niente di buono finché avrete quel materasso di peli sulla faccia... Forse lavorerò con voi verso la fine del pomeriggio, sempre che la luce si modi­fichi. .. (guarda la finestra, a destra) Ecco una finestra collocata in una maniera abominevole.

La signora Gomois        - Eppure si apre in pieno sole!

Hotzeplotz                    - Proprio così: si comincia un quadro con una luce buona. Dopo poco tem­po, diventa accecante; poi, nero... Ah! se si potesse cambiar posto a questa finestra!

La signora Gomois        - Si potrebbero mettere delle tendine...

Hotzeplotz                    - Non basta: bisognerebbe mu­rare, murare, murare... E poi aprire un'altra finestra dall'altro lato, (ire seguito ad un gesto di Gomois) Non oggi, però... Prima, ci stu-dieremo su. Anche questo albero davanti alla finestra mi piace poco.

Gomois                         - Ha tre secoli. Il suo fogliame è ma­gnifico e dà ombra a cento metri.

Hotzeplotz -                  - Cercheremo di sradicarlo que­sto vegetale ingombrante e lo ficcheremo in un angolo del giardino; così, non seccherà più nessuno.

La domestica                - (entrando) La signorina sta congedando la maestra di piano. Poi verrà subito.

Hotzeplotz                    - Benissimo. Lavorerò con lei. An­datevene signor Gomois. E anche voi, signora.

Gomois                         - (alla moglie, andandosene) Meno male: oggi mi pare ben disposto.

SCENA QUINTA

Hotzeplotz, La domestica, poi Lucia

Hotzeplotz                    - Verrà la signorina?

La domestica                - Fra poco.

Hotzeplotz                    - Avvicinatevi, voi... Guardatemi e sollevate un po' la vostra manica... Più in su - (esaminando il braccio) Bene! Bene! Ades­so aprite un po' la vostra scollatura!

La domestica                - (con gesto pudico) Ma signore.

Hotzeplotz                    - A che cosa pensate, maleducata? Aprite la vostra scollatura, (la domestica, apre il corsetto. Hotzeplotz la guarda atten­tamente) Un bel tocco di carne... Ne usci­rebbe benissimo una bella Driade fra il verde degli alberi... Vi spoglierete comple­tamente ed andrete ad aspettarmi nella serra.

La domestica                - Ma per fare che?

Hotzeplotz                    - Non mi piace che mi si facciano troppe domande. Andate e spogliatevi!

La domestica                - (andandosene) Chissà che in­tenzioni ha!... Ecco la signorina.

Hotzeplotz                    - (a Lucia che entra da sinistra) Buongiorno, signorina... (Lucia ha l'aria de­solata. Hotzeplotz, senza guardarla, collocan­do il cavalletto e la tela) Quanto a voi, lo so benissimo quello che siete... Non c'è più niente da cercare. D'altronde, non ho cercato molto: mi è bastato vedervi una volta sola e ho subito deciso. Voi avete il sorriso: un sorriso chiaro e limpido... Un sorriso fragile e furtivo e, nello stesso tempo, definitivo ed eterno... Tutto quello che può esserci di più semplice e di più assoluto insieme, (si volta e la guarda) Ma, signorina, bisogna che voi sorridiate e, invece, non sorridete affatto...

Lucia                             - (sforzandosi) Ma sì signore, sorrido.

Hotzeplotz                    - Vi dico che non sorridete... Met­tetevi su quella sedia: io mi metterò davanti alla tela e voi sorriderete... Io dipingerò e voi sorriderete... Io parlerò, dirò delle cose, non importa che cosa, per stordirmi, per arrivare a dipingere meccanicamente, per fare sparire da me l'Intenzione, la nociva Inten­zione, affinché la mia pittura sia una emana­zione naturale di me stesso, un'opera rapida e spontanea del mio istinto (appoggia tutt'ad un tratto il pennello sulla tela). Ecco il pun­to dove voi sorriderete: è là che è il vostro sorriso. Si tratta di un punto essenziale... Adesso, non vi occupate più di me: sorri­dete... Stamattina, nella strada che percorro sempre per venire qui ho visto un operaio cadere da un tetto e sfracellarsi sul selciato. Sorridete... Sorridete...

Lucia                             - Ma non mi pare che ci sia troppo da sorridere.

Hotzeplotz                    - Non date retta a quello che dico. Vi ho detto che parlo,a caso, affinché il mio pennello vada, mio malgrado, al di fuori del mio io... (Lucia sospira. Hotzeplotz si alza) Ebbene, che cosa succede adesso. So­spirate: siete triste?

Lucia                             - Signor Hotzeplotz, non mi è assoluta­mente possibile sorridere in questo momento.

Hotzeplotz                    - Ma voi non avete il diritto di non sorridere.

Lucia                             - (tenta di sorridere, ma poi scoppia in pianto) No, non posso sorridere, sono trop­po infelice!

Hotzeplotz                    - Ma perché?

Lucia                             - Mio padre è troppo cattivo con me.

Hotzeplotz                    - Non capisco.

Lucia                             - Ecco. Vi dirò tutto. Io vorrei sposare mio cugino e mio padre non vuole perché Enrico è troppo giovane e perché non ha una posizione.

Hotzeplotz                    - Ma bisogna mettere a posto su­bito questa faccenda. Diremo subito a vostro padre di venire qui. (va verso l'interno e alla domestica che passa) Dite al signor Go­mois di venire qui immediatamente.

Lucia                             - Come, signore? Voi direte a mio padre quello che vi ho confessato? Ah! Se voi po­teste piegarlo, voi mi rendereste felice!

Hotzeplotz                    - Dirò a vostro padre quello che devo dirgli e quello che il mio dovere di ar­tista mi impone di dire.

Lucia -                           - Allora io me ne vado... Non oso ri­manere.

Hotzeplotz                    - • Riprenderemo la nostra seduta fra una mezz'ora. Bisogna regolare al più presto quest'affare, perché è essenziale che voi sorridiate. (Lucia sorride) Ecco, così...

SCENA SESTA

Gomois, Hotzeplotz

(All'entrare di Gomois, Hotzeplotz è seduto, affranto sul divano. Gomois è completamente raso).

Hotzeplotz                    - (guardandolo stupefatto) Che diavolo avete fatto?

Gomois                         - Mi sono fatto tagliare la barba.

Hotzeplotz                    - Pessima idea, ma non è nulla di fronte al grave torto che voi mi avete fatto oggi.

Gomois                         - Non capisco.

Hotzeplotz                    - Voi avete una figlia di diciotto anni... Io avrei potuto benissimo non veder­la mai... Avrei potuto incontrarmi con dei milioni di persone e non con lei... La Provvi­denza ha dunque voluta questa coincidenza miracolosa e ha deciso che quella ragazza si troverebbe un giorno sul mio cammino.

Gomois                         - Ho capito, voi amate mia figlia!

Hotzeplotz                    - Ma no, chi vi parla di amore? Quello che accade è molto più grave!

Gomois                         - (inquietò) Molto più grave?

Hotzeplotz                    - Il giorno in cui l'ho incontrata, vostra figlia sorrideva... Mi capite? Sorride­va... E voi non sapete che cosa sia il sorriso di vostra figlia!

Gomois                         - Sono suo padre e lo so: vi assicuro che quando mia figlia sorride, io sono molto contento.

Hotzeplotz                    - - Voi non conoscete il suo sorriso: non l'avete mai visto. Nessuno l'ha visto. Solo io l'ho veduto; al di fuori di me, nessuno. (si tocca la fronte) Adesso, quel sorriso è qui. Non esiste che qua dentro. Per vederlo, quel sorriso, per fare in modo che tutto il mondo possa vederlo, bisogna che venga, (segue col dito la linea del suo braccio) bisogna che venga fino alla punta del mio pennello, a questo punto preciso, su quella tela. Allora tutti lo vedranno, io potrò andarmene e quel sorriso esisterà definitivamente. Per ora, è appena fissato in me. Ne conservo appena la immagine fuggitiva. E perché? Perché non l'ho ancora veduto abbastanza... Perché non ho ancora abbastanza guardata vostra figlia!

Gomois                         - Ma voi potete guardarla quanto vi pare e piace!

Hotzeplotz                    - Ma come volete che la guardi se non c'è?

Gomois                         - La farò chiamare subito.

Hotzeplotz                    - Verrà una signorina che rispon­de al nome di Lucia, ma che non è più quella che io ho conosciuta. Il mio modello non esiste più, perché non sa più sorridere.

Gomois                         - Comincio a capire qualche cosa. Si è confidata con voi e vi ha detto che noi non eravamo troppo d'accordo circa i suoi pro­getti di matrimonio. Ma, d'altronde, non pretenderete mica che io, per ridarvi per modello il sorriso di mia figlia, acconsenta ad un matrimonio che non mi va?

Hotzeplotz                    - (calmissimo) Non esigo nulla. Ho parlato abbastanza. Noi non ci intende­remo mai. Lascerò subito questa casa dove sono entrato con tanta speranza. Un'ora fa ero il più grande ed il più felice degli uomi­ni; adesso sono il più piccolo e il più infe­lice. Addio! (cambiando tono). Se desidera­te utilizzare queste tele che io vi ho fatto comprare, vi manderò un pittore (sorriden­do), quello che voi chiamate un pittore. Vi farà un ritratto in otto sedute con o senza barba. Vi farà il ritratto della signorina Lucia con o senza sorriso per ornare il sa­lone di un genero di vostro gradimento, con una bella posizione. Addio!... (fa per usci­re, ma Gomois lo trattiene).

Gomois                         - Voi non potete assolutamente an­darvene così, ma capirete bene che io ho l'obbligo di pensare alla futura felicità di mia figlia.

Hotzeplotz                    - (guardando con stupefazione) E che ne sapete voi della felicità di vostra figlia? Voi non sapete nulla dell'avvenire, capite? La sola cosa di cui potete essere si­curo è la sua gioia presente. Non avrete la folle pretesa di essere più forte del Destino?

Gomois                         - C'è del vero in quello che dite: è giusto...

Hotzeplotz                    - Io non dico che delle cose giuste.

Gomois                         - Certo non si è mai sicuri della feli­cità futura.

Hotzeplotz                    - Mentre lo si può essere di quella presente.

Gomois                         - Sentite, esaminerò più attentamente il progetto matrimoniale di mia figlia e se riesco ad abituarmici col pensiero... Non pre­cipitiamo: lasciatemi tre giorni... due... fino a domami...

Hotzeplotz                    - (lirico) Domani! Domani! Do­mani! Ma fino a domani, intanto, il mio mo­dello non esisterà più! Infliggendo a vostra figlia ventiquattro ore di dolore supplementa­re, voi farete di lei un essere più consumato, più vecchio... Martirizzando quella povera fanciulla...

Gomois                         - Martirizzando? Ma è dunque un così grande dolore?

Hotzeplotz                    - Volete insegnare a me, che sono un pittore, quello che significa un grande dolore? Ma il dolore di vostra figlia è così grande e così vero che io mi domandavo se non era mio dovere artistico l'esasperarlo, per arrivare così alla vera sintesi del Dolore...

Gomois                         - (interrompendo) Ah! questo poi no! Preferisco vederla sorridente e felice.

Hotzeplotz                    - Anch'io. Non sento troppo il quadro del Dolore. Non so se mi riuscireb­be. Mentre il Sorriso c'è... Anzi, c'era, perché non c'è più.

Gomois                         - Ebbene, ci sarà di nuovo!

Hotzepltz                      - Davvero?

Gomois                         - Ci sarà. Se voi che ve ne intendete siete convinto che mia figlia è realmente in­felice, io non posso crearmi dei rimorsi e la voglio vedere contenta. D'altra parte, se quel giovanotto oggi non ha una posizione, l'avrà un giorno certamente.

Hotzeplotz                    - (calorosamente) Certo!

Gomois                         - Nell'attesa avrò fatta felice mia figlia.

Hotzeplotz                    - E avrete dato al mondo un ca­polavoro; avrete compiuto un atto di onni­potenza. Adesso, non perdiamo tempo e an­date subito ad annunciarlo a vostra figlia.

Gomois                         - Sì, subito.

(La cuoca apre la porta ed entra).

La cuoca                       - C'è il signor Enrico.

Gomois                         - Fate entrare. Ma come mai avete aperto voi la porta invece della cameriera?

La cuoca                       - Leontina non può. E' tutta nuda nella serra. (Gomois la guarda stupefatto) Ecco il signor Enrico.

SCENA SETTIMA

Gli stessi, Enrico entra e saluta. Una pausa.

Gomois                         - (fra se) Come è giovane!

Hotzeplotz                    - (guardando Enrico) E' un triste Ha l'aria triste.

Gomois                         - Enrico, ho riflettuto e mi sono ri­creduto sul tuo conto.

Hotzeplotz                    - (c. s.) Il suo sorriso non mi piace.

Gomois                         - Ed ecco quanto ho deciso.

Hotzeplot                      - (interrompendolo) Tacete! (fra se) Il sorriso gli sta male, (ad Enrico) Buon­giorno, signore. Il signor Gomois mi incarica di dirvi che ha riflettuto. Vi trova troppo giovane...

Gomois                         - Ma, signor Hotzeplotz...

Hotzeplotz                    - Lasciatemi, (ad Enrico) Vi trova troppo giovane per darvi sua figlia.

Enrico                           - (scoppiando in pianto) Ne dubitavo! E' spaventevole!

Hotzeplotz                    - Così va bene!

Gomois                         - Ma insomma che cosa significa tut­to ciò?

Hotzeplitz                     - Lasciate fare... E ha deciso di » darla in isposa ad un altro.

Enrico                           - E' spaventevole quello che dite! Ah! mio Dio!

Hotzeplotz                    - (esaminando con attenzione il vol­to di Enrico) n matrimonio si farà entro tre settimane. Lucia andrà a fare un viaggio in Italia con un altro... Un altro allaccerà il suo corpo e carezzerà i suoi capelli biondi...

Enrico                           - - E' spaventevole quello che dite!

Hotzeplotz                    - (guardandolo) - No, decisamente non è interessante. Può sorridere o piangere, per me è lo stesso... (ad Enrico) Vi è stata accordata la mano della signorina.

Gomois                         - (lo guarda stupefatto) Signor Hot­zeplotz...

Hotzeplotz                    - Andate a dare a vostra figlia il vostro consenso... Questo giovanotto è insi­gnificante... Dategli pure vostra figlia.

Enrico                           - (raggiante) Zio!... Zio!... Dunque posso annunciare la cosa al mio principale?

Hotzeplotz                    - Annunciatelo a chi volete, ma andatevene! Lasciate invece che il signor Go­mois vada a dire alla signorina!... (Enrico ringrazia commosso Gomois ed esce. Anche Gomois esce. Hotzeplotz si colloca davanti alla tela e fa due tratti. La cuoca bussa) Che c'è ancora?

La cuoca                       - Signore, è venuto l'operaio a pren­dere la tenda.

SCENA OTTAVA

 Hotzeplotz, l'operaio

Hotzeplotz                    - Fatelo entrare. (l’operaio en­tra con una scala) Finche quell'odiosa tenda nuova sarà lì, io non potrò lavorare... Spic­ciatevi! (l’operaio sale sulla scala e comincia a schiodare la tenda. Hotzeplotz lo osserva e, ad un tratto, lo interrompe) Fermatevi! Non muovetevi!

L'operaio                       - Perché, signore?

Hotzeplotz                    - (commosso) Ve ne scongiuro, quel gesto del braccio! (agitatissimo, toglie la tela del Sorriso e ne colloca sul cavalletto una bianca) Non vi muovete, ve ne supplico a mani giunte. Ah! quel braccio! Tutto il gesto del lavoro umano! (comincia a dise­gnare).

L'operaio                       - Ce ne sarà per un pezzo?

Hotzeplotz                    - Non lo so, ma non ve ne pen­tirete, (continuando a. disegnare) Quel brac­cio! C'è tutto il lavoro della razza, tutta l'umanità che si sforza e che pena. Fermerò sulla tela la sintesi del lavoro eterno!

Gomois                         - (entrando) Siate felice! Mia figlia ha ritrovato il suo sorriso! (Hotzeplotz disegna senza rispondere) Sta già lavorando, (alla si­gnora Gomois e a Lucia che entrano) Chissà come sarà contento.

Lucia                             - Anch'io sono contenta, papà.

La signora Gomois        - E anch'io.

Gomois                         - Tuttavia temo di essere stato impru­dente... Enrico è tanto giovane!

SCENA NONA

Enrico                           - (entrando di corsa) Zio! E' proprio vero che le felicità non vengono mai sole. Sapendo che diventerò presto vostro genero, il mio principale mi ha associato nei suoi affari.

Gomois                         - Benissimo. E tutto questo è merito del signor Hotzeplotz... Signor Hotzeplotz, guardate mia figlia! (Hotzeplotz si voltai, sorride vagamente a Lucia e si rimette a la­vorare).

Enrico                           - Signor Hotzeplotz, avete sentito? Il mio principale mi associa nei suoi affari.

Hotzeplotz                    - (seccato, nervosamente) Com­plimenti... Signori, volete rendermi un grande servizio?

Gomois                         - Sapete bene che non possiamo rifiu­tarvi nulla!

La signora Gomois        - Voi siete ormai il be­nefattore della famiglia!

Hotzeplotz                    - Ebbene, andatevene via, tutti quanti... Che io non vi veda e non vi sen­ta più! (Gomois e gli altri si dirigono timi­damente verso la porta).

L'operaio                       - Ce ne sarà ancora per molto, si­gnore?

Hotzeplotz                    - (con una voce terribile) - Non muovetevi! Il signor Gomois vi darà duemila franchi... (a Gomois) Duemila franchi ba­steranno. (ali1 operaio) Ma non muovetevi!

L'operaio                       - Duemila franchi!

Hotzeplotz                    - Non muovetevi! (agli altri) An­datevene! (fra se) Tutto il lavoro della razza umana...

La tela cade lentamente mentre gli altri escono. Hotzeplotz continua a dipingere, al colmo della esaltazione.

FINE