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IL MATRIMONIO DI ZIO CLODOVEO

In fondo a destra
di palmucci stefano

Liberamente tratto dall'omonimo monologo di Raffaello Baldini


In fondo a destra

Personaggi:

Minimo 8, massimo 43. Dove non è specificato possono essere interpretati indifferentemente da uomini o donne.

La scena è vuota, c'è solo un leggio sul proscenio. Una musica leggera di sottofondo sfuma gradatamente quando dal fondo entra il lettore, che si porta al leggio e comincia a leggere.

Lettore:

       Un solo esempio. Le camicie con le maniche corte. Milioni di persone le portano. Io non le sopporto. Le camicie con le maniche corte. Ma che camicie? Sono mutande. Non è una battuta. Prendete uno in mutande e con una camicia con le maniche corte. Sono due paia di mutande, uno sotto e uno sopra. Dice: ma quando è caldo. Cioè, quand'è caldo vai in giro in mutande? E poi cosa c'entra il caldo? Ti rimbocchi le maniche quando è caldo. D'accordo, sì, dice, ma certi pomeriggi di luglio non stai lì a far questioni di stile. Perché invece a gennaio o febbraio…Ma le questioni di stile sono questioni di vita. Qualche estate fa, un giovedì, non lo dimenticherò mai, ho incrociato per strada un tipo che indossava una camicia con le maniche corte, pantaloni corti, calze corte e sandali. Sotto la camicia traspariva una canottiera. Non alto, stempiato, grassottello. Capite dove si può arrivare? Intendiamoci, io non sopporto la camicia con le maniche corte in sé. Non la sopporto in quanto tale. Voglio dire che la camicia con le maniche corte può essere anche un segnale. Un inizio. Si comincia con la camicia a maniche corte, poi vengono i calzoncini corti, alla coscia, poi i calzini corti, fantasia, poi i sandali, di plastica. Capite? È la catastrofe.

       E così sto solo. Perché non sono come loro. Perché non porto le camicie con le maniche corte. Sarò supponente, arrogante, anche nevrotico. Anche ridicolo. Ma non sono come loro. In questi giorni poi, ho progettato una cosa che nessuno ha ancora immaginato. Una rivoluzione culturale. La pubblicità negli ascensori. Pensateci un momento. L'imbarazzo nei viaggi in ascensore. In due, in tre, in quattro. Piano dopo piano. Banalità, silenzi, il vuoto che ti si fa dentro, occhi bassi, un disagio palpabile. E la pubblicità sarebbe la salvezza. La guardi, la leggi, la rileggi. La salvezza e un grande affare. Un grandissimo affare. Milioni di persone obbligate a vederti, che non possono voltare pagina, che non possono cambiare canale. Le hai in pugno. In tutte le città. Milioni di persone. Un affare enorme. E io ve lo regalo. Vi regalo l'idea. A me interessa pensarle le cose. Farle, le facciano gli altri. Pensare è tutto. Il resto è volgarità.

       Il resto. Gli altri. Che vanno sempre in branco. Non sono capaci di star soli. Sono convinti che in branco ce la faranno. Che troveranno. Ma cosa trovi? Sei entrato in branco forse? No, sei entrato da solo. Siamo entrati tutti da soli. Si entra da soli e si esce da soli. Ma te l'immagini? Dieci, quindici, venti persone che escono, tutte insieme, che urlano, che ridono, che chiamano. Titoli sui giornali, foto, interviste.

       Già, i giornali. Non ne hanno mai parlato. Mai. Non se ne parla sui giornali. Un fatto come questo. Un fatto? Un mondo, un universo, in cui si muovono decine, centinaia, forse migliaia di persone, e nessuno ne parla. Questo mondo non esiste. Noi non esistiamo. Ma i giornali d'opposizione, lasciamo stare la grande stampa, i giornali d'opposizione cosa ci stanno a fare se non raccontano queste cose? Che la gente lo sappia. Almeno. Anche se saperlo non serve. So anche questo. Non serve a niente. Si sanno tante cose. Ma se è destino che devi finire qui, finisci qui. Non ti salvi.

       Se è destino. Che è la sola risposta possibile, quando cominci a farti certe domande. Perché sono qui? Perché io e non un altro? Perché io e non Beppe Novati? O Fulvio Renzi. Vecchi amici. Che in questo momento magari stanno nuotando in piscina o chiacchierando del più e del meno o stanno decidendo che film andare a vedere. Perché io sì e loro no? E la risposta è sempre quella. Il destino. Non è che hai sbagliato, che ti sei distratto, che ti sei confuso, che…si, ci sarà stato anche questo, ma prima di tutto questo c'è stato il destino. Era necessario. Quello che t'è successo. Era una sentenza. Che non conosci. Ma inappellabile.

       Perché oggi succede tutto per caso. Se ascolti la gente, qui, non ce n'è uno che, dicono tutti che sono capitati qui per caso, che se quel giorno, quella sera, invece d'andare lì andavano là, se invece di fare così facevano cosà, se invece di…tutto per caso. E non si rendono conto che. Non lo vogliono nominare il destino. Ma forse neanche. Non lo capiscono. Il destino è insondabile. Il caso è stupido. Il destino è una grande domanda, il caso è una stupida risposta. Il destino sta in alto, è divino. Il caso è lì, girato l'angolo, lo puoi toccare, è sempre lì, pronto, a due passi. Il caso è rabbia e la rabbia sei tu. Il destino è dolore, e il dolore ti porta lontano, in luoghi che non conosci, fra gente che non parla la tua lingua, che non ti capisce. E in fondo che cosa conosco io di questo luogo? Non so perché sono qui. Non so quanto ci devo rimanere. Non so a che serve che sia qui. Non so niente. So solo che non sono qui per caso.

       Gli altri, invece. Quella povera signora, due tre giorni fa (intanto entrano due personaggi che si incontrano in mezzo alla scena, sono un uomo e una donna molto ordinari, entrambi con soprabito. Si abbassano le luci sul lettore):

Donna:      mi scusi, non mi raccapezzo più

Uomo1:     capisco

Donna:      ero al quarto piano, mi sono trovata per caso vicino all'ascensore, io scendo sempre per la scale mobili, stavolta sono scesa in ascensore, soltanto che, non vorrei essere scesa troppo

Uomo1:     capisco.

Donna:      nel sotterraneo, cioè. O no? Non so nemmeno io, sono uscita, ho visto, mi pareva un angolo delle occasioni, c'era tanta roba, però qui adesso, lei forse può dirmi

Uomo1:     che cosa?

Donna:      ho un appuntamento, fuori, con un'amica, non sa se c'è un telefono qui?

Uomo1:     non lo so

Donna:      ma lei non è un impiegato della Rinascente?

Uomo1:     no

Donna:      oh, mi scusi, era solo per un telefono, se..

Uomo1:     signora, non ne ho visti di telefoni, almeno da quando sono qui

Donna:      perché? Lei è da un po’ che è qui?

Uomo1:     e beh, anche da più di un po’, saranno, sì, insomma, è parecchio

Donna:      e allora usciamo, io almeno voglio uscire, solo che per cercare un telefono ho girato, ho girato, e adesso non riesco a…

Uomo1:     succede, si gira, si gira…

Donna:      anche lei è sceso in ascensore?

Uomo1:     no, io sono sceso per le scale. Ero a teatro

Donna:      a teatro?

Uomo1:     ero sceso nei camerini, volevo salutare un'attrice, un'amica

Donna:      capisco, cioè, no, non capisco, scusi, come, a teatro? C'è anche un teatro alla Rinascente? So che all'ultimo piano c'è un ristorante

Uomo1:     no, ero al teatro Fraschini

Donna:      al teatro Fraschini? A Milano?

Uomo1:     no, a Pavia

Donna:      a Pavia?

Uomo1:     si, a Pavia, c'era molta gente, ho infilato un corridoio, ad un certo punto mi sono trovato, almeno credo, sotto il palcoscenico, era buio, ho cercato, ho intravisto un'uscita, e invece non era un'uscita. E sono ancora qui.

Donna:      mi scusi, non volevo…lei forse non si sente bene

Uomo1:     mi sento benissimo, signora, non si spaventi

Donna:      no, non mi spavento. Comunque, a questo punto, penso davvero che ci convenga uscire

Uomo1:     è quello che penso anche io

Donna:      dunque, vediamo, io sono venuta da…(entra un terzo personaggio, è un uomo con valigia, trafelato)

Uomo2:    scusate, per la linea tre?

Donna:      come?

Uomo2:    la linea tre, per la stazione di Porta Genova

Donna:      per la stazione di Genova?

Uomo2:    no, di Porta Genova

Donna:      ma qui, non credo che…

Uomo2:    mi hanno detto di cambiare in Piazza Duomo, alla stazione centrale me lo hanno detto, prenda la metropolitana

Donna:      ah, lei cerca la metropolitana?

Uomo2:    no, ci sono già nella metropolitana, fermata Duomo, mi hanno detto di scendere qui e di prendere la linea tre, per la stazione di Porta Genova, ma è un po’ che non vedo un cartello, un'indicazione, non si capisce niente, qui, avanti, indietro, scendi, sali, è un labirinto

Donna:      eh, io francamente non so proprio…

Uomo2:    è lo stesso, grazie lo stesso, troverò. Arrivederci (e si allontana)

Uomo1:     ecco, vede signora, questo viaggiatore che si allontana con le sue valigie, tutto sudato, è nella metropolitana di Milano, lei anche è a Milano, ma alla Rinascente, io invece sono, cioè ero, a Pavia.

Donna:      ma cosa dice? ma cosa sta dicendo? Oh, mi scusi, è che io qui perdo la testa

Uomo1:     signora, io dico quello che ha appena detto quel signore. Siamo in un labirinto, capisce? Questa non è la Rinascente, non è più la Rinascente, e nemmeno il Teatro Fraschini, e non è più nemmeno la metropolitana. E' un labirinto. Non per modo di dire. E' un labirinto vero e proprio. Grande. Molto grande. E noi ci siamo capitati dentro. E vogliamo uscire. E non ce la facciamo. Capisce?

Donna:      Ma io devo uscire, ho un appuntamento

Uomo1:     signora, io non glielo impedisco, cerchi.

Donna:      e lei non cerca?

Uomo1:     cerco anche io, ma ognuno per la sua strada, qui si deve andare da soli, con proprio istinto, con i propri nervi.

Donna:      ma io da sola ho paura

Uomo1:     stia tranquilla. Non la lascio qui sola. Troverà presto compagnia. C'è tanta gente che non la pensa come me. Che sta insieme. Che si scambia idee, che si consiglia. Ecco, sente? S'avvicina qualcuno, un gruppo, sono laggiù, li vede? Gli vada incontro. Addio, signora. (la donna si allontana, l'uomo la osserva, poi esce da altra direzione)

Lettore:

       Non ce la faccio con gli altri. Li ascolto. In silenzio. Da una certa distanza. Ma sono sempre troppi. No, meglio soli. Ti fai il tuo itinerario, a naso, ha i tuoi punti di riferimento, guarda qui sui muri i punti di riferimento, crocette, quadrati, cerchi, stelle, rettangoli, lettere, leggere greche, firme, sigle, per orientarti, quando ti ci ritrovi, che t'accorgi d'aver girato in tondo, qui ci sono già passato, stavolta vado di qua, è pieno di graffiti, i muri, non ci sta più neanche una virgola, è tutto un punto di riferimento, ti ci perdi, è un labirinto nel labirinto, è tutto da ridere. E vai avanti, e cerchi, e non trovi, mai. (mentre il lettore legge, la scena si popola gradatamente di almeno sei personaggi, tra cui una donna, che vagano)

       Salvo quello là, la settimana scorsa, col maglione verde, poveraccio, è stata una storia anche divertente. Stavo passando lì vicino. Degli urli (entra un ragazzo molto trafelato, con un maglione verde, che cattura l'attenzione di tutti).

Ragazzo:   Oh trovato! Oh trovato l'uscita! L'ho trovata, ho visto il sole, e c'era l'erba, un prato, verdissimo. Venite, andiamo, è finita, venite, andiamo fuori! Fuori! (comincia a correre per il palcoscenico, tutti lo seguono) Di qua, mi ricordo benissimo, bisogna piegare di qua, ecco, così, adesso per di qua, ecco, così, ricordo perfettamente, ancora avanti, sempre diritto, adesso qui a sinistra, benissimo, ecco, così, e qui ci dovrebbe essere un pilastro, eccolo, avanti, adesso a destra, poi subito a sinistra, ancora avanti, ecco, ci siamo (è tornato al punto di partenza)…ma qui…non può essere, non è possibile.

Pers1:        qui, scusi, ma è dove eravamo prima

Pers2:        certo, siamo partiti di qui, questa sigla per terra, B12, l'avevo appena scritta io

Ragazzo:   ma è impossibile, mi ricordo perfettamente, non posso essermi sbagliato, c'era il pilastro

Pers1:        ma di pilastri, qui, caro signore…

Ragazzo:   eppure sono sicuro che, sono sicurissimo. Porca puttana, è stato per venire a prendere voi, per voi è stato, per venirvi a prendere, e adesso tutto da capo, tutto da capo

Pers3:        ma tentiamo un'altra volta, proviamo, forse la seconda volta…

Ragazzo:   avevo visto il sole, l'erba, c'erano anche dei fiori rossi, me li ricordo benissimo, e un'aria profumata

Pers3:        ma se si ricorda così bene cosa costa riprovare?

Ragazzo:   è stato per venire a prendere voi. E' che non si può essere generosi nella vita. La vita è una giungla. Non ho mai voluto imparare, io, e mi sta bene. Ma la prossima volta

Pers2:        Mi scusi, erano papaveri i fiori che ha visto?

Ragazzo:   non lo so, papaveri o non papaveri, che importanza ha?

Pers2:        no, niente, chiedevo, così

Ragazzo:   ma senti questo. No, niente, chiedevo, così. E io sono tornato indietro per…

Pers1:        per chi è tornato indietro lei? Per noi? Ma non racconti storie. Lei è tornato indietro per vanità, per farci sapere che aveva trovato l'uscita, che l'aveva trovata lei, che era stato il più bravo di tutti

Ragazzo:   E' questa la vostra risposta. Sono un vanitoso. Roba da spararsi. E io sono tornato indietro per questa gente

Uomo3:    insomma basta! (dà uno schiaffo al ragazzo)

Donna1:    mi scusi, ma schiaffeggiarlo…

Uomo3:    non lo schiaffeggio, lo sveglio. Questo è un mitomane. Lei non è un vanitoso, giovanotto. Il signore sbaglia, lei è un mitomane, lei si è inventato tutto, il sole, il prato, i fiori, i papaveri o non papaveri, e adesso basta, vada, cammini, vada un po’ in giro, camminare le farà bene, vada, vada. Aveva trovato l'uscita. E io che per un momento ci ho creduto.

Donna1:    beh, ci abbiamo creduto tutti

Uomo3:    e magari ci credete ancora. Non dico a quel disgraziato. Ma che ci sia un'uscita. Che prima o dopo si possa trovare un'uscita.

Pers3:        come sarebbe a dire? Perché lei…

Uomo3:    io sono mesi che sono qui, mesi e mesi, forse un anno, forse più, e di qui, ve lo dico, non si esce, siamo in trappola, è una trappola, questa, non ci sono uscite, ci hanno intrappolato, capite? E se la godono a vederci fare il giro dell'oca, se la godono un mondo

Donna1:    ma lei davvero crede?

Uomo3:    E' la gabbia. Fosse un labirinto. Siamo scimmie in gabbia. E la gabbia è chiusa. Sigillata. Non si scappa.

Pers4:        Ma entrare siamo entrati, abbia pazienza. Perché io capisco tutto, per carità, lei è qui da mesi, è stanco, esasperato, io la capisco perfettamente. Ma se siamo entrati, vuol dire che possiamo anche uscire.

Uomo3:    no, le murano le entrate, ho visto io, ho visto muri appena fatti, con la malta fresca

Pers3:        Se è per questo li ho visti anche io, li abbiamo visti in tanti, stanno lavorando, di continuo, probabilmente stanno facendo dei lavori di ampliamento. Ma le entrate e le uscite non c'entrano. Stia tranquillo, signore, state tranquilli tutti, questo è un labirinto, un signor labirinto, ci mancherebbe altro.

Uomo3:    beh, contento lei

Pers3:        lei non molla

Uomo3:    io dico semplicemente che l'uscita non si trova perché non c'è. Lei dice che c'è ma non si trova. Non è la stessa cosa?

Pers3:        no signore, non è la stessa cosa. C'è una differenza radicale, un abisso.

Uomo3:    un abisso?!

Pers3:        ci pensi bene. Per cosa lei è in un labirinto? Per uscire. Che cos'è un labirinto? E' la storia di un'uscita. Difficile fin che si vuole, faticosa, disperante anche, ma è all'uscita che ti voglio. Se no, che senso ha un labirinto? E allora è chiaro, più si è nel labirinto, più si è vicini all'uscita. Bisogna esserci sempre più dentro, nel labirinto, mettersi nei suoi panni, stare con lui fino in fondo, e allora è fatta, stare con lui fino in fondo è stare con lui fino all'uscita, no?

Uomo3:    lei gioca con le parole. Sarà anche divertente ma…

Pers3:        non so giocando, sto facendo un discorso. Che potrà sembrarle paradossale, anche irritante, ma che ha una logica. Bisogna andar dietro al labirinto, seguirlo, secondarlo, obbedirgli, dolcemente, fare quelle che vuole, e allora lui ti guida, ti prende per mano

Pers4:        ma chi prende per mano il labirinto? Che è un imbroglio, per definizione

Pers3:        non è vero, non è vero! Sono pregiudizi, luoghi comuni. Tutto il labirinto preme sull'uscita, è come un enorme bestione che pesa tutto sulla testa, è a testa in giù, ha mai visto gli elefanti al circo, a gambe all'aria, dritti sulla testa? È lo stesso. Il labirinto è un grande, immenso palazzo costruito intorno ad un portone

Pers2:        e intanto però anche lei è qui

Pers3:        Da poco, da appena tre giorni. E ci resterò anche meno. (il gruppo si disperde lentamente)

Lettore:

       Che ce l'abbia fatta? Chissà. Magari ce l'ha fatta davvero. E a quest'ora lo sta raccontando agli amici. Per quanto. Se ce la fai, se arrivi ad uscire, dopo, non so, credo sia meglio stare zitti. Trovi quest'uscita, questo buco, quel che è insomma, ti infili, ma qui cos'è? Un ripostiglio, avanti, e qui è tutto impiastrellato, ma questa è una toilette, c'è uno che si lava le mani, lo guardi, si asciuga le mani all'aria calda, ancora avanti, apri la porta, accidenti, è una sala giochi, la attraversi, pieno di gente, urli, luci, lampi, tic, pum, trac, drin drin, un fumo, ecco le scale, ma qui, porca miseria, qui siamo in corso Garibaldi, in centro, ma come è possibile? Sei uscito in corso Garibaldi, nel cuore della città, della tua città, non riesci a crederci, entri in un bar, prendi un cappuccino, con una spruzzata di cacao, una brioche, e poi? E poi stai zitto. Cosa dici se no? E come lo dici? Ma dove ti eri cacciato? Sono settimane che non ti si vede. Lo credo ero, beh, si, sono capitato nel labirinto. Dove? Nel labirinto. Tu non sai, è stata un'esperienza…e vai avanti, parli, parli, l'altro ti guarda, ti ascolta, fa si con la testa, ah, ecco, ho capito tutto. Sei liquidato.(cominciano ad entrare almeno cinque personaggi che vagano per il palcoscenico) Ma in fondo chi ha detto che davvero qui non siamo tutti in liquidazione? Quell'architetto, giorni fa, ne era convinto. Almeno aveva l'aria di un architetto, cravatta a farfalla, occhiali rotondi…(entra l'architetto, inizia a parlare, tutti lo ascoltano)

Archit:      Vi dirò, ho un'idea, è un po’ che ci penso

Pers5:        che idea?

Archit:      e più ci penso, più mi persuado

Pers6:        insomma qual è questa idea?

Archit:      ecco, cioè, noi, qui, crediamo di essere in un labirinto no? E invece magari siamo in una clinica

Pers5:        una clinica?

Archit:      diciamo una casa di cura

Pers:6        diciamo quel che vuole, ma i malati, qui di malati non mi pare che ce ne siano

Archit:      no, ma io intendevo in un altro senso, intendevo dei malati, insomma, pensavo ad una clinica, come dire, per malattie nervose

Pers5:        e allora?

Archit:      cioè quelli che sono in questa clinica, in questa casa di cura, credono di essere in un labirinto

Pers6:        insomma, noi saremmo matti

Archit:      no, matti che? Matti non è la parola. Direi malati

Pers5:        di mente?

Archit:      ma no, no, io parlerei di un'idea dominante

Pers6:        che poi sarebbe un'idea fissa. Una fissazione. Ma nel momento in cui lei mi dice: ho la fissazione di essere in un labirinto, lei la fissazione non ce l'ha più, e questo è un labirinto

Archit:      eh, no, no, no, lei mi insegna che ci sono dei matti lucidissimi

Pers5:        ah, allora parliamo di matti

Archit:      scusate, non volevo, ho sbagliato, chiedo scusa, diciamo fissati

Pers6:        non è che fissato sia molto più bello

Archit:      allora la trovi lei la parola giusta

Pers6:        io? Cosa c'entro io? La teoria è sua

Pers7:        ma che teoria? Ma che clinica e non clinica? State dicendo cose senza senso, vi rendete conto? State discutendo a vanvera. Ma è possibile che dieci, venti, cinquanta, cento persone, insomma tutti quanti siamo, abbiamo la fissazione di essere in un labirinto? Che ce ne sia uno, uno solo, che creda di essere, che so, in un castello tirolese o su un dirigibile? Cose da pazzi, veramente, e noi qui ad ascoltare

Pers8:       forse, se posso intervenire, sarebbe meglio parlare di allucinazione

Pers5:        allucinazione, lei dice?

Pers8:       potrebbe essere un caso di allucinazione collettiva, pensi soltanto a quelli che vedono i dischi volanti

Pers6:        ma i dischi volanti esistono, altro che allucinazione

Pers8:       mi scusi, ma lei non crederà ancora ai dischi volanti?

Pers6:        non è che ci credo. Li ho visti. Con questi occhi

Lettore:     

       e tutto finisce in chiacchiera. (il gruppo si disperde lentamente) Addirittura sui dischi volanti. Argomento deprimente. Per uno poi che ama la fantascienza, come me. La vertigine delle distanze siderali, la tentazione dell'ignoto, il desiderio del futuro, tutto pigiato in una scatola di lucido da scarpe. In un'enorme scatola di lucido da scarpe. Agli inizi si parlava addirittura di piatti volanti. Un'espressione ripugnante. Che evoca trattorie fuori porta. Piatti visti, fotografati. Atterrati. La fantascienza con i piedi per terra. Una farsa. La fantascienza è triste. Le distanze cosmiche sono fisicamente e biologicamente insuperabili. Nessuno arriverà mai da altri mondi su questa terra. Mai, nessuno. Saremo sempre soli. Ma che diavolo succede laggiù? Un'altra manifestazione? Cosa dicono? Fatemi sentire (entra un gruppo che scandisce slogan: "di qui vogliamo uscire, qui non vogliam marcire") un po’ debole come slogan. Certe cose non si dicono, si fanno. E questi? Aspetta, deve essere un gruppetto di coda (entra un altro gruppetto che scandisce: " e una certezza, di qui usciremo, è una promessa vi puniremo"). Niente. Retorica e velleitarismo. Forse sarebbe meglio un po’ d’autoironia: fior di ginestra, l'uscita è in fondo a destra, oppure: non staremo più tanto in questo labiranto, o anche l'inverso: in questo labirinto, non starem più tinto. Chiamala autoironia. Non sono come loro, non sono come loro, e poi penso queste idiozie. Ma forse la stupidità è un momento dello spirito. Inevitabile. Il riposo della mente, come il sonno è il riposo del corpo. Potrebbe addirittura essere una specie di concime. Da cui spunta poi il fiore di un pensiero geniale. E intanto quelli lì continuano a gridare. Ma contro chi gridano? Anche questa è una signora domanda. Chi è che ha messo in piedi questa impresa?  Chi è che ha costruito questo sconfinato serraglio? E perché? (entra un gruppetto di almeno sette persone, compreso il professore). Ogni tanto qualche imbecille tenta di rispondere. Proprio ieri un professore ha tenuto banco per mezz'ora. Un professore vero, l'ha detto lui, di estimo, negli istituti tecnici.

Prof:          (rivolto ad un personaggio) dunque chiariamo bene, lei è di Venezia

Pers9:        no, non sono di Venezia, sono di Fossombrone, ero in gita a Venezia, e a Venezia…

Prof:          ho capito, e adesso è qui. Comunque lei qui viene da Venezia

Pers9:        se vuole

Prof:          Bene, lei invece viene da Alessandria

Pers.10:     Beh, ero nella cantina sociale di Oviglio, sono sceso…

Prof:          ho capito, ho capito, comunque, in provincia di Alessandria

Pers10:      certo

Prof:          lei invece viene da Como

Pers11:      Si, proprio da Como. Ero andato in banca, dovevo ritirare dei documenti dalla mia cassetta di sicurezza, sono sceso nel caveau

Prof:          benissimo, lei invece viene da Modena, e lei da Ravenna

Pers12:      e io da Sansepolcro

Prof:          come da Sansepolcro?

Pers12:      io vengo da Sansepolcro

Prof:          ma era in viaggio dove?

Pers12:      ero a Sansepolcro, dovevo fare una lastra, in ospedale, sono sceso in radiologia

Prof:          questo però complica un po’ le cose

Pers13:      complica le cose? Come?

Prof:          no, io tentavo, è una deduzione che stavo facendo, capisce, sono pensieri che mi vengono, si pensa, non è che abbia delle idee precise. Io partivo dalla pianura padana, perché Venezia, Alessandria, Como, Modena, Ravenna, siamo nella pianura padana

Pers14:      e questo cosa significa?

Prof:          non lo so, non posso saperlo, io dico, partiamo dalla pianura padana, vediamo un po’, ma se lei mi dice: io sono di Sansepolcro, dove và la pianura padana, capisce? È tutto un altro discorso

Pers9:        ma lei che discorso voleva fare?

Prof:          non lo so. Qui si tratta di trovare un punto di partenza, si tratta di organizzare un pensiero, per arrivare a capire, noi qui dobbiamo capire, capisce? E se io dico Venezia, Alessandria, Como, Modena, Ravenna, allora il cerchio si chiude

Pers10:      in che senso?

Prof:          non lo so, comunque il cerchio si chiude, perché Venezia, Alessandria, Como, Modena, Ravenna sono nella pianura padana. Ma se lei dice: Sansepolcro, allora è finita. Sansepolcro non c'entra, capisce?

Pers12:      e allora che faccio? Vado via?

Prof:          ma no, soltanto che il discorso della pianura padana aveva una sua coerenza. Intanto, siamo in pianura. In una grande pianura. Ora, il labirinto si sviluppa incontestabilmente sotto terra, ci siamo arrivati tutti scendendo, e ha tali dimensioni che la pianura padana risulterebbe praticamente un giardino pensile. Di qui allora potremmo partire per…

Pers11:      ma prima di partire, caro professore, facciamoci una domanda elementare, primordiale: come ha potuto essere costruita un'opera di così gigantesche proporzioni?

Prof:          beh, sul piano tecnico il problema è tutt'altro che insolubile

Pers13:      scusate, ma il vero problema che questo labirinto solleva, e a cui non vedo francamente soluzione, è finanziario. Qui siamo di fronte a un investimento di capitali semplicemente astronomico

Pers14:      mi consenta di dissentire. La domanda di fondo, secondo me, è un'altra ancora: a quale scopo? Perché i miliardi, le decine, le centinaia di miliardi si trovano, si trovano anche la migliaia di miliardi. Ma deve essere un investimento economico, quei miliardi devono rendere. E qui cosa rendono? Per un'impresa come questa non trovi, non dico un miliardo, ma nemmeno un milione.

Pers9:        cioè, un'opera del genere, secondo lei, non è realizzabile?

Pers14:      assolutamente

Pers10:      insomma non esiste?

Pers14:      finanziariamente non esiste. Su questo non c'è dubbio

Pers11:      eppure noi siamo qui

Pers14:      questo è un altro discorso. Io parlo da economista. E di scuola classica, modestamente

Pers12:      e io credo che lei si sbagli

Pers14:      dica pure

Pers12:      trovare qualche migliaio di miliardi in un colpo solo è difficile, forse impossibile, sono d'accordo. Ma in duemila anni?

Pers13:      in duemila anni?

Pers12:      signori, noi ci troviamo di fronte ad un'opera colossale di cento generazioni. Ma leggiamo la storia d'Italia, il labirinto è scritto li, questo è il luogo dove si sono trovati, anno dopo anno, tutti i perseguitati di tutti i colori di questo infelice e martoriato paese. Sono le sterminate catacombe di tutti i ribelli, di tutti gli anticonformisti, dell'Italia che nei secoli ha detto di no e ha scavato con le unghie e con i denti, giorno per giorno, i suoi nascondigli, dove i persecutori non potessero raggiungerla, le basi in cui preparare la lotta e il riscatto. Poi lentamente i cunicoli si sono saldati, sono nati corridoi, passaggi, incroci, slarghi, è nato questo che per noi è un labirinto e che invece è un grande monumento alla libertà.

Pers14:      bravo. Ben detto. Lo sa che mi ha quasi commosso? Anche se sono tutte fesserie

Pers12:      come sarebbe a dire?

Pers9:        il signore forse ha esagerato, ma il fatto è che io sono un dirigente della Lanerossi e non ho mai, insomma, non ho sentimenti di ribellione, come dire? Ho sempre fatto il mio dovere, non mi sento un perseguitato.

Pers10:      e anche io, modestamente, sono un artigiano, un corniciaio, non sono mai stato iscritto a nessuno partito. Ho il mio laboratorio, lavoro, ho anche una buona clientela, parecchi artisti.

Pers11:      eh, qui, è un po’ che lo dico, ci vorrebbe un monitoraggio

Pers9:        come?

Pers11:      bisogna muoversi, fare qualcosa. E per cominciare dobbiamo sapere perché siamo qui

Pers9:        no, scusi, non ho capito la parola, come ha detto?

Pers11:      monitoraggio, cioè una verifica, un'inchiesta, che ognuno, insomma, sapere di ognuno

Pers10:      cos'è, ci vuole schedare?

Pers11:      ma no

Pers9:        eh, si, invece, sapere di ognuno, cosa vuol sapere? Questo si chiama schedare

Pers11:      lei non ha capito bene

Pers9:        no, ho capito benissimo

Pers11:      mi scusi, ma il mio è un discorso pratico. Se non sappiamo niente, cosa possiamo fare? E se invece ognuno dicesse di sé, raccontasse tutto quello che…se arriviamo a sapere, questo è il monitoraggio, arrivare a sapere.

Pers9:        ma io non voglio sapere nulla, caro signore, capisce? Lei vuole sapere tutto di me e io non voglio sapere niente di lei, pensi un po’

Pers11:      ma si tratta di mettere insieme una casistica, nessuno le vuole fare l'interrogatorio

Pers9:        ci mancherebbe altro, anche l'interrogatorio, roba da matti, ma si rende conto? Vi rendete conto? Un interrogatorio

Pers11:      allora lei ha proprio voglia di discutere

Pers9:        no, è lei che ha appena parlato di interrogatorio

Pers11:      ho detto che non è un interrogatorio

Pers9:        eh no, caro signore, quando uno dice: non è un interrogatorio, vuol dire che è proprio un interrogatorio. Mi dispiace. E come in diplomazia. Quando dicono: la situazione in Madagascar è intollerabile vuole dire che è tollerabile. Perché se fosse davvero intollerabile, manderebbero le portaerei.

Lettore:      

       e io che credevo di essere capitato in un labirinto. (Il gruppo si disperde lentamente). Sono nei sotterranei della storia. Dici niente. Perché poi, a pensarci, non che ci pensassi spesso, ma un labirinto, davvero, se ci pensi, dovrebbe essere qualcosa di perfetto, un luogo dalle geometrie impeccabili, lucido, liscio, tremendo, pareti bianche, luci gelide, fughe di gallerie come in un gioco degli specchi. Invece qui è tutto approssimativo, improvvisato. Corridoi con soffitti a volta, budelli con travi che scricchiolano, colonne, androni solenni, cunicoli che ci sbatti la testa, dislivelli, scalini smangiati, pareti di mattoni a vista o intonacate o scalcinate, anche i pavimenti, vai per chilometri sul cemento, poi su mattonelle di graniglia, magari scompagnate, poi sul linoleum, e l'illuminazione, tubi al fluoro, globi bianco latte, lampadine da cento candele, da venticinque, da cinque candele, dico cinque candele, e non parliamo dei servizi, tutto un pressappoco, all'italiana, e beh, in fondo, tutti 'sti perseguitati, tutti 'sti anticonformisti erano italiani, e poi cose fuori posto, imprevedibili, inspiegabili, un cavallo a dondolo, cosa ci fa qui un cavallo a dondolo? Una vecchia poltrona da barbiere, un cannocchiale, ho visto persino, appoggiata in un angolo, una canna da pesca. Anche se poi, non lo so, un labirinto vero, col tempo, arriva che dai fuori di matto, tutto efficiente, tutto funzionale, mentre in questo gran sgangheramento ritrovi una dimensione non dico domestica, ma insomma la cosa qui è più a misura d'uomo. E qui si mangia, si beve, si dorme. Per dormire trovi un materasso, un pagliericcio, un sacco a pelo, se lo trovi, qualche volta addirittura una rete, una brandina, una notte ho dormito persino su un'amaca. Ci si arrangia. Ma è tutto un arrangiarsi. È tutto un traffico, un commercio, si compra tutto, si vende tutto, e se no come campi, come mangi? Incontri uno con una borsa, con una valigia, le serve qualcosa? Hanno tutto, panini, pizzette, carne in scatola, tonno, formaggini, würstel, biscotti, vino, ieri sera ho bevuto un gattinara delizioso, e poi lamette da barba, fazzoletti di carta, aspirina, antibiotici, ho visto uno addirittura che si provava un paio di occhiali. Non da vista. Da sole. Quando si dice l'ottimismo. Quello lì era già uscito a metà. (entrano due personaggi) Ma e l'altro, allora, che era uscito del tutto? Uscito. Fuori. Non era un mitomane. Aveva trovato l'uscita. Davvero. E poi.

Pers15:      perché anche l'uscita è un mistero. Come l'entrata. Non ti rendi conto, a un certo momento sei fuori, ma come è successo?

Pers16:      e come era successo?

Pers15:      appunto. Com'è successo? Volevo sapere. Il mistero non mi piace. Ero venuto fuori in uno stadio, grande, vuoto, non so di che città, e ho voluto ricostruire il percorso che avevo seguito, fino alla soglia critica. Sono ridisceso negli spogliatoi, ho cercato, ho cercato, e mi sono ritrovato qui. Ancora qui.

Pers16:      ma in che modo?

Pers15:      non lo so

Pers:16      non è riuscito a..?

Pers15:      no

Pers16:      una bella fregatura

Pers15:      non c'è niente di gratis nella vita. Tutto si paga. Io volevo sapere

Pers16:      ma lei ha pagato per non sapere niente. Dovrebbero darle i soldi indietro (i due si allontanano)

Lettore:

       e io che invece. A me il mistero mi affascina. Peccato. E qui dove vado? A destra. E poi ancora a destra. E adesso qualcosa mi dice che bisogna girare a sinistra. Ma li, guarda lì, una bicicletta, fammi vedere, una Dei, incredibile. Che una bicicletta qui sarebbe parecchio comoda. Solo che con questa dove vai? Senza sella. Non ha neanche la catena. Ma guardala 'sta vecchia Dei. Bella nera. Mio padre aveva una bianchi, pure nera, con stampata davanti l'aquila d'oro. E qua sotto, accidenti, un telefono. Roba di quarant'anni fa, forse più, questo è un modello anni cinquanta. E quella signora che cercava un telefono. Eccolo qua, finalmente. Un telefono d'epoca. Nero come il carbone. Pronto chi parla? Mi dispiace, c'è un errore, non posso parlare, mi hanno tagliato i fili, ma lei da dove chiama? Da Trieste? Un'interurbana per niente, mi dispiace proprio.

       Però questa del nero è una strana storia. Uno inventa l'automobile, la produce, in serie, automobili come noccioline, e come sono? Nere. Uno inventa la macchina da cucire, la disegna, la fabbrica, e come viene fuori? Nera. Uno inventa la penna stilografica, e di che colore è la prima penna stilografica? Nera. Si scopre la forza vapore, si costruisce la prima locomotiva, e com'è quella locomotiva? Nera. E la prima macchina fotografica? Nera. E la prima telecamera? Nera. E i dischi? A 78 giri, neri, a 45 giri, neri, a 33 giri, ancora neri, sempre neri? Ma perché tutto questo nero? Che è un colore scuro, il nero. Scuro e neanche tanto allegro. Però non è detto. Il risotto con le seppie non è niente male. E le sobranie? Chi le ricorda le sobranie? Nere, col bocchino d'oro, tabacco orientale. E un bello smoking quando ci vuole. E l'humour nero. Quella battuta spagnola: fra cent'anni, tutti calvi.

       (Entrano almeno quattro personaggi) Poi certo ci sono anche i momenti neri. Stamattina quel piccoletto, che imprecava conto l'universo mondo.

Pers17:      ma che cos ha? Cosa c'è?

Pers18:      c'è che non voglio essere qui

Pers:19:     eh, caro amico, siamo in tanti che..

Pers18:      ma di voi non m'importa niente. Parlo per me. Non voglio essere qui, io.

Pers17:      se fa così è peggio, si calmi

Pers18:      e quando mi sono calmato, che succede? Sono sempre qui

Pers20:     ma dove qui? Se l'è mai chiesto? Cosa vuol dire qui? E se non volesse dire niente?

Pers17:      beh, però evitiamo di provocare

Pers20:     e chi provoca? Io dico semplicemente che forse il labirinto è lui, è questo signore che protesta, che dovrebbe protestare contro se stesso

Pers18:      cosa dovrei fare, io?

Pers19:      ma che storie racconta, scusi, sta scherzando?

Pers20:     no, sto dicendo che forse il labirinto sono io, è lei, siamo noi

Pers17:      questa poi! Ne ho sentite tante da quando sono qui, ma questa

Pers20:     questa, caro signore, è un'ipotesi

Pers18:      la chiama ipotesi, lei?

Pers19:      scusate, ma non afferro il concetto. Il labirinto è lui, il labirinto sono io, il labirinto siamo noi, cosa vuol dire?

Pers17:      il signore sta dicendo che il labirinto potrebbe non essere un luogo. Se ho colto il senso…

Pers20:     l'ha colto perfettamente. Perché, caro signore, chi l'ha portata qui dentro? nessuno. L'ha spinta qualcuno? No. Ci s'è cacciato lei, da solo. Come me. Come tutti. Ma dove veramente ci siamo cacciati? E se il labirinto fosse un modo di dire: è un po’ che. Non so cosa mi succede. Mi sento stanco, smarrito. Ecco, se il labirinto fosse uno stato d'animo?

Pers18:      e io starei girando da un mese e mezzo in uno stato d'animo?

Pers19:      ma no, no, no, signori, non possiamo andare avanti a raccontarci favole, qui bisogna avere il coraggio di guardare in faccia la realtà. Questo labirinto esiste. Siamo noi che non esistiamo.

Pers20:     come, non esistiamo?

Pers19:      non esistiamo più. Siamo morti.

Pers17:      se crede di essere spiritoso

Pers19:      è una verità amara, crudele, che può fare paura. Ma è la verità. Dopo la morte per qualche tempo, è accertato, si resta ancora nel mondo, ci si muove in una specie di terra di nessuno, noi ora stiamo vagando

Pers18:      sul vagare non ci piove, caro signore, ma io mi sento vivissimo, mi dispiace deluderla

Pers19:      è un'impressione, soltanto un'impressione. Provate a guardarvi indietro, a ricordare. Lei, per esempio, cosa ricorda della sua vita prima di capitare qui?

Pers17:      ma niente, cose di tutti i giorni

Pers19:      ci pensi bene, faccia uno sforzo di memoria

Pers17:      proprio non ricordo niente di speciale. Ah, ecco, si, una stupidaggine, ho tamponato una macchina, un giorno, due giorni prima di ritrovarmi qui, un fanalino rotto, il paraurti ammaccato, ma io non mi sono fatto niente, neanche un graffio

Pers19:      quando uno in un incidente automobilistico non s'è fatto niente è perché o non s'è fatto niente o è morto

Pers17:      ma per quella stupidaggine lei pretenderebbe…

Pers19:      io non pretendo niente. Registro. Lei è morto. Registro il suo decesso

Pers17:      ma che cosa va farneticando?

Pers19:      non s'offenda. Non c'è ragione. Morire non è mica una vergogna.

Pers17:      ma io non sono morto

Pers19:      eh, quante volte l'ho detto anche io! Nessuno accetta la morte. Nemmeno i morti

Pers18:      per favore cambiamo argomento. Sono discorsi che mi fanno venire una malinconia. Sarà perché sono vivo.

Pers19:      vede, anche lei conferma. Non c'è un morto che accetti di essere morto. E' umano.

Pers20:     un accidente!

Pers18:      morto sarà lei!

Pers19:      e no, se sono morto io, siete morti anche voi

Pers20:     ma è ridicolo, signori, non avete un po’ di senso del ridicolo? La situazione è quella che è, capisco, si può anche perdere la testa per un momento, ma c'è un limite a tutto.

Pers17:      oh finalmente, qualcuno che. Ma, caro signore, coma fa a dire che siamo morti? Che questo è un luogo di morte? È tutto il contrario. Questo labirinto è vita. Che cos'è la vita se non un labirinto? Passioni, incertezze, errori, pentimenti, ansie, speranze, andare e venire, perdersi, ritrovarsi, perdersi ancora. Pensateci, amici, no, questo dove siamo noi non è un labirinto, è la vita.

Pers18:      ma mi faccia il piacere anche lei, tutte 'ste baggianate, il labirinto è morte, il labirinto è vita, volete che vi faccia sbattere la testa contro i muri? Ma lo vedere dove siamo, o no? Vedete questi incroci, questi passaggi, e invece di cercar d'uscire, di far presto, perdete tempo a dire un sacco di coglionerie

Pers20:     per favore, moderi i termini

Pers19:      un po’ di rispetto davanti alla morte. (lentamente tutti si disperdono)

Lettore:     

       Ma certo. I morti vanno rispettati. Soprattutto quando sono vivi. Ah, l'architetto! E la sua clinica. In fondo, la follia resta il rifugio più sicuro. Inventarselo, il mondo. Abitare se stessi. Ma a me purtroppo non è dato. Io ho un cervello che funziona. Che connette. Ho pensieri che volano lontano, fino ai confini ultimi. Liberi. Imprendibili. Pensare, sì. Pensare, e basta. Anche se. Una volta, in città, camminavo, ho alzato gli occhi. Quando cammino in città io vedo solo negozi, insegne, portoni. Quella volta, non so perché, ho guardato in alto, e ho visto i palazzi, interi, una sequenza di palazzi, balconi, finestre, cornicioni, comignoli. E il cielo. Una lunga strada turchina. Sembra niente, alzare gli occhi. Era un'altra città, un altro mondo. E io no c'entravo. Mi guardavo intorno. Ero un estraneo. Allora ho toccato con una mano le pietre di un muro. Pietre solide, ferme. Tranquille. E ogni tanto, qui, mi torna in mente quel momento. Toccare le cose con le mani. Sentirne la sostanza, il peso, sfiorarne la forma. Guardarle. Guardare una cosa per quel che è. Senza pensare a quel che sembra. Scoprire che quella cosa significa solo se stessa. Star lì, in silenzio. Goderla.

       Anche questo bel corridoio. Goderselo, tutto diritto, senza dover scegliere. Ma i corridoi, ahimè, finiscono. A destra. A sinistra. A destra. E camminare, sempre, camminare, camminare, con gli occhi fissi laggiù in fondo, se si vede un lumicino. Come nelle vecchie favole. O anche solo un barlume. Da mettersi a correre, e fermarsi, e guardare da sotto, attraverso la griglia, a testa indietro, guardare la gente che passa sul marciapiede. I piedi della gente. Che va di fretta, per gli affari suoi, che non sa di essere libera. Che non sente che chiami, che urli. No, basta, basta. Proibito urlare. Basta. Niente sentimentalismi. Però…e niente però. Sono in zona rischio. È un fatto. Come con quel cieco, l’altro ieri. (entrano tre personaggi, di cui uno cieco, con un bastone bianco e occhiali scuri)

Pers21:      (rivolto al cieco) per lei forse non fa nemmeno una gran differenza. Essere fuori, essere dentro, per uno che, mi scusi…

Cieco:        e no, invece. Qui dentro, non ci crederà, ma è come se ci vedessi ancora meno.

Pers21:      lei ha detto una cosa profonda. Un pensiero filosofico. Lei sente che questo buio è diverso. Certo. Perché è anche un buio dell’anima. Ma, del resto, siamo tutti più o meno ciechi. Io mi accorgo solo adesso, qui di tutto quello che non ho visto della vita, che c’era da vedere, e che scioccamente non ho voluto, o non sono stato capace di vedere. Beh, muoviamoci un po’ (rivolto al cieco) lei dove era diretto?

Cieco:        diretto come?

Pers21:      oh, mi perdoni, comunque andiamo da qualche parte, così, in compagnia, si fanno quattro chiacchiere

Cieco:        no, preferisco fermarmi, sono un po’ affaticato e le dirò che ho anche sonno.

Pers21:      per lei è già notte?

Cieco:        si

Pers21:      ma non notte fonda, sono appena le dieci

Cieco:        beh, per me è tardi, sarà che sono stanco morto

Pers21:      è un peccato però, un vero peccato, perché ci siamo trovati qui, noi tre, e…ma andiamo, su, venga un po’ con noi, poi dormirà, tempo di dormire qui ce n’è quanto ne vuole

Cieco:        si ma io ho camminato tutto il giorno

Pers21:      scusi, mi ascolti, in questo momento ho la sensazione precisa che noi tre, qui, ci può succedere qualcosa, qualcosa di grosso, lo sento, noi tre, questa è la volta buona, ci siamo trovati qui, insieme, in tre, sente che c’è una simmetria? Ma ci deve stare anche lei, è importante, per la simmetria, importantissimo.

Cieco:        che simmetria? Non capisco, cosa vuol dire?

Pers21:      vuol dire molto, vuol dire tutto, lo sento, e glielo chiedo per favore, venga con noi

Cieco:        adesso lei mi mette in imbarazzo

Pers21:      abbiamo una strada davanti, mi pare già di vederla, una strada, davanti a noi tre, a noi tre soltanto.

Cieco:        la prego, non insista, sono veramente stanco

Pers22:     beh, se il signore è stanco…

Pers21:      tutti siamo stanchi

Pers22:     certo, ma ognuno sente la propria, di stanchezza, e se il signore…

Pers21:      allora lei non vuole capire, abbiamo un cieco con noi, questo ci porta fuori, capisce? Questo annusa, fiuta, ha il naso fino, questo è un cane da tartufo, e poi l’udito, ma se l’immagina, lei che orecchio s’è fatto? Questo sente le foglie che si muovono anche quando non c’è vento, questo sente cadere per terra un biglietto del cinema. E quante volte, ci pensa lei quante volte saremo stati a duecento metri, a cento metri, a cinquanta metri dall’uscita e abbiamo sbagliato, siamo andati a destra invece che a sinistra, ma questo a duecento, a trecento metri dall’uscita sente tutto, odori, rumori, vibrazioni, sente, intuisce, ci porta fuori, vuole capirla o no? Questo ci porta fuori, (rivolto al cieco) mi scusi, signore, se parlo in modo un po’ brutale, in fondo dico le cose come stanno, non sono un’ipocrita, e poi le dico un’altra cosa, non s’offenda ma io, non so il signore, ma io posso venirle incontro, se viene con noi, le vengo incontro, non so, mi dica lei, trenta euro? Quaranta? Deve dire lei

Cieco:        beh, quaranta euro…

Pers21:      sono poche? Facciamo cinquanta, in fondo, lei deve solo camminare un po’ con noi, con me, se il signore qui non vuole venire, infatti non vuole venire, e andiamo noi due, cinquanta va bene?

Cieco:        io non so cosa dire

Pers21:      lei non deve dire niente, deve solo venire con me, ecco, salutiamo il signore, arrivederci, e andiamo (si allontanano lasciando il pers22 perplesso, che poi esce da un’altra parte)

Lettore:

       E sono andati. In due. Alla faccia della simmetria. Ma il bello è che quello là non era cieco. Era un bidonista. L’ho saputo dopo. Ne parlavano in un gruppo. È uno che fa i soldi. Col suo bastoncino bianco. Che fregatura. Ma meglio le fregature grandi che le piccole. Come la scaramanzia. Che però mi diverte (entrano quattro personaggi tra cui una donna)

Pers23:     passi, passi pure

Pers24:     no, prego, vada lei

Pers23       non facciamo complimenti, non c’è fretta qui, passi, passi

Pers24:     ma no, vada lei, tanto io sto facendo un giretto, niente, per sgranchirmi le gambe

Pers23:     certo, quattro passi, così, per muoversi

Pers24:     fa dell’ironia?

Pers23:     no, faccio quello che fa lei. Se uno parte con l’intenzione, poi non succede niente, invece se uno va, così, senza impegno, magari

Pers24:     lei è superstizioso?

Pers23:     lei no?

Pers24:     io no. Semplicemente oggi non era giornata. Così sono andato un po’ in qua e un po’ in là

Pers23:     e cosa succede quando è in giornata, visto che è ancora qui?

Pers24:     cosa vuol dire? Se è un giorno buono, parto meglio, vado sereno, che poi trovi è un’altra questione, ma andare decisi, convinti, è già qualcosa

Pers25:      è tutto, caro signore. E le dico di più. Bisogna che tutti i giorni siano buoni. Dipende da noi. Solo da noi. Non dobbiamo cedere. Mai. Dobbiamo comandare noi. Se no siamo perduti

Pers23:     perché qui, secondo lei…

Pers25:      perduti in un altro senso, voglio dire. Perduti dentro. Vede, per me il labirinto…

Donna2:   per carità, non dica quel nome

Pers25:      cosa c’è signora?

Donna2:   la prego, quel nome mi dà un senso di vertigine, non posso sentirlo.

Pers25:      ma ci siamo dentro

Donna2:   lo so, ma a sentire quel nome, mi prende il panico, mi si annebbia la vista

Pers25:      capisco, signora, ma se cominciamo ad aver paura anche delle parole. E comunque, nessuno la obbliga a rimanere qui

Donna2:   lo so, lo so, è che sono arrivata adesso, e questi vostri discorsi mi interessano molto

Pers25:      ma i nostri discorsi sono proprio sul…

Pers23       signore, è inutile che stia ad insistere, se alla signora da fastidio la parola labirinto

Donna2:   oh, ma perché fa così? Questa testa, questa povera testa, che gira, gira, scusatemi, avrei voluto tanto ascoltarvi, scusatemi, addio (ed esce)

Pers25:      allora, dunque, tornando al…

Pers24:     lo dica, lo dica, ora lo può dire

Pers25:      ma io non lo volevo dire. Adesso, perché la signora se ne è andata, non vorrà farmi ripetere sempre quella parola. Dunque, tornando al nostro discorso.

Pers24:     sul labirinto

Pers25:      e lei insiste?

Pers24:     su che cosa, allora?

Pers25:      su tutto. Noi ora siamo qui

Pers24:     nel labirinto

Pers25:      e ci sentiamo sconfitti. Ci pare che tutto sia precario e implacabile. Ci sentiamo orfani. E la fragilità chiede aiuto alla paura. Ecco allora la superstizione. Che finge di rassicurarci e invece chiede sempre nuovi pedaggi, ci corrompe, ci schiavizza. Bisogna alzare la testa, è in questione la nostra dignità. Fortuna, sfortuna, portar bene, portar male, niente, non esistono. Solo noi esistiamo. E dobbiamo essere noi stessi, determinati, fermi, dobbiamo partire sempre con l’intenzione di arrivare all’uscita, sempre, la superstizione è il buio, e noi dobbiamo andar fuori, al sole, alla luce (si abbassano improvvisamente le luci)

Pers23:     accidenti, cosa succede? È mancata la corrente

Pers24:     no, laggiù quel neon è acceso, s’è fulminata qui, questa lampadina qui

Pers25:      porca miseria non si vede un tubo

Pers23:     ma è solo il primo momento

Pers24:     beh, io devo andare, vi saluto

Pers25:      già, è quasi ora di cena, ciao a tutti

Pers23:     sento anch’io un languorino, arrivederci

Pers24:     arrivederci e in bocca al lupo

Pers25:      crepi il lupo (si allontanano in fretta, ognuno in direzioni opposte)

Lettore:

       Scappati, tutti. In dieci secondi. Il deserto. Per una lampadina fulminata. E quel chiacchierone che ripeteva a se stesso: è solo il primo momento, poi ci si abitua. Al buio, certo, ci si abitua. Ma al diavolo? Il diavolo non perdona. Gli basta alzare un dito. Anche solo il mignolo. Perché quel riferimento al buio è stato veramente imperdonabile. Il buio. Le tenebre. Il regno delle tenebre. E chi è il re delle tenebre? Una sfida insensata. O forse soltanto una gaffe. Comunque il diavolo ha mostrato un grande senso della misura. Ha alzato il dito mignolo, appunto. Una lampadina fulminata. Una tiratina d'orecchi. E come si fa a non toccare ferro? Ma ora qui, fortuna o sfortuna, con intenzione o senza, bisogna ripartire, andare avanti. O indietro? Chi lo sa? Si vada comunque. Magari in cerca di un albergo a cinque stelle. Come proponeva quello là (entrano almeno sei personaggi)

Pers26:     signori miei, dobbiamo dircelo tutti i giorni: questo non è un labirinto, questi non sono corridoi, sono strade, tante strade, io mi trovo in una città che non conoscevo, ho perso l'orientamento, non so da che parte andare, ma non devo finire sotto i ponti, capite? Devo cercare un buon albergo, un ristorante come si deve, con camerieri a posto, e magari posate d'argento, sissignori, posate d'argento. Capite, signori? Io mi faccio il nodo alla cravatta tutte le mattine. Perfetto. La mia cravatta è la mia bandiera. Voi mi avete cacciato nel labirinto e io mi faccio il nodo alla cravatta tutte le mattine.

Pers27:      io invece sono curioso. Curiosità ci vuole. la curiosità ci salva.

Pers28:     ma la curiosità qui, siamo mosche impigliate in una ragnatela, a che serve la curiosità?

Pers27:      forse lei non sa che la ragnatela è un'opera d'arte, un miracolo della natura

Pers28:     lo so, lo so

Pers27:      e allora? Non è curioso di osservare da vicino un miracolo della natura?

Pers28:     ma se viene il ragno?

Pers27:      certo che viene il ragno. Viene sempre. Viene per tutti. E io dico: vediamo il ragno, com'è fatto, cosa vuole

Pers28:     cosa vuole? ma il ragno la prende, la fa a pezzi, la mangia e lei finisce in una pancia orrenda

Pers27:      e vedo la pancia

Pers29:     signori, scusate se interrompo questi bellissimi discorsi, ma, a proposito di curiosità, vorrei sapere, se qualcuno di voi lo sa…perché questa dove siamo noi è una macchina che bene o male funziona, ma è una macchina enorme, non può funzionare per inerzia, ci vuole qualcuno che la controlli, che la segua, che intervenga, insomma ci vuole un servizio di manutenzione.

Pers26:     giusto!

Pers29:     e chi è che svolge questo servizio? Ecco, questo vorrei sapere. Chi? Ci sarà del personale. Che deve andare in giro, osservare, riparare, sistemare.

Pers26:     giusto!

Pers29:     e per ragioni più che intuibili questo personale non sarà in divisa o in tuta, sarà vestito come noi, come me, come lei, come lei. Cioè, qui fra noi, uno di noi, potrebbe essere uno di loro

Pers26:     cioè potrebbe essere un infiltrato

Pers27:      che magari ascolta, annota, riferisce

Pers28:     una spia

Pers30:     signori, voi fate un discorso molto pericoloso, spero che ve ne rendiate conto

Pers29:     guardi che è lei che non si rende conto

Pers30:     voi insinuate il veleno del sospetto

Pers29:     ma che veleno, ma che sospetto. Qui si tratta di uscire, d'andar fuori, la vuol capire o no? Se riusciamo a individuare uno di questi addetti è fatta. Senza violenza, per carità, con tutto il rispetto, ma gli si dice: caro, vuoi fare strada? E lui cos'altro può fare? Deve far strada, lui è uno, noi siamo molti

Pers30:     ma se vi sbagliate? Se quello che avete individuato non è uno di loro, ma uno dei nostri?

Pers26:     ce lo dirà

Pers30:     ma voi ci crederete? E se non ci crederete?

Pers31:      un momento, calma. State discutendo tutti per niente. La manutenzione è altra cosa da quel che pensa il signore. La manutenzione si fa per zone. Si isola una zona del labirinto, e vi si fanno tutti i lavori, poi si riapre al pubblico.

Pers27:      beh, al pubblico

Pers31:      insomma, si riapre. Quindi se ne isola un'altra, e così via. Io sono geometra in un'impresa, certe cose le so, ma non c'è bisogno d'aver studiato per

Pers28:     quindi infiltrati, spie

Pers31:      ma che infiltrati, che spie, andiamo!

Pers26:     e io che, scusate, ma avevo già avuto un sospetto

Pers27:      le dirò, anch'io

Pers28:     e anch'io

Pers29:     anch'io

Pers30:     anch'io (si separano ed escono lentamente, da posizioni diverse)

Lettore:

       Gaglioffi. Ma non riuscivo ad indignarmi. Li guardavo, mi veniva da ridere. E chi ride acconsente. A parte il fatto che il geometra, con quella sua impresa. Sapeva tutto. Poche parole, sicuro. Troppo sicuro. E se fosse proprio lui, il geometra, fosse un…ah, l'infame sospetto. Anch'io dunque? Nessuno si salva? D'accordo, sono in prima linea, il nemico è lì, lo vedo. Ma riesco ancora a ridere. Anzi, a sorridere. Anche di me. E qui cos'è sta roba? Ma guarda. Un ciclostile. E chi se lo ricordava, il ciclostile? Con la sua manovella. Civiltà scomparse. La civiltà della manovella. Al liceo con il ciclostile facevamo un giornaletto. Oggi con una fotocopiatrice si potrebbe fare un giornaletto anche qui. Lo scrivi a mano e poi lo fotocopi. Tre, quattro fogli, anche cinque, pinzati. Un settimanale. Con tante lettere dei lettori, annunci economici: si danno lezioni d'inglese, di francese, qui non c'è niente da fare, almeno impari una lingua, offerto di prestazioni professionali: un medico, un avvocato, un barbiere, un sarto, offerti di oggetti: spazzolino da denti come nuovo offresi; occasionissima, nazionali esportazione, sciolte, un euro l'una, cinque quattro euro; cambio confezione da dieci bustine di the con saponetta. Ci sarebbe anche da guadagnare. E il titolo, fammi pensare, ci vorrebbe un titolo, aspetta, potrebbe essere, eccolo, il titolo: il filo d'Arianna. Non male. Niente male. Il filo d'Arianna. Che poi magari qualcuno non capisce bene, cos'è? Una rivista di lavori a maglia? No, il filo non c'entra, cioè, c'entra ma, e Arianna, eh, sarebbe un discorso troppo lungo, comunque non è una rivista di maglieria. Però, un momento, c'è un problema, a che indirizzo li mandi questi annunci? E anche le lettere dei lettori dove scrivi? Come arrivano qui? E poi come fanno a trovarsi, 'sta gente? Niente. Chiuso. Il filo di Arianna non si farà. Però l'idea era buona. Demenziale, ma buona.

       Che poi a me la fotocopiatrice m'inquieta anche. Una volta mi sono fotocopiato la mano. Grandezza naturale. Stupenda. Però, no, aspetta, forse è meglio un po’ più scura. L'Ho rifatta. Ecco, così. Era impressionante. Quasi anatomica. Quasi horror. E poi quel ritmo infernale. Quando capito in una copisteria e vedo le macchine buttar fuori a mitraglia, zan, zan, zan, zan, zan, zan, zan, zan, mi prende quasi l'angoscia. E se non si fermano? E se continuano a copiare, copiare, copiare? Ogni tanto per la strada mi capita di guardare la gente, gli occhi, le bocche, i nasi, quanti nasi ci sono al mondo? Quante bocche? È spaventevole. E la fotocopiatrice li moltiplica, può moltiplicare tutto, una mano, un naso, una bocca, un orecchio, ne può fare dieci copie, cento, mille, diecimila, centomila, un milione, milioni di copie, milioni di nasi, di bocche, di mani, di piedi. È sempre più spaventevole. (entrano un uomo e una donna in una luce di sogno che mimano le azioni che il lettore legge, in stile Charlie Chaplin).

       Ha avuto paura? La capisco. Milioni di bocche, di nasi, di occhi. Ma era solo un piccolo incubo personale. Comunque, mi scusi. E buongiorno. Noi non ci conosciamo, ma ci siamo già incontrati una volta, si ricorda? Le era caduto un guanto e io l'ho raccolto. Non era un guanto? Era un sacchetto di patatine? Lo so, lo so, ma io tentavo di. Comunque, succede molto raramente, qui, d'incontrarsi due volte. Forse mai. Anzi, mai. E invece a noi è successo. Che sia un segno? Ah, di che cosa non so. Ma una cosa so, che ho pensato spesso a lei. Lei a me ha pensato? Un po’? è già abbastanza. E adesso, per festeggiare l'incontro, che ne direbbe di tentare insieme? Io vado sempre solo. Anche lei oggi è sola. Proviamo? Per una volta. In due. Forse lei mi porta fortuna. Ma certo che si può fidare. Non sono armato. Non sono un maniaco sessuale. E non capisco gli stupratori. Se lei non ci sta, che gusto c'è? Allora, si parte? Ma no, se non troviamo, nessuna delusione. Ci fermeremo, lei dirà che è stanca, e io le proporrò: andiamo a cena insieme stasera? Bene, che strada prendiamo? La più corta? Ottima idea. Ma lei da quand'è che è qui? Però! E io, beh, pressappoco come lei. Ecco, ci siamo, qui dove si va? A destra, a sinistra o dritto? Lei cosa consiglia? A destra? E allora andiamo a sinistra. No, non mi contraddico, mi correggo, m'ero sbagliato, sono io che porto fortuna a lei. Dunque le stavo dicendo, che cosa le stavo dicendo? Non si ricorda? Impossibile, le stavo dicendo che lei mi piace. Ma forse l'ho detto troppo presto. Io non ho il senso del tempo, del ritmo. Ma ho un'attenuante, lei mi piace molto. Dica pure, la ascolto, beh, che fosse divorziata non potevo saperlo, ma che non vivesse sola lo pensavo, e che lui la aspetta, e lei deve tornare da lui, non deve, vuole, ha fatto bene a chiarire, e io la capisco, lei vuole tornare da lui, la capisco perfettamente. Ma io, in fondo, non parlavo di lei. Parlavo di me. Di come io vedo lei. Si tratta soltanto di me. Il rischio di innamorarmi di lei è solo mio. Lei, al massimo, può innamorarsi di me. E adesso dritto, poi qui a destra. Ma noi non ci siamo ancora presentati. Come si chiama? Diana. Bel nome. E io Renato. Un nome qualsiasi. Alt! Un momento, misuriamo i passi, forse siamo vicini all'uscita, lo sento. D'accordo, si sente di essere vicini all'uscita almeno tre volte al giorno, ma prima o dopo deve pur venire la volta buona. Anche se stavolta sarebbe meglio dopo che prima. E beh, trovare l'uscita adesso significherebbe perdere lei. Come, quando l'ho trovata? Ma in questo momento, la sto ancora trovando, vedo i suoi occhi, la sua bocca, le sue mani, come muove le mani, il suo corpo, sento la sua voce. E ho paura davvero che stavolta, no, no, non è la solitudine, me lo dicevo anch'io qualche minuto fa, uno è solo, non ha niente da fare, e s'innamora, invece, no, no, è un colpo di fulmine, davvero, non m'era mai successo, mai, è bellissimo, io la guardo e solo a guardarla, ssst! Arriva qualcuno, mettiamoci qui dietro. Niente, hanno girato da un'altra parte. Però, questa sua complicità mi piace. Noi due, nascosti. Le piace nascondersi? Qualcuno ha detto: nascondersi è bello, non essere trovati è terribile. Ma almeno le sono simpatico? Un po’? e qui a destra, ancora a destra. Ma questo cos'è? Inaudito, un juke-box, e magari funziona, accidenti, sì, è un juke-box su misura per noi, cosa scegliamo? Scelga lei. Tocca a me? Già, l'ho visto prima io, dunque, vediamo, ecco, questo, spero che le piaccia, le piace? Un po’? allora, mi concede questo ballo? Il terreno non è ideale, ma lei è una piuma. Si vola. E la solitudine, a lei, non le fa nessun effetto la solitudine? Un po’? si, ha ragione, non dovevo farlo, ma ormai l'ho fatto, eh, no, su questo invece non sono d'accordo, certe cose non è come non fossero successe, va bene, un bacio non è così importante, ma, ecco, due baci, beh, sono già il doppio, e poi tu parli come se io tirassi al bersaglio, tu sei il bersaglio e io voglio fare centro, anche io sono il bersaglio, spariamo tutti e due, ci stiamo innamorando. Diana. No, cara, ci stiamo innamorando. Tutt'e due. Davvero. E poi anche se non fosse vero, è bello lo stesso. Mi guardi in un modo. Non è bello lo stesso? Sei delusa? Tu vuoi che mi stia innamorando sul serio. E hai ragione. Visto che anche tu ti stai innamorando. Come? Ma non capisci che una donna come te deve amare me? Diana, io ti vedo dentro, non c'è niente da fare, tu non puoi amare che me, capisci? Tutto questo per due baci? Beh, adesso sono tre. Ma cambiamo anche la domanda? Come fa una donna come te ad essere di un altro? Non è possibile, non è umanamente possibile. Ma che paura hai? Lasciati andare, guarda giù. È tutta discesa, non vedi? Una discesa dolce, leggera, non c'è bisogno di frenare, non serve a niente frenare, ecco, dai, guida tu, toh, prendi la chiavi, ho parcheggiato, lo sai che non mi ricordo più? Dove ho parcheggiato? Non importa, la troveremo comunque vedi tu, decidi tu, vai dove vuoi, io ti vengo dietro, a destra? Bene, poi a sinistra, bene, poi dritto, poi ancora a sinistra, e adesso dove vai? (la donna esce) Diana? Dove sei andata? Diana, dove ti sei cacciata? Diana, aspetta, ascolta, ti devo dire un mucchio di cose, ti devo, dobbiamo, Diana, ma dov'è andata? Diana, mi senti? Rispondimi, Diana! Diana!.



Donna - Eugenia

25

Personaggio8 - Tiziano

3

Cieco - Stefano

11

Uomo1 - Augusto

20

Professore – Augusto

15

Personaggio21 –Augusto

13

Uomo2 - Mauro

6

Personaggio9 – Stefano

13

Personaggio22 - Marino

2

Ragazzo – Delli

8

Personaggio10 – Mauro

5

Personaggio23- Simona

11

Personaggio1 – Graziella

3

Personaggio11 – Delli

12

Personaggio24 –Nello

13

Personaggio2 – Marino

4

Personaggio12 – Simona

8

Personaggio25 – Delli

14

Personaggio3 – Giulio

10

Personaggio13 – Marino

3

Donna2 – Graziella

5

Personaggio4 – Samuele

2

Personaggio14 - Graziella

7

Personaggio26 – Eugenia

6

Uomo3 – Luciano

10

Personaggio15 – Giulio

5

Personaggio27 – Stefano

8

Donna1 – Simona

3

Personaggio16 - Eugenia

4

Personaggio28 – Luciano

7

Architetto – Nello

11

Personaggio17 - Mauro

12

Personaggio29 – Marino

6

Personaggio5 – Mauro

6

Personaggio18 – Luciano

10

Personaggio30 – Samuele

5

Personaggio6 – Marino

7

Personaggio19 - Nello

14

Personaggio31 - Tiziano

3

Personaggio7 - Samuele

1

Personaggio20 - Tiziano

9

Totale battute

337

Luciano    Stefano   Augusto        Nello  Delli   Giulio            Eugenia         Simona          Graziella       Mauro Marino          Tiziano          Samuele