Introduzione alla vita eroica

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INTRODUZIONE ALLA VITA EROICA

Sei tempi

di ENZO DUSE

                                                                 alla mia Ada

PERSONAGGI

VIRGINIO

MARGHERITA

MATTEO, padre di Virgi­nio

PAOLINA, madre di Virginio

FEDELE, padre di Margherita

ADELINA, ma­dre di Margherita

IL NON­NO

DANIELE

OLIMPIA

VITTORIO

FLORA

ER­MANNO

LUISA

NELLINA

Un ragazzo - Secondo ra­gazzo - Un bambino

Una bambina - Una fioraia - Un invitato

Altri invitati -Coppie d'innamorati

Molti bambini.

L'azione si svolge in una cit­tadina di provincia fra il 1880 e il 1893.

Commedia formattata da

PRIMO TEMPO

(Anno 1880. Ap­pare a sinistra, all'estremo limite dei giardini pubblici, la facciata di una villa. Al centro, una pan­china e un fanale a gas. Vittorio, venti anni, entra dal fon­do in orgasmo; s'av­via alla porta della villa, non osa entra­re; consulta l'oro­logio).

Daniele                          - (trent’an­ni; apparendo, al­legro) E’ questa la casa di Fanone?

Vittorio                         - Le danze sono già co­minciate!...

Daniele                          - Anche voi siete in ritardo?

Vittorio                         - Seccatissimo sono! Suggeritemi, vi prego, una scusa.

Daniele                          - Perché una scusa? Si bussa, si entra, si balla.

Vittorio                         - (trattenendolo) Ma non si può!... E ogni attimo d'indugio è un'offesa alla sposa.

Daniele                          - La dicono bellissima.

Vittorio                         - Siete fortunato a non conoscerla! Ebbe molti innamorati e ha scelto Ermanno. '

Daniele                          - Vi compiango, amico!

Vittorio                         - Perché?

Daniele                          - Siete triste, e voglio darvi un consiglio.

Vittorio                         - In amore? Pazzia.

Olimpia                         - (venticinque anni; giunge di corsa, ridendo) Chi è pazzo?

Daniele                          - Egli è forse solo inebriato.

Olimpia                         - Vittorio! Non dovevate venire!

Daniele                          - Ah, siete il cugino?

Vittorio                         - Mi conoscete?

Olimpia                         - Io gli ho detto i casi tristi del vostro amore.

Vittorio                         - Olimpia!

Olimpia                         - Avete composto i versi?

Daniele                          - Versi per le nozze?

Olimpia                         - C'era la luna stanotte!

Vittorio                         - Me ne vado...

Olimpia                         - (scoppiando a ridere, li prende per mano) Entriamo, suvvia! E baciatemi la mano. A voi quest'altra, su (e poiché Daniele posa le labbra sulla spalla) Ho detto la mano, briccone...

Vittorio                         - Signore, siete un insolente.

Daniele                          - (scherzando) Insolente a me?

Olimpia                         - (tenendoli a distanza) Ora s'azzuffano. Aiuto!

Vittorio                         - Voi mi darete ragione.

Daniele                          - Ai vostri ordini. Pistola o cannone?

Olimpia                         - (ridendo) Pace, suvvia; pace.

Daniele                          - Se pace volete, pace sia. Ma solo per amor vostro.

Vittorio                         - Bene.

Olimpia                         - Vi sareste trovato in guai, ragazzo! Daniele è un celebre spadaccino.

Vittorio                         - (ammirato) Daniele Mignani?

Olimpia                         - L'uomo che non ha cuore; e in mano tiene un fiore e nell'altra una spada          - (sospira). Anch'io l'adoro.

Daniele                          - (le bacia la mano).

Vittorio                         - Tutte le donne vi amano!

Olimpia                         - Ed egli ci sprezza!

Vittorio                         - E' meraviglioso! Ho scritto dei versi sulle vostre imprese. Li conoscete?

Daniele                          - Sono versi di biasimo...

Vittorio                         - Naturalmente. Ma ora che vi vedo...

Olimpia                         - Conquistato! Siete pericoloso, Daniele; an­che pei poeti.

Vittorio                         - (allarmato) Ma, scusate: per ohi siete venuto, oggi?

Olimpia                         - Per la sposa.

Daniele                          - Invitato.

Olimpia                         - Da me. Egli l'ama!

Vittorio                         - Ma se non la conosce?

Olimpia                         - Appunto per ciò sbrighiamoci (e muove verso la villa).

Vittorio                         - (a Olimpia) No. Con le sue arti infernali costui inganna ingenue fanciulle e giovani spose. Ch'egli non turbi Flora. Fate che non entri!

Flora                              - (apparendo a una finestra mentre giungono sommesse le note di un lento valzer viennese) Chi non deve entrare?

Vittorio                         - Flora...

Flora                              - Vittorio, Olimpia: siete in ritardo!

Olimpia                         - Ha composto dei versi per le tue nozze e ce li diceva.

Daniele                          - Incantevole... meravigliosa...

Flora                              - La poesia, signore?

Daniele                          - Voi. (Flora fa per ritirarsi).

Olimpia                         - IP Daniele Mignani, Flora!

Flora                              - (ammirata) In persona?

Ermanno                       - (alla finestra) Con chi parli, Flora?

Flora                              - C'è Olimpia.

Ermanno                       - Olimpia! Sempre in ritardo!

Olimpia                         - Con Vittorio.

Ermanno                       - (abbracciandola) Il tuo poeta, Flora!

Vittorio                         - Bada, Ermanno! C'è pure Daniele Mignani!

Ermanno                       - Mignani?! Oh quale fortuna! Avanti, avanti... (scompare con Flora).

Vittorio                         - La chiama fortuna, il pazzo!

Olimpia                         - Suvvia: entrate...

(Vittorio entra).

Olimpia                         - (accennando a Flora) Vi piace?

Daniele                          - La mia regina rimanete voi... (Entrano).

(Su di un accordo di chitarra ecco giungere di lontano « L'ultima canzone » cantata da un gruppo di giovani. Alla fine del quadro sarà quasi buio. Passa dal fondo una giovinetta con un cesto di viole, sfogliando una marghe­rita; la segue una coppia di giovani innamorati che s'in­contra con un'altra coppia. La scena rimane per un atti­mo vuota. Poi appaiono il Nonno e Margherita che si portano presso la panchina).

Il Nonno                       - Canzoni... innamorati... balli di nozze...

Margherita                    - E' primavera, nonnino!

Il Nonno                       - E' la giovinezza, Margherita! E io, invece, sono stanco. (Siedono).

Margherita                    - Fosti giovane anche tu.

Il Nonno                       - Sì; ma si lavorava ai miei tempi; e il buon costume e la schiettezza erano la nostra prima guida nella vita.

Margherita                    - Io non sono scostumata, eppure...

Il Nonno                       - Dimmi il tuo segreto, Margherita!

Margherita                    - Io non ho segreti.

Il Nonno                       - Ne hai. Ti piacerebbe, per esempio, avere un bel vestito...

Margherita                    - Ah, sì...

Il Nonno                       - Eppoi entrare là...

Margherita                    - Sì...

Il Nonno                       - E ballare...

Margherita                    - Sì...

Il Nonno                       - Con un bel giovane, magari...

Margherita                    - Oh...

Il Nonno                       - Non far l'ipocrita con me!

Margherita                    - (l'abbraccia) Nonnino...

Il Nonno                       - Eppoi andare a casa e prendere legnate tu... e anch'io: per complicità.

Margherita                    - La mamma è severa.

Il Nonno                       - La mamma è la mamma. E quand'era fan­ciulla come te, era come te buona e saggia e andò sposa al giovane che amava.

Margherita                    - Anch'io allora.»

Il Nonno                       - Cosa, cosa? Che grilli ti frullano in capo?

Margherita                    - No, nonnino, no. Non credere che ti nasconda ciò che non va fatto... Sei il mio amico tu... Perché t'ingannerei?

Il Nonno                       - Troppe espansioni! Leggiamo, piuttosto.

Margherita                    - Sì.

Il Nonno                       - Dove siamo rimasti ieri?

Margherita                    - All'Annunciazione.

Il Nonno                       - Avanti.

Margherita                    - (legge) « Sei mesi dopo, l'angelo Ga­briele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chia­mata Nazareth, ad mia vergine fidanzata ad un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. Il nome della vergine era Maria. L'angelo entrato da lei disse: « Io ti saluto, piena di grazia; il Signore è con te...».

Virginio                         - (diciott’anni, è venuto dal fondo, ha consta­tato che il Nonno dorme, e conclude all'orecchio di Mar­gherita) ... tu sei benedetta tra le donne.

Margherita                    - Ah...

Virginio                         - (l'attira a sé) Dorme, come al solito (e vuol baciarla).

Margherita                    - No. Non dovevi venire anche oggi. Ho paura...

Virginio                         - Sui capelli. Così (se la tiene sul cuore; pausa).

Margherita                    - Tu cantavi, prima?

Virginio                         - Sì. Con amici.

Margherita                    - Perché non solo?!

Virginio                         - Si cantava insieme, ma ognuno aveva in cuore la sua stella. La mia stella sei tu.

Margherita                    - Virginio, ciò che facciamo è male.

Virginio                         - L'amore è il più bel dono della vita. Sta scritto anche qui.

Margherita                    - I miei di casa dicono che ho ancora il latte sulle labbra.

Virginio                         - Giovanna d'Arco a diciott'anni comandava un esercito.

Margherita                    - Io ne ho sedici.

Virginio                         - La regina Taitù a sedici anni aveva già un figlio.

Margherita                    - Virginio!

Virginio                         - Anche noi avremo dei figli.

Margherita                    - Prima prenderai la laurea.

Virginio                         - Io sono uno spirito indipendente, rivolu­zionario.

Margherita                    - Ma non guadagnerai denaro...

Virginio                         - Denaro, denaro... Ecco il guaio di voi ra­gazze: vivete in casa e ripetete ciò che sentite dire dai vecchi: denaro!

Margherita                    - Scusami.

Virginio                         - Non volevo mortificarti. Gli è che io ho un progetto.

Margherita                    - Sarebbe opportuno te ne andassi, ora.

Virginio                         - C'è chi sta studiando per dare all'uomo la possibilità di volare. Già te lo dissi.

Margherita                    - Io non capisco queste cose.

Virginio                         - Tu. Ma di questo io mi occuperò. E sarò inventore. Celebre. E tu sarai la mia sposa (riabbraccia). Ah, Margherita, davvero che la vita quando è lotta, quan­do è conquista è un dono divino. L'uomo che vola, l'uomo signore dello spazio, l'uomo che potrà, forse, un giorno, giungere al mistero del firmamento! Da notti, Marghe­rita, consulto fotografie e disegni. Oh, tu non sai il se­greto di quell'ordigno. Orsono pochi giorni si sono fatte nuove prove. Balzi di cinque, di dieci, di cinquanta me­tri. Una cosa ridicola. Papà ride e dice che sono pazzie. Non riderà quando vedrà me, lassù, scomparire fra le nuvole. E tu sarai con me, mia Margherita.

Margherita                    - Tu pensi sempre alla macchina che vola e non pensi a quella che sarà la nostra casa... (e poiché il Nonno si muove) Scappa...

Virginio                         - Demani ancora qui?

Margherita                    - Se non piove.

Virginio                         - E se piove mettiti dietro i vetri della fi­nestra. Io sarò sulla strada. Mi basterà vederti un minuto.

Margherita                    - Si sveglia. Va via. (Siede e legge men­tre Virginio scompare). «Compiutosi per Elisabetta il tempo di partorire, diede alla luce un figliolo... ».

Il Nonno                       - (serrandole di colpo il libro) Basta, ba­sta; abbiamo letto già troppo, oggi.

Margherita                    - Come vuoi, nonnino.

Il Nonno                       - Eppoi s'è fatto buio. Non ci devi vedere quasi più.

Margherita                    - Infatti. (Pausa).

li. Nonno                       - Hai bene riflettuto a ciò che hai letto?

Margherita                    - Sì.

Il Nonno                       - Sapresti ripetere?

Margherita                    - Sì, Ma credo che faremo tardi. (Si alza).

Il Nonno                       - Margherita, perché m'inganni da più di un mese?

Margherita                    - Io... no... ti giuro...

Il Nonno                       - Non giurare. Tu non leggi il Vangelo, Mar­gherita...

Margherita                    - Oh...

Il Nonno                       - E io non dormo.

Margherita                    - Nonno, nonno... (cade in ginocchio).

Il Nonno                       - Sarei stato tanto felice che tu m'avessi aperto il tuo piccolo cuore!

Margherita                    - Sgridami, sì; sgridami...

Il Nonno                       - Ma no! No! Chiamalo, il tuo Virginio...

Margherita                    - (piangendo di gioia) Non posso... Se n'è andato...

Il Nonno                       - Se se n'è andato vuol dire che non ti vuol bene. (Lo cerca). Ragazzo... ragazzo, salta fuori... (Virgi­nio mette fuori la testa) Hai visto? Vieni avanti. Voglio darti un consiglio. Quando piove non metterti in mezzo alla strada! Puoi buscarti un malanno!

Vircinio                         - Mi metterò sotto il portico.

Il Nonno                       - Bene. Poi un'altra cosa voglio dirti: Io sono molto vecchio e può darsi che da un momento all'altro me ne vada. Lascia andare le macchine per vo­lare. Tutte diavolerie! Fatti una sicura posizione per co­glierlo al più presto questo fiore.% che qualcuno non te lo porti via. E' la gioia del mio lungo inverno; e se tu la farai felice... (Brusco) Ma intanto io non so nulla dei vostri pasticci; nulla. A casa, via, a casa, presto... pre­sto... (Esce trascinandosi per mano Margherita. Virginio manda un bacio all'innamorata, si mette il cappello a sghimbescio e scompare cantando « L'ultima canzone »).

SECONDO TEMPO

( Un anno è passato e, alzatosi il sipario, la scena appare divisa in due. A sinistra: salotto in casa di Mar­gherita; a destra: salotto in casa di Virginio; e l'arre­damento deve essere identico. Un pianoforte continua, dal di fuori, «L'ultima canzone». Un attimo, ed ecco apparire nel salotto di destra, adir altissimo, papà Mat­teo, seguito da mamma Paolina).

Matteo                          - Imposture, tutte imposture.

Paolina                          - Non fidarti delle chiacchie­re, Matteo.

Matteo                          - (ha una lettera in mano) Queste sono prove (e le mette il foglio sotto il naso, e la costringe a leggere).

Fedele                           - (appare adirato nel salotto di sinistra) Dalla zia, subito; via di casa. Via!

Adelina                         - Vuoi strapparmi la mia creatura?

Fedele                           - Salvarla, voglio. Non le bastava Virginio! Anche i consigli di Daniele Mignani! Svergognata.

Adelina                         - Se non lo conosce!

Fedele                           - Che venga. Voglio parlarle.

Adelina                         - Ma...

Fedele                           - Che venga! (Adelina esce; Fedele passeggia furioso).

Matteo                          - (strappandole il foglio) Ti convince? Sì?

Paolina                          - Che vuoi dunque fare?

Matteo                          - Frugare ne' suoi cassetti. Amico di Daniele Mignani? E se ne vanta? La frusta gli farò sentire.

Paolina                          - La violenza non ha virtù educative, Matteo.

Matteo                          - E' la migliore delle medi­cine.

Paolina                          - Ma Virginio è figlio no­stro. Non può fare cose riprovevoli.

Matteo                          - Difetti, solo i difetti eredi­tano i figli dai genitori.

Paolina                          - Ai tuoi scolari insegni che per correggere i difetti servono il com­patimento ed il buon esempio.

Matteo                          - Bugie. Alla scuola insegno anche che per arrivare dal punto A al punto B la linea retta è la più breve. Nella vita avviene tutto il contrario. (Siede spossato).

Fedele                           - (fremente apre la porta) Dunque?

(Si ode la voce di)

Margherita                    - No; non voglio, non voglio.

Fedele                           - (urla) Che, non vuole? Che? Debbo venire io? (Ancora la voce dì)

Margherita                    - Piuttosto morire che an­dar dalla zia!

Fedele                           - (esce furioso) Ah, vivaddio... (Allora la voce di)

Adelina                         - (implora) Ti scongiuro, Fe­dele... (La porta si richiude con fra­casso).

Matteo                          - (s'alza di scatto) E poi quali esempi ha il briccone? Quelli di Daniele Mignani!? Egli è un vagabondo. Ha abbandonato la casa per la strada. E dopo le donne viene il gioco, dopo il gioco il furto, dopo il furto la galera, dopo la galera il suic... (la parola gli si tronca: ha visto sul tavolo una lettera; timoroso la prende).

Paolina                          - Una lettera? (Il pianoforte si tace).

Matteo                          - (preoccupato) Chiusa. « Ai miei genitori ».

Paolina                          - Dio, non aprirla!

Matteo                          - Quando è uscito?

Paolina                          - Subito dopo colazione. Oh, Virginio, Virginio mio! (piange).

Matteo                          - (che ha letto; con un gran sospiro) E' stato solo bocciato. Si è rifugiato dalla zia in attesa del perdono (abbraccia la moglie).

Paolina                          - (baciando la lettera) Dio, ti ringrazio.

Matteo                          - (di nuovo sulle furie) Na­turalmente tu lo ringrazi, Dio!

Paolina                          - E' nell'età critica...

Matteo                          - Io non ho conosciuto età critiche. Bocciato, bocciato! Ammazzarsi doveva! Ma sai tu cosa vuol dire: boc­ciato?

Paolina                          - E' tanto, giovane...

Matteo                          - Vuol dire non avere il sen­so della responsabilità, dell'amor pro­prio, dell'orgoglio. E ehi non ha il senso dell'orgoglio precipita. Le chiavi, presto. Dimmi dove tiene le chiavi di questi ma­ledetti cassetti (e cerca buttando all'aria ogni cosa).

Fedele                           - (rientra) Delle minacce? A me? Ebbene: si ammazzi pure.

Adelina                         - Ma sei tu che l'esasperi.

Fedele                           - E tu la rovini!

Adelina                         - Io?

Fedele                           - Con la tua debolezza. A me 1« chiavi dei cassetti; presto: che frughi, che affondi le mani in questa vergogna.

Matteo                          - Queste chiavi, dunque?

Fedele                           - Queste chiavi?

(Breve pausa; poi le due donne agiscono contempora­neamente. Mentre Adelina, sopra una sedia, le cerca dietro un quadro fissato alla parete, Paolina, pure salita sopra una sedia, le toglie dall'alto di un mobile. Fedele e Mat­teo le strappano dalle mani delle mogli e si accingono ad aprire i cassetti).

Matteo                          - (forzando) Guarda cosa fa il briccone invece di studiare: rovina il tavolo col coltellino (ha aperto e butta all'aria delle carte) ... e compone carte geografiche...

Fedele                           - (buttando a sua volta all'aria dei fogli) ...pagine di diario...

Matteo                          - ...disegni di eliche...

Fedele                           - ... una poesia di Vittorio: A Flora...

Matteo                          - ...disegni di macchine...

Fedele                           - ... ancora pagine di diario...

Matteo                          - ...progetto per un elicot­tero. Ah! Prima lo seduceva l'esplora­zione alla vetta dell’Himalaia e mise da parte i denari che ti rubava per scappare di casa: ed io gli ruppi la testa; adesso si fa inventore: e io gli spac­cherò l'osso del collo. (Straccia).

Paolina                          - No...

Fedele                           - Ecco cosa faccio del diario! (straccia).

Adelina                         - No...

Matteo                          - E tu sei complice.

Paolina                          - No...

Fedele                           - Tu sei complice.

Adelina                         - No...

Fedele                           - Sei complice

Matteo                          - Sei complice perché sapevi e tacevi... perché sapevi e tacevi...

Adelina                         - No... (e cade)

Paolina                          - No... (e cade a sedere). a sedere).

(Durante la lunga pausa che segue, un organetto, nella strada, attacca a L'ultima canzone». Ma Fedele e Matteo non hanno tuttavia smesso di frugare, sia pure con calma. Ad un tratto essi hanno gesti di sorpresa).

 

Fedele                           - (ha rinvenuto una scatola) Una scatola?

Matteo                          - (estraendo dal cassetto una scatola) Cos'è?

Adelina                         - Non aprire, Fedele.

Paolina                          - Non aprire.

Fedele                           - Lascia.

Paolina                          - Bisogna rispettare il pu­dore dei figli. Aspettiamo che egli stesso ce ne parli.

Fedele                           - Ah, le lettere! Le imman­cabili lettere!

Adelina                         - Non leggere; sono i suoi innocenti segreti. (Fedele legge).

Matteo                          - Dei fiori secchi?... Dei ca­ pelli? «A Margherita, mio amore». Chi è Margherita? E dei conti! Dei conti!...

Paolina                          - Dei conti?

Matteo                          - (poiché Paolina osserva il quadro che si trova appoggiato sulla mensola) Ma che fai? Che guardi? (Si avvicina al quadro, lo gira; e trova disegnato nel retro un motore. Allora un dubbio lo assale: gira i tre quadri che sono alle pareti, senza staccarli, e appaiono i disegni di altrettanti motori con eliche).

Fedele                           - (che ha letto le lettere) Dalla zia? In collegio andrà! In col­legio!

Adelina                         - Sei impazzito?

Fedele                           - Di matrimonio parla, con quel vagabondo; intendi? In collegio! E tu stessa farai la domanda. Scrivi.

Adelina                         - Ebbene, no.

Fedele                           - Scrivi: «Egregia signora direttrice... ».

Adelina                         - (siede e piangendo scrive).

Matteo                          - (guardando i disegni) Bene: ordunque, a diciottenni ha l'innamorata, si fa bocciare, vuole sposarsi, inventa una macchina per volare e si fa man­giare dei soldi da Mignani.

Paolina                          - Non è vero. Che dici?

Matteo                          - (riprendendo i fogli dei conti) Ecco qua: « Per la costruzione dell'apparecchio, quindici lire a Mignani, sei lire a Mignani, nove lire a Migna­ni... ». E quel farabutto va a giocarsi il mio denaro! Ma ora è finita. Ora lo rin­grazio io, Iddio, di avermi aperto gli occhi. Un anno di esperienza in una offi­cina da fabbro lo farà rinsavire.

Paolina                          - Questo non lo farai.

Matteo                          - Lo farò. Aria, intanto, a queste porcherie... (fa a pezzi il con­tenuto della scatola). Così, così, così...

Paolina                          - E' una crudeltà, povero ragazzo.

Fedele                           - « Ed è per questo, signora direttrice... »   - (e poiché Adelina lo supplica con un gesto a non continuare, imperioso le impone) Scrivi...

TERZO TEMPO

(Altri quattro anni sono passati. Salotto in casa di Margherita; molto probabilmente lo stesso che abbiamo visto nel quadro precedente. Lumi accesi, invitati).

Voci                              - Bravo, bravo... (Applausi).

Uno                               - Evviva papà Matteo!

Tutti                              - Evviva! (Applausi).

Un altro                         - Alla salute di papà Matteo! (e alza il bicchiere).

Tutti                              - Alla salute! (Bevono; pausa).

Uno                               - Ed ora che v'ho detto di papà Fedele e di papà Matteo, esempi luminosissimi di probità, d'onestà, di attività, lasciate ch'io alzi il bicchiere in onore di queste due sante madri, Paolina e mamma Adelina, che tutta la loro vita dedicarono al benessere della fa­miglia.

Il Nonno                       - (seduto su di una poltrona) Evviva le due vecchie! (e ride).

Tutti                              - Evviva!

Un altro                         - Alla salute del nonnine. (Alza il bic­chiere).

Tutti                              - Alla salute! (Bevono; pausa).

Uno                               - E lasciate che brindi, in fine, ai due fidanzati che coroneranno domani il loro sogno d'amore. Fusione mirabile è questo matrimonio di due famiglie perfette. Ci sono figli che creano dissidi fra i genitori, e Marghe­rita e Virginio hanno invece contribuito all'armonia della famiglia; ci sono figli insofferenti della disciplina pa­terna, e Margherita e Virginio hanno ritenuta l'obbe­dienza base di tutte le virtù.

Tutti                              - Bene! (Applausi).

Un altro                         - Alla salute dei fidanzati! (Alza il bic­chiere).

Tutti                              - Alla salute! (Bevono).

Uno                               - Ed ho finito...

Una voce                       - Bravo.

Uno                               - ... ho finito, non senza aver espresso un augurio fervido: che le ferree discipline dello studio, il quale sempre animò il nostro Virginio e gli fece conseguire brillantemente il diploma di ragioniere, possano fargli attingere la vetta più alta. Egli può ben mirare al posto di ragioniere capo della nostra Prefettura...

Tutti                              - Bene... bravo... (Applausi).

Un altro                         - Alla salute del futuro ragioniere capo! (Alza il bicchiere).

Tutti                              - Alla salute! (Applausi prolungati; bevono. Abbracci, strette di mano).

Fedele                           - (abbracciando colui che ha parlato) Grazie, grazie a tutti; anche a nome dei promessi sposi. Sono troppo commosso e non potrei dirvi di più. (Applausi). Grazie. Il nostro egregio cavaliere, consigliere dell'Isti­tuto degli Orfanelli, ha voluto, perché la festa fosse più lieta, offrirci la banda dell'Istituto, la quale si trova nel cortile. Se le signorine voglion fare quattro salti…..

Voci                              - Sì... bene... evviva il cavaliere...

Fedele                           - (rivolto all’uscita) La musica, presto. (Su­bito giungono le note di una polca suonata da trombe; e tutti escono dopo aver stretta la mano ai fidanzati che rimangono soli in scena col Nonno seduto nel suo angolo e che sembra dormire).

Margherita                    - (richiude la porta; le note giungono meno distinte) Signor ragioniere capo... (e ridendo s'inchina a Virginio).

Virginio                         - (scoppia a ridere) Oh! (la bacia).

Margherita                    - Bada. C'è il nonnino che non dorme.

Il Nonno                       - (senza muoversi) Dormo, dormo.

 Virginio                        - E' uno spettacolo di felicità. Deve fargli piacere (e la bacia ancora).

Il Nonno                       - E come!

Margherita                    - Ora vattene. T'aspettano.

Virginio                         - Che aspettino. (Abbracciandola) Così tutta la vita!

Il Nonno                       - Ih ih ih... Bisogna anche lavorare, figliolo.

Virginio                         - Lavorare? Perché? Se sono l'uomo più ricco del mondo!? (La serra fra le braccia ali'altezza delle ginocchia e l'alza. Il Nonno ride. Margherita di lassù gli getta dei baci. La banda si ode ora più distintamente).

QUARTO TEMPO

(Ancora un anno è trascorso. Salotto in casa di Vir­ginio; lo stesso che abbiamo visto nel secondo quadro. Margherita in un largo grembiule accollato lavora presso la tavola. Il lume è acceso. Dopo una pausa appare Vir­ginio, il bavero del soprabito alzato, il cappello in mano).

Virginio                         - Prima delle undici sono di ritorno. (E' alla porta; s'arresta). Addio.

Margherita                    - Le mie serate! Sono povere davvero! Lavorare e aspettarti.

Virginio                         - Tutti lavoriamo e aspettiamo; e t'assicuro che non è più piacevole il mio del tuo lavoro. Ma perché siffatte considerazioni?

Margherita                    - (si alza; appassionata lo abbraccia) Virginio, Virginio...

Virginio                         - Ebbene?

Margherita                    - Tu non mi ami più.

Virginio                         - Ecco una sciocchezza.

Margherita                    - Non mi ami più.

Virginio                         - No, no, le lagrime no... (la fa sedere).

Margherita                    - M'ero illusa di poter essere sempre nel tuo cuore, di vivere sempre vicini...

Virginio                         - Sei nel mio cuore... ma ho una profes­sione, Margherita, e delle possibilità per migliorarla. Devo coltivare delle amicizie... Le esigenze sociali...

Margherita                    - Non so che cosa siano. Ti perdo giorno per giorno; ed è molto triste.

Virginio                         - (rabbonito) Orsù, asciugati gli occhi. In» fine è penoso anche per me lasciarti per ore e ore... Ma se domani dovessi vincerlo per davvero il concorso di Roma? Ci pensi? Sono fra quelli che vantano i titoli maggiori, e tu potrai essere ammessa ai ricevimenti e avrai bei vestiti.

Margherita                    - (s'alza delusa) Oh, che mi può im­portare di allegre compagnie se tu mi manchi!

Virginio                         - La vita, purtroppo, non si vive in due.

Margherita                    - Credevo che così fosse.

Virginio                         - Fu stupido il crederlo. (Con altro tono) Margherita, mia Margherita; io non intendo assoluta­mente sacrificare la riuscita di questo concorso. Cerca di comprendermi! Siamo sposati da un anno. Ho accet­tato di vivere in questi primi tempi di matrimonio nella casa di mio padre. Non è detto che oggi non debba crearmi una vita libera e indipendente. Economicamente indipendente, soprattutto.

Margherita                    - Non te l'ho vietato.

Virginio                         - Ma me lo ritardi con sciocchi capricci. Con mio padre, meno affari ho meglio sic. Altri tempi, altre idee. Lasciami, adunque, conquistare con la pie­nezza dei miei mezzi la mia libertà, che è anche la tua libertà.

Margherita                    - Una volta mi parlavi d'amore.

Virginio                         - (scatta) Ma i conti, piccina mia, non si pagano coll'amore. E qui ce ne sono. Guarda (leva dei fogli di tasca e li getta sulla tavola): conti, conti, conti. Dovremo ricorrere ancora e sempre a papà?

Margherita                    - (spaventata) Tu hai debiti?

Virginio                         - Conti da pagare; per vivere; senza far lussi.

Margherita                    - Ma il tuo stipendio?

Virginio                         - Trecento lire il mese! Ah, potermi libe­rare dall'umiliazione di chiedere sempre! Tutto ciò che mi circonda, qui, « è il frutto delle economie di papà, è il frutto dei sacrifici di papà, e papà non potrà eterna­mente dare». Persino il vestitino che tieni sotto il grem­biule è diventato un'ossessione! « Attenta che non lo sciupi; non lo mettere sempre; è d'una seta fine fine e basta un niente»... Capisci che cosa significhi per me questo concorso? Io debbo, io voglio vincerlo. Oh, il denaro, Margherita, soltanto il denaro crea l'indipendenza. E poi a Roma potrei riprendere i miei studi sulle macchine per volare.

Luisa                             - (appare) C'è il suo papà, signora.

Virginio                         - (seccato) Bene.

Fedele                           - (entra; Luisa scompare) Buona sera, figlioli.

Virginio                         - Buona sera.

Fedele                           - (bacia Margherita sulla fronte) In grem­biule! Non avrai indosso il tuo vestitino!

Margherita                    - No, papà.

Fedele                           - Perché è d'una seta che non scherza. Gran chiasso; ma basta un niente...

Margherita                    - (per troncare) La mamma?

Fedele -                         - Ha un po' di mal di capo. Esci?

Virginio                         - Volevo. Ma oramai...

Fedele                           - Non sono io che ti trattengo?

Virginio                         - Ma no; se pure non disturbo.

Fedele                           - Cos'hai? Cattive notizie del concorso?

Virginio                         - Ci mancherebbe altro!

Fedele                           - Perché? Nella vita, da giovani, meno re­sponsabilità si hanno meglio si sta. Così dice anche papà Matteo.

Virginio                         - Papà Matteo ha quasi sessant’anni.

Fedele                           - Ciò significa che ha un'esperienza.

Virginio                         - Penso, invece, ch'egli ha stabilito dei com­promessi con la vita se ora impreca contro il destino avverso. Ebbene, non è vero. Il nostro destino ce lo creiamo noi. Ed è uno spettacolo supremamente ridicolo sentir vantare, da chi nella vita è caduto, le leggi dell'esperienza.

Fedele                           - Oh, ingrato! Che modo d'esprimerti è co­desto? Per crescerti onoratamente tuo padre ha fatto delle rinunzie.

Virginio                         - Io non intendo farne. Aveva il dovere di pensare a sé, prima; alla sua carriera. Noi non avremmo potuto che goderne.

Fedele                           - E tu vai a Roma. Chi te lo vieta? Ma non hai il diritto di irridere chi all'amore della famiglia, alla dignità e all'onestà ha tutto sacrificato. Oh, vedrai, ragazzo, che non è facile vincere senza stabilire dei compromessi con l'amore, con la dignità, con l'onestà. E allor che ti desterai dal tuo sogno dovrai serrare forte i denti anche tu, stringere i pugni e star zitto.

Virginio                         - Se è questo l'augurio che mi fate vi rin­grazio.

Fedele                           - (battendogli una mano sulla spalla) Ma no. L'augurio che ti faccio è di poter arrivare dove vuoi per rendere felice Margherita. Sono padre e sono egoista. Orsù, abbracciala. Lo vedi com'è avvilita.

Virginio                         - Oh... (prende il cappello e rientra nella sua camera sbattendo la porta).

Fedele                           - Tu non sei felice, Margherita! Meritavi assai meglio d'un impiegatuccio!

Margherita                    - Virginio è giustificato. Il concorso gli sta a cuore. Egli mi diceva la sua insofferenza a ricevere continui aiuti dal padre. Intende col suo lavoro crearsi un'indipendenza economica. Ciò è molto bello. Io sono fiera di lui.

Fedele                           - Tu sei cieca, Margherita, come tutti gli innamorati.

Margherita                    - Sono sua moglie; e non intendo sacri­ficarlo nelle sue aspirazioni. Non voglio che un giorno mi rimproveri, come tu rimproveri oggi la mamma.

Fedele                           - Questo tono con me. Margherita, che t'ho sempre voluto tanto bene!?

Margherita                    - Oh, troppo, papà!

Fedele                           - Mi rimproveri d'essere stato un padre af­fettuoso?

Margherita                    - L'affetto tuo e di mia madre mi hanno viziata. Ora lo comprendo. Se avrò dei figli adoprerò il frustino. Non starò tutt'il giorno a sbaciucchiarli illu­dendoli che tutta la vita possa essere un idillio. La verità è diversa, papà. Lo vedi. Concorsi, affari, conti da pagare...

Fedele                           - Cosicché io e tua madre abbiamo sbagliato; anche quando, per punirti, t'abbiamo messa in collegio.

Margherita                    - Ho passato in collegio i giorni più lieti della mia vita; poiché allora più che mai sentii di quanto affetto ero circondata!

Matteo                          - (entra) Sì può?

Margherita                    - Buona sera, papà Matteo.

Matteo                          - Buona sera. (Depone un plico sul tavolo e si accinge a scioglierlo). Virginio?

Fedele                           - Burrasca.

Matteo                          - Oh, oh... Notizie cattive del concorso?

Fedele                           - (gettando un'occhiata sulla tavola) Conti da pagare, pare.

Margherita                    - Non è per questo. (Prende i conti e li mette stizzita su di un mobile). Manifestai il desiderio che rimanesse in casa. Ciò lo indispettì. Non sapevo di certi suoi affari.

Matteo                          - Oh, oh, Virginio ha degli affari?

Fedele                           - Considera il concorso già vinto.

Matteo                          - (ride) Oh, pazzo! Quel posto significa solo responsabilità.

Margherita                    - Significa anche benessere economico.

Matteo                          - E non sono qua io? Sono vissuto abbastanza io negli intrighi della vita e ne ho parate abbastanza io delle stoccate del destino. Egli non deve provare l'umi­liazione d'abbassare il capo davanti a nessuno. Ho sacri­ficata tutta la vita per questo. Un posto ci sarà, e sicuro; anche per lui. Che abbia un po' di pazienza.

Margherita                    - Prova pertanto l'umiliazione di dover ricorrere a voi, babbo!

Matteo                          - Sono suo padre. Non ha egli confidenza in me?

Margherita                    - Non è più un ragazzo.

Matteo                          - Ma non è neanche un uomo. Che sa egli fare? E' vissuto sempre nella bambagia!

Margherita                    - La colpa non è sua. Lasciatelo libero di destreggiarsi nella vita: che lotti, che l'affronti con la pienezza dei suoi mezzi. Il vostro continuo controllo e il vostro aiuto lo esasperano, lo umiliano. Fate ch'egli sia libero di agire. La riuscita del concorso gli è necessaria per creargli un'indipendenza morale ed economica. Oh, egli vincerà, vincerà. Io lo lascio libero, anche se dovessi rimanere tanto sola ad aspettarlo (è commossa).

Matteo                          - (dopo una pausa) Ragazzi! (Prende i conti, li soppesa, li intasca; chiama alla porta) Virginio... Vir­ginio...

Fedele                           - Io me ne vado. Buona notte.

Matteo                          - Buona notte.

Fedele                           - (dalla soglia ritorna e depone sulla tavola un involto) Tua madre ha fatto la torta di cioccolato. Te ne manda un pezzo. Buona notte (ed esce).

Matteo                          - Buona! (Gli grida dietro) Grazie, neh? (A Margherita, mentre appare Virginio) Si può? (Marghe­rita gli dà un coltello e un piatto). Grazie. (Siede; a Vir­ginio) Torta di cioccolato. (Mangia) Ottima! (Accennan­do all'involto da lui portato) Questa incisione ti pia­ceva... (mangia) ...ma poiché piaceva anche a tua madre " l'ho tenuta nascosta per una quindicina di giorni. A tua madre, finalmente, è uscita di memoria. Te l'ho portata. In camera da letto ci starà bene... (mangia) ... Poi credo che la Luisa potrete tenerla per sempre. Noi abbiamo provveduto a prendere un'altra ragazza. E' meglio che in casa abbiate una domestica pratica e affezionata. (Ac­cende un sigaro) Poi... (estrae di tasca una nota) Ecco qua: pagata all'antiquario la cornice del Napoleone all'isola d'Elba       - (e indica il quadro alla parete); pagata la seconda rata della imposta sulla ricchezza mobile; sal­dato il conto del calzolaio. Questo del calzolaio, siamo d'accordo, è un regalo extra; non farti delle illusioni, bel tomo... (ride). Si ringrazia, almeno, no?

Virginio                         - Naturalmente, papà...

Matteo                          - Oh, oh; il signore è seccato perché mi oc­cupo di lui?

Virginio                         - Non puoi seccarmi; ma non mi giovi.

Matteo                          - Cos'è? Hai dei rimproveri da farmi?

Virginio                         - No, papà. Vorrei... vorrei solo non essere trattato più come un ragazzo.

Matteo                          - (prende sotto braccio Virginio e Margherita, e passeggia) C'era una volta un padre che rinunziò a tutto nella vita, e donò ogni sua energia perché i suoi tre figli crescessero forti, istruiti e con un ricco patri­monio di virtù. Il povero padre pensava di poter dire un giorno: «Oh, mondo cane! Tu dici che sono un buono a nulla? Guarda un po' che tre uomini mi sono fabbricato per la mia felicità! », Invece, cresciuti che fu­rono, i tre figli se n'andarono: uno a cercar fortuna in terre lontane, uno a svelare i misteri delle stelle, uno a combattere per una terra che non era la sua, in nome della libertà! E il povero padre rimase" solo in gran do­lore. Passano gli anni ed ecco che due figli ritornano; perché la fortuna in terre lontane era una chiacchiera, e il mistero delle stelle era rimasto un mistero. Il terzo figlio non tornò più. Era morto in nome della libertà.

Virginio                         - Oh, basta, basta... (siede).

Matteo                          - (lo guarda, poi gli si avvicina; gli mette una mano su di una spalla e seriamente) Dei sogni, dei gesti di ribellione, specialmente da giovani, ne abbiamo avuti tutti. Evadere! Evadere! Una parola abbagliante! Io sognavo di diventare ministro della pubblica istruzione. Sono finito insegnante al ginnasio inferiore. Talvolta serro forte i denti e impreco contro il destino. Ma poi penso che il ministro della pubblica istruzione oggi c'è e do­mani non c'è; e per arrivare fin lassù... beh, lasciamo da parte le maldicenze. Tua madre, invece, è una santa donna; e io posso camminare con la testa alta perché la mia coscienza non ha giocato su compromessi; e come professore delle inferiori tengo un posto ben sicuro che m'ha permesso di far di te un ragazzo libero e indipen­dente. (Passeggia; con altro tono) Oh, oh, tu vuoi vincere il concorso e andartene a Roma? Ma a Roma, ingenuo come sei, ti divorano in un boccone! Eppoi lontano da noi, sempre in pena... No, no. Il posto verrà, buono; e qui. Dà tempo al tempo e misura il passo secondo la gamba. Ecco il gran segreto. E domani venite a pranzo a casa mia... Buona notte - (e si muove per uscire quando appare Luisa con un dispaccio) Cosa c'è?

Luisa                             - Una lettera espresso. (Matteo la prende, ma Virginio gliela strappa; legge febbrile; Luisa esce).

Virginio                         - (ha un gesto di desolazione; si abbatte su di una sedia) Ecco... ora sarai contento...

Matteo                          - (legge) « Impossibile occuparmi al tuo caso. Troppo tardi. Vincitore concorso già designato. Daniele Mignani, segretario del capo di gabinetto ». Chi è il capo di gabinetto? (Nessuno risponde). Chi è?

Margherita                    - Ermanno Valli.

Matteo                          - II marito della bella Flora! (Pausa). Sono contento, sì! Perché questa lettera è l'annuncio d'uno scampato pericolo. Buona notte. (Lo bacia sulla fronte ed esce di corsa, dopo aver invitato Margherita a con­solarlo).

Virginio                         - Ci pensi come tutti rideranno!

Margherita                    - (gli accarezza i capelli) Non riderò io, Virginio. Ma forse tuo padre ha ragione. Non è l'egoi­smo, credi, di averti sempre presso di me che mi fa parlare così. Diamo tempo al tempo. Sei tanto giovane! Per me non devi crucciarti. Ti voglio bene. Usciremo da queste tre stanze quando potremo. Non ho capricci. E se anche la mia vita dovesse essere tutta un sacrificio, un solo tuo bacio mi ricompenserebbe. Guarda. Faccia­mo così (e brucia la lettera).

Luisa                             - (entra) Il signor Berti è giù che l'aspetta per la rivincita al biliardo.

Virginio                         - Di' al signor Berti che sono uscito. (Luisa esce).

Margherita                    - Virginio! Grazie...

Virginio                         - (s'alza e l'abbraccia piangendo) Non mi rimani che tu, Margherita!

QUINTO TEMPO

(Ai giardini pubblici. Un coro di ragazzi: a Gira gira tondo - tondo è fatto il mondo - un po' d'acqua un po' di terra - dal mattin fino alla sera - poi di sera vien la notte - il vin è nella botte... ». Appaiono, silenziosi, Olimpia e Virginio. I ragazzi irrompono sulla scena con grida festose e scompaiono. Una pausa).

Olimpia                         - Allora addio, Virginio.

Virginio                         - (stanco) Addio, signora.

Olimpia                         - La mano?

Virginio                         - (gliela stringe).

Olimpia                         - Un bacio?

Virginio                         - (gliela bacia).

Olimpia                         - Peccato... (sospira). Avreste potuto far molta strada.

Virginio                         - Siete troppo indulgente, signora.

Olimpia                         - Quanti anni avete?

Virginio                         - Trenta.

Olimpia                         - Un ragazzo!

Virginio                         - E non sogno più da tempo!

Olimpia                         - Il matrimonio gioca di questi brutti scherzi.

Vircinio                         - Perché il matrimonio?

Olimpia                         - Immagino un'esistenza cupa, monotona...

Virginio                         - Oh, vi assicuro che spesso è movimentata. Malintesi, bisticci...

Olimpia                         - Forse sono la sola variazione di una nota suonata sempre sulla stessa corda.

Virginio                         - Forse. E, tuttavia, non ho possibilità di essere infelice. Ho una casa, una moglie, due figlioli.

Olimpia                         - Tutte queste belle cose dovrebbero accen­dervi d'entusiasmo per la vita.

Virginio                         - La mia vita non m'appartiene più. Ap­partiene ad essi.

Olimpia                         - Peccato. Vi avrei portato con me a Roma.

Virginio                         - BflRste fatto l'offerta dieci anni fa sarei impazzito dalla gioia.

Olimpia                         - (ride) Oh, povero Virginio...

Virginio                         - (stizzito) Basta commiserarmi (sorride). Finirò per piangere.

Olimpia                         - Ecco quello che succede a un ragazzo di buona famiglia cresciuto fra l'indulgenza dei nonni, il sorriso della mamma e i consigli del babbo.

Virginio                         - E' vero. Tutto ciò era molto noioso, al­lora. Oggi, che per le grandi imprese sognate da ra­gazzo ho dichiarato fallimento, il ricordo di quel tempo torna a me dolce e commosso.

Olimpia                         - La poesia dei ricordi non è una poesia eroica.

Virginio                         - E' l'unica che ognuno di noi può fare a buon mercato. Pensate: la mamma, il babbo, i nonni, la casa... Tutto un programma di buona educazione, con gli orizzonti della vita ben definiti e ben limitati. Eppure Dio mi aveva dato un volto, dell'intelligenza...

Olimpia                         - Bisognava profittarne.

Virginio                         - Sognavo Roma.

Olimpia                         - O Parigi, o le Americhe. Alla ventura. Arrischiare, libero d'ogni vincolo.

Virginio                         - E mia madre? Se i miei figlioli un giorno vorranno andarsene io ne morrò.

Olimpia                         - Allora?

Virginio                         - Allora... (accendendosi) siamo degli egoi­sti; della peggior specie! Appartengo ad una classe so­ciale a cui la peste del pensare solo a se stessi s'è incan­crenita sino all'ossa. Gli affari degli altri non c'interessano se non per farli oggetto dei nostri motteggi, le cose del mondo non ci solleticano; rinserrati bene fra quattro solide pareti - e che il mondo vada cerne deve andare purché ci sia il pane assicurato pel domani, curiosi e gelosi soltanto dei nostri sentimenti nei quali ci mace­riamo morendo alla vita giorno per giorno.

Olimpia                         - Borghesi!

Virginio                         - Borghesi! Il mondo trema di gioia per una grande conquista della civiltà? Noi ci si preoccupa perché il prezzo del pane è aumentato. C'è chi urla di dolore fuori della porta e invoca aiuto? Noi si bestem­mia perché la pace viene turbata, e la sera di Natale è costumanza passarla in allegria. Uno stipendio mensile, una moglie fedele e poter girare per la casa in mutande. Ecco le nostre conquiste!

Olimpia                         - E' bello ciò che dite.

Virginio                         - (con abbandono) Vi prego di scusarmi!

Olimpia                         - Parlate ancora.

Virginio                         - No. Ho messo fuori la testa un attimo dal guscio come fanno quei bei lumaconi di campagna che vivono sui prati sempre all'ombra. Ora, nel guscio, rien­tro; e forse la scarpaccia di un villano, un dì o l'altro, mi schiaccerà. E' il morire eroico riserbato alla gente della mia razza. (Con slancio) Andate a Roma, signora, voi che lo potete. E non pensate che in provincia c'è un vecchio di trent'anni che vive in pantofole, fra il tombolo della moglie e gli errori grammaticali dei figli. Andate, signora. Io aspetto il giorno in cui, per inte­ressamento di papà, che è amico di persone influenti, potrò occupare il posto di ragioniere capo alla Prefet­tura. Addio (e fugge).

Olimpia                         - (sta a guardarlo. In lontananza riprende il coro dei ragazzi. D'improvviso appare)

Daniele                          - Olimpia!

Olimpia                         - Daniele! (Tutta la scena va recitata a tempi serrati). Non slete partito?

Daniele                          - Ho lasciato il posto. Conto d'andare a Parigi.

Olimpia                         - Me lo dite così?

Daniele                          - Vi spiegherò dopo. Scusate: conoscete quella signora laggiù, con quel bambino, vestita di bianco...

Olimpia                         - Quella che svolta a sinistra?

Daniele                          - Vi garantisco che merita una pazzia.

Olimpia                         - Ma è Margherita, sì... Oh, Dio! E io che stavo qui con suo marito!

Daniele                          - Sposata, dunque?

Olimpia                         - A un ragioniere di Prefettura.

Daniele                          - Felice?

Olimpia                         - Ha tutti i desideri delle donne che non hanno mai ingannato il marito.

Daniele                          - Bene! Sono ricchi?

Olimpia                         - Dei buoni borghesi.

Daniele                          - Si gioca nella loro casa?

Olimpia                         - Al gioco dell'oca nelle feste raccomandate.

Daniele                          - Vecchi ce ne sono dappresso, a guardia?

Olimpia                         - Genitori e suoceri.

Daniele                          - E' seccante.

Olimpia                         - Ma così fiduciosi!

Daniele                          - Tanto meglio! Olimpia: ho bisogno di voi.

Olimpia                         - Dico: non mi vorrete far fare...

Daniele                          - Una semplice presentazione.

Olimpia                         - -Andrete a mettere dei malumori in una casa tutta pace!

Daniele                          - Fareste un viaggio a Parigi?

Olimpia                         - E' un invito?

Daniele                          - Chissà...

Olimpia                         - (scomparendo veloce) Margherita, signora Margherita... (la voce si perde).

Una Fioraia                   - (appare con un cesto) Garofani, signore?

Daniele                          - Ma sì. (Le strappa il cesto; getta una manciata di denari; fugge) A voi.

La Fioraia                      - (raccogliendo il denaro in fretta) Po­vero diavolo! La felicità l'ha fatte ingiallire.

SESTO TEMPO

(Lo stessa stanza del quarto tempo con qualche ritocco di novità. E' la sera di Natale e la tavola, al centro, ap­pare imbandita. I lumi sono accesi e la finestra è spa­lancata. Fuori fischia il vento. Da sinistra giungono gli strilli dei due figlietti di Margherita e Virginio. E poi ecco lontano un suono di campane; e poi un altro e un altro ancora: un concerto. Trilla il campanello, una due tre volte. Allora la voce di)

Virginio                         - (si fa udire) Luisa... Luisa... Luisa... (Egli appare in mutande e pantofole accomodandosi la cra­vatta; sacramenta un) ...Accidenti... (e chiudendo' la finestra urla) Luisa!

Luisa                             - O mi occupo dei ragazzi, o mi occupo di lei.

Virginio                         - La finestra era aperta.

Luisa                             - (si accinge a fargli il nodo alla cravatta) C'era puzzo di stufa.

Virginio                         - (poiché trilla nuovamente il campanello) E suonano. Per la quarta volta.

Luisa                             - (lascia il nodo mezzo sfatto ed esce stizzita).

Virginio                         - Oh, dico... (e s'avvia allo specchio quando)

Luisa                             - (entra precedendo due ragazzi che portano uno dei fiori, l’altro dei pacchettini) L'ha ordinata lei questa roba?

Virginio                         - (che non si è ancora accorto della presenza dei due ragazzi) Che roba?

I due Ragazzi                - Buona sera, signor ragioniere.

Virginio                         - (a Luisa) Non Io sapevi ch'ero in questo stato, idiota?

Luisa                             - Se ci sto io a guardarla possono starci anche loro.

Virginio                         - Non è la stessa cosa.

Un Ragazzo                  - Siamo fra uomini, signor ragioniere!

Virginio                         - (seccatissimo) Sì, va bene. (A Luisa) Va a prendere la vestaglia. (Ai ragazzi) Che volete?

Primo Ragazzo              - (offrendo i fiori) Al mio padrone dispiace molto non averla vista oggi. Voleva farle gli auguri per il Natale, così disse; e m'ordinò di portarle questi fiori. E vedi d'esser gentile, aggiunse, chissà che non ti scappi fuori la mancia.

Virginio                         - Il tuo padrone?

Primo Ragazzo              - Il signor Verzi.

Virginio                         - (indossando la vestaglia) Il fioraio? (Luisa via).

Primo Ragazzo              - (gli si avvicina e, misterioso) In confidenza credo che avrà bisogno di lei. Per via di quel pezzo di terra di proprietà della provincia che confina col vivaio. Vorrebbe ingrandirsi. E allora lei... data la posizione che occupa in Prefettura... Ma io non ne so nulla     (depone ì fiori sulla tavola e si ritrae).

Virginio                         - (stordito) E tu?

Secondo Ragazzo         - (avanzando e mostrando i pacchetti) Burro di prima qualità, grasso di montagna e filetti in scatola. Da parte del cavaliere Antonini, con i mi­gliori auguri.

Virginio                         - Il cavaliere Antonini che ha l'appalto del dazio?

Secondo Ragazzo         - (gli si avvicina, misterioso) In confidenza, lei sa che adesso a Porta Nuova il fratello del cavaliere vorrebbe... Lei mi capisce?... Non spetta a me parlar di certe cose... E allora lei... potendo... Ma io non ne so nulla     - (depone i pacchetti sulla tavola e si ritrae).

Virginio                         - (dopo una breve pausa) Ragazzi, qui c'è un equivoco. Ora riprendete la vostra roba...

Matteo                          - (apparendo) La porta aperta, con questo tempo da ladri!

I Ragazzi                       - Riverisco, cavaliere...

Matteo                          - Oh, ciao. (A Virginio) Ancora da vestire? Alle sette? Sempre l'ultimo! (Al secondo ragazzo, cordialone) Come va il nostro caro amico Antonini?

Secondo Ragazzo         - Bene, cavaliere. Aveva mandato questo burro per l'assaggio; ma il ragioniere...

Matteo                          - Sempre eccellente il nostro amico... (An­nusa il burro) Uhm, sopraffino!

Primo Ragazzo              - Il mio padrone, invece...

Matteo                          - ... manda fiori in omaggio al nostro ragionier capo.

Primo Ragazzo              - Con tanti auguri.

Matteo                          - Naturalmente... (Annusando i fiori) La sera di Natale una tavola imbandita e profumata fa allegria. Passavo proprio ora dal negozio per acquistarne ed era chiuso... (Dando mance) Un prodigio di previdenza e di gentilezza, quel caro Verzi. A voi. E divertitevi, che siete giovani. E tanti auguri. (Dà loro uno scappellotto e li accompagna mentre i ragazzi salutano festosi; poi rientra e batte una manata sulla spalla di Virginio ri­masto mutolo e sorpreso) Si comincia, figliolo mio... Tutta gente che si deve levare il cappello quando tu passi. Va, corri a vestirti. Il piccolo Matteo e l'Agnese dove sono?

Virginio                         - (assente) Pregano Gesù Bambino perché mandi l'albero di Natale.

Matteo                          - . Giusto l'albero! (Mostra un pacchetto che ha levato di tasca) Indovina!

Virginio                         - Per me?

Matteo                          - (si fruga in tasca e ne leva un altro pacchetto) C'è qualche cosa anche per te. Biglietti da visita. (Legge) Virginio ecc. ecc. ragionier capo della prefet­tura di ecc. ecc. Col bordo dorato. Finissimi.

Virginio                         - Grazie.

Matteo                          - Sciocchezze. Ma qui? Indovina.

Virginio                         - Un orologio?

Matteo                          - Per Margherita. Mi stava sullo stomaco!

Virginio                         - Hai torto, papà,..

Matteo                          - (mordendosi un dito) Caro mio; una pelle, tuo suocero!

Virginio'                        - Siamo giusti: quando sono nati i bambini me lo regalò lui, l'orologio.

Matteo                          - D'argento! E da un anno me lo rinfaccia (rifacendolo) perché Margherita non può mai sapere l'ora quand'è a spasso con i bambini... (si morde il dito) Una pelle! Eccolo qua l'orologio per sua figlia. E d'oro!

Virginio                         - Se scopri il sentimento che t'ha indotto al regalo se ne urterà.

Matteo                          - (insiste) Oro. E gliel'attacco all'albero! E' venuto?

Virginio                         - Sì.

Mìtteo                           - Un accidente gli fo' fare! Lui argento e io oro! Oh, Luisa... (e scompare).

Virginio                         - (a Luisa) Giusto tu... (si passa una mano agli occhi come a scacciare dei pensieri e parlando dap­prima assai lento) Se credi di fare i capricci in casa mia ti sbagli.

Luisa                             - Ero venuta per far la serva da lei. Solo la serva. Se ora mi nasce di dentro la gelosia...

Virginio                         - (allarmato) Stai zitta, matta.

Luisa                             - (piangendo) Perché la guarda sempre la serva del secondo piano? Perché?

Matteo                          - (che ha udito tutto, riapparendo) Noi sa­remo a tavola e tu non sarai pronto. (/ due si guardano mentre Luisa si asciuga gli occhi; infine Virginio china la testa e lentamente esce). Asciugati gli occhi, ragazza. E vedi di non aggiungere fesseria a fesseria. (Trilla il campanello; Luisa va ad aprire. Matteo se ne esce. Un attimo ed ecco comparire Adelina, agitata, seguita da Luisa).

Adelina                         - Subito; che venga qua subito. Dov'è?

Luisa                             - Nella sua stanza.

Adelina                         - Gli altri dove sono?

Luisa                             - In cucina.

Adelina                         - Di' che l'aspetto. Presto. (Cammina ner­vosa; Luisa via).

Margherita                    - (entrando) Mi vuoi?

Adelina                         - Margherita! (Osservando la sua acconcia­tura) Pettinata così? Anche un fiore sul petto?

Margherita                    - E' Natale. Bisogna essere allegri. E questo carnevale si balla, finalmente!

Adelina                         - (assicuratasi che nessuno giunga la prende per le braccia) Margherita, Margherita! Non devi ve­derlo più!

Margherita                    - Vederlo? Ma che dici?

Adelina                         - Leggimi negli occhi, Margherita; sei ma­ritata, hai delle creature. (A un gesto di Margherita) Non tentare di mentire. So.

Margherita                    - Io non ho fatto nulla di male.

Adelina                         - Ti credo, anima mia, ti credo (e la bacia sui capelli, sulla faccia). Ma sai i doveri di una moglie e di una madre.

Makcherita                    - (con forza, liberandosi di lei) Io non ho fatto nulla di male.

Adelina                         - Vi vedete da quattro giorni.

Margherita                    - Ai giardini. Alla presenza di tutti.

Adelina                         - Appunto alla gente bisogna impedire di mormorare.

Margherita                    - Non mi vorrai costringere a riceverlo in casa.

Adelina                         - . Margherita! Non ti riconosco!

Margherita                    - Neanche io mi riconosco, mamma, tante m'ha mutata questa vita.

VmciNio                       - (entra infilandosi la giacca e attraversa la stanza) Suocera mia! Uhm, anche il fiore (scom­pare).

Adelina                         - (a Margherita che accenna ad andarsene) Ascolta, Margherita.

Margherita                    - Ancora!

Adelina                         - Va dicendo in giro che è tornato per te.

Margherita                    - Questo non m'importa. So che per me rimane.

Adelina                         - - Ma sei dunque impazzita? Un avventu­riero!

Margherita                    - Un uomo che ha vissuto e che non sbriga pratiche di prefettura dalla mattina alla sera.

Adelina                         - Ah! (viene meno ma si riprende). Tuo padre, tuo padre avverto subito; prima che quel pove­retto possa sospettare le tue scellerataggini.

Margherita                    - No, eh; papà no.

Adelina                         - Hai dunque un po' di cuore per tuo padre! E non ti faccio pena io!?

Margherita                    - Mamma, mamma, tu mi fai dire delle cose senza senso. Ma non vedi che in cinque anni non è riuscito a procurarmi una casa con due stanze in più; e siamo in cinque in famiglia, come in un pollaio... Non vedi... (e s'arresta poiché è apparso sulla soglia, solenne, papà).

Fedele                           - (dopo ima pausa, ad Adelina che sta Vi, suppli­chevole) Portala via; portala via. E falla vestire pu­litamente. (Le strappa il fiore e glielo sbatte sul viso; a Virginio che entra mentre Margherita se ne va) Oh, Virginio.

Virginio                         - A momenti i ragazzi sono pronti per l'al­bero. (Vede Adelina turbata) Suocera mia!

Fedele                           - Nervi...

Virginio                         - La sera di Natale?

Fedele                           - Le suocere non hanno nulla di sacro. (Adelina è uscita).

Virginio                         - E lei?

Fedele                           - Io? Vorrei abbracciarti.

Virginio                         - (l'abbraccia) Perché?

Fedele                           - Ti voglio bene, Virginio. Sei tanto giovane e hai fatto tanta strada!

Virginio                         - Se non ci fossero stati lei e il babbo!

Fedele                           - Ho visto l'orologio. Bellissimo.

Vinicio                          - Margherita sarà contenta?

Fedele                           - Margherita? (Pensoso) Già... (e poiché trilla il campanello) Vado io ad aprire.

Matteo                          - (entrando con due vasi di fiori, a Virginio che non sa spiegarsi il contegno dei suoceri) Oh, tu, a proposito: invece di navigare nelle nuvole, vedi se ti riesce di lasciar stare la Luisa. Va bene che a combinare certi pasticci bisogna essere in due, e con quel genere lì è tutto compreso nel mensile, ma insomma.. Ouh! Dormi?

Fedele                           - (spingendo avanti due ragazzini) Avanti, su, coraggio.

Matteo                          - Oh, guarda: Napoleone e Garibaldi.

Nellina                          - (la giovine zia dei due ragazzi) Scusi, sa, ragioniere. Buona sera, cavaliere.

Matteo                          - Ma non c'è bisogno di scusarsi.

Fedele                           - Buona sera, signorina.

Nellina                          - Quest'anno non s'è fatto l'albero. E' tutt'il pomeriggio che strillano per vedere quello che han preparato loro.

Fedele                           - Cioè quello che ha mandato Gesù Bambino. (Si prende in braccio il ragazzo e andandosene) Vedrai com'è bello! 'Con tanti palloncini!

Matteo                          - (prendendo in braccio l'altro ragazzo e uscen­do) Palloncini e sonagli e cioccolato... Uh, come pesi! (Si odono i bambini piangere). Senti che concerto! (Chiude la porta; pausa breve).

Nellina                          - (a Virginio che, assente, sta attizzando il fuoco) La signora sta bene?

Virginio                         - E' lei? Scusi. Sta bene, grazie.

Nellina                          - Lei è stato via, signor ragioniere?

Virginio                         - No. Perché? Prego; s'accomodi (e continua ad attizzare il fuoco).

Nellina                          - Non la vedevo da tre giorni, e allora...

Virginio                         - Forse l'ufficio...

Nellina                          - Già. Che carriera farà lei!

Virginio                         - Non pensiamoci.

Nellina                          - Penso alla consolazione che ne avrebbe la sua povera mamma.

Virginio                         - Già. Io, invece, mi convinco ogni giorno più che certe miserie vai meglio guardarle dà lontano. (Giunge come un'eco una breve frase de « L'ultima can­zone »). Zitta. Ascolti... (Pausa). I sogni della giovinezza, signorina, finiscono sempre in ufficio, con le mezze ma­niche per non macchiare i polsini, e con in testa la pa­palina... Aggiunga per molti un bel paio di corna, e là: «Sorrida, signore!». Uno, due e tre. La fotografia è fatta!

Nellina                          - Cosa dice?

Virginio                         - Malinconie d'una sera di Natale.

Daniele                          - (elegantissimo, apparendo con dei fiori) E' permesso?

Virginio                         - (con slancio) Oh, Mignani! Qual buon vento?

Daniele                          - Vento di Natale.

Virginio                         - Sei in cerca di un rifugio? Rimani.

Daniele                          - Grazie; scherzavo.

Virginio                         - Daniele Mignani, la signorina Nellina Gucci... (inchini). Ti credevo a Parigi.

Daniele                          - (mostrando un guanto bianco) Lo riconosci?

Virginio                         - Il guanto di Margherita!

Daniele                          - Passeggiavo ieri per i giardini e lo rinvenni su di una panchina. Ci sono le iniziali.

Virginio                         - Margherita ti sarà riconoscente. E' un regalo cui tiene molto. Ieri tornò a casa disperata. Ora te la chiamo. Margherita...

Nellina                          - Arrivederla, signore (e va alla ricerca dei bambini).

Virginio                         - Non ti dico il gran lavoro per far l'albero ai ragazzi. (A Nellina) Per di qua, signorina.

Nellina                          - Grazie. (Via).

Virginio                         - Ne ho due, sai.

Daniele                          - Non li vidi mai, ma se vi somigliano...

Virginio                         - Oh, due amori. (Chiama) Margherita... (Ad Adelina che appare) Margherita dov'è? (Presenta) Scusate: mia suocera, Daniele Mignani. (Pausa. Adelina guarda Daniele). Beh, incantata anche lei? (e ride).

Adelina                         - Vado ad avvertire.

Virginio                         - Pericoloso anche alle suocere; canaglia(e gli dà un buffetto).

Daniele                          - Tutte calunnie, t'assicuro. Sono vecchio e stanco.

Virginio                         - E allora siedi.

Daniele                          - Grazie (e non siede). Sai? Oggi è morto Vittorio. Il poetino biondo. Non lo conoscevi? Eh, già; anonimo anche lui! Lui con i suoi sospiri alla luna: io con il mio mantello da moschettiere in ghette. Anonimi!...

Virginio                         - Davvero non ti vuoi fermare per la cena? Se sei solo!

Adelina                         - (comparendo) Margherita si scusa; ma fu colpita improvvisamente da un forte mal di capo; e sta riposando.

Virginio                         - Oh... Un attimo -, ti prego - (e si muove, ma subito! ritorna presso Daniele e si fa dare il guanto e i fiori) Posso?

Daniele                          - Naturalmente. Con i migliori auguri. (Vir­ginio esce).

Adelina                         - (dopo una pausa) Signore; Margherita, come tutte le spose e come tutte le madri, ha dei do­veri e delle responsabilità. Sarei per pregarla di accet­tare le mie parole come un consiglio, non come un rimprovero. La prego. E, d'altra parte, Virginio è così fiducioso e lei gli è così amico! Veda di comprendermi; e se davvero, in coscienza, da uomo d'onore, lei non m'avesse intesa, non mi chieda spiegazioni...

Virginio                         - (rientrando) Davvero non si sente bene. Ha gli occhi arrossati. Deve aver pianto. Mi disse di la­sciarla in pace.

Adelina                         - Non preoccuparti. Passerà. Signore... (esce).

Virginio                         - La prima volta che vieni in casa mia non sei fortunato!

Daniele                          - Non ti crucciare. Fortuna è già il rivederti. Vedrai che la signora verrà a tavola forse del tutto rista­bilita. Non hai sentito tua suocera? Passerà. E, in fondo, sai, non ci sono che le madri a conoscere bene certi malanni.

Virginio                         - Già. (Allegro) E i mariti sempre gli ultimi!

Daniele                          - Ecco.

Virginio                         - Un marsala lo prendi, però.

Daniele                          - No. E' già tardi...

Virginio                         - Un marsala, sì. (Alla porta) Luisa, porta due bicchierini.

Daniele                          - Carina questa tua casa.

Virginio                         - Siedi. Un po' piccola. Ma col tempo, chissà...

Daniele                          - Alla fine è tutto questione di tempo.

Virginio                         - (a Luisa che reca il servizio' e se ne va) Metti qui (e serve). Tempo e tenacia.

Daniele                          - T'invidio.

Virginio                         - Una volta non t'avrei creduto. Oggi sì.

Daniele                          - Vedere amici sulla via della felicità è tanto raro quanto confortante. Perciò t'invidio.

Virginio                         - Oh, Dio! La vanità di sentirsi considerati qualche cosa; il piacere di poter conteggiare, maneggiare qualche biglietto da cento guadagnate. Si ha un bell'esser rivoluzionari, ma davanti a gente che ti prende in consi­derazione, che ti commette affari delicati, che si leva il cappello per la prima e si raccomanda...

Daniele                          - E poi la famiglia.

Virginio                         - Ecco. Eh, davvero il matrimonio è l'avven­tura di tutte le esperienze.

Daniele                          - Dà la coscienza della responsabilità.

Virginio                         - Ecco. La coscienza della responsabilità. Da ragazzi si sorride a queste grosse parole; e tu stesso orai hai una cert'aria canzonatoria...

Daniele                          - Hai torto di crederlo (e beve).

Virginio                         - Va là che non devi aver rimpianti. Appar­tieni alla classe dei fortunati.

Daniele                          - Fortune fittizie.

Virginio                         - Oh, Dio! Mignani imborghesisce (e ride).

Matteo                          - (allegrone, apparendo) Caro Mignani! (Ha una gran barba finta in mano).

Daniele                          - La trovo splendente, cavaliere.

Matteo                          - Grazie. E se ne consoli. In fondo, imborghe­sire è l'aspirazione di tutti i rivoluzionari.

Daniele                          - Io fui soltanto uno sfaccendato1.

Virginio                         - Se sei arrivato al mea culpa, parola d'o­nore ti do un bacio.

Matteo                          - (al figlio) Bravo. Lo riconosce più questo mio figliolo?

Daniele                          - Ha avuto la fortuna d'innamorarsi d'una donna sola.

Matteo                          - Ha avuto la fortuna d'avere un padre come me. (Si versa da bere il marsala in un grande) bicchiere).

Virginio                         - Prendi un bicchierino.

Matteo                          - La sera di Natale ci si può permettere tutto. E, perdio, me lo sarò ben conquistato il diritto di bere, se mi talenta, anche nella tinozza! Alla salute, Mignani! (e alza il bicchiere. In questo momento Nellina attraversa la stanza ed esce dalla comune). Beva anche lei signo­rina, qua.

Nellina                          - No, grazie.

Daniele                          - Levo l'incomodo.

Virginio                         - Proprio non ti fermi?

Daniele                          - Parto.

Virginio                         - Per Parigi?

Daniele                          - Parigi o Londra non so. Debbo partire.

Matteo                          - Eh, quando s'è molto vissuto si cercano sempre arie nuove.

Daniele                          - Ecco.

Virginio                         - Ritornerai presto?

Daniele                          - Dipende.

Matteo                          - Affari diplomatici?

Daniele                          - Diciamo diplomatici. Un abbraccio?

Virginio                         - (abbracciandolo) Addio, Daniele.

Daniele                          - E ossequi e auguri alle signore.

Matteo                          - (stringendogli la mano) Lei va a Parigi, io vado a mettermi la barba per fare il vecchio Natale.

Daniele                          - Potessi mettermela io quella barba! Cava­liere... Addio, Virginio (esce in fretta)-

Virginio                         - Buon viaggio. (Pausa).

Matteo                          - Ti ricordi che la compagnia di Mignani fu la causa della tua andata in collegio?

Virginio                         - Fu sempre un ragazzone calunniato.

Matteo                          - Tutto spuma e poca sostanza.

Virginio                         - Cattive azioni non ne fece mai.

Matteo                          - Ma neanche di buone.

Virginio                         - Ti sei fissato con lui. Il suo addio, invece, mi rende malinconico.

Matteo                          - Adesso lavora?

Virginio                         - Farà una magnifica carriera diplomatica.

Matteo                          - Glielo auguro. Ma la parola stessa, diploma­zia, non mi dà affidamento. Ha una casa? Vive per le locande. Ha una donna? Ha delle donne. Ha del denaro? Lo sciupa. Si gode la vita? Parole. Ci son cento modi per goderla. Il tuo vale gli altri novantanove. Lavorare senza rischio, nella tua casa ben chiusa alle insidie e alle furfantaggini, con qualche biglietto dalla parte del cuore.

Virginio                         - Forse, babbo, hai ragione. A trentadue anni occupo un posto preminente in città, ho una moglie, dei figli, una casa mia; per questa sicurezza, per questa tranquillità, ti debbo molto: tutto (e gli apre le braccia; e suo padre lo abbraccia).

Matteo                          - Vado a mettermi la barba. E al momento buono spegni la luce. (Via da destra borbottando con voce cavernosa) Il vecchio Natale s'avanza!...

Nellina                          - (entra affannata e sconvolta; non può par­lare).

Virginio                         - (le corre appresso) Che ha? Che ha? Parli.

Nellina                          - Che cosa orribile...

Virginio                         - Parli, in nome di Dio!

Nellina                          - Mignani... arrestato.

Virginio                         - Che?

Nellina                          - L'hanno arrestato, subito fuori della porta. E' inutile che vada. Se lo son portato via in carrozza. L'attendevano sulle scale.

Virginio                         - Ma non è possibile.

Nellina                          - Ho sentito parlare di bancarotta fraudo­lenta... Che cosa orribile!

Virginio                         - (si precipita alla finestra, l'apre; il cielo è stellato; s'ode un concerto di campane in lontananza e poi la voce di Matteo: « Il vecchio Natale s'avanza... ». Richiude la finestra mentre le tende dell'arcata di si­nistra s'aprono e attraverso la porta a vetri, che rimane per un attimo aperta, entrano i ragazzi e i bambini a passo di marcia cadenzata dalla voce di Fedele: « Uno­due ». Essi attraversano la stanza seguiti da Luisa che apre le tende dell'arcata di destra, li fa passare nella stanza di fondo, li fa sedere su delle sedie e con la schiena rivolta al pubblico e spegne la luce nel tinello. Frattanto Nel­lina avrà fatto ritornare nella cucina, che si scorge oltre Varcata di sinistra, Fedele e Adelina e adesso sta loro rac­contando dell'arresto' di Mignani. La notizia è accolta con gesti di sorpresa e di gioia, tanto che Adelina, versato del liquore in bicchierini, offrirà per brindare. Nellina rimarrà sconcertata e a poco a poco scomparirà nel quadro. Nella stanza dove sono i bambini ecco Luisa mettere un disco sul fonografo, e diffondersi le note d'una canzone di Natale; e poi apparire Matteo con la barba, avvolto in un grande lenzuolo bianco, trascinando davanti ai bam­bini l'albero tutt'illuminato che scorre su quattro ruote. Anche Margherita è apparsa nella penombra del tinello).

Virginio                         - (la vede e) Margherita. (Margherita non risponde). Margherita, sono  qui.

Margherita                    - (alludendo a Fedele e Adelina) Che fanno? Bevono prima di cena?

Virginio                         - Tuo padre e tua madre non sono generosi.

Margherita                    - Generosi?!

Virginio                         - Brindano a Mignani che è stato arrestato. (Margherita è come fulminata; non dice una parola). Usciva 'di qui. L'aspettavano. Se lo son portato via. Ban­carotta fraudolenta, pare. Povero disgraziato! E poco fa era qui; pareva sereno. E tuo padre e tua madre ora brindano e ridono perché va in galera. Ma è il trionfo della giustizia! E finiremo col bere anche noi, anche se ci era amico!

Margherita                    - (scoppia in pianto; gli si butta ai piedi) Virginio, Virginio...

Virginio                         - (l'afferra per le spalle; non comprende bene cosa sia accaduto o che cosa sia per accadere. Nella sua voce c'è stupore, invocazione, paura) Margherita!... (e poiché i singhiozzi di Margherita si fanno disperati egli si limita a dire) Sta zitta. Ci sono i bambini. (Ma non saprà mai, non vorrà mai sapere la ragione di quel pianto. A che scopo? Eppoi no. Margherita non può aver commesso delle bassezze. Lo ama. E lui non l'ha mai amata tanto, non ha mai sentito così vivo il possesso di lei come in questo momento. Fra una settimana, forse domani, le comprerà un cappellino nuovo, e le parrà, con l'offerta di quel dono, di seppellire tutto un passato. Ma, intanto, è lì, impietrito, e Margherita a poco a poco si placa. Allora si apre la: porta dell'arcata di destra e si ode la voce di Nonno Natale... così passò la giovinezza, e venne la tarda età. E il povero padre, curvo per gli anni e le fatiche, giunse a morte. La sua fu veramente una vita eroica... (Ecco però che, d'improvviso, uno dei piccoli spettatori, che s'era staccato dal gruppetto e s'era portato dietro a Nonno Natale, con mossa rapida strappa a questo la barba. Un coro di proteste s'eleva allora dai piccoli) Uh, uh, bugie, bugiardo, non è vero, ha la barba finta, andrai all'inferno... (e l'allegra girandola si conclude con l'assalto alle leccornie dell'albero di Natale. Virginio e Margherita sono ancora immobili).

FINE