Jeronimo

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JERONIMO

Un atto

di Ermanno CARSANA

da IL DRAMMA n. 373 - Ottobre 1967

PERSONE:

JERONIMO

LOLA

ORVIETO

L'ORATORE

e poi alcune voci: un signore, due donne, un uomo.

(Stanza di Jeronimo. Un ampio divano coperto di libri, giornali, stoviglie, indumenti, avanzi di pasti affrettati: tutto nel più caotico disordine. In fondo un balcone con ringhiera. Da un lato una cassa-panca e un grande specchio. Il resto della stanza è in ombra. Jeronimo è disteso sul divano. Fuori qualcuno batte alla porta. Colpi sempre più forti).

Voce di donna(vibrante, in ansia)  Signor Jero­nimo... Signor Jeronimo, mi apra... Perché non ri­sponde? Si sente male?... (Implorante, quasi an­gosciata) Signor Jeronimo... Signor Jeronimo...

Jeronimo        (contemporaneamente, incurante, come se non sentisse)  Oh, se la mia parola fosse mu­sica, e la musica colore, e il colore continuamente mutasse secondo il ritmo della mia parola... Vorrei poter dipingere i pensieri notturni, e il lento rumo­re della pioggia, o magari le pietre smaglianti di un fondo marino perdute nella magica danza di erbe verdastre...

(I colpi alla porta e la voce di donna cessano)

L'universo è troppo angusto per il mio desiderio, mi sento soffocare come in un sarco­fago... (Si alza bruscamente) Potessi almeno rea­lizzare una sola delle mie aspirazioni. Ecco; mi basterebbe essere imbianchino. Prenderei allora un grosso pennello e tingerei d'azzurro tutto il mondo, tutto, completamente. Farei azzurre le case, le montagne, i campi, i fiori; ed anche i preti tingerei d'azzurro, e le monache, e il fuoco, e i becchini... Solo le donne belle le farei di un te­nero color pervinca per poterle distinguere da quelle brutte, turchinicce. Ma tutto il resto d'un azzurro uniforme... Me stesso invece mi tingerei di rosso. Io solo rosso come un bel papavero...

(Emerge dal buio Orvieto, avvolto in un tabarro)

Orvieto          (quasi bisbigliando)  Ma lei, signore, è di un egoismo mostruoso.

Jeronimo       E lei come si permette di dire la verità?

Orvieto         Veramente credevo che fosse lecito.

Jeronimo       Non dica sciocchezze. E poi che cosa vuole da me? Come ha fatto ad entrare qui senza far rumore? Non sarà mica un fantasma?!

Orvieto         Qualche volta, signore. A tempo perso.

Jeronimo       Spiritoso!... Fosse almeno un fanta­sma poetico.

Orvieto         Non pretendo tanto, signore. La mia indole è naturalmente portata alla modestia.

Jeronimo       Con quell'aria compunta sembra quasi che dica sul serio.

Orvieto         Ma signore, le giuro che...

Jeronimo        (interrompendolo)  Lasci stare i giu­ramenti. Li conservi per sua moglie quando torna a casa ubriaco.

Orvieto          (indignato)   Io, per sua norma, non mi ubriaco mai.

Jeronimo       Male! Ed ora se ne vada per favore: sono molto occupato. E poi la sua presenza spac­ca  il   mio  mondo  interiore  come  un  cocomero.

Orvieto         Non capisco, signore.

Jeronimo        (spazientito)   Ho detto che per colpa sua mi sento come due metà di me stesso. Ha ca­pito ora?

Orvieto         ... No.

Jeronimo       Se lei fosse un angolo, sarebbe certa­mente un angolo ottuso.

Orvieto         Se non sbaglio lei mi sta offendendo.

Jeronimo       Perbacco! non credevo che avesse un intuito così pronto. Ed ora le dispiacerebbe di andarsene? Ho una infinità di cose da fare. Buon giorno.

Orvieto         Buona sera, signore. (Indietreggia scom­parendo nel buio).

Jeronimo       Buon giorno... Uff, che seccatore! Dun­que, dove ero rimasto? Ah sì, ricordo: io rosso e tutto il resto azzurro. Che bellezza sarebbe! Il mondo avrebbe la morbida trasparenza di un acquario ed io potrei guizzarvi, sospendermi, pi­gramente calare come un magnifico solitario pe­sce rosso. (Grida)  Ah, il mio genio! il mio genio! Bisogna distruggere il tempo e lo spazio, buttare tutto l'universo dentro un calderone e poi mesco­lare furiosamente... Oh sì, sì, sì, allora sì. Seduto in mezzo a questo nuovo caos quanto mi divertirei a comporre e decomporre mondi come con un gi­gantesco meccano. Costruirei mondi strani e bel­lissimi e una volta fatti li distruggerei per poi rifarli, sempre nuovi, sull'ala della mia fantasia... Oh, poter essere solo per un quarto d'ora un vero creatore...

(Riappare Orvieto vestito da prete).

Orvieto         Ma questa, figliolo, è sconfinata super­bia. E la superbia è peccato mortale.

Jeronimo        (irritato)   E lei che cosa fa ancora qui?

Orvieto         Il mio dovere, figliolo. Semper et ubicumque, come dicono i testi.

Jeronimo       E perché si è vestito a quel modo?

Orvieto         Per sentirmi in carattere, signore. Pen­savo anzi che mi avrebbe approvato.

Jeronimo        (violento)   Vattene, prete. Lasciami in pace.

(Alle spalle di Orvieto appare Lola, in tutù da ballerina).

Lola               Ma noi non le daremo nessun fastidio, signore.

Jeronimo        (stupito)   E questa chi è?

Orvieto         Mia sorella.

Jeronimo       Beh, per essere la sorella di un prete non c'è male. Come ti chiami?

Lola               Lola.

Jeronimo       E fai la ballerina, vero?

Lola               Come ha fatto ad indovinarlo?

Jeronimo       L'ho letto nelle tue pupille. Lola, tu sola forse potrai comprendermi.

Lola               Farò del mio meglio, signore.

Jeronimo        (improvvisamente ad Orvieto)  Sei furbo, prete; sei maledettamente furbo.

Orvieto         Tutt'altro, signore, benché qualche vol­ta mi piacerebbe di esserlo.

Lola               È ingenuo come un bambino, signore.

Jeronimo       Non me la fai, gallinella:  sei ancora troppo giovane. Quanti anni hai?

Lola               Diciannove, signore.

Jeronimo       Poveretta, chissà quanto devi soffrire.

Lola               Perché?

Jeronimo       Perché sei così giovane.

Orvieto          (enfatico)   Al contrario, signore. La sua è l'età più bella.

Jeronimo       Retorica! La retorica dei diciott'anni; la conosco bene. La primavera della vita, l'amore, le speranze in fiore... favole disgustose messe in giro da vecchi gaudenti. E sapete quale conclu­sione traggono? Se avete tante belle cose, che al­tro andate cercando? Io a diciott'anni ero molto infelice.

Lola               Io provo solo un vivo senso di attesa.

Jeronimo       Ho intuito subito, Lola, che ci sarem­mo compresi. Mi piaci molto.

Orvieto         Ella è rimasta orfana molto presto. Sono stato io il suo educatore.

Jeronimo       Spero che abbia appreso ben poco.

Orvieto         Perché, signore? Ho sempre cercato di indirizzarla verso la virtù. La virtù è la mia aspi­razione più viva.

Jeronimo        (scoppiando a ridere)   Bene! Benissi­mo! Anche tu hai il tuo bravo passatempo per riempire le ore d'ozio. (Con brusco cambiamento di tono)  Perché mi guardi con diffidenza, Lola? Orvieto Mia sorella desiderava molto conoscerla. Solo in seguito alle sue insistenze mi sono deciso ad accompagnarla qui.

Jeronimo       Ed ora sei rimasta delusa, vero? L'in­timità ci mortifica, mia cara; bisognerebbe sem­pre andare in giro in alta uniforme; ma è fati­coso. Troppo.

Lola               No, non sono delusa, vorrei solo compren­dere...

Jeronimo        (interrompendola)   Zitta.

Lola               Vorrei comprendere la sua anima...

Jeronimo        (c.s.irritato)   Zitta, ho detto... (Pausa. In distanza si ode una marcia funebre).

Jeronimo       Accidenti, il funerale! Me ne ero di­menticato. Presto, presto, sbrighiamoci... (Cerca fre­neticamente tra gli oggetti sparpagliati sul divano)  Maledizione, dove saranno le mie bretelle! Avanti voi, aiutatemi a cercarle.

(Lola e Orvieto lo aiu­tano nella ricerca, accrescendo la confusione).

Orvieto         Non si vedono da nessuna parte, Si­gnore.

Jeronimo       Guardate sotto il divano, sul balcone: debbono pur stare in qualche posto.

Orvieto         Sotto il divano ci sono solo delle ossa di pollo, signore.

Lola               Forse saranno fra i suoi libri.

Jeronimo        (scaraventa via i libri)   Libri! - Libri! -Libri! - La gente non sa fare altro che scrivere libri! Parole putrefatte, cibo per i vermi. Io voglio invece la parola viva;   fluttuante ed  eterna. Ac­cidenti alle bretelle! Farò tardi al funerale.

Orvieto         Non ci sono proprio, signore.

 Jeronimo      E allora, prete, devi sacrificarti per il prossimo.

Orvieto         In che modo, signore?

Jeronimo       Dammi le tue.

Orvieto         Ma signore, un prete senza bretelle! sarebbe sconveniente.

Jeronimo       Ipocrita! Egoista! venirmi a parlare di convenienze! ma io non ho bisogno di nessuno. Ecco, userò le molle dell'estensore.

Lola               Ma non è possibile...

Jeronimo       Tacete, gente di poca fede. Una - e due... ecco fatto. (Uscendo e spingendo gli altri). Corriamo adesso. Venite anche voi, vi farò vedere un bel funerale...

Buio. La marcia funebre passa in P.P. Passo grave  di  cavalli.  Si  illumina  una  scala.  En­trano Jeronimo, Orvieto e Lola e sì dirigono verso la  scala. Jeronimo si  rivolge verso  la prima fila della platea facendo un cenno.

Jeronimo       Sst, lei...

Il signore in platea Dice a me?

Jeronimo        (sottovoce)   Sì, saprebbe dirmi di chi è questo funerale?

Il signore     Di Jeronimo, signore; un poeta.

Jeronimo       Mille grazie. Sa, muore tanta di quella gente; temevo di sbagliare.

Orvieto         Che ha detto? Di chi è?

Jeronimo       È il mio.

Orvieto          (stupito)   Ma come...?!

Jeronimo       Avanti, avanti, non fate rumore, ri­spettate il dolore di questa povera gente.

Orvieto          (indignato)   Io non posso prestarmi a questo gioco.

Jeronimo       Smettila, babbeo. Salite, salite qui. Da qui si vede tutto. (Salgono sulla scala).

Lola                (affettuosa)   Non vorrei,  signore, che  le fosse capitato qualcosa di male.

Jeronimo       Il tuo cuore è sensibile, Lola. Non temere, però; il mio corpo è ancora materia. Non ci credi. Guarda, adesso sputo sulla testa di quel signore calvo...

Voce del signore calvo Chi è che sputa lassù?! Villanzone!  (Qualcuno zittisce).

Jeronimo       Hai visto?

Lola               Ma allora perché...?

Jeronimo       Un poeta, mia cara, deve rinascere ogni giorno perché il suo occhio sia sempre limpi­do come quello dì un bambino. Ma per rinascere bisogna prima morire. Io sono nato oggi, ergo ieri sono morto; e se sono morto perché non po­trei concedermi il lusso di un funerale? Il mondo è illogico, cari miei; non sa trarre dalle premesse le esatte conclusioni. Che bel funerale però! Guar­date quanta gente.

Lola               Oh, moltissima.

Jeronimo       Anche la banda ho voluto, e i cavalli col pennacchio. Tutto questo mi è costato l'iradiddio, ho speso sino al mio ultimo soldo. Se doma­ni morirò, dovrò accontentarmi del carrozzone dei poveri; ma che m'importa se i miei occhi non ve­dranno?!  Il mondo è illogico, cari miei.

Lola               Guardi, signore, come piange dirottamente quel gruppo di persone laggiù.

Jeronimo       Sì, sono i miei amici più intimi.

(Fuori scena lamenti e sospiri).

Orvieto         Ma il loro pianto, Lola, non può essere sincero, se tutto questo è una buffonata.

Jeronimo       Io mi domando, prete, come fa la tua fronte a tener prigioniero un cervello tanto pazzo. Ma credi proprio che per il solo fatto di essere il mio corpo in putrefazione il loro dolore diverrebbe sincero? Al contrario, ti dico; al con­trario. Adesso temono ancora di essere travolti dalla potenza del mio genio, se io fossi stecchito starebbero tranquilli. Del resto in ogni caso non si piange mai il morto, si piange se stessi.

Orvieto         Tutto questo è immorale, signore.

Jeronimo       Ma come è possibile, Lola, che tu sia stata generata dalla stessa madre di questo libro da messa? No, no, decisamente vostra madre do­veva avere due uteri... Oh, oh! silenzio! comincia l'orazione funebre.

(Sale dalla platea l'Oratore, in redingote) 

State attenti l'ho scritta io.

L'Oratore      (gravemente, senza enfasi)   Fratelli nel dolore, il poeta Jeronimo, l'amico diletto, è morto. Egli è riuscito finalmente a liberarsi del peso delle sue colpe, egli è riuscito a scrollarsi di dosso l'obbrobrio del suo passato per risorgere ad un'esistenza migliore. Gli ambigui contatti della vita di ogni giorno non sono più nulla per lui, le pesanti catene di antichi affetti languenti non hanno più presa su lui, la legge crudele per cui ogni giorno deve essere la necessaria continua­zione del precedente non ha più senso per lui; e se il prezzo del riscatto doveva essere la morte, ebbene egli è andato incontro alla morte, in letizia. Ora la sua anima è pura e noi più che piangerlo dovremmo invidiarlo... Amici, noi sia­mo come anfore nel fondo del mare, il tempo ci nasconde dietro un fitto ricamo. Tutti, tutti noi non siamo che brandelli di noi stessi; le nostre infinite possibilità di essere giacciono op­presse e soffocate dal peso del nostro passato che c'impone un'assurda continuità. Tutti però so­gniamo di svegliarci un bel mattino per comin­ciare a vivere una nuova vita, una vita che vera­mente ci appartenga, sogniamo di porre un ba­ratro tra noi e il nostro passato per essere final­mente ciò che ci sentiamo di essere. Ma tutti abbiamo paura, il gran salto ci spaventa. Per affer­marsi bisogna prima negarsi; ma la suprema ne­gazione è fredda, e solo lui ha saputo affrontarla, solo lui, l'incomparabile, il geniale Jeronimo.

Jeronimo        (a mezza voce)   Che bel discorso! Co­mincio quasi a commuovermi.

Lola                (idem)   Oh sì, è bellissimo.

L'Oratore     Signori, l'amico diletto non è più fra noi, egli ha voluto lasciarci, noi inchiodati alla no­stra vita meschina, per librarsi solitario nella vita di domani, (infiammandosi)  di un domani senza confini, di un domani sorprendente e gioioso, di un domani...

Jeronimo        (lo interrompe a gran voce)   Stai zitto, retore. Che ne sai tu del domani? Come osi par­larne?   Il  domani  è  sacro.

Una voce       (da fuori)   Chi interrompe lassù? La­sciate finire.

2a voce           (idem)   Silenzio, vogliamo sentire il di­scorso.

Jeronimo       Ma è un discorso preparato, e il pen­siero concepito ieri, oggi è già inattuale. Che ve ne fate di questi cadaveri?

Più voci          (da fuori)   Basta - Smettetela - Lascia­telo continuare - Andatevene.

L'Oratore      (tenta di riprendere)   ...di un domani sorprendente e gioioso...

Orvieto          (grida)   Signori, siate ragionevoli. Per onestà debbo dirvi che tutto questo non è che una burla. Il signor Jeronimo è vivo; egli ha voluto soltanto farvi uno scherzo.

L'Oratore      (c.s.)   ...di un domani…

Più voci          E una burla - Siamo stati ingannati -Chi è stato?

Jeronimo        (fortissimo)   Gente, gente, non credete a questo falso prete, a questo impostore. Egli vi sventola davanti agli occhi le apparenze per na­scondervi l'essenziale.

(Scoppia un violento tu­multo).

L'Oratore      (c.s.)   Fratelli nel dolore... fratelli...

Orvieto          (cercando di dominare le voci)   Signori, la verità... la verità...

(Orvieto e l'Oratore sono in­vestiti dal lancio di ceri e di corone mortuarie).

Voci                Buffoni. Addosso. Addosso.

Jeronimo       Presto, Lola, fuggiamo.

Lola               Ma mio fratello?

Jeronimo       Peggio per lui. Vieni. Presto. (Con un salto scende in platea).

Lola               Aspetta. Non lasciarmi indietro.

Jeronimo        (scappando)   Lola, vedo sulle tue spal­le un presagio di ali. Un giorno forse potrai rag­giungermi. Adieu... (Esce dal fondo).

Lola               Jeronimo... Jeronimo... «^» Buio. Cessa il tumulto. Dopo qualche attimo dei colpi di tam-tam con ritmo irregolare. Si illuminano in  lontananza due o  tre finestre. Poi, da fuori, delle voci.

Donna           Ehi, che succede?

Altra donna            Smettetela di fare questo baccano.

Donna           Bella educazione svegliare la gente a 'sto modo.

Uomo             Ehi, la volete finire?! Io di giorno lavoro e la notte ho diritto di riposare.

Altra donna            Ma chi è? Non si vede nessuno.

Donna           Sarà qualche ubriaco.

(Si illumina un tetto con un abbaino. Sul tetto Jeronimo batte fu­riosamente il tam-tam).

Altra donna            Guardate, eccolo là, su quel tetto.

Uomo             Dove?

Altra donna           Là, sopra il tetto. Se non sbaglio è quel matto che abita nella casa di fronte. Ehi, la volete smettere con quel maledetto tamburo?!

Jeronimo        (smette di suonare. Offeso)   Tamburo un corno, vecchia strega! Questo è un tam-tam, non un tamburo. (Riprende).

I tre                (insieme)   Ma insomma basta. Smettetela. Noi dobbiamo dormire.

Jeronimo       Calatevi sulle orecchie il berretto da notte.

Uomo             Adesso vado a telefonare alla polizia, così vedremo se la finirete.

Jeronimo        (grida)   Ritmo, ritmo, ritmo ritmo...

Donna           Pazzo della malora, smettetela una buona volta con quella grancassa infernale.

Jeronimo        (smette di suonare)   Perché, non  ti piace il suo suono?

Donna           Mi fa impazzire.

Jeronimo       Ma credi che se conciassero la tua pelle e ne facessero un tamburo, produrrebbe un suono migliore? Non farti troppe illusioni, vecchia.

Donna           Vai al diavolo.

Jeronimo        (riprendendo a battere. A gran voce)   Io innalzo un inno alla sola cosa al mondo veramente pura, io innalzo un inno alla morte...

Altra donna            Uccellaccio del malaugurio!

Jeronimo        (forte)   Quella che io batto, donne, non è che la pelle di un asino; questa pelle, da viva, era coperta di piaghe rossiccie, di immondi tafani;   una  volta,  donne,  questa  pelle   ragliava. Adesso invece batte il ritmo delle mie intenzioni poetiche, adesso tuona nella notte per risvegliare i miei pensieri più alti. La morte! Evviva la morte che tutto nobilita, anche la pelle dei somari.

Donna           Proprio qui doveva capitare questo ma­nicomio!

(Si odono ripetuti colpi di fischietto).

 Altra donna           Oh, un gendarme finalmente!

Donna           Aiuto, signor gendarme. Là, su quel tetto, c'è un pazzo. Sentite che diavolerio.

2a donna       Fatelo smettere.

1a donna       Portatelo in guardina.

2a donna       Presto, salite.

1a donna       Bravo, bravo! Guarda come si ar­rampica.

2a donna       Sembra una scimmia.

1a donna       Forza! Siete quasi arrivato.

(Dopo un attimo appare sul tetto Orvieto in divisa da gen­darme: spalline, lucerna e pennacchio).

Orvieto         In nome della legge vi dichiaro in ar­resto.

Jeronimo        (smette di suonare)   Ah! sei tu, pre­taccio! (Ridendo)  Dovevo aspettarmelo che ti sa­resti mascherati da tutore dell'ordine. Speravi for­se di non farti riconoscere?

Orvieto          (mortificato)   Cosa vuole, signore? Si deve pur vivere.

Jeronimo        (ironico)   Non c'è che dire, hai avuto una buona idea. Il tuo aspetto è davvero marziale.

Donna           Allora possiamo stare in pace finalmente?

Jeronimo        (forte)  Buona notte, streghe, tor­nate fra le braccia dei vostri sogni osceni.

Donna           Cose da matti! Buona notte, comare.

Altra donna            Buona notte. (Le finestre si spen­gono).

Orvieto          (quasi implorante)   Perché, signore, si è messo a fare tutto questo baccano?

Jeronimo       Perché, perché! Il tuo spirito me­schino non può fare a meno dei perché, non am­mette neppure che si possa fare qualcosa senza un perché. Ma lo sai tu perché vivi, perché devi morire, perché esiste il mondo? Forse non te lo sei mai nep­pure chiesto, però vuoi sapere perché mi son preso il gusto di svegliare un paio di vecchie bigotte. Ebbene se questo perché è proprio indispensabile alla tua orologeria mentale te lo servo subito: ho voluto regalar loro un ricordo.

Orvieto         Come sarebbe a dire, signore?

Jeronimo       Ma sì, caro amico. Questa gente non vive che di memorie, il loro spirito non ha altre gioie. Essi sono poveri di ricordi. La loro vita è così monotona, incolore, che hanno ben poco da ricordare. Per questo ho fatto loro il mio dono. in una lontana sera d'inverno mentre raccolti in­torno al camino attizzeranno il fuoco con gli sba­digli, uno di loro dirà: - Vi ricordate di quella not­te quando quel pazzo appollaiato sul tetto ci svegliò col suo tamburo infernale? - allora ri­deranno e per un attimo si sentiranno felici. Senza di me il mondo sarebbe di un grigio uniforme.

Orvieto         Mi sembra però che non abbiano gra­dito troppo il suo dono.

Jeronimo       Sai bene che non mi curo dell'ingra­titudine umana. Non sono un mercante io, io non lavoro per ottenere un compenso. (Altro tono)  Dim­mi piuttosto, come sta tua sorella?

Orvieto         Veramente, signore, è qualche tempo che non la vedo; credevo anzi che fosse venuta qui.

 Jeronimo      Infatti; ci siamo incontrati spesso in questi ultimi giorni; però poi... Bah, le donne sono   strane...

Orvieto         Perché, signore?

Jeronimo        (con violenza)   E smettila con i tuoi perché, imbecille.

Orvieto         Lei mi maltratta sempre, signore.

Jeronimo       E tu perché non mi lasci in pace? Perché mi capiti sempre tra i piedi?

Orvieto         Non è colpa mia se le nostre strade si incontrano.

Jeronimo       Ipocrita!... (Pensieroso)  Ma sì, forse hai ragione... Senti, amico, mi è venuta un'idea.

Orvieto         Che idea, signore?

Jeronimo       Vuoi entrare al mio servizio? (Insi­nuante)  Questo faciliterebbe il tuo compito.

Orvieto         Oh no, signore, sarei un servo infedele.

Jeronimo       Ma è naturale. Un servo non ha che un'alternativa:   morire per il suo padrone o tra­dirlo. Saresti disposto a morire per me?

Orvieto         Non credo, signore.

Jeronimo       Evidentemente il buonsenso ha ucci­so in te gli istinti migliori. Non importa. Siamo d'accordo allora. Come debbo chiamarti?

Orvieto         Come vuole, signore.

Jeronimo       Vediamo un po'... Se non sbaglio una volta mi dicesti che il vino non ti piace, che non ti sei mai ubriacato.

Orvieto         Infatti.

Jeronimo       Bene! E allora ti chiamerò Orvieto, a tua  eterna   mortificazione.   Facciamo  una  prova. (Chiama)  Orvieto...

Orvieto          (pronto)   Signore...

Jeronimo       Bravo! Sei più svelto di quanto pen­sassi.

Orvieto         Quali saranno le mie mansioni, signore?

Jeronimo       Oltre alle normali occupazioni di un servo, tu dovrai gridarmi ogni tanto: - Jeronimo, tu pecchi. Tu pecchi, Jeronimo. - Caro mio, il mon­do senza peccato è come una vivanda senza sale.

Orvieto         Mi sembra un compito piuttosto facile, signore.

Jeronimo       Il male è una salsa di cui non ricordo più il gusto. Sì, credo proprio che mi sarai utile.

Orvieto         Me ne rallegro, signore, benché non con­divida le sue idee.

Jeronimo       E chi ti ha detto che io ne abbia? Qualunque sciocchezza io dica, la gente spalanca la bocca, estasiata, e biascica:  oh! ah! che pro­fondo sentire!... Minchioni! Minchioni!

Orvieto         Veramente, signore - mi scusi se mi permetto - ma qualche volta ho inteso anche dire: oh! ah! che strana follia.

Jeronimo       Ma la follia, mio caro, è una cosa ter­ribilmente seria. Il mio invece è un gioco puris­simo, disinteressato. In quest'epoca di bottegai io voglio affrancare la mia vita dalla servitù meschina del calcolo. Voglio sperperarla in un gioco vario e mutevole... Basta. Dove sta tua so­rella?

Orvieto         Le ho già detto, signore, che non lo so.

Jeronimo       Ah sì, è vero. Scendiamo; ho bisogno di sentire un po' di musica. Vieni e porta il tam­tam... Ma stai attento a non romperlo. -Buio. Una musica impetuosa, dissonante, con impasti sonori quasi laceranti. Rapida dissol­venza. Si illumina un alberello di forma giot­tesca. Vicino all'albero un masso coperto di muschio. Si odono stridere dei grilli. Lola è ferma in atteggiamento estatico. Si avvicina, da dietro, Jeronimo, e le accarezza i capelli.

Jeronimo        (piano)   Lola, questa notte ho acceso per te le stelle più belle.

Lola                (teneramente)   Sei stato molto caro.

Jeronimo       Figurati. Non costa niente.

Lola                (contrariata)   Sembra quasi che tu ti di­verta a spezzare l'incanto che tu stesso hai creato.

Jeronimo       Guai a prendersi troppo sul serio, mia cara; si finisce col diventare spietati. (Breve pausa).

Lola               Posso appoggiarmi al tuo braccio?

Jeronimo       Ma certo.

Lola                (sospirando)   Che notte incantevole!... Per­ché non mi dici una tua poesia?

Jeronimo       Ma io, cara, non scrivo versi.

Lola                (delusa)   Oh no?!

Jeronimo       No, di sicuro. Scrivere una parola si­gnifica escludere un milione dì altre, significa porsi un limite angusto, e la mia parte non sopporta limiti. Stai tranquilla, non vedrai mai le mie dita sporche d'inchiostro.

Lola               C'è qualcosa di strano in te che non riesco a capire.

Jeronimo       Eppure a te dovrebbe essere più fa­cile che ad ogni altro. Anche tu, nella danza, tenti d'infrangere le leggi assurde che vincolano i nostri impulsi più autentici. I tuoi voli, i tuoi arabeschi, le tue punte sublimi, non sono forse degli spasimi eroici verso una libertà assoluta? verso il supe­ramento di ogni limite? Nel desiderio è la nostra grandezza, mia cara.

Lola               Sì, forse è vero, benché non ci abbia mai pensato. Sediamoci su questa pietra, vuoi? (Si sie­dono. Una pausa)  Jeronimo...

Jeronimo       Dimmi.

Lola               Sono felice stasera.

Jeronimo       Ah!

Lola                (dopo un'esitazione)   Vuoi che ti dica perché?

Jeronimo       Veramente la felicità è una cosa che m'interessa assai poco.

Lola                (teneramente)   Eppure vorrei farti felice.

 Jeronimo       (ironico)   Grazie, cara, grazie.

Lola               Vorrei alleviare la pena del tuo cuore.

Jeronimo        (scoppia a ridere)  La pena del mio cuo­re!... soltanto voi donne siete capaci di scoprire me­ravigliosi segreti. Immaginari, s'intende.

Lola                (contrariata)   Hai sempre un modo di fare così sconcertante.

Jeronimo       Perché le piccole illusioni della gente comune non mi bastano e perciò non ci credo. Le mie illusioni debbono essere immense.

Lola               Ma poi anche le delusioni potrebbero es­sere immense.

Jeronimo       E che m'importa? Ricordo che una volta, a dodici anni, mi gettai da un terrazzo con un ombrello aperto. Ero sicuro che sarei riuscito a volare. Mi ruppi una gamba, ma non mi diedi per vinto. In ospedale dovettero legarmi alle sbarre del  letto...

Lola                (nervosamente)   Oh basta!

Jeronimo       E va bene, basta. (Lunga pausa).

Lola               Jeronimo...

Jeronimo       Oh.

Lola                (dopo un attimo di esitazione. Voleva dire un'altra cosa)   Li senti i grilli?

Jeronimo       Come no? Li sento. (Pausa).

Lola               Jeronimo...

Jeronimo       Eh.

Lola               Dovrei dirti una cosa. Ma non so da dove cominciare.

Jeronimo       Comincia dalla fine. È più sbrigativo.

(Breve pausa).

Lola               Jeronimo...

Jeronimo       Oh.

Lola                (con voce tremante)   Jeronimo...

Jeronimo       Eh.

Lola               Jeronimo, io... io ti amo.

Jeronimo       Ah.

Lola               Non sai dirmi che ah?!

Jeronimo       Pensavi forse che svenissi dallo stu­pore? Lo so che mi ami, non sono mica stupido.

Lola               E non hai altro da dirmi?

 Jeronimo      Ma sì, Lola, tu sei la persona più cara che io abbia al mondo, lo sai. Il mio amore però è troppo grande perché tu possa esserne l'oggetto esclusivo.

Lola                (piange sommessamente).

Jeronimo       Uffa, non piangere... non devi essere egoista, mia cara. Lo so, tu vorresti prendermi tra le tue braccia e tenermi stretto in questa amo­rosa prigione. Tu vorresti quietarmi, saziarmi con le tue carezze. Ma cosa sarebbe Jeronimo senza il suo grande desiderio? Nient'altro che una parte trascurabile dell'immensa materia, e neppure trop­po avvenente. Il mio desiderio deve restare intatto.

Lola                (piangendo)   Il tuo cuore è arido. Arido.

Jeronimo       In cielo, mia cara, non cresce in­salata?!

Lola                (ferita)   Sicché per te il mio amore è in­salata.

Jeronimo       Via, non fraintendermi.

Lola               Oh, io sono una povera ragazza, troppo stupida. Non riesco a penetrare i tuoi sublimi mi­steri. (Allontanandosi)  Addio.

Jeronimo       Lola, aspetta... Lola...

(Da dietro l'al­bero fa capolino Orvieto, in giacca da servitore).

Orvieto          (piano)   Le corra dietro, signore. Non la lasci andar via.

Jeronimo        (inviperito)   E tu che fai qua? Mi stavi spiando, e vero?

Orvieto         Ma no, signore, sono qui per caso.

Jeronimo       Ma certo, certo; d'altro canto fa parte del tuo mestiere spiare.

Orvieto         Mi permetta di richiamarla, signore. E mia sorella, sono preoccupato per lei.

Jeronimo       Smettila, ruffiano. Aiutami piuttosto a portar via il bagaglio.

(Afferra l'albero e lo porta via. Orvieto prende il masso, come una valigia, e lo segue. Escono).

Buio. Di nuovo la musica impetuosa. Si illu­mina il balcone della stanza di Jeronimo. Jeronimo con un lungo cannocchiale puntato contro il cielo, conta. Entra Orvieto e si avvi­cina a lui.

Jeronimo        Dodicimilasettecentoventitré, dodicimilasettecentoventiquattro, dodicimilasettecentoventicinque...

Orvieto         Signore...

Jeronimo       Vattene. Dodicimilasettecentoventisei...

Orvieto         Signore...

Jeronimo       Vattene, ho detto. Dodicimilasettecentoventisette...

Orvieto         Ma signore...

Jeronimo       Uffa, se continui a borbottare: « si­gnore, signore », finirai col farmi sbagliare.

Orvieto         Ma è impossibile contare tutte le stelle.

Jeronimo       E mi credi tanto scemo da non sa­perlo? Lo so che è impossibile, appunto per questo lo faccio. Se non fosse impossibile non starei certo qui a perdere tempo. Ecco, ecco, hai visto? Ho perso il segno. Adesso dovrò ricomin­ciare da capo.

Orvieto         Mi dispiace, signore.

Jeronimo       Ipocrita!... Avanti, che c'è? perché te ne stai lì impalato?

Orvieto         Una cattiva notizia, signore.

Jeronimo       Che è successo?

Orvieto         Ho saputo che Lola, mia sorella... (Si interrompe).

Jeronimo       Coraggio, continua.

Orvieto         Non so trovare le parole adatte, si­gnore... Sembra che a causa di una delusione in amore si sia data a vita dissoluta.

Jeronimo       Ebbene? Non sei contento?

Orvieto         Come potrei esserlo, signore?

Jeronimo       Ma questo, mio caro, rivela in lei una sete di esperienze, come dire?... un'ansia di uni­versale.

Orvieto         Può darsi, signore, ma avrei preferito che fosse rimasta com'era.

Jeronimo       Ascolta.  La poesia non è  forse un continuo denudarsi di fronte ad una folla ebete?

Orvieto         Così dicono infatti.

Jeronimo       Eppure nessun moralista vi ha mai trovato nulla da ridire.

Orvieto         Ma questo che c'entra, signore?

Jeronimo        (beffardo)   Ebbene anche lei ora batte la strada della poesia.

Orvieto          (ferito)   Non è giusto che lei si faccia beffe di me proprio adesso.

Jeronimo       Hai ragione. Scusami.

(Breve pausa).

Orvieto         Volevo bene a mia sorella, signore.

Jeronimo       Ed ora soffri molto, è vero?

Orvieto         Sì molto, signore.

Jeronimo        (profondamente sincero)   Sapessi co­me t'invidio. Orvieto.

Orvieto         Perché, signore?

Jeronimo        (molto irritato)   Perché, perché!   Ci risiamo con i tuoi perché! T'invidio e basta, non m'interessa di sapere perché, non voglio neppure saperlo...

(Una pausa. Poi vivamente, ma senza en­fasi) 

Ah, se il mio dolore fosse veramente dolore!

Orvieto          (sospirando)   Era difficile trovare una ragazza dall'animo più sensibile. Non capisco pro­prio come abbia fatto a perdersi.

Jeronimo        (inquieto)   Oh, basta adesso con que­sta commedia sentimentale. Al lavoro, al lavoro! dove sta il cannocchiale? spegni quella luce... Acci­denti a te! debbo ricominciare da capo...

(Orvieto spegne la luce. Buio) 

Oh dunque... (Conta rapidamente)  Una, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove...

La voce di Jeronimo è coperta dalla musica che emerge violenta. Si illumina la scena del primo quadro (stanza di Jeronimo). La musica cessa di colpo. Jeronimo e Orvieto, seduti sul divano, giocano a carte.

Jeronimo       Che hai buttato?

Orvieto         Il tre di coppe, signore.

Jeronimo       Bravo stupido!  Così faccio quattro e tre, sette.

Orvieto         Ed io faccio scopa col cavallo, signore.

Jeronimo       Serpe! (Pausa. Jeronimo assorto).

Orvieto         Deve far carte, signore.

Jeronimo       Ah già, ero distratto... (Dà le carte). Orvieto...

Orvieto         Signore.

Jeronimo       Debbo confessarti una cosa.

Orvieto         Che cosa?

Jeronimo       Mi annoio a morte.

Orvieto         Brutto segno, signore.

Jeronimo       Credi?

Orvieto          (battendo  il pugno)  Settebello!

Jeronimo       Porco! Se mi fai ancora una scopa ti prendo a calci.

Orvieto         Impossibile, signore; i fanti sono usciti tutti.

(Breve pausa. Il gioco continua).

Jeronimo       Perché non inventi qualche cosa di divertente?

Orvieto         Sa bene che non ne sono capace... Deve prendere, signore. Il sei di denari.

Jeronimo       Ah già, hai ragione. Che ore sono?

Orvieto         Le otto e un quarto.

Jeronimo       Guarda bene, il  tuo  orologio  deve essere fermo.

Orvieto         No, signore, cammina.

Jeronimo       Scopa... Ho paura di essere ammalato, Orvieto.

Orvieto         Di che cosa, signore?

Jeronimo       Di una grave forma di noia cosmica.

Orvieto         Passerà, signore. Ma  stia attento, se butta l'asso le farò scopa di nuovo.

Jeronimo        (getta all'aria le carte)   Oh basta con questo stupido gioco. Sono stufo. Stufo.

Orvieto         Come vuole, signore.

Jeronimo       Neppure a maltrattarti mi diverto più.

Orvieto         Ne sono dolente, signore...

(Jeronimo va dinanzi allo specchio e si osserva a lungo, con attenzione) 

E sporco, signore? Forse non l'ho lucidato bene?

Jeronimo       No, sto osservando i miei occhi.

Orvieto         Sono di un bel grigio.

Jeronimo       Stavo pensando che molti cani hanno gli occhi più umani dei miei.

Orvieto          (scoppia a ridere).

Jeronimo        (con violenza)   Non ridere, cretino.

Orvieto         Mi scusi, signore.

Jeronimo        (a  mezza  voce)    Non  so  che  cosa mi è preso... (Fischietta nervosamente e passeggia)  ... Vorrei occuparmi di qualche cosa, trovare qual­che cosa che mi interessi.

Orvieto         Esca con i suoi amici, forse riuscirà a   distrarsi.

Jeronimo       Non ho amici, non ne ho. Ho solo qualche marionetta che mi ballonzola intorno.

Orvieto         Non so davvero che altro consigliarle.

Jeronimo       Il mondo, Orvieto, è come un'orbita senz'occhio: un vuoto orrendo e disgustoso.

Orvieto         Oh no, signore.

Jeronimo       È inutile gridare no quando invece è sì. Le mie maledette illusioni hanno il fiato corto.

Orvieto         Lei mi stupisce, signore. Non deve la­sciarsi vincere dalla malinconia.

Jeronimo        (con improvviso scatto. In tono feb­brile)   Sì, è vero. Sveglia, Jeronimo, sveglia! guai a lasciarsi vincere dalla malinconia. Coraggio, Orvieto, inventiamo qualche cosa dì nuovo, qual­che cosa di bizzarro, di fantastico. Su, spremi le meningi.

Orvieto         Sto cercando, signore.

Jeronimo       Ecco, ho trovato! Mi maschererò! Sì, voglio mascherarmi. Mi maschererò da giullare. (Ride con esaltazione)  Da giullare, da giullare... (Prende dalla cassapanca una casacca da giullare e un berretto con i campanelli e rapidamente li in­dossa) 

Presto, Orvieto, aiutami... (Vestito, canta e salta come Rigoletto)  Tralà, tralà, tralà, tralà, tralà, oh... (Scoppia in una risata)  No, caro mio, Jeronimo è ancora vivo, ancora non si è esaurito. Come mi sta questa veste da buffone?

Orvieto          (con calore)   Veramente bene, signore.

Jeronimo        (gli dà un colpo)   Imbecille!... Oh, non farci caso, una nuvola di passaggio. (Ad un pub­blico immaginario)  Dame e cavalieri, sguattere e villani, voi avete l'alto onore di star di fronte al grande Jeronimo, il celebre giullare che una volta per scommessa divorò una fetta di universo, il famoso buffone capace di far smascellare dalle risa anche la bocca dell'inferno... (Improvvisamente ad Orvieto con ira)  Cos'hai tu da guardarmi a quel modo?

Orvieto         Io, signore?!

Jeronimo       Tu, tu, tu. Mi stai davanti come un muto rimprovero.

Orvieto         Se ben ricordo, signore, questa è una delle  mie mansioni.

Jeronimo       Io non ricordo nulla, non voglio ri­cordare nulla.

Orvieto         Peccato, signore.

Jeronimo        (scoppia a ridere)   Orvieto... Orvieto, guarda la mia immagine, là nello specchio. Salute Jeronimo, astuto poeta, meraviglioso buffone;   fi­nalmente hai trovato un buon sarto... Orvieto.

Orvieto         Dica, signore.

Jeronimo       Sai suonare il pianoforte?

Orvieto         Veramente, signore, non ho mai stu­diato musica. Suono solo qualche canzonetta ad orecchio.

Jeronimo       Suona allora. Vai. Suona. (lo spinge fuori).

Orvieto          (da fuori)   Che cosa preferisce, signore?

Jeronimo       Qualcosa di vivace, di molto vivace. (Pianoforte: un charleston strimpellato alla me­glio).

Jeronimo        (specchiandosi)   Orvieto, guarda se questa ciocca di capelli sulla fronte non sembra un punto interrogativo?

Orvieto          (da fuori)   Un punto interrogativo per­fetto, signore.

Jeronimo       Da ragazzo i compagni mi burlavano perché ho i capelli rossi. Come li avrei ammazzati volentieri.

(Breve pausa).

Orvieto         Le piace questo motivo, signore?

Jeronimo       Sì, sì, è piacevolmente cretino. Mi costringe ad agitarmi come una marionetta. Vedi?... (Saltella, un po' legnoso, al ritmo della musichetta, facendo tintinnare i campanelli)  Orvieto, se io non esistessi più il mondo sarebbe nulla per me. A pen­sarci bene, sono io il mondo. (Si punta una pistola alla tempia)  E, vedi? basta che io muova un dito e posso distruggerlo, il mondo. Non è meraviglioso?

(La musica si interrompe. Orvieto accorre).

Orvieto         Signore... Signore...

Jeronimo       Che vuoi, stupido? Torna a suonare.

Orvieto         Mi dia quella pistola, signore.

Jeronimo       Torna a suonare, ho detto.

Orvieto         No, ho paura che lei voglia compiere un gesto insano.

Jeronimo        (ridendo)   Un gesto insano!... Ma chi ti ha insegnato a parlare? Non ho mai sentito dire: un gesto insano. Tu devi essere stato allattato con inchiostro  di  giornale.

Orvieto         Va bene, mi dia quella pistola però.

Jeronimo       Ma è scarica;  mi credevi  davvero tanto sciocco? Tu prendi  tutto sul serio, non è possibile scherzare con te. Avanti, torna a suonare.

Orvieto         E scarica davvero?

Jeronimo        (impaziente)   Uffa! Torna a suonare, sbrigati.

Orvieto         La stessa canzone?

Jeronimo       Come ti pare.

(Orvieto esce. Riprende il pianoforte).

Jeronimo       Io ho sbagliato mestiere, Orvieto; avrei dovuto fare l'attore. Pensa che bellezza esse­re ogni sera diverso, oggi crudele, domani pie­toso, dopodomani ancora crudele. Essere tutti e tutto, senza soste, in continuazione. Diverso, sem­pre diverso: una volta re, una volta pezzente... (Dinanzi allo specchio. Recitando)  Salute, re Jero­nimo, raro esemplare di una razza morente... Acce­lera, Orvieto, accelera...

(Il pianoforte accelera il tempo) 

Nel tuo regno, o re infame, i giorni hanno solo ventitré ore e per questo evidente sopruso sono costretto a dichiararti guerra... (Punta la pi­stola contro lo specchio)  ... Pesta, pesta, musico, il gioco mi diverte... No, è inutile che tenti di giu­stificarti, piccolo re di cartapesta. Conosco già le tue ragioni. Se tua madre fosse stata coerente avrebbe dovuto farti senza naso, o senza orecchi...

Orvieto          (da fuori)   Ma a chi sta parlando, si­gnore?

Jeronimo       A questo istrione riflesso qui, nello specchio. Accelera, accelera.

(Riprende a recitare. La sua voce diviene sempre più vibrata) 

Andiamo, reuccio, lo sai che però in fondo ti voglio bene; troppo forse, troppo. E perciò voglio dirtelo, an­che se non dovrei: pazzerello, stai per essere preso prigioniero, e sai dove finirai? in gabbia, tra le bestie rare. (Concitato)  Più svelto. Orvieto, più svelto...

(La musica diventa convulsa) 

E la gente riderà vedendoti goffo e arruffato come un orsac­chiotto. Ma tu fuggì, reuccio, fuggì. Coraggio, ga­loppa verso la tua avventura più nuova, galoppa, galoppa...

(Si spara al petto e cade. La musica cessa di colpo. Un attimo di assoluto silenzio. Poi accorre Orvieto).

Orvieto         Jeronimo?...  signore...  (Si inginocchia vicino a lui)  Che le è accaduto, signore?...

(Jeronimo morente ha un lieve lamento) 

Mi metta un braccio intorno al collo. La porterò sul divano.

Jeronimo       Lasciami  in pace.

Orvieto         Ma perché ha fatto questo, signore?

Jeronimo       Risparmiami  almeno  adesso  con  i tuoi perché?... Se qualcuno ti chiederà di me gli dirai che mi sono ucciso mentre giocavo con una pistola. Mentre « giocavo », hai capito? Orvieto Ho capito, signore.

(Si ode tintinnare vivacemente un secondo campa­nello. Ha un suono argentino, leggero).

Jeronimo       È strano, Orvieto, sento tintinnare un campanello come se la morte fosse allegra.

Orvieto         Anch'io lo sento, signore; non capisco che cosa sia... Oh Dio! Signore, guardi lo specchio. È prodigioso!  La sua immagine è rimasta attac­cata sullo specchio. Si muove, gesticola.

Jeronimo       Maledizione! Rompi quello specchio.

Orvieto         Oh no, signore, mi parrebbe di farla morire  due  volte.

Jeronimo       Accidenti ai tuoi scrupoli! Avvici­nami la pistola almeno.

Orvieto         No, signore, non posso... non posso pro­prio.

(Jeronimo, con un ultimo sforzo, cerca di prendere la pistola, ma Orvieto la allontana con un piede).

Jeronimo       Maledetto!... Questa... è la tua ven­detta... (Muore).

Orvieto          (lo scuote)   Signore... signore, mi ri­sponda... signore...

(Scoppia in singhiozzi, ma non è chiaro se di pianto o di irrefrenabile riso. E mentre uno, due, tre, cinque campanelli conti­nuano a tintinnare gaiamente cala il sipario).

Copyright 1967 by Ermanno Carsana