La buona speranza

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LA BUONA SPERANZA

LA BUONA SPERANZA

Dramma in quattro atti

di HERMAN HEIJERMANS

Versione italiana di Adelchi Moltedo

PERSONAGGI

ISACCO JEFFERSON, presidente della Compagnia Anglo-Olandese di pesca « Jefferson, Van Der Borren & Co»

MATILDE, sua moglie

CLEMENTINA, loro figlia

IL CONTABILE KAPS

CATERINA, madre di GIORGIO e BERNARDO

GIOVANNA  - COSIMO

DANIELE  - MARIA

SIMONE  - SARA

TERESA  - TOMMASO

UN SUONATORE - DUE DOGANIERI.

Sulla costa olandese in un villaggio di pescatori.

ATTO PRIMO

Una stanza nuda e poveramente ammobiliata in casa di Caterina.

Nella parete a destra due alcove e una porta, che dà sulla strada. A sinistra, un cassettone con imma­gini sacre, fotografie, ecc. In fondo, una porta comuni­cante con la cucina, una credenza con sportelli a vetri, un piccione in una gabbia. Una finestra con vasi di fiori sul davanzale. E' pomeriggio.

Clementina                        - (con un album da disegno sulle ginocchia) Su, su, Cosimo!

Cosimo                              - (svegliandosi di soprassalto, con un sorriso da ebete) No, non dormivo.

Clementina                        - Un poco più da questo lato, la testa. E ferino. Ma che avete? Prima posavate cosi bene. E la mano sul ginocchio.

Cosimo                              - Quando si posa così a lungo, si finisce con lo stancarsi.

Clementina                        - (impaziente) Ve ne prego: smettete di masticare.

Cosimo                              - Ma io non mastico: guardate.

Clementina                        - E allora, per favore, tenete la bocca chiusa.

Daniele                              - (entrando dalla cucina) Buongiorno a tutti.

Clementina                        - Buongiorno. Andate a fare due passi attorno alla casa.

 Daniele                             - No, è già tardi. (Guardando il disegno di Clementina) Non l'avrei proprio riconosciuto. (Aggiu­standosi gli occhiali) Se posso prendermi la libertà, guardate, il suo mento è diverso e gli occhi, gli occhi non mi vanno. Ma il naso, sì che è il suo, e la cravatta è di una somiglianza impressionante.

Clementina                        - Davvero?

Daniele                              - E il letto con le cortine è meraviglioso. (Mettendosi in bocca una cicca) Perché non prendete anche me per modello?

Clementina                        - Vedremo. (A Cosimo) Quella mano più in alito. E fermo con la bocca.

Cosimo                              - E' facile dirlo... Ma, quando siete abituato a ciccare e non potete farlo, è difficile starsene fermo con le labbra. Non è così, Daniele?

Daniele                              - Guarda che è già tardi! Mangiamo alle quattro e la direttrice è inflessibile in fatto d'orario.

Clementina                        - E' indispensabile esser così con voialtri vecchi.

Daniele                              - Non c'è che dire! (Facendo schioccare le dita) Sono stanco e disgustato dell'asilo dei vecchi. Quel paco di mangiare gettato quasi in faccia, come se fos­simo dei mendicanti. E il caffè di questa mattina? Come fondi di un barile d'acqua piovana. E i legumi duri come i nostri calli.

Clementina                        - Al vostro posto... Ma fermo con la bocca, Cosimo... Ai vostro posto ringrazierei Iddio dell'assistenza trovata nella vecchiaia.

Cosimo                              - Le tue lamentele sono fuori di luogo.

Daniele                              - Iddio? Ah! no! Ecco ciò che mi son gua­dagnato con tutta una vita passata per mare... E quanti e quanti viaggi, e quanti naufragi, e quanta fame. A mare, da quando avevo dieci anni. E i -miei due figli se li è presi il mare. Statemi a sentire: la settimana scorsa non mi è stato dato il permesso d'uscire, perché, con vostra licenza, avevo sputato fuori della sputacchiera. Vi domando: è una cosa che si può fare apposta? L'Asilo dei vecchi è una galera. Vi ci buttano dentro e poi se ne lavano le mani. Sarebbe stato meglio che m'avessero mangiato gli squali, quando navigavo.

Cosimo                              - Non t'avrebbero mangiato. Sei troppo duro.

Daniele                              - Non m'avrebbero mangiato? Ma inghiot­tirebbero anche uno scheletro. Ho visto il vecchio Gu­glielmo spezzato in due sotto i miei occhi. Eppure non era tenero di pelle.

Clementina                        - Il vecchio Guglielmo è stato mangiato da uno squalo?

Daniele                              - Da uno? Da sei! Cadere da bordo ed es­sere afferrato è stata faccenda d'un attimo. E attorno il mare rosso di sangue.

Clementina                        - (con un sorriso incredulo) Una cosa veramente terribile! Eppure, mi sarebbe piaciuto d'assi­stervi. Dev'essere stato emozionante.

Daniele                              - Ah!, vi sarebbe piaciuto di assistere?

Clementina                        - Ha gridato?

Daniele                              - Altro se ha gridato!

Cosimo                              - Già, come se fosse possibile non gridare, sentendosi azzannare da quei denti! (Giunge dall'esterno il suono d'un violino. Cosimo comincia a muoversi sulla sedia al ritmo della musica).

Clementina                        - (chiudendo l'album, indispettita) Per oggi, basta. (Alzandosi) Spero che domani sarete un poco più tranquillo.

Cosimo                              - (sgranchendosi) Non ne potevo più! (Fa schioccare le dita e muove le gambe a tempo di musica).

Daniele                              - (dalla finestra) In casa non c'è nessuno.

Il suonatore ambulante      - Eppure, m'aspettano una volta la settimana.

Daniele                              - Sono tutti andati al porto.

Clementina                        - Là! (Getta alcuni soldi dalla finestra).

Il suonatore                        - (smettendo di suonare evidentemente per raccattare il danaro per terra) Grazie, grazie.

Cosimo                              - Stupido, sono dietro quella pietra.

Daniele                              - No, no, più in qua.

Clementina                        - L'ho gettato dall'altra parte. Che asino. Ma è cieco?

Cosimo                              - Ha soltanto mezz'occhio e con mezzo oc­chio non può veder molto. Là, alle tue spalle.

Il suonatore                        - Non li vedo.

Daniele                              - (scorgendo Bernardo dalla finestra) Ehi! Bernardo, aiutalo a cercarli!

Clementina                        - Ci debbono essere 10 centesimi.

Bernardo                            - (con tono sgarbato) Ma perché non glieli avete dato in mano? (Al suonatore) Eccoli.

Il suonatore                        - Ancora grazie. (Riprende a suonare e si allontana).

Cosimo                              - Avete inteso quel maleducato?

Clementina                        - (a Bernardo, mentre entra) Scim­mione, l'avevate con me?

Bernardo                            - (confuso) No, non sapevo che eravate qui. Pensavo...

Cosimo                              - Non devi pensare un corno; dovresti pen­sare solo ad imbarcarti, per andare da tua madre.

Bernardo                            - Non sono affari che vi riguardano.

Cosimo                              - Com'è insolente! Ascoltami, ragazzo mio: non mi faceva male l'ombelico, quando dovevo andar per mare...

Daniele                              - Andiamocene, sono già le quattro.

Clementina                        - Allora, Cosimo, domani alle dieci.

Daniele                              - Non è possibile: domani dobbiamo grat­tare le pietre.

Clementina                        - Grattare le pietre? E' un lavoro nuovo. Di che si tratta?

 Daniele                             - Strappare l'erba dal cortile.

Clementina                        - Allora, nel pomeriggio.

Cosimo                              - Sì, nel pomeriggio. (Prendendo una cicca dalla scatola di Daniele) Buongiorno. (Escono).

Clementina                        - Mi pare che vi tormentino continua­mente.

Bernardo                            - (con un riso imbarazzato) Sì.

Clementina                        - Siete stato sulla spiaggia? (Egli an­nuisce) Avete raccolto molto?

Bernardo                            - No, e allora... allora...

Clementina                        - Avete veramente paura d'andare per mare? (Bernardo annuisce, sorridendo vergognoso) Ep­pure ci vanno tutti.

Bernardo                            - (senza convinzione) Già, ci vanno tutti.

Clementina                        - E allora?

Bernardo                            - (esitante) Preferisco stare a terra.

Clementina                        - Lontana da me l'idea di forzarvi. Quanti anni avete?

Bernardo                            - Il -mese scorso ho compiuto quattordici anni.

Clementina                        - Siete già un uomo, dunque!

Bernardo                            - (annuisce).

Clementina                        - (ridendo) Un marinaio che ha paura, non serve a niente.

Bernardo                            - (accendendosi) A terra non ho paura. Mi provochino e vedranno la lama del mio coltello!

Clementina                        - Bene!

Bernardo                            - (di nuovo confuso) Non pensate male di me! (Giunge di lontano il fischio d'un piroscafo) E' l'«Anna». Ha un morto a bordo. Ha la bandiera a mezz'asta.

Clementina                        - Un altro? Ed è il secondo in questa settimana! Prima l'« Agata Maria».

Bernardo                            - No, la « Carlotta ».

Clementina                        - Già, l'« Agata » è stata la settimana scorsa. Ma si sa chi è morto sull'« Anna »? (Bernardo fa cenno di non saperlo) Non avete domandato? Non siete curioso?

Bernardo                            - A lungo andare ci si fa l'abitudine; e poi quando a bordo non c'è nessuno che interessi... (cupo) me mio padre, né Giuseppe, né Enrico, tutti... già, lo sapete. E Giorgio poi... è ancora in carcere.

Clementina                        - Già! Che vergogna per tutti voi.

Bernardo                            - (indignato) Ma che vergogna e vergogna!

Clementina                        - Quando uscirà?

Bernardo                            - Non si sa.

Clementina                        - Non lo sapete?

Bernardo                            - Lo hanno condannato a sei mesi, de­dotto il sofferto. Ma non sappiamo quanto tempo sia trascorso prima del processo.

Caterina                             - (dalla finestra) Buongiorno.

Clementina                        - Buongiorno.

Caterina                             - (a Bernardo) Chi ha fatto uscire le galline? Guarda quel gallo. (Con la voce e con i gesti cerca di far rientrare i volatili nel pollaio) Giovanna! Gio­vanna!

Bernardo                            - Non le spaventare. Entreranno da sole.

Caterina                             - (entrando) E' un tormento continuo. (A Bernardo) Su, muoviti, muoviti! E adesso un'altra bega con Antonio.

Bernardo                            - (con indifferenza) Se si tratta solo d'una bega, poco male! (Esce svogliato e lo si vede cacciare le galline).

Caterina                             - Ah, se questo fannullone non fosse mai nato! Ve me andate già?

Clementina                        - Voglio andare a sentire che cosa è accaduto sull’« Anna ».

Caterina                             - Volevo andarci anch'io, ma ci vuole an­cora del tempo prima che entri in porto. Ne ho avuto abbastanza di stare ad attendere sulla banchina. E il ritratto di mio fratello l'avete terminato?

Clementina                        - Domani. Voglio fare anche quello di Bernardo, con la gerla sulle spalle, proprio com'è en­trato poco fa.

Caterina                             - Di Bernardo? Mi è perfettamente in­differente.

Clementina                        - Mi pare che qui non lo si vezzeggi troppo.

Caterina                             - Vezzeggiarlo? Proprio no! Più presto me lo levo dai piedi, tanto meglio. (Dalla finestra, a Bernardo) Falle entrare, falle entrare! (Scaccia i polli con la voce).

Bernardo                            - Ma il gallo si spaventa con tutti questi gridi.

Caterina                             - Ah, si spaventa? Si vede che ha preso da te!

Clementina                        - (ridendo) Guardate: è andato ad ap­pollaiarsi sul tetto di Antonio.

Giovanna                           - (entrando, in grembiule nero e con un badile in mano) Buongiorno.

Caterina                             - (aggressiva) Tutte le galline fuori e il gallo appollaiato sul tetto di Antonio.

Giovanna                           - (ridendo) Non aver paura: non ci la­scia certo l'uovo.

Caterina                             - Ma sentitela! E lo sa che per poco non siamo venuti alle mani, quando la volta scorsa sono entrate nel suo campo di patate.

Giovanna                           - Le ho fatte uscire io, vecchia borbot-tona. Teresa ha scavato ieri le patate.

Caterina                             - Potevi dirmelo prima!

Giovanna                           - Guardate che ho fatto! Le sembra na­turale borbottare. E non la smette neanche la notte. L'altra notte imprecava in sogno. Ma continua, conti­nua pure! In fondo, sei tanto cara e buona! (A Bernardo che entra) E tu, poverino? Il gallo è sul tetto? E non vuole scendere?

Bernardo                            - Ci mancavi soltanto tu. Taci.

Giovanna                           - Scommetto che se v'innamorate delle sue galline diventa geloso. Ma guardate come impalli­disce. Ha paura del gallo.

Clementina                        - Via! Via!

Giovanna                           - Dovrebbe fare il fornaio. Non è vero, zia? Con i suoi piedini bianchi nella farina d'orzo. (Ride).

Bernardo                            - (con rabbia) Andate, andate tutti al diavolo!

Giovanna                           - Povero Piccolino; povero Piccolino!

Clementina                        - Ma non lo tormentate così. Avete scavate le patate?

Giovanna                           - Dalle quattro di stamattina. Fatica spre­cata. Tutte gelate e marcite.

Caterina                             - Mala sorte per i poveri! Pioggia, piog­gia, e nient'altro che pioggia. Tutto marcisce e non c'è rimedio; così ci avviamo verso l'inverno. Un ben duro inverno sarà.

Giovanna                           - Ma non ricominciare a borbottare. Su, ridi un poco. Non sono abbastanza malinconica? E Gior­gio può venire da un momento all'altro.

Caterina                             - Giorgio? E che importa?

Giovanna                           - Che importa? Nulla. Sta allegra. Tortu­randoti e piangendo, le patate non aumentano. (A Cle­mentina) Debbo parlare così tutto il santo giorno. Ho preso un coniglio.

Clementina                        - Colla trappola?

Giovanna                           - Sì. Quel mascalzone voleva mangiare alle nostre spalle, poveri come siamo. Ma l'ha pagata! Vi pare che ci saremmo lasciate spennare da lui? Men­tre scavavo, la molla è scattata... Se vedeste com'è grasso!

Clementina                        - E' stata una bella preda. Adesso debbo andarmene.

Jefferson                            - (sulla porta, a Clementina) E' forse di­ventata questa casa tua? Posso entrare, Caterina?

Caterina                             - E occorre domandarlo? Troppo onore.

Jefferson                            - Ho le scarpe sporche.

Caterina                             - Non fa nulla. Sabbia asciutta non sporca. Accomodatevi.

Jefferson                            - Mi seggo con piacere. (Siede con qual­che sforzo, per i dolori reumatici alle gambe) E' pro­prio così, Caterina, ogni giorno ci facciamo più vec­chi. Buongiorno, Giovanna. (Le stende la mano).

Giovanna                           - Buongiorno, signor Jefferson, Guardate. (Ridendo, gli mostra le numi sporche).

Jefferson                            - Che andate a qualche funerale con quei guanti neri? (Giovanna annuisce e fa qualche passo ca­denzato, come si accompagna un mortorio; poi a Cle­mentina, accennando all'album) Fammi vedere.

'Clementina                        - (impaziente) No. Non te ne intendi, tu, di disegno.

Jefferson                            - Grazie. Questa è la ricompensa! Educare una figlia, farle imparare a disegnare per poi non poter nemmeno sapere ciò che sa fare. Non devi giudicare, ma soltanto guardare. Ebbene, voglio guardare. (Le strappa l'album di mano).

Clementina                        - No, quando sarà finito.

Jefferson                            - Fammi vedere: un'occhiatina soltanto.

Clementina                        - (riprendendo l'album) Basta, babbo, non m'annoiare.

Jefferson                            - (ridendo) E sempre rimproveri.

Bernardo                            - (fermandosi esitante sulla soglia) Buon­giorno, signor Jefferson.

Jefferson                            - Capiti proprio a proposito.

Bernardo                            - Chi? Io?

Jefferson                            - Abbiamo bisogno di te.

Bernardo                            - Bene.

Jefferson                            - (passandosi un dito sulle labbra) Per­bacco, comincia a crescerci qualche cosa.

Bernardo                            - Sì, signor Jefferson.

Jefferson                            - Comincia a diventar grande. Da quanto sei disoccupato?

Bernardo                            - Da otto mesi.

Caterina                             - Non dice la verità. E' da più di un anno.

Bernardo                            - Non è vero.

Giovanna                           - Sì, da più di un anno. Del resto, conta tu stesso: novembre, dicembre...

Jefferson                            - Calma, ragazzi! Niente baruffe. La vita è «osi breve! Dunque, Bernardo, saresti contento 'd'im­barcarti sul «Quarantasette»? Che ne dici?

Bernardo                            - (spaventato) Sul « Quarantasette » ?

Jefferson                            - Sulla « Buona Speranza ».

Clementina                        - Sulla?... come?

Jefferson                            - (aspro) Non t'immischiare in cose che non ti riguardano! Taci, ti dico.

Clementina                        - Ma proprio questa mattina hai detto...

Jefferson                            - (con ira) Clementina!

Clementina                        - Ma, babbo!

Jefferson                            - (rabbioso, battendo il piede in terra) Ti ripeto: non immischiarti in cose che non ti riguardano!

Clementina                        - (scrollando le spalle) E' stupido ar­rabbiarsi per niente! Buongiorno.

Caterina                             - Buongiorno. (Clementina esce).

Jefferson                            - (ridendo) Proprio come la madre! Di tanto in tanto debbo puntare i piedi in terra, altrimenti mia moglie e mia figlia vorrebbero comandar loro le mie flottiglie di pescherecci, ed io dovrei starmene in casa a sbucciare le patate! Come se non ne avessi sbuc­ciate abbastanza nella mia gioventù... Ma è cosa di tanti anni fa. Ma con un flotta di otto unità, si ha ben altro da pensare. (Ridendo) Sebbene mi piaccia ancora am­mirare un bel paio d'occhi neri. Posso permettermi di dirlo? Non sono più pericoloso: è passato il mio tempo,

Caterina                             - Dite tutto ciò che volete.

Jefferson                            - E che dice il nostro piccolo amico?

Caterina                             - Ti .decidi o non ti decidi a parlare?

Bernardo                            - Piuttosto...

Caterina                             - (aspra) Piuttosto... piuttosto...

Giovanna                           - Che razza di fantoccio!

Jefferson                            - Niente baruffe, ragazzi. Deciditi una buona volta, ragazzo mio. Ne manca soltanto uno per completare l'equipaggio. Il capitano, il secondo mozzo, la guida: tutti arruolati. Il capitano ha pensato a te come giovinotto... Che ne dici?

Bernardo                            - (nervoso) No... no, signor Jefferson.

Caterina                             - Marmocchio! Non posso trascinarlo a bordo a scudisciate!

Giovanna                           - Se fossi uomo...

Jefferson                            - Ma il guaio è che non sei uomo, ma sol­tanto una bella ragazza (Ride) E marinai in gonnella non possiamo arruolarne. (A Bernardo) Ma perché non ti vuoi imbarcare? Hai forse paura del mal di mare? Eppure, sei già un uomo.

Caterina                             - Sarebbe meglio arruolarlo come zimbello di bordo.

Giovanna                           - Ma lui preferisce fare il vagabondo e vivere alle nostre spalle. Chiamalo stupido.

Jefferson                            - Soltanto uno sciagurato può comportarsi come te. Tuo padre...

Bernardo                            - (aspro) Mio padre è .morto in mare, an­negato; ed i miei due fratelli anche. No, non ci vado.

Jefferson                            - (conciliante) Se non si sente, è me­glio non forzarlo, cara Caterina. Lo comprendo perfet­tamente. Neanche mio padre è morto nel suo letto. Ma se si ragionasse così, tutta l'industria della pesca an­drebbe a rotoli.

Caterina                             - (con collera) Tutto ha un limite.

Jefferson                            - Le aringhe ubriache non si prendono con colpi di remo sulla testa.

 Giovanna                          - Le aringhe ubriache? Sarebbe divertente vederle.

Jefferson                            - Non ha capito il significato, ma noi due, io e voi, Caterina, ci siamo intesi.

Caterina                             - Già, già... non mi pare che sia cosa da prendere in scherzo. Questo disgraziato parla come se avessi .dimenticato mio marito e i miei figliuoli... Ma io, no, non ho dimenticato. (Scoppia in singhiozzi che subito reprime).

Giovanna                           - Zietta, zietta cara, non ti disperare così! (A Bernardo) Stupido; femminuccia!

Jefferson                            - Non piangete, Caterina. I morti non ri­tornano in vita con le vostre lacrime.

Caterina                             - Lo so, lo so. Il mese entrante saranno do­dici anni che la « Clementina » è naufragata: novem­bre 1888. Bernardo aveva allora tre anni. Una scimmia .simile potrebbe ricordarlo meglio di me.

Bernardo                            - (nervoso) Non mi sono mai sognato di dirlo; non ricordo nemmeno il viso di mio padre, né quello dei miei fratelli... ma... ima...

Jefferson                            - E allora?

Bernardo                            - Voglio fare un altro mestiere. Ma andare per mare, no.

Caterina                             - Un altro mestiere? Ma che cosa sei capace di fare? Non sai neanche leggere e scrivere.

Bernardo                            - E' forse colpa mia?

Caterina                             - No, la colpa è mia! Ho avuto la pensione per tre anni: il primo, tre golden la settimana; il se­condo, due e mezzo; ed il terzo, due e un quarto. Per gli altri nove anni ho dovuto tribolare da me.

Jefferson                            - Mi dispiace che abbiate dimenticato il mio aiuto.

Caterina                             - No. Ve ne sarò sempre grata. Se non avessi trovato lavoro da voi e dal pastore, e guadagnato un po' di danaro e avuto degli avanzi da portare a casa... io... e questo «porcaccione che ora mi rimprovera...

Bernardo                            - Non ti rimprovero nulla. Voglio fare qualunque cosa: scavare la sabbia... piantare erba sulle dighe, salare il pesce... Sono tutti mestieri, no? Perché debbo proprio andare per mare, e solo per mare? Mi piacerebbe fare il falegname, il muratore, il fattorino...

Giovanna                           - (interrompendolo) Il borgomastro o il po­liziotto, ed andare in giro .di notte ad acchiappare i ladri. Che grande uomo!

Jefferson                            - (ridendo) Che lingua!

Bernardo                            - (fuori di sé) E va all'inferno! Mi hai inteso mai lamentare? Mi hai inteso dire una sola pa­rola, quando il sale mi mangiava la carne delle mani e non potevo dormire per il dolore?

Caterina                             - Fare il muratore, fare il falegname: è pazzo. E quante volte i muratori hanno degli infortuni. Ogni mestiere ha i suoi rischi, si capisce.

Jefferson                            - Sì, Bernardo, rischi ve ne sono in tutti i mestieri. I minatori, i macchinisti, i fuochisti... Pensa a quante volte, malgrado la mia età, vado incontro ai miei pescherecci con un mare d'inferno, e mi arrampico alla biscaglina, e... Insomma, non ti va, fa come vuoi.

Caterina                             - Ma non abbiamo altra scelta. Iddio solo sa che cosa l'inverno ci prepara... tutte le patate marcite.

Jefferson                            - E' così nell'intero Distretto. Allora, gio­vinetto?

Bernardo                            - No, signor Jefferson.

Caterina                             - E allora, fuori di casa, disutilaccio.

Bernardo                            - Va bene, mamma.

Caterina                             - Via! (Minacciosa) Potrei...

Jefferson                            - Calma, calma!

Giovanna                           - Se avessi un figlio come questo...

Jefferson                            - Devi trovarti prima il fidanzato.

Giovanna                           - (con tono scherzoso) L'ho già trovato. Se avessi un figlio come questo, gli tirerei gli orecchi sino a strapparglieli. Pazienza. E' un vigliacco! Un marinaio sa che presto o tardi... Ma il mio non ci pensa. Se Giorgio fosse come lui, saprei come regolarmi. Figurati, zia... Giorgio...

Jefferson                            - Giorgio?

Giovanna                           - Affronterebbe anche il diavolo. Non è vero, zia? Ed ora ritorniamo alle patate. Arrivederci, signor Jefferson.

Jefferson                            - Dimmi una cosa, occhi neri. Ridi conti­nuamente?

Giovanna                           - (con uno scoppio di risa) No. Ora mi metto a piangere. Arrivederci. (Prima di uscire) Zia, parlagli di Giorgio.

Jefferson                            - Giorgio? Ah! è quel vostro figlio, che...

Caterina                             - Sì.

Jefferson                            - Condannato a sei mesi per una rissa?

Caterina                             - Sì. Non è stato capace di tenere le mani a posto.

Jefferson                            - Calori di gioventù.

Caterina                             - Gli hanno dovuto certamente fare qualche cosa.

Jefferson                            - Sciocchezze, Non è una scusa. La disci­plina se n'andrebbe al diavolo, se ogni marinaio po­tesse a suo piacere mettere in moto i propri pugni.

Caterina                             - E' giusto, ima...

Jefferson                            - E lei è innamorata di quel... galantuomo?

Caterina                             - Ne è pazza. Ed è giusto. Se vedeste com'è bello... tutto suo madre... e poi anche così robusto. Ecco la sua fotografia. (Pensierosa) Mi preoccupo del suo ri­torno... Mi cadrà anche lui sulle spalle; sebbene - e debbo dirlo ad onor suo - egli non se ne starà con le mani alla cintola. Un gigante di quella fatta troverà sempre un capitano.

Jefferson                            - Lasciate che vi parli chiaro: non lo pren­derei. I suoi precedenti mi impensieriscono. Non ho ragione?

Caterina                             - Sì, non una, ma mille ragioni. Ma il mio ragazzo... posso mandarlo direttamente dal capitano?

Jefferson                            - Sì, purché gli facciate prima compren­dere...

Caterina                             - Sì, signor Jefferson.

Jefferson                            - Se esce in tempo, può imbarcarsi sulla «Buona Speranza». E' uscita proprio ora dal bacino.

Caterina                             - Non so come dirvi grazie.

Jefferson                            - Allora, arrivederci. (Si ode dall’esterno un vocio confuso) Che c'è?

Caterina                             - Gente che ritorna dal porto. L'« Anna » ha avuto un morto a bordo.

Jefferson                            - L'« Anna »? Il piropeschereccio di Petersen? Male! Chi è il morto?

Caterina                             - Non lo so. Vado ad informarmene. (La scena rimane vuota. Continua a giungere dall'esterno un vocio confuso. Passano dei pescatori, che parlano fra loro. Si sente la campana della chiesa suonare a morto. Giorgio entra furtivo, si guarda intorno, apre la porta della cucina, dà un'occhiata dalla finestra e getta a terra un fagotto legato con un fazzoletto rosso. Si lascia cadere su una sedia accanto alla tavola, posa la testa sulla mano e borbotta delle parole indistinte. Si alza inquieto, trova del pane, ne taglia una fetta, e ritorna presso la tavola, mangiando. Lascia cadere il pane e rimane con lo sguardo perduto nel vuoto. Non s'odono più i rintocchi funebri).

Bernardo                            - (entrando) Giorgio! Sei proprio tu?

Giorgio                              - (ridendo) Sì, proprio io. Ma potreste anche darmi la vostra zampa.

Bernardo                            - (prendendogli la mano) Hai visto la mamma?

Giorgio                              - No. Dov'è?

Bernardo                            - Chi? la mamma?

Giorgio                              - Ma perché mi guardi così?

Bernardo                            - Dimmi... dimmi: sei stato ammalato?

Giorgio                              - No, non sono mai ammalato.

Bernardo                            - Eppure... sei così pallido.

Giorgio                              - Perché non dici che sembro un morto? Dammi lo specchio. (Guardandosi) Dio, che faccia! (Rabbioso, posa lo specchio sulla tavola).

Bernardo                            - Ma si sta così male in carcere?

Giorgio                              - Macché; non puoi immaginare come ci si sta bene. Per dirtene una, ti danno tutti i giorni bi­stecche. Avete dell'acquavite?

Bernardo                            - No.

Giorgio                              - Valla a comperare: se non ne ho subito una goccia, «asco per terra.

Bernardo                            - (timido) Ma non ho danaro.

Giorgio                              - (cercando in tasca) Ne ho io. (Butta dei soldi sulla tavola) Guadagnati in carcere.

Bernardo                            - Allora, vado a comprarla alla «Testa Rossa », qui all'angolo.

Giorgio                              - Comprala pure all'inferno... purché tu fac­cia presto. (Richiamandolo) E la mamma... sta bene? (Bernardo annuisce) E Giovanna?

Bernardo                            - Sta scavando le patate.

Giorgio                              - Hanno del rancore per me?

Bernardo                            - Perché?

Giorgio                              - Perché io... (Rabbioso) Ma non fissarmi come un idiota.

Bernardo                            - (confuso) Non posso ancora abituarmi alla tua faccia strana.

Giorgio                              - La mia faccia ti sembra strana? Forse perché non ho più la barba? E che hanno detto quando io... Parla.

Bernardo                            - Non lo so.

Giorgio                              - Va all'inferno! Non sai mai nulla. (Ber­nardo esce di corsa).

Giovanna                           - (entrando col coniglio morto in mano) Dio! Giorgio! (Getta il coniglio a terra, gli corre in­contro, lo abbraccia e scoppia a piangere).

Giorgio                              - (freddo e duro) Basta! Smettila con questo pianto maledetto. Smettila, ti dico!

Giovanna                           - Sono tanto, tanto felice, caro!

Giorgio                              - Basta!

Giovanna                           - Che posso farci? è più forte di me! (Continua a piangere).

Giorgio                              - (sciogliendosi dal suo abbraccio) Smettila! La mia testa non regge a tutte queste smancerie.

Giovanna                           - Ah, le chiami così?

Giorgio                              - E' giusto. Non puoi comprendermi. Sei mesi di segregazione in una lurida cella! (Coprendosi gli occhi con la mano) Tira un po' la tenda; c'è troppo sole. Fa impazzire.

Giovanna                           - Ma dimmi, Giorgio... la tua barba?

Giorgio                              - La mia barba non andava loro a genio. Sono brutto, è vero? Sembrerò un riesumato.

Giovanna                           - (ridendo e piangendo) No, no! Perché parli così? (Ricomincia a piangere).

Giobcio                              - Daccapo? E' questo tutto ciò che puoi dirmi? (Accennando alle proprie tempia) Si sono fatte grigie ?

Giovanna                           - No.

Giorgio                              - Menti. (Si guarda di nuovo allo specchio e poi lo getta a terra, rabbioso', allontanandolo con una pedata). Ho dei buoni occhi per vedere. Pensa: rinchiuso in una specie di covile, senza poter camminare, senza poter parlare, vedere... (Dà un pugno sulla tavola).

Bernardo                            - (entrando) Ecco l'acquavite.

Giovanna                           - L'acquavite?

Bernardo                            - Per Giorgio.

Giorgio                              - Non è roba per te. (Beve avidamente dalla bottiglia) Un sorso e ti senti rinato!

Giovanna                           - Ma stavi mangiando del pane... hai fame?

Giorgio                              - No. Sì. Non so. (Si porta di nuovo la bot­tiglia alla bocca).

Giovanna                           - Basta, Giorgio, basta. Non potrai sop­portarlo a stomaco vuoto.

Giorgio                              - Basta? (Beve) Ah! questa è bella. E' l'u­nica cosa che ti rimette a posto lo stomaco. (Beve an­cora) Ma non fare quella faccia! Non aver paura, non mi ubriaco. Puzza? Non ci sei abituata. Ci sono prov­viste a bordo?

Giovanna                           - Altro che! (Accennando al coniglio) Guar­da com'è grasso! L'ho preso che non è nemmeno un'ora.

Giorgio                              - Ma è roba per domani. (A Bernardo, dan­dogli dell'altro denaro) Tieni, va a comprare qualche cosa: del prosciutto, della carne.

Bernardo                            - Della carne?

Giovanna                           - Se vuoi mangiar carne, conserva il tuo danaro per domenica.

Giorgio                              - Per domenica, per domenica. Quando per sei mesi non ho mangiato che pane nero, legumi duri come pietre e pesce marcio! Sono così debole da non poter fare un passo. Altro che rimandare a domenica! Vorrei mangiar tanto da crepare. Posso berne un altro sorso? (Bernardo esce).

Giovanna                           - No.

Giorgio                              - Obbedisco. C'è almeno un po' di tabacco?

Giovanna                           - Come sono felice di vederti riprendere il tuo buon umore. Guarda, dev'essercene in quel vaso.

Giorgio                              - Dio sia lodato! E dov'è la mia vecchia pipa?

Giovanna                           - Te l'ho conservata io.

Giorgio                              - E con chi siete state durante la mia as­senza?

Giovanna                           - Con zio Cosimo. (Gli dà intanto la pipa che ha preso da un cassetto).

Giorgio                              - (riempie e accende la pipa. Aspira delle lun­ghe boccate) Da sei mesi non ne avevo inteso più il sapore. (Una pausa) Ma questo non è tabacco; è paglia! L'acquavite puzza, il tabacco puzza...

 Giovanna                          - Sarebbe meglio che mangiassi prima qualcosa.

Giorgio                              - Dormi sempre dalla mamma?

Giovanna                           - Sì, accanto alla stia dei maiali. Abbiamo comprato dei maialini.

Giorgio                              - (ridendo) E allora posso dormire qui?

Giovanna                           - Qui si sta bene ed al caldo.

Caterina                             - (da fuori) Perché avete abbassato la ten­dina?

Giovanna                           - (col dito sulle labbra, fa segno a Giorgio di lacere).

Caterina                             - (entrando) Che stai facendo? Che è suc­cesso allo specchio? Chi è seduto lì?

Giorgio                              - (alzandosi) Eh!

Caterina                             - (spaventata) Dio mio.

Giorgio                              - Ma sono io... Giorgio.

Caterina                             - Ah, che tuffo al cuore. (Giorgio; ridendo, fa per abbracciarla) No, non ancora, aspetta un mo­mento.

Giorgio                              - (offeso) Aspettare un momento? Perché?

Caterina                             - (con tono di rimprovero) Che cosa hai fatto sino ad oggi, per rendermi felice?

Giovanna                           - (conciliante) Lascia stare questi discorsi.

Giorgio                              - Ah, vuoi ricominciare? Ma se è così...

Caterina                             - Se è così?

Giorgio                              - Riprendo il mio fagotto e via,

Caterina                             - (scoraggiata) Ed è così che mi ritorni a casa!

Giorgio                              - Vuoi forse che mi risieda sul banco degli accusati? Grazie, no.

Caterina                             - (sul punto di piangere) L'intero villaggio non ha fatto altro che parlare della disgrazia tutto il tempo che sei stato via. E non posso fare un passo senza...

Giorgio                              - (aspro) Chi ha da dire qualcosa di me venga a dirmela in faccia, Non sono né un ladro, né...

Caterina                             - No, ma sei trasceso a vie di fatto contro un tuo superiore.

Giorgio                              - Avrei dovuto torcergli il collo.

Caterina                             - Figlio mio, porterai sfortuna a tutti noi.

Giorgio                              - (camminando su e già agitato) Tu pure! Trattato come una bestia in carcere e qui peggio! (Af­ferra il fagotto) Non sono affatto disposto a... (Esita accanto alla porta e lascia cadere il fagotto) Basta, mam­ma! Non piangere più!

Giovanna                           - Su, zietta cara!

Caterina                             - Tuo padre, che riposa in mare, sapeva soffrire senza reagire, e se fosse stato ancora vivo non t'avrebbe guardato più.

Giorgio                              - Sono lieto di non somigliargli. Non ho sangue di pesce nelle vene. Dunque, la smettiamo o no con i rimproveri, e con queste lacrime?

Caterina                             - (abbracciandolo) Calmati. Rientra in te. Dicci come è andata.

Giovanna                           - Su, raccontaci tutto. Siedi.

Giorgio                              - Sono stato seduto abbastanza. Lasciatemi camminare, avanti e indietro; così per non perdere l'a­bitudine. (Riaccendendo la pipa, a Giovanna) Tutto è accaduto per causa tua.

Giovanna                           - (ridendo) Per me? Questa è bella! Non credevo di essere tanto importante.

Giorgio                              - Bella, altro che bella! Te lo avevo detto. Non dovevi dargli troppa confidenza.

Giovanna                           - Ma di chi parli?

Giorgio                              - Di quel luridissimo individuo. Non lo ri­cordi? Quella sera hai ballato con lui nel salone della « Testa Rossa ».

Giovanna                           - Ballato? Io?

Giorgio                              - Sì, la notte prima della nostra partenza.

Giovanna                           - Ah! con il nostromo della tua nave? Ma è stato lui, che tu... Sei stato tu a presentarmelo, non ricordi?

Giorgio                              - Per convenienza. Ma non appena a bordo, ha cominciato a dire tante menzogne sul tuo conto, ed ho inteso con i miei orecchi che diceva al capitano...

Giovanna                           - (furiosa) Che cosa?

Giorgio                              - Che lui... che lui... insomma ha parlato di te come se tu fossi una prostituta.

Giovanna                           - Ah, sì?! Mascalzone.

Giorgio                              - Ma non appena è tornato sotto coperta, gli ho rotto il muso. Cinque minuti dopo ero ai ferri, e poi il processo e sei mesi di carcere. Maledetto!

Caterina                             - Non maledire: è scritto nella Bibbia.

Giorgio                              - Per noi non c'è scritto niente nella Bibbia.

Caterina                             - Vergognati di parlare a questo modo.

Giovanna                           - Ma non ha ragione? Ora calmati, dimen­tica. Non parlarne più.

Giorgio                              - Non parliamone più. Hai ragione. (Parla aspro per trattenere le lacrime) Dammi un fiammifero. (Riaccende la pipa) Su, mamma. (Va alla finestra e alza la tendina) Quel gallo maledetto se ne sta appollaiato sul tetto. Mi crederesti? Vorrei imbarcarmi subito. Due giorni soli di mare, mare, mare, e ritornerò buono come una volta. Ma, perché Teresa corre piangendo? Teresa!

Caterina                             - Zitto. Non la chiamare. L'« Anna » è tor­nata adesso senza suo marito. (Si vedono passare alcune donne, che parlano piano fra loro) Povera disgraziata, con sei bambini!

Giorgio                              - Si tratta di Antonio? (La madre annuisce) Che disgrazia! (Lascia cadere la tenda e rimane pensoso con gli occhi fissi a terra).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

La stessascena dell'atto precedente.

Due settimane dopo. Giovanna sta apparecchiando la ta­vola, mentre entrano Simone e Maria.

Maria                                 - Buongiorno. Non c'è ancora nessuno?

Simone                               - Non lo vedi? (Accenna ad andarsene).

Giovanna                           - Ve ne andate già?

Maria                                 - Babbo, rimani ancora un poco.

Simone                               - Va bene. Resto ad aspettare fuori. Debbo, debbo...

Maria                                 - Non devi far proprio nulla.

Simone                               - Mi tratta peggio d'un ragazzo. (Esce bor­bottando).

Maria                                 - Questa mattina comincia per tempo.

Giovanna                           - E' ridiventato cattivo?

 Maria                                - Avreste dovuto vederlo ieri: quasi tutto il villaggio lo seguiva. Ma, quando la mamma era viva, non osava. Gli dava magari degli schiaffi quando puz­zava d'acquavite. Ma questo io non posso farlo.

Giovanna                           - Se vi sentisse Tommaso...

Maria                                 - Non ho mai visto bere Tommaso... e il babbo non era abituato a bere. Non c'è che fare! Non posso tappargli la bocca con un turacciolo, né portarlo a guinzaglio. (Guardando dalla finestra) Eccolo. Se ne va di filato alla «Testa Rossa». Vecchio ubriacone. Quanti anni compie oggi, Caterina?

Giovanna                           - Sessantuno. Li porta bene, non vi pare? Sedetevi. Quando sposerete? (Siedono sotto la finestra).

Maria                                 - Dipende dalla durata del viaggio. Vorremmo sistemarci subito (con un sorriso esitante) perché... perché... mi comprendete. Ma occorrono i documenti e ci vogliono due settimane per averli. Ma cinque settimane, cinque piccole settimane passeranno presto, e così avremo anche i documenti.

Giovanna                           - Noi sposeremo a dicembre.

Maria                                 - Allora, sarà quasi alla stessa epoca. E voi?... anche voi?... su, ditemi la verità. Io sono stata sincera con voi. (Giovanna scrolla le spalle e ride).

Caterina                             - (entrando) Come al solito, ride. Buon­giorno, Maria.

Maria                                 - (baciandola) Ancora per altri cento anni.

Caterina                             - (aprendo la cesta) Che Dio me ne guardi! Altri cento anni! Non ho messo tanto da parte per man­tenermi così a lungo. (Sciogliendo un pacchetto) Prova­tene una. (A Giovanna) Anche tu. Tartine pepate. No, no, una sola, e tieni a posto quelle tue lunghe zampe di granchio. Per ognuno dei due ragazzi, mezza libbra di tartine pepate, mezzo pacchetto di tabacco da ma­sticare, ed un pacco di sigari. Non indovinerete poi la sorpresa che ho serbato a Bernardo, ora che ha comin­ciato a mostrarsi uomo. Guardate. (Cava di tasca un paio di orecchini).

Giovanna                           - No, devi darli a Giorgio.

Caterina                             - Invece se li merita Bernardo, ora che si è finalmente deciso.

Maria                                 - Li avete comprati?

Caterina                             - Comprati? E vi pare che io sia in grado di comprare qualcosa? Sono dei vecchi orecchini che portava mio marito la domenica, quando era a casa.

Maria                                 - Sono fatti come un ricamo: piccole navi, alberi, vele. Se li avessi io, me ne farei un fermaglio.

Giovanna                           - E perché deve averli proprio quel fan­nullone? Mi sembrerebbe che Giorgio, come fratello maggiore...

Caterina                             - Non chiamarlo più fannullone, ora. Non lo merita, se ha messo giudizio, ed ha deciso.

Maria                                 - Ma quante storie prima di firmare.

Caterina                             - E' vero. Ma poi ha preso coraggio; va con suo fratello, e questo lo ha molto' sollevato. Ma in fondo lo compatisco: è stato suggestionato dalla fine di suo padre e dei suoi fratelli...

Giovanna                           - E' incredibile. Prima lo investi e lo ma­ledici; ora te ne vai in brodo di giuggiole per lui!

Caterina                             - Non farci caso. Fra un'ora se ne andrà... Ancora un'ora, e non bisogna mai lasciarsi con rancore. Un bicchierino, Maria? Scegliete fra queste bibite. Le hanno preparate per il mio compleanno. Ma se avessi saputo che partivano... Finisci di apparecchiare, Gio­vanna. Sara ed i nostri ragazzi saranno qui fra poco. (Cosimo e Daniele, entrano).

Cosimo                              - Buongiorno.

Daniele                              - Buongiorno a tutti.

Cosimo                              - Che fortuna! Siamo arrivati in tempo. Un bicchiere d'acquavite, ma che sia colmo.

Daniele                              - Anche a me. (Giovanna versa e porge loro i bicchieri).

Sara                                    - (entrando) Buongiorno a tutti.

Caterina                             - Un bicchierino?

Sara                                    - Non posso fermarmi. Ho la pentola sul fuoco.

Giovanna                           - Su, un momento soltanto.

Sara                                    - Non posso. (Non ho chiuso la porta, e il gatto potrebbe far cadere la stufa. Ma un bicchierino l'ac­cetto con piacere, anche se Io bevo in piedi. (Col gesto di augurio) Ancora per molti e molti anni, e che i vostri ragazzi... Ma dove sono?

Caterina                             - Giorgio è andato a salutare gli amici; Bernardo è andato assieme a Tommaso a portare a bordo gli strapuntini, le cassette, ed! i cappotti d'acqua. Saranno qui fra poco. Debbono imbarcarsi alle tre.

Sara                                    - (vuotando il bicchiere) Immagino come debba dispiacervi vederli partire.

Giovanna                           - (a Sara) Ma sedetevi almeno un minuto. Bevete un altro bicchierino. (Lo riempie),.

ìSara                                   - Ve l'ho già detto che non posso restare.

Simone                               - (sulla soglia quasi ubriaco) Buongiorno a tutti.

Caterina                             - Buongiorno, Simone. Entrate. C'è posto anche per voi.

Cosimo                              - Un bicchierino?

Maria                                 - No.

Simone                               - Perché no?

Maria                                 - Hai già bevuto abbastanza.

Simone                               - Non è vero. Neanche una goccia.

Caterina                             - Avete visto Giorgio?

Simone                               - (borbottando) Uh... Giorgio...

Cosimo                              - (poiché Simone ha già bevuto il bicchierino offertogli, rivolto a Giovanna) Dagliene un altro per fare la misura giusta.

Maria                                 - (ira collera) No, no.

Simone                               - No? Va all'inferno. (Si siede e accende la pipa).

Caterina                             - (a Simone) C'è molto lavoro ai bacini?

Simone                               - Ora sì. Ascoltate...

Sara                                    - Bisogna che me ne vada...

Giovanna                           - Ancora un poco. I ragazzi non potranno tardare. Prendete una sedia.

ìSara                                   - No, quando mi siedo il tempo passa come un lampo. Accetto solo un altro mezzo bicchierino.

Giorgio                              - (entrando) Pare d'essere in, coperta con tutto l'equipaggio al posto di manovra. Buongiorno a tutti. Eh, Simone.

Simone                               - (fra i denti) Uh...

Maria                                 - Lasciatelo in pace.

Giorgio                              - Perbacco! Ha messo delle arie con me! Un altro quarto d'ora soltanto. (Giovanna riempie i bic­chieri) Alla tua salute, mamma! E anche alla tua, Gio­vanna! E anche alla vostra, Daniele.

Giovanna                           - (accennando a Daniele, ridendo) S'è ad­dormentato coi bicchiere in mano.

 Daniele                             - (svegliandosi di soprassalto) Potrà acca­dere anche a te, quando avrai la mia età.

Giorgio                              - (ridendo) Ma io non diventerò mai vec­chio! Le navi che fanno acqua, vanno a fondo.

Sara                                    - Non vuol diventar vecchio! Se lo aveste detto quando sembravate uno straccio, pazienza, ma ora siete in salute. State proprio bene.

Simone                               - (borbottando in maniera appena intelligibile) Non debbono... non debbono... li ho avvertiti... Questa è la verità.

Maria                                 - Smettila.

Giorgio                              - Lasciatelo fare. Non dà fastidio a nessuno.

Simone                               - (gesticolando) Non debbono... non debbono.

Maria                                 - (con irritazione) Ma che dici? Che significa quesito non debbono?

Simone                               - (borbottando) Le ordinate, il fasciame... è la verità. (Tutti ridono).

Tommaso                           - (dalla soglia) Buongiorno a tutti.

Caterina                             - Cornea voi solo? E... Bernardo?

Tommaso                           - Non mi fate parlare.

Caterina                             - Eppure siete andati assieme a portare a bordo le cassette e gli strapuntini...

Tommaso                           - Non vorrei dirlo... ma è la verità: ha paura, tanta paura. (A Maria) Ce ne andiamo?

Giovanna                           - No, prima un bicchiere. E' il compleanno della zia.

Tommaso                           - E allora per molti e molti anni ancora, Caterina.

Caterina                             - In che preoccupazione mi avete messa!

Giovanna                           - (ridendo) Tu esageri, zia!

Caterina                             - (con collera) Sì, sono molto preoccupata. E lei se ne meraviglia! Ho preso un anticipo dal signor Jefferson.

Giorgio                              - Non preoccuparti mamma, dal momento che ha firmato in piena regola...

Tommaso                           - (a Giorgio) Ce ne andiamo?

Giorgio                              - Non ancora. Voglio aspettare Bernardo. Perché tanta fretta?

Sara                                    - (a Giorgio) Ma non vedete che quei due muo­iono dal desiderio di restare un momento soli? (A Tom. maso) Arrivederci e buona fortuna! (Tommaso e Maria salutano ed escono).

Caterina                             - Sono già le due e mezza. Incomincio a preoccuparmi.

Sara                                    - Già, le due e mezza? Sono rimasta qui tanto tempo? E la porta di casa è aperta; buon viaggio, Gior­gio. Arrivederci, Caterina. Buongiorno a tutti     - (Esce).

Jefferson                            - (entrando bruscamente) A che gioco gio­chiamo?

Giorgio                              - L'avete con me?

Jefferson                            - Sì, con voi.

Giorgio                              - Si vede che non avete la testa a posto.

Jefferson                            - L'autorità marittima è stata informata.

Giorgio                              - Ma siete pazzo. Chi vi ha detto che non vado a bordo?

Caterina                             - E' già pronto.

Jefferson                            - Non si tratta di lui, ma dell'altro vostro figlio.

Caterina                             - Mio Dio, che c'è?

Jefferson                            - (a Cosimo e Daniele, che al suo ingresso si sono alzati per andare presso la finestra, rimanendo in ascolto) Sono forse affari che vi riguardano? (I due scompaiono) Questa casa comincia ad essere poco rac­comandabile: si gozzoviglia e si fa baldoria.

Giovanna                           - E' il compleanno della zia.

Giorgio                              - Ed anche senza special ricorrenza, saremo padroni di fare ciò che ci piace, in casa nostra.

Jefferson                            - Vi prego di cambiar tono.

Giorgio                              - Che cambiare e cambiare? Uscite!

Caterina                             - Calmati, per carità! Compatitelo, signor Jefferson. E' arrabbiato. (A Giorgio) E quando sei ar­rabbiato ti lasci scappare dalla bocca certe cose.

Jefferson                            - Se tra dieci minuti non siete a bordo, vi ci farò portare con la forza.

Giorgio                              - Vorrei vederlo! Ma a chi credete di par­lare?

Giovanna                           - Giorgio, ti supplico….

Jefferson                            - « A chi credete di parlare1 ». Ha il corag­gio di dirmi questo. (A Caterina) Venite un'altra volta a pregarmi di spendere una buona parola per questo avanzo di galera.

Giorgio                              - (beffardo) Avete speso una buona parola per me? (Ride) Voi mi pagate e io vi dò il mio lavoro; ma per il resto vi saluto.

Jefferson                            - Siete un impudente ed un villano.

Giorgio                              - (minaccioso) Se non fosse per la mamma...

Giovanna                           - (abbracciandolo) Giorgio! Giorgio! (Una pausa).

Jefferson                            - Così mi si tratta in casa vostra, Caterina. (Sulla soglia) Ricordatelo. E non dimenticate che vi ho dato l'anticipo in buona fede. Buongiorno.

Caterina                             - Sì, signor Jefferson.

Jefferson                            - (restando ancora un istante sulla soglia) Vi ho mai trattata male?

Caterina                             - No. Voi e il pastore...

Jefferson                            - Uno dei vostri figli non vuol lavorare per me. L'altro... (A Giorgio) Finirete male, ve lo dico io.

Giorgio                              - Virate di bordo! Sono un marinaio, ma qui comando io. E' proprio enorme. Un armatore che non vuole si faccia questo, o quello, e si mette a spiare dalla finestra...

Jefferson                            - Continuate pure con la vostra bella mu­sica, Vostro padre che era un brav'uomo, non avrebbe mai osato minacciarmi. Voi giovani, non avete alcun ri­spetto per i capelli grigi.

Giorgio                              - Questa è bella! Rispetto per i capelli gri­gi?! Bisogna vedere a ohi appartengono i capelli grigi, e poi parleremo di rispetto. So bene che vi sono capelli grigi diventati tali nella povertà e nella fatica...

Jefferson                            - Potete dire che io non abbia lavorato e sofferto?

Giorgio                              - Non mi raccontate delle storie! Lavorato! sofferto! Avete lavorato con molta abilità, e non solo siete diventato ricco, ma pretendete di fare anche il ti­ranno 'Con i vostri dipendenti. Non siete peggiore degli altri... Ma a casa mia pretendo che mi si lasci in pace. Mio padre era d'una pasta diversa. Non possiamo essere tutti uguali... E forse, se i miei figli vivranno tanto..., quando andranno, come feci io dodici anni fa, a chiedere notizie del loro padre e dei loro fratelli, non troveranno il padrone comodamente seduto nel proprio' ufficio, con un bicchiere di grog dinanzi, accanto ad una stufa calda ed una cassaforte ben fornita... e non saranno mandati al diavolo per essere ritornati così spesso a fare la stessa domanda... E non si vedranno, chiudere la porta in fac­cia, e non si sentiranno dire: «Se vi saranno notizie, ne sarete informati ». Non la chiamate anche voi crudeltà, questa?

Jefferson                            - Mentite. Non mi sono mai comportato così.

Giorgio                              - Non sciupiamo altre parole su questo argo­mento. Desidero solo ricordarvi che non l'ho dimenti­cato. I capelli grigi! Quelli di mia madre sono grigi... e per quali sofferenze! Anche quelli di mio padre erano-grigi, ma per voi non avevano colore. Nemmeno il suo volto esisteva per voi.

Jefferson                            - Che discorsi senza capo né coda! Voglio darvi un piccolo consiglio, giovanotto, prima della vo­stra partenza: se a bordo credete di fare l'insolente, come avete fatto con me, ora, vi accorgerete che cosa sia la disciplina sulla « Buona Speranza ».

Giorgio                              - Ma è cosa che sa anche un bambino di un anno!

Jefferson                            - Quando sarete più vecchio, vi vergogne­rete della vostra impudenza. L'armatore col suo grog e con la sua stufa calda...

Giorgio                              - E con la sua cassaforte!

Jefferson                            - E con le sue preoccupazioni e i suoi fa­stidi, che non potete neanche immaginarli. Chi è che dà da mangiare a tutti voi?

Giorgio                              - E chi è che vi porta il pesce? Chi rischia ad ogni ora la propria vita? Chi va a dormire con i panni inzuppati addosso e con le mani rovinate dal sole? Siamo in dodici sulla vostra nave. Il nostro guadagno è del venticinque per cento sull'utile; e il vostro è invece del settantacinque. Noi lavoriamo, mentre voi ve ne state comodamente a casa. La vostra nave è assicurata, ma noi... possiamo andarcene all'inferno, se la nave affonda. Assicurare questa povera carne battezzata? Non ne vale la pena! (Si vedono passare gruppi di pescatori. Una voce dall'esterno chiama)

Voce                                  - Giorgio, sei pronto?

Giorgio                              - Vengo subito, ragazzi.

Jefferson                            - (tagliando corto) Va bene. Ricordatevi che ho dato un anticipo a vostra madre, ed intanto vo-istro fratello Bernardo ha disertato.

Caterina                             - INo, non posso crederci.

Jefferson                            - (a Caterina) Il capitano mi ha telefonato proprio ora dal porto, e sono venuto a dirvelo, non po­tevo prevedere che sarei stato insultato da questo vostro figliuolo, A proposito, Caterina, devo anche dirvi che, da oggi, mia moglie non ha più bisogno di voi.

Caterina                             - Ma non è colpa mia...

Giorgio                              - Bella bravura! Vendicarsi con mia madre.

Jefferson                            - (a Giorgio) Alla fine del viaggio sarete sbarcato. Perciò regolatevi. Siamo intesi?

Giorgio                              - (fuori di sé) Tutto, ho inteso. E siamo d'ac­cordo. Ma ora fuori! fuori! (Sbatte la porta alle spalle di Jefferson, che esce in fretta).

Caterina                             - Che bel compleanno!

Giovanna                           - Zia, non ti crucciare! Giorgio aveva ra­gione.

Caterina                             - (alzandosi) E' il signor Jefferson, che ha ragione.

Giorgio-------------------- - (con ira) Volete corrergli dietro?

Caterina                             - No, voglio andare in cerca di Bernardo.» Dio mio! Dio mio! Se ha disertato, lo arresteranno, lo porteranno in carcere.

Giorgio                              - Volete o non volete augurarmi buon viaggio?

Caterina                             - Non capisco più niente; devo andare. Ar­rivo fino al porto e ritorno subito.. (Esce).

Giovanna                           - Povera zia! Come mi fa pena! (Una pausa) Dov'è il tuo sud-ovest?[1]. Ci mancherebbe altro che dovessimo cercarlo all'ultimo momento. E' stato quell'ubriacone di Simone, a metterlo fuori di sé. Ma non stare così accigliato. Ecco il tuo sud-ovest. (Coglie un geranio da un vaso e glielo mette all’occhiello) Pensami, pensami sempre! (A Caterina che rientra) Zia, già di ritorno ?

Caterina                             - Bernardo non è qui?

Giorgio                              - (ridendo) Guarda: l'ho in tasca.

Caterina                             - Teresa lo ha visto gironzolare dietro la casa.

Giorgio                              - Mammina, ce ne andiamo. Ci accompagni?

Caterina                             - No.

Giovanna                           - Allora, vieni più tardi?

Caterina                             - Sì. Non dimenticare il tabacco e i sigari.

Giorgio                              - Se vieni troppo tardi, non mi rivedrai più. (Esce con Giovanna).

Bernardo                            - (entrando e richiudendosi la porta alle spalle) Zitta!

Caterina                             - Ah, sei qui!

Bernardo                            - (cercando di farsi più piccolo) Zitta!

Caterina                             - Che significa? Perché mi dici di star zitta? Se non corri subito a bordo, griderò tanto da far accorrere qui l'intero villaggio.

Bernardo                            - (con estrema agitazione) Richiama Gior­gio... non farlo andare... non farlo andare!

Caterina                             - Vigliacco! La -paura ti fa impazzire.

Bernardo                            - (tremando di terrore) La « Buona Spe­ranza » è in pessime condizioni: la carena è marcia... i gaglì sono marci...

Caterina                             - Non raccontarmi delle frottole per giusti­ficarti. Poche chiacchiere, e fila a bordo.

Bernardo                            - Se non mi credi...

Caterina                             - Non sono disposta ad ascoltarti ancora. A bordo, altrimenti ti ci accompagno a furia di schiaffi.

Bernardo                            - Battimi, battimi pure! Te ne scongiuro: richiama Giorgio! Mamma, Simone sa tutto. Ha fatto lui le riparazioni e mi ha avvertito.

Caterina                             - Simone? Quell'ubriacone, incapace di connettere. Bella figura! Prima firmare il contratto d'ar­ruolamento e poi scappare. Ti ripeto di andare subito a bordo.

Bernardo                            - No. Nemmeno se mi ammazzi. Non m'im­barco su una nave simile.

Caterina                             - Ma che ne puoi sapere tu, della nave? Non è uscita proprio ora dal bacino?

Bernardo                            - I comenti non sono stati nemmeno cala­fatati. Simone mi ha detto...

Caterina                             - Ma smettila con questo Simone. Va' a bor­do, su... ecco il tuo tabacco.

Bernardo                            - Non ci vado. Non ci vado a nessun costo. Tu non sai, che nell'ultimo viaggio c'era un piede d'ac­qua nella stiva.

Caterina                             - Nell'ultimo viaggio, la « Buona Speran­za » ha portato quattordici tonnellate di aringhe. Ed ora, solo perché devi imbarcarti tu, è diventata marcia da un momento all'altro?

Bernardo                            - Ho dato un'occhiata nella stiva... i barili galleggiavano... Sembrava che la morte fosse annidata lì sotto.

Caterina                             - Ogni nave ha acqua in sentina. Vallo a raccontare ad un'altra e non alla moglie d'un vecchio marinaio, che i barili galleggiavano. Ma allora, il capi­tano e tutti gli altri, tuo fratello compreso, sono dei pazzi? Vuoi aver la pretesa di capirne più di loro? Va' subito a bordo. Non potrei sopportare di vederti trasci­nare sulla nave con la forza.

Bernardo                            - Mamma, mamma cara, te ne scongiuro, non costringermi ad andare!

Caterina                             - Dio mio, perché avete voluto e volete punirmi proprio nei miei figli? Visto che non vuoi andarci con i tuoi piedi, ti trascineranno le guardie. La forza pubblica è stata già avvertita. Chi poteva immaginare che dovesse avvenire una cosa simile nella mia famiglia? (Cerca di spingerlo fuori la porta).

Bernardo                            - Mamma, non mi toccare... non sono più padrone di me... potrei...

Caterina                             - Ah! ora gli viene il coraggio! Alza, alza pure le mani contro tua madre!

Bernardo                            - (dandosi dei pugni in testa) Se mi por­tano con la forza a bordo, non mi rivedrai più. Nemme­no Giorgio rivedrai mai più.

Caterina                             - La nave è nelle mani di Dio. (Raddolcen­dosi) Su, un ragazzo della tua età non deve comportarsi come un bambino. Ho pensato di farti una bella sor­presa, regalandoti gli orecchini di tuo padre.

Bernardo                            - Mamma, mamma cara, non ne ho, non ne ho il coraggio. Finirò annegato. (Nascondimi, te ne scon­giuro, nascondimi.

Caterina                             - Bambino mio, sei completamente fuori di te. Se credessi ad una sola delle tue parole, ti pare che lascerei andare te e Giorgio? Siediti. Fatti mettere gli orecchini. Guarda. (Parlandogli, come si parla ad un bambino) Argento massiccio... e su di esse vele e piccole navi. Sta fermo! Uno è già a posto. Ti metto l'altro. Vatti a guardare allo specchio.

Bernardo                            - No, no.

Caterina                             - Su, caro. Non farmi arrabbiare per niente. Lo sai, quanto voglio bene a te ed a tuo fratello. Siete tutto ciò che ho al mondo. Ogni sera pregherò il buon Dio, perché vi faccia ritornare sani e salvi. (Gli mette lo specchio dinanzi, asciugandosi le lacrime) Su, dai al­meno un'occhiata ai tuoi orecchini.

Il Primo doganiere             - (dalla soglia) Il capitano della « Buona Speranza » ha interessato l'autorità marittima! Andiamo giovinotto... non abbiamo tempo da perdere.

Bernardo                            - No, non vengo... non vengo a nessun costo! La nave è marcia!

Il Secondo Doganiere        - Allora, non avresti dovuto firmare il contratto. Vieni con le buone, non costrin­gerci ad usare la forza. (Gli batte amichevolmente la mano sulla spalla).

Bernardo                            - (afferrandosi disperatamente allo stipite) Non mi toccate, non mi toccate.

Il Terzo Doganiere             - Vuoi proprio costringerci a metterti le manette?

Bernardo                            - (battendo i denti per il terrore) Mamma, mamma, aiuto! non mi vedrai più! Morirò annegato!

Il Primo Doganiere            - (con rudezza, afferrandogli il pol­so) Andiamo, andiamo!

Bernardo                            - (aggrappandosi ancora più forte allo stipite) No, no! Piuttosto tagliatemi le mani. Dio, Dio! (Si rannicchia contro il muro, folle di terrore).

Caterina                             - (quasi gridando) Il ragazzo ha paura.

Il Primo Doganiere            - Ditegli che si sbrighi.

Caterina                             - (singhiozzando) Va', va', te ne scongiuro! Iddio avrà cura di te. (Gli stacca le mani dallo stipite).

Bernardo                            - (disperato) Non mi vedrai più... mai più!

Il Primo Doganiere            - Via! Via!

Teresa                                - (affacciandosi dalla strada alla finestra) Che è successo?

Caterina                             - (singhiozzando) Hanno portato via Ber­nardo... ed ora non ho più coraggio di uscire per andare a salutare Giorgio. Che disgrazia! Che disgrazia!

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La stessa scena degli atti precedenti

Sei settimane dopo. E' sera. E' acceso un lume, ma è il fuoco del caminetto che illumina la scena. Fuori imper­versa un violentissimo temporale.

Giovanna                           - (leggendo accanto al letto, su cui è stesa Caterina) Senti come son belli questi versi. Mi ascolti? «Madre Maria, volgete il vostro sguardo pietoso Su questi Vostri figli. Cingeteli con le Vostre braccia amorose E consolateli nel loro atroce dolore. Supplicate l'altissimo Iddio, Perché abbia pietà di loro ». (Guardando il letto) Zia, ti sei addormentata? (Si sente bussare alla porta. Va ad aprire in punta di piedi e fa cenno di silenzio,, con un dito sulle labbra, mentre entra­no Clementina e Kaps) Piano, per piacere, piano.

Clementina                        - Chiudete subito la porta. Che tempo da cani. Ho gli occhi pieni di sabbia. Ma Caterina è ammalata?

Giovanna                           - Si è buttata vestita sul letto. Non si sente bene. Ha un po' di tosse e di febbre.

Clementina                        - Le ho portato delle uova ed una tazza di brodo. Datemele, Kaps. (Chiamandolo) Kaps!

Kaps                                  - Sono qui.

Clementina                        - Mettete tutto sulla tavola. Che castigo dì Dio: è un po' sordo, ma quando tira vento, lo di­venta come una campana! (Ad alta voce) Dove sono le uova?

Kaps                                  - E' inutile gridare così. Vi sento benissimo.

Caterina                             - (dal letto) Chi è venuto?

Clementina                        - Io, Clementina.

Caterina                             - (alzandosi) H vento è cessato?

Clementina                        - Vi ho portato una tazza di brodo. (A Kaps) Ma dov'è questo brodo? Ne avete fatto cadere più della metà.

Kaps                                  - Non- è facile portare una tazza di brodo, col vento che vi soffia negli occhi e che ve li riempie di sabbia. Come volete non perderne un poco?

Clementina                        - Dove sono le uova? (Kaps comincia a cavarle dalla tasca) Una, due, tre, quattro... ma dove diavolo avete messo le altre due?

Kaps                                  - (frugandosi nell'altra tasca e tirando fuori le dita tutte gocciolanti di rosso d'uova) Che disastro! E' accaduto quando mi avete urtato. Guardate in che stato sono ridotti le chiavi e il fazzoletto.

Giovanna                           - (ridendo) Potete farvene una frittata!

Clementina                        - (a Kaps) Non ho più bisogno di voi. Potete tornare a casa.

Kaps                                  - Che avete detto?

Clementina                        - Potete ritornare a casa; andrò poi da sola.

Kaps                                  - Allora, buona notte. (Esce).

Clementina                        - Non posso comprendere come mie padre continui a tenere un contabile simile: irascibile e sordo. (A Caterina, che ha incominciato a bere il brodo) Vi piace?

Caterina                             - Ottimo. Vi prego di ringraziare tanto vo­stra madre da parte mia.

Clementina                        - Non è il caso. Il babbo e la mamma sono ancora in collera con voi per la faccenda di vostro figlio. Giovanna può venire un momento con me a ve­dere il mare? Non l'ho mai visto così grosso. E' proprio un grande spettacolo.

Giovanna                           - Volentieri.

Caterina                             - No, non lasciarmi sola. Vi pare che sia il caso di andare alla spiaggia con questo tempo? (Dall'esterno un rumore di cose che precipitano).

Giovanna                           - Che sarà mai?

Clementina                        - Si è rotto qualche cosa.

Cosimo                              - (apre la porta e la stanza è investita da un colpo di vento) Dio mi protegge. L'ho scampata pro­prio per miracolo.

Giovanna                           - Siete ferito?

Cosimo                              - Mi son preso un colpo a poppavia... e che colpo. Meno male che non l'ho avuto in testa. L'albero accanto alla stia dei maiali si è spezzato in due.

Caterina                             - Hai visto se è caduto sopra?

Cosimo                              - Mi pare di sì.

Caterina                             - Speriamo che non sia penetrato; il tetto è così marcio.

Giovanna                           - Ma no, no! La zia si aspetta sempre il peggio. (Sorpresa) Ma come mai, zio Cosimo, siete fuori con questo tempo da cani quando son già passate le otto?

Cosimo                              - Debbo cercare un medico per Daniele.

Clementina                        - E' ammalato?

Cosimo                              - Si è messo a letto all'improvviso. Vecchiaia. Il suo stomaco rifiuta ogni cibo. I fagioli e il grasso di prosciutto mangiato a pranzo... con vostra licenza... tutto rigettato...

Clementina                        - Ad un vecchio ammalato danno fagioli e grasso di prosciutto?

Cosimo ------------------- - Pretendereste forse che la direttrice gli pre­parasse una bistecca o un pollo arrosto? Stamattina era fuori della grazia di Dio, solo perché è stato necessario dargli un novo sbattuto. Nel pomeriggio Daniele ha incominciato a delirare... parlava di reti... del faro che doveva accendersi, e degli squali che vengono da set­tentrione. Dico alla direttrice: « Qui occorre un medi­co ». «Occupatevi di voi», mi risponde. Rimane un po' sopra pensiero e poi mi dice: «Forse è meglio chiamare un medico ». Come se non avesse potuto comprenderne la necessità sin da mezzogiorno. Sono stato dal medico, ma non l'ho trovato. Sono perciò venuto in cerca di Simone, perché mi porti in città col suo carrozzino.

Clementina                        - Sarete in buone mani, con Simone; il meno che potrà accadervi sarà di cadere dalla diga.

Cosimo                              - Questa sera non è ubriaco. Ma sentite che vento! Tra poco tutte le tegole del tetto voleranno via. (Uno scroscio di pioggia più violento sovrasta la sua voce).

Clementina                        - Avete detto che Daniele delira?

Cosimo                              - Sì. Meno male, perché ha tanta paura di morire.

Clementina                        - Ma tutti abbiamo la stessa paura.

Cosimo                              - (con profonda convinzione) Tutti? E' una idea vostra. Quando verrà il mio turno, mi dirò: «Tutti quanti dobbiamo andarcene. Dio dà e Dio toglie ». Vi prego di non ridere per quello che sto per dire. Noi prendiamo il pesce e Dio prende noi. Nel quinto giorno egli creò il mare e le creature che lo abitano e disse: « Crescete e moltiplicate » e le benedisse. Nel sesto giorno creò l'uomo, e gli disse: « Cresci e moltiplicati » e lo benedisse. No, non ridete. Non c'è ragione di ridere. Quando ero sui banchi, oppure alla salatura, mi è tante volte mancato il coraggio d'usare il coltello, perché quando strappavo col pollice la testa di una aringa, la bestia sembrava mi guardasse. E bisognava prepararne un quintale in due ore! Quando sventravo i merluzzi per estrarne il fegato, si riempiva un barile con i fegati di 1.400 merluzzi. Anche i merluzzi sembrava mi guar­dassero. (Nessuno era bravo quanto me a togliere spina e fegato! Lo ripeto: noi prendiamo il pesce e Iddio ci prende. Tutti dobbiamo andarcene, uomini e bestie. E poiché dobbiamo andarcene tutti, è come se nessuno di noi dovesse andarsene. E' come vuotare un barile pieno in un barile vuoto. Avrei paura di stare nel barile vuoto, ma con tutti gli altri nel barile pieno non può mancare il coraggio. E' stupido aver paura.

Caterina                             - Discorsi veramente adatti ad una notte come questa, col fortunale che imperversa. Forse hai bevuto un po'.

Cosimo                              - Nulla. Nemmeno una tazza di caffè. Ma dove può essere Simone?

Caterina                             - (tendendo l'orecchio) Ho indovinato o no circa la stia del maiale? Ma sentite, sentite quella povera bestia. (Si avvia verso la porta) Scommetto qua­lunque cosa Che il muro è crollato.

Giovanna                           - Vado a vedere io.

Caterina                             - No, voglio andare io. (Esce dalla porta della cucina).

Giovanna                           - E' un bel tipo di ostinata. Vado ad aiu­tarla. Versatevi intanto una tazza di caffè. (Esce).

Clementina                        - Che fortunale! Ringrazierò Iddio quan­do la « Buona Speranza » sarà ritornata sana e salva in porto.

Cosimo                              - Questa notte nessuna nave in mare è sicura. Ma la « Buona Speranza » è una vecchia carcassa, e le vecchie carcasse sono le ultime ad andare a fondo.

Clementina                        - Avete detto?...

Cosimo                              - Tutti quelli che hanno navigato sanno... (Sviando il discorso) Ne volete una tazza anche voi?

Clementina                        - No... grazie. (Una pausa) Questa sera voglio pregare Iddio perché porti la « Buona Speranza » in salvamento.

Cosimo                              - E' senza dubbio un'opera buona... ma ci sono anche tante altre navi fuori... e allora perché pre­gare per una sola nave?

Clementina                        - Ma la « Buona Speranza » è in uno stato tale... dicono. (Si arresta esitante).

Cosimo                              - (sorseggiando il caffè) Che dicono?

Clementina                        - Dicono... che, pensavo che... m'è pro­prio venuto in mente ora...

Cosimo                              - Se la « Buona Speranza » fosse stata nelle condizioni che dite, vostro padre non avrebbe certo...

Clementina                        - (mentre Caterina rientra) Zitto! Non mettete in apprensione quella povera donna.

Caterina                             - Meno male che siamo andate a vedere.

Giovanna                           - (entrata assieme a Caterina) Tutto a terra.

Caterina                             - Poveri figli miei! E come dev'essere at­territo Bernardo... proprio nel saio viaggio di ritorno.

Giovanna                           - Un po' di caffè, mamma? Scusa, volevo dire zia. Cado sempre nello stesso errore. Questa sera è così terribile e tanto lunga.

Simone                               - (entrando) Buona sera.

Caterina                             - Chiudete, presto, altrimenti il lume si spegne.

Simone                               - Che vento! (A Maria, che lo segue sin­ghiozzando) E smettila con questo tuo pianto.

Caterina                             - Perché piangi?

Maria                                 - Perché penso a Tommaso... in mare con questo fortunale...

Caterina                             - Ma prendi esempio da Giovanna. Anche il suo fidanzato è in mare. Sii degna d'essere la moglie d'un bravo marinaio, stupida! (A Giovanna) Dalle una tazza di caffè.

Mabia                                 - Siamo già alla sesta settimana.

Cosimo                              - Non piangere, prima d'averne il motivo. Tanto nessuno ti sente. L'equipaggio è forse alla porta?

Simone                               - Non ho nessuna voglia di andare; ma poi­ché si tratta di Daniele... (Cominciando a sorseggiare il caffè offertogli da Giovanna) Accidenti, come scotta. (Una pausa) Non è notte questa di andare in giro, e tanto meno da passare sulla diga. Ma vi assicuro che in una notte come questa, preferisco essere nel mio carroz­zino, anziché per mare! (A Cosimo) Allora, andiamo?

Cosimo                              - Sì; ma fa attenzione nel guidare. Buona notte a tutti. (Escono. Una pausa).

Giovanna                           - Ce ne stiamo qui sedute come delle mummie; parliamo di qualche cosa di bello per di­strarci.

Maria                                 - La notte scorsa il vento soffiava anche così forte... e ho fatto un sogno terribile... un sogno spaven­toso!

Clementina                        - Sciocchina. I sogni bisogna sempre interpretarli al contrario.

Maria                                 - Non posso precisare se sia stato effettivamente un sogno... ho inteso battere all'imposta... una volta... sono rimasta in ascolto... e poi un'altra volta. Mi sono alzata... ma non ho visto nulla. Mi sono distesa nuovamente ed ecco ancora un colpo... così... (batte con le nocche sulla tavola). Improvvisamente è apparso Tom­maso con la faccia bianca... come... Dio, Dio mio! E non c'era nulla; nient'altro che il vento.

Caterina                             - (atterrita) Hai inteso battere tre volte? Hai detto tre volte?

Maria                                 - Così. (Batte di nuovo sulla tavola).

Giovanna                           - Sei proprio senza cervello. Impressio­nare questa povera vecchia con la storia dei colpi all'imposta. Immaginazioni. (Battono alla porta. Tutte trasaliscono. Entrano Sara e Teresa).

Sara                                    - Che aspetto strano avete tutte quante! Buona sera.

Teresa                                - Posso entrare un momento?

Giovanna                           - Meno male che siete venute.

Sara                                    - C'è un tempo orribile. Ho gli occhi e gli orec­chi pieni di sabbia. E che freddo! Mettete qualche al­tro pezzo di legno nel camino.

Teresa                                - Non potevo resistere più in casa. I bam­bini addormentati... neanche un'anima cui parlare... e il vento con quel suo ululo. Due pali d'ormeggio sono stati spazzati via.

Caterina                             - (prendendo una calza e cominciando a rammendarla) Due pali d'ormeggio?

Sara                                    - Via, cambiamo discorso.

Giovanna                           - E' appunto ciò che volevo dire. Volete un po' di latte zuccherato?

Sara                                    - Ma sì. Che domanda!

Giovanna                           - Giorgio non prende mai zucchero.

Clementina                        - Il vostro ragazzo, Teresa, si è com­portato come un vero marinaio. Lo vedo ancora salu­tare colla mano, mentre la nave salpava.

Teresa                                - (lavorando con i ferri) Un vero tesoro... e non ha ancora dodici anni... Avreste dovuto ve­derlo due mesi fa, quando l'« Anna » ritornò senza suo padre. Si comportò come un uomo già fatto. La sera mi faceva compagnia... e come parlava... ne sa più di me. Speriamo che non abbia sofferto il mare.

Sara                                    - (continuando a lavorare) Vi sembrerà una sciocchezza, ma se si portano occhiali rossi, non si soffre il mal di mare.

Giovanna                           - (rattoppando delle mutande di flanella) Li avete provati? O siete come i medici, che speri­mentano sugli altri le proprie medicine...

Sara                                    - Ho dormito tante notti a bordo, quando era vivo mio marito... ho fatto molti viaggi.

Giovanna                           - Mi sarebbe piaciuto vedervi col sud-ovest e l'incerata.

Clementina                        - (a Sara) Ma eravate sposata?

Sara                                    - Avete inteso? Mi domanda se ero sposata. E come. Era un brav'uomo. Soltanto quando qualche cosa non gli andava a genio, senza voler parlar male di lui, non poteva tenere le mani a posto. Conservo ancora una caffettiera con il manico rotto in uno di quei momenti di collera; non la darei nemmeno per un milione.

Giovanna                           - Sara, raccontateci il fatto dell'olio di Haarlem.

Sara                                    - Se non fosse stato per quell'olio, forse non sarei vedova, e quel ch'è peggio, una vedova che non può risposarsi.

Clementina                        - Dev'essere interessante.

Giovanna                           - Sentirete. (A Sara) Su, bevete il vostro latte.

Sara                                    - Non mi va giù. Ma che state guardando, Caterina? E' il vento. Dunque, mio marito era un tipo strano. Sarebbe difficile trovarne un altro simile a lui. Distratto e ostinato. Un giorno, durante un fortunale, un colpo di mare lo gettò contro il boccaporto, pro­prio quando stavano issando la mezzana sulla sinistra. E lui si fracassò una gamba. Eccomi al fatto. Il capi­tano poteva fare un cataplasma, tagliare un callo, ma rimettere a posto una gamba spezzata, proprio no. Il secondo di bordo voleva legarla, ma Giacobbe si op­pose. Voleva soltanto dell’olio di Haarlem. E dove­vano ogni giorno strofinargli la gamba con quell'olio. Perciò sempre e continuamente olio di Haarlem! Ma, quando lo portarono a casa, la gamba era ormai per­duta. Non avreste dovuto farmi parlare di questo; non è davvero un ricordo lieto.

Giovanna                           - Vi ho chiesto di ripetere la storia perché ricordo che l'ultima volta voi stessa ne avete riso.

Sara                                    - E' vero. E poi non si possono far rivivere i morti. Ma se vi fermate col pensiero su ciò che mi è accaduto, dovete convenire che è proprio una ver. gogna che non possa risposarmi.

Clementina                        - E chi ve l'impedisce?

Sara                                    - Quei cretini che fanno le nostre leggi. Un anno dopo il «Capriccio» naufragò con i suoi topi e il suo equipaggio. E' chiaro che, siccome Giacobbe si era ugualmente imbarcato, malgrado avesse una gamba sola, anche lui si trovava tra gli scomparsi. Per con­seguenza non dovrebbe esserci alcun impedimento a che io mi rimaritassi. Ma no! E' necessario inserire tre volte un avviso sul giornale, e se tutte le tre volte l'avviso rimane senza esito, cioè se nessuno protesta, ac­campando dei diritti, soltanto allora si può ottenere il permesso di risposare.

Teresa                                - Ma a che scopo risposarvi? Avete avuto già due mariti. Se non ne avete abbastanza "degli uomini...

Sara                                    - Dio volesse che la pensassi così.

Teresa                                - Penso invece che non mi risposerò mai. Si vive in uno stato di continua ansia cogli uomini sul mare. Non potrei sopportarlo più. Col .mio primo ma­rito ho vissuto in continuo incubo.

Clementina                        - Raccontateci, Teresa, raccontateci. Starei delle nottate intere ad ascoltare queste storie di marinai.

Caterina                             - Ma, per carità, non parlateci né di tre­pidazioni né di morte.

Sara                                    - Non fate la borbottona. (A Teresa) Sì, rac­contate. (A Giovanna) Datemi un po' di caffè.

Teresa                                - (sferruzzando tranquillamente e parlando con voce piana) E' stato tanti e tanti anni fa. Abitavo al­lora a Vardinghen e non avevo ancora bambini. Ero sposata da un anno. Pietro è figlio di Antonio. Mio marito partì col « Magnete » per andare a pescare sui banchi di aringhe. Tutte sapete ciò che accadde. Il «Magnete» affondò, ed io non lo sapevo; era tanto lontano da me il pensiero che potesse accadere una cosa simile.

Giovanna                           - (trasalendo per un colpo di vento più forte) Zitta, un momento.

Sara                                    - Non è nulla... è il vento.

Teresa                                - Dunque... a Vardinghen c'è una torre e sulla torre un semaforo.

Caterina                             - (continuando a lavorare) C'è anche a Massluis.

Teresa                                - Il semaforo alza un pallone rosso tutte le volte che avvista un peschereccio, e quando individua la nave, informa subito l'armatore e le famiglie dell'equipaggio. Ma non c'è mai bisogno di avvertire le famiglie, perché non appena il pallone è issato, i ra­gazzi corrono per le vie gridando che hanno alzato il pallone. L’ho fatto anch'io quando ero bambina. Allora le donne vanno alla torre ed attendono giù sino a quando discende la vedetta. E, se è la loro nave, regalano un po' di danaro alla vedetta. E' un uso; una gen­tilezza.

Clementina                        - E allora?

Teresa                                - (con lo sguardo fisso sul fuoco) Sul « Ma­gnete » c'era il mio primo marito. Vi ho detto che ero sposata da un anno. LI « Magnete » rimase in mare sette o otto settimane, mentre aveva a bordo provviste soltanto per sei. E tutte le volte che i ragazzi grida­vano « Teresa, hanno alzato il pallone » correvo alla torre come una pazza ad attendere che scendesse la vedetta. Gli avrei strappato le parole di bocca... ma non ero nemmeno capace di domandare: «E' forse in vista il "Magnete"?». Fissavo la vedetta e lui rispondeva malinconico: « No, è la " Concordia " » ; oppure la «Maria», eppure la «Fedeltà». E mi strappavo a forza dalla torre, tutta in lacrime, pregando Iddio di far arrivare il « Magnete » in salvamento. Ma la nave non tornava mai... non tornava mai. Questo durò due mesi, due interminabili mesi. Infine dovetti rassegnarmi. Il pesce noi lo paghiamo a troppo caro prezzo.

Clementina                        - E ad Antonio che cosa accadde?

Giovanna                           - E' cosa ormai passata; non vale più la pena di parlarne.

Teresa                                - No, cara, vorrei parlarne a tutti e per giornate intere di lui. Che magnifico uomo! Mai una parola dura dalla sua bocca, mai. Se ne andò in due ore, per un colpo dell'argano, e senza un lamento. Se fosse accaduto una settimana dopo, me l'avrebbero por­tato a casa, l'avrei sepolto qui. Ma gli squali facevano già la posta attorno alla nave. Sentono l'odore, quando c'è un morto a bordo.

Caterina                             - E' vero.

Teresa                                - Nessuno può immaginare che cosa voglia dire esser la moglie di un pescatore. Che crepacuore, quando la persona che amate è chiusa in un sacco... con una pietra dentro... e poi... tre volte attorno all'albero maestro... «Uno, due, tre... in nome di Dio! ». II pesce noi lo paghiamo a troppo caro prezzo. (Sin­ghiozza in silenzio).

Maria                                 - Mio padre non conosceva il vino, ed è per un fatto simile che si mise a bere, ed ora è un ubria­cone. Quando annegarono i miei due fratelli, il babbo portò a casa i loro « avanzi paga »: diciotto gulden. Sembrava pazzo. Gettò il danaro in terra... e bestem­miò... bestemmiò! Non posso ripetere ciò che gli uscì di bocca. Io avevo allora quattordici anni, raccolsi piangendo il danaro da terra, poiché ne avevamo tanto bisogno. Diciotto gulden non erano una somma disprez­zabile.

Giovanna                           - Appena diciotto gulden per una vita. Appena diciotto. (Una raffica violenta di vento la fa trasalire) Un momento; zitte.

Sara                                    - 'Non è niente. Ma che cosa vi atterrisce cosi facilmente questa sera?

Giovanna                           - Mi atterrisce? Vi assicuro che vi sba­gliate.

Caterina                             - Se il mare potesse parlare!

Clementina                        - Raccontateci anche voi qualche cosa, Caterina. Dovete saperne tante.

Caterina                             - Non è argomento di racconto, la vita che si conduce sul mare. Significa soltanto lavoro. Lavoro duro per gli uomini, e non meno duro per le donne.

Clementina                        - Ma deve essere qualche volta emo­zionante.

Caterina                             - (tranquilla) Appena lo spessore di una tavola fra voi e l'eternità. (Una pausa) Ieri sera mi son trovata a passare dinanzi alla casa del borgoma­stro. Erano tutti attorno alla tavola e sulla tovaglia fumava un piatto di merluzzo bollito. I bambini re­citavano la preghiera con le mani giunte. Allora ho pensato - se ho fatto un pensiero cattivo, Iddio mi perdoni . che era un'ingiustizia da parte del borgoma­stro... e da parte di tutti gli altri... starsene tranquilla­mente seduti attorno alla tavola. Perché il vento sof­fiava con una violenza terribile dal mare... No, non è bene avere idee cattive. Se questa è la nostra vita, è necessario rassegnarsi.

Teresa                                - Già... e lei parla con cognizione di causa.

Caterina                             - Mio marito era un pescatore, uno fra mille. Ha visto di tutto sul mare. Sperduto nella nebbia, naufragato durante un terribile fortunale, in balia delle onde un giorno ed una notte interi, aggrappato ad un battello capovolto assieme ad un altro marinaio, im­pazzito. Ma di questo non parlava mai. Erano cose che facevano parte del suo mestiere. Infine annegò, sul banco di Dogers, quando colò a picco la « Clementina ». Lui ed i miei due figliuoli maggiori. E' accaduto dodici anni fa. Come avvenne, non so; non lo saprò mai, ma è così facile da supporre. Né una tavola né un pezzo d'albero ritornarono sulla spiaggia. Nulla, assolutamente nulla. Da principio mi parve che non potesse essere vero; ma ora, dopo tanti anni, non è più possibile ricordare i loro volti con precisione. E forse questo è un bene: sarebbe terribile se si ricordasse sempre con esattezza. Eccovi accontentata. Vi ho raccontato anche la mia storia. Ogni moglie di marinaio può raccontare la sua. Teresa ha ragione. Il pesce noi lo paghiamo a troppo caro prezzo. Ma voi piangete?

Clementina                        - (dando sfogo alle sue lacrime) Dio, Dio mio, fate che nessuna nave naufraghi questa notte!

Caterina                             - Siamo tutti nelle sue mani: Dio è buono e misericordioso.

Clementina                        - Che nessuna nave naufraghi questa notte!

Giovanna                           - (balzando in piedi, con violenza) Sì, tutte, tutte le navi vanno a fondo! E tutte voi contri­buite a farci impazzire! (Battendosi la testa con i pugni) Una piange senza ritegno; un'altra trattiene a stento le lacrime. Avrei preferito star sola questa sera.

Clementina                        - Ma che vi prende, Giovanna!

Giovanna                           - (con veemenza) Suo marito... suo fratello... il mio povero zio! Tutti questi orribili ricordi. Invece di cercare di incoraggiarci a vicenda. Ma perché non mi domandate nulla? (Gridando) Anche mio padre è morto annegato... annegato... e altre centinaia e centi­naia sono morti allo stesso modo. E voi siete crudeli... crudeli. (Esce di corsa, chiudendosi la porta alle spalle).

Maria                                 - Vado da lei?

Caterina                             - No, lasciala sola. Ritornerà in sé. Questi due giorni di fortunale sono pesati nel suo cuore. E' troppo per lei. (A Clementina) Ve ne andate?

Clementina                        - E' tardi... E mi dispiace per vostra nipote; si è lasciata andare un po' troppo. Non sono in collera. Chi mi accompagna a casa?

Sara                                    - Andiamo via tutte. Camminando unite, il vento non ci butterà per terra.

Maria                                 - Buona notte.

Caterina                             - E ancora grazie per il brodo e le uova. Buona notte. Se vedete Giovanna, fatela rientrare. (Si ode più forte l'ululo del vento. Ascolta ansiosa presso la finestra; poi raccoglie le tazze, ed infine spinge una sedia accanto al camino, sedendosi. Rimane a fissare la fiamma, muovendo appena le labbra, facendo scorrere il rosario fra le dita. Giovanna entra, si abbandona su una sedia accanto alla finestra e si Scioglie il fazzoletto dal capo con gesto nervoso) Va subito a letto. Sei così scon­volta. Ti sei comportata molto male con Clementina. E quella povera ragazza ha affrontato questo tempo per portarmi il brodo e le uova!

Giovanna                           - (rude) I tuoi figli sono sul mare con questo tempo; c'entrano anche lei e suo padre.

Caterina                             - C'entriamo anche noi: è la nostra vita.

Giovanna                           - Anche per noi, naturalmente. (Un pausa) Che mare!

Caterina                             - Sei andata giù a vedere?

Giovanna                           - Non riuscivo a stare in piedi per il vento. Il mare frange sulla banchina ed ha spazzato via quasi tutta la cancellata. (Una pausa) Tutti quei racconti mi hanno sconvolta.

Caterina                             - Questa sera non ti comprendo. Non sei mai stata così. Va a letto. Prega. L'unico conforto è nella preghiera. La moglie di un marinaio non può esser debole. Dopo questo fortunale, ce ne saranno degli altri. Ci sono sempre fortunali... ed a mare ci saranno altri pescatori, oltre i nostri ragazzi. (Le sue parole si smorzano in un mormorio indistinto. Le sue magre dita sfiorano carezzevolmente il rosario).

Giovanna                           - (improvvisamente) Bernardo lo abbiamo quasi trascinato via... e l'ho deriso sino all'ultimo mo­mento. (Vedendo che Caterina ha ricominciato a pregare, va verso la finestra, torcendosi le mani. Alza esi­tante la tenda e rimane a fissare la notte. Poi apre cauta l'imposta. Le raffiche di vento investono la tenda, la fiamma del lume barcolla e poi si spegne. Chiude in fretta la finestra).

Caterina                             - (trasalendo, con collera) Ma sei pazza? Chiudi la finestra. (Giovanna incomincia a piangere) Calmati. Dammi i fiammiferi. Su, svelta! Sono vicino alla saponiera. Li hai trovati? (Giovanna riaccende il lume, singhiozzando) Sono tutta un pezzo di ghiaccio; male­detto vento. (Giovanna si accovaccia accanto al fuoco, continuando a piangere) Perché ti sei messa così?

Giovanna                           - (rabbrividendo) Ho paura.

Caterina                             - Non devi aver paura.

Giovanna                           - Se accade qualche cosa, allora...

Caterina                             - Sii ragionevole: spogliati e mettiti a letto.

Giovanna                           - No, voglio star qui tutta la notte.

Caterina                             - Ma come farai, quando sarai sposata e sarai madre?

Giovanna                           - (come pazza) Zia, non sai quel che dici. Non sai proprio ciò che dici! Se Giorgio... (respira affannosamente) Perdonami: fino ad ora non ho avuto il coraggio di d'irtelo...

Caterina                             - C'è stata qualche cosa fra te e Giorgio? (Giovanna singhiozza più forte) Non è stato bello da parte tua... avere dei segreti per me. Il tuo fidanzato... il tuo uomo, è mio figlio. (Il vento ulula più forte. Una pausa) Smettila di piangere... smettila di fissare il fuoco a quel modo. Non voglio farti alcun rimprovero, seb­bene abbiate fatto male... tu e lui. Siediti accanto a me e preghiamo.

Giovanna                           - (con disperazione) Non voglio pregare!

Caterina                             - Non vuoi pregare?

Giovanna                           - (fuori di sé) Se accade qualche cosa...

Caterina                             - Non accadrà nulla.

Giovanna                           - (con lo slesso tono disperato) Se accade... se accade... non pregherò più, mai più. Vuol dire che non c'è ne Dio né Madonna... Allora non c'è nulla... nulla.

Caterina                             - Non parlare così.

Giovanna                           - Ma che potrò fare con un bambino... se lui non tornasse più?!

Caterina                             - Che dici?

Giovanna                           - (battendo il capo sulla tavola) Il vento... il vento... ini fa impazzire... (Caterina apre il suo libro di preghiere e tocca Giovanna sulla spalla. Giovanna scuote il capo, allontana il libro con la mano e abban­dona di nuovo la testa sulla tavola, singhiozzando dispe­ratamente. Il vento continua a soffiare furioso attorno alla casa).

Caterina                             - Dio onnipotente, credo con tutta la mia fede nella vostra infinita misericordia...

Fine del terzo atto

ATTO QUARTO

Una settimana dopo. L'ufficio di Isacco Jefferson

A destra in fondo, la porta che dà sulla strada. L'ufficio è diviso dal resto dell'ambiente da una balaustra. Tra questa e la porta due panche di legno. .Alla parete in fondo, tre finestre che danno sul mare. Si scorge il mare calmo, quasi immobile, nel sole. Di faccia alla finestra centrale, una scrivania; un'altra scrivania a sinistra, verso il proscenio. Alla parete di sinistra una porta, co­municante con l'interno della casa. Fra la scrivania e la porta una cassaforte. Sulla parete una lavagna sulla quale sono segnati degli appunti. Carte geografiche, ed un quadro con dipinta una nave. Al centro una grande stufa di ferro.

Matilde                              - (entrando dalla porta di sinistra) Isacco!

Kaps                                  - (leggendo e fumando la pipa) I seguenti re-litti: «2447 Ordinate, marcate Kutsa; dieci vele, mar­cate M. G. S. ».

Matilde                              - State zitto un momento, Kaps. Jefferson...

Kaps                                  - (è sordo: continuando a leggere) Quattro pez­zi di coperta, due vele, cinque cavi da rimorchio.

Jefferson                            - (con impazienza) Ora non ho tempo.

Matilde                              - Trovalo. Ho fatto la minuta della circolare per la sottoscrizione dell'orologio della torre. Chiama al telefono il borgomastro.

Jefferson                            - (prende il ricevitore con gesto impaziente) Pronto. Mettetemi in comunicazione con il borgoma­stro. Presto. (Alla moglie) Che idea! Venirmi a distur­bare proprio mentre sono cacciato nel lavoro sino agli orecchi. (Parlando al telefono, con tono cortese) Parla il borgomastro? La mia mogliettina...

Matilde                              - (suggerendo) Prega la signora di venire un momento al telefono: devo parlarle della sottoscri­zione.

Jefferson                            - (sgarbato) Sbrigati. (Con tono cortese) La signora può venire un momento al telefono? Proprio così, borgomastro. Le signore... capite. (Ride) Questa è buona. (Rude, alla moglie) Che accidenti ancora debbo dire? Sbrigati.

Matilde                              - Leggerle la circolare, prima di mandarla alla tipografia.

Jefferson                            - (guardando il foglio, che gli porge la moglie, diventa furioso) Tutta questa roba? sei pazza? credi proprio che non abbia altro da fare?

Matilde                              - Ma preoccupati anche un poco delle appa­renze (con sguardo significativo anche per Kaps).

Jefferson                            - Va all'inferno! (Cortese) Buongiorno, si­gnora. La mia mogliettina? (A Matilde) Dov'è quel tuo maledetto foglio? Sbrigati. (Cortese) La mia mo­gliettina ha fatto una minuta della circolare per la sottoscrizione dell'orologio della torre. Ve la leggo. Mi sentite? «Signore e signori». Come? che dite? Ah!, preferireste: «Cari concittadini». Sì, è giusto. Mi sen­tite? «Avrete certamente sentito parlare della nuova chiesa». (A Matilde) Accidenti a te e alla tua chiesa! Sì, signora: sto leggendo: «Avrete certamente sentito parlare della nuova chiesa. Questa chiesa, come sapete, ha una torre. Questa torre si slancia verso il cielo, e ciò è bene, è una fortunata combinazione ed un richiamo necessario per tutti coloro della nostra generazione... ».

Matilde                              - Scandisci meglio le parole.

Jefferson                            - Chiudi quella maledetta bocca. Scusate, dicevo al mio contabile. Sì, sì. « Ma la torre può servire anche a qualche altra cosa, anche necessaria: può indicare il tempo a noi, figli di questa epoca. Se n'è stata lì, sin dal 1882, senza dar mai una risposta alla domanda; che ora è? E potrebbe farlo, tanto più che èstata costruita a tale scopo». Che avete detto, signora? No. « Occorreranno circa tremila gulden. Chi ci aiuterà? ». Che cosa avete detto? Naturalmente sapete i nomi. Sì, sì. Tutte le signore del Comitato sottoscriveranno cer-1 tamente la stessa somma. Ognuna un centinaio di gul­den. Sì, benissimo. Sì, mia moglie è a casa. Arrivederci, ; signora. (Appende il ricevitore con ira) Ma come ti I è venuta questa stupidissima e maledettissima idea? Cento gulden gettati ai cani dalla finestra, per far sapere agli altri che ora è. Ma che t'importa se sulla torre ci sia o non ci sia un orologio? Se dal 1882 nessuno si . è preoccupato di ciò, vuol dire che non ce n'era bisogno...

Matilde                              - Voglio lasciarti cuocere nel tuo brodo,

Jefferson                            - La moglie del borgomastro sarà qui fra un quarto «Fora. E adesso, vattene. (Ritorna alla scrivania).

Matilde                              - Vattene, continuamente vattene. Se la sera bevessi meno, la mattina saresti di umore migliore. Dammi cinque gulden.

Jefferson                            - No. Questa mattina mi hai preso, mentre dormivo, due gulden dalla tasca. Mi pare che incomin­ciamo a passare i limiti.

Matilde                              - Che razza di uomo, che spilorcio: conta il danaro prima di andare a letto. Bene. Allora è meglio essere precisi: ho preso un gulden soltanto.

Jefferson                            - Vattene, ho detto.

Matilde                              - Allora, invece di cinque dammene quattro.Quando verrà la moglie del borgomastro, sarò costretta ad offrirle un bicchiere d'acquavite. Abbiamo tre damigiane della tua «porca e puzzolente acquavite in I casa, ma non una bottiglia di Porto o di qualche liquore presentabile. (Jefferson, con gesto impaziente e t sgarbato, le mette dinanzi alcune monete) Ma credi forse , che io sia la tua serva? Senza di me, non saresti certo così spendaccione. (Esce).

Kaps                                  - (leggendo) « Imuiden, 24 dicembre. Oggi sono I entrati in porto cinque pescherecci con un carico complessivo di circa quattro tonnellate fra aringhe e mer­luzzi ».

Jefferson                            - Non avete altro da fare? Prendete il libro mastro e registrate i conti dell'» Attesa ».

Kaps                                  - (sfogliando le pagine) La « Regina Gugliel. mina », la « Matilde », la « Buona Speranza ». Questa me la saluti!

Jefferson                            - II totale?

Kaps                                  - 144.347 gulden.

Jefferson                            - Avevo indovinato. Ma come avete potuto essere così scemo da detrarre quattro gulden e ottan­totto centesimi per il fondo vedove ed orfani? Se siete sulla strada di diventare un perfetto idiota... li c'è la porta. Commettete errori su errori, e sempre a nostro danno.

Kaps                                  - (ridendo, con tono confidenziale) Posso dire qualche cosa a mia discolpa. Non mi sono certo legato la lingua quando... quando...

Jefferson                            - Basta.

Kaps                                  - E ciò che mi avete rimproverato è stato sol­tanto uno spostamento di zeri... a vostro vantaggio. (Jef­ferson esce, spazientito. Kaps prende del tabacco dalla scatola di Jefferson, ne riempie la pipa e raccende).

Simone                               - (entrando e rivolgendosi a Kaps, alza un po' , il tono della voce, dal momento che, come sappiamo, il contabile Kaps è un po' sordo. Così faranno anche gli altri che si rivolgono a Kaps, ma naturalmente, senza alzare troppo U tono) Jefferson non c'è?

Kaps                                  - Il signor Jefferson non c'è.

Simone                               - E' uscito?

Kaps                                  - Potete dire a me ciò che volete.

Simone                               - Vi domando se è uscito.

Kaps                                  - Allora, è uscito.

Simone                               - Ancora nessuna notizia?

Kaps                                  - No. Si ricomincia con quest'andare e venire? Il principale ha detto che avrebbe informato, se vi fos­sero state notizie.

Simone                               - Domani saranno nove settimane.

Kaps                                  - E con ciò? La «Jacoba» è tornata dopo cin-quantanove giorni, con un carico di centonovanta quintali.

Simone                               - Voi sapete qualche cosa!

Kaps                                  - Avete incominciato a bere presto, oggi.

Simone                               - Non ho bevuto una goccia.

Kaps                                  - Allora vi è rimasta in corpo l'acquavite di ieri. «So qualcosa». Ma ho forse la potenza di tirare le navi con un cavo?

Simone                               - Vi ho avvertiti quando la nave era in bacino. Che cosa vi ho detto, allora?

Kaps                                  - Un cumulo di sciocchezze per scroccare un bicchiere.

Simone                               - Mentite, C'eravate voi e c'era il vostro prin­cipale. Ho detto che la nave era marcia... che quel ma­ledetto scafo non reggeva più il calafataggio... che era una bara galleggiante...

Kaps                                  - Sì, è proprio ciò che avete detto. Ne con­vengo. E con ciò? Vi credete così importante da pre­tendere d'essere ascoltato anche quando siete ubriaco fradicio?

Simone                               - Mentite, mentite; non ero ubriaco.

Kaps                                  - Ne convengo: non eravate ubriaco. Ma cre­dete di essere un piccolo Dio da pretendere che quando voi, semplice operaio, dite no, il mio principale debba mandare alla demolizione una sua nave, malgrado che la Compagnia d'assicurazione abbia detto di sì?

Simone                               - Ricordatevi che vi ho avvertiti. Ed ora ag­giungo che se Tommaso, il fidanzato di mia figlia, dico Tommaso per non parlare degli altri... scorrerà sangue...

Kaps                                  - Siete proprio divertente. Vi consiglio di an­dare a bere qualche bicchiere; può darsi che l'acquavite invece di farvi sragionare vi faccia parlare da senno.

Simone                               - (alla figlia che entra) Ti avevo detto di aspettare fuori. Ancora nessuna notizia.

Maria                                 - Come? ancora nessuna notizia?

Simone                               - (a Kaps) Ricordatevi ciò che ho detto: scorrerà sangue. (Esce con la figlia).

 Jefferson                           - (entrando) Chi è venuto?

Kaps                                  - Simone con la figlia. Vi ha minacciato...

Jefferson                            - Minacciato? Ma è pazzo? Fra dieci mi­nuti ritorno. Chiunque venisse, che mi aspetti. (Esce. Suona il telefono).

Kaps                                  - (rispondendo) Non vi capisco. Sono il conta­bile. Il principale sarà qui fra dieci minuti. Chiamate di nuovo.

Sara                                    - (entrando) Buongiorno, carino.

Kaps                                  - Eccone un'altra. Che volete?

Sara                                    - Debbo parlarvi. Che vento freddo! Posso ri­scaldarmi un poco le mani?

Kaps                                  - No, qui non si entra: restate fuori della ba­laustra.

Saba                                   - Che Iddio vi mandi un accidenti, carino mio. Non sono venuta a chiedere notizie della « Buona Spe­ranza ». (Entra nel recinto riservato e si riscalda le mani alla stufa).

Kaps                                  - Vi avevo detto di non entrare. (Tema di spin­gerla fuori).

Sara                                    - (guardandogli nella tasca della giacca) Ah, vecchio ladro: avete i sigari del padrone. Sareste di­sposto a guadagnarvi un gulden?

Kaps                                  - Secondo.

Sara                                    - Ho promesso al capitano Boll di sposarlo.

Kaps                                  - Congratulazioni.

Sara                                    - E' in porto con un carico che impiegherà qualche giorno per essere scaricato; avrei perciò tutto il tempo. Ma come posso fare per sposarlo?

Kaps                                  - Non occorrerà mica una legge speciale per voi.

Sara                                    - Non posso risposarmi, perché mi manca il documento comprovante la morte di mio marito.

Kaps                                  - Allora è un'altra faccenda: occorre far pub­blicare tre volte un annuncio sul giornale, e se vostro marito non ritorna... e non può tornare, perché i morti non ritornano... potrete ottenere una nuova licenza.

Sara                                    - Se volete occuparvi voi di queste pratiche, Boll ed io ve ne saremo eternamente grati.

Kaps                                  - Ma è una faccenda da avvocati. E' facile ca­pirlo. Perciò dovete andare in città.

Sara                                    - Quanti fastidi! Ma lasciatevi guidare dal vo­stro buon senso: sono tre anni che non ho più notizie di Giacobbe e che il « Capriccio »...

Cosimo                              - (spalancando la porta, agitato) Le notizie le avete! le notizie le avete!

Kaps                                  - Quali notizie? State sognando?

Cosimo                              - (con voce tremante) Ma come, non avete ricevuto nessuna notizia della « Buona Speranza » e dei ragazzi?

Kaps                                  - Nessuna. Ma non comprendo che gusto ci sia a consumare il pavimento dell'ufficio con questo con­tinuo venire qui. Non sono in grado di darvi né buone né cattive notizie. Se fossero cattive si saprebbero su­bito. Ad ogni modo... Sono già passati sessantacinque giorni...

Cosimo                              - L'ufficio di porto ha ricevuto un telegram­ma... Vi supplico, Kaps, toglieteci da questa incertezza. Mia sorella e mia nipote non vivono più.

Kaps                                  - Vi dò la mia parola Che non sappiamo nulla. Potete andarvene. Sarete avvisato.

Cosimo                              - Eppure ci dev'esser qualche cosa... ci de­v'essere assolutamente...

Kaps                                  - Chi ve l'ha detto che ci sono notizie?

Cosimo                              - Lo scrivano dell'ufficio di porto ha detto... (Uscendo) Ah, Dio mio...

Sara                                    - Forse ha ragione.

Kaps                                  - Può darsi.

Sara                                    - E il signor Jefferson ha ancora qualche dubbio?

Kaps                                  - Ma che dubbio volete che abbia dopo nove settimane... una nave in quelle condizioni... e con un fortunale di quella specie... provviste soltanto per sei set­timane. Non scommetterei un centesimo per la loro sorte. Se avessero appoggiato in un porto inglese, ne saremmo stati informati.

Clementina                        - (entrando dalla porta di strada) Kaps, ci sono visite in casa? Buongiorno, Sara. Di chi è quella carrozza che aspetta fuori?

Kaps                                  - (guardando dalla finestra) Il borgomastro... la riunione di un Comitato per la sottoscrizione dell'oro­logio della torre. Una nuova pariglia di cavalli: vorrei avere il danaro che costano quegli animali.

Clementina                        - (posando l'album sulla scrivania) Ho incontrato Cosimo. Poveretto, come è invecchiato: l'ho riconosciuto a stento. (Aprendo l'album) Eccolo, com'era tre mesi fa, vivace... allegro. (A Kaps) Potete guardare anche voi.

Kaps                                  - Grazie. Non ho tempo.

Sara                                    - Si è troppo addolorato per la morte di Da­niele. Erano sempre assieme. E ora non ha più un amico nell'ospizio. Questa è una gran pena per lui.

Clementina                        - E gli altri li riconoscete?

Sara                                    - Altro che! Questa è Caterina; questo Bernardo con la gerla sulle spalle; questo... (Suona U telefono).

Kaps                                  - Il principale è uscito. Qualcuno ha chiamato poco fa.

Clementina                        - (prendendo il ricevitore) Sì. Il babbo non c'è. (A Kaps) Quanto starà a tornare?

Kaps                                  - Pochi minuti.

Clementina                        - (trasalendo) Che dite? Una tavola del coperchio del boccaporto col numero quarantasette? Non vi comprendo. (Con un grido lascia cadere il ricevitore).

Kaps                                  - Che c'è?che c'è?

Clementina                        - (in uno stato di terribile agitazione) Non posso ascoltare più... non ne ho la forza!

Kaps                                  - Telefonavano forse dall'ufficio di porto?

Clementina                        - Il cadavere di Bernardo buttato dal mare sulla spiaggia! Dio, Dio mio, è atroce.

Sara                                    - Il cadavere di Bernardo?

Clementina                        - Un telegramma da Newediep... una ta­vola di boccaporto... un cadavere...

Jefferson                            - (entrando) Che è successo? Perché piangi?

Kaps                                  - Notizie della «Buona Speranza».

Jefferson                            - Notizie?

Kaps                                  - Il capo dell'ufficio di porto è al telefono.

Jefferson                            - Proprio lui? (Allontanando Clementina) Scostati, togliti dai piedi! (A Sara) E voi, che ve ne state lì con la bocca aperta, che volete?

Sara                                    - (uscendo di corsa) Nulla, nulla.

Jefferson                            - Pronto, con chi parlo? Ah, siete voi? Un telegramma da Newediep? Non capisco neanche una parola. (A Clementina) Smettila con questo tuo male­ detto pianto. Avete detto... una tavola di boccaporto col numero quarantasette? Maledizione! e un cadavere... ancora riconoscibile? Bernardo Verneer? Riconosciuto da chi? Ah, dal capitano dell'» Attesa », dai suoi orec­chini? Sì, sì, degli orecchini d'argento. E allora questo particolare è più che sufficiente. Perciò non occorre mandare nessuno da qui per l'identificazione del cada­vere? Che sfortuna. Questo villaggio è maledetto! Già, già... non possiamo far nulla contro la volontà di Dio. Ne avevo il presentimento. Grazie. Sì. Gradirò la comu­nicazione ufficiale al più presto possibile. Debbo infor­marne gli assicuratori. Arrivederci. (Appende con vio­lenza il ricevitore) Che colpo, che colpo! dodici uomini.

Kaps                                  - Bernardo, il figlio della vecchia Caterina? Gettato sulla spiaggia? è proprio strano. Ero certo che non avremmo più avuto notizie di quella nave... come è accaduto per la « Clementina ».

Jefferson                            - Già. (A Clementina) Te ne vai per pia­cere da tua madre? E che sciocchezza parlare davanti a quella donna. Tra cinque minuti tutto il villaggio sarà qui. Ma mi hai o no inteso? e continui a piangere, come se a bordo ci fosse stato il tuo fidanzato...

Clementina                        - Ma perché non avete dato ascolto a Simone?

Jefferson                            - Era ubriaco.

Clementina                        - (con veemenza) Non è vero: non era ubriaco!

Jefferson                            - Ti dico che era ubriaco! Ed anche sup­ponendo che non lo fosse stato, chi ti autorizza a met­tere il naso negli affari che non ti riguardano?

Clementina                        - Io mi sento colpevole.

Jefferson                            - (furioso) Colpevole, colpevole! Si vede che i troppi romanzi ti hanno sconvolto il cervello. Col­pevole! Ma sei pazza a pronunciare una parola simile per una disgrazia...

Clementina                        - Simone disse che la nave era una bara galleggiante, ed io vi ho sentito rispondergli che, ad ogni modo, era quello l'ultimo viaggio della « Buona Speranza ».

Jefferson                            - Vattene pure in giro per il villaggio a disegnare tutti gli straccioni che incontri, ma non già a lasciarti sfuggire dalla bocca simili stupidaggini. Che ne sai tu degli affari che si trattano nel mio ufficio? Una bara galleggiante! E voi, Kaps, avete forse inteso usare tale espressione?

Kaps                                  - (a disagio) No. Non ho inteso proprio nulla.

Jefferson                            - Una bara galleggiante! Ma chi lo ha detto? Già, un competentone di quella fatta, marcio d'ac­quavite! Ma per un armatore, conta il giudizio di un ubriaco 0 il nulla osta a navigare dell'assicurazione, che in caso di disgrazia deve pagare? Credi tu che quando li chiamo e dico: «Signori, potete coprire la nave con quattordicimila gulden », sono così imbecilli da ri­schiare una somma simile su una bara galleggiante? Do­vresti arrossire, pensando alla sciocchezza che ti sei lasciata sfuggire. Una sciocchezza che potrebbe compro­mettere la mia buona reputazione, se tutti non mi co­noscessero.

Clementina                        - Se io fossi proprietaria d'una nave e sentissi...

Jefferson                            - Che Iddio guardi i pescatori dall'aver mai una proprietaria che disegna fiori e paesaggi e sparge lacrime su poesiole. Io sono padre e protettore di più di cinquanta famiglie. Gli affari sono affari. Ed ora, vattene da tua madre, che c'è da lei la moglie del bor­gomastro, e chissà quante altre stupidaggini avrà già detto anche lei.

Kaps                                  - Ho qui la lista dell'equipaggio. (Incomin­ciando a leggere) Guglielmo Hengst, anni trentasette, am­mogliato con quattro figli.

Jefferson                            - Aspettate che se ne vada...

Clementina                        - Non parlo più.

Kaps                                  - (continuando a leggere) Giacobbe Suart, anni trentacinque, ammogliato con tre figli; Ferdinando Plaus, anni venticinque, ammogliato con un figlio; Giorgio Veerner, ventisei anni, celibe; Nicola Boom, trentacinque anni, ammogliato con sette figli; Claudio Steen, venti­cinque anni, ammogliato senza prole; Salomone Berger, venticinque anni, ammogliato con un figlio; Marco Staad, ammogliato senza prole; Tommaso Migher, anni 19, ce­libe; Giacobbe Boom, anni venticinque, celibe; Ber­nardo Veerner, anni quattordici, celibe, e Pietro Stappers, di anni dodici.

Clementina                        - Sette famiglie e sedici bambini! Teresa           - (spalancando la porta, con respiro soffocato per la corsa) Ci sono notizie? C'è nessuna notizia del mio bambino? Abbiate pietà di me, signor Jefferson!

Jefferson                            - Mi dispiace, signora Stappers.

Maria                                 - (entrando subito dopo Teresa) Non può es­sere, non può essere! Mentite! (Non è possibile!

Jefferson                            - L'autorità marittima di Newediep ha te­legrafato a quella di qui... è stato trovato sulla spiaggia il cadavere di Bernardo Veerner. Sapete ciò che signi­fica tale circostanza... Ed anche una tavola del bocca­porto della « Buona Speranza » è stata rinvenuta.

Teresa                                - (in un impeto di ribellione) Ah, Madonna, mi hai tolto anche quel bambino! Non aveva ancora dodici anni! (Singhiozzando) Figlio, figlio mio!

Maria                                 - (pazza di dolore) Allora... allora... (Scoppia anche lei in un pianto disperato).

Jefferson                            - (alla figlia) Dalle un bicchiere d'acqua.

Maria                                 - (allontanando il bicchiere) Andatevene! (Cade in ginocchio afferrandosi alle sbarre della balau­stra) Uccidete anche me! Dio, Dio mio, fatemi morire! .

Clementina                        - Ve ne scongiuro, Maria. Non disperatevi così. Alzatevi!

Teresa                                - Al suo primo viaggio... e come salutava con la mano mentre la nave... (Singhiozza disperatamente).

Jefferson                            - Fatevi coraggio, Teresa. Non c'è che fare! Iddio ha voluto così. Da anni non c'era stato un fortunale simile. Pensate alla Hengst con quattro bambini ed a tutti gli altri. E... sebbene per il momento nulla vi può consolare... sono pronto a versarvi anche subito la paga del vostro figliuolo. Intanto andatevene a casa e rassegnatevi all'inevitabile. (Indicando Maria) Portatevela con voi. Non è in grado di camminare sola.

Maria                                 - Non voglio andare a casa, voglio morire, voglio soltanto morire!

Clementina                        - (rialzandola) Cara, venite con me. (Escono).

Jefferson                            - (a Kaps, camminando su è giù nervosa­mente) Perché oggi siete così stordito? Non vi sen­tite di metter penna in carta? E' inutile che mi rispon­diate. Avete a portata di mano la contabilità del fondo vedove ed orfani?

 Kaps                                 - (avviandosi ,incerto verso la cassaforte) Lo scaffale è chiuso. (Jefferson gli butta la chiave) Grazie. (Apre, prende il registro e ritorna con la stessa aria stupida alla scrivania).

Jefferson                            - (sfogliando le pagine) Novantacinque ve­dove... Quattordici fra marinai invalidi e pescatori...

Kaps                                  - Siamo a corto di fondi! Sarebbe perciò opportuno promuovere una sottoscrizione fra la cit­tadinanza.

Matilde                              - (entrando di corsa ed agitata) Che ca­tastrofe! La moglie del borgomastro vorrebbe par­larti un momento. Come piange!

Jefferson                            - No. Ne ho abbastanza e non ho tempo!

Matilde                              - (a Kaps) Ecco la minuta della circolare. Portatela subito in tipografia.

Jefferson                            - Cerca di interessare la moglie del bor­gomastro a promuovere una colletta per le povere vit­time.

Matilde                              - Ma non ti pare, Isacco, che sarebbe un po' troppo promuovere due sottoscrizioni in una sola volta ?

Jefferson                            - Allora, lascia fare a me. (Escono)

Clementina                        - (entra piangendo e si siede presso la scrivania di Kaps) Kaps, come sono infelice!

Kaps                                  - Non ne avete il motivo. Navi ne naufragano ogni giorno. E, fra tante, cosa volete che conti la « Buona Speranza »? Ho qui... ma ove è andato a finire?... il listino ufficiale dei naufragi in tutto il mondo, nel mese d'ottobre. In un mese... in un mese soltanto, sono andati a fondo centocinquanta velieri e trenta piroscafi. (Indicando il mare) Quando lo vedete come oggi, così calmo e liscio, con i gabbiani che strisciano sulla superficie... dovete fare uno sforzo per convincervi che si tratta dello stesso mare capace d'am­mazzare tanta gente. (Mentre parlano entrano Cosimo e Giovanna che si lasciano cadere sulla panca fuori della balaustra).

Clementina                        - Entrate, entrate, Giovanna. (Giovanna scuote il capo).

Cosimo                              - (tremando) Veniamo da casa... perché Sara... proprio come avevo detto...

Jefferson                            - (rientrando) Venite, Giovanna. Sedetevi. (Avvicina una sedia alla stufa) Credo che sappiate già...

Giovanna                           - (scoppiando a piangere) Sì, di Bernar­do... ma di Giorgio... ed accade tanto spesso che si lascino andare alla deriva nella lancia di salvataggio.

Jefferson                            - No, non credo sia il caso di illudersi con questa speranza. Dopo tanti giorni... e il cadavere di Bernardo ritrovato sulla spiaggia...

Giovanna                           - Può anche darsi che non sia Bernardo. Chi ha detto che è proprio lui?

Jefferson                            - Il capitano dell'«Attesa ». Lo ha iden­tificato dagli orecchini.

Giovanna                           - Può ancora darsi che si sia sbagliato. Ci sono anche altri orecchini simili. Sono venuta a doman­darvi un po' di danaro per poter andare a, Newediep.

Jefferson                            - Che idea; ma è una pazzia!

Giovanna                           - (piangendo) Ma Bernardo deve essere seppellito...

Jefferson                            - Ci penserà il borgomastro del luogo.

Simone                               - (entrando di soppiatto, quasi ubriaco) Ho inteso... ho inteso proprio ora... (Si avvicina barcollando a Jefferson con gesti convulsi).

Jefferson                            - (arretrando impaurito) Fuori di qui, ubriacone.

Simone                               - Non abbiate paura. Non vi ucciderò. Non ho nessuna intenzione cattiva.

Jefferson                            - Kaps, chiamate una guardia, subito, chiamate una guardia.

Simone                               - (sostenendosi alla balaustra) Risparmia­tevi il fastidio; me ne vado da solo. Volevo soltanto dire che... con la « Buona Speranza»... è accaduto...

Jefferson                            - Andatevene al diavolo!

Simone                               - (barcollando e perdendo quasi l'equilibrio) Non mi venite troppo vicino. Non bisogna mai av­vicinarsi troppo ad un uomo armato di coltello. Non ho nessuna intenzione di farvi del male; voglio dirvi soltanto che vi ho avvertito... quando la nave era an­cora in bacino.

Jefferson                            - Mentite, mascalzone!

Simone                               - Ma allora... per semplice soddisfazione... dovete domandare al vostro contabile... e a vostra fi­glia... che erano presenti...

Jefferson                            - (con violenza) E' una spudorata men­zogna! Non siete degno di risposta, stupidissimo ubriaco. Ho avuti rapporti col vostro principale e non con voi... Kaps, vi decidete o no a chiamare una guardia?

Kaps                                  - (indolente) e Dove trovare una guardia...

Simone                               - (barcollando) Il mio principale... ma non è stato lui a fare il calafataggio! (A Kaps, che si è avvicinato alla balaustra) Non avete inteso anche voi quando l'ho avvertito? Eravate o non eravate presente? Sì o no?

Kaps                                  - (guardando imbarazzato Jefferson) No, non c'ero. Ed anche se c'ero, non ho inteso nulla.

Jefferson                            - (a Clementina) E tu non sai rispondere all'accusa di questo ubriacone, dal momento che af­ferma che eri presente?

Clementina                        - Babbo...

Jefferson                            - (minaccioso) Rispondi. Ti ordino di rispondere.

Clementina                        - (agitata, a bassa voce) Non ricordo.

Simone                               - Questo è basso e vile. Fate schifo. Vi ho detto al momento opportuno che la nave era tutta un marciume. E ve lo ricordate benissimo..

Jefferson                            - Allucinazioni. Fantasie nelle quali volete trascinare mia figlia e il mio contabile. Maledettissimo affare.

Simone                               - Ecco: affare.

Cosimo                              - (tremando) Ma, sì... ora ricordo anch'io.

Jefferson                            - Che diavolo ricordate? anche voi? avete forse avvertito «ne anche voi?

Cosimo                              - No, non dico questo. Sarebbe una bugia. Ma vostra figlia, ha detto ora di non aver mai inteso che la nave fosse marcia. Però la seconda notte del fortunale, in casa di mia sorella Caterina... ha detto...

Chi? Io?

Clementina                        - (con voce tremante)

Cosimo                              - (irato) Sì, voi, quella sera. Ed io risposi con queste precise parole: « non dite sciocchezze, perché se vostro padre avesse saputo che la Buona Spe ranza era marcia »...

Giovanna                           - (interrompendo con violenza) Mentite, mentite; incominciavate a piangere, avevate paura che la f nave naufragasse. Ero presente. E con me anche Sara e Teresa. Ah, vipere, vipere!

Jefferson                            - (battendo il pugno sulla tavola) Viperei1 Vi abbiamo sfamate per anni ed anni, canaglie! E non avete nemmeno il minimo riguardo di credere a noi, E invece che a questo sudicio straccione...

Giovanna                           - Credere a voi? Ma tutti e due mentite ' per difendere i vostri interessi.

Jefferson                            - Fuori dal mio ufficio, fuori.

Giovanna                           - (fuori dì sé) Bernardo lo avete fatto trascinare a bordo dalle guardie... e lui sapeva che la nave era tutta un marciume! Giorgio era troppo fiero per mostrare di aver paura! Assassino! assassino! (Prorompe in una risata nervosa) Non è proprio il caso di metterci alla porta; ce ne andiamo perché se restassi ancora qui, vi sputerei in faccia; vi sputerei mille volte in  faccia.

Cosimo                              - (.afferrandola per le spalle) Calmati, andiamocene.

Jefferson                            - (dopo una pausa) Indipendentemente dal rispetto) che ho per vostra zia, che è una brava donna, vi compatisco. Comprendo il vostro stato di eccitazione... (risoluto) altrimenti! La « Buona Speranza » era in grado i di prendere il mare in perfettissimo stato di navigabilità. (Una pausa) La soia perdita mi costa enormemente, sebbene fosse assicurata. E anche se costui mi avesse avvertito, avrei potuto, come uomo d'affari, fidarmi della pa-rola di un beone idiota? Un uomo sempre alterato dal vino, che affidamento può dare con le sue parole?

Simone                               - Il vino non mi vela gli occhi, e conosco il I mestiere da esperto: io ho detto a voi, a lui, ed a lei che < una bara galleggiante come quella non... Questa è tutta la verità: bisognava intenderla.

Giovanna                           - (lasciandosi cadere su una sedia, singhiozzando) Dio mio, come potete permettere questo? Come potete permetterlo! (Una pausa. A Jefferson) Datemi il danaro per andare a Newediep non parlo più.

Jefferson                            - (aspro e duro) No. Nemmeno un cente-simo. Una ragazza che mi ha trattato come voi mi avete trattato...

Giovanna                           - Non sapevo ciò che dicevo... Infine non posso credervi più malvagio del demonio. Non sapevo dunque quel che mi dicevo. Datemi il denaro.

Jefferson                            - L'autorità marittima ha detto che non occorre mandare nessuno a Newediep.

Giovanna                           - (avviandosi barcollante verso la porta) Non occorre, non occorre! L'autorità marittima sa dun­que che cosa occorre al mio cuore di donna? (Esce, seguita da Cosimo e da Simone. Jefferson continua a camminare su e giù nervosamente. Kaps risiede alla scrivania e affonda il capo fra i suoi registri).

Jefferson                            - (fermandosi di scatto, a Clementina) E se metti ancora piede nel mio ufficio...

Clementina                        - No, mai più. (Una pausa) Ciò che ora mi domando, è se posso continuare a rispettarti, e anche se posso ancora avere del rispetto per me stessa. (Esce).

Jefferson                            - Se viene qualche altro, mandatelo via... Siamo intesi? (Siede, rimane un poco sopra pensiero, poi chiama al telefono) Pronto. Datemi Dirxen. Dirxen, l'assicuratore. Pronto? Parlo con Dirxen? Non c'è più nulla da fare per la « Buona Speranza ». Una tavola del boccaporto e il cadavere di un marinaio trovati sulla spiaggia. (Aggressivo) Che volete dire? No, no, da parte mia! Qualsiasi ricerca è inutile. Sono passati sessantacin­que giorni. Non c'è più alcuna probabilità. (Addolcendo il tono) Bene. Vi aspetto nel mio ufficio, ma al più pre­sto possibile, sì... Quattordicimila gulden. Arrivederci. (Appende il ricevitore).

Caterina                             - (entra durante le ultime parole, con una espressione incerta ed attonita. Si abbatte sulla panca, piangendo in silenzio) lo... io...

Jefferson                            - (senza avvedersi della presenza di Caterina, guardando nella cassaforte) Avete toccato voi la po­lizza di assicurazione? Che il diavolo vi porti, dove mettete le mani, fate disordine.

Kaps                                  - Le polizze sono nello scaffale superiore, dietro la scatola dei contratti.

Jefferson                            - Tacete. (Prende le polizze e le palpa con soddisfazione e rapacità. Volgendosi, con le polizze strette in mano, si accorge della presenza di Caterina) Prima d'entrare, era tanto difficile bussare?

Caterina                             - (remissiva) Vorrei...

Jefferson                            - (sgarbato) Siete arrivata un po' in ritardo. Quella ragazza che vive con voi, è venuta qui a fare tanto chiasso che per poco non ho chiamato le guardie. (Burbero) Entrate e chiudete il cancello.

Caterina                             - E' vero... è proprio vero... il pastore mi ha detto... (Jefferson annuisce. Caterina scoppia a pian­gere, rimanendo con lo sguardo perduto nel vuoto e con le mani inerti lungo i fianchi).

Jefferson                            - Per voi- soltanto per voi ho della sim­patia. Siete stata sempre una brava donna. Vostro marito era anche un buon uomo. Ma i vostri figliuoli!... E' duro dirlo dopo il colpo che avete ricevuto, ma i vostri fi­gliuoli e vostra nipote non vi somigliano affatto. (Cate­rina china il capo sul petto) Pensate agli anni che avete lavorato per me... sino a quando vostro figlio Giorgio mi ha minacciato col pugno teso ed ha schernito i miei capelli grigi, mettendomi alla porta. E l'altro vostro fi­glio... (Accorgendosi che Caterina è del tutto svenuta, si arresta preoccupato, si alza, e la scuote dolcemente) Caterina, su, coraggio. Kaps, dell'acqua. (Le bagna i polsi e la fronte; la donna rinviene un poco) Maledi­zione, maledizione!

Kaps                                  - Volete che chiami la padrona o la signorina?

Jefferson                            - Non occorre. Rinviene.

Caterina                             - (rimane qualche tempo immobile, con lo sguardo assente, poi comincia a singhiozzare piano) Non voleva... non voleva andare a nessun costo. E con queste mie mani gli ho strappate le dita aggrappate allo stipite della porta...

Jefferson                            - Non avete nulla da rimproverarvi.

Caterina                             - Prima che se ne andasse gli ho messo io stessa gli orecchini del padre, ornandolo come un agnello pronto per il sacrificio. E il mio figliuolo maggiore... non sono andata neanche a salutarlo. «Se ritardi troppo », - sono State le sue ultime parole - « non mi vedrai più ». Mai... mai più.

Jefferson                            - Calmatevi, calmatevi, in nome di Dio!

Caterina                             - (singhiozzando, con il volto nascosto fra le mani tremanti) Dodici anni fa, quando si trattò della « Clementina », mi sono seduta a questo stesso posto...

Jefferson                            - Coraggio, coraggio, è necessario.

Matilde                              - (entrando alt improvviso) Isacco! Ah, po­vera Caterina, come mi dispiace, è terribile... spavento­so... tutti e due i vostri figliuoli.

Caterina                             - Mio marito... tutti i miei figli! Il mare, sempre il mare, implacabile.

Matilde                              - Non vi disperate. Stiamo per aprire una sottoscrizione... io e la moglie del borgomastro. Abbiamo già scritto la circolare, che sarà pubblicata sul giornale di domani. (A Kaps) Eccola! (Jefferson fa segno a Ca­terina dì andarsene) Ma, Isacco, falla aspettare un mo­mento. Ho un paio di cotolette... le faranno bene... E dimentichiamo il passato. Non hai nulla in contrario perché ritorni a far pulizia? State tranquilla. Non vi dimenticheremo. Arrivederci, e siate forte. (Esce).

Caterina                             - Ora la mia unica speranza è il bambino...

Jefferson                            - Quale bambino?

Caterina                             - Il bambino che mia nipote deve avere... Sì, ci capita anche questo. Mio figlio l’ha lasciata incinta. Una disgrazia. (Con un sorriso appena percetti­bile) No, non è una disgrazia.

Jefferson                            - E me lo dite come se si trattasse di uno scherzo? E avete permesso che una cosa simile accadesse nella vostra casa? Conoscete il regolamento dell'amministrazione del fondo delle vedove e degli orfani? In base alle sue norme non può esser dato alcun aiuto a chi conduce vita immorale, o serbi una condot­ta, ritenuta, a nostro giudizio, non buona.

Caterina                             - Mi affido alla bontà dei signori del Co­mitato.

Jefferson                            - Ci saranno delle difficoltà, ma farò del mio meglio. Ve lo prometto, ma non sono sicuro di riu­scire. Vi sono altre sette famiglie e altri sedici orfani che attendono aiuti. (Si alza, depone le polizze nella, cassa­forte e la chiude) Aspettale. Mia moglie vuol darvi qual­che cosa da portare a casa. (Esce).

Matilde                              - (chiamando dall'interno) Kaps! (Kaps esce e poi ritorna con alcuni piatti ed una pentola coperta).

Kaps                                  - Riportate i piatti al più presto e sabato ritor­nate per la pulizia.

(Caterina rimane con lo sguardo assente. Kaps le mette i piatti e la pentola sulle ginocchia e le fa posare le mani sopra. Fatto questo ritorna alla scrivania. Caterina con­tinua a rimanere seduta attonita e immobile, muovendo appena appena le labbra. Infine si alza ed esce barcol­lando. Nel silenzio, solo il suono dei suoi zoccoli di legno. Il rumore si smorza man mano che la tragica figura di madre si allontana).

FINE


[1] E il nome del cappello della tenuta di pioggia che si usa a bordo.