La casa delle nubii

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LA CASA DELLE NUBILI

Commedia in tre atti

di ANNA BONACCI

PERSONAGGI

LE DODICI ZITELLE

RYS

SALOME’

NIKY

IL DUCA

DON SEVERINO

IL SACRESTANO

IL CHIERICO

VIVIANO

ZAKOFF

AUTISTA

MALVETTA

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

Camera austera  e nuda in una parroc­chia un po' fuori di mano. Molte sedie, un tavolo ampio, un inginocchiatoio. Alcu­ni paramenti sacri so­no accatastati in un angolo, vicino a due candelabri dorati. Tre porte: una  del fondo che dà su di una  scala che scende in chiesa, a una a destra che mette capo alle camere di Don Severino; a sinistra la porta di casa. Una finestra.

Ordine, pulizia, serenità, castità.

La serenità è più nell'ambiente esteriore che nell'ani­mo delle dodici vecchie zitelle, sedute in semicerchio nel mezzo della stanza. Sono tutte stasera, tutte e do­dici. Vestono fuori di moda, ma portano i loro abiti con la nobiltà malinconica con cui si indossano le vecchie di­vise. La foggia antica degli abbigliamenti le ha fermate nel tempo: rose appassite occhieggiano ironiche sulle cupole dei loro straordinari cappelli, quasi simboli mal­conci di una scomparsa primavera.

Parlano quasi sempre tutte insieme con petulanza e con tono leggermente irritato, sbirciandosi, irridendo, sofisticando.

Non si amano. Si riuniscono perché sono sole al mon­do, ed ognuna di esse si crede la vittima più colpita di urna società che esse credono ostile e che è soltanto in­differente. Esasperate dal cerchio di solitudine che le circonda vogliono costruire una famiglia, una società, un punto di ritrovo per riunire gli smarriti fili della loro personalità sperduta nei deserti affettivi.

Hanno bisogno d'amore ma non sanno più amare e si guardano diffidenti ed estranee pronte ad offendersi.

Bibiana                          - Il lavoro dovrà essere naturalmente diviso. Ad ognuna di noi, ogni dodici giorni, toccherà di fare la cucina, ad un'altra le camere da letto, ad un'altra la pulizia della casa e il rammendo della biancheria.

Artemisia                      - (acre) Lei parla bene perché ha rice­vuto una educazione comune e le hanno insegnato a far di tutto. Ma lei sa benissimo che sono di nobile famiglia ed ho trascorso la mia adolescenza suonando il piano e ricamando.

Barbara                         - (gridando) Ed io!... mio padre era maggiore di artiglieria. Potete supporre che io sappia ram­mendare la biancheria e spazzare le camere?

Artemisia                      - Dovevate entrare in casa mia. Quattro persone di servizio senza contare la gente di scuderia e l'istitutrice. Io ho avuto l'istitutrice, signore, l'istitu­trice francese, il maestro di ballo in casa, i professori di lingue, di pianoforte, di equitazione...

Barbara                         - E la società che io frequentavo...

Artemisia                      - (sopraffacendola) Non parliamo delle amicizie; amicizie e quel che più conta parentele. Mio cugino...

Bibiana                          - Amiche mie, se voi credete di costituire una società per vantare il vostro passato e per essere servite...

Artemisia                      - Che c'entra esser servite? Ognuna di noi sceglierà l'occupazione che più le sembrerà conve­niente. (A Bibiana) Lei, per esempio, che ha ricevuto un'educazione comune...

Bibiana                          - (irritata) Ma la finisca, dunque, con que­sta educazione comune! Mio padre aveva un negozio di mode sul corso e guadagnava fior di quattrini. Sia­mo o non siamo delle decadute? E non ci troviamo qui riunite per fondare una società che ci permetterà di aiutarci scambievolmente?

Veronica                       - La signorina Bibiana ha ragione...

Bibiana                          - Siamo, o non siamo tutte sole al mondo, abbandonate?... Non dobbiamo tutte compatirci, aiu­tarci e sorreggersi a vicenda?

Voci                              - Giusto... Vero... La signorina Bibiana capisce.

Bibiana                          - (con una specie di orgoglio) Siamo o non siamo delle nubili povere, decadute tutte da una posi­zione agiata, e qualcuna anche dalla ricchezza? Povero, anziane...

Voci                              - (di protesta) Anziane! Piano! Piano! Anziane non tutte.

Barbara                         - Non confonda, non dica sciocchezze. Se crede che io possa essere considerata una donna an­ziana!

Bibiana                          - Cara signorina, lei sa pure che le giovani non saranno ammesse... Le giovani hanno altre risorse...

Barbara                         - (gridando) Altre risorse? Ma lei m'insul­ta! Altre risorse, io?

Bibiana                          - Ma chi parla per lei? Via, signorina Bar­bara, non siamo qui per metterci in mostra. Vuole o non vuole entrare a far parte della società delle oc Nu­bili, anziane, decadute»?

Barbara                         - Io trovo quell'anziane semplicemente ri­dicolo. Si potrebbe dire nubili della seconda e della terza giovinezza.

Artemisia                      - Io trovo più assurdo il « decadute », perché infine non apparteniamo tutte alla stessa condi­zione sociale. E chi ha ricevuto una educazione co­mune...

Rosalia                          - (esitante) Nubile poi... Sì, nubili... Biso­gna distinguere. C'è chi non può propriamente dirsi nubile. Ci sono delle sfumature. Io per esempio... (Con orgoglio misto ad una specie di pudore): Io per esem­pio... sono stata fidanzata...

Voci                              - Anch'io, anch'io...

Artemisia                      - (gridando) Anch'io, signore, anch'io: E sapete con chi? Con il conte Roverescu dell'Amba­sciata rumena. Un futuro ambasciatore? Non ci credete? Ho le lettere...

Rosalia                          - (pudica) Fidanzata... Capite, è un'altra cosa. La fidanzata non è proprio una maritata, ma non si può dire neanche una nubile... Mi dovete capire. C'è una sfumatura, una gradazione deliziosa. Maritata, fi­danzata, nubile. La fidanzata è lì fra le due, sospesa in un suo mondo soave e indefinito: essa è ancora fan­ciulla, ma è già un poco sposa... Essa è ancora pura ma non è più casta... Poiché qualcuno, qualcuno.... (lievemente) qualcuno infine l'ha baciata... Voi mi ca­pite...

Una zitella                     - (si avvicina commossa a Rosalia) Lei ha detto una cosa bella... Io ebbi un solo bacio nella vita... Uno solo... ma... (Restano estatiche a contem­plarsi, rapite in un loro mondo immaginario).

Un'altra zitella               - (alzandosi furiosa) Se fate della pornografia io me ne vado... (Si avvia).

Un'altra ancora              - (alzandosi anche lei) Io vengo con lei Qui si tengono discorsi scandalosi. (La segue).

Bibiana                          - (le ferma conciliante) Via non facciamo scenate. Le signorine non hanno detto nulla di straor­dinario. Sieda, signorina Teobalda.

Artemisia                      - La signorina Teobalda ha ragione. Qui si usa un linguaggio volgare perché si è accettata tutta sorta di gente.

Barbara                         - A chi intende alludere?

Artemisia                      - A chi non ha né nascita né educazione!

Barbara                         - Ah! Come nascita io... Come nascita...

Artemisia                      - Non credo che abbia l'ardire di mettersi al mio livello. Io appartengo alla famiglia Rivoli. Se lei non ricorda quale splendore abbia conosciuto un tempo la famiglia Rivoli me ne dispiace per lei... Trent'anni fa...

Barbara                         - Che vuole che io sappia di trent'anni fa? È pazza costei! Ah, lei crede che io sia della sua epoca? {Rivolgendosi alle altre con le braccia conserte sul petto) Costei crede che io sia della sua epoca?

Bibiana                          - (conciliante) Non ci badi, signorina Bar­bara...

Barbara                         - Costei crede che io sia della sua epoca... Ma mi guardi in faccia, vivaddio. (Si toglie il cappello) Ho l'aspetto di una donna che si ricorda di gente vis­suta trent'anni fa?

Artemisia                      - (con un grido) Ah, si rimetta quel cap­pello, per l'amor di Dio, signorina Barbara...

Barbara                         - (furiosa) Sarei curiosa di vedere lei senza cappello...

Artemisia                      - (con alterigia) Oh signorina! Io ho la fronte nobile di casa Rivoli ed il naso aquilino dei Val­dimari...

Barbara                         - (scoppiando a ridere) E chi sono costoro?

Artemisia                      - Ah, lei non sa chi sono i Valdimari? (Rivolgendosi alle altre, incrociando le braccia come Barbara poco prima) Costei non sa chi sono i Valdimari.

Bibiana                          - (conciliante) Non ci badi, signorina Arte­misia.

Artemisia                      - Brandimarte Valdimari nel 1233...

Barbara                         - Ah no, signorina Artemisia. Ci risparmi la storia di Brandimarte Valdimari.

Veronica                       - (a Barbara con dolcezza) Perché? Lasci che ella racconti la storia di Brandimarte Valdimari. Noi l'ascolteremo, signorina Artemisia... Essa è certa­mente una storia che lei ama sopra ogni altra, e nella quale si dirà che la sua famiglia è nobile, molto no­bile...

Artemisia                      - (fiera) Una storia eroica...

Veronica                       - Ce la racconterà un giorno... E noi la ascolteremo... Perché no? Ognuna di noi ha tante sto­rie che vorrebbe raccontare... E che nessuno ci ascolta... E questo si chiama veramente essere soli al mondo. Ma noi lo metteremo nei canoni della nostra società. E sarà un canone di cui riconoscerete l'importanza... Ascoltare le storie irreali che le compagne ci vorranno raccontare.

Barbara                         - Irreale, perché?

Veronica                       - Oh è quella, l'irreale, quella che più im­porta, quella che racconteremo più volentieri, quella che ameremo di più che venga ascoltata... La storia man­cata della nostra vita... La storia bella che non abbiamo vissuto. Oh signorina Barbara, lei quando rincaserà sul tramonto, salirà a precipizio le scale e ci dirà che un uomo la seguiva per via... E noi ci riuniremo tutte in­torno a lei e le chiederemo un po' trepidanti se avrà avuto paura...

Artemisia                      - (in fretta) ... Senza credere però all'uo­mo che la inseguiva, signorina Barbara, stia pur certa... Sarà un canone della nostra società... Una specie di ope­ra di misericordia...

Barbara                         - (furiosa) Ah lei non crede che un uomo possa seguirmi per via?

Artemisia                      - (tranquilla) Io no.

Barbara                         - E perché se è lecito?

Artemisia                      - Così, è una mia idea.

Barbara                         - (gridando) Io le proibisco di insultarmi...

Artemisia                      - Ah, lei chiama un insulto il non cre­dere alle sue fanfaronate?

Barbara                         - Guarda, guarda chi parla di fanfaronate; la discendente di Brandimarte Valdimari.

Artemisia                      - (gridando più forte) Le proibisco di in­sultare i miei parenti. Altrimenti...

Barbara                         - (provocante) Altrimenti che cosa? Mi met­terebbe le mani addosso?

Artemisia                      - Oh, non mi insudicio!

Barbara                         - (furiosa le si avventa contro e le dà uno schiaffo) Ma mi insudicio io, vivaddio!

Artemisia                      - (con un grido) Uno schiaffo! Uno schiaf­fo a me! (Urla, confusione).

(Sulla porta di fronte si affacciano il sacrestano ed il chierico. Il sacrestano ha un viso di vecchio asceta vis­suto in obbedienza e in dolce schiavitù. È il laico cre­sciuto in ambiente religioso, estraneo alle delizie tem­porali, penetrato dal gusto delle cose divine).

Il sacrestano                  - Che succede, signore Iddio?

Voci                              - Don Severino... Vai a chiamare don Seve­rino...

Artemisia                      - (gridando) Vai ad avvertire don Seve­rino, Nicola. Digli che venga subito. Uno schiaffo! Mi hanno dato uno schiaffo! (Al chierico che la guarda ri­dendo senza muoversi) Ah, tu ridi malandrino! (Cerca di acciuffarlo, ma il chierico scappa per la camera. Arte­misia per corrergli dietro inciampa e cade fra due sedie. Confusione).

Barbara                         - (ridendo sguaiata) Si è fatta male signo­rina Artemisia?

Artemisia                      - (rivolgendosi furiosa al sacrestano) Vai a chiamare don Severino, mammalucco!  Vedrà quello che succede nella sua parrocchia!

Barbara                         - Oh, gli saprò ben parlare io a don Severino!

Bibiana                          - Ci vuole calma, santissima Vergine. (Si fanno tutte intorno al sacrestano sopraffacendolo).

Voci                              - Adesso ti racconto io... Oh, è inutile... Ci vuole don Severino... Ma perché non viene don Seve­rino?

Il sacrestano                  - (difendendosi) Sssst!... Che è questa gazzarra? Silenzio! (Misurando l'effetto delle sue parole) Don Severino stamattina ha avuto l'estasi. (Commozione delle presenti).

Voci                              - L'estasi? Ne sei sicuro?

Il sacrestano                  - (le donne si fanno intorno al sacrestano avide della nuova emozione) Si è fatto pallido ed ha alzato le braccia. Da anni possiede il dono. La prima volta, fu in un giorno di sabato Santo. Io suonavo le campane a distesa... Ah, voi credete che suonar le cam­pane sia una cosa da nulla?

Voci                              - (convinte) Oh no... Noi sappiamo...

Bibiana                          - È una cosa grandiosa...

Veronica                       - Difficile...

Il sacrestano                  - (eccitandosi) Voi credete che il sole si alzerebbe sull'orizzonte se le campane non lo chia­massero, nel silenzio che precede la luce?

Voci                              - (commosse) Oh no... No...

Il sacrestano                  - Voi credete che la notte cadrebbe sul mondo se l'ultima suonata serale non inviasse dal cam­panile il mio canto notturno?

Voci                              - (commosse) No...

 Il sacrestano                 - Ah, dite voi se nelle mattine di no­vembre quando suonano per i morti le mie vecchie cam­pane, dite se non vi sembra che essi, tutti, i morti, vi chiamino dal mondo di là e piangano, lassù tra le mie campane!

Voci                              - (sognanti) Oh, sì... Noi li abbiamo sentiti...

Il sacrestano                  - E quando suono a festa non li avete veduti gli angeli bianchi che si involano dal campa­nile?... Nelle mattine di Pasqua e nelle notti di Natale?

Voci                              - (sognanti) Noi li abbiamo veduti... (Un silen­zio. Come un velo di pace sembra essere caduto fra quelle donne che poco fa gridavano tutte insieme ver­sando calici di vecchie amarezze. Il loro volto si è addolcito ed esse sembrano ritornare in pace con l'uni­verso. Il dramma della loro vita sembra momentanea­mente risolto; la loro personalità satura di tutta l'energia spirituale, ritratta dagli oggetti esteriori si è proiettata nel loro mondo interiore trasformata in interesse mistico).

Il sacrestano                  - E li ha visti don Severino. Tanti anni fa, la prima volta. Mi chiamò che le corde cion­dolavano ancora nel vuoto: « Nicola - mi disse sotto voce. Ho visto gli angeli che uscivano dalle cam­pane... ». E sempre, sempre ogni volta che io suono con più ardore e più tormento, ogni volta che egli mi chia­ma come in quella mattina di sabato Santo e mi dice: « Nicola, ho visto gli angeli ». (Le zitelle non osano più parlare, ascoltano. Una sola azzarda piano) :

Una zitella                     - E stamattina all'alba...

Il sacrestano                  - Stamattina all'alba mi ha chiamato: « Pregavo per quelle poverette - mi ha detto - che non hanno un tetto, non hanno nessuno... ». E mentre suo­navano le campane...

Bibiana                          - (pianissimo) Ha visto gli angeli...

Il sacrestano                  - (piano) Li ha visti.

Una zitella                     - Vuol dire che il Signore ci protegge.

Un'altra                         - Ci darà un tetto...

Un'altra ancora              - (asciugandosi gli occhi) Don Seve­rino è un santo.

Bibiana                          - Bisogna scendere in chiesa...

Veronica                       - A ringraziare il Signore...

Altre                              - Sì... A ringraziare il Signore. (Tutto ciò esse hanno detto pianissimo, quasi per non turbare una atmosfera di miracolo che sembra sorgere intorno a loro. Si avviano verso la porta di fondo ed escono ordinata­mente per discendere in chiesa. Nella stanza restano il sacrestano e il chierico. Il sacrestano rimane per un po' sognante a guardare la porta per dove sono sparite le zitelle. Il chierico rimette in ordine la stanza).

Il chierico                      - Altro che preghiere: lì ci vogliono gli esorcismi!

(Dalla porta di destra entra don Severino. Don Seve­rino è un vecchio sacerdote puro e fanciullo: vive in castità contemplando bellezze eterne, ha sua coscienza non conosce le malattie di coloro che vivono la vita spi­rituale: i rimorsi, gli scrupoli, le disordinate malinconie. È l'uomo a cui la religione non ha mostrato che il suo lato dolce: non crede al male che come una via più lunga per giungere a un bene supremo).

Don Severino                - Nicola, c'è da mettere la stoffa sull'altare maggiore per la festa di domani. E da traspor­tare i candelabri.

Il sacrestano                  - Adesso, subito signor parroco. (Si avvia verso l'angolo dove sono accatastati i paramenti sacri).

Don Severino                - Quelle signore se ne sono già andate?

Il sacrestano                  - No. Sono scese in chiesa.

Il chierico                      - (pronto) Hanno litigato...

Il sacrestano                  - Si, ma poi si sono pacificate e sono scese in chiesa a pregare, signor parroco. (Esce per la porta che conduce in chiesa, con sulle braccia un carico di roba).

Don Severino                - Povere figliuole!

Il chierico                      - Povere figliuole, si. Hanno sette diavoli per ciascuna. (Seguita a mettere in ordine con fracasso).

Don Severino                - (siede innanzi al tavolo e guarda alcune carte. Legge). Statuto della società. Compilato dall'ideatrice dell'opera, signorina Nannetta Rosati... (Seguita a leggere in silenzio. Rientra il sacrestano a mani vuote) Hanno compilato lo statuto della società e non hanno ancora la casa!

Il sacrestano                  - (scegliendo alcune stoffe) Oh quella verrà, signor parroco.

Don Severino                - Quella verrà... Ma intanto qualcuna non ha neanche da dormire. (Legge) « Le nubili do­vranno aiutarsi, compatirsi, sorreggersi a vicenda, amar­si fra loro come dolci sorelle... ».

Il chierico                      - (raccoglie la rosa di un cappello e la met­te sul tavolo accanto a don Severino).

Don Severino                - Che è questo?

Il chierico                      - La rosa di un cappello... Sono venute alle mani...

Don Severino                - (sbalordito) Alle mani... Signore!

Il chierico                      - E a me la signorina Artemisia ha detto malandrino e a Nicola «mammalucco... ». E poi mi è corsa dietro ed è caduta fra due sedie.

Il sacrestano                  - (sulla porta, per andarsene, con un ca­rico in mano) E finiscila dunque, Enrichetto, di far la spia a quelle disgraziate! (Esce).

Il chierico                      - Oh, signor parroco, sono cattive, su­perbe, rabbiose come diavoli. Il sacrestano le difende perché fa all'amore con la signorina Teobalda.

Don Severino                - Che dici, signore Iddio!?

Il chierico                      - Nicola ha fatto dormire la signorina Teobalda nello stanzino delle campane...

Don Severino                - (esterrefatto) Ha fatto?...

Il chierico                      - Sì, quando la signorina Teobalda è stata cacciata dalla padrona di casa... Ma non gli dica niente...

Don Severino                - E questo tu, figliuolo, lo chiami fare all'amore? Nicola ha fatto una cosa che non doveva. Ma ha agito per pietà verso quella disgraziata...

Il chierico                      - Già, ma la mattina dopo ha dovuto suo­nare le campane mentre la signorina Teobalda si vestiva. E dopo l'ho visto in chiesa con la faccia a terra perché aveva peccato...

Don Severino                - Oh, figliuolo... Perché aveva disob­bedito...

Il chierico                      - No. Perché aveva veduto la signorina Teobalda con le braccia nude!

Don Severino                - (alza le braccia) Eh, Signore! (Rien­tra il sacrestano che interrompe il dialogo e si avvia senza sospetto, verso l'angolo per prendere il candelabro. Don Severino dopo un sospiro riprende a leggere) « Ogni nubile avrà la sua camera separata ove potrà por­tare i suoi mobili se ne possiede ». Povere donne!  Que­sto si chiama aver fede... Una fede robusta... Non han­no raccolto ancora quattromila lire e già si vedono instal­late in una grande casa ove ognuna avrà la sua stanza separata...

Il sacrestano                  - (sulla porta con il candelabro in mano) Oh, il Signore le aiuterà... Bisognerà pregare, pre­gare molto... Le preghiere modificano la realtà... Ed i santi come lei, signor parroco, possono mutare la faccia delle cose... (Esce di nuovo).

Don Severino                - (seguita a leggere) « Sarà permesso ad ogni nubile di portare con sé non di più di due ani­mali domestici: cani, gatti, uccelletti, pappagalli, scim-miette... ».

Il chierico                      - Il pappagallo della signorina Petronilla non ce lo vogliono perché canta certe canzoni! Sa, si­gnor parroco, che cosa canta il pappagallo della signo­rina Petronilla?

Don Severino                - (seguita a leggere senza badargli) « Gli animali dovranno essere piccoli, di carattere do­cile e tutti di sesso femminile, per conservare alla so­cietà il suo carattere fondamentale... ».

Il chierico                      - Il pappagallo della signorina Petro­nilla canta una canzone che dice: T'ho vista T'ho vista T'ho vista in compagnia... (A piacere).

Una voce                       - (chiara, da una stanza vicina sullo stesso tono della canzone) ... d'un bel garzon... Don Severino       - (balzando) Chi canta di là?

Il chierico                      - (pronto) Il pappagallo della signorina Petronilla.

Don Severino                - (sbalordito) Il pappagallo della si­gnorina Petronilla?!

Il chierico                      - Ce lo ha portato di nascosto Nicola per fare un favore alla signorina Petronilla che non sa­peva dove metterlo... Ma non gli dica niente, signor parroco!

Don Severino                - (con gesto di desolazione) Ma questo Nicola!

Il sacrestano                  - (rientra, va dritto all'angolo a scegliere fra gli ultimi oggetti rimasti e riprende il discorso in­terrotto) I santi come lei possono mutare la faccia delle cose. Si ricorda, signor parroco, di quel monaco cieco della « Leggenda dorata » che si trova in un luogo solitario ove la terra era tutta cosparsa di pietre? E a cui un villano si divertì a far credere che in quel luogo fosse convenuta una moltitudine enorme? E il santo lo credette e parlò a lungo a quel deserto di pietre con­vinto di rivolgersi agli uomini; ma quando egli terminò il suo discorso con le parole: « Per omnia secoula, secoulorum ». Tutte le pietre risposero ad alta voce: « Amen, venìrabilis pater ». Se lo ricorda, signor parroco?

Don Severino                - Quel monaco era un santo, mio buon Nicola, e il Signore gli concedeva di questi favori.

Il sacrestano                  - Io non so, signor parroco, se quelle pietre in quell'ora acquistassero veramente i sensi degli uomini, o se Dio volle ricompensare quell'uomo vene­rabile facendogli sentire delle voci inesistenti: io non so queste cose. So soltanto che in quell'attimo si mo­dificò qualche cosa fra terra e cielo, e che io non mi meraviglierei se stasera bussasse qualcuno a quella por­ta, qualcuno che portasse la buona novella per quelle poverette laggiù... (Dicendo queste ultime parole si è avviato verso la porta, si è fermato un attimo sulla soglia per finire il suo discorso, ed è ridisceso in chiesa. Ap­pena egli è scomparso bussano alla porta da lui indi­cata).

Don Severino                - (con un sussulto) Hanno bussato. (Al chierico) Apri.

Il chierico                      - (un po' intimorito) Io non apro, signor curato... Nicola è stregone...

Don Severino                - (con leggera impazienza) Apri, buon Dio, chi vuoi che sia?

Il chierico                      - (in punta di piedi guarda dal buco della serratura) È quel signore che è venuto l'altra volta... Il signor duca... (Apre rassicurato).

Una voce                       - (dall'ombra della scala) C'è il signor parroco?

Il chierico                      - È qui signore. (Entra il duca).

Don Severino                - (alzandosi ossequioso) Il duca...

Il duca                           - (alto, elegantissimo, un po' vieux jeu è «.re uomo che ha passato i 55 anni, ma sorride ancora come doveva sorridere Lauzun a trent' anni, con quella grazia leggermente beffarda con cui i grandi voluttuosi tem­prano la sfacciata dolcezza dei loro occhi amorosi) Don Severino mi perdoni... È un'ora impossibile... Un'ora quasi profana. Inadatta per disturbare un santo sacerdote.

Don Severino                - Oh duca... Questi son modi di di­re... Lei sa bene di non disturbarmi affatto. (Al chierico). Enrichetto, una sedia. (Il chierico offre una sedia al du­ca) Sono finiti i lavori della villa?

Il duca                           - Non ancora... Sono venuto a dare uno sguardo... Ero con una signora... Ma la signora si è allontanata con la mia macchina dopo avermi dato ap­puntamento qui, avanti alla parrocchia. Aspetto da mez­z'ora e non si vede nessuno, e siccome comincia a pio­vere, mi permetto di chiedere ospitalità alla casa del Signore.

Don Severino                - Procurando una grande gioia all'u­mile custode.

Il duca                           - Se questo ragazzo non avesse nulla da fare, le dispiacerebbe, don Severino, che scendesse sul por­tone ad attendere la macchina che non può tardare?...

Don Severino                - Disponga pure, duca...

Il duca                           - (al chierico) Deve giungere un'automobile azzurra. Dirai alla signora che si trova nella macchina che io sono salito a salutare il signor parroco e che scenderò subito. Hai capito?

Il chierico                      - Sissignore. (Esce).

Il duca                           - Sono venuto a darle una quantità di fa­stidi...

Don Severino                - Oh ne vorrei di questi fastidi, caro duca...

Il duca                           - Duca... Duca... Eh sì, bisogna che io mi rassegni a sentirmi chiamare così da lei che quaranta, dico quaranta anni fa mi chiamava semplicemente Toly. Sono io il più vecchio, ora, don Severino. Oh sì, me ne sono convinto quando ci siamo rincontrati la prima volta dopo tanti anni, che sono le delizie temporali e non quelle eterne che più imprimono i segni del deca­dimento sulla fronte degli uomini... (Ride e si guarda intorno) Ah, ma come si sta bene qui... C'è un calore monacale, un'atmosfera evangelica così diversa da quella che si respira nelle case dei sacerdoti eleganti che si incontrano nel nostro mondo... ».

Don Severino                - Eh, via!... Come si può paragonare la compagnia di quel clero mondano e letterato con quella di un povero curato che vive da tanto tempo accanto ad una chiesa un po' fuori di mano, che non ha per compagni che i libri dei suoi maestri spirituali e per amici i poveri della sua parrocchia?

Il duca                           - (futile) Ah, no... Qua si sente, non so, come il principio di un mondo migliore, un avant-goùt di Paradiso, don Severino, che ha la sua grazia tutta nuova per un vecchio peccatore che da tanti anni tra­sgredisce la legge del Signore...

Don Severino                - (sorridente) Che il Signore abbia scelto proprio me per una delicata opera di redenzione?

Il duca                           - (sempre leggero) Bah!... Chissà, don Se­verino? Chissà che non sia poi un'opera più facile di quel che possa sembrare? Crede che io non mi ricordi a volte quei deliziosi sermoni sulla castità, quelle pre­diche solenni sulla regola dei costumi, quei racconti miracolosi in cui ella mi parlava di quella grande bi­lancia della vita in cui i demoni gettavano le male azioni degli uomini, e innanzi alla quale gli angeli si torcevano le mani piangendo non avendo nulla da met­tere sul loro piatto?... Crede che io non ricordi queste cose deliziose e terribili, don Severino?

Don Severino                - Eh, caro duca! Basta una buona azio­ne, una sola talvolta in tutta la vita a far pesare il piatto degli angeli. Un pane dato a un povero, una pa­rola di conforto, un pensiero d'amore per un nemico. Lei non crede più a queste cose, e le ricorda come stra­vaganze infantili, ma gli angeli non si offendono e se sapesse come essi sanno attendere anni ed anni innanzi al loro piatto vuoto.

Il duca                           - (con grazia) Ah, mio vecchio venerabile amico, quali divini sotterfugi si nascondono in queste parole: esse mi mostrano così facili le vie del Paradiso che all'uscir di qua io mi sentirò tentato di gettare il mantello ai poveri come San Giovanni l'Elemosiniere...

Don Severino                - Non ci sarà bisogno di far questo... Ci sono tante buone azioni da compiere! (Dopo una leg­gera esitazione) Guardi qua, per esempio... (Prende ti­midamente la carta sopra al tavolino) Ci sarebbe tutta una grande opera da portare a termine...

Il duca                           - Vediamo, vediamo...

Don Severino                - L'opera delle « Nubili, anziane, de­cadute ».

Il duca                           - Nubili?... Anziane?... Decadute?...

Don Severino                - Se sapesse quante miserie!

Il duca                           - (poco convinto) Oh sì, ci credo, ci credo...

Don Severino                - Sarebbe un'opera grande...

Il duca                           - Immensa, don Severino.

Don Severino                - Non le persuade?

Il duca                           - Nubili, anziane, decadute? E che cosa vo­gliono costoro?

Don Severino                - Oh povere donne! Vogliono ritirarsi nella loro vecchiaia solitaria per attendere in pace la morte. Cosi poco, come vede, povere figliuole di Dio!

Il duca                           - Uhm! La nubile anziana mi è parsa sem­pre una figura straordinaria, una -specie di missionaria diabolica gettata con sapienza sul cammino degli uomini per disgustarli della virtù... Si ricorda la zia Teresa, don Severino, con il suo enorme occhiale di tartaruga? Ah io l'ho resa responsabile di molte mie male azioni...

Don Severino                - Oh duca, una degna signorina.

Il duca                           - Oh si. Ma essa mi mostrò il lato triste della virtù, I suoi sermoni fecero su di me l'effetto opposto dei suoi, don Severino... E dopo ne ho compreso il perché. Dietro quella fanatica virtù si celavano malamente tutti i suoi vizi mancati: essa odiava ciò che non aveva avuto il coraggio di adorare!

Don Severino                - (scandalizzato) Ma duca che dice?... Una cosi santa signorina! Una vita di rinunzia!

Il duca                           - Non ci creda, don Severino... Essa era tal­mente avida di gioie terrene e spirituali che non ebbe il coraggio di darsi agli uomini per non rinunciare a Dio, e non si diede a Dio per non perdere la possibilità di sognare l'amore degli uomini. Soltanto il tempo ha ragione di questi personaggi stravaganti, che una perples­sità interiore ferma tutta la vita fra cielo e terra sicché in vecchiaia costoro credono in buona fede di aver ri­nunciato al mondo.

Don Severino                - In realtà esse sul declinare optano definitivamente per la rinuncia.

Il duca                           - È bon gre, mal gre, mio santo amico. È il mondo che rinuncia a loro!

Don Severino                - Oh duca, quanta malizia! (Si ode la tromba di una automobile).

Il duca                           - Ecco la macchina. Ah, don Severino, come sono dégrisé! La zia Teresa, le nubili anziane. Queste vergini antiche hanno gettato una doccia di gelo su quel­la lieve ubbriacatura di misticismo che mi andava con­quistando. Ah! Le inviate del diavolo! È Satana che si diverte ancora una volta alle mie spalle dal suo nascon­diglio di ombra. (Dalla porta di strada entra correndo il chierico seguito dall'autista).

L'autista                        - (un po' agitato) Signor duca, non ho più potuto ritrovare la signorina.

Il duca                           - Come sarebbe?

L'autista                        - È scesa dalla macchina ed ha detto: « Faccio un giro a piedi... »; dopo un poco ha cominciato a piovere forte. Io ho fatto un po' di strada per cercarla, ma non l'ho più trovata.

Il duca                           - Dove è avvenuto questo?

L'autista                        - A un paio di chilometri dalla villa. Non ci sono case, credevo che fosse venuta a piedi fino alla chiesa dove aveva appuntamento con il signor duca...

 Il duca                          - (preoccupato) Dove credi che sia andata?

L'autista                        - Non ne so niente, signor duca.

Il duca                           - (a don Severino) Don Severino, io la sa­luto. Vado in cerca della signora... Vede come sono sventate le nostre giovani amiche? Quelle povere nubili! Ne riparleremo, don Severino. Mi mandi la lista delle sottoscrizioni...

Don Severino                - Oh grazie, duca... Non mi aspettavo di meno da lei, e che il buon Dio protegga la signora.

L'autista                        - Piove a torrenti. Buona sera, signor par­roco.

Don Severino                - Buona sera. (Il duca esce seguito dall'autista. L'oscurità è scesa rapidamente).

Il chierico                      - Signor curato, gliel'ha data la casa per le vecchie?

Don Severino                - Eh sì, ci vuole altro figliuolo.

Il chierico                      - (scuotendo il capo) Se lei dà retta a Nicola, signor curato...

Don Severino                - Accendi una candela e fammi lume per la scala.

Il chierico                      - (accende una candela) Se lei dà retta a Nicola! Ne dice di frottole Nicola! (Si avvia facendo lume) Si figuri che una volta si era messo in testa che i pipistrelli del campanile erano tutti diavoli... Ma non gli dica niente, per carità. Allora ogni sera si rubava in chiesa un po' d'acqua santa e saliva sul campanile con un bastone lungo, ma lungo... (Escono per la porta che dà sulla scala che scende in chiesa. La voce del chierico si perde nella sala).

(La scena rimane per un poco vuota e buia. Si ode scrosciare al di fuori una pioggia torrenziale. Poi dalla stessa parte per dove sono usciti don Severino e il chie­rico, preceduto dal suo passo pesante per la scala, rien­tra il sacrestano).

Il sacrestano                  - (si ferma ad ascoltare) Piove a di­rotto. (Un lampo illumina la stanza seguito a breve di­stanza da un tuono. Il sacrestano si fa il segno della croce. Bussano alla porta di casa. Il sacrestano va ad aprire. La notte è discesa interamente ed il sacrestano non distingue la persona che ha bussato. Una voce fem­minile, insolita e profana, squilla nell'ombra).

La voce                         - Oh scusatemi... Sono bagnata fino alle os­sa... Si può entrare?

Il sacrestano                  - Si accomodi, signora.

La voce                         - Ma qui... È la parrocchia?

Il sacrestano                  - Si... La parrocchia di San Tommaso...

La voce                         - Mi ha sorpreso il temporale... È quasi notte.

(Entra una giovane donna. La cortigiana di ma­niera, dal viso ambiguo dalle lunghe ciglia arquate, sot­to il fulgore della capigliatura artificialmente bionda. I suoi gesti, le sue parole, i suoi sorrisi appaiono come i simboli ingenui di una sessualità appena dissimulata.

Durante la scena seguente imperversa di fuori il tem­porale che poi si viene a poco a poco calmando).

Rys                                - (si guarda intorno incuriosita, ma non discerne quasi nulla) Non ci sarebbe qualcuno che andrebbe a prendermi un taxi?

Il sacrestano                  - Non ce ne sono, signora, da queste parti. Siamo lontani quasi due chilometri dalla porta.

Rys                                - Non c'è un telefono?

Il sacrestano                  - A due chilometri.

Rys                                - (con un gesto di desolazione) E adesso come faccio? Un'ora fa faceva bel tempo. Ho rinviato la mac­china e volevo raggiungere la chiesa a piedi. Che idea! Mi ha sorpreso il temporale.

Il sacrestano                  - La signora deve scusare questa oscu­rità. Don Severino ha fatto togliere la corrente elettrica quassù, al primo piano. Egli si corica presto e non ha bisogno di luce, e il suo denaro preferisce darlo ai po­veri. (Egli va ad accendere una piccola lampada ad olio innanzi al Crocifisso che illumina di luci stranissime il volto dipinto della cortigiana). Noi preferiamo queste luci tenue e vacillanti, signora. Le luci delle lampade ad olio e delle candele di cera. Esse sono più adatte per la Casa del Signore; le sacre immagini acquistano come un principio di vita. Mentre la luce ferma delle lampade elettriche fuga tutte le ombre e le immagini tornano immobili. (Si volge a guardare Rys che si è levata il mantello per scuoterne l'acqua ed è rimasta con un vestito che la denuda quasi completamente. Il sacre­stano distoglie lo sguardo dalla donna). Se la signora vuole attendere vado a chiamare Don Severino,

Rys                                - (un po' smarrita) No. Non chiamate nessuno... Aspetterò che diminuisca un poco la pioggia. Posso an­dare in chiesa se qui disturbo.

Il sacrestano                  - Oh, in chiesa no, tatenda qua, si­gnora.

Rys                                - (credendo che sia per il vestito) Oh perdo­nate! Non pensavo. (Si rimette il mantello che la rico­pre tutta).

Il sacrestano                  - Scendo a chiamare don Severino. Se la signora ha avuto freddo le offrirà qualche cosa.

Rys                                - (incerta) No. Non chiamate nessuno. Restate voi. Questo sacerdote che vive nell'oscurità mi mette un po' di paura.

Il sacrestano                  - Oh, signora!... egli è così buono che non può dare soggezione a nessuno. Vive nell'ombra perché ha la sua luce interiore. La luce gli irradia dal cuore come a certi santi nei quadri di chiesa.

Rys                                - (sempre più preoccupata) Non lo chiamate... Guardate se ha cessato un poco di piovere.

Il sacrestano                  - Oh no. Piove forte. Non sente? Non abbia paura, signora. Sieda. Questa è la casa del Si­gnore, e da vent'anni, da che don Severino è qui, tutte le benedizioni di Dio scendono su questa parrocchia.

Rys                                - (con un principio di interesse, con dolcezza) Si?... (Siede indecisa).

Il sacrestano                  - Si, signora... Egli veniva da... Bah!... io non mi ricordo... Non so i nomi... Mi deve perdo­nare la signora se io so più cose che riguardano i santi, la chiesa, i quadri, le campane. Sono quarant'anni che vivo qua dentro...

Rys                                - Quarant'anni?...

Il sacrestano                  - Il mondo mi sembra avvolto in una nebbia... Ho letto pochi libri. La leggenda dorata, il Convito degli angeli, le vittorie dei martiri di Santo Alfonso dei Liguori...

Rys                                - (guardandolo un po' confusa) Si può vivere così...

 Il sacrestano                 - Oh sì, signora. Anche senza essere sacerdoti.

Rys :                              - Dio! Si può vivere così, in questo ambiente straordinario, accanto ad un sacerdote quasi santo, in questa semi oscurità, fra questi Crocifissi?

Il sacrestano                  - (dolcemente) Perché, signora?

Rys                                - Signorina.

Il sacrestano                  - (incredulo) Signorina?

Rys                                - Non vi sembro una signorina?

Il sacrestano                  - (semplicemente) No. Le signorine che vengono in chiesa sono tutte diverse. Io credevo che lei fosse una signora, una grande signora...

Rys                                - (divertita) Oh bella e perché!

Il sacrestano                  - (misterioso) Oh perché...

Rys                                - Dite.

Il sacrestano                  - Io sapevo che stasera doveva venire qui una signora, una grande signora...

Rys                                - Come lo sapevate? Io mi sono smarrita perché avevo rinviata la macchina ed è sopravvenuto il tem­porale... Non dovevo certo venire...

Il sacrestano                  - E pure... (Ha un gesto vago. Rys at­tende in silenzio che egli si spieghi) La signora che do­veva venire doveva essere ricca a milioni, così ricoperta di gioielli come lei. Doveva giungere così, inattesa come lei, nella oscurità, come un'apparizione. Oh non dica di no, signora. È lei l'inviata, quella che attendono quelle poverette laggiù che pregano in chiesa.

Rys                                - (stupita) Chi sono quelle poverette?

Il sacrestano                  - Sono dodici vecchie, sole, senza una famiglia, senza un ricovero. Attendono una casa dalla beneficenza del Signore... E oggi, proprio oggi don Se­verino ha avuto la certezza che qualche miracolo si do­veva compiere.

Rys                                - (ha un piccolo sorriso triste) Buon'uomo... Io non sono ricca come voi credete...

Il sacrestano                  - E pure, signora... Questa visita non può essere dovuta ad un caso. Oh, io sono certo, certo, che è lì, nelle sue mani il filo del miracolo che sta per compiersi...

Rys                                - Buon uomo... Ma io... Voi non sapete... Io... (Essa sembra volersi scuotere dall'atmosfera mistica che comincia a soffocarla). Voi non sapete chi sono io... (Si alza) Anch'io vivo della beneficienza, buon uomo.

Il sacrestano                  - Chi vive di beneficienza conosce i ricchi.

Rys                                - Oh sì... Io conosco i ricchi... Li conosco. Ma essi non danno così il loro denaro. Per ricoverare do­dici povere vecchie in una casa, buon uomo, i ricchi che io conosco non daranno niente.

Il sacrestano                  - (incrollabile) Daranno.

Rys                                - Oh è bella, sapete, questa vostra fede, è bella buon uomo. E ci vuole tutta la mia forza perché io non mi metta a credere con voi di essere un'inviata del Si­gnore ; oh, ci vuole tutta la mia forza per scuotermi da questa atmosfera mitica immateriale, miracolosa che mi circonda. (Quasi implorante) Oh lasciate che io me ne vada! Ho bisogno di ritrovare le strade ove gli uomini vivono fuori di questo mondo evanescente e tenace, lon­tani da questa aura di miracolo nella quale mi state av­volgendo coi vostri discorsi. Lasciatemi andare, buon uomo, non ho paura delle strade di campagna di notte. Ho paura di cedere a qualche malìa divina che si na­sconde nelle vostre parole...

Il sacrestano                  - Oh no, signora, lei non se ne andrà così. Si guardi intorno. Il Signore non inganna noi po­veri che viviamo in attesa di prodigi. Si guardi intorno. Non vede questa gran luce che irradia dalla sua persona?

Rys                                - (si guarda intorno smarrita. Come il temporale è cessato, una luce, forse un raggio improvviso di luna, è entrato per la fessura di una finestra e la investe) Siete voi... Siete voi che mi rivestite di luce...

Il sacrestano                  - Io?... Chi lo sa? Può darsi... Certo una luce è entrata qua dentro, grande. Che importa se essa nasce da lei o dalla mia fede?

Rys                                - No, no guardate. È il temporale che è cessato. È un raggio di luna questo che investe...

Il sacrestano                  - Che importa? Che importa? Esterna o interna è una gran luce che la trasfigura. Guardi co­me l'avvolge e la fa bianca. Oh il Signore l'ha prescelta per una grande opera di pietà! (La prende dolcemente per i polsi) Lasci che io le prenda le mani, che io la senta. Ho paura di vederla svanire in questo raggio di luce... Come nelle storie dei santi.

Rys                                - (presa) È la vostra fede che mi avvolge tutta. È come una fascia che mi circonda. Oh io non voglio togliervela questa vostra fede! Oh no, buon uomo, buon uomo, io sono sì, forse, l'inviata del Signore e qui nelle mie povere mani c'è il filo di qualche miracolo che si deve compiere....

Il sacrestano                  - (inebriato) Qui, nelle sue mani... (Il raggio di luce scompare piano, piano).

Rys                                - Io porterò con me il segno di questa sera di prodigio... E voi verrete da me. Una sera sul tardi. Non vi fate vedere da nessuno, non dite chi siete. Sarà un grande segreto tra me e voi... (Fruga nella sua borsa) Qua mi troverete  - (Scrive qualche cosa su di un biglietto). È molto lontano. Domandate della villa della signorina Rys. È il mio nome. Oh non si trova tra quelli dei santi della leggenda dorata. Troverete il cancello aperto e quando sarete nel giardino c'è chi penserà a farvi en­trare. (Dopo un'esitazione, quasi timidamente gli offre del denaro).

Il sacrestano                  - Oh signora, io non prendo denaro... Il signor parroco dice che bisogna accettarlo solo per i poveri.

Rys                                - Prendetelo per i poveri. (Si avvia) E venite. Troverete un cancello dorato.

Il sacrestano                  - Verrò, signora.

Rys                                - Sì, ma non dite nulla al signor parroco... Perché allora... Chi sa... Forse non vi lascerebbe venire.

Il sacrestano                  - Sarà un segreto. Un grande segreto, signora...

Rys                                - (sul pianerottolo della scala, con voce più lim­pida) Non piove più... C'è veramente la luna. Addio, buon uomo.

Il sacrestano                  - Addio... (Richiude la porta. Si ferma un attimo, poi si avvia verso la lampada a guar­dare il denaro che gli ha lasciato Rys).

(Sulla porta di fondo appare don Severino che è sa­lito silenziosamente dalla scala della chiesa).

 Don Severino               - Nicola!

Il sacrestano                  - (che non l'aveva sentito, si volge viva­mente).

Don Severino                - Vai a chiudere la chiesa. Ci sono ancora quelle signore che pregano. Non le disturbare. Di' loro soltanto che quando avranno finito salgano di qua ed escano per la scala. È tardi.

Il sacrestano                  - (porge il denaro al parroco, con un po' di imbarazzo) Ecco cento lire per i poveri, signor curato.

Don Severino                - (sorpreso prende il denaro) Chi te le ha date?

Il sacrestano                  - Una signora... Ha bussato alla por­ta... Mi ha dato il denaro e se ne è andata. (Agitato) Non è una bugia, signor curato...

Don Severino                - Chi ti dice che sia una bugia?

Il sacrestano                  - (si avvia in fretta senza parlare).

Don Severino                - Di'. Vieni qua. Dove vai?

Il sacrestano                  - (confuso si ferma) A chiudere la chiesa... Se il signor curato crede che io abbia detto una bugia...

Don Severino                - Va', va', figliuolo. Ti dispenso dal dirmi come hai avuto quel denaro. Te lo hanno dato per i poveri. Non voglio sapere altro. Non è una bugia.

Il sacrestano                  - (con un viso illuminato) Non è una bugia, signor curato, è un segreto... Un grande segreto...

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Salotto in casa di Rys.

Una finestra con grande vetrata nel fondo, un po' a sinistra, dalla quale si vedono i rami di un albero del giardino. Una porta un po' a destra che dà in un altro salotto. Nella parete di sinistra un'altra porta che dà nella camera da letto di Rys. Una porta nella parete di destra.

Rys innanzi ad uno specchio prova un costume orientale da danzatrice. Borchie ai seni, dorso nudo.

La cameriera è in ginocchio davanti a lei.

Sul divano sta seduto il duca tra Salomè e Niky. Le due ragazze sono vestite da pomeriggio con il cappello in testa.

Rys                                - (alla cameriera) Togli quella fila di perle.

Niky                              - Sei nuda.

Rys                                - E il tuo abito verde?

Niky                              - Non lo metterei in una serata d'onore.

Salomè                          - (con ironia) Che ne dice il duca?

Il duca                           - Il mio giudizio non è sereno.

Salomè                          - Divenite geloso?

Il duca                           - Forse...

Rys                                - (sempre un po' distratta e come preoccupata) Oh si. Comincia ad amarmi sul serio. Oggi mi ha fatto una scenata.

Niky                              - E per chi dunque?

Il duca                           - (burlesco) Oh, per un'ombra... L'unico rivale che non umilia e non offende è il rivale che non si conosce. Il rivale senza nome. Egli può essere un vagabondo e un principe, non importa. In queste scene di gelosia contro un fantasma manca l'umiliazione di dover pronunciare un nome.

Salomè                          - Ma il rivale esiste...

Il duca                           - Matematico. Egli fa la sua apparizione ogni notte, sul tardi. Aspetta che io mi sia allontanato. Essa lo attende qui in questa stessa stanza... Egli scavalca quella finestra...

Niky                              - Dalla finestra?...

Il duca                           - Sì. Non so perché questa commedia... Egli potrebbe ben passare dalla porta.

Salomè                          - (a Rys) Non ti difendi Rys?

Rys                                - (sembra occupatissima del suo costume) Non è uguale. Guarda. Questa fila è più lunga... Ecco... così...

Salomè                          - Ebbene, che ci vuole a sorprenderli?

Il duca                           - Ah no. Io non voglio l'intralcio del suo nome e della sua personalità. Voglio divertirmi a rive­stirlo dì tutte le grazie, questo rivale ignoto.

La cameriera                 - (ha un piccolo riso).

Il duca                           - Malvetta ride. Essa lo conosce. Non è dunque un bel cavaliere il nuovo amante della tua pa­drona?

Rys                                - (con un grido; alla cameriera che ride) Ah, mi hai punta!

 Il duca                          - Sbagli, piccola. Non è lei che ti ha punto…Di' dunque, Malvetta, non è un bel cavaliere?

Rys                                - (con un sorriso un po' misterioso e lontano) Mi avevi detto che non lo volevi conoscere. Se hai cam­biato idea te lo mostrerò domani.

Il duca                           - E perché non questa sera? Egli mancherà dunque alla tua serata d'onore?

Rys                                - Non frequenta teatri.

Il duca                           - Invitalo dopo la mezzanotte per l'inaugu­razione della villa.

Rys                                - Rifugge la società.

Il duca                           - Non precisare troppo. Comincia ad acqui­stare una personalità pericolosa. Un solitario. Tra poco io lo conoscerò appieno. Egli è giovane, agile, aitante perché sale con disinvoltura sui rami di quell'albero per arrampicarsi sulla tua finestra. Ciò gli conferisce anche una leggera tinta romantica e démodée che lo rende simpatico e temibile. Egli è illogico poiché pur essendo un solitario ed un misantropo si innamora di una danzatrice, vanitoso perché crede di poter arrivare a sostituire l'intero universo nel tuo cuore. Sono certo che egli ti ha proposto di sposarti, pur essendo pove­ro... Quest'uomo sarà la tua rovina, mia piccola Rys...

Rys                                - (riso misterioso) Ah... tu credi?... Malvetta, prendi il casco. (La cameriera esce per la porta della camera di Rys. Rys resta innanzi al grande specchio a contemplarsi).

Salomè                          - Ho capito. Uno studente miserabile.

Il duca                           - E quel che è peggio, uno studente in teo­logia.

Salomè                          - Di teologia?

Il duca                           - Purtroppo. Ella ha di questi gusti. L'altro giorno nella sua camera ho trovato un libro intitolato « Le vittorie dei martiri ».

Rys                                - (volgendosi vivamente) Ah, tu vai a rovistare tra i miei libri?

Il duca                           - Quali libri, se non ce ne sono altri per tutta la casa? Stava tra le tue camicie.

Rys                                - Tu vai dunque a rovistare tra le mie camicie?

Il duca                           - Mi ci avevi mandato tu. Non te ne ricordi? Volevi farmi vedere la camicia di Goupy. Ma quel li­bro sta male, là dentro, piccola mia.

Salomè                          - Quei poveri martiri si troveranno orribil­mente spaesati.

Il duca                           - Ma no. Ci sta male perché è talmente su­dicio che imbratterà tutte le camicie di Goupy.

Rys                                - (alza le spalle con grazia, vicina allo specchio si corregge il fard degli occhi).

Il duca                           - (leggero) Eh, amica mia, questo teologo ti ha preso. Sì, perché sei mutata da un po' di tempo a questa parte... Ti si sorprende a sognare. Parli poco e mediti molto. Sei distratta. Voi, sapete, la distrazione è la forma più leggera del tradimento. Ma è già un tradimento.

Rys                                - (ha un sorriso vago e un po' sognante, ma sem­pre avanti allo specchio occupata del suo viso) Sono molto mutata?

Il duca                           - Amica, non si inganna il vecchio Toly. Egli ha un'anima che si potrebbe paragonare alle carni di quella principessa di favole che sentiva un pisello nascosto sotto venti materassi... Oh, sì, nascosto invi­sibile per tutti, introvabile... Ma il pisello c'è... E il vecchio Toly lo «ente...

La cameriera                 - (affacciandosi sulla porta con il casco in mano) È pronto, signorina.

Rys                                - Vengo. (Esce).

Salomè                          - (al duca) Ahimè!... Un mese fa essa avreb­be trovato che sotto il vostro tono leggero si nascondeva una certa tristezza... E sarebbe venuta a sedere sulle vostre ginocchia...

Il duca                           - Forse...

Salomè                          - Ora il cuore del vecchio Toly non ha più nessuna importanza, per lei... Oh, duca, io non so che cosa ne facciate più di una piccola amica che legge « Le vittorie dei martiri ».

Il duca                           - (futile) Essa diviene invece interessante. Prende delle piccole arie assenti e melanconiche che le vanno a meraviglia.

Salomè                          - Voi trovate?

Il duca                           - Ma sì... E il libro nascosto tra i merletti di Goupy mi ha spiegalo molte cose. Quel non so che di immateriale che ha preso la sua persona da qualche tempo... Guardate quando essa danza, la sera. Il suo corpo diviene così leggero che fa pensare al corpo sot­tile di cui parlano i teosofi. Tutto ciò è piccante e miste­rioso.

Salomè                          - Eh, caro duca, vi riconosco là. Voi cer­cate di poetizzare... Ma in realtà non credete una parola di quel che dite e avete una fede assoluta in quella pic­cola sconoscente...

Il duca                           - Forse sì... Voi avete ragione... Io ho fede in lei... 0 piuttosto in me, amica mia, Io sono un aman­te desiderabile che non è prudente abbandonare. Sono ricco e quasi vecchio. Rys conosce il valore di questi aggettivi.

Salomè                          - (con grazia e tristezza) Voi siete l'amico ideale, vecchio Toly...

Il duca                           - Oh sì! Un uomo pacato e ragionevole che ha un lungo passato, dei capelli grigi, dei ricordi, una tenerezza solida e delle gelosie dignitose e di buon gusto, che non si manifestano che con una amabile iro­nia. Non è dunque consigliabile abbandonarmi.

Salomè                          - Beh! Voi vi stimate dunque così poco da credere che l'interesse di cui una donna vi circonda non sia più che paura di perdervi?...

Il duca                           - Oh sì. Questa è l'ultima specie d'amore che un uomo può destare quando i suoi baci non sono più desiderabili...

Salomè                          - (lo guarda) Come siete triste, amico.

Il duca                           - (gaio, carezzandole i capelli) È perché divento quasi ragionevole.

Salomè                          - (con amarezza, più piano) E come l'amate!

Rys                                - (appare sotto l'arco della porta della sua camera, mostrando il suo costume completato dal casco che le fascia leggermente il capo) Ecco il mio costume com­pleto. Per la danza con Zakoff.

Il duca                           - Mirabile.

Rvs                                - (alle amiche che tacciono) Che ne dite? Non è grazioso?

Niky ............................ - Squisito..

Salomè                          - (ironica e triste) Oh, noi siamo tutti qui per ammirarti!

La voce di Viviano       - Si possono salutare queste dame?

Niky                              - Ecco il nostro Viviano!

Viviano                         - (giovane, elegante, comune) Buona sera, bambine. Addio, duca.

Viviano                         - (bacia la mano alle ragazze; al duca) Lo credevo a ripassare la sua conferenza.

Niky                              - Quale conferenza?

Viviano                         - Oh, non sapete che questa notte dopo la serata d'onore di Rys avremo l'inaugurazione della villa delle Magnolie?

Niky                              - Ma sì... L'inaugurazione della villa delle Magnolie che d'ora innanzi sarà chiamata il tempio dell'amore. Non si parla che di questo. Avremo la cena, il balletto delle girls, la ripetizione delle danze di Rys con Zakoff...

Viviano                         - E la conferenza del duca.

Niky                              - Ah, mio Dio, una conferenza?

Viviano                         - Ma sì. Il duca ne terrà un ciclo che co­mincia stanotte. Romantiche e deliziose queste confe­renze notturne, dopo una gaia cena intramezzata dalle danze delle girls... Converremo noi tutti, i giovani, gli inesperti, gli analfabeti dell'amore ad ascoltare le le­zioni che il duca ci impartirà dalla mezzanotte all'alba sulla vecchia psicologia amorosa. Da Ovidio a Laroche-foucauld, a Stendhal a Balzac, a Bourget. I vecchi mae­stri della scienza sentimentale.

Niky                              - (ironica) Ci divertiremo!

Il duca                           - Una specie di testamento... La fiaccola che io passo ai giovani con un gesto nobile e triste di cui dovrete comprendere la bellezza. Io cercherò di donare alla vostra giovinezza tutta la saggezza della mia ma­turità...

Viviano                         -  Noi arriveremo così ad una bizzarra nega­zione del tempo...

Il duca                           - E voi vedrete che ogni pietra di quell'edi­ficio, nel quale ho lavorato con passione per questi due anni, porterà il segno dell'amore. Dell'amore saggio, squisito, rigoroso, raccolto sì come lo intendevamo noi, gli amorosi della vecchia generazione.

Viviano                         - Fui ieri a visitarlo. È a buon diritto lo abbiamo soprannominato il tempio dell'amore. Esso è un poema di buon gusto e di malizia. Mirabile la sala dei Don Giovanni tra i ritratti dei quali, accanto a Lauzun e a Don Niguel de Marana ho scorto con sacro orrore le nobili fronti dei patriarchi Abramo e Gia­cobbe.

Il duca                           - Checché ne dicono i teologi che affermano che essi ebbero una speciale dispensazione dal Signore, essi furono i primi a praticare la poligamia. La poli­gamia è un dongiovannismo più squisito e sostanziale e io trovo più saggiamente amoroso il re Salomone con le sue trecento mogli e le sue novecento concubine, di don Giovanni Tenorio con le sue mille e tre amanti di passaggio.

Il servo                          - (spalancando la porta di fondo) Monsieur Zakoff.

Rys                                - (che durante i dialoghi precedenti era appoggiata alla finestra guardando lontano) È già qui? (Nel salotto di fondo si vede Zakoff. Rys si avvia verso il sa­lotto) .

Il servo                          - (al duca) Il signor notaio Rivera manda a dire che l'atto è pronto e che attende il signor duca subito allo studio.

Il duca                           - Sta bene.

Rys                                - (con un piccolo grido corre ad abbracciare il duca) Il notaio. Oh, Toly?

Salomè                          - Che succede?

Rys                                - (prendendo al duca il viso tra le mani) Tu vai dal notaio a firmare l'atto            - (Con tenerezza) Oh, Toly!

Viviano                         - (sorridendo) Il dono dell'ultimo Don Gio­vanni...

Il duca                           - (a Viviano, sorridendo anche luì) La vedi? È già tutta cambiata. Se arrivavi prima qui avresti ve­duto Rys tutta silenziosa e impenetrabile. (Indica Rys; sorridente tra le sue braccia).

Rys                                - (sovraeccitata) Ah, vieni Toly! Ti prego... ve­drai l'ultima parte del balletto. Avrò un successo folle. Vedrete stasera! (Trascina il duca verso il salotto di fondo tenendogli un braccio avvolto intorno al collo).

Il duca                           - (a Viviano, sorridendo) Le tenerezze del­l'infedeltà... (Entrano nel salotto di fondo. Un gram­mofono suona un'aria di danza. Si vede Rys che si met­te a danzare. Il duca chiude lentamente la porta).

Salomè                          - (sbalordita) Ma che accade? Rys è uscita dal suo letargo...

Niky                              - Il notaio? Che cosa c'entra il notaio?

Viviano                         - Via, non indovinate che cosa troverà Rys stasera in fondo al cesto di fiori che il duca le invierà per la sua serata d'onore?

Salomè                          - Una promessa di matrimonio?

Viviano                         - No.

Salomè                          - Un testamento?

Viviano                         - No.

Salomè                          - E dite, dunque.

Viviano                         - Ci vuol tanto a capirlo? Un atto di dona­zione. La villa delle Magnolie.

Salomè e Niky              - (con un grido) La villa delle Ma­gnolie!!!

Salomè                          - Un dono di milioni.

Viviano                         - Non esagerate.

Niky                              - Il duca invecchia.

Salomè                          - Il famoso tempio dell'amore!

Viviano                         - Il famoso tempio dell'amore!

Salomè                          - Lo regala così...

Viviano                         - Così...

Niky                              - A una di noi...

Viviano                         - A una di voi...

Salomè                          - Per una serata d'onore...

Viviano                         - Per una serata d'onore...

Niky                              - Inverosimile.

Salomè                          - Favoloso!

Niki                               - Andiamo, Viviano, voi avete scherzato.

Salomè                          - Una villa con delle statue antiche...

Niky                              - Con gli amorini di marmo...

Salomè                          - Il satiro greco e la biga romana.

Niky                              - E le massime sull'amore...

Salomè                          - Brantòme, Larochefoucauld...

Niky                              - E chi sono costoro?

Salomè                          - Vedi? Non sai neanche chi sono. E Rys è della tua forza...

Niky                              - E tu lo sai?

Salomè                          - Amica mia, tu sali dal laboratorio, io scen­do dal liceo...

Viviano                         - Punto di incrocio il music-hall.

Salomè                          - Mentre tu giravi con lo scatolone infilato al braccio, io traducevo Orazio.

Niky                              - E chi è Orazio?

Viviano                         - (motteggiando) Il suo primo amante, dia­volo!

Niky                              - (candida) Mi avevi detto che si chiamava Renato!

Salomè                          - (mettendosi le mani nei capelli) Vedete!... Il duca regala le sue ville a donne di questa fatta. Val la pena di aver studiato tanto.

Niky                              - Non essere nervosa, Salomè. Rys non ha an­cora la sua villa.

Salomè                          - Credi che me ne importi qualche cosa?

Niky                              - Eh, via, tu sei furiosa.

Salomè                          - E tu no?

Niky                              - Io mi domando che ci state a fare voi?

Viviano                         - Io?... Dove?...

Niky                              - In tutta questa storia... Voi conoscete l'altro...

Viviano                         - Chi?

Salomè                          - L'altro amante di Rys.

Viviano                         - (stupito) Rys ha un altro amante?

Salomè                          - Come? Non lo sapete?... Ma in che mondo vivete? Lo sanno tutti.

Viviano                         - Meno io...

Niky                              - Un uomo che sale ogni notte dalla finestra...

Salomè                          - Che le presta dei libri sudici...

Niky                              - Un acrobata...

Salomè                          - Studente di teologia...

Viviano                         - (trasecolato) Un acrobata studente di teo­logia che presta dei libri sudici e che sale dalla fi­nestra ?

Niky                              - Ma sì. Che c'è di strano in tutto questo?

Viviano                         - Caspita!

Salomè                          - L'essenziale è che voi li facciate pescare insieme.

Viviano                         - Io?

Salomè                          - Voi.

Viviano                         - Amica mia, voi scherzate.

Salomè                          - Io non scherzo affatto.

Niky                              - Non è possibile che voi sopportiate certi scan­dali.

Salomè                          - Vi immaginate Rys padrona di un cena­colo?

Niky                              - Tra il satiro greco e la biga romana?

Salomè                          - In contemplazione delle massime di Laro­chefoucauld ?

Niky                              - Voi vi ribellerete...

Viviano                         - Io?... E che c'entro io?

Salomè                          - Come, che c'entrate? Non è giusto che il duca butti così i suoi palazzi dalla finestra...

Niky                              - Per una donna infedele. Voi dovete trovare un mezzo qualsiasi.

Viviano                         - Che mezzo?

Salomè                          - Bisogna assolutamente impedire che il duca commetta di queste pazzie...

Viviano                         - Ma se il duca...

Niky                              - Egli sospetta, ma non è sicuro...

Salomè                          - Quando sarà certo del tradimento, quando avrà veduto coi suoi occhi...

Niky                              - La villa non la regalerà più, ve lo dico io!...

{La porta di fondo si apre e si affaccia il duca. Si vede Rys danzare).

Il duca                           - Ah! ma venite dunque a vedere la finale del balletto...

Zakoff                           - (con entusiasmo mìstico) Une danseuse des premières religions de la terre.

Viviano                         - (entra nella sala di fondo e ne chiude la porta).

Niky                              - (con amarezza) Sono tutti ai suoi piedi.

(Silenzio. Arie desolate. Si ode la musica lontana. La cameriera esce dalla camera di Rys e si avvia verso il fondo).

Salomè                          - (scorgendo la cameriera) Psssst!... Malvetta.

La cameriera                 - (si ferma) Signorina...

Salomè                          - Vieni qua.

La cameriera                 - (si avvicina).

Salomè                          - Tu sei una furba figliola, va'...

La cameriera                 - Io?

Salomè                          - Eh!... Una mariuola... Tu ridevi... poco fa...

La cameriera                 - Io ridevo?

Salomè                          - Ma sì. Quando si parlava...

La cameriera                 - Di che?...

Salomè                          - Di quell'altro... Ehm!...

La cameriera                 - Di quell'altro?... (Ride) Ah, ah, ah...

Salomè                          - Diavolo!... Sei stata imprudente... Ridere così... Sotto gli occhi del duca...

La cameriera                 - Oh, il signor duca... Cosa può impor­tare al signor duca?

Niky                              - Come: che cosa può importare?

La cameriera                 - (scoppia a ridere) Ah, ah, ah... (Si avvia verso il fondo) Mi lascino andare...

Salomè                          - Aspetta, sciocca. Vieni qua...

La cameriera                 - Devo andare ad avvertire la signorina.

Salomè                          - Ad avvertire di che cosa?

La cameriera                 - (ridendo, misteriosa) Che sarà qui tra poco... alle sei... Ah, ah, ah... Il pover'uomo... (Bussa, ridendo, alla porta di fondo).

Salomè                          - Aspetta... Vieni qui... Malvetta!

La cameriera                 - (entra nel salotto di fondo).

Salomè                          - Ha detto che sarà qui tra poco.

Niky                              - E perché rideva?

Salomè                          - Ma... La crederà una cosa buffa... (Alla ca­meriera che torna) Il duca?

La cameriera                 - È andato via con il barone Viviano. (Rientra in camera di Rys).

Niky                              - È andato via... E dove lo ritroviamo adesso?

Salomè                          - (con animazione) Dal notaio, caspita... Egli è andato dal notaio.

Niky                              - (incerta) E che... Vuoi andare?...

Salomè                          - (avviandosi verso destra) Bah!... Un colpo di telefono... prima che egli firmi l'atto...

Niky                              - Credi che faremo in tempo?... (Incamminan­dosi anche lei) Ma poi...?

 Salomè                         - (sulla porta) Eh, amica mia, quando egli vedrà con i suoi occhi...

Niky                              - Quando egli vedrà con i suoi occhi?...

Salomè                          - Chi sa che la villa...

Niky                              - Non finisca ad una di noi?... (Incredula) So­gni! (Escono).

La cameriera                 - (torna dalla camera di Rys. Ha un gran­de accappatoio bianco sulle braccia. Lo posa sul divano. Si va ad affacciare alla finestra. Comincia a scendere la sera. Mentre la cameriera sta alla finestra si ode salire dal giardino un suono di tre note, modulate come su di un flauto od un'ocarina. La cameriera fa segni a qualcuno nel buio).

Rys                                - (viene dal fondo).

La cameriera                 - È qua...

Rys                                - (si toglie il casco e lo getta alla cameriera).

La cameriera                 - (le getta sulle spalle l'accappatoio. Ella sorride) È imprudente a quest'ora... Il signor duca può tornare da un momento all'altro...

Rys                                - Che volevi che facessi? Questa notte io non sarò qui... E dovevo pur consegnargli la chiave!

La cameriera                 - Ah, che pazzia!... Una villa come quella!... Regalarla a un vagabondo.

Rys                                - (stringendosi nell'accappatoio bianco) Taci... taci. Tu non puoi capire... (Si ode di nuovo il suono). Eccolo. Va', va'. Chiudi tutte le porte. Che non entri nessuno...

La cameriera                 - Una pazzia... Una villa così... A un vecchio vagabondo... (Spegne alcune lampade sì che la stanza resta avvolta in una semiluce. Indi esce),

Rys                                - (nel grande accappatoio sembra veramente una grande figura soave di arcangelo. Si avvia verso la fine­stra, si affaccia, chiama) Salite! (Dal basso della fi­nestra si vede sorgere la testa calva del sacrestano. Egli si va sorreggendo con fatica ai rami dell'albero. Rys lo aiuta ad entrare per la finestra). Avete potuto dispensar­vi. A quest'ora?... Grazie.

Il sacrestano                  - Oh, signora! (Si comprime i battiti del cuore con la mano). Ogni volta che io vengo qua mi sento smarrito come la prima sera. E questa è l'ultima. La grande opera di pietà è compiuta.

Rys                                - Ecco la chiave della casa. La consegnerete al parroco.

Il sacrestano                  - (prende, commosso, la chiave che Rys gli consegna) La casa del Signore... (Un silenzio). Oggi ho dato la grande notizia a quelle povere donne. Esse hanno pianto e mi hanno baciato le mani. Come a un santo e Don Severino mi ha baciato in fronte. Egli non sa nulla. Sa solo che c'è il miracolo. Don Severino ha fatto apparecchiare la grande tavola e ha voluto che io sedessi tra loro. È stato un grande onore per me!

Rys                                - (china il capo in silenzio).

Il sacrestano                  - (la contempla con tristezza) È l'ul­tima sera questa...

Rys                                - (rialzando il capo) Non ci vedremo mai più?

Il sacrestano                  - (con un gesto desolato) Forse che lei si farà rivedere? Forse che io troverò più traccia né di lei, né della sua casa? Io tornerò qua una sera, e cer­cherò invano questa casa e non troverò che terra brulla, e chiederò ai passanti smarrito: « Non c'era qui una casa ove abitava una grande signora? ». E i passanti mi ride­ranno in faccia come a un pazzo ed io riprenderò la stra­da con un viso di allucinato!

Rys                                - (quasi tra sé) Qualcuno sparirà realmente quan­do voi non ci sarete più... Una pallida inviata del Si­gnore, irreale evanescente, pronta a disperdersi nella notte senza lasciar traccia di sé... E sì che ogni notte, quando voi partite, qualcuno sparisce veramente in me, così, come nelle leggende dei santi che voi raccontate...

Il sacrestano                  -  E la mia vita non è divenuta una leggenda da quella sera lontana in cui lei mi è apparsa nel buio della scala? Oh, povero uomo indegno che io sono, favorito misteriosamente dal Signore. Egli ha per­messo che io vedessi con i miei occhi mortali ciò che gli altri uomini mortali non vedono...

Rys                                - Quello che gli altri uomini non possono vede­re... Le cose create dalla vostra fede...

Il sacrestano                  - Ma la mia vita porterà per sempre la traccia di quest'epoca di miracolo. Come le terre bru­ciate dal sole che nella notte restano roventi. Così, così. I miei occhi conserveranno per sempre la luce di ciò che hanno potuto vedere... Quel volto soave apparso nel­l'ombra di una scala in una sera di tempesta, la sua per­sona tutta bianca e il segno, il segno di luce che l'av­volse e la trasfigurò...

Rys                                - (trasportata) Vi ricordate? Fu una sera bella...

Il sacrestano                  - La prima... E dopo, ogni notte, il Signore permise che si rinnovasse il prodigio. Ogni notte salivo i rami di quell'albero per raggiungerla... Venivo a chiederle un dono. La casa per le povere vecchie abbandonate... Ma a poco a poco quella casa spariva dal mio cuore ed io tremavo ogni volta che mi concedesse il dono. Oh, il Signore mi perdoni! La casa era divenuta il pretesto che mi permetteva di entrare ogni notte in quest'orbita di fede, in questa visione mirabile, ed io non pensavo più alle donne senza tetto... Oh, il Signore mi perdoni il mio peccato... Esse avrebbero potuto ben dor­mire all'acqua e al gelo, le povere donne, che impor­tava più a me? Io tremavo, tremavo ogni notte che mi si concedesse la casa che doveva ricoverarle!

Rys                                - Sicché, per voi, questa sera...

Il sacrestano                  - È la fine...

Rys                                - (commossa) Oh, amico amico... L'opera di pie­tà è compiuta... Ma se voi dovete soffrirne, perché non volete tornare a vedermi?

Il sacrestano                  - (smarrito) Oh, perché... perché...

Rys                                - Dite... Perché?...

Il sacrestano                  - (con passione infinita) Oh, signora... Perché se lei non mi fosse apparsa soltanto per un di­vino favore, se quel viso non fosse soltanto di luce ma di carne e di sangue, se quelle mani non fossero mate­riate soltanto di ombra, oh allora, allora...

(Improvvisa una voce di donna sale dal giardino ad interrompere di netto il folle discorso del sacrestano).

La voce di Salomè        - Rys!

La voce del duca          - Rys!

Rys                                - (smarrita, guarda il sacrestano senza rispondere).

Il sacrestano                  - Qualcuno vi ha chiamato per nome...

Rys                                - (pietrificata) Sì...

La voce di Niky            - Credi che non vediamo la tua ombra ?

La voce di Salomè        - E non la tua soltanto...

La voce del duca          - (ironica, tagliente) C'è forse il cavaliere misterioso?

Rys                                - (vivamente si scansa e fa scansare il sacrestano dalla finestra).

La voce del duca          - Affacciatevi dunque, traditrice!

La voce di Salomè        - Egli non potrà fuggire... Porte e finestre guardate...

Il sacrestano                  - (guarda stupito Rys, che comincia a tremare).

Rys                                - (con angoscia) Qua... Venite qua... Un attimo... Vi spiegherò... Aspettate... Qui... (Sentendo salire il duca trascina il sacrestano verso la sua camera da letto e lo fa entrare richiudendo la porta).

Il duca                           - (entrando, pallido in viso) Chi c'era qui?...

Rys                                - (getta un rapido sguardo verso la sua camera) Nessuno.

Il duca                           - Come, nessuno? (Un silenzio). Intendia­moci, bambina... Io non ti faccio una scena di gelosia, ma mi istallo qui. E non mi muoverò fino a che non avrò veduto sorgere da qualche mobile l'uomo misterio­so. Via, non tremare... Tu mi credi un uomo terribile, in fondo. Ed io non ti ho mai dimostrato di esserlo. Perché tremi così? Guarda qua. Venivo a mostrarti l'atto di donazione della villa. Un uomo volgare ti minacce­rebbe di lacerarlo. Io te lo consegno prima dell'ora sta­bilita, quando un presunto rivale sta per saltare fuori da qualche parte. (Getta l'atto sopra un tavolino). Ho tro­vato le tue amiche che da mezz'ora contemplavano dal giardino la tua ombra vicino a quella di un ignoto. Esse si divertivano e pretendevano che io mi divertissi con loro ad aspettare che il tuo acrobata saltasse dalla fine­stra. Ho preferito salire per conoscerlo più da vicino.

Rys                                - (sempre tenendo l'occhio ansioso, fisso sulla porta della sua camera) Puoi aspettare.

Il duca                           - (guarda l'orologio) Oh sì, abbiamo del tem­po, sono appena le sei. Alle otto devi trovarti al teatro.

Rys                                - Aspettiamo.

Il duca                           - Fai bene ad essere calma. Hai perduto tutta la tua aria evanescente degli ultimi tempi. Riprendi il tuo vecchio mestiere di ingannatrice di uomini. E in fon­do è così che mi sei piaciuta. Le grazie aree che eri an­data acquistando in questi ultimi tempi non si addicono a donne della tua fatta. Mi sei piaciuta la prima sera, seduta sull'orlo di un tavolino, te ne ricordi? Nella cor­nice di un piccolo caffè decrepito. Eri bella! Ti diver­tivi a gettare in aria uno scarpino e a riprenderlo a volo con la tua punta del piede. In quel giuoco plebeo tu sapevi mettere una grazia infinita... Bah! Queste rievo­cazioni sono inopportune, non è vero? Il tuo nuovo amante è lì a pochi passi, chiuso nella lua stanza da Ietto... Il povero uomo non deve divertirsi...

Rys                                - (con un filo di voce) Vai dunque a liberarlo!

Il duca                           - Amica mia! Tu mi sfidi. Speri che il bravo giovane abbia già scalato l'altra finestra e sia fuggito per il giardino. Disilluditi. Le tue amiche fanno buona guar­dia nel buio. La villa delle magnolie le ha messe in cat­tivo umore... La finestra è guardata!

Rys                                - (pianissimo) Vai, dunque...

Il duca                           - (quasi brutale) Eh, via... (Si avvia verso la porta della camera di Rys e grida come per essere udito dall'altro nella stanza accanto) Io ho voglia di vedere in faccia questo signore che presta dei libri sdrusciti e che alterna la lettura « Vittorie dei Martiri » con delle sedute nelle camere da letto delle cocottesl (Apre la porta. Sulla soglia di essa appare il sacrestano. Il duca, sbalordito, fa qualche passo indietro. Poi chiede con im­menso stupore) Chi è quest'uomo? ( Guarda Rys. Ella siede, con il capo reclinato. Il duca guarda di nuovo il sacrestano. Poi egli comincia a ridere di un riso basso, discreto ma irrefrenabile) Ah, ah, ah, ah, ah, ah, ah, ah... È questo l'uomo che tu mi nascondevi? Questo? Ah, ah, ah... e chi è questo buffo tipo?... Dove hai trovato que­sto esemplare?... (Rivolto a Rys) Ehi, dico a voi, mia bella imprudente, sono uomini di questa fatta che voi nascondete nella vostra camera da letto? (Silenzio). Non hai nulla da rispondere?... (Silenzio). Ciò mi impensie­risce. Mi si vorrebbe far credere che costui... Eh, via, via, tu sai che io ho un carattere facile ed amabile, ca­pace anche di perdonarti le tue piccole infamie e le tue grandi follìe... Ma non amo di essere ingannato. Chi manda quest'uomo? (Silenzio). Silenzio... E va bene. (Al sacrestano) Diavolo! Non hai la faccia dell'uomo che si faccia uccidere per tacere. Sei un buffo tipo. Va'... parla. Non ti farò male. Chi ti manda?

Il sacrestano                  - Nessuno.

Il duca                           - Come, nessuno?... Ah, ah, ah, ah, vecchio, cosa vuoi farmi credere? Di essere tu l'ignoto cavaliere che ogni notte scavalca la finestra di questa casa?

Il sacrestano                  - Io. Sì.

Il duca                           - (preso da un folle riso) Tu? tu? tu?... Ah, ah, ah, ah. Eh, via, vecchio, finisci questa stupida farsa. Spiegati. In fretta. Che io non ho tempo da gettar via con te. Chi ti manda?

Il sacrestano                  - Nessuno, ho detto.

Il duca                           - Nessuno. Vieni qua per il tuo piacere? Sei venuto a visitare una bella donna. Ti intrattieni con lei. Ed essa ti nasconde quando mi sente arrivare. Che si­gnifica tutto questo? (Silenzio). Ehi, dico. Parlo a te. Guarda che il tuo silenzio non mi piace. Io sono dispo­sto ad ascoltare qualche stupida storia. Ma il tuo mu­tismo mi annoia. Parla. O ti farò parlare per forza. Chi sei?...

Il sacrestano                  - Il sacrestano della chiesa di San Tommaso.

Il duca                           - (orientandosi) II...? Un sacrestano?... Della chiesa di... San Tommaso?... La curia di don Severino? Oh, bella!... E che fai tu qua? (Silenzio. Il duca si ri­volge a Rys) Che fa egli qua?

Rys                                - (ha un gesto desolato, come per dire: « Non posso spiegare niente»).

Il sacrestano                  - Ero venuto a prendere la chiave del­la casa...

Il duca                           - Di quale casa?

Il sacrestano                  - La casa che il Signore ha concesso alle nubili...

Il duca                           - Alle...? (Guarda Rys) Che dice questo in­sensato ?

 Rys                               - (stesso gesto desolato).

Il duca                           - Chi sono le nubili?

Il sacrestano                  - Le vecchie senza tetto per le quali don Severino pregava che il Signore inviasse una casa.

Il duca                           - (risovvenendosi) Diavolo! Le nubili anzia­ne decadute. Ho sentito parlare di costoro. Don Severi­no!... Bah!... Ma spiegami, che io non ti capisco. È qui che tu venivi a prendere la chiave di una casa per loro?

Il sacrestano                  - Qui.

Il duca                           - E perché qui?...

Il sacrestano                  - (esita) Perché...

Il duca                           - Va'!... Non credere di ingannarmi con le tue arie trasognate. Parla! Parla! Perché venivi qui a prendere la chiave di quella casa?

Il sacrestano                  - Perché qui mi era stata promessa.

Il duca                           - Ah!... (Si volta a guardare Rys con un sor­riso in cui comincia ad intravvedersi una tenera ironia). Qui ti era stata promessa... Diamine. La storia comincia a divenire interessante. Sono curioso di conoscerne i par­ticolari, ma confesso che non ci capisco ancora gran che. Che hanno a che fare qui quelle vecchie beghine? Bah! Voi mi disorientate, oh, io vi assicuro. (La guarda) Non volete dirmi niente?

Rys                                - (esita; guarda il sacrestano con sgomento, poi a voce bassissima essa dice) Raccontate.

Il duca                           - (al sacrestano, con un principio di buon umo­re) Racconta, va'... Di' tutto quello che sai. M'aspet­tavo ben altro personaggio nascosto nella camera di que­sta bella creatura. Il pensiero che sia tu comincia a riem­pirmi di uno stupore così allegro che io sono disposto a perdonarti qualsiasi stravaganza tu possa raccontarmi... (Quasi con allegria) Perché venivi qui a prendere la chiave per la casa delle nubili?

Il sacrestano                  - (con amore) Perché lei me l'aveva promessa.

Il duca                           - (addolcito) Lei?... (Entrambi sono voltati a guardare la donna con diverso amore). Lei te l'aveva promessa?... Quando?...

Il sacrestano                  - Una sera... Due mesi sono passati. Faceva temporale... Una donna bussò alla porta della chiesa di San Tommaso. Mi disse di aver freddo e di essere bagnata fino alle ossa.

Il duca                           - (con dolcezza) Ho già un'edizione di que­sto racconto. Sì. Essa aveva rinviato la macchina e la sorprese il temporale... Mi ricordo.

Il sacrestano                  - Indossava un abito bianco che toccava terra. Con una fascia stretta alla vita.

Il duca                           - (vuol celare sotto lo scherzo l'emozione che lo va conquistando) Vedo. Vedo il suo abito...

Il sacrestano                  - (ha un'esitazione).

Il duca                           - Seguita, amico...

Il sacrestano                  - (guarda il duca in faccia con ardire) Perdonate, signore. Ma io credetti in quell'ombra che ella fosse venuta a portarmi in dono la casa.

Il duca                           - E perché lo hai creduto?

Il sacrestano                  - Don Severino pregava per questo, e ciò doveva necessariamente avvenire. Gli uomini come lui modificano la faccia delle cose.

Il duca                           - (beffardo con grazia, ma con sentimento) Ecco un racconto attraente. Esso soddisfa il mio gusto del mitico. C'è un uomo devoto in me che a dispetto di tutto si lascia sedurre da questo genere di racconti. Don Severino pregava perché una casa venisse concessa alle nubili. Ed il Signore l'ha esaudito. Ciò che tu dici pos­siede la grazia di certe narrazioni bibliche. Intrawedo una storia interessante che mi permette dì comprendere molte cose. (A Ris) Le tue bizzarrie... Le tue arie sva­gate e misteriose. Il libro nascosto tra i merletti di Goupy. Una maggior grazia e una maggiore tristezza in ogni tua azione. Ciò doveva nascondere un'amabile storia di cui non comprendevo ancora il significato, ma nella quale avrei dovuto intravvedere la seducente ironia degli even­ti. Tu hai donato a costui la casa che mi hai chiesto in dono...

Rys                                - (con un filo di voce; sempre immobile) Sì.

Il duca                           - (al sacrestano) Diavolo... Tu mi hai preci­pitato con violenza nel tuo mondo mitico, amico mio. Sono io che mio malgrado divento l'angelo benefico della tua leggenda. Io. Ciò mi impensierisce e mi fa pensare a qualche astuzia della Divinità che mi trascina con ma­lizia in una cerchia dalla quale io mi credevo definiti­vamente scampato. Tu vedi. Le preghiere di Don Seve­rino vengono esaudite, i tuoi miracoli si avverano: in un modo bizzarro e diverso da quello concepito dalla tua mente: noi ne vediamo la trama e lo svolgimento tutto terreno. Ma ciò malgrado essi si avverano... (Con allegria) Ah, ah, ah... Tu mi guardi? Io ti sembro biz­zarro. In preda a un pazzo buon umore. Via... C'è di che... Tu non puoi comprendermi... Noi abbiamo un modo troppo diverso di considerare l'universo. Tu vivi in un ampio mondo senza ironia, in un vecchio mondo patetico e devoto che io cerco da quarant’anni di distrug­gere in me. Va', va'... Gli angeli hanno le loro astuzie più delicate e sottili di quelle dei demoni... Tu puoi chiamarti fortunato: le tue protette avranno una casa!...

Il sacrestano                  - Grazie, signore!

Il duca                           - (improvvisamente animandosi quasi per un oscuro desiderio di vendetta) Ma non credere, sai, che siano stati i tuoi angeli!...

Il sacrestano                  - (lo guarda trasognato).

Il duca                           - La vedi questa donna bella, seducente... Tu vedi la sua carne! Essa è splendente. Tutti ne riman­gono abbagliati... Ebbene, la casa... se l'è guadagnata lei! Questa carne splendente ha fruttato il dono degli angeli!

Rys                                - (irata) Taci! Non voglio, capisci? (È come pronta a gettarsi contro il duca).

Il duca                           - La vedi? Ella è vibrante di sdegno... Ma in realtà tu devi tutto a lei. Chi s'è spogliata è lei. Né io nulla ho dato, ne tu nulla hai meritato. Qualche cosa, sì, qualche cosa è diventato prodigio, in lei, in lei sola. È qui che bisogna cercare il miracolo, caro il mio sacre­stano!

Il sacrestano                  - Signore...

Rys                                - (mettendogli una mano sulla bocca) Non dire questo a lui! Sei un vile! Taci!

Il duca                           - Vedi? Ora pronunzia per la prima volta parole che non sono mai uscite dalla sua bocca: «Sei un vile! ». Vedi? Il miracolo è che sia una donna e tu credevi, suonando le campane, di intenerire il cielo per farlo venire in tuo soccorso? (Riso ghignante).

Rys                                - (al colmo dell'ira) Taci! Taci! Ti ordino di tacere!

Il sacrestano                  - (si avvia a capo chino sopraffatto).

Il duca                           - (fa qualche passo; gli scuote il braccio, gli grida sul viso) Il miracolo è che sia una donna! Una donna!

Rys                                - (frapponendosi) Lascialo stare! Lascialo andar via!...

Il sacrestano                  - (se ne va a capo chino).

Rys                                - (si mette a singhiozzare sul petto del duca, in. preda a sentimenti indefiniti).

Il duca                           - (accarezzandola) Via, piccola, non pian­gere... Ho voluto renderti giustizia...

Rys                                - Perché hai detto dinanzi a lui quelle cose?

Il duca                           - (stupito) Ti piaceva che egli credesse ad un dono del cielo?

Rys                                - Sì.

Il duca                           - E io ora ho distrutto ogni cosa...

Rys                                - Sì...

Il duca                           - Oh, povera bambina... Volevi essere cre­duta da lui un'altra... Oh, povera bambina... Non pian­gere... Via...

Rys                                - (singhiozza abbandonata sul suo petto).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

Una sala della Villa delle Magnolie.

Piccole tavole apparecchiate, in disordine, come dopo una cena. Una grande finestra a vetrata, a sinistra. Due porte nella parete di fondo: una verso destra, che dà sulla scala interna della villa; una verso sinistra, che dà in altre sale. Quadri, sculture, tappeti preziosi, oggetti d'arte. Sulle cornici delle porte e qua e là sui muri sono scritte delle massime in lettere dorate. Fiori, cuscini sparsi. Mattina.

La scena rimane per breve tempo vuota. Poi si ode un gran tramestìo per le scale. La porta che dà sulla scala si apre: nel vano di essa appare don Severino. Die­tro di lui occhieggiano le dodici zitelle.

Don Severino                - (allargando le braccia) Una casa da re! (Si avanza seguito dalle zitelle che cominciano a commentare sbalordite e felici).

Bibiana                          - (giungendo le mani) Tavole apparecchiate! Ma questo è veramente un miracolo di qualche santo!

Artemisia                      - Tappeti come quelli dell'ambasciata!

Barbara                         - Specchi per contemplarsi da capo a piedi.

Don Severino                - Io sono sbalordito. Questo è vera­mente un prodigio del Cielo.

Bibiana                          - Il Signore ci protegge.

Rosalia                          - Una ricchezza mai vista.

Veronica                       - Non basterà tutta la nostra vita a ringra­ziare la Divina Provvidenza.

Una zitella                     - (guarda una statuetta e legge a bassa voce sul piedestallo) oc Eros corrucciato ». Oh, mio Dio, che bell'angelo! Guardi, don Severino.

Don Severino                - Ah, il Santo benefattore! La casa è tutta decorata di questi piccoli angeli. Egli è certamente un uomo devoto e pio. Sulla porta ha fatto scolpire le parole della « Genesi »: « Non è bene che l'uomo sia solo ».

Bibiana                          - (pensosa) Ciò è forse un gentile rimpro­vero per tutti gli uomini che ci potevano sposare.

Veronica                       - (avvicinandosi a un quadro) Che santa è questa ?

Un'altra zitella               - (legge sotto il quadro) « Ninon de Lenclos ».

Un'altra zitella               - Legga qua, don Severino, che c'è scritto in francese...

Don Severino                - (si mette gli occhiali e legge sulla pa­rete) « ... Aussi ne m'estone - je ne sais pas si ce saint docteur disoit que le mariage estoit una vraye espèce d'adultere »           - (Brantòme). (Giungendo le mani) Quale finezza! Il benefattore offre una casa alle zitelle e ram­menta loro che un Santo dottore considera il matrimo­nio una specie di peccato. Non si può essere più squi­siti...

Bibiana                          - E più sotto... Oh, senta... « L'uomo è qual­che cosa che deve essere sorpassato. - Nietzsche ». Qua­le omaggio alle nubili!

Veronica                       - E lassù, donSeverino, legga lassù: « L'uo­mo non era forse necessario» (Spinoza). Quanta deli­catezza!

Rosalia                          - (intenta a guardare un quadro si inchina e legge nel basso della cornice) « Sospirata in silenzio dodici anni per solo quattro godimenti dello sguardo » (de Unamuno, Don Chisciotte). Oh, don Severino. L'a­more così... Come lo intendiamo noi nubili. Sospirare dodici anni per quattro godimenti dello sguardo!... Chi ha saputo dire una cosa così bella? (Resta rapita a con­templare il quadro).

Don Severino                - In tutta la casa è manifesta l'inten­zione dell'ignoto benefattore di accogliere le nubili con amorevolezza e bontà, sì che esse possono sentirsi come in casa propria. Quadri, sculture, libri...

Barbara                         - (trova dei libri, li guarda, ne legge i titoli, piano, in disparte senza che don Severino la senta) Proust: Sodome e Gomorrhe; Ovidio: Ars amandi; Marquis de Sade: La philosophie dans le boudoir.

Don Severino                - (alle altre) Tutto è stato scelto con cura...

Barbara                         - (come sopra) Brantòme: Vita delle dame galanti. (Sfoglia il libro) « Sul soggetto che più appaga in amore, se il tatto, la vista o l'udito ».

Don Severino                - Egli ha per voi parole squisite...

Barbara                         - (seguitando a sfogliare il libro) « Su al­cune donne vecchie che amano far l'amore ».

Don Severino                - Ed io sono ancora stupito e com­mosso. Il miracolo avvenuto è grande, grande, figliuole...

Barbara                         - (c. s.) « La bellezza della gamba e la virtù che essa possiede ». (Seguita a curiosare tra i libri con avidità).

Don Severino                - E se Dio vi concederà lunga vita voi dovrete impiegarla tutta a ringraziare il Signore. Questa casa vi è stata concessa per un prodigio del Cie­lo, in un modo misterioso ed inspiegabile e, interme­diario di tanta grazia, non dovete dimenticarlo, un umile sacrestano: il nostro buono e santo Nicola... Ora il po­veruomo è rimasto scosso più di tutti noi da questo miracolo inatteso, sì che stamane egli non è comparso in chiesa. Egli è forse restato nella sua camera ad in­vocare il Signore. (Abbassando la voce) Pare che in questi ultimi tempi egli abbia avuto dei favori e delle visioni...

Una zitella                     - (misteriosa) Sappiamo... Sappiamo...

Veronica                       - (pianissimo) Una figura di donna...

Don Severino                - (allargando le braccia) ... Nulla di preciso... Concessioni... (Sulla porta di fondo appare il sacrestano. Egli ha un'aria ambigua e trasognata).

Veronica                       - (sommessa) Eccolo...

Il sacrestano                  - (lentamente) Signor curato...

Alcune zitelle                - Oh, Nicola... Ecco Nicola... Ni­cola...

Don Severino                - Vieni dunque avanti, il nostro buon Nicola.

Il sacrestano                  - (trasognato) Signor curato... .

Don Severino                - Ci trovi ancora tutti sbalorditi e com­mossi. Non sappiamo che cosa dire, tu vedi... Non c'è che chinare il capo innanzi al prodigio inatteso.

Barbara                         - La bella casa!

Il sacrestano                  - (guarda con aria assente).

Don Severino                - (commosso) Vieni, vieni dunque qua... Che io ti ringrazi. A nome di tutti, figlio mio. Qua, tra le mie braccia, figliuolo...

Il sacrestano                  - (resta immobile senza avanzare).

Don Severino                - (lo guarda con sorpresa) Non vuoi che io ti abbracci?

Il sacrestano                  - (si avvicina lentamente a don Severino; sempre trasognato) ... Sì, signor curato.

Don Severino                - (lo abbraccia) Figliuolo!... Figliuolo! (Non sa dire altro perché la commozione lo vince. Al­cune zitelle tirano fuori i fazzoletti e sì asciugano con ostentazione gli occhi).

Il sacrestano                  - (si scioglie in fretta dall'abbraccio di don Severino).

Don Severino                - (tenendogli ancora una mano sulla spal­la) Questo vostro benefattore!... È lui che dovrete ringraziare... Sempre... Il nostro amico... (// sacrestano ha un lieve moto di protesta). Pensa... Tu hai procu­rato loro la casa, e quale casa! Uno splendido rifugio ove esse potranno vivere il resto della loro vita in pace ed in preghiera...

Teobalda                       - E così vicino alla parrocchia, don Seve­rino. Potremo venire tutti i giorni in chiesa...

Bieiana                          - E con questo bel giardino.

Rosalia                          - Vi potremo portare anche i nostri piccoli animali.

Barbara                         - Il mio cane.

Una zitella                     - Il mio pappagallo.

Veronica                       - Il mio gatto.

Artemisia                      - I miei canarini.

Teobalda                       - La mia tartaruga.

Bibiana                          - Potremo passeggiare tra gli alberi.

Veronica                       - Giuocare a rimpiattino la domenica.

Teobalda                       - A mosca cieca.

Rosalia                          - Al mio bel castello. Oh che gioia!

Don Severino                - (sorridente, indulgente) Figliuole! Figliuole! Avrete tempo a pensare agli spassi, ai giuo­chi, agli svaghi...

Il sacrestano                  - (con voce lontana, assente) Signor curato...

Don Severino                - Di', figliuolo...

Il sacrestano                  - Non qui...

Don Severino                - Dove? (Fa cenno verso l'altra stan­za) Di là?

Il sacrestano                  - (accenna di sì col capo).

Don Severino                - Vieni, figlio mio. (Si avvia verso si­nistra; il sacrestano lo segue a testa bassa. Le zitelle li guardano uscire incuriosite).

Teobalda                       - (appena essi sono usciti si rivolge alle altre e fa cenno con la mano come per dire che egli ha la testa svanita).

Bibiana                          - Uhm!

Barbara                         - (alzando le spalle) Bah!... Intanto adesso bisogna aspettare i loro comodi prima di poter visitare tutta la casa.

Artemisia                      - Certo. Non sarebbe delicato farlo senza don Severino.

Barbara                         - (guardandosi intorno) Non vi pare che queste tavole siano in disordine?

 Bibiana                         - Già. Sembra che vi abbiano banchettato parecchie persone.

Barbara                         - (prende una bottiglia e ne legge l'etichetta) « Pommery Greno: extra-sec ». (La capovolge sopra un bicchiere) È vuota... (Ne prende un'altra. Legge) « C. B. Mumm e Gordon Rouge »... (Lo stesso. Ne pren de una di vino di Borgogna) « Pommard Riempie dei bicchieri; ne offre e beve anche lei) Sentite che vino squisito.

Bibiana                          - Oh, la lieta accoglienza! (Beve).

Veronica                       - (prende un'altra bottiglia. Ne legge l'eti­chetta) « Sherry Elster bianco ». (Riempie altri bic­chieri, offre e le zitelle bevono).

Voci                              - Squisito! Ottimo! Che vino!

Bibiana                          - Bisognerà offrirne a don Severino e a Ni­cola. (Le zitelle siedono disordinatamente intorno alle tavole e cominciano a bere. La conversazione sale di tono. Risate). Ah, noi staremo benissimo qua.

Veronica                       - Che cosa potevamo desiderare di più bello ?

Una zitella                     - Ci fosse almeno una cantina di que­sti vini...

Rosalia                          - Ci sarà certamente...

Barbara                         - (offrendo vino) Beva, signorina Teobalda.

Teobalda                       - Mi fa male la mattina.

Barbara                         - Eh, via, un dito. (Teobalda accetta). An­che lei, signorina Petronilla. (Offre il vino che viene accettato).

Barbara                         - (seguitando a bere) Che bontà! Dà un poco alle gambe, però.

Una zitella                     - Piuttosto alla testa.

Barbara                         - Vini di prima qualità quando hanno di effetti così immediati. (Beve).

Bibiana                          - (installandosi con delizia) Noi dovremo abolire tutte le querele.

Una zitella                     - Certo. Andremo d'accordo. La vita è bella. (Beve).

Artemisia                      - (eccitata) Del resto non è detto che con questi saloni non potremo dare anche qualche piccolo ricevimento.

Barbara                         - Già. E toglieremo alla società quel brutto nome: « Nubili, anziane, decadute ». Sarà il « Club delle zitelle ».

Bibiana                          - (approvando con calore) Oh, sì, carino. Il « Club delle zitelle ».

Barbara                         - (crescendo) E non è detto poi che non si potrà dare anche qualche piccola festa da ballo. (Bene).

Teobalda                       - (lieve rimorso) Eh, via! Che direbbe don Severino ?

Bimana                          - Don Severino non ci impedirà di prendere degli onesti divertimenti.

Rosalia                          - Festa da ballo tra donne?

Barbara                         - Niente affatto. Si potranno invitare anche dei signori.

Teobalda                       - Ohibò.

Rosalia                          - (timida) E chi ne conosce poi, di signori?

Barbara                         - (ubriaca) Eh, quando si tratta di star tra le gonne gli uomini son sempre pronti!

Una zitella                     - Le canaglie!

Bibiana                          - (con eccitazione) Beva, beva, signorina Teo­balda.

Barbara                         - (stringando a sé la bottiglia con adorazione) Oh, questo « Sherry »!

Veronica                       - (allungandosi tra due sedie) Ah, la vita ha le sue ore deliziose...

Una zitella                     - (che ha trovato delle sigarette) Una si­garetta ?

Teobalda                       - (ultimi rimorsi) Fumare, anche!...

Rosalia                          - Fumare, no... Delle signorine!... Non usa...

Teobalda                       - (con aria di chi la sa lunga) Le cocottes!...

Barbara                         - (allungando le mani con entusiasmo) Delle sigarette?... Dia qua, signorina Petronilla!

La zitella                       - Noi troveremo di tutto, qua dentro. (Le sigarette vengono da alcune accettate ed accese).

Una zitella                     - (sdraiandosi e fumando) Io comincio finalmente a comprendere il significato della vita.

Bibiana                          - Oh, si! Esso ci era sfuggito, fin'ora.

Barbara                         - Eh, via... Ci voleva tanto a comprenderlo!

Una zitella                     - Non c'è che una realtà, al mondo... Una sola...

Bibiana                          - Ci si arriva tardi...

Veronica                       - Bah!... Ci si passa accanto. Si guarda con occhi spauriti. Non si osa di credere che sia per noi. Lì... a portata di mano. E spesso la si lascia sfuggire...

Bibiana                          - Ed è questo che noi chiamiamo rinunzia...

Rosalia                          - Bah!... La rinunzia... Non è che la man­canza di coraggio. Del grande coraggio di vivere...

Veronica                       - Oh, sì!... Di vivere... Di prendere... Di afferrare...

Una zitella                     - La grande, la sola verità della vita...

Barbara                         - (gridando) Il piacere!

La zitella                       - (con emozione) Ella è ardita, signorina Barbara. Io non avevo il coraggio di pronunziare la ter­ribile parola!... Il piacere!

Voci                              - (paurose, sognanti, inebriate) Il piacere... Il piacere... (Esse sono quasi tutte semisdraiate, felici, ubriache, avvolte in nuvole di fumo).

(Dalla porta di fondo, a sinistra, riappare don Seve­rino. Egli è sconvolto. Si ferma un attimo a guardare le zitelle con uno sguardo rattristato. Alcune zitelle, veden­do don Severino, si raddrizzano sulle sedie, altre si al­zano un po' a fatica. Esse hanno dei sorrisi ebeti e felici).

Bibiana                          - (riempie un bicchiere) Del « Pommard », signor curato...

Barbara                         - Ma no... Lo « Sherry ». (Si precipitano in due con bicchieri colmi).

Don Severino                - (respinge) No. (Le guarda con com­passione) No, figliuole.

Bibiana                          - Eh!... Signor curato. Siamo delle teste leg­gere!

Barbara                         - (graziosa) Abbiamo fumato, signor curato! Siamo delle birichine, no?

Veronica                       - E anche bevuto un po'... Delle sventate!... Ah, ah, ah!

Artemisia                      - Ahi, che mi gira la testa. (Si appoggia).

Don Severino                - (a fatica) Povere creature...

Bibiana                          - (con leggerezza) Perché, signor curato?

Don Severino                - (fa qualche passo verso la porta) Di là... Nicola... Vi dirà...

 Le zitelle                      - (lo guardano stupite senza comprendere).

Don Severino                - (sulla porta, quasi con dolore) Il Si­gnore... Il Signore vi ha voluto provare. Povere figliuole! (Esce).

Le zitelle                       - (sì guardano).

Bibiana                          - Che dice?

Barbara                         - (chiamando) Nicola!

Teobalda                       - (va alla porta di sinistia) Nicola!... Ohi!... Vieni qua... (Il sacrestano appare sulla porta). Che c'è?... Che succede?

Artemisia                      - Don Severino...

Il sacrestano                  - (con un sorriso ambiguo) Non vi ha detto?

Barbara                         - No.

Bibiana                          - Che ci doveva dire?

Il sacrestano                  - Non ha avuto coraggio... Lui... Bah!

Bibiana                          - (impaziente) Ma infine...

Il sacrestano                  - (scuotendo il capo) La casa...

Artemisia                      - Ebbene?

Il sacrestano                  - (viso amaro) La casa, dico... Voi non avete capito. Niente.

Bibiana                          - Che cosa dovevamo capire?

Il sacrestano                  - Non avevate chiesto niente... Voi... Neanche don Severino. Nessuno. A nessuno è venuto in mente di domandare...

Bibiana                          - Ma che cosa?

Il sacrestano                  - Dove l'avevo scovato il magnifico dono. Caspita!

Barbara                         - Bah!

Il sacrestano                  - (con enorme amarezza) Come vi è sembrata piana, agevole, ogni cosa, non è vero? Una casa magnifica, aperta per accogliervi. Più bello di tutto quello che avevate sognato.

Voce                             - Oh, sì.

Il sacrestano                  - Vi viene donata così, per niente, tut-t'a un tratto, una sera...

Bibiana                          - Ebbene?

Il sacrestano                  - (con forza) Non accadono miracoli!

Voci                              - (stupite) Eh?... Eh!...

Barbara                         - (colpita) Non c'è stato miracolo?!

Artemisia                      - Non c'è stato miracolo?! (Esse sono tut­te ad ascoltare avidamente, con i visi accesi dal vino, dalla curiosità, dal benessere).

Il sacrestano                  - (le guarda con tristezza) Ci si in­ganna... Per anni. Si vive così... al margine della vita... Il mondo sembra avvolto in una nebbia... pare non ab­bia consistenza. Una cosa irreale... Non ci sono che po­che verità, i santi, i libri, i quadri, le campane... Poi, tutt'a un tratto, una sera...

Voci                              - (ansiose) Una sera?...

Il sacrestano                  - ... ti si squarcia il velo... E la vita ti si presenta qual'è. Piena delle sue insospettate e ter­ribili bellezze...

Voci                              - (paurose) La vita...

Il sacrestano                  - Eccoci qua. In una bella casa, in una casa da ricchi. Di dove viene tutto ciò? Nessuno ha chie­sto... Nessuno ha osato chiedere...

Teobalda                       - (sommessa) Il miracolo...

Il sacrestano                  - (ghignante) Ah, ah, ah... Avete creduto, avete creduto... Non accadono miracoli, mie po­vere donne...

Voci                              - (ansiose) Ma che dici?... Che dici?...

Il sacrestano                  - (intensamente) Se voi povere, povere creature che niente avete chiesto alla vita, se voi sapeste di dove viene questa casa...

Voci                              - (ansiose) Ebbene?... Ebbene?...

Il sacrestano                  - ... rifiutereste il dono...

Le zitelle                       - (subito ostili) Che?... Perché?... Che hai detto?

Barbara                         - (ostile) Cosa ci vuoi mettere in testa?

Bibiana                          - Egli farnetica!

Artemisia                      - Rifiutare il dono?

Veronica                       - Rifiutare la casa?

Bibiana                          - (alzando le spalle) Eh, via, Nicola... Sem­bra che sia stato tu a bere il « Pommard ».

Il sacrestano                  - Rifiutereste, ho detto... Ah, ah!. , Quando saprete... Quando saprete...

Bibiana                          - Cosa vuoi più dirci?

Il sacrestano                  - (sicuro del suo effetto) ... che questa casa non è un dono del Signore.

Bibiana                          - (gridando) Non è un dono del Signore?!... Oh, questa! E di chi vuoi che sia?

Teobalda                       - Non è un dono del Signore?!

Bibiana                          - Eh, andiamo, vecchio Nicola, cosa vuoi dar­ci a intendere?

Veronica                       - Bah! E poi?... Venga essa dalla terra o dal cielo, la casa è nostra!

Il sacrestano                  - (con forza) Ah, no!... Don Severino...

Bibiana                          - (con terrore) ... Don Severino!?

Il sacrestano                  - (sommesso) Don Severino ha detto che non si può accettare...

Bibiana                          - (gridando furiosa) Che?! Tu sei andato a mettere delle quisquilie in testa a don Severino? (Esse gridano tutte insieme sopraffacendolo, feroci).

Barbara                         - Tu sei andato a negargli il miracolo?

Veronica                       - Questo sì che si chiama complicare le si­tuazioni!

Artemisia                      - L'insensato!

Teobalda                       - Il pazzo!

Rosalia                          - Tu hai montato il capo a don Severino?

Artemisia                      - Tu gli hai messo degli scrupoli?

Bibiana                          - (prendendolo per le braccia) Ah no, no no, caro mio!  Tu hai avuto le tue visioni e i tuoi fa­vori e non è il caso di tornarci più sopra.

Rosalia                          - Vorrei vedere anche questa.

Barbara                         - Egli fa i miracoli e poi li disfa!

Veronica                       - Si è mai veduto niente di simile?

Bibiana                          - La casa! Ci vuol ritogliere la casa...

Artemisia                      - I bei saloni...

Barbara                         - I vini squisiti...

Voci                              - (sghignazzanti) Ah, ah, ah! (Baccano. Le zi­telle tutte insieme respingono il sacrestano verso la por­ta di uscita).

Le zitelle                       - Vattene! Vattene! Via di qua. Dalla casa nostra. Nostra! Il pazzo!... L'insensato!... Il la­dro!... (Lo cacciano fuori. Esse sono eccitate, furiose, atroci a vedersi nella difesa del benessere e della ric­chezza su cui hanno potuto finalmente metter le mani dopo una vita di amarezza e di rinunzia).

 Barbara                        - (ghignante) Ah, ah, ah! Vogliamo ve­dere!...

Veronica                       - Degli scrupoli, delle ubbìe, dei rimorsi!... Il vecchio esaltato!

Bibiana                          - E con quale diritto, poi?... Poiché qual­cuno ce lo deve pure aver fatto, il dono! Qualcuno deve pure avergli dato le chiavi! Qualcuno deve pure esistere dietro tutto questo...

Barbara                         - Diavolo!... E se essi volevano che noi cre­dessimo ai loro miracoli... pah!... ne abbiamo avuta di condiscendenza per le loro fantasie! Ma se tenteranno di farci rinunziare alla casa, oh, noi andremo a guar­dare in fondo alla losca faccenda!...

Veronica                       - (avida, terrena, feroce) Degli scrupoli, adesso!... Ah, ah, ah. E con quale diritto? Proprio nell'ora in cui tardi, oh troppo tardi, si afferra il vero si­gnificato della vita?...

Voci                              - (approvanti) Oh, sì... Sì.

Veronica                       - Quando dopo cinquant'anni di rinunzia ti si offre tangibile, insperata, inattesa la gioia di vivere?... Ah, ah, ah! Essi ci hanno offerto il miracolo. Lo abbia­mo chiesto? No. Essi hanno i loro capricci. Le loro vi­sioni, i loro favori, le loro tentazioni! Essi comandano alla terra ed al cielo. Vedono i loro angeli e i loro de­moni. Ci sballottano tra il cielo e l'inferno per il loro piacere. Ah no! (Si avvia verso sinistra) Venite, amiche mie. Siamo noi sole adesso le padrone... Andiamo a vi­sitare la nostra casa. (Esce fieramente per la porta di fondo, a sinistra, seguita dalle altre. Le loro voci si per­dono per le altre stanze, per gli altri piani).

(La scena rimane per un attimo vuota. Poi, dalla porta della scala, si riaffaccia il sacrestano. Egli rientra a passi lenti, va a sedere sopra una sedia e resta a capo chino, accasciato. Dopo un poco, sulla soglia della stessa porta, si affaccia Rys che vede il sacrestano, avanza di qualche passo, ma questi, assorto, non si accorge di lei. Giunta­gli vicino ella gli tocca leggermente la spalla).

Il sacrestano                  - (si volta. Vedendo Rys, sul suo viso smarrito si dipinge una grande emozione) Oh!

Rys                                - È vero?... È vero, amico, che volete rinun­ziare alla casa? (Il sacrestano fa un gesto di disperato assentimento). Ho veduto il ragazzo della parrocchia... Si è sparsa la voce di un miracolo. E molta gente è fuori della chiesa... Ho interrogato il ragazzo. Dice che il vo­stro parroco non vuole più accettare la casa per le vo­stre protette. (Un silenzio. Poi, quasi amaramente) Per­che? (Il sacrestano tace con dolore. Rys, con dolce rim­provero) Voi avete certamente parlato... Avete raccon­tato di dove veniva il dono... (Pausa). Perché? Non ave­vate detto che esse lo avrebbero accettato in silenzio, paghe delle vostre vaghe spiegazioni?

Il sacrestano                  - (con voce senza suono) Sì...

Rys                                - E allora, allora... perché... adesso volete ri­fiutare?

Il sacrestano                  - (pianissimo, sempre a testa bassa) Perché non si può più accettare...

Rys                                - Non si può più accettare?

Il sacrestano                  - No.

Rys                                - C'è una ragione?...

Il sacrestano»                - Oh sì. (Pausa). Grande, terribile, in­vincibile.

Rys                                - Dite...

Il sacrestano                  - (dopo un silenzio, con voce monotona, ma cupa e quasi disperata) ... Poiché ero un povero uomo, vissuto per quarant’anni nell'obbedienza del Si­gnore, un pover'uomo che non conosceva che delle im­magini, dei calici, dei fiori, delle campane, composi una leggenda simile a quella che avevo letto nei miei libri di santi. (Con amarezza infinita) Delle povere vecchie abbandonate attendevano una casa dal Signore e in una sera di tempesta una donna bianca apparsa nel buio di un scala mi promise un ricovero per loro. C'era da cre­dere alla storia. Somigliava a mille altre. Ne erano pieni i libri che io leggevo.

Rys                                - (soavemente) Bisognava crederla.

Il sacrestano                  - Oh sì. Bisognava. E per due mesi in­teri, ogni giorno e ogni notte, io non feci che difenderla. La realtà la assaliva da ogni lato. La luce delle cose della terra volevano disperderla...

Rys                                - Bisognava difenderla ancora.

Il sacrestano                  - La difesi. Con disperazione. La con­fortai con le altre che mi erano familiari. Vi ritrovai i motivi conosciuti e in certe ore di pace mi parve di avere la certezza di vivere veramente dell'aura di un miracolo...

Rys                                - (sognante) Ci parve. A entrambi.

Il sacrestano                  - Ma poi... Ogni giorno... essa si fa­ceva più bella. Più bella, più attraente diveniva la mia storia quanto più si faceva umana e tangibile... (Si guar­dano).

Rys                                - (con dolore) Capisco.

Il sacrestano                  - Capisce?

Rys                                - (abbassa gli occhi) Sì. (Pausa. Affranta) Ieri sera avete assistito... Ora siete a conoscenza... di tante cose. Esse vi hanno amareggiato. Voi sapete chi... chi sono. Avete visto. Compreso. (Con amarezza) È per que­sto che la casa non si può più accettare?

Il sacrestano                  - Non si può più accettare, no... Ma non per questo...

Rys                                - (a fatica) ... Perché io non sono... non sono quella che voi avevate fatto di me...

Il sacrestano                  - (con pazienza) Oh, no. No. Perché io ho compreso ieri di averlo saputo sempre che lei non era quella che io avevo inventato in quella lontana sera di tempesta, di aver ravvisato in lei, sempre, dal primo giorno, la bella creatura terrena; perché io, io sono col­pevole di aver creato una falsa e soave leggenda per ad­dormentare il mìo rimorso di servo del Signore per po­ter scalare ogni notte la finestra di quella casa ove io, povero vecchio vissuto per tanti anni nella pace e nella preghiera, così tardi, così tardi venivo a vivere la mia prima storia d'amore!

Rys                                - (commossa) Oh, amico mio.

Il sacrestano                  - Sono un povero vecchio. Un sacre­stano di una chiesa di campagna. Non conoscevo il mon­do. Le bellezze della terra si sono confuse nella mia mente con l'idea che io mi facevo delle bellezze del cielo. Ho peccato. (Tace affranto).

Rys                                - (gli si avvicina, con dolcezza) No.

 Il sacrestano                 - Ho lasciato che essi credessero al mi­racolo... Mentre io... io...

Rys                                - (più vicino a lui) E miracolo c'è stato. Creato da voi, dalla vostra fede, dal vostro amore... (Moto del sacrestano). Del vostro amore. Sì. Perché... egli... egli non avrebbe mai accettato di donare direttamente la casa alle vecchie abbandonate. Essa doveva passare per le mie mani. E siete stato voi, voi a far nascere il prodigio. Voi che mi avete fatto credere di essere la compagna delle bianche creature di cui era popolato il vostro mon­do. (Supplichevole) Perché volete distruggere ciò che avete creato? Lasciate che esse credano ancora questa storia innocente e patetica... Lasciate che le vostre ami­che, laggiù, abbiano fede ancora in ciò che avete loro narrato. E fra tanti anni, chi sa?, si faranno ancora stra­ni racconti sul dono che io vi feci di questa casa. (Con infantile dolcezza) Noi diverremo dei personaggi locali, circondati di favole... E chi sa che nei giorni di tempo­rale non si penserà sempre a noi due... Uniti...

Il sacrestano                  - (trascinato, inebriato) Uniti...

Rys                                - Si racconterà del nostro primo incontro. Nella sera di tempesta. Mi si vedrà bianca, avvolta in un rag­gio di luce, così come voi mi avete veduto la prima volta... (Il sacrestano rapito, amante di un solo amore confuse le cose della terra e del cielo). Così... (Baccano delle zitelle che tornano. Suono indiavolato di grammo­fono. Risa scomposte).

Voci                              - (sghignazzanti, terrene, avide. Si odono frasi con­fuse. Una canticchia le parole della canzone suonata dal grammofono) Cipria color ocra!... Lo « champagne »... Nicola! L'insensato!... Il frigorifero!... Vestiti da sera... Don Severino... Balli moderni. ,

Rys                                - (sommessa) Chi è?...

Il sacrestano                  - Esse.

Rys                                - Le... nubili?...

Il sacrestano                  - (accenna di sì col capo).

Rys                                - (con grande dolcezza) Io vado... E... ho la vostra promessa... Non rifiutate la casa?...

Il sacrestano                  - No.

Rys                                - (si avvia verso il fondo. Sulla porta si volta a guardare ancora il sacrestano. Esce).

(Una zitella apre la porta di fondo, a sinistra. Si ve­dono nella sala accanto le zitelle. Una di esse carica il grammofono in movimento, canticchiando. Un'altra ha trovato delle ciprie e dei belletti che sta provando sul viso tenendo in mano lo specchietto. Un'altra ha una bambola in braccio. A seconda dei gusti personali ognu­na ha trovato, preso, qualche cosa: bottiglie di «cham­pagne », bambole « Lenti », belletti, dolci. La zitella che è entrata va verso la tavola lasciando la porta aperta. Prende dei bicchieri, li mette in un « cabaret ». Nella stanza vicina, e vi si assiste per la porta aperta, si svolge la seguente scena:)

Barbara                         - (truccandosi, ad un'altra) La cipria color ocra e il rosso-cupo. Ciò che più fa risaltare la bellezza delle brune!

Bimana                          - (a un'altra) Col frigorifero si conservano i cibi per delle settimane...

Veronica                       - (accanto al grammofono) Io ballavo assai bene, una volta. Presi il premio di « boston » al Cir­colo degli Impiegati nel millenovecento.

Bimana                          - (all'altra) Il gas è più pulito e più comodo del carbone...

Teobalda                       - Questa musica mette il pizzicore alle gambe.

Rosalia                          - Il mio fidanzato mi ha sempre proibito di ballare.

Teobalda                       - La gelosia degli uomini!

Un'altra                         - Ci sono quaranta bottiglie di « champa­gne »!...

Barbara                         - (che ha finito di truccarsi) Ah, la indiavo­lata musica! Ci fossero almeno dei cavalieri!

Veronica                       - Io non conosco i balli moderni.

Barbara                         - (fa qualche passo di danza) Bah!... Non ha mai visto al cinematografo?

Voci                              - Brava!... Ah, ah, ah!...

Veronica                       - Un corpo snodato...

La zitella                       - (rientra coi bicchieri e richiude la porta. Voci e chiassi attenuati).

(Dalla porta della scala entrano don Severino con il duca. Il sacrestano, nel suo angolo, non si muove. Don Severino e il duca non si accorgono subito di lui).

Il duca                           - ... Quello sventato del suo sacrestano ha forse dimenticato di narrarle un piccolo particolare della sua storia edificante...

Don Severino                - Bah! Caro duca. Ciò non mi stupi­rebbe. Egli è un uomo singolare. E in questi giorni ha avuto delle emozioni, il pover'uomo!  Per colpa delle sue fantasie una folla di gente si è radunata innanzi alla chiesa e chiede di vederlo, gridando al miracolo.

Il duca                           - Sembra infatti che egli abbia un aspetto mitico, agiografico... (Il sacrestano si è alzato in piedi).

Don Severino                - (indicandolo, sorridente) Egli è qui.

Il duca                           - (sbirciandolo con benevole ironia, raggiustan­dosi il monocolo) Bah! Egli è certamente l'uomo che ci voleva per creare un'ironica leggenda... (Esita). Ma... Mi permette, don Severino, di farle una domanda?...

Don Severino                - (sorridente) Dica...

Il duca                           - Che cosa sa lei, don Severino, del dono di questa casa?

Don Severino                - Caro duca, non è precisamente facile a dirsi. (Indicando il sacrestano) Questo santo figliuolo veniva promettendo in dono una casa alle povere nubili. Le confesso che io avevo poca fede nelle fantasie di Ni­cola. Egli parlava vagamente di visioni, di favori celesti e di un miracolo che sarebbe avvenuto. Le donne crede­vano in lui ed io mi contentavo di pregare il Signore acciocché il loro sogno si avverasse... Ma ieri sera egli giunse in parrocchia e con mia grande meraviglia mi consegnò la chiave di questa casa...

Il duca                           - (con grazia) Ebbene, don Severino, non è questo un miracolo?

Don Severino                - Bah! Caro duca, questa storia ne ha tutta l'apparenza. Ma... l'apparizione, la visione, il fa­vore celeste non furono che il delirio di un uomo de­voto, vissuto per tanti anni nell'attesa di prodigi. Il dono di questa casa...

Il duca                           - Ah, don Severino, mi permetta dì farle osservare che ella ha un'idea troppo ristretta dei miracoli se crede che essi debbano consistere solo in apparizioni e prodigi. Miracolo, può anche essere quello di vedersi innanzi un uomo... un uomo, don Severino, che dopo aver trasgredito per quarant'anni la legge del Signore, è stato costretto dagli eventi a offrirle in dono una casa per ricoverare delle povere vecchie abbandonate.

Don Severino                - (al colmo dello stupore) Lei?... Lei  duca...? L'ignoto benefattore?

(La porta di fondo, a sinistra, si spalanca e sì preci­pitano in scena le zitelle, brutte, gridanti, sghignazzanti e felici. Esse portano di tutto: bicchieri colmi, bambole, un grammofono, fiori, dolci, bottiglie).

Le zitelle                       - (confusamente) «Champagne»!... Il grammofono... La signorina Barbara!... Come al caffè-concerto... Jazz!!! (Vedendo il duca e don Severino si fermano interdette, in posa di sconci fantocci automatici).

Il duca                           - (con comico orrore) Sono esse?!... Esse?!... Via, don Severino, io vedo veramente delinearsi il pro­digio... (Con un'ironia che, pur contenuta nel limite del­la beffa di un uomo di mondo, rivela la tragedia di un antico conflitto) L'orribile consesso!... Non sono esse le ombre della mia vecchia coscienza religiosa che ridestate dalla profondità dell'essere reclamano gli antichi diritti? Non sono esse le forze ostili alla ricerca del piacere che dormono nel cuore dell'uomo? Quarant'anni non sono bastati a distruggerlo! Ah, la favola esemplare. Il tempio dell'amore diverrà il ricovero per le « Nubili, anziane, decadute »!

II. chierico                    - (giunge correndo da fuori) Signor cu­rato!... C'è fuori una moltitudine di gente. Vogliono veder Nicola... Gridano al miracolo! (Si odono voci, grida).

Voci                              - (di fuori) Nicola!... Il sacrestano!... Il mira­colo!...

Don Severino                - (commosso, spingendo il sacrestano ver­so la finestra) Va', va'... Essi vogliono vederti, figlio mio...

Il sacrestano                  - (spinto dal chierico, recalcitrante, va verso la finestra).

Le zitelle                       - (spingendolo anche loro) Va'... Va'...

Barbara                         - (con compunzione) Io l'avevo sempre detto...

Teobalda                       - (giungendo le mani) Un santo!...

Veronica                       - (giungendo le mani) Un santo!...

(Voci agitate, commosse dal di fuori. Il sacrestano si affaccia alla finestra circondato dalle zitelle che rispon­dono con grandi gesti alla folla).

Il duca                           - (a don Severino) E... e, don Severino, vor­rei chiederle ancora una cosa... (Esita). Anche un dono... forzato può... pesare sul piatto degli angeli?

Don Severino                - Più ancora, figliuolo, più ancora... (Dandogli del tu, come usava quando il duca era giovi­netto) Perché, come tu hai potuto vedere, dietro a tutto questo c'era un disegno del Cielo...

FINE