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LA FINESTRA

Sceneggiatura televisiva

di Mario Soldati e Raffaele La Capria

                                   

PERSONAGGI

Comm. GIOVANNI PREMOLI

TWINKLE

GIOVANNI

MAGDALENA

DAWN

Mario Soldati introduce il racconto

Una cameriera

Prima donna

Seconda donna

Terza donna

Voce di GINO PETRUCCI

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

STUDIO DI MARIO SOLDATI

Lo scrittore è seduto alla scrivania, solleva gli oc­chi da un foglio e comincia a parlare.

Mario Soldati                - È mancato tempo fa a Milano, nel suo alloggio di Piazza Castello, vecchio e dimen­ticato dopo una vita di successi, il comm. Giovanni Premoli, impresario di opera lirica, famosissimo un giorno sia in Europa che in America. Ebbi la fortu­na di incontrarlo quando avevo da poco superato i 30 anni. A quell'epoca andavo spesso a cena col com­mendatore ed oggi sarei in grado di tratteggiarne un ritratto, se questo racconto che egli mi fece, e che stasera vedrete riprodotto alla televisione, non lo dipingesse già con sufficiente esattezza, almeno qua­le egli mi apparve in vecchiaia. (Adesso all'immagi­ne di Mario Soldati, sovrimpressa si sostituisce quel­la del commendatore. Studio del comm. Premoli, che è del tutto identico a quello di Mario Soldati, se non per un particolare che la macchina metterà su­bito in evidenza: alla parete, dietro la scrivania, vi sono diverse fotografie di cantanti celebri con dedi­che affettuose a Giovanni Premoli).

Voce di Mario Soldati  - (fuori campo) Per sé se­reno, ma curioso degli altrui travagli, gentiluomo che a notte alta nella città deserta si attarda a parlare col barabba marmoreo, commendatore di un'epoca ormai tramontata, invitato alle cene dei più moder­ni dongiovanni... Nella sua lunga carriera egli fu te­stimone di fatti curiosi, amico di persone bizzarre e geniali, osservatore di popoli e paesi diversi... e di questo egli si provò a scrivere negli ultimi anni della sua vita, quando si era ritirato nell'alloggio di Piazza Castello per stendere le sue memorie.

STUDIO DEL COMMENDATORE

Il commendatore seduto alla scrivania nella stes­sa posizione in cui è prima apparso Soldati. È uomo di circa 51 anni, aspetto distinto di gentiluomo di vecchio stampo, capelli quasi del tutto bianchi ma folti e vivi, un corretto vestito a righe con panciotto ed orologio a catena; il suo aspetto è quello di un uomo sereno, dal sorriso buono e dal dolce accento napoletano, ma i due occhi neri ed allungati, larghi ed intelligenti nel volto pallido, fanno intuire una natura inquieta; curiosa degli altrui travagli. Il com­mendatore solleva gli occhi dal foglio su cui sta scri­vendo e suona il campanello. Entra una giovane e pro­cace cameriera. Il commendatore la guarda compia­ciuto.

Cameriera                      - Il signor commendatore comanda?

Comm. Giovanni Premoli - Una camomilla.

Cameriera                      - Subito. (Esce seguita dallo sguardo del commendatore. Ella si muove con la grazia della giovinezza. Il commendatore emette un sospiro, e mentre sta per riprendere a scrivere, alla sua imma­gine si sostituisce, sovrimpressa, quella di Mario Sol­dati)

Mario Soldati                - Oggi ho quasi raggiunto l'età del commendatore, l'età che il commendatore aveva quando lo incontrai. Anzi è avvenuto un fatto curio­so: mi sembra oggi di essere diventato il commen­datore, di identificarmi con lui cosi com'era 25 anni fa, all'epoca del nostro incontro. E risento come mie, le parole con cui il commendatore, alla luce chiara e tranquilla del semplice buon senso mi pre­sentava lo spettacolo degli esseri umani... (Di nuovo l'immagine si sdoppia e al posto di Soldati si sovrap­pone il commendatore, che ora appare meno vecchio, sempre intento a scrivere. Si sente fuori campo la sua voce che ripete, pare, le parole che lui sta scri­vendo)

Voce del commendatore   - (fuori campo) Voglio un po' provare non dico a raccontare la mia vita, che sarebbe certo per tutti e probabilmente anche per me, troppo noioso; ma a riferire della mia vita, se­paratamente, quegli episodi o quei fatti, quegli in­contri e quelle conoscenze che, per la loro singola­rità, possono più interessare i miei simili. Twinkle, per esempio; il mio incontro con Twinkle, a Londra, dopo la guerra. (Panoramica sui tetti di Londra cosi come si vedranno inquadrati dalla finestra dell'appar­tamento di Twinkle) Avevo amato Twinkle, ormai lo posso dire. L'avevo amata più di ogni altra donna della mia vita : e per un uomo come me, che non rin­corse mai fantasmi, che preferì sempre ciò che pos­sedeva o poteva possedere a ciò che non possedeva o non poteva possedere, è stato certo un grande, lungo, eccezionale sebbene infelice, amore. Per lei fu soltanto e sempre, amicizia. Né mai lo nascose. (Dissolvenza su scorci di strade di Londra) E tutta­via tornare a Londra dopo vent'anni, e dopo una guerra, "una guerra tra noi..." passeggiare ancora la notte per, Piccadilly, quando già ci avevo fatto la croce. (Dissolve su Piccadilly di notte. Inserto cine­matografico della Victoria Station. Rumori vari di una stazione. Uno sfondo grigio, nebbioso. In mezzo P. P. un uomo sulla cinquantina, di spalle, e una don­na coi capelli tutti bianchi, ma col volto ancora gio­vanile, si abbracciano. Si vede il volto della donna sulla spalla dell'uomo, si notano i suoi occhi chiari, trasparenti)

Voce del commendatore   - (c. s.) Rivedere la mia carissima Twinkle finalmente! Sebbene coi capelli bianchi: è stato certo, e sarà, la gioia più forte della mia vecchiaia. (L'uomo, sempre di spalle, e la donna dagli occhi chiari, dopo l'abbraccio restano per un momento a guardarsi) Gli occhi Twinkle non li ave­va mutati. Sempre non potevo dirne il colore, tanto scintillavano. (Poi si prendono a braccetto, e li ve­diamo di spalle allontanarsi, parlano, nella nebbia) E fu allora, ad ogni saltuario ritrovo della nostra fermissima amicizia, un improvviso sfogo di confidenze, lei a me, io a lei, domande, risposte, affettuose ironie, nostalgie, programmi: ma i programmi sol­tanto da parte sua. (La macchina si avvicina in mo­do da inquadrare la faccia della donna, di profilo, mentre la faccia dell'uomo, anche di profilo, viene coperta da quella della donna)

Twinkle                         - (con voce giovanile) Ho pensato que­sto per te: stamattina riposo, lunch all'albergo, poi riposo ancora fino alle 4, alle 4 vengo a prenderti, andiamo a fare una passeggiatina ad Hide Park, alle 5 e mezzo per il tè vieni da me, alle sette... (S'in­terrompe) Scusami, tu odi i programmi. È cosi na­turale per me, avevo dimenticato, faremo tutto quel­lo che vuoi, si, faremo tutto quello che capita, cosi va bene? Andrà come andrà.

UNA STRADA DI LONDRA, DI GIORNO

La macchina si ferma. Un portone con sopra un cartello: si vede la scritta Burlington House, Pain-ting Exibition.

Twinkle                         - Andò cosi, che verso le tre di un po­meriggio d'aprile uscimmo dall'albergo, c'incammi­nammo per S. James Street e, senza pensarci, so­stammo davanti al cartello dell'esposizione di pittu­ra che ogni anno, a primavera, si apre a Burlington House. (Poi, le due teste dell'uomo e della donna, visti di spalle)

Giovanni                       - Anche vent'anni fa ci siamo stati: an­che allora ero venuto a Londra di questa stagione. Ti ricordi? Vuoi che visitiamo di nuovo l'esposizio­ne, come allora?

Twinkle                         - (con una certa tristezza) Si.

Giovanni                       - Forse non vuoi? Preferisci quattro passi ad Hide Park?

Twinkle                         - (quasi sottovoce) No, entriamo pure. Ma non sarà più come allora.

Giovanni                       - Perché? da quando sono con te, mi sembra che nulla sia cambiato...

MOSTRA DI PITTURA

Una parete con i quadri. Le due teste di Twinkle e di Giovanni che, sempre parlando, si fermano a guardare questo e quel quadro.

Twinkle                         - Tu sei molto caro. A me, vedi, capita questo. Tutto va bene, sempre. Ma quando il passato, il passato di allora mi torna a mente, con qualche confronto improvviso, come adesso, ebbene mi sen­to... no, vecchia no, è dir poco. Mi sembra di essere morta e sepolta. (i due continuano a parlare, ma ora non sentiamo più le loro parole, sentiamo soltanto, fuori campo, la voce del commendator Premoli che narra. Intanto i due, dopo una leggera esitazione, si decidono ad entrare. Se necessario li vediamo sa­lire lo scalone che porta al salone dell'esposizione, poi, altro stacco sul salone - una parete con i qua­dri esposti, ... I due, sempre continuando il loro mu­to dialogo, sostano davanti a questo e quel quadro, scambiandosi con gesti, osservazioni e commenti. La sequenza dei due che salgono lo scalone d'ingres­so, e dei due che sostano davanti ai quadri, durerà tutto il tempo che occorre alla voce narrante del commendator Premoli, per descrivere quello che av­verrà tra poco...

Voce di G. Premoli       - (fuori campo) Bisogna a que­sto punto tener conto che la fatalità interviene spes­so in modo curioso a cambiare il corso della nostra vita. Mi sono domandato spesso come mai bastano a volte fatti insignificanti, in apparenza, a mutare il corso della nostra esistenza... per esempio: quello era l'ultimo giorno in cui era aperta la mostra; se fossimo passati di li il giorno dopo, non sarebbe accaduta tutta la serie di avvenimenti che seguirono, ed io forse non avrei mai saputo chi era Twinkle. Oppure: se invece di andare a visitare quella mo­stra fossimo andati a fare quattro passi ad Hyde Park, come avevo in un primo tempo suggerito, ora io non avrei niente da raccontare. Invece... quando entrammo nel salone dove era esposto quel quadro, ricordo esattamente quel momento, Twinkle improv­visamente si fermò come impietrita, sentii il suo braccio premere più forte sul mio. Poi, subito, il corpo vacillare. Se non facevo in tempo a tenerla, credo che sarebbe caduta. (Particolare del braccio di Twinkle appoggiato a quello del commendatore. La mano di Twinkle stringe convulsa il braccio dell'amico. Twinkle vacilla. Giovanni la sorregge. Twin­kle si passa una mano sulla fronte...)

Giovanni                       - Twinkle, che hai? Ti senti male?

Twinkle                         - (indicando un quadro sulla parete) Vedi quel quadro, quel quadro laggiù? (Alla parete sono appesi almeno dieci quadri)

Giovanni                       - Quale, cara?

Twinkle                         - (con un sospiro) Accompagnami. (Si avvicinano alla parete)

Giovanni                       - Ma tu non ti senti bene, siediti un momento.

Twinkle                         - Non è nulla. (Si fermano davanti a un quadro alto un metro e mezzo che rappresenta ciò che si vede da una finestra aperta sopra un quartie­re piccolo borghese di Londra: cortili, in primo pia­no una terrazza stretta e lunghissima, o piuttosto che terrazza, tetto di una costruzione bassa, il quale si estende in profondità e all'infinito, segnato ad in­tervalli irregolari da comignoli che man mano rim­piccioliscono in prospettiva e si perdono laggiù tra alberi di giardini e pergolati. Ai lati, di qua e di là, le tristi facciate interne delle case, con i vetri chiusi e le scalette di ferro per gli incendi; in fondo, oltre gli alberi, campanili lontani, fumaioli di officine, al­tre case, un intrico, una giungla di cortili, dei quali si smarrisce la topografia, e il cielo alto e grigio, il cielo di Londra)

Twinkle                         - Non ti ricordi questa finestra? (Twin­kle si avvicina ancor più al quadro e guarda con at­tenzione negli angoli) Non è firmato. Ma non può es­sere che suo. Guarda! (Apre la borsetta e ne tira fuori un vecchio portaritratti di pelle nell'interno del quale c'è uno schizzo a lapis su un foglio di tac­cuino, che rappresenta in piccolo, lo stesso soggetto del quadro) È la finestra del mio appartamentino a Fulham Road, non ti ricordi? Ci abitavo vent'an­ni fa.

Giovanni                       - (guarda più attentamente il quadro) Si, adesso ricordo.

Twinkle                         - (in P.P. con una faccia sconvolta dall'e­mozione) Non può averlo dipinto che lui questo quadro!

Giovanni                       - Chi lui?

Twinkle                         - Ma lui, non ti ricordi, Gino Petrucci, quello che è scomparso! E questo è il primo indizio di lui dopo vent'anni! È vivo, capisci. È vivo! È qui a Londra! (Adesso la macchina si ferma sul volto di Giovanni)

Giovanni                       - Gino Petrucci? Quel pittore che mi rac­comandasti quando ero a Venezia? Un bel tipo. L'ho visto due volte in vita mia e m'è bastato: non aveva voglia di far niente.

Twinkle                         - Devo ritrovarlo ad ogni costo! Tu devi .aiutarmi, caro.

Giovanni                       - Non c'è niente di più facile. Basterà andare dal segretario dell'esposizione e domandare il nome e l'indirizzo del pittore: i quadri sono qui per la vendita, no?

Twinkle                         - Che sciocca, hai ragione! Non ci avevo pensato! Andiamo, vieni!

INTERNO DI UN TAXI

In mano a Twinkle, in P.P. un biglietto con su scritto J. M. WARWICH, 3 SCARDSALE VILLAS, SOUTH KENSINGTON.

Twinkle                         - Perché non avranno saputo dirci il nome dell'autore?

Giovanni                       - Comunque abbiamo qui il nome del proprietario o di chi ha inviato il quadro.

Twinkle                         - Ma sono sicura che quel quadro è suo. La finestra dipinta nel quadro è stata la strada che Gino ha scelto per scomparire.

Giovanni                       - Vuoi dire che è entrato nel suo quadro e non è più tornato indietro?

Twinkle                         - Ti prego. Non scherzare.

Giovanni                       - Insomma, questo Gino è stato nel tuo appartamento di Fulham Road?

Twinkle                         - È scomparso dalla finestra quel po­meriggio che aspettavamo te. Mi avevi promesso che gli avresti offerto un altro lavoro.

Giovanni                       - Temeva di incontrarmi. Forse non gli andava di dover lavorare.

Twinkle                         - Non lo so. Non saprò mai perché è scomparso cosi. Mentre preparavo le tartine per il tè è balzato sul davanzale della finestra, di li è sceso un metro sotto, sul tetto dei magazzini, vi si è inol­trato cominciando a passeggiare tra comignolo e co­mignolo, in su e in giù, e di tanto in tanto, tornando alla finestra scambiando qualche parola con me e chiedendo l'ora. Finché fece una passeggiata un po' più lunga, lo vedevo ancora laggiù, piccolo piccolo tra gli ultimi comignoli, dopo un momento guardai, e non lo vidi più. Mai più da quella volta. È scom­parso cosi.

Giovanni                       - Pensasti a una disgrazia?

Twinkle                         - Mandai telegrammi dovunque potessi supporre che Gino avesse degli amici e tutte le ri­sposte furono negative. Allora avvertii la polizia. Nulla. E a poco a poco, con le settimane, con i mesi, con gli anni, mi sono abituata al mistero, all'ango­scia, all'incertezza. (Guarda dal finestrino del taxi) Siamo arrivati.

UNA STRADA

Una via squallida, deserta, tipica di un quartiere popolare di Londra. Si sente il rumore del taxi che parte.

Twinkle                         - (fuori campo) Abbiamo fatto male a mandare via il taxi. Forse dovevamo fermarci prima a bere un whisky. Mi avrebbe dato coraggio.

Giovanni                       - (fuori campo) Vuoi che torniamo in­dietro? (Un cane ringhia brevemente) Un pub non sarà lontano.

Twinkle                         - (fuori campo) No, andiamo su, vieni...

UNA SCALA

Si vedono i due su una scala buia in prossimità del pianerottolo di uno squallido palazzo.

Twinkle                         - Lo sai che durante i bombardamenti non mi sono mai mossa da Londra? E non sono mai scesa nei rifugi, mai? Dovrei avere paura di questo incontro?... E poi ci sei tu. E tu sei il mio più caro e più vecchio amico.

Giovanni                       - (stringendo la mano a Twinkle) Si, Twinkle. (i due sono adesso davanti ad un uscio ve­trato. Lui suona il campanello. Si sente di nuovo un cane ringhiare dietro l’uscio. Dei passi. L’uscio è aperto appena appena. Attraverso lo spiraglio appare un piccolo volto di donna, spaventato e rugoso, due occhietti neri che sbattono come quelli di un uccello notturno catturato e portato alla luce, e un casco di capelli lisci e nerissimi, tinti, che scendono sulla fronte con una frangia. Sulle tempie due assurdi riccioli appiattiti. Un mozzicone di sigaretta le pen­de tra le labbra sottili e segnate di rossetto)

Giovanni                       - Mister Warwich?

Magdalena                    - Oh, no! Miss Warwich.

Giovanni                       - Scusate, non sapevo.

Magdalena                    - Che cosa volete?

Giovanni                       - Ve lo spiego subito. Non possiamo en­trare un momento?

Magdalena                    - Temo di no. Io sono soltanto un’o­spite. Miss Warwich non è in casa. Se volete dirmi che cosa desiderate lo riferirò.

Twinkle                         - Abbiamo avuto questo indirizzo dalla Burlington House. (Gesto di Giovanni che vorrebbe impedire a Twinkle di scoprirsi) Miss Warwich ha inviato un quadro all’esposizione. C’è forse un erro­re? (L’uscio si apre. Si intravede uno squallido cor­ridoio male illuminato, una scaletta di legno in fon­do, e un grosso cane che la donna tiene per il collare)

Magdalena                    - No, non credo.

Twinkle                         - Allora il quadro è stato mandato all’e­sposizione proprio da miss Warwich?

Magdalena                    - (balbetta come atterrita) Io non ho detto questo! Io non ho detto nulla. (Di nuovo l’u­scio è chiuso fino a uno spiraglio) … Io non so nulla del quadro. Che cosa devo ripetere a miss Warwich?

 Giovanni                      - A che ora torna miss Warwich?

Magdalena                    - Non lo so, non lo so.

Giovanni                       - (con calma) Perché noi saremmo forse interessati all’acquisto del quadro e… (La donna spa­lanca l’uscio e guarda i due ancora un istante, con sospetto)

Twinkle                         - Voi conoscete l’autore del quadro? Il pittore italiano Gino Petrucci?

Magdalena                    - Entrate pure, se volete. Miss War­wich non potrà tardare. Parlerete con lei.

CASA WARWICH

I due si avviano di spalle lungo il corridoio buio mentre l'uscio si chiude. Stanza di casa Warwich. Stacco su i due che entrano in una piccola stanza rettangolare occupata quasi interamente da un largo sommier e da un divano, che si fronteggiano sulle due pareti più lunghe. In un angolo, per terra, è ac­cesa una stufetta elettrica. Un basso tavolino con una bottiglia di birra vuota, un portacenere pieno di mozziconi, una luce bassa, un'aria chiusa.

Magdalena                    - Accomodatevi pure, vi prego. (Twin­kle siede sul divario, Giovanni sul sommier, la don­na in piedi accanto alla stufa, il cane sbadigliando si sdraia nel mezzo)

Twinkle                         - Voi dunque non conoscete Gino Pe­trucci?

Magdalena                    - Non capisco. Io non conosco nessuno.

Twinkle                         - Gino Pe-tru-cci. Un pittore italiano. Il pittore del quadro che miss Warwich ha mandato all'esposizione.

Magdalena                    - Mi rincresce, ma temo di no. Io non so nulla di ciò che fa miss Warwich. Sono soltanto un'ospite.

Twinkle                         - Ma da quanto tempo abitate qui?

Magdalena                    - Da quanto tempo? Ecco, veramen­te... Io non abito qui. Sono qui oggi, per caso. Non so nulla del quadro, non so nulla di nulla. Ma vi ho fatto passare perché ho pensato che forse potete interessare miss Warwich. Mi dispiace che dobbiate aspettare. (Silenzio imbarazzato. Nel silenzio la don­na tira fuori dalla tasca del suo abito nero una si­garetta, l'accende, aspira profondamente. Guarda, sbattendo gli occhi, ora Twinkle ora Giovanni e la sua espressione è sempre sospettosa e spaventata. In­fine tenta un sorriso) Prendete una tazza di tè?

Giovanni                       - Grazie, si.

Magdalena                    - (viene avanti, scavalca il cane, prende la bottiglia, i due bicchieri, il portacenere ed esce. Uscendo) Sarà pronto in un minuto. (Twinkle e Giovanni restano soli)

Giovanni                       - Perché hai fatto il nome di Petrucci?

Twinkle                         - Perché non andare dritti allo scopo? Che male c'è?

Giovanni                       - Ma allora non hai visto niente? (E le indica la stanza, la cui aria equivoca non dovrebbe sfuggire allo spettatore) Non hai capito niente?

Twinkle                         - Cosa?

Giovanni                       - Non hai capito che questa non è una casa... per bene?

Twinkle                         - (brusca) Non ci ho fatto caso. Che me ne importa del luogo, del modo, delle persone? Quel che m'importa è di ritrovare Gino.

Giovanni                       - E invece devi star calma e con gli oc­chi bene aperti, perché ci potranno essere difficoltà.

Twinkle                         - Quali?

Giovanni                       - Quella donna, per esempio, secondo me non è sincera.

Twinkle                         - Vuoi dire che mente? Che conosce Gino?

Giovanni                       - Può darsi.

Twinkle                         - Ma perché mente?

Giovanni                       - Non lo so perché. Ma appunto per questo ti prego di non dimenticare, mentre le parli, con chi hai a che fare.

Twinkle                         - (si alza e la macchina la segue mentre si muove nella stanza osservandosi intorno. Alzandosi) A me sembra una bravissima persona. Mi fa pe­na, se vuoi, ecco tutto. Deve essere una donna che ha molto sofferto. È spaventata, sola, in miseria.

Giovanni                       - Si, ma guardati intorno, Twinkle.

 61

 Twinkle                        - Una casa un po' sporca. E con questo?

Giovanni                       - (curvandosi verso di lei mormora) L'hai capito, si o no, che siamo in una casa di appun­tamenti?

Twinkle                         - Tu credi?

Giovanni                       - Non ho nessun dubbio, cara.

Twinkle                         - (ha visto una fotografia alla parete che le strappa un grido) Gino! Ecco qua Gino! Una fotografia di Gino! (Giovanni si alza per guardare anche lui la fotografia. La macchina ce lo porta in P.P. e si vede finalmente, ma in modo confuso, Gino Petrucci vestito da cacciatore, con gli stivaloni, la doppietta, e un berretto a visiera: i baffi e il pizzo alla moschettiera, l'occhio malinconico, la bocca sensuale)

Giovanni                       - Il perfetto italiano, artista ed amato­re, come lo sognano le signorine inglesi.

Twinkle                         - (che non sente, con lacrime agli occhi) il ricordo benissimo questa fotografia! Adesso non c'è più dubbio: il quadro è suo e miss Warwich co­nosce Gino. (Mentre parla cosi rientra Magdalena col tè, Twinkle si volta di scatto e quasi l'aggredisce) Questo è Gino Petrucci, vedete? Questo è il pittore italiano di cui vi parlavo! Non lo conoscete? È certamente amico di miss Warwich. Voi non l'avete mai visto qui?

Magdalena                    - (entra, posa la teiera sul tavolo. Indi versando il tè) Temo di no. Non saprei dirvi. Voi siete stata in Italia?

Twinkle                         - Si, ho abitato in Italia per molto tem­po, ma molti anni fa. Il signore... (e indica il suo ac­compagnatore) è italiano.

Magdalena                    - (sul volto della donna questa notizia provoca una trasformazione: di colpo si illumina e ride tutta, con tante rughe minute nel volto secco, ed anche gli occhi ora le ridono: piccoli, neri, vivi) Davvero? Italiano? Avrei detto francese o belga. Sono cosi contenta! Anch'io sono stata in Italia, i mesi più felici della mia vita! Amalfi, Sorrento, Ve­nezia, Firenze! Sono davvero contenta di conoscervi. I1 mio nome è Magdalena Clarens. (Tende la mano a Giovanni. Twinkle lancia uno sguardo al compa­gno come per dirgli: hai visto? è una brava persona)

Twinkle                         - Lo ha conosciuto, Gino Petrucci? Que­sto signore qui. (Indica la fotografia)

Magdalena                    - Ve l'ho già detto: no. (Mentre cosi dice il cane si alza di scatto. Si sentono passi nel corridoio, i passi si avvicinano. Tutti si voltano verso la porta e improvvisamente appare enorme, un donnone dal viso largo, rotondo, lentigginoso e due grandi occhi verdi, avidi, inquieti squadrano Twin­kle e il suo amico. La donna fa un passo nella stan­za: ha un petto potente, nonostante l'età, indossa un impermeabile lucido, trasparente. Una sigaretta all'angolo della bocca. Probabilmente ha bevuto pa­recchio)

Dawn                            - (senza togliere la sigaretta dall'angolo della bocca) Chi è questa gente?

Magdalena                    - (umile) Sono venuti per un quadro, un quadro di un pittore italiano. Il signore è ita­liano.

Giovanni                       - (presentandosi) Mi chiamo Giovanni Premoli e questa è la signora Twinkle.

Dawn                            - (si fa avanti senza stringere la mano degli ospiti e dice di malagrazia il suo nome) Dawn Warwich.

Twinkle                         - È stata lei a mandare il quadro all'e­sposizione?

Dawn                            - Si, sono stata io.

Twinkle                         - Mi scusi, ma come mai quel quadro è venuto in suo possesso?

Dawn                            - Non sono tenuta a dirlo. Nient'altro? (Fa l'atto di congedare gli ospiti)

Twinkle                         - (accennando alla fotografìa di Gino Pe­trucci) Lei conosce Gino Petrucci? Può dirci dove si trova in questo momento?

Dawn                            - (non risponde subito. Guarda Twinkle di traverso come se sospettasse un tranello) Io non conosco nessun Gino Petrucci.

Twinkle                         - E quella fotografia?

Dawn                            - La fotografia era in questa casa con i mobili e tutto il resto quando la comprai, parecchi anni fa.

Twinkle                         - Allora anche il quadro era in questa casa?

Dawn                            - Non sono tenuta a rispondere. Siete della polizia, voi?

Twinkle                         - (tremando per lo sforzo di dominarsi) No. Siamo semplicemente due vecchi amici del si­gnor Petrucci, due vecchi amici che lo hanno perso di vista e che lo vorrebbero ritrovare... con l'aiuto e la gentilezza di chi può metterci sulle sue tracce.

Dawn                            - Ha sbagliato strada, allora. Io non ho nien­te da dirvi. Buonasera. Da questa parte... (Si avvia verso il corridoio)

Twinkle                         - (senza muoversi) Ditemi almeno a chi apparteneva questa casa prima che voi la compraste.

Dawn                            - Se c'è una legge che mi obbliga a rispon­dere, risponderò. Risponderò in tribunale. Altrimen­ti no.

Giovanni                       - (sorridendo prende sottobraccio Twinkle per condurla via) Nessuna legge. Soltanto un sen­so di elementare umanità. Ogni volta che non trovo questo senso in qualcuno dei miei simili, sono, per lui stesso, non per me, estremamente addolorato. Buonasera.

UNA STRADA

Premoli e Twinkle camminano. Sullo sfondo i mu­ri dei palazzi. Fa freddo, è notte.

Giovanni                       - Andiamo a bere qualcosa.

Twinkle                         - (molto abbattuta) Che si può fare?

Giovanni                       - Forse è meglio che tu ti rivolga al tuo avvocato. Quella donna era mezza ubriaca stasera. L'avvocato saprà trovare il modo di parlarle. Forse con un po' di denaro. Non mi pare che vivano nell'agiatezza.

Twinkle                         - (quasi piangendo per la rabbia e l'umi­liazione) Non so, non so. Qualcosa mi dice che quella donna è molto vicina a Gino. Certamente lo conosce. Su questo non c'è dubbio. Basta la fotogra­fia. Era una fotografia che Gino portava sempre con sé. Se quella donna si comporta cosi è perché vede in me una nemica.

Giovanni                       - Sta' buona. Penseremo con calma a quello che dobbiamo fare.

Twinkle                         - O forse tu credi davvero che quella donna abbia comprato la casa con il quadro e la fotografia, e ignori l'esistenza di Gino?

Giovanni                       - Può anche essere. (Si odono alle loro spalle passi precipitosi. I due si voltano. È Magdalena che fa loro cenno di proseguire. I due girano dietro la cantonata. Magdalena ansimante li rag­giunge. È scarmigliata, atterrita, si comprime il pet­to con le dita magre, gialle di nicotina, e riprende fiato prima di parlare. Infine sottovoce e guardando oltre la cantonata, come se temesse di essere inse­guita)

Magdalena                    - Volete vedere Gino Petrucci?

Twinkle                         - (quasi gridando) Si!

Magdalena                    - Ebbene... ebbene, allora venite do­mani, alle sei e mezzo del pomeriggio, nel pub all'angolo tra Charing Cross e Little Newportstreet. Non posso dire altro adesso. Per carità fatemi tor­nare a casa. Se se ne accorge, mi ammazza! A do­mani! Ci sarò anch'io! A domani, voi, italiano! (Un sorriso rapido a Giovanni. Gli stringe la mano e scap­pa via)

UN PUB LONDINESE

Twinkle e Giovanni seduti di fronte. Il tavolo è si­tuato come gli altri, in una specie di separé, come gli scompartimenti di un treno. In P.P. la macchina si ferma sull'orologetto da polso di Twinkle che se­gna le 18,35. Poi sale sul volto della donna.

Twinkle                         - Sono le sei e trentacinque. Aveva det­to alle tre e mezzo.

Giovanni                       - Probabilmente non verrà. È meglio che ti prepari anche a questa eventualità. (La mac­china passa ad esplorare il locale, dal punto di vista di Twinkle, che guarda sempre quelli che entrano, poi torna sul volto della donna)

Twinkle                         - (come se non sentisse. Una pausa. Poi i suoi occhi si illuminano) Eccola!

Magdalena                    - (arriva trafelata, si siede al tavolo, ac­cende subito una sigaretta, e riprende il tono miste­rioso e furtivo del giorno precedente) Dawn dormiva. Sono scappata di nascosto. Quando si sveglie­rà e non mi troverà, diventerà una belva. Chissà che scena mi farà!

Twinkle                         - Ma Gino?

Magdalena                    - Come, Gino? (In P.P. il volto di Twinkle)

Twinkle                         - Si, Gino Petrucci, dov'è?

Magdalena                    - (come se se ne fosse dimenticata) Dov'è Gino Petrucci?

Twinkle                         - Io credevo che venisse con voi. (La macchina passa alternativamente sul volto di Twin­kle e di Magdalena seguendo le fasi del colloquio tra le due donne)

Magdalena                    - Con me? Oh, no! Impossibile! Guai a me e a lui, poveretto, se si facesse vedere in giro con me! Voi non conoscete quella donna di che cosa è capace!

Twinkle                         - Eppure mi avevate promesso che quest'oggi l'avreste portato qui alle tre e mezzo!

Magdalena                    - (confusa) Mi dispiace. Non mi sono spiegata bene. Io ho detto che forse avreste potuto vederlo. Ecco tutto.

Twinkle                         - E lo vedremo? Verrà?

Magdalena                    - Speriamo, speriamo che possa, pove­retto.

Twinkle                         - Ma glielo avete detto di venire?

Magdalena                    - Si capisce che gliel'ho detto!

Twinkle                         - E lui che cosa ha detto?

Magdalena                    - Lui... lui veramente non ha detto nulla.

Twinkle                         - (sbalordita) Ma come è possibile che non abbia detto nulla? (La macchina passa sul volto di Giovanni e c.s. segue le fasi del colloquio tra Gio­vanni e Magdalena)

Giovanni                       - Scusatemi, quando l'avete visto? Sta­mattina?

Magdalena                    - Ma io non l'ho visto. Gli ho... si, sono riuscita a fargli avere un biglietto con l'appunta­mento.

Giovanni                       - E che cosa avete scritto sul biglietto?

Magdalena                    - Poco, oh, poche cose... non avevo tempo. Ho dovuto scriverlo di nascosto.

Giovanni                       - Non gli avete scritto i nostri nomi? Non gli avete detto che due suoi vecchi amici vole­vano rivederlo?

Magdalena                    - Si, ho accennato di sfuggita, come potevo... oh! se sapeste, è stato terribile per me, riu­scire a scrivere quel biglietto!... (Si avvicina un ca­meriere, serve un tè a Twinkle e a Giovanni. Magdalena chiede un doppio gin) A me un doppio gin. (Il cameriere si allontana)

Giovanni                       - Francamente, voi credete che Petrucci verrà?

Magdalena                    - (umile) Ho paura di no. Non so se oggi lui potrà.

Twinkle                         - (di nuovo il volto in P.P.) Ma è dome­nica! Che cosa fa la domenica? Certamente non la­vora. E dove lavora? Dove abita? Perché non ci da­te il suo indirizzo? Penseremo noi a trovarlo. (La macchina passa su Magdalena)

Magdalena                    - Come fate le cose facili, voi. (Con un sospiro) L'indirizzo? Se fosse tutto qui! Ma non lo so il suo indirizzo. Dove lavora? Non so neanche che lavoro faccia. Forse non lavora affatto, in questo momento.

Giovanni                       - (cercando di venire al sodo) Quando l'avete visto l'ultima volta? (Il cameriere arriva col bicchiere di gin. Magdalena lo afferra e prima di ri­spondere beve un lungo sorso)

Magdalena                    - L'ultima volta? Mah, non lo so, po­chi giorni fa.

Twinkle                         - Lo vedete spesso?

Magdalena                    - Molto spesso... quasi tutte le setti­mane, quasi tutti i giorni anzi! Ma lo vedo, cosi, di sfuggita, quando passa nel corridoio per andare di sopra, in camera di Dawn, o per andare di sotto in

 cucina.

Giovanni                       - Ah, capisco! Perché il signor Petrucci viene a trovare miss Warwich? È molto amico di miss Warwich insomma?

Magdalena                    - (protestando con vivacità) È anche amico mio per questo!

Giovanni                       - Scusate, credevo che voi lo conosce­ste appena di vista. (La macchina inquadra il volto di Magdalena e continua a studiarne l'ambiguità)

Magdalena                    - Io? Di vista? Gino? Lo conosco mol­to meglio di miss Warwich. È cosi simpatico! Ma cosi buono, cosi debole che un essere prepotente ne fa subito la sua vittima. Ecco com'è Gino! Una vol­ta ci vedevamo senza pericolo ogni giorno, si può dire ogni ora. Che periodo felice fu quello! Ma parlo di un tempo lontano purtroppo. Ora anche Gino è cambiato. Quella donna è la causa di tutto. È una bestia selvaggia quella donna.

Giovanni                       - Parlate di miss Warwich? Credevo che foste amiche.

Magdalena                    - Chi? Io e lei? Amiche? Io sono sua amica, si, forse. Ma lei mi odia! È gelosa, prepo­tente, sospettosa. Crede sempre che le voglia por­tare via Gino. Ma non è per amore, c'è anche l'in­teresse sotto. Perché Gino deve portare a casa tutto quello che guadagna, se no, sapete che cosa fa? Lo picchia. E sapete cosa fa Dawn di quel denaro? Se lo beve! Se sapeste quanto beve! Anche oggi ha co­minciato alle 10 una bottiglia di gin, e alle 2 l'aveva finita. Cosi si è addormentata ed io sono corsa qui. (La macchina inquadra il volto ostinato di Twinkle)

Twinkle                         - Scusate mi sembra che ci sia una con­traddizione in quello che avete detto.

Magdalena                    - Una contraddizione? Può darsi. Se sapeste che vita faccio!

Twinkle                         - (ostinata) Avete detto: Gino deve por­tare a casa tutto il denaro che guadagna. Ma allora abita da voi. E prima avete detto che non sapete dove abita.

Magdalena                    - (per prendere tempo beve ancora un sorso di gin. Un po' sconcertata e subito riprenden­dosi) Avete ragione. Ma è... che prima non volevo dirlo. Non volevo dire tutta la verità.

Giovanni                       - Allora stamattina l'avete visto in casa.

Magdalena                    - (balbettando) Si, ma per carità non lo dite a Dawn.

Giovanni                       - E gli avete parlato?

Magdalena                    - No, non ho potuto... mi sono chiusa nel bagno, ho scritto il biglietto, l'ho tenuto pronto in attesa del momento opportuno. Quando Gino sta­va andando via, gli ho dato la mano e gli ho pas­sato il biglietto senza che Dawn se ne accorgesse.

Giovanni                       - È uscito prima o dopo colazione?

Magdalena                    - Dopo. Se avessi un po' di soldi, tro­verei bene il modo di parlargli da solo a solo, e dir­gli tutto di voi due.

Twinkle                         - Quale modo?

Magdalena                    - Darei a Gino i soldi perché li conse­gnasse a Dawn, come se li avesse guadagnati lui. Dawn quando vede i soldi si calma subito, mi man­da a comprare una bottiglia di gin e cosi passa la giornata. Allora non sarebbe difficile per Gino svi­gnarsela e venire all'appuntamento. (Twinkle apre la borsetta e comincia a frugarvi dentro. Magdalena alla vista della borsetta rimane in avida attesa, in­capace di controllarsi. Attraverso il fumo della si­garetta che le pende dalle labbra, fissa ansiosa il portafogli e sbatte gli occhi come se i biglietti lampeggiassero)

Twinkle                         - Quanto credete che basti per ora? (Estrae i biglietti dal portafogli) Mi rincresce. Ho con me soltanto nove sterline. Credete che baste­ranno?

Magdalena                    - (non è in grado di rispondere. Acchiap­pa il denaro più in fretta che può e lo fa sparire in un attimo. Riprendendosi a fatica) Proverò, pro­verò. Sono sicura che adesso riuscirò a farlo venire. Bisogna che stia attenta, che non si accorga di nul­la... è una donna terribile, credetemi. Per esempio, senza dirmi niente ha mandato il quadro all'espo­sizione, e se lo avesse venduto si sarebbe tenuta i soldi.

Twinkle                         - Come? Neanche Gino si è accorto che il quadro non c'era più?

Magdalena                    - (beve ancora) Oh, lui... non si accor­ge mai di niente!

Twinkle                         - E cosi a lui Dawn non avrebbe dato neppure un soldo?

Magdalena                    - Chi? Dawn? A lui? Mi fate ridere! (Adesso la macchina studia il volto di Twinkle che passa dall'indignazione all'ansia e poi, quando Mag­dalena parla di Gino, diventa quasi sognante...)

Twinkle                         - Ma allora quella donna è... è una cri­minale!

Giovanni                       - Criminale non so cara. Direi semplice­mente che non ci si può fidare di lei.

Twinkle                         - (fissando ansiosa Magdalena) E Gino? Gino come sopporta tutto questo? Come lo sopporta?

Magdalena                    - Oh! Voi conoscete Gino... dovete co­noscerlo bene se vi interessate tanto a lui.

Twinkle                         - Eravamo abbastanza amici. Ma molti anni fa.

Magdalena                    - Ebbene, state pur sicura che non è cambiato. Sempre lo stesso buon ragazzo. Canta, lui. Qualunque cosa accada è incapace di essere triste. Canta, canta, sempre.

Twinkle                         - (con un sospiro) È vero! Sono con­tenta che non sia cambiato. Ditemi, ditemi, che cosa canta? (Continua ad ascoltare Magdalena con una specie di rapimento)

Magdalena                    - Oh, canti italiani, io non so ripe­tervi... Santa Lucia, O' sole mio, Surriento, Gelida manina... Canta sempre... Molte volte abbiamo avuto lagnanze dai vicini. Una volta abbiamo dovuto pa­gare una multa.

Twinkle                         - (con lieve sorriso) Vedo che non è cambiato!

Magdalena                    - (si alza, beve l'ultimo sorso di gin) Adesso debbo andare, altrimenti quella sarebbe ca­pace... fidatevi di me. Ci vediamo domani qui, alla stessa ora. (Magdalena si allontana. Twinkle e Gio­vanni la seguono con lo sguardo)

Giovanni                       - (dopo una pausa, con dolcezza) Twinkle...

Twinkle                         - Si.

Giovanni                       - Twinkle, non voglio addolorarti, ma ormai è chiaro, mi pare.

Twinkle                         - Cosa?

Giovanni                       - Non hai capito allora? Gino vive con quelle due donne, con ogni probabilità è intimo di tutte e due... Magdalena sa di Dawn e Dawn forse non sa di Magdalena, questo ho capito, e poi...

Twinkle                         - E poi hai capito che non vogliono far­melo incontrare.

Giovanni                       - Dawn ha negato di conoscerlo, Mag­dalena ha avuto l'idea di sfruttare la situazione per spillarti del denaro, e non è escluso che quelle due stiano d'accordo.

Twinkle                         - Forse le cose stanno cosi come dici... ma a me Magdalena è parsa sincera...

Giovanni                       - Non volevo dirtelo. Ieri sera quando ti ho lasciato ho fatto un tratto a piedi. Pioviggi­nava, alla mia età non avrei dovuto, ma avevo bi­sogno di essere solo, senza Gino Petrucci. (Twinkle accarezza lievemente, attraverso il tavolo, la mano di Giovanni, come per chiedergli scusa) All'angolo di Abermarle Street, dopo Piccadilly, tra le prosti­tute che si riparavano dalla pioggia negli ingressi dei palazzi, l'ho vista.

Twinkle                         - Magdalena?!

Giovanni                       - Il suo volto era orribile, le labbra ca­riche di rossetto, una grossa collana al collo per na­scondere le grinze, e occhiali cerchiati di celluloide per confondere ogni cosa...

Twinkle                         - (inaspettatamente) Oh Giovanni, dob­biamo salvare Gino. Gino ha bisogno del nostro aiuto.

Giovanni                       - (un po' interdetto) Se in venti anni, con la guerra e tutto, Gino non ha mai dato segno di vita... vuol dire che si trova benissimo come è e con chi è, infatti canta dalla mattina alla sera il Trovatore.

 Twinkle                        - (senza sentirlo) Capisci, l'ho ritrovato! È vivo! È a Londra, sotto questo cielo, respira la stessa aria. Tocca a me riportarlo alla vera vita dal fondo della sua abiezione!

Giovanni                       - (la guarda un po' stupito un po' intene­rito) L'idea di una missione salvatrice è sempre stata per te una sola cosa con l'amore, non è vero mia cara Twinkle? Proprio per questo forse, non mi hai mai accettato. Io, purtroppo, non ho mai avuto bisogno che qualcuno mi salvasse! E neppure Gino Petrucci, te lo devo ripetere: vent'anni sono lunghi. Se una sola volta avesse voluto essere salvato, si sa­rebbe fatto vivo. In venti anni questo non è mai accaduto!

Twinkle                         - Oh, caro, tu non sai, tu non puoi ca­pire, tu non lo conosci. Io so che Gino è infelice.

Giovanni                       - Tanto infelice che crede di essere felice.

Twinkle                         - Tanto infelice che non ha nessuna vo­lontà, nessuna speranza. È necessario che io lo veda, che gli parli. Promettimi che non mi abbandonerai in questi giorni, che mi aiuterai finché non sarò riu­scita!

Giovanni                       - (di nuovo la guarda intenerito, le pren­de la mano) Prometto... anzi ti dirò di più, ho già un mio piano.

Twinkle                         - Quanto sei caro!

Giovanni                       - Domani, mentre tu verrai qui, in que­sto bar, all'appuntamento con Magdalena, io andrò a fare una sorpresa a miss Warwich. È probabile che Gino Petrucci passi li le sue giornate. E anche se non lo troverò parlerò con miss Warwich, cosi potremo confrontare, dopo, quello che mi dirà lei con quello che ti dirà Magdalena, e stringere più da vicino quella che ^ sembra la inafferrabile esistenza di questo Petrucci...

CAMERA DI MISS WARWICH

Già descritta. Questa volta, in più, c'è in un an­golo, coperto da un drappo un cavalletto da pittore. Stacco sulla fotografia di Gino Petrucci vestito da cacciatore, che già aveva colpito Twinkle quando era stata a casa di miss Warwich. Ci troviamo infatti nella stessa stanza. Dalla fotografia di Gino Petrucci, appesa al muro, la macchina si sposta in basso ver­so il divano dove sono seduti Dawn e Giovanni. Dawn ha un abito di seta, molto scollato, che mette in evidenza un gran petto possente.

Giovanni                       - Dunque lei nega di conoscere questo Gino Petrucci.

Dawn                            - (seccata) L'ho già detto, mi pare. Ma non perdiamo tempo. Se lei è interessato all'acquisto del quadro io sono pronta a trattare.

Giovanni                       - Benissimo: ditemi allora il prezzo. Non escludo la possibilità di acquistarlo.

Dawn                            - (accende una sigaretta e pensa stringendo le palpebre. Poi fissa Giovanni con gli occhi verdi e un po' sporgenti) Non sono pratica di quadri. Pre­ferisco che facciate voi una offerta.

Giovanni                       - (senza esitare) Il quadro mi piace. Of­fro cento sterline. (Dawn riabbassa gli occhi e sta ferma, zitta, per non tradire la sua gioia) Cento ster­line che naturalmente sono pronto a consegnare al signor Gino Petrucci in persona!

Dawn                            - (ha un moto di rabbia, e scatta, fissando con odio Giovanni) Mi fate ridere! Se il signor Gino Petrucci non esiste!

Giovanni                       - In questo caso ho deciso di rinuncia­re all'acquisto. Il quadro mi piace: ma, detto fra noi, offro questa cifra cosi alta, soltanto per aiutare il signor Gino Petrucci, che ho motivo di supporre che non si trovi in buone condizioni.

Dawn                            - E se il signor Petrucci non esiste non siete disposto a comperare il quadro per nessuna ci­fra, anche inferiore?

Giovanni                       - No.

Dawn                            - Neanche molto inferiore?

Giovanni                       - Neanche. (Con un sospiro faticoso Dawn si alza. La sua grande mole, a Giovanni che rimane seduto pare raggiungere il soffitto. Dawn comincia a camminare nervosamente nello stretto spazio tra i due som.rn.ier. Il suo corpaccione passa e ripassa davanti a Giovanni. Attraverso il vestito di seta spicca l'armatura del busto che stringe le nati­che enormi)

Dawn                            - Perché facciamo questa commedia? Ba­sta. Parliamoci francamente. Voi avete visto la mia amica Magdalena, non è vero?

Giovanni                       - (leggera esitazione) L'ho incontrata, per puro caso, a Piccadilly, due sere fa.

Dawn                            - (pare stupita, offesa) A Piccadilly? Figu­ratevi che a me disse che andava da suo fratello! E che cosa vi ha raccontato quell'ipocrita, quell'intri­gante, quella serpe?

Giovanni                       - Nient'altro che questo: il signor Petrucci è un amico di casa.

Dawn                            - E perché io ve lo avrei nascosto? Perché? Ve lo ha detto quel serpente?

Giovanni                       - È quello che vorrei sapere.

Dawn                            - Ve lo dirò io perché ho negato di cono­scere Gino, ve lo dirò io! Per rispettare la sua vo­lontà, ecco perché.

Giovanni                       - Non capisco: quale volontà?

Dawn                            - La sua. Gino è malato, molto malato, e non vuole vedere nessuno. Se voi e la signorina con la quale siete venuto, siete sinceri amici di Gino, comprate il quadro e non chiedete altro.

Giovanni                       - E dove sta Gino? All'ospedale? Anche senza vederlo, potrei essergli utile.

Dawn                            - Non v'incaricate di nulla. Io sola, io sola capite, posso fare qualcosa per lui. Dovete credermi. Io non sono un'inglese, come Magdalena. Io non so­no un'ipocrita, io non so fingere come lei che ho accolto nella mia casa senza sapere che era un ser­pente velenoso! Me la facevano sotto gli occhi, ca­pite? Lei e Gino quel vigliacco, traditore, con il suo sorriso, anche lui me la faceva! Sono irlandese, io! Una persona di cuore, come voi. Seguite la vostra ispirazione e comprate il quadro. Cosi gli farete del bene e il povero Gino vi benedirà. (Cosi dicendo si accascia sopra a una poltrona, tira fuori dal seno un fazzolettino e comincia a piangere. Mentre lei pian­ge Giovanni le guarda le mani che sono piccole, ner­vose, con dita magre e affusolate, e la macchina le mette in evidenza in P.P.)

Giovanni                       - (non appena Dawn si è calmata) Mi dispiace di avervi involontariamente turbata. Faccio ogni sforzo per capirvi. E vorrei poter fare quello che dite.

Dawn                            - Oh, si, fatelo, per l'amore di Gino! Non lo vedete? Siamo due vecchie ormai, non possiamo più lavorare neanche noi e non possiamo più aiutarlo come lo abbiamo sempre aiutato fino a qualche an­no fa.

Giovanni                       - Non chiederei di meglio, ma prima voi negate l'esistenza di Gino, poi insistete per non far­melo incontrare, dovete ammettere che tutto que­sto è strano, assurdo. In più io non vi conosco, non voglio offendervi, ma perché dovrei lasciarvi cento sterline?

Dawn                            - Non me le date mica per nulla, mi pare. Avete il quadro.

Giovanni                       - Vi ho già detto che il quadro mi in­teressa fino a un certo punto. Chi mi garantisce che le cento sterline andrebbero, scusate se oso parlarvi cosi, proprio nelle mani di Gino Petrucci?

Dawn                            - Ho capito, è cosi: voi non mi credete! Credete a quello che vi ha raccontato Magdalena. Ditemi almeno che cosa vi ha raccontato. Scommet­to che era ubriaca. E se voi le date dei soldi per Gino, quella gira l'angolo e si beve fino all'ultimo centesimo.

Giovanni                       - Perciò preferirei consegnare i denari direttamente a Gino Petrucci. Ditemi dov'è ricove­rato. Consegnerò il denaro al Direttore dell'Ospedale.

Dawn                            - Non è in un ospedale. Vi ho detto forse che è in un ospedale?

Giovanni                       - Ma allora dov'è?

Dawn                            - Viene qui ogni giorno, viene sempre qui. Guardate, guardate se non ci credete! (Si alza, va nell'angolo dov'è il cavalletto, toglie il drappo, e sol­levando una nuvola di polvere scopre l'abbozzo di un quadro. La macchina lo inquadra: è un altro abbozzo del quadro della finestra, la stessa pennel­lata, esitante, che ricorda vagamente lo stile di Pizzarro)

Giovanni                       - (avvicinandosi) Pare che questo sog­getto abbia ossessionato Petrucci, è lo stesso sog­getto del quadro all'esposizione. (Seguiamo lo sguar­do di Giovanni che osserva i tubetti di colore depo­sti sulla mensola del cavalletto. Ne prende uno in mano, cerca di premerlo ma la pasta si è indurita nel tubetto, è secca) Questi colori sono vecchi, non sono stati usati da anni. (Dawn, senza rispondere, volta il quadro dall'altra faccia: è uno studio, anche questo incompiuto, di due mani di donna che pog­giano sull'angolo di un tavolo presso una bottiglia di whisky, un bicchiere, un portacenere e delle carte disposte per un solitario. Una delle due mani, tra l'indice e il medio, regge una sigaretta. Le mani bianche sullo sfondo scuro ricordano vagamente la pittura di Courbert o di un Monticelli... Poi la mac­china inquadra le mani di Dawn, una regge tra l'in­dice e il medio una sigaretta, come nel quadro...) Le vostre mani, naturalmente?

Dawn                            - Si, come l'avete capito?

Giovanni                       - Avete delle mani bellissime. Ho an­che capito però che questa è roba vecchia.

Dawn                            - Ve l'ho detto che è malato, che non la­vora più. Eppure viene a trovarmi ogni giorno. Non può farne a meno, mi adora. Mi adorava anche al­lora: ma non mi era fedele. Fingeva! Sapeste come sapeva fingere bene! Ora che è malato non vede che me. Magdalena non esiste più per lui. Io sono la sua regina. (Come colpita da una idea) Ah! Aspetta­te un momento. (Esce, mentre Giovanni si alza per dare un altro sguardo alla fotografia di Gino Pe­trucci appesa al muro. La fotografia riappare in P.P. Poi Dawn torna. Ha in mano un vecchio cappello e una giacca sdrucita) Guardate! è un cappello italia­no, guardate la marca. (E porge il cappello a Gio­vanni, che lo osserva) Che cosa vi dicevo? E guar­date questa! È la sua giacca di lavoro! Credete ades­so? Credete?

Giovanni                       - Non si tratta soltanto di me. C'è an­che la mia amica che è interessata ad avere notizie di Gino Petrucci. Che cosa posso raccontarle?

Dawn                            - A chi? Alla vostra amica? Oh, la conosco quella. Gino ne parlava nei primi tempi. È un'intel­lettuale noiosa che l'ha sempre seccato. Che cosa vuole ancora da lui? Gino non ha nessuna intenzione di vederla, glielo potete anche dire a quella vecchia strega. Caso mai Gino farebbe un'eccezione per voi, soprattutto se comprate il quadro. Ha tanto bisogno di denaro per il dottore, le medicine... se volete dar­mi un anticipo. Telefonatemi domani, nelle prime ore del pomeriggio; vi dirò che cosa ha detto Gino. E vedrete che riusciremo a combinare un appunta­mento, ma solo con voi, voi solo, non lei. (Giovanni mette la mano in tasca e dal portafogli tira fuori un biglietto da cinque sterline) Proprio non potete dare di più? Ho una idea. Datemi altre cinque ster­line e portatevi via questo schizzo... (Accenna al qua­dro sul cavalletto. Giovanni rimane un attimo inde­ciso, prende un altro biglietto da cinque sterline e lo dà alla donna. Poi si avvicina al cavalletto prende lo schizzo)

Giovanni                       - Telefonerò domani. Voi intanto per­suadete Petrucci a vedermi... (E dà un altro sguardo all'abbozzo delle mani che riappare in P.P. Adesso si vedono in P.P. le mani di Twinkle, che lentamente aprono una borsa, ne estraggono il portafogli e dal portafogli tirano fuori un biglietto. Mentre le mani svolgono queste operazioni, la voce di Giovanni che narra, commenta) Le mani di Twinkle erano tut­to l'opposto. Erano mani larghe, franche, quasi roz­ze. E contrastavano con la sua figura snella, col suo viso aristocratico,    - (la macchina si sposta sul viso di Twinkle) precisamente come le mani di Dawn, sottili e raffinate contrastavano con quella corporatura di gigantessa. (Ora si vede nelle mani di Twinkle un biglietto scritto a lapis in inglese dove si legge: "11 O'CLOCK. I AM GOING OUT. I DON'T WANT TO AWAKE YOU. THE MILK IS IN THE KITCHEN. THE DOG HAS HAD HIS SOUP. SLEEP WELL, BOTH OF YOU. CIAO. G.")

Twinkle                         - (fuori campo) È la sua calligrafia, non ho dubbi! (Adesso il biglietto passa dalle mani di Twinkle a quelle di Giovanni)

Giovanni                       - (legge traducendo) "Ore 11. Esco. Non vi voglio svegliare. Il latte è in cucina. Ho dato la pappa al cane. Sogni d'oro a tutt'e due. Ciao. Gino.” (La macchina arretra, e li vediamo nello studio-bi­blioteca della casa di Twinkle)

STUDIO IN CASA DI TWINKLE

Le pareti sono rivestite di boiseries, libri, ninnoli, fiori e profonde poltrone di cuoio. Su una di queste poltrone è seduto Giovanni che vediamo nell'atto di leggere il biglietto. Davanti a lui, seduta sopra una minuscola sedia di paglia, c'è Twinkle.

Giovanni                       - È indirizzato a te?

Twinkle                         - No, no. Lo ha lasciato stamattina pri­ma di uscire. Me lo ha dato Magdalena, per provar­mi che non mentiva.

Giovanni                       - Le hai dato dell'altro denaro?

Twinkle                         - Si.

Giovanni                       - Me l'immaginavo. Quelle due donne mentono. Cercano solo di spillarci quattrini.

Twinkle                         - Ma questo biglietto dimostra che Dawn non mentiva quando ti ha detto che Gino non era in ospedale.

Giovanni                       - Questo è probabile, ma mentono su tanti altri punti. Non so proprio che pensare.

Twinkle                         - L'essenziale è che, veri o falsi, dai loro racconti risulta che Gino non è stato avvertito della nostra presenza. Hai capito? Gino non sa che lo cer­chiamo! Finché non siamo certi che lui sa, non pos­siamo rinunciare. (Adesso lo sguardo di Giovanni malinconicamente si sposta verso la finestra incor­niciata da tende di cretonne. Dalla strada sale un lontano rumore di automobili. C'è una breve pausa. Twinkle coglie forse la malinconia dello sguardo di Giovanni e lentamente viene ad accoccolarsi ai suoi piedi, si aggiusta le sottane intorno alle gambe e re­clina il capo, dolcemente sulle ginocchia dell'amico. In P.P. mormora) Povero caro. Come ti devo avere annoiato con questa storia! Mi perdoni? (Si vede la mano di Giovanni che leggermente si appoggia sulla tempia di Twinkle e poi le carezza i capelli) In fon­do non ti ho mai raccontato nulla. E tu non mi hai mai chiesto nulla. Sei stato cosi buono. Ora sento che devo dirti quello che non ti ho mai detto.

Giovanni                       - Neanche ora ti chiedo nulla, Twinkle, la sola cosa che veramente vorrei, anche adesso, co­me allora, come sempre, che tu mi dicessi, tu non me la puoi dire. Dunque...

Twinkle                         - (con voce tremante, disperata) Lo so, ma sono io che ho bisogno di parlare... dopo la mor­te di mio marito, che tu sai quanto ho amato, c'è stato nella mia vita solamente un altro uomo: Gino. Quando scomparve... era il mio amico da più di due anni...

Giovanni                       - Due anni! Ma allora mi avevi proprio nascosto la cosa! Mi avevi... tradito.

Twinkle                         - Si, caro... ti avevo tradito, come tu dici. Non avevo il coraggio di parlare, per tante ra­gioni. Prima di tutto non volevo addolorarti.

Giovanni                       - E cosi hai rimandato ad oggi.

Twinkle                         - Oggi è diverso.

Giovanni                       - Diverso? Ormai potevi tacere.

Twinkle                         - (si alza in piedi piangendo e lo abbrac­cia) Oh! caro, no, non essere cattivo.

Giovanni                       - Uno è cattivo quando le cose sono cattive con lui. (Con un tono più dolce) Ma hai fatto bene a tacermi, allora, ogni cosa. In fondo ho con­tinuato a vivere per tanti anni nell'illusione conso­lante che tu, se non eri mia, non eri nemmeno di nessun altro. Hai fatto bene e ti ringrazio.

Twinkle                         - Non fu solo per quello. Voglio essere sincera fino in fondo. Sapevo che Gino non ti sareb­be piaciuto, che ti saresti opposto con tutte le tue forze al nostro matrimonio...

Giovanni                       - (con apparente sarcasmo) Ah, perché? Volevate sposarvi?

Twinkle                         - Volevo, io. Lui diceva di si, di no, di si; ma in fondo non voleva. E quando proprio avreb­be dovuto decidersi... è stato allora che è scomparso.

Giovanni                       - E perché non voleva?

Twinkle                         - Lui non lavorava, non guadagnava. Io ero ricca. Non voleva essere mantenuto da me.

Giovanni                       - Poteva lavorare.

Twinkle                         - Non voleva lavorare. Ma a furia di in­sistere riuscii a convincerlo. Volevo che fossi tu ad aiutarlo, a trovargli un lavoro. A chi mi potevo ri­volgere se non a te? Temevo che se ti avessi detto tutto di me e di Gino, tu non avresti più fatto nulla per lui.

Giovanni                       - (si alza sdegnato, per un momento. Poi torna a sedersi, abbraccia Twinkle, e dolcemente) Mi conosci molto male, Twinkle.

Twinkle                         - Scusami.

Giovanni                       - Non devi scusarti. Anzi: mi credevi più buono, più semplice di quello che sono.

Twinkle                         - Se ti può consolare... io e Gino non andavamo poi tanto d'accordo. Abbiamo avuto gior­ni di felicità assoluta, fuori del mondo e dalla vita... ma poi litigavamo sempre.

Giovanni                       - Perché?

Twinkle                         - Aveva, non una, ma due, tre, quattro donne, in ogni città dove andavamo... ognuna era un caso patetico, disperato... Gino non poteva avvicina­re una donna senza sconvolgerne la vita, senza sen­tirsi responsabile di quella vita...

Giovanni                       - Vuoi dire irresponsabile.

Twinkle                         - No, no. Bisogna capirlo com'è, a me diceva tutto.

Giovanni                       - Come gli volevi bene!

Twinkle                         - Come gliene voglio, vuoi dire. Allora lo odiavo, per questo. La gelosia mi accecava. Se Gino è fuggito, se se n'è andato per sempre da me, se per vent'anni ha condotto una vita miserabile, mantenuto da due prostitute, se è un rottame la col­pa è mia, esclusivamente mia. Perché non avrò pace finché non lo avrò ritrovato.

Giovanni                       - Adesso accusi te stessa!

Twinkle                         - Ero tanto gelosa. La gelosia mi ren­deva sciocca. Preferivo la felicità delle briciole e ri­schiavo cosi di perdere l'intero banchetto. Perché noi eravamo fatti l'uno per l'altra, questo l'ho sem­pre saputo.

Giovanni                       - (afferrandole una mano) Twinkle, Twinkle, sei proprio onesta con te stessa dicendo e pensando che egli ti amava?

Twinkle                         - Si. Perché quando era con me era fe­lice. Non ho nessun dubbio.

Giovanni                       - Ma allora perché è fuggito da una fi­nestra in un modo cosi... insolito?

Twinkle                         - Tu dovevi arrivare da un momento all'altro. Lui forse sapeva bene come tu lo giudicavi, sapeva che gli avresti offerto un lavoro... pensò sem­plicemente di evitare l'incontro, restare nascosto qualche giorno e niente più...

Giovanni                       - E poi? Sono passati vent'anni, Twinkle.

Twinkle                         - Poi... deve essere successo qualche co­sa. Qualche cosa che ancora non so.

Giovanni                       - Che cosa, Twinkle? Che cosa?

Twinkle                         - Sarà la prima domanda che gli farò, appena lo vedo. (Giovanni la guarda stupito, come uno che rinuncia a capire. Una pausa. Poi Giovanni si alza, pensieroso per andarsene. Si avvicina alla fi­nestra dello studio. Fuori, si vede, attraverso i vetri, la pioggia che cade nel buio notturno)

Giovanni                       - E tardi, devo andare. (Si volta e vede Twinkle nello stesso atteggiamento, immobile, e per consolarla le dice) Fra qualche giorno, vedrai, Gino sarà qui, al mio posto e cucinerai per lui.

Twinkle                         - Per tutti e due!

Giovanni                       - Io partirò quando lo avrai ritrovato.

Twinkle                         - Oh, no! (Si alza, gli si butta addosso, e stringendosi a lui scoppia in lacrime. Piangendo) Ti prego, ti prego, non andar via, non lasciarmi sola stasera. (Gli afferra le mani) Sono due notti che non dormo, da quando so che Gino è vivo. Resta qui, so­no cosi agitata, non so più quello che mi può ac­cadere.

Giovanni                       - (mette un braccio sulle spalle di Twinkle, le accarezza i capelli) Sta' calma, sta' calma, resterò. (Si vedono i due di spalle contro il vetro della finestra. Fuori piove sempre. Il vetro è tutto rigato di pioggia)

STANZA DEGLI OSPITI

Si vede il vetro della finestra rigato di pioggia, poi la macchina si sposta e si scopre al centro di una specie di alcova il letto. Alle spalle, sulla destra un uscio comunica con il bagno; di lato, un altro uscio con la stanza di Twinkle. Giovanni è in piedi, solo, di spalle, davanti al vetro a guardare la piog­gia. Poi si volta. Con un gesto stanco si toglie la giacca e l'appoggia sulla spalliera di una sedia. Poi si toglie la cravatta, e, guardandosi intorno, il suo occhio cade sopra un album di fotografie che è po­sato sopra un comò. Distrattamente comincia a sfo­gliarlo. La macchina adesso inquadra in P.P. ad una ad una, le fotografìe dell'album, con sotto, scritte in inchiostro bianco, le date, i luoghi, le occasioni. So­no fotografie di venti anni prima, l'epoca dell'amore tra Twinkle e Gino. E infatti si vedono loro due in diversi atteggiamenti sullo sfondo di città italiane. Twinkle appare giovanissima, vestita alla moda degli anni venti; in ogni fotografia la si vede in adora­zione di Petrucci, che è il tipo di italiano già de­scritto. Sotto una fotografia fatta a Pisa è scritto: PISA, 23 MAGGIO 1926. Nella foto si vede Twinkle e Gino, e vicino a loro una bella ragazza italiana che li guarda sorridente. Altre foto scorrono rapidamen­te, sempre di Twinkle e Gino: a Milano, a Firenze, a Venezia, adesso sempre in P.P. l'album si chiude. Rapida dissolvenza su Giovanni nel letto addormen­tato, la stanza immersa nel buio. Tutte le immagini prima viste chiaramente nell'album, adesso scorro­no ossessive e confuse come sono sognate da Gio­vanni. Di nuovo la macchina inquadra il vetro della finestra che si vede, come prima, rigato di pioggia. Poi uno stacco sullo stesso vetro, rischiarato dalle prime incerte luci dell'alba. Si sente il rumore di una porta che viene dischiusa. La macchina inqua­dra adesso la porta che si apre e Twinkle che entra silenziosamente e si ferma ai piedi del letto dove dorme Giovanni. È completamente vestita, col pale­tot, la borsa, il cappellino con la veletta: i suoi oc­chi scintillano con una espressione quasi folle. Ha in mano un thermos. Adesso vediamo Giovanni che si desta di soprassalto, e appoggiandosi a un gomi­to, la guarda.

Giovanni                       - (spaventato) Che c'è Twinkle?

Twinkle                         - Scusami, se ti ho svegliato. Sono ve­nuta per lasciarti sul comodino un biglietto e il ther­mos col caffè caldo. Devo uscire.

Giovanni                       - Dove vai? Sei matta? A quest'ora? Che ora è?

Twinkle                         - Saranno le sei.

Giovanni                       - Vuoi dirmi dove vai?

Twinkle                         - Vado là. Non ho potuto chiudere oc­chio tutta la notte. Sono sicura che a quest'ora lo trovo.

Giovanni                       - Ma non puoi uscire a quest'ora!

Twinkle                         - Ho capito che è l'unica cosa logica da fare. Andar là quando non si aspettano la mia visita e sorprendere Gino. Il cuore mi dice che Gino in questo momento è là.

Giovanni                       - Aspettami, ti accompagno. Una strada di Londra, deserta, all'alba. P.P. dello sportello di un taxi che si apre. Ne scendono Twin­kle e Giovanni, Giovanni paga l'autista. Poi Twinkle e Giovanni visti di spalle, che procedono per la stra­da dove abita miss Warwich. Stacco su tre donne, davanti alla porta di una villetta, che chiacchierano, ma non si sentono le loro parole. Sono evidentemen­te donne che fanno le pulizie a ore negli uffici e nelle case. Si capisce da come sono vestite, dalle scope e i secchi che hanno in mano. Una di queste si volta verso la strada e domanda:

Prima donna                  - Cercate qualcuno? (Adesso vedia­mo Twinkle e Giovanni che si avvicinano al gruppo)

Twinkle                         - Si.

Prima donna                  - Chi cercate?

Giovanni                       - Scusate, in questa casa, al numero 3, abita miss Warwich, non è vero?

Prima donna                  - Si.

Giovanni                       - E nessun altro?

Prima donna                  - Si, c'è anche una sua amica.

Giovanni                       - Miss Magdalena Clarens?

Prima donna                  - Non so come si chiami, ma ci sta anche una sua amica. (Adesso interviene un'altra donna; grassa, con naso rosso)

Seconda donna             - Ma si, ma si, è quella che dice lui.

Giovanni                       - E non ci sta anche un signore?

Prima donna                  - Un signore?

Giovanni                       - Si, un uomo.

Seconda donna             - No, un uomo no.

Twinkle                         - Forse non ci abita, ma viene spesso qui. Non lo conoscete?

Prima donna                  - Cosa vuole, mia cara signora, ne vengono tanti di uomini, qui, a tutte le ore, è un po' difficile conoscerli, tutti.

Giovanni                       - Ma questo che cerchiamo è diverso dagli altri. È un italiano. (Le tre donne tacciono e si guardano l'un l'altra, poi la prima donna domanda)

Prima donna                  - Avete detto un italiano?

Giovanni                       - Si, perché?

Prima donna                  - Un uomo magro, bruno?

Twinkle                         - (trepidante) Si.

Prima donna                  - Con i baffi e una piccola barba a punta?

Terza donna                  - Un pittore?

Seconda donna             - Il signor Gino, insomma?

Twinkle                         - (impaziente) Si, si, lui. Il signor Gino Petrucci. Lo conoscete dunque! Dov'è?

Prima donna                  - (un po' titubante) Eh, mia cara si­gnora, dov'è... Non è più qui. Se n'è andato.

Twinkle                         - Dove?

Prima donna                  - Siete sua parente?

Twinkle                         - Non io. Questo signore è italiano, è suo parente. Sapreste dirci dov'è andato?

Terza donna                  - (intervenendo) È morto.

Twinkle                         - (impietrita) Morto.

Prima donna                  - Morto da più di due anni. (Twinkle barcolla, Giovanni la sorregge) Mi rincresce, cara si­gnora. Avete detto che era parente suo.

Giovanni                       - La signora era molto affezionata a quell'italiano. Siete proprio sicura che sia morto?

Seconda donna             - Eh, ero qui quando l'hanno por­tato via.

Terza donna                  - Anch'io c'ero.

Prima donna                  - Anch'io.

Seconda donna             - È stato molto malato per due o tre mesi. Un brav'uomo, il signor Gino, simpatico, al­legro, cantava sempre, finché stava bene. Lo si sen­tiva dalla strada.

Twinkle                         - (con voce spenta) Grazie. (Appoggian­dosi al braccio di Giovanni) Andiamo, ora.

STUDIO IN CASA DI TWINKLE

Abbozzo del quadro della finestra in P. P. quindi la macchina inquadra Twinkle che malinconicamente lo guarda.

Voce di Giovanni         - (che narra) È vero che per vent'anni Twinkle non aveva mai cessato di sperare; ma, intanto, s'era abituata anche alla rassegnata al­ternativa che Gino potesse essere morto. Quando, nello spazio di una settimana, essa ebbe ritrovata la calma di questa rassegnazione, decidemmo di tornare da miss Warwich. Telefonai prima, per evitare altre scene e inutili tentativi di mistificazione: dissi che, ormai, sapevamo della morte di Petrucci, e veniva­mo con lo scopo di trattare l'acquisto del famoso quadro.

STANZA DI MISS WARWICH

Down e Magdalena, vestite quasi a lutto, siedono su un sofà. Di fronte a loro sul divano Twinkle e Gio­vanni. Dawn e Magdalena si danno da fare intorno a un servizio da tè, posato sul tavolino tra i due diva­ni. Frattanto parlano, e la conversazione, che non si sente, viene riferita indirettamente dalla voce che narra.

Voce di Giovanni         - (che narra) Dawn e Magdalena ci ricevettero meste e compunte, abbigliate per l'oc­casione, quasi a lutto. Si affrettano a spiegarci con molte parole perché ci avessero mentito, nasconden­do la morte del loro amico. Lo avevano fatto, disse­ro, "per abitudine". Anni e anni, mentre Gino era vivo, si erano abituate a nasconderlo. E cosi, quan­do Twinkle e io eravamo apparsi e avevamo fatto il suo nome, la prima istintiva reazione di Magdalena era stata quella di negare. Poi, ammisero, l'estrema povertà in cui erano ridotte le aveva spinte a sfrut­tare la situazione, e ingannarci. Ma in fondo non fu, spiegarono, un inganno cosi basso: perché fingendo a noi che Gino fosse ancora in vita, se ne illudevano un poco esse stesse e si consolavano della loro soli­tudine.

Dawn                            - (con un sospiro) È stato l'unico uomo che mi abbia veramente amata.

Magdalena                    - (con voce sommessa) Anche me.

Dawn                            - (si volge di scatto verso Magdalena) Tu taci. Non puoi dire questo.

Magdalena                    - Perché no?

Dawn                            - Perché lui non ti avrebbe mai guardata se tu fossi stata leale verso di me... se tu non lo aves­si sedotto.

Magdalena                    - Non è vero! Non te l'ho mai detto; ma se vuoi proprio saperlo te lo dico adesso, e chiedo scusa a questi signori. È successo tutto in un colpo, quella volta che sei stata a Polperro per il week­end con Peter...

Dawn                            - Bugiarda! Gino era andato via prima di me, era partito la mattina, era andato a Manchester a passare due giorni da quel suo amico italiano il gelataio!

Magdalena                    - Aveva finto di partire. Il pomeriggio è tornato, e con i denari che gli avevi dato per il viaggio siamo andati a Soho e abbiamo fatto un meraviglioso pranzo italiano. Aveva preparato tutto.

Dawn                            - Se è vero quello che dici, è segno che eri d'accordo. È tornato indietro perché era sicuro di trovarti.

Magdalena                    - Cosa vuoi, io non sono stata mai bel­la come te, non avevo conoscenze che mi invitavano per il week-end in Cornovaglia... (Twinkle si alza esa­sperata)

Giovanni                       - (per troncare il litigio si rivolge a Dawn) Scusate, s'è fatto tardi, noi abbiamo fretta. Se avete altri disegni e abbozzi di Petrucci vorremmo ac­quistarli.

Dawn                            - Non c'è molto. Aspettate, ora vi faccio vedere. (Si alza ed esce dalla stanza. Rientra subito dopo, portando pochi album polverosi, che posa sul tavolino) È tutto quello che ho. (Giovanni e Twinkle cominciano a sfogliare gli album coi disegni di Pe­trucci. Ad un tratto tra gli album si scopre un picco­lo quaderno. Giovanni lo prende e sta per aprirlo quando Dawn glielo strappa di mano) Questo no, non sono disegni, è scritto, tutto scritto in italiano, non vi può interessare.

Twinkle                         - No, anzi ci interessa moltissimo. Fa­temi vedere. (Fa per afferrare il quaderno)

Dawn                            - (si stringe il quaderno al grosso petto) Prego. Tutto quanto apparteneva a Gino è ora mio, e ne posso fare quello che voglio. Il nostro accordo riguardava soltanto pitture e disegni. Qui non ci so­no che parole scritte.

Twinkle                         - (implorante) Fatemi almeno vedere.

Dawn                            - È un diario che Gino, tre anni prima di morire, scrisse in italiano per una persona di sua co­noscenza: il mio dovere è quello di tenerlo e di con­segnarlo soltanto a quella persona. Twinkle                    - Chi è quella persona?

Dawn                            - Il nome è qui sulla copertina: Twinkle. Per Twinkle, c'è scritto.

Twinkle                         - (gridando) Ma sono io, Twinkle!

68

 Giovanni                      - Glielo può dare, signora, Twinkle è proprio lei!

Dawn                            - Mi dispiace molto ma voi non siete la si­gnorina Ruth Cumnings?

Twinkle                         - Ruth Cumnings è il mio nome, ma tutti i miei amici mi chiamano Twinkle.

Dawn                            - (ha un lieve sorriso di trionfo e tenendo il quaderno sul seno tra le piccole e belle mani) Può essere, ma io che prova ne ho?

Twinkle                         - (supplicando, avanza verso di lei con gli occhi piccoli, quasi chiusi dalla rabbia e pieni di lacrime) Guardatemi allora, guardate i miei occhi. Non vedete come scin-til-la-no? Ecco perché i miei amici mi hanno chiamata Twinkle: scintilla.

Dawn                            - (calma, padrona di sé) Mi dispiace, ma non sono della vostra opinione. I miei occhi scintil­lano molto più dei vostri. Guardateli: non vedete come scintillano? Ma anche quelli di Magdalena scin­tillano! (E indica a Twinkle Magdalena, che dal suo angolo ha seguito la scena ridendo e ora strizza il viso in minutissime rughe dietro il fumo della siga­retta) Anche quelli di Magdalena, per fare un altro esempio, scintillano più dei vostri. (Una pausa)

Twinkle                         - (rimane un attimo offesa, interdetta, stu­pita. Poi si fa forza, afferra il pacco dei disegni, e di scatto, aspra, risponde) Grazie tante! Spero di non incontrarvi mai più! (Cosi dicendo esce dalla stanza di colpo. Dawn e Giovanni rimangono a guar­darsi)

Giovanni                       - (sdegnato tira fuori il portafoglio e alcuni biglietti) Eccovi il compenso pattuito.

Dawn                            - (sorridendo) Voi certo penserete che io sia molto venale?

Giovanni                       - Si, perché?

Dawn                            - E che io abbia fatto una cattiva azione verso la memoria di Gino?... Eccovi il quaderno, è vostro. Non glielo avrei mai consegnato se non vi avessi sentito chiamare la vostra amica col suo in­giustificato nomignolo.

Giovanni                       - (sorpreso) Ma allora perché non lo avete consegnato a lei stessa? L'avreste fatta cosi fe­lice!

Dawn                            - (si stringe la vestaglia di seta alla cintura, e offrendo l'altra mano a Giovanni, con improvvisa civetteria, in un gesto di congedo) Chissà! Può darsi che la lettura di quanto è scritto in quel qua­derno non sia poi per lei cosi piacevole. (La macchi­na adesso inquadra in P. P. il quaderno passato nelle mani di Giovanni. Sul quaderno una veduta di Fi­renze disegnata a penna, con in primo piano il ponte di S. Trinità. Sotto l'arco del ponte; con un fregio, è scritto a stampatello: per twinkle il suo gino. Lon­dra, novembre 1939)

STUDIO IN CASA DI TWINKLE

Twinkle è seduta sull'ampia poltrona di cuoio. Alla sua destra un tavolino con un lume. B assorta nella lettura del quaderno. Si vede che la lettura la turba profondamente, i suoi occhi sono pieni di lacrime, e spesso le lacrime le confondono la scrittura, che appare a tratti davanti al video come dietro un velo tremolante. Mentre lei legge si sente la voce del narratore che ora non è più il commendatore ma lo stesso Gino Petrucci.

Voce di Gino Petrucci  - (che ripete le parole scritte nel quaderno) Quando tu, mia unica, mia adorata, mia per sempre Twinkle, quando tu leggerai queste righe non so dove io sarò, come sarò, se sarò ancora in vita. Sono passati più di dieci anni dall'ultimo giorno che ci siamo visti, e da quel giorno io temo che tu non abbia più saputo nulla di me. Non ho fatto nulla per rivederti. Non la mia volontà, il de­stino doveva farci incontrare. Ma il destino finora non l'ha voluto. Sono il fu Mattia Pascal. Non ho più nome né stato civile. Lavoro per conto mio in casa, in questa casa, dove sono ospite di due signore. Sono ammalato. Se potessi parlarti, se potessi rac­contarti per filo e per segno come ciò è accaduto, non ti arrabbieresti... Non l'ho fatto apposta, lo sa­prai. Non ho mai fatto niente apposta, in vita mia. Figurati una cosa cosi grossa come questa: scomparire! Ecco come avvenne. più. Da quel momento rimasi sempre in quella casa...

 

 LA STANZA DELLA VECCHIA CASA DI TWINKLE, CON LA FINESTRA SUI TETTI

Adesso si vede in P. P. una mano con una matita che abbozza su un foglietto lo schizzo della veduta della finestra. La macchina arretra e si vede la fine­stra vera, di spalle Petrucci che ha finito il disegno. Dietro di lui Twinkle - giovanissima - sta prepa­rando dei toasts, perché tra poco verrà Giovanni Pre­moli a prendere il tè. Petrucci la guarda un attimo, poi salta dal davanzale della finestra, sul tetto sot­tostante.

Voce di Petrucci           - Saltai dalla finestra del tuo ap­partamento su quel tetto basso, soltanto per impa­zienza. Mi dava fastidio vederti preparare con tanta cura e cosi poca abilità quei toasts imburrati per il commendatore che doveva venire a prendere il tè, per il negriero che mi avrebbe dato lavoro e mi avreb­be messo la testa a posto. (Dal riquadro della fine­stra si vede Petrucci passeggiare tra tegole e comi­gnoli. Si allontana un po', poi ritorna indietro, come indeciso, e sempre restando sul tetto, guarda nella stanza dove Twinkle è sempre intenta nel suo la­voro: imburra i toasts, come descritto dalla voce narrante di Petrucci) Mi allontanai per fare una pas-seggiatina poi tornai indietro, una due volte, per ve­dere se avevi finito. Ogni volta speravo di vederti senza toasts in una mano e senza il coltellino nell'altra. Ma eri lentissima, impacciata, meticolosa. Ti cascava un toast, pestavi il piede: damnì dicevi e prendevi, e prendevi il toast che era caduto con un tovagliolino di carta e lo mettevi da parte, non sul piatto dove c'erano gli altri preparati, ma su uno scaffale, e lo nascondevi dietro un libro. (Paesaggio di tetti e comignoli. Adesso si vede di nuovo Petrucci allontanarsi tra tetti e comignoli...) Ogni volta, an­dando in su e in giù, facevo una passeggiatina più lunga, ogni volta più lunghetta. Lo spettacolo che a ogni passo si apriva innanzi a me m'incuriosiva co­me quello di una giungla vergine o di un labirinto magico. Ah! Tu ricordi la tua finestra, quindi potrai immaginarti benissimo ciò che vedevo. (Petrucci ora è seduto, e contempla affascinato, tetti e comignoli. Sta cosi per un attimo immobile, poi stira le braccia felice e si sdraia sul dorso guardando il cielo) Mi ero ormai allontanato talmente dalla tua finestra che anche voltandomi indietro non la vedevo più, e mi ero accorto, al solo pensiero del commendatore, che io ero, cosi, con tutti i miei guai e coi litigi con te, esenza soldi, e nessuna voglia di lavorare, nessuna speranza di averne, totalmente felice. (Petrucci si rialza, lo rivediamo perduto nel paesaggio dei tetti e dei comignoli come in un labirinto) Non so, non ricordo quanto tempo camminai e sostai tra quei co­mignoli, per quei tetti, in quel silenzio sovrumano che era formato dal continuo fuso, lontano ed inav­vertibile rumorio degli autobus e della città. Per ora, mi dicevo, continuiamo cosi. Tornerò più tardi da Twinkle, si capisce tornerò quando il commendatore se ne sarà andato... Ad un certo momento vidi una finestrina nascosta da una scaletta di ferro, appena sotto di me, e da quella finestrina una donna con una gran chioma di capelli rossi che si affacciava, mi guardava fissa, seria, poi con un cenno della mano mi indicò la via per raggiungere con un salto il tetto at­tiguo, arrivare alla sua finestra ed entrare nella ca­sa. (Petrucci vede sotto di lui, come descritto, la fi­nestra, e da quella finestra Down, più bella e più giovane, naturalmente, che gli fa cenno di saltare sul tetto vicino. Vediamo Petrucci che salta e finalmente arriva alla finestra. Lui e la Down scompaiono nell'interno della casa) L'uscita non me l'insegnò mai

 STUDIO IN CASA DI TWINKLE

Si vede di nuovo Twinkle seduta sulla sua poltro­na di cuoio a leggere il manoscritto. E di nuovo le righe si confondono per le lacrime che riempiono gli occhi di Twinkle. Lentamente la macchina si allon­tana fino a dissolvere sulle ultime parole della voce narrante.

Voce di Petrucci           - (che continua a narrare, più ca­rezzevole adesso) In questi ultimi tempi sono ma­lato abbastanza seriamente. Molte notti della mia malattia con la febbre forte sono solo in casa. E pen­so a te, mia dolcissima, a te che non mi avresti la­sciato solo. Le mie due amiche non possono, non bisogna accusarle poverette. L'unico conforto è per me mormorare continuamente il tuo nome con la cer­tezza che tu mi ami sempre. Dove sei Twinkle? Che cosa fai? Mi hai dimenticato? M'as-tu oublié? Mon amour, mon amour, m'aimes-tu encore?

UNA STANZA D'ALBERGO

Il commendator Giovanni Premoli sta facendo le valigie. Mentre è intento a questa operazione, la macchina si avvicina a lui e lo inquadra a mezzo bu­sto. Giovanni si rivolge direttamente agli ascoltatori.

Giovanni                       - Mi aveva spinto a dare il quaderno a Twinkle il pensiero che un ricordo, anche offensivo, di persona amata e perduta, è sempre caro... (Ha un'esaltazione) Me ne tratteneva un filo delicato di speranza; che Twinkle, leggendo il manoscritto, a-vrebbe capito finalmente chi fosse Gino Petrucci, e si sarebbe, seppure cosi tardi, rivolta verso di me. Twinkle avrebbe finalmente capito. Avrebbe accetta­to di sposarmi. Sarebbe venuta con me a Milano. in fondo mi ripugnava di convincerla cosi. E invece le cose sono andate diversamente. Era mezzanotte, e stavo prendendo sonno, quando il telefono accanto al mio letto squillò. Era Twinkle. (Un telefono in P. P. squilla ripetutamente. Giovanni, a letto, assonna­to, prende il ricevitore)

STUDIO IN CASA DI TWINKLE

Poi si vede in P. P. col quaderno tra le mani, Twin­kle che parla e piange e ride, con parole sconnesse, tra commosse, confortate e quasi deliranti.

Twinkle                         - Grazie, grazie caro... Tu non puoi capire la gioia che mi hai data consegnandomi quel quader­no... sei davvero mio grande amico... Ora muoio con­tenta... So che Gino mi amava... che non ha mai cessato di amarmi e di pensare a me... te lo dicevo io... lo sape­vo... lo sentivo... ma ora lo so proprio, lo so meglio... d'ora innanzi finché vivrò, ogni giorno leggerò alme­no una volta tutte le sue parole... e sei tu che mi hai dato questa gioia... io ti ringrazio. Iddio ti benedica, caro!...

STANZA D'ALBERGO

Di nuovo Giovanni, mentre prepara le valigie, ri­volto agli ascoltatori.

Giovanni                       - Io non rispondevo nulla. La lasciavo dire. E mi chiedevo se essa avesse capito e lo amasse cosi, o se invece non avesse capito niente. Ci ho ri­pensato, poi, parecchie volte, ma sono rimasto sem­pre nel dubbio. Che cos'è l'amore? (Una pausa. Gio­vanni riprende a riempire le valigie. Il suo lavoro è terminato. Adesso chiude le valigie. Suona un campa­nello, entra un fattorino dell'albergo e le prende. Gio­vanni lo segue e scompare dalla porta) Anche questa storia finiva come doveva finire. Di li a pochi giorni, anticipando sulla data che avevo stabilita, ripartii per l'Italia, e Twinkle non era con me, naturalmente.

 

FINE