La meteora

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LA METEORA

LA METEORA

di

Friedrich Dürrenmatt

Titolo originale:

Der Meteor

Traduzione di Aloisio Rendi

Casa Editrice: Einaudi Anno: 1975

Per Leonard Steckel Persone Wolfgang Schwitter, Premio Nobel Olga, sua moglie Jochen, suo figlio Carl Koppe, il suo editore Friedrich Georgen, critico celebre Hugo Nyffenschwander, pittore Auguste, sua moglie Emanuel Lutz, parroco Il grande Muheim, imprenditore Professor Schlatter, chirurgo La signora Nomsen, donna d'affari Glauser, portiere Maggiore Friedli, dell'Esercito della Salvezza Schafroth, ispettore di polizia Critici, editori, poliziotti, soldati dell'Esercito della Salvezza 

ATTO PRIMO

Uno studio di pittore, ammobiliato. A sinistra, in fondo, una nicchia con un lucernario inclinato e finestre a ribalta: dietro si vedono case popolari e il cielo è d'estate, il giorno piú lungo dell'anno, alle quattro e mezzo del pomeriggio, regna un caldo opprimente. Davanti alla nicchia un cavalletto, nella nicchia scaffali con colori, pennelli, stoviglie, ecc. A destra della nicchia una porta, l'unica che dà accesso allo studio, l'unica via perciò per entrare in scena. Alla parete sinistra, davanti, un vecchio cassettone; sopra, è appeso un nudo femminile. Alla parete destra un letto, disposto parallelamente alla ribalta, con due vecchie sedie a sinistra e a destra della testata. Dietro al letto un paravento, sopra il paravento un altro nudo femminile. Altri nudi femminili pendono o sono appoggiati in giro. In mezzo allo studio una stufa di ferro che serve al tempo stesso da fornello, con una canna fumaria spettacolare che si dirama sopra la stufa, per poi correre, dopo alcuni giri complicati, lungo la parete destra, nella quale scompare. Alle pareti sono anche tese delle corde, da cui pendono dei pannolini. A sinistra, accanto alla stufa, un vecchio seggiolone sconquassato, poi un vecchio tavolo rotondo, un po' storto, poi una sedia. Al cavalletto, il pittore Nyffenschwander, con la camicia aperta sul petto e una sigaretta tra le labbra, sta dipingendo un nudo femminile. La modella, Auguste Nyffenschwander, sua moglie, è sdraiata sul letto, nuda, volgendo le spalle al pubblico. Si sente bussare.

NYFFENSCHWANDER      - Avanti. (La porta si apre. Entra Schwitter. Non è rasato. Indossa un lussuosa cappotto di pelliccia malgrado il caldo atroce. Porta con sé due valigie rigonfie. Sotto il braccio sinistro ha due enormi candele. Si guarda intorno attentamente.

NYFFENSCHWANDER      - continua a dipingere) Desidera? (Silenzio). Non muoverti, Auguste! (Nota Schwitter) Ma lei... lei è...

SCHWITTER                         Sí, lo sono, Wolfgang Schwitter. (Si guarda intorno un'altra volta) Immutato.

NYFFENSCHWANDER      - Ma scusi, lei è, volevo dire, scusi tanto... (Spegne la sigaretta, imbarazzato).

SCHWITTER                         Lei voleva dire che stavo tirando le cuoia.

NYFFENSCHWANDER      - Ma, signor Schwitter...

SCHWITTER                         Niente ma. è perfettamente esatto. Potrebbe aiutarmi, con le candele...

NYFFENSCHWANDER      - Ma certo, signor Schwitter. (Gli prende le candele di sotto il braccio) Le sue valigie...

SCHWITTER                         Non si azzardi!

NYFFENSCHWANDER      - Scusi tanto, signor Schwitter.

SCHWITTER                         Posso chiederle di chiuder la finestra? è una bella estate, un'estate come ve ne son poche, e per giunta il giorno piú lungo dell'anno, ma io ho freddo.

NYFFENSCHWANDER      - Naturalmente, signor Schwitter. (Chiude la finestra e poi la porta).

SCHWITTER                         I giornali son pieni di scene commoventi. Il Premio Nobel in clinica, il Premio Nobel sotto la tenda a ossigeno, il Premio Nobel sul tavolo operatorio, il Premio Nobel in coma. La mia malattia è un avvenimento internazionale, la mia agonia un affare di stato, ma io me la sono svignata. Ho preso un autobus ed eccomi qui. (Barcolla) Bisogna che mi sieda. Lo sforzo... (Si siede su una valigia).

NYFFENSCHWANDER      - Posso...

SCHWITTER                         Non mi tocchi. Un moribondo è meglio lasciarlo stare. (Guarda fisso la donna) Che strano. Si è coscienti che la morte arriva tra pochi minuti, e tutto a un tratto ci si ritrova davanti a una donna nuda, si han dinanzi agli occhi cosce dorate, un ventre dorato, dei seni dorati...

NYFFENSCHWANDER      - Mia moglie.

SCHWITTER                         - Una bella donna. Per Dio, potessi abbracciare ancora una volta un corpo come questo. (Si alza di nuovo in piedi).

NYFFENSCHWANDER      - Auguste, vestiti! La donna scompare dietro il paravento in fondo a destra.

SCHWITTER                         Sono in stato euforico, mio caro... come si chiama?

NYFFENSCHWANDER      - NYFFENSCHWANDER. Hugo NYFFENSCHWANDER.

SCHWITTER                         - Mai sentito. (Guarda di nuovo in giro) Quarant'anni fa ci vivevo io, qui dentro, e dipingevo anch'io. Poi ho dato fuoco ai miei quadri e ho cominciato a scrivere. (Si siede nel seggiolone) Sempre lo stesso insopportabile e traballante seggiolone. (Rantola).

NYFFENSCHWANDER      - (spaventato) Signor Schwitter!

SCHWITTER                         - Ci siamo.

NYFFENSCHWANDER      - Auguste! Dell'acqua!

SCHWITTER                         - Morire non è una cosa tragica.

NYFFENSCHWANDER      - Spicciati!

SCHWITTER                         - Finisce subito.

NYFFENSCHWANDER      - Dovrebbe tornare in clinica, signor Schwitter.

SCHWITTER                         - Sciocchezze. (Tira un profondo respiro) Vorrei affittare lo studio.

NYFFENSCHWANDER      - Lo studio?

SCHWITTER                         - Per dieci minuti. Vorrei morire qui dentro.

NYFFENSCHWANDER      - Qui dentro?

SCHWITTER                         - Perdio, è per questo motivo che sono arrivato fin qui, dopo tutto.

AUGUSTE                             - (vestita, viene con un bicchier d'acqua) Ecco l'acqua, signor Schwitter.

SCHWITTER                         - Non bevo mai acqua. (La guarda fisso) Anche vestita lei è una bella donna. Me ne vuole se la chiamo Auguste?

AUGUSTE                             - Ma no, signor Schwitter.

SCHWITTER                         - Se non fossi in punto di morte, farei di lei la mia amante. Mi scusi se dico ciò, ma di fronte all'eternità...

AUGUSTE                             - Ma naturalmente, signor Schwitter.

SCHWITTER                         - Le gambe già non me le sento piú. Sa, NYFFENSCHWANDER morire è una gran cosa, bisogna che anche lei provi, una volta o l'altra! Che pensieri vengono in mente, che inibizioni spariscono, che rivelazioni si hanno! è veramente straordinario. Ma ora basta: non voglio disturbarvi piú oltre. Voi due mi lasciate solo per un quarto d'ora, e al vostro ritorno sarò bell'e morto. (Mette la mano nella tasca del cappotto, dà una banconota a NYFFENSCHWANDER) Ecco cento.

NYFFENSCHWANDER      - Molte grazie, signor Schwitter.

SCHWITTER                         - Squattrinato?

NYFFENSCHWANDER      - Eh già, sa, come rivoluzionario dell'arte...

SCHWITTER                         - Anche a me le cose andavano male, quando vivevo qui. A un pittore senza talento che butta via i pennelli per diventare scrittore non c'è un cane che voglia far credito. Ho dovuto tirare avanti a forza di furfanterie, caro NYFFENSCHWANDER, di furfanterie... (Apre il cappotto di pelliccia) Ho difficoltà a respirare.

NYFFENSCHWANDER      - Forse è meglio chiamare la clinica...

SCHWITTER                         - Bisogna che mi metta a letto.

AUGUSTE                             - Le cambio le lenzuola, signor Schwitter.

SCHWITTER                         - E perché mai? Morirò tra le sue lenzuola, Auguste, ancora calde del suo corpo! (Si alza. Posa sul tavolo un'altra banconota) Altri cento. Cosí vicini alla fine si diventa generosi. (Tira fuori di tasca i manoscritti e li porge a NYFFENSCHWANDER) I miei ultimi manoscritti.

NYFFENSCHWANDER      - Devo consegnarli al suo edit...?

SCHWITTER                         - Nella stufa!

NYFFENSCHWANDER      - Come vuole, signor Schwitter. (Li ficca nella stufa).

SCHWITTER                         - Ci dia fuoco!

NYFFENSCHWANDER      - Come vuole, signor Schwitter. (Accende. SCHWITTER si toglie il cappotto di pelliccia, lo posa accuratamente sul seggiolone, si toglie le scarpe che dispone accuratamente accanto al seggiolone, resta in pigiama con i piedi fasciati). Ecco che brucia.

SCHWITTER                         - Ora mi stendo sul letto. è questione di minuti, ormai. (AUGUSTE fa per sorreggerlo). Mi lasci stare, Auguste. Negli ultimi istanti della mia vita vorrei pensare a cose piú importanti di una bella donna. (Si avvia verso il letto) Vorrei non pensare a niente. (Si stende sul letto) Vorrei solo spegnermi serenamente. (Se ne sta immobile, steso sul letto) Il mio vecchio letto. Sempre lo stesso indistruttibile materasso. Anche nel soffitto, sempre la stessa crepa, e quell'orribile tubo della stufa conserva ancora la sua direzione di un tempo. Auguste!

AUGUSTE                             - Sí, signor Schwitter?

SCHWITTER                         - Mi copra.

AUGUSTE                             - Sí, signor Schwitter. (Lo copre).

SCHWITTER                         - Sistemi le candele, NYFFENSCHWANDER! Un po' di solennità ci vuol sempre con la morte. Quando scocca l'ultima ora si è tutti un po' romantici.

NYFFENSCHWANDER      - Volentieri, signor Schwitter. (Dispone le candele sulle due vecchie sedie accanto al letto).

SGHWITTER                         - Le accenda!

NYFFENSCHWANDER      - Subito, signor Schwitter. (Accende le candele).

SCHWITTER                         - Accosti i tendaggi, Auguste.

AUGUSTE                             - Sí, signor Schwitter. (Accosta i tendaggi neri della finestra). Lo studio è al buio, illuminato solo dalle candele.

NYFFENSCHWANDER      - è soddisfatto?

SCHWITTER                         - Soddisfattissimo.

AUGUSTE                             - Sembra quasi Natale... (Il pittore e la moglie formano un gruppo assorto. Silenzio. SCHWITTER giace immobile. I due si curvano su di lui). Hugo...

NYFFENSCHWANDER      - Sí, Auguste?

AUGUSTE                             - Non respira piú.

NYFFENSCHWANDER     - è bell'e partito.

AUGUSTE                             - Dio mio!

NYFFENSCHWANDER      - Definitivamente.

AUGUSTE                             - E che facciamo, ora?

NYFFENSCHWANDER      - Non lo so.

AUGUSTE                             - Hugo...

NYFFENSCHWANDER      - Sí, Auguste?

AUGUSTE                             - Sta aprendo gli occhi.

NYFFENSCHWANDER      - Che?

SCHWITTER                         - (a bassa voce) Tutti questi nudi. Ma non dipinge altro che sua moglie nuda?

NYFFENSCHWANDER      - Io dipingo la vita, signor Schwitter.

SCHWITTER                         - Accidenti! è mai possibile dipingerla, la vita?

NYFFENSCHWANDER      - Io ci provo, signor Schwitter.

SCHWITTER                         - Andate, ora.

AUGUSTE                             - Subito, signor Schwitter. Porto fuori le gemelline...

SCHWITTER                         - Gemelline?

AUGUSTE                             - Sí, Rita e Irma. Han sei mesi.

SCHWITTER                         - Le lasci pure qui.

AUGUSTE                             - Ma, e i pannolini?...

SCHWITTER                         - Non dànno fastidio.

AUGUSTE                             - Stanno ancora gocciolando.

SCHWITTER                         - Non fa niente.

NYFFENSCHWANDER      - Vieni, Auguste.

AUGUSTE                             - Signor Schwitter, se ha bisogno di me, sono qui fuori.

SCHWITTER                         - Lei è meravigliosa, Auguste.

AUGUSTE                             - Sí, signor Schwitter.

SCHWITTER                         - le fa un debole cenno d'addio. I due vanno verso la porta.

SCHWITTER                         - NYFFENSCHWANDER.

NYFFENSCHWANDER      - Sí, signor Schwitter?

SCHWITTER                         - Lei rassomiglia a un ministro belga.

NYFFENSCHWANDER      - (confuso) Sí, signor Schwitter. I due escono dallo studio.

SCHWITTER                         - è solo. Giace immobile con le mani giunte. E quando già si penserebbe che sia morto, salta giú dal letto in pigiama, apre una delle valigie e comincia, in ginocchio, a ficcarne il contenuto nella stufa. Entra il parroco Emanuel Lutz. Di aspetto benevolo, quasi infantile, ansimante. Quarantenne, esile, biondo, occhiali cerchiati d'oro, abito nero, ha in mano un cappello nero a larghe falde.

LUTZ                                      - Signor Schwitter! Gran Dio!

SCHWITTER                         - Fuori di qui!

LUTZ                                      - Lodato sia il Dio degli eserciti!

SCHWITTER                         - Non ho bisogno di sermoni.

LUTZ                                      - Lei è vivo!

SCHWITTER                         - Fili via immediatamente.

LUTZ                                      - Sono il parroco Emanuel LUTZ della parrocchia di San Giacomo, e vengo direttamente dalla clinica.

SCHWITTER                         - Non ho bisogno di ecclesiastici. (Fa di nuovo fuoco nella stufa).

LUTZ                                      - Sua moglie mi aveva fatto chiamare al suo capezzale.

SCHWITTER                         - C'era da immaginarselo.

LUTZ                                      - Ero imbarazzato, come può immaginarsi. Lei è un poeta di fama mondiale, ed io un semplice parroco, senza rapporti con la letteratura moderna.

SCHWITTER                         - La stufa tira, finalmente. (Sfrugaglia nella stufa).

LUTZ                                      - Posso esserle utile in qualche cosa?

SCHWITTER                         - Se volesse passarmi quelle carte lí...

LUTZ                                      - Ma certo, con piacere. (Posa il cappello sul tavolo, s'inginocchia anche lui, e gli porge le carte dalla valigia) Lei giaceva sul letto, privo di sensi, e io recitavo il novantesimo salmo: « Signore Iddio, tu sei in tutto e per tutto la nostra salvazione... »

SCHWITTER                         - Ecco, sta bruciando.

LUTZ                                      - « Tu che fai morire gli uomini e dici: tornate, figli degli uomini! » Ma che caldo che fa! (Si asciuga il sudore).

SCHWITTER                         - Una bella vampata.

AUGUSTE                             - (dalla porta guarda dentro) Signor Schwitter?

SCHWITTER                         - Sono ancora vivo.

AUGUSTE                             - Sí, signor Schwitter. (Scompare di nuovo).

LUTZ                                      - (porgendo altri pacchi) Ecco.

SCHWITTER                         - Quel che mi sorprende è che lei sia riuscito a scovarmi.

LUTZ                                      - è stato grazie alla capo infermiera. Lei aveva espresso nei vaneggiamenti della febbre il desiderio di tornare al suo vecchio studio (Sconcertato) Ma, signor Schwitter...

SCHWITTER                         - Che c'è?

LUTZ                                      - Ma queste... queste... ma sono banconote, quelle che noi...

SCHWITTER                         - Ebbene?

LUTZ                                      - Biglietti da mille!

SCHWITTER                         - Precisamente.

LUTZ                                      - Un patrimonio.

SCHWITTER                         - Un milione e mezzo.

LUTZ                                      - (sconvolto) Un milione e mezzo?

SCHWITTER                         - Tutto guadagnato con la mia penna.

LUTZ                                      - Un milione e mezzo! Ma, e i suoi eredi, signor Schwitter, non ci pensa?

SCHWITTER                         - Me ne infischio.

LUTZ                                      - è una somma fantastica! Si potrebbero sfamare bambini, istruire infermiere e lei invece sta bruciando tutto.

SCHWITTER                         - Tutto in cenere.

LUTZ                                      - Ma almeno un biglietto da mille per l'assistenza ospedaliera agli indigenti...

SCHWITTER                         - Assolutamente escluso.

LUTZ                                      - O per le missioni in terra musulmana...

SCHWITTER                         - Non ci penso nemmeno. Ero povero quando vivevo in questo studio, e povero ci voglio morire. (Continua a bruciare carta).

LUTZ                                      - Morire? (Si alza in piedi) Lei?

SCHWITTER                         - Appena il mio patrimonio è andato in fumo, mi metto a letto ed esalo l'ultimo respiro.

LUTZ                                      - Ma, signor Schwitter, lei non può piú esalare l'ultimo respiro. Lei... lei è già morto, signor Schwitter.

SCHWITTER                         - Morto? (In ginocchio davanti alla stufa, guarda sbalordito il parroco).

LUTZ                                      - Mentre stavo recitando il novantesimo salmo, lei si contorse nel letto e spirò. (Silenzio. Piano) Fu molto commovente.

SCHWITTER                         - (infila altre banconote nella stufa, si alza e urla) Auguste!

AUGUSTE                             - (compare sulla porta) Signor Schwitter?

SCHWITTER                         - Cognac! Una bottiglia intera! Di corsa!

AUGUSTE                             - Sí, signor Schwitter. (Scompare).

SCHWITTER                         - Mi aiuti a infilarmi il cappotto. (Il parroco lo aiuta). Morto!

LUTZ                                      - Il Signore l'ha chiamata a sé.

SCHWITTER                         - Sciocchezze: sono svenuto, e quando ripresi i sensi giacevo solo nella stanza della clinica, col mento sorretto da una benda.

LUTZ                                      - Usa cosí coi cadaveri ancora freschi.

SCHWITTER                         - Il letto era inondato di fiori, e intorno ardevano delle candele.

LUTZ                                      - Vede dunque.

SCHWITTER                         - Mi sono fatto strada tra le corone del governo e del comitato per il Premio Nobel e mi sono recato nel mio studio: questo è tutto.

LUTZ                                      - Non è tutto.

SCHWITTER                         - è un fatto.

LUTZ                                      - è un fatto che il professor Schlatter in persona ha constatato la sua morte. Alle undici e cinquanta.

SCHWITTER                         - Una diagnosi errata.

LUTZ                                      - Il professor Schlatter è di una tale competenza...

SCHWITTER                         - Ogni competente può sbagliarsi.

LUTZ                                      - Non il professor Schlatter.

SCHWITTER                         - Ma sono ancora vivo, dopo tutto. (Si tasta involontariamente).

LUTZ                                      - Di nuovo vivo, vuol dire. Lei è risorto dal regno dei morti. Ciò e scientificamente inconfutabile. Nella clinica è esploso il caos. Il covo della miscredenza è rimasto sconvolto. Sono stordito dalla gioia. Bisogna proprio che mi sieda. Per un momentino solamente.

SCHWITTER                         - Ma prego.

LUTZ                                      - (si siede al tavolo rotondo) Deve scusarmi. Il miracolo, l'emozione, l'immediata prossimità dell'Onnipotente. Sono letteralmente fuori di me. è come se il cielo si fosse aperto, come se la sua gloria circondasse tutti noi. Se permette, mi allenterei un po' il collare...

SCHWITTER                         - Ma le pare, non faccia complimenti. (Apre l'altra valigia) Risorto! Io! Dai morti! Che burletta!

LUTZ                                      - Santo, santo è il Dio degli eserciti!

SCHWITTER                         - Ma la smetta una buona volta coi suoi versetti!

LUTZ                                      - Dio l'ha prescelto, signor Schwitter, affinché i ciechi vedano e i miscredenti credano in Lui.

SCHWITTER                         - Non è molto di buon gusto, quel che dice. (Continua a bruciare).

LUTZ                                      - Ma la sua anima...

SCHWITTER                         - Non ce l'ho, io, l'anima, non c'era il tempo di averne una. Provi lei a scrivere un lavoro teatrale all'anno e vedrà che darà congedo ben presto alla sua vita interiore. Ed ecco invece che capita qui lei, signor parroco. Va bene, è la sua professione: però... Uno è in procinto di dissolversi nei propri componenti, in acqua, grassi e minerali, e lei mi viene a tirare in ballo Dio e i miracoli. A che scopo? Perché io mi consideri uno strumento della volontà di Dio? O perché io le rinsaldi la sua fede? Voglio morire onestamente, io, senza finzioni e senza letteratura. Voglio solo sentire un'ultima volta il tempo in tutta la sua purezza, questo dolce fluire; non voglio che rivivere un minuto in tutta la sua realtà, rivivere un secondo in tutta la sua pienezza. (Si alza in piedi) Il mio patrimonio è andato in fiamme.

AUGUSTE                             - (compare sulla porta, ansimante) Il cognac, signor Schwitter.

SCHWITTER                         - Dai qua.

AUGUSTE                             - Ecco, signor Schwitter. (Gli porge la bottiglia).

SCHWITTER                         - Fuori, e alla svelta!

AUGUSTE                             - Sí, signor Schwitter. (Esce).

SCHWITTER                         - (la segue con lo sguardo) Una bella cavallona. (Si siede nel seggiolone, stappa la bottiglia, beve) Fa bene. (Prende il cappello dal tavolo e lo porge al parroco) Ecco il suo cappello.

LUTZ                                      - Grazie mille. (Prende il cappello e resta seduto).

SCHWITTER                         - è stato gentile da parte sua aiutarmi col mio milione e mezzo.

LUTZ                                      - Ma per carità, era del tutto naturale.

SCHWITTER                         - Ma adesso mi faccia il favore di squagliarsela.

LUTZ                                      - (posa di nuovo il cappello sul tavolo e resta seduto) Signor Schwitter. Io ho appena quarant'anni, ma la mia salute è molto malandata. Sono nelle mani di Dio. Inoltre dovrei già da un pezzo essere tornato in parrocchia, e la funzione della sera non è ancora preparata. Ma a un tratto mi sento cosí fiacco, cosí logoro, cosí indicibilmente stanco se solo potessi stendermi per un poco, solo un momentino...

SCHWITTER                         - Prego. (Beve) Tanto io non ce la faccio piú ad alzarmi di qui.

LUTZ                                      - L'emozione è stata troppo forte. (Va barcollando fino al letto, ci si siede sopra) Forse è meglio se mi tolgo le scarpe. (Comincia a sbottonarsi le scarpe) Un momentino solo. Fino a che la circolazione riprenda a funzionare.

SCHWITTER                         - Faccia come se fosse a casa sua. (Preme il petto con le mani) Mi si sta fermando il cuore.

LUTZ                                      - Non abbia timore.

SCHWITTER                         - Non è mica divertente, sentirsi mancare il fiato.

LUTZ                                      - Padre nostro che sei nei...

SCHWITTER                         - (sibila) La smetta di pregare!

LUTZ                                      - (spaventato) Oh, mi scusi tanto.

SCHWITTER                         - Sto morendo. (Beve) Invece della morte solenne che avevo progettato, finisco in quest'orrido seggiolone. (Beve) La compatisco, signor parroco, può dire addio alla mia risurrezione. (Ride improvvisamente) Una volta è venuto da me un parroco, e anche lui mi fece compassione. Fu quando si suicidò la mia seconda moglie, era la figlia di un grande industriale. Aveva ingoiato press'a poco mezzo chilo di sonnifero, penso. Il nostro matrimonio era stato un inferno, ma io avevo bisogno di soldi e lei ce li aveva, perciò non voglio lamentarmi, adesso. Mi faceva impazzire, col suo modo di fare. E siccome lei se ne stava lí, muta e fredda, il parroco era commosso. Arrivò quando il medico ancora stava armeggiando sul cadavere e il procuratore di Stato ancora non era comparso all'orizzonte. Era vestito di nero come lei, signor parroco, e avrà avuto all'incirca la sua età. Stava lí accanto al letto e fissava la mia defunta moglie, e piú tardi stava seduto nell'atrio. A mani giunte. Sembrava che volesse dire qualcosa, forse qualche versetto della Bibbia, ma poi finí che non disse niente e io dopo l'ottavo cognac me ne andai in camera mia e descrissi come la scolaresca di una scuola di campagna uccide a bastonate il suo giovane maestro idealista, e come un contadino passa con un trattore sopra il maestro per cancellare le tracce del delitto. Nel bel mezzo del paese. E tutti stanno a guardare. Anche il poliziotto. Era forse il miglior brano di prosa che abbia mai scritto, e quando la mattina dopo sono sceso nell'atrio, barcollante di sonno, il parroco non c'era piú. Peccato. Era un parroco inetto, incapace di aiutare. (Beve). Il parroco intanto si toglie le scarpe e si sdraia sul letto.

LUTZ                                      - Neanch'io son buono a niente. Quando predico, i miei parrocchiani si addormentano. (Rabbrividisce).

SCHWITTER                         - Può darsi che non fosse affatto un parroco. Può darsi che fosse un amante di mia moglie. Chissà, forse ha avuto un mucchio di amanti. Strano, finora non avevo mai preso in considerazione questa possibilità. (Beve).

LUTZ                                      - Fa un freddo atroce, tutt'a un tratto.

SCHWITTER                         - Anch'io ho un po' di brividi.

LUTZ                                      - Dio era vicino, e adesso è di nuovo lontano.

SCHWITTER                         - Intendevo lasciare questo mondo con una certa dignità umana, e non sono riuscito che a ubriacarmi. (Beve).

LUTZ                                      - Lei non crede alla sua risurrezione.

SCHWITTER                         - Era morte apparente.

LUTZ                                      - Lei vuole morire.

SCHWITTER                         - Devo morire. (Beve. Posa con forza la bottiglia sul tavolo e ricade nel seggiolone).

LUTZ                                      - Dio abbia misericordia di lei. (Silenzio. Congiunge le mani) Io credo nella sua risurrezione. Io credo che Dio ha compiuto un miracolo. Io credo che lei resterà in vita. Il Dio degli eserciti mi legge nel cuore. Riesce difficile predicare l'evangelo della morte sacrificale e della risurrezione di Cristo senza avere altre prove che la fede. Per gli apostoli era piú facile, sia detto con tutto il rispetto. Il Signore era tra loro. Compieva sotto i loro occhi un miracolo dopo l'altro. Guariva ciechi, storpi e lebbrosi. Camminava sulle acque e ridestava dalla morte. E dopo che il Figlio dell'Uomo fu risorto, a Tommaso, che ancora dubitava, fu concesso di porre la mano nella sua ferita. Non era certo difficile credere, in una tale situazione. Ma son passati molti secoli, da allora. Il regno celeste, che ci era stato promesso, non giungeva mai. Vivevamo nelle tenebre, e non avevamo niente cui aggrapparci, se non la nostra speranza, che sola restava ad alimentare la nostra fede. Era poco, Signore. Ma adesso Tu ti sei mosso a compassione di me. Io vedo la tua luce. Abbi ora compassione anche di coloro che non vedono la tua gloria perché il tuo continuo nasconderti li ha resi ciechi. Silenzio. La porta si apre lentamente.

AUGUSTE guarda dentro.

AUGUSTE                             - (piano) Signor Schwitter. (Silenzio. Un po' piú forte) Signor Schwitter. (Silenzio.

AUGUSTE                             - entra esitando nello studio.

NYFFENSCHWANDER      - guarda dentro. Ad alta voce) Signor Schwitter!

NYFFENSCHWANDER      - Be'?

AUGUSTE                             - Non risponde nessuno.

NYFFENSCHWANDER      - Va' un po' a vedere.

AUGUSTE va verso il seggiolone. Si curva su Schwitter. Sulla porta compare Glauser, il portiere, un tipo grasso, bonaccione, sudato.

GLAUSER                             - Be'?

NYFFENSCHWANDER      - Mia moglie sta dando un'occhiata.

GLAUSER                             - L'ho visto salire, NYFFENSCHWANDER. Mi è parso subito un tipo sospetto. Dico io, un cappotto di pelliccia con questo caldo, e due candele sotto il braccio. Avreste dovuto informare la polizia.

AUGUSTE                             - (si raddrizza) Hugo.

NYFFENSCHWANDER      - è morto?

AUGUSTE                             - Credo di sí.

NYFFENSCHWANDER      - Era ora.

GLAUSER                             - (sorpreso) Qui ce n'è un altro. (Va verso il letto) NYFFENSCHWANDER, mi meraviglio di lei.

NYFFENSCHWANDER      - Come, un altro?

AUGUSTE                             - Il parroco LUTZ!

NYFFENSCHWANDER      - Stecchito pure lui.

GLAUSER                             - Mi meraviglio, e come. Sono il portiere, sono responsabile per l'ordine qui dentro, e trovo due cadaveri estranei nel suo studio.

SCHWITTER                         - (nel seggiolone, apre gli occhi) Anche il ministro belga dipingeva nel suo tempo libero. (Si alza in piedi) Questo seggiolone è scomodo per morirci dentro.

AUGUSTE                             - Signor Schwitter... (Lo guarda con gli occhi sbarrati).

SCHWITTER                         - Mi dia una mano per andare a letto, Auguste, forza! Silenzio.

AUGUSTE                             - (imbarazzata) Non si può, signor Schwitter.

SCHWITTER                         - Perché no?

AUGUSTE                             - Perché... perché il parroco, signor Schwitter... il parroco è morto. Silenzio.

SCHWITTER                         - (va al letto, fissa cupamente il parroco) è morto davvero. (Torna al seggiolone, vi si siede di nuovo) Sgombrate il cadavere di lí. Silenzio.

GLAUSER                             - Signor Schwitter.

SCHWITTER                         - E lei chi è?

GLAUSER                             - Il portiere, signor Schwitter. Sa, bisogna prima avvertire la polizia.

SCHWITTER                         - Io sto morendo.

GLAUSER                             - I decessi riguardano le autorità.

SCHWITTER                         - Io ho un preciso diritto di stare in quel letto, e non il cadavere.

GLAUSER                             - Io rischio di perdere il posto, signor Schwitter.

SCHWITTER                         - Non me ne importa niente. Io quel letto l'ho affittato. Sono un Premio Nobel. Silenzio.

GLAUSER                             - E va bene. La responsabilità se la prende lei. Portiamo il parroco in corridoio.

NYFFENSCHWANDER      - Dai una mano anche tu, Auguste! I tre si sforzano di sollevare il cadavere, senza riuscirvi.

GLAUSER                             - Perbacco!

NYFFENSCHWANDER      - Non ce la si fa proprio.

AUGUSTE                             - è troppo pesante.

GLAUSER                             - Se potesse darci una mano anche lei, signor Schwitter.

NYFFENSCHWANDER      - In quattro ce la facciamo di sicuro. Silenzio.

SCHWITTER                         - (recisamente) Io il parroco non lo tocco.

NYFFENSCHWANDER      - E va bene.

GLAUSER                             - Allora dovremo chiamare la polizia, dopotutto...

SCHWITTER                         - Vi aiuto. (Si alza in piedi).

GLAUSER                             - Lei lo solleva laggiú insieme alla signora, signor Premio Nobel, e noi qui su. Pronti?

NYFFENSCHWANDER      - Pronti.

AUGUSTE                             - Pronti.

SCHWITTER                         - Pronti. Portano via il parroco.

AUGUSTE                             - Fate piano.

NYFFENSCHWANDER      - Calma e sangue freddo.

GLAUSER                             - Mettiamolo davanti alla porta. Lo studio resta vuoto. Poi

AUGUSTE                             - riconduce dentro Schwitter.

AUGUSTE                             - Ecco fatto, signor Schwitter. Il letto è di nuovo libero. Forse è meglio se cambio rapidamente le lenzuola?

SCHWITTER                         - No.

AUGUSTE                             - E il cappotto di pelliccia, vuol...?

SCHWITTER                         - No. (Si butta sul letto col cappotto addosso) Fuori!

AUGUSTE                             - Ma, le gemelline... dovrebbero...

SGHWITTER                         - Via!

AUGUSTE                             - Sí, signor Schwitter.

SCHWITTER                         - Auguste, lei mi piace sempre di piú.

AUGUSTE                             - Sí, signor Schwitter. (Esce).

SCHWITTER                         - (giace immobile a mani giunte. A un tratto salta giú dal letto) Questi maledetti quadri. (Rivolta il nudo sul cavalletto, poi altri quadri, sale dal seggiolone sul cassettone, cerca di rivoltare l'enorme nudo che pende sopra di esso). La porta si apre. Entra rumorosamente Muheim, un robusto ottantenne, sensale di terreni, imprenditore edile e proprietario di immobili.

MUHEIM                               - Ehi! C'è qualcuno, qui? (Vede SCHWITTER sul cassettone) Ehi! C'è un cadavere davanti alla sua porta!

SCHWITTER                         - Lo so.

MUHEIM                               - Appartiene a lei?

SCHWITTER                         - No. (Prova ancora a voltare il quadro).

MUHEIM                               - E allora come ci è arrivato, davanti alla sua porta?

SCHWITTER                         - Stava lí nel letto e ne avevo bisogno io.

MUHEIM                               - Posso umilmente chiedere una spiegazione? (Esplode) Insomma, per Dio, chi è il morto?

SCHWITTER                         - Il parroco di San Giacomo. è morto per l'emozione.

MUHEIM                               - Perbacco, potrebbe capitare anche a me.

SCHWITTER                         - No, la prego. (Scende dal cassettone) Non ce la faccio. (Va verso il letto, si sfila il cappotto, lo butta sul letto, s'infila sotto le coperte) Il grande MUHEIM, proprietario di questo schifoso casamento, di questi mobili pidocchiosi e di questo squallido letto: non ci mancava che lui, adesso.

MUHEIM                               - (sorpreso) E che, lei mi conosce?

SCHWITTER                         - Quarant'anni fa ero ridotto a vivere in questo studio con la mia prima moglie. Era gagliarda, sensuale, fulva di capelli e rozza di costumi.

MUHEIM                               - Non ricordo.

SCHWITTER                         - Eravamo poveri, grande

MUHEIM                               .

MUHEIM                               - Mia moglie era amante dell'arte non io

SCHWITTER                         - Amante degli artisti. Silenzio.

MUHEIM                               - Un momento, amico mio, un momento. (Prende la sedia che sta dietro il tavolo e si siede al centro dello studio) Che vuole insinuare con ciò?

SCHWITTER                         - Niente.

MUHEIM                               - Sputi fuori!

SCHWITTER                         - Ogni primo del mese io portavo il fitto a sua moglie, andavo a letto con lei... e mi potevo riportare via i cento. Silenzio.

MUHEIM                               - Cento.

SCHWITTER                         - Cento. Silenzio.

MUHEIM                               - Per quanto tempo?

SCHWITTER                         - Due anni.

MUHEIM                               - Ogni mese?

SCHWITTER                         - Ogni mese.

MUHEIM                               - Mia moglie è morta quindici anni fa.

SCHWITTER                         - Condoglianze.

MUHEIM                               - (si alza in piedi, va verso il cassettone, volta il quadro contro la parete) Le donne, è difficile dipingerle!

SCHWITTER                         - Anche gli altri, per favore.

MUHEIM                               - (volta in silenzio anche gli altri quadri poi urla) Ehi, dico! Sta dicendo la verità?

SCHWITTER                         - Perché dovrei mentire? Silenzio.

MUHEIM                               - E lei chi è?

SCHWITTER                         - Wolfgang Schwitter.

MUHEIM                               - (sorpreso) Il Premio Nobel?

SCHWITTER                         - Già.

MUHEIM                               - Ma il giornale radio delle dodici diceva...

SCHWITTER                         - Notizia prematura.

MUHEIM                               - Poi un'ora di musica classica.

SCHWITTER                         - Mi dispiace.

MUHEIM                               - E perché mai...?

SCHWITTER                         - Son fuggito dalla clinica per venire a morire qui.

MUHEIM                               - Per venire... (Si guarda in giro) Mi ci vuole un bicchierino. (Va al tavolo nella nicchia, ne torna con un bicchiere, si versa del cognac) Se solo tutto ciò non fosse cosí banale. (Con lo sguardo fisso nel vuoto) Ogni mese.

SCHWITTER                         - Altrimenti saremmo senz'altro morti di fame.

MUHEIM                               - E tutto per cento...

SCHWITTER                         - Lei non me li avrebbe mai condonati.

MUHEIM                               - Io non condono mai niente a nessuno. (Beve).

SCHWITTER                         - Quella strega di mia moglie scoprí tutto. E il bello è che lei mi aveva tradito con un macellaio e io avevo mangiato i migliori filetti della mia vita. (Ride) Da allora mi sono sposato altre tre volte, con donne sempre piú fini. Fu un errore, MUHEIM. Alla fine ho preso per moglie una call-girl, è stata la migliore di tutte.

MUHEIM                               - Altre tre volte. (Beve).

SCHWITTER                         - E adesso sgombri una buona volta. Sta appestando lo studio. La sua presenza mi impedisce di morire.

MUHEIM                               - E chi se ne importa. (Beve) Schwitter, io ho ottant'anni suonati.

SCHWITTER                         - Congratulazioni.

MUHEIM                               - E una salute di ferro.

SCHWITTER                         - Posso immaginarmelo.

MUHEIM                               - Ho cominciato dalla gavetta. Mio padre faceva il venditore ambulante. Mi toccava accompagnarlo nei suoi giri. Ho venduto lacci da scarpe, Schwitter! lacci da scarpe! poi sono entrato nel settore delle demolizioni, e ora ho un'impresa di costruzioni edili. Ammetto di non essere stato schizzinoso nella scelta dei mezzi. Ma dopo tutto non volevo mica fare il predicatore sociale. Adesso sono arrivato. Gli inquilini li controllo come voglio. I miei nemici han paura di me, e io ne ho molti, di nemici. Ma la mia vita privata... (Tira fuori di tasca un sigaro) Senza un matrimonio felice non si fanno affari veramente colossali, senza tenerezza non si sfonda nella vita, senza una vita interiore si è destinati al fallimento. (Fa per accendere il sigaro).

SCHWITTER                         - Non vorrà mica mettersi a fumare mentre sto morendo.

MUHEIM                               - Scusi tanto. Naturalmente. (Rimette in tasca il sigaro) E il bello è che le donne mi si buttavano addosso, ma nessuna mi ha accalappiato. Son rimasto fedele a mia moglie, anche dopo la sua morte, mi può credere, ma avrei ammazzato mia moglie se avessi saputo quel che so adesso, e anche lei, Schwitter, l'avrei... e anche adesso lo farei, se non fosse... (Si siede di nuovo) Un moribondo è intoccabile.

SCHWITTER                         - Non stia a controllarsi.

MUHEIM                               - Potrei sbranarla.

SCHWITTER                         - Sono a sua disposizione.

MUHEIM                               - Spiaccicarla.

SCHWITTER                         - Mi metta pure le mani addosso.

MUHEIM                               - Mio Dio, quante altre volte mi avrà tradito?

SCHWITTER                         - Calcoli pure qualche dozzina di amanti.

MUHEIM                               - (con gli occhi fissi nel vuoto) Doveva essere insaziabile. Entra Olga, diciannovenne, bella, vestita di nero, ansimante: è la quarta moglie di Schwitter.

SCHWITTER                         - (balza a sedere, spaventato) La call-girl. OLGA Schwitter.

SCHWITTER                         - Tutto va di traverso.

OLGA                                     - Sei vivo.

SCHWITTER                         - Sí, lo so, comincia a diventare imbarazzante.

OLGA                                     - Il parroco... fuori dalla porta...

SCHWITTER                         - Un colpo apoplettico.

OLGA                                     - Ti avevo chiuso gli occhi.

SCHWITTER                         - Molto gentile.

OLGA                                     - Composto le tue mani in preghiera.

SCHWITTER                         - Molto bello.

OLGA                                     - Sistemato i fiori e le corone.

SCHWITTER                         - Al mio risveglio ho ammirato la composizione floreale.

OLGA                                     - Ti ho baciato per l'ultimo addio.

SCHWITTER                         - Molto affettuoso. Silenzio.

OLGA                                     - Scusami se solo adesso... io... io sono svenuta, quando tu a un tratto non c'eri piú... il professor Schlatter non ha permesso che venissi subito...

SCHWITTER                         - Capisco.

OLGA                                     - Ma adesso tutto è a posto.

SCHWITTER                         - Sicuro.

OLGA                                     - Io resto accanto a te.

SCHWITTER                         - Cara

OLGA                                     , è da un anno che sono sempre sul punto di morire, e da un anno vengo sempre salvato all'ultimo momento. Sono stufo, non ci sto piú. Mi son messo in salvo qui da un'orda di medici bestioni. Voglio finalmente morire in pace, senza un termometro in bocca, senza essere collegato a ogni specie di apparecchi, senza gente che mi sta intorno. Vattene dunque! Ormai ci siamo dati l'ultimo addio già dozzine di volte; con l'andar del tempo la cosa comincia a diventare ridicola. Fammi il santo piacere, sii ragionevole e squagliatela! Addio! (Si tira il lenzuolo sopra la testa).

MUHEIM                               - (si alza in piedi) Me ne vado. (S'inchina davanti a OLGA)

MUHEIM                               . Il grande MUHEIM            . (Va verso la porta) Potrei ucciderlo, ma la morte mi è sacra. (Esce). Silenzio.

SCHWITTER                         - (mette la testa fuori del lenzuolo. Infuriato) Sei sempre qui.

OLGA                                     - Sono tua moglie.

SCHWITTER                         - La mia vedova. (Si mette a sedere) Non sopporto piú questa atmosfera di solennità. Apri i tendaggi! (Lei ubbidisce. Lo studio è di nuovo inondato di una luce violenta). Apri la finestra! (Lei ubbidisce). Le scarpe del parroco! (Scende dal letto, prende le scarpe del parroco davanti al letto e il cappello sul tavolo) Il cappello del parroco! (Butta scarpe e cappello fuori della porta) Il parroco ha lasciato qui tutto! (Sbatte la porta) Spegni quelle maledette candele! (Lei ubbidisce). Questa bigotta atmosfera tombale finirà per farmi guarire! Ho bisogno di sole per morire. Devo soffocare nel suo ardore. Devo morire riarso, disseccato. In me c'è ancora troppa vita. (Fa per sedersi sul seggiolone. Vede le sue scarpe) Le mie scarpe. Non mi servono piú neanche quelle! (Le butta dalla finestra, poi si siede sul seggiolone) Roba da matti. Finisco sempre per ritrovarmi su questo seggiolone. (Fa per bere) Vuota. (Le gemelle cominciano a strillare). Auguste!

AUGUSTE                             - (compare sulla porta) Signor Schwitter?

SCHWITTER                         - Le gemelle fan chiasso! Fuori!

AUGUSTE                             - Subito, signor Schwitter. (Porta fuori il lettino a ruote) Buona Irma, buona Rita. (Sulla porta si ferma) Vuole che le tolga anche i pannolini?

SCHWITTER                         - Fuori! E ancora del cognac! Un'altra bottiglia!

AUGUSTE                             - Sí, signor Schwitter. (Sparisce).

OLGA                                     - Hai bisogno del cappotto?

SCHWITTER                         - No.

OLGA                                     - Hai ancora dolori?

SCHWITTER                         - No.

OLGA                                     - è stato tutto un incubo. Non avrei dovuto credere ai medici.

SCHWITTER                         - Non c'erano altre alternative.

OLGA                                     - Me lo avevano già detto un anno fa, che stavi per morire.

SCHWITTER                         - Nel frattempo me ne sono accorto perfino io.

OLGA                                     - Lo hanno detto anche a tuo figlio, e lui lo ha raccontato a tutte le bariste della città. Tutti parlavano della tua morte, mentre tu ancora continuavi a sperare, e mi trattavano come se tu fossi già morto mi son saltati addosso come a una prostituta...

SCHWITTER                         - è quel che eri, dopo tutto. (Silenzio). Questa tua maledetta umiltà è intollerabile.

OLGA                                     - Perdonami!

SCHWITTER                         - Non mi dire che hai respinto qualcuno dei miei amici per un falso senso di riguardo nei miei confronti.

OLGA                                     - Li ho respinti tutti.

SCHWITTER                         - Il tuo dovere non era di essermi fedele: il tuo dovere era di dirmi la verità.

OLGA                                     - Ho avuto paura.

SCHWITTER                         - Anch'io ho avuto paura. Questa maledetta paura. Non sapevo la verità solo perché non volevo saperla, ed era la paura che me la faceva ignorare, altrimenti l'avrei indovinata. E adesso la so perché non si può piú nascondere: il mio corpo è pieno dei miasmi della decomposizione.

OLGA                                     - Ero incapace di aiutarti. Ti vedevo diventare sempre piú debole. Vedevo come i medici ti tormentavano. Non ero capace d'intervenire. Ero come paralizzata. E tutto procedeva per il suo corso, come se fosse la cosa piú normale del mondo. Stamattina ero accanto al tuo letto, mentre il prete pregava, e quando il professore si curvò su di te e ti auscultò e poi si raddrizzò e disse che eri morto, non ho neanche pianto. Sono stata coraggiosa, perché eri stato coraggioso tu. Ma adesso sei di nuovo in vita.

SCHWITTER                         - Non cominciare anche tu con questa fesseria.

OLGA                                     - (a bassa voce) Se dovessi perderti un'altra volta, non potrei piú continuare a vivere.

AUGUSTE                             - (compare sulla porta, ansimante) Il cognac signor Schwitter.

SCHWITTER                         - Era ora.

AUGUSTE                             - Sí, signor Schwitter.

SCHWITTER                         - Versa.

AUGUSTE                             - Prendo un bicchiere pul...

SCHWITTER                         - Macché!

AUGUSTE                             - Come vuole, signor Schwitter.

SCHWITTER                         - Fino all'orlo.

AUGUSTE                             - Sí, signor Schwitter.

SCHWITTER                         - E adesso sgombra, dài!

AUGUSTE                             - Sí, signor Schwitter. (Sparisce).

SCHWITTER                         - L'unico essere umano che ancora sopporto. (Beve) Taglia la corda una buona volta!

OLGA                                     - Resto.

SCHWITTER                         - Mi dài fastidio. (Beve).

OLGA                                     - Non bere tanto!

SCHWITTER                         - Una bella sbornia fa bene per crepare. Sulla porta compare il maggiore Friedli dell'Esercito della Salvezza, in divisa. Guarda SCHWITTER con gli occhi sbarrati.

FRIEDLI                                - è vivo! è vivo! è vivo! (Sparisce di nuovo).

SCHWITTER                         - Un matto.

OLGA                                     - Quell'orribile clinica, questo studio sinistro, il parroco morto... torniamocene a casa!

SCHWITTER                         - Per morire è questa la mia casa.

OLGA                                     - Non devi morire. Non so che cosa sia successo, ma tu vivrai.

SCHWITTER                         - Vivere mi disgusta. Ero spensierato, quando ho cominciato a scrivere. Non avevo per la testa altro che le mie trovate, ero continuamente sbronzo, un asociale. Poi arrivò il successo, e i premi, e le onorificenze, il denaro e il lusso. Ormai oltre alla mia prosa limavo anche le unghie. Se la mia prima moglie si era ancora concessa a un sarto per farmi avere il mio primo abito scuro, le due seguenti si concedevano soltanto problemi culturali, organizzavano la mia fama e la mia corte, mentre io sgobbavo per diventare definitivamente un classico. Il Premio Nobel fu l'ultima mazzata. Uno scrittore che viene accettato trionfalmente dalla nostra società è corrotto per sempre. Perciò ho rimediato te. Per rabbia. (Beve) Per rabbia con me stesso, per rabbia col mondo. Ero un vecchio che voleva ribellarsi per l'ultima volta. Sei stata maledettamente brava. Per un paio di settimane mi hai rimesso su, è stata una cosa veramente magnifica, poi son finito con un tonfo sul cataletto. è finita. Puoi sgombrare e fare i bagagli. Hai imparato il mestiere piú onesto che ci sia, sei stata la piú bella e piú brava call-girl della città, ora fammi il piacere e torna alla tua vecchia professione! Col nostro matrimonio sei diventata famosa, il tuo ritratto è su tutti i giornali, le fotografie nude di te son salite di prezzo, le tue tariffe vanno alle stelle. Tu sei il dono che lascio in eredità alla cittadinanza. Cesare ha trasmesso i suoi giardini al popolo romano, io lascio una puttana! Jochen Schwitter, trentacinquenne, entra nello studio.

JOCHEN                                - Papà! Ma guarda un po'! Risuscitato.

OLGA                                     - (in tono di rimprovero) JOCHEN!

JOCHEN                                - Ciao, matrignuccia, lieto di rivederti.

SCHWITTER                         - Che cerchi qui?

JOCHEN                                - (in tono di superiorità) Il mio milione e mezzo.

SCHWITTER                         - Il tuo?

JOCHEN                                - Io sono l'erede.

SCHWITTER                         - è possibile.

JOCHEN                                - Per legge.

SCHWITTER                         - Devi saperlo, dopo tutto.

JOCHEN                                - Non per nulla ho studiato un anno giurisprudenza all'università.

SCHWITTER                         - Complimenti.

JOCHEN                                - Dunque? Dove sono i soldi?

SCHWITTER                         - In banca.

JOCHEN                                - Bugia. (Silenzio). Vergognati; sul letto di morte. (Silenzio). Vengo dalla banca. Hai fatto portare il denaro in clinica, e adesso non c'è piú neanche lí. (Silenzio). Non te l'aspettavi, eh?

SCHWITTER                         - Sei stato svelto.

JOCHEN                                - Mia madre per merito tuo ci ha rimesso la pelle, e io per merito tuo divento milionario.

SCHWITTER                         - Davvero?

JOCHEN                                - (tira fuori una sigaretta) Davvero.

OLGA                                     - JOCHEN, non puoi fumare qui dentro.

JOCHEN                                - Non te la prendere, matrignuccia: il tuo ometto lo sopporterà benissimo. (Accende la sigaretta) Dunque, dov'è la grana? (Soffia il fumo in faccia a Schwitter).

SCHWITTER                         - Nelle valigie. (Beve).

JOCHEN                                - Vedi che cominci a ubbidire buono buono. (Posa una valigia sul tavolo) Non è chiusa. Imprudente da parte tua, caro il mio milionario. (Apre, sorpreso) Vuota. (Prende l'altra valigia, l'apre) Vuota. (Fissa Schwitter).

SCHWITTER                         - La bottiglia pure. (Posa la bottiglia sul tavolo).

JOCHEN                                - (duramente) E va bene. Vuoi una lotta senza esclusione di colpi. è stata la tua sgualdrinella che ha fatto sparire il mio milione e mezzo.

SCHWITTER                         - Secondo te.

JOCHEN                                - Secondo me.

SCHWITTER                         - Se fossi in te darei un'occhiata nella stufa.

JOCHEN                                - (s'inginocchia davanti alla stufa e l'apre. Silenzio. A bassa voce) Carta bruciata.

SCHWITTER                         - I miei ultimi manoscritti e il mio milione e mezzo.

JOCHEN                                - Cenere. (Fruga furiosamente nella stufa).

SCHWITTER                         - Ora vado a morire definitivamente. (Si alza in piedi, fa alcuni passi come di danza) è straordinario. Sono in forma addirittura eccellente.

JOCHEN                                - Soltanto un po' di brace.

NYFFENSCHWANDER      - (dalla porta guarda dentro) Signor Schwitter.

SCHWITTER                         - Sono completamente sbronzo.

NYFFENSCHWANDER      - La polizia ha già portato via il parroco.

SCHWITTER                         - Pulizia! (Salta sul letto, strappa giú i pannolini) Via coi pannolini! Via! Via! Mi fanno pensare alla vita, ad accoppiamenti, a grembi che partoriscono! Via con questi stracci! Sono stufo del loro puzzo umido, di pipí e di culetti di bambini! Voglio putrefazione, aria di tomba, odore di eternità! (Tira giú altri pannolini, poi si siede maestosamente sul letto, come un Budda).

JOCHEN                                - Bruciato. (Si alza con le mani piene di cenere) Un milione e mezzo.

SCHWITTER                         - Han fatto un bel focherello.

JOCHEN                                - E perché li hai bruciati?

SCHWITTER                         - Non lo so.

JOCHEN                                - Un motivo devi pure averlo avuto.

SCHWITTER                         - Per capriccio.

JOCHEN                                - Ma io son pieno di debiti.

SCHWITTER                         - Già, le puttane d'alto bordo costano care.

JOCHEN                                - Capisco. (Silenzio). Un colpo geniale. Io, sul tuo patrimonio ci avevo contato.

SCHWITTER                         - Una speculazione sbagliata.

JOCHEN                                - Tu non arrivi neanche a odiarmi. Non te ne importa niente di me, ecco tutto. E cosí non t'importa niente neanche se vado all'inferno.

SCHWITTER                         - Anch'io sto andando all'inferno.

JOCHEN                                - Sei inumano.

SCHWITTER                         - Morire è inumano.

JOCHEN                                - E allora muori una buona volta! (Va verso la porta) Fammi questo piacere! Sii buono, vecchio mio, per la prima volta in vita tua! Sbrigati a morire! Solo allora potrò finalmente vivere, quando tu non ci sarai piú. E diventerò un tipo in gamba, te lo garantisco, veramente in gamba.

SCHWITTER                         - Vattene, adesso.

JOCHEN                                - A bere. (Ride) Per il resto, mi rimangono sempre i diritti d'autore. (Sparisce).

SCHWITTER                         - (fissa OLGA) Sei ancora qui?

OLGA                                     - Me ne vado.

SCHWITTER                         - Sono stato forse... (Riflette) Ero molto...?

OLGA                                     - Due bottiglie di cognac.

SCHWITTER                         - (tutto allegro) Mica male. (Contempla OLGA pensosamente) Sono stato sgradevole?

OLGA                                     - No.

SCHWITTER                         - Dunque sono stato sgradevole. (Silenzio). Perché sto morendo.

OLGA                                     - Perché sei di nuovo in vita.

SCHWITTER                         - Devi trovarti una sistemazione, piccina mia. (Ride) Il mio patrimonio è andato in fumo.

OLGA                                     - Non ti preoccupare. Ho qualcosa da parte.

SCHWITTER                         - Posso immaginarmelo. (Ride) Siamo stati bene insieme, piccina, per qualche settimana.

OLGA                                     - Oh sí.

SCHWITTER                         - Abbiamo riso a crepapelle.

OLGA                                     - E come!

SCHWITTER                         - Abbiamo bevuto come spugne.

OLGA                                     - Sicuro!

SCHWITTER                         - Abbiamo fatto all'amore da far tremare il pavimento.

OLGA                                     - è stato meraviglioso, stare con te. (Esce).

SCHWITTER giace come morto.

AUGUSTE                             - (guarda dentro dalla porta) Signor Schwitter. (Silenzio; piú forte) Signor Schwitter!

SCHWITTER                         - Auguste. (Guarda verso la finestra).

AUGUSTE                             - I pannolini sono in terra.

SCHWITTER                         - Mi dispiace.

AUGUSTE                             - Non fa niente, signor Schwitter. (Tira fuori un cesto da dietro il paravento e raccoglie i pannolini) Ha una bella moglie, signor Schwitter.

SCHWITTER                         - L'avevo.

AUGUSTE                             - Scendeva le scale e piangeva.

SCHWITTER                         - Ha diciannove anni.

AUGUSTE                             - Posso farle una domanda, signor Schwitter?

SCHWITTER                         - Domanda pure.

AUGUSTE                             - Hugo, di talento per fare il pittore, non ne ha mica molto, vero?

SCHWITTER                         - No.

AUGUSTE                             - (posa il cesto sul tavolo) I pannolini li ho raccolti.

SCHWITTER                         - Chiudi a chiave la porta! Spicciati!

AUGUSTE                             - Sí, signor Schwitter. (Chiude a chiave la porta) L'ho chiusa a chiave.

SCHWITTER                         - (guarda sempre verso la finestra) Tira le tende!

AUGUSTE                             - Sí, signor Schwitter. (Ubbidisce).

SCHWITTER                         - Vieni qui!

AUGUSTE                             - Sí, signor Schwitter. (Va tranquillamente verso di lui).

NYFFENSCHWANDER      - (di fuori, comincia a premere la maniglia della porta) Auguste!

SCHWITTER                         - Piú vicino.

AUGUSTE                             - Sí, signor Schwitter.

NYFFENSCHWANDER      - (bussa) Auguste, apri!

SCHWITTER                         - Ho freddo.

AUGUSTE                             - Vuole il cappotto di pelliccia?

SCHWITTER                         - Spogliati!

AUGUSTE                             - Sí, signor Schwitter.

NYFFENSCHWANDER      - (dando pugni contro la porta) Apri Auguste, apri!

SCHWITTER                         - Vieni qui a letto da me!

AUGUSTE                             - Sí, signor Schwitter. (Si spoglia).

NYFFENSCHWANDER      - (bussa alla porta e la scuote) Apri! Apri!

ATTO SECONDO

Lo studio di NYFFENSCHWANDER           , un'ora dopo. Sul letto, tra fiori e corone, Schwitter, finalmente defunto. Intorno al letto diversi signori in abito nero, tra cui l'illustre critico Friedrich Georgen. A sinistra, seduto sul seggiolone, Carl Conrad Koppe, l'editore di Schwitter, sessantacinquenne, glabro, elegante. Nello sfondo

NYFFENSCHWANDER e GLAUSER. Auguste, dapprima accanto al letto funebre, viene spinta verso il fondo dai nuovi arrivi. Nella stanza vagano inoltre alcuni giornalisti, che fotografano col flash. Le tende davanti alla nicchia son di nuovo accostate, le candele son di nuovo accese.

GEORGEN                            - Amici. Wolfgang SCHWITTER è morto. Tutta la nazione, anzi l'umanità intera, è oggi in lutto insieme a noi; essa infatti è adesso piú povera per la perdita di un uomo che l'aveva resa piú ricca. La sua spoglia mortale giace su questo letto, sotto queste corone. Dopodomani verrà portata alla sua tomba con la pompa solenne che si confà a chi fu insignito del Premio Nobel. Ma noialtri, i suoi amici, dobbiamo essere piú modesti nel nostro lutto, piú quieti e rassegnati. Non lodi gratuite, non ammirazione indiscriminata dobbiamo tributargli, bensí farci guidare da amore e conoscenza. Soltanto cosí potremo rendere giustizia a questo grande morto. Egli ha cessato di soffrire. La sua morte è stata commovente, il fatto che ci troviamo nel suo vecchio studio è un indizio significativo. Non era il suo spirito, ma la sua vitalità che si difendeva. Egli, che rifiutava la tragedia, ebbe in sorte una fine tragica. In questa cupa luce dobbiamo vederlo, forse per la prima volta con brutale chiarezza, come l'ultimo disperato in un'epoca che si accinge a superare la disperazione. Per lui non esisteva altro che la nuda realtà. Ma proprio per questo era assetato di giustizia, anelante alla fratellanza. Invano. Solo chi crede a un senso luminoso insito nelle cose cupe riconosce come inevitabile l'ingiustizia che anche esiste nel mondo, cessa l'inutile lotta, trova la sua conciliazione. SCHWITTER restò inconciliabile. Gli mancava la fede, e perciò gli mancava anche la fede nell'umanità. Era un moralista per nichilismo. Restò un ribelle, un ribelle nel nulla. La sua opera era l'espressione di una situazione interiore priva di alternative, non una immagine della realtà; è il suo teatro, e non la realtà, che è grottesco. Questo è il suo limite. SCHWITTER restò soggettivo, sia pure in maniera grandiosa; la sua arte non guariva, feriva soltanto. Noi però, che lo amiamo e che ammiriamo la sua arte, dobbiamo ormai superarla, affinché essa ci sia un gradino necessario per l'accettazione incondizionata di un mondo che il nostro povero amico negava e nella cui sublime armonia egli adesso è stato accolto.

KOPPE                                   - (si alza e stringe la mano a Georgen) La ringrazio, Friedrich Georgen. Gli altri signori si inchinano dinanzi al letto funebre e si allontanano, fra un lampeggiare continuo di flashes.

GEORGEN                            - Lei è il suo editore, KOPPE. Le mie condoglianze. (S'inchina).

KOPPE                                   - Il suo discorso apparirà sul giornale di domattina?

GEORGEN                            - Già stasera.

KOPPE                                   - Farà un effettone. « Era un moralista per nichilismo. Un ribelle nel nulla. è il suo teatro, e non la realtà, che è grottesco ». Brillante come formulazione e feroce nel concetto.

GEORGEN                            - Non feroce nell'intenzione, KOPPE.

KOPPE                                   - Ferocissimo nell'intenzione, Georgen. (Gli posa una mano sulla spalla) Lei è stato di una sfacciataggine grandiosa. Mi ha sbranato devotamente il povero SCHWITTER sul suo letto di morte. Veramente spettacolare. Letterariamente, lui è ormai finito; ancora un'edizione completa su carta di riso ed è bell'e dimenticato. Peccato. Era piú sincero di quel che lei creda ah, e un'altra cosa, detto fra noi: con tutto il rispetto per le sue profonde elucubrazioni, di per sé il suo discorso era tutto una balla, caro Georgen.

SCHWITTER                         - non era mai disperato, bastava mettergli sotto il naso una cotoletta e un buon vinello, ed era felice. Andiamocene. Questo posto è orribile. Devo chiamare a raccolta la famiglia di Schwitter: ho la vaga sensazione che dev'essere successo qualcosa di sgradevole. I due escono, e anche i giornalisti. Auguste, NYFFENSCHWANDER e il portiere restano.

GLAUSER                             - E anche questa è fatta. Aria! (Apre i tendaggi e la finestra, fuori è sempre giorno, una luce accecante; poi spegne le candele) Quanto le hanno dato per la sua morte, NYFFENSCHWANDER?

NYFFENSCHWANDER      - Duecento, e poi venti l'editore.

GLAUSER                             - Che spilorceria. Arrivederci, signora Auguste. Tra poco lo studio sarà di nuovo in ordine. Con questo caldo, i cadaveri li portano via subito. (Esce).

NYFFENSCHWANDER      - (rivolta di nuovo i quadri) Che impertinenza! Voltati contro il muro, come se fossi un principiante! Per una volta che critici ed editori salgono su da me, ci vengono a guardare un cadavere e dei miei quadri non han visto niente. Dopo che uno ha lavorato per anni... (Sale sul cassettone per rivoltare il quadro che pende lí sopra, si ferma improvvisamente) Auguste! (Fissa il letto funebre) Spogliati! Ti dipingerò davanti al letto funebre. La morte e la vita. Un corpo fragrante e corone da morto!

AUGUSTE                             - No.

NYFFENSCHWANDER      - Auguste... (La guarda sbalordito).

AUGUSTE                             - (con calma) Non voglio.

NYFFENSCHWANDER      - (si siede sul cassettone, sconvolto) Auguste, è la prima volta che ti rifiuti di farmi da modella.

AUGUSTE                             - Basta. Silenzio.

NYFFENSCHWANDER      - Ma la vita, Auguste, io voglio solo rappresentare la vita, questa vita indicibile, possente, grandiosa...

AUGUSTE                             - Lo so.

NYFFENSCHWANDER      - (impaurito) Auguste, ho bussato alla porta per mezz'ora e tu non aprivi.

AUGUSTE                             - Lo so.

NYFFENSCHWANDER      - La porta era chiusa a chiave.

AUGUSTE                             - Lo so.

NYFFENSCHWANDER      - E quando finalmente hai aperto la porta, lui era morto.

AUGUSTE                             - (con tono indifferente) è morto nelle mie braccia, e dovevo rivestirmi. (Guarda fisso il cadavere) Sono andata a letto con lui, prima che morisse. Silenzio.

NYFFENSCHWANDER      - Ma... (Resta sul cassettone, confuso).

AUGUSTE                             - Sono fiera d'essere stata la sua ultima amante. (Comincia a raccogliere la sua roba).

NYFFENSCHWANDER      - Non potevi fare una cosa simile, Auguste, non potevi!

AUGUSTE                             - E invece l'ho fatto.

NYFFENSCHWANDER      - Con un moribondo!

AUGUSTE                             - Era un uomo.

NYFFENSCHWANDER      - Ma non ti vergogni?

AUGUSTE                             - No.

NYFFENSCHWANDER      - (urla) Ma io volevo soltanto rappresentare la vita!

AUGUSTE                             - Ne ho abbastanza della tua pittura.

NYFFENSCHWANDER      - Ma tu credevi in me, eri la sola in tutto il mondo a credere in me, eravamo uniti in tutte le difficoltà.

AUGUSTE                             - Per te non ero altro che un modello. (Si alza in piedi) Tra noi tutto è finito.

NYFFENSCHWANDER      - (sempre seduto sul cassettone, incapace di muoversi) Ma è impossibile!

AUGUSTE                             - Me ne vado.

NYFFENSCHWANDER      - E le nostre bambine?

AUGUSTE                             - Le prendo con me. (Si ferma per un momento davanti al letto funebre).

NYFFENSCHWANDER      - Non può essere, Auguste!

AUGUSTE                             - Addio. (Esce).

NYFFENSCHWANDER      - Auguste! (Martella di pugni il cassettone) Torna qui, Auguste! Ti perdono! (Silenzio). Ma è pazzesco, Auguste! Non puoi mica abbandonarmi! E per un morto!

SCHWITTER                         - si solleva sul letto. Sontuosa camicia funebre. Benda intorno al mento. Una corona funebre intorno al collo. Si toglie la benda.

SCHWITTER                         - Il letto non sta al posto giusto. (Contempla lo studio).

NYFFENSCHWANDER      - Lei... lei... (Guarda

SCHWITTER                         - con gli occhi sbarrati).

SCHWITTER                         - Il letto stava lí dove adesso sta il tavolo, e il tavolo stava dove ora si trova il letto. (Mette le gambe fuori del letto) è per questo che non riesco mai a morire. (Si sfila la corona sopra la testa) Sempre corone funebri. Mi rotolano dietro. (Scende dal letto) Al lavoro, il letto va spostato laggiú. (Nyffenschwander è ancora seduto sul cassettone, sconvolto). Prima però scostiamo il tavolo e la sedia...

NYFFENSCHWANDER      - (disperato) Lei è andato a letto con mia moglie!

SCHWITTER                         - Anche il ministro belga è andato a letto con la mia terza moglie.

NYFFENSCHWANDER      - Ma che c'entro io con questo suo ministro belga?

SCHWITTER                         - Gli rassomiglia. Forza, sollevi! (Porta il tavolo verso il fondo).

NYFFENSCHWANDER      - (aiutandolo automaticamente) La sua morte era solo un pretesto! (

SCHWITTER                         - gli indica il seggiolone) Un inganno raffinato! (Porta il seggiolone verso il fondo) Una perfida commedia! Una trappola diabolica!

SCHWITTER                         - Acchiappi! (Gli passa a volo la sedia) E adesso il letto.

NYFFENSCHWANDER      - Ha distrutto il mio matrimonio!

SCHWITTER                         - (va alla testata del letto) Lei tira davanti e io spingo di dietro.

NYFFENSCHWANDER      - Mia moglie mi ha abbandonato!

SCHWITTER                         - E che importanza ha?

NYFFENSCHWANDER      - Per me ne ha, d'importanza!

SCHWITTER                         - Senta, NYFFENSCHWANDER, vorrei averli io i suoi guai. Eccomi qui che muoio incessantemente, che aspetto da un minuto all'altro in un caldo bestiale una dignitosa partenza per l'aldilà e mi dispero perché non funziona mai perfettamente... ed ecco che lei mi viene a lamentarsi per una banalità.

NYFFENSCHWANDER      - (furioso) Io non muoio! (Butta una corona sul letto).

SCHWITTER                         - E io sí, invece. (Butta una corona sul letto).

NYFFENSCHWANDER      - Sul letto di morte non si seducono donne, si prega.

SCHWITTER                         - Se c'è uno qui dentro che dovrebbe pregare, è lei, NYFFENSCHWANDER: pregare di essere liberato dalla sua pittura. Ma li guardi un po', i suoi quadri. Mi hanno disgustato per tutto il pomeriggio, impedendomi di morire. Lei vuole raffigurare la vita e poi scarabocchia ritratti di sua moglie che fanno arrossire dalla vergogna.

NYFFENSCHWANDER      - Io mia moglie la dipingo come la vedo io!

SCHWITTER                         - Allora lei dev'essere di una cecità colossale! Sua moglie, caro NYFFENSCHWANDER!, io l'ho vista, nuda, quando sono entrato nello studio e poi quando è venuta a letto da me. Volontariamente. Di seduzione, neanche una traccia. Si è concessa per umanità, per un estro grandioso. Sentiva di che cosa ha bisogno un moribondo. Mi aiuti a spingere laggiú il letto. (Spinge il letto, NYFFENSCHWANDER tira). Sua moglie era tra le mie braccia. Tremava, si contorceva, si avvinghiava a me, urlava. Ecco la vita: e nei suoi quadri non c'è niente di tutto ciò. Tiri, tiri ancora, NYFFENSCHWANDE. Ecco. Il letto sta al suo posto. Adesso bisogna portare là il tavolo. (Portano il tavolo dall'altra parte). Lei spreca il suo tempo, a imbrattare tele.

NYFFENSCHWANDER      - La mia arte mi è sacra.

SCHWITTER                         - Solo per gl'incapaci l'arte è sacra. Lei si è fissato su una teoria perché non sa dipingere. Sua moglie era morta nelle sue braccia come lo era nei suoi quadri. Sua moglie ha fatto bene ad abbandonarla. Ora il seggiolone. Portano il seggiolone avanti a destra.

NYFFENSCHWANDER      - Potrei sbranarla!

SCHWITTER                         - Sono a sua disposizione.

NYFFENSCHWANDER      - Spiaccicarla!

SCHWITTER                         - Mi metta pure le mani addosso. (Gli passa a volo la sedia) L'acchiappi! (Si guarda intorno) Il mio studio. Ora è di nuovo quello di un tempo. Posso finalmente morire. In pace, con dignità, nella massima concentrazione spirituale. (Va a letto, si sdraia sulle corone) La colpa era tutta dei mobili. è magnifico, NYFFENSCHWANDER! La morte mi corre addosso a precipizio come una locomotiva, l'eternità mi fischia nelle orecchie, universi ululano e si scontrano, il tutto un colossale incidente...

NYFFENSCHWANDER      - Morire! Lei vuol sempre morire e non muore mai! (Fuori di sé, va verso il fondo e torna con l'attizzatoio) Preghi!

SCHWITTER                         - Non ci penso neppure.

NYFFENSCHWANDER      - è la resa dei conti.

SCHWITTER                         - Faccia pure.

NYFFENSCHWANDER      - La uccido.

SCHWITTER                         - Sto morendo in ogni caso.

NYFFENSCHWANDER      - Le spacco la testa.

SCHWITTER                         - Non ho proprio niente in contrario.

Entra il grande MUHEIM.

MUHEIM                               - (con voce di tuono) Via le mani da un moribondo!

NYFFENSCHWANDER      - è andato a letto con mia moglie, mentre io ero fuori a picchiare contro la porta!

MUHEIM                               - (con calma) Dia qui. (NYFFENSCHWANDER, ubbidiente, gli dà l'attizzatoio). Io solo ho il diritto di uccidere Schwitter. (Getta l'attizzatoio verso il fondo) Ma io non l'uccido. (Prende NYFFENSCHWANDER per i risvolti della giacca e lo spinge man mano fuori della porta aperta. Sempre parlando con calma) Lui si è presa sua moglie mentre lei stava di fuori a picchiare contro la porta. Non ha dunque bisogno di farsi delle illusioni. Ma io me ne son fatte, d'illusioni. Per quarant'anni, io, il grande MUHEIM, il colosso dell'edilizia, e l'ho quasi seguita nella tomba quando è morta.

NYFFENSCHWANDER      - Signor MUHEIM!

MUHEIM                               - Io l'ho amata. Lei non sa che cosa vuol dire, ma io lo so, coi miei ottant'anni.

NYFFENSCHWANDER      - Signor MUHEIM!

MUHEIM                               - La vita è lotta, potere, vittoria, umiliazione e delitto. Ho dovuto spesso infangarmi, la lotta di concorrenza non conosce pietà, è il piú farabutto che vince, e io ero sempre il piú farabutto, e riuscivo ad esserlo solo perché c'era qualcuno che amavo, pazzamente, fino all'eccesso, qualcuno per cui valeva la pena di trascinarsi nel fango... e adesso salta fuori che è stato tutto una menzogna. Lo sa che cosa sono? Sono un buffone!

NYFFENSCHWANDER      - Ma no, signor MUHEIM, ma che dice?

MUHEIM                               - Perché non ride di me? Rida dunque! Rida!

NYFFENSCHWANDER      - Ma certo, signor MUHEIM            , certo che rido...

MUHEIM                               - E adesso arriva lei col suo orgoglio di artista offeso, e vuole vendicarsi!

NYFFENSCHWANDER      - Signor MUHEIM    ...

MUHEIM                               - Questo però il grande MUHEIM non lo tollera, lei si sbaglia di grosso; il grande MUHEIM non si lascia prendere in giro. Lei è soltanto offeso nella sua vanità, mentre io sono distrutto, eliminato, schiacciato, deriso, coperto di fango!

NYFFENSCHWANDER      - Signor MUHEIM!

MUHEIM                               - Giú, lei!

NYFFENSCHWANDER      - Aiuto! Signor MUHEIM! Aiuto!

MUHEIM                               - Giú! (Fracasso. Un urlo. Silenzio.

MUHEIM                               - rientra lentamente, ansimando. La porta resta aperta). Ho sbattuto quella cimice giú per le scale. (Si apre il colletto) Fa un caldo da cani.

SCHWITTER                         - (scende di nuovo dal letto) C'è ancora qualcosa che non va. (Prende una corona) Butti le corone fuori della porta. (La passa a volo a MUHEIM) Dal Pen Club.

MUHEIM                               - (l'afferra a volo) Alla cimice. (Butta la corona fuori dalla porta).

SCHWITTER                         - Dal governo: «La patria riconoscente al suO grande figlio». (Passa a MUHEIM altre corone, che questi butta fuori della porta). Dal sindaco, dal Comitato per il Premio Nobel, dall'Unesco, dall'Associazione degli Scrittori, dal Teatro Nazionale, dalla Lega degli Editori, dalla Cooperativa del Teatro, dai produttori cinematografici, dai circoli del libro.

MUHEIM                               - Sgombrato via tutto.

SCHWITTER                         - (si guarda in giro) Il letto... piú contro la parete... (Sposta il letto).

MUHEIM                               - Anche i quadri, li voglio di nuovo... (Volta i quadri verso il muro).

SCHWITTER                         - Il tavolo... un po' piú verso il centro. Le due vecchie sedie... il seggiolone. (Sposta i mobili).

MUHEIM                               - Schwitter: son corso come un pazzo per la città nella mia Cadillac. Son passato col rosso un'infinità di volte. Ci sarà una pioggia di multe. Se non fossi il grande MUHEIM, la mia patente sarebbe adesso in mano alla polizia. Ma io sono il grande MUHEIM. Son tornato qui per guardare il suo cadavere. Volevo contemplarlo per ore intere, il suo cadavere. Con il presentimento di una giustizia suprema, con un senso che di lassú Domineddio guida i destini umani.

SCHWITTER                         - Son desolato.

MUHEIM                               - Lei è tenace.

SCHWITTER                         - Sono il primo ad esserne sorpreso.

MUHEIM                               - I quadri son voltati contro il muro. (Si siede sfinito sul seggiolone) è la prima volta che mi sento gli ottant'anni addosso.

SCHWITTER                         - (soddisfatto) Ecco, adesso non c'è piú niente che mi disturba. Mi ficco nel letto e poi muoio.

MUHEIM                               - Perbacco, voglio sperarlo.

SCHWITTER                         - (si rimette a letto e si copre) Sarebbe ora.

MUHEIM                               - Eccome.

SCHWITTER                         - (si guarda d'attorno) Non so...

MUHEIM                               - Le manca ancora qualcosa?

SCHWITTER                         - Mi ci vuole un po' di solennità, malgrado tutto. Se volesse disporre le due candele accanto al letto.

MUHEIM                               - Ma certo. (Dispone le candele sulle due sedie accanto al letto) Accendo?

SCHWITTER                         - E accosti le tende!

MUHEIM                               - Sarà fatto. (Accende le candele, accosta le tende. L'atmosfera nello studio è di nuovo solenne). Va bene?

SCHWITTER                         - Sono contento.

MUHEIM                               - (si siede di nuovo sul seggiolone) Allora, forza!

SCHWITTER                         - Calma, calma. Silenzio.

MUHEIM                               - Dunque?

SCHWITTER                         - Che c'è, MUHEIM?

MUHEIM                               - E muoia una buona volta!

SCHWITTER                         - Mi sto sforzando.

MUHEIM                               - E io sto aspettando.

SCHWITTER                         - A dire il vero mi sento completamente a posto.

MUHEIM                               - (spaventato) Accidenti!

SCHWITTER                         - Ma il poíso... (se lo tasta) sta rallentando.

MUHEIM                               - Grazie al cielo!

SCHWITTER                         - Con un po' di calma...

MUHEIM                               - Ha ancora qualcosa da bere?

SCHWITTER                         - Auguste! (Silenzio). Auguste! Svelta! (Silenzio. Deluso) Nessuno.

MUHEIM                               - La moglie del pittore ha già abbandonato quella cimice. (Fa per accendersi un sigaro, si ferma spaventato) Oh, scusi... scusi proprio tanto.

SCHWITTER                         - Ma fumi, fumi pure!

MUHEIM                               - Non davanti a un moribondo.

SCHWITTER                         - Ne prenderei uno anch'io.

MUHEIM                               - Ma naturalmente.

SCHWITTER                         - Sa, cosí per l'ultima volta.

MUHEIM                               - La capisco. (Gli porge l'astuccio) Avana.

SCHWITTER                         - Sono rari ormai.

MUHEIM                               - Vuole accendere?

SCHWITTER                         - Grazie.

MUHEIM                               - Ancora una corona. (Va alla porta, butta fuori la corona e chiude la porta, va al seggiolone, si siede e accende il sigaro) Schwitter. Io sono stato felice con mia moglie. Il fatto che sia andata a letto con lei non dovrebbe fare alcuna differenza. (Aspira alcune boccate) è morta, ormai. Eppoi... ne accadono tante, di storie come questa. Tutti ingannano e tutti vengono ingannati come in una conigliolata. Eppure... eppure fa una differenza. Il fatto che io fossi fedele a mia moglie e che credessi che mi era fedele... questo briciolo di decenza nella mia vita... Il grande MUHEIM    ha costruito sulla sabbia e adesso le fondamenta cedono. (Balza in piedi e getta il sigaro contro la stufa) Non conosco la verità, Schwitter, ed è questa incertezza che mi uccide. Con chi ancora mi ha tradito? Con gli assessori comunali? Coi membri della commissione per l'edilizia? Coi miei avvocati? Coi suoi medici? Coi membri del circolo del golf o con quelli del circolo del polo? Con quanti altri artisti? Lei li conosceva tutti. E perché c'erano spesso operai italiani per casa? Perché? Mio Dio, con chi mai ancora mi avrà tradito Elfriede?

SCHWITTER                         - Elfriede?

MUHEIM                               - Elfriede.

SCHWITTER                         - Ma sua moglie si chiamava Maria.

MUHEIM                               - (sorpreso) Perdio.

SCHWITTER                         - Lei abitava nella Amalienstrasse.

MUHEIM                               - (freddamente) Senta. Io abito da cinquant'anni in una villa nella Oranienallee e mia moglie si chiamava Elfriede.

SCHWITTER                         - Ne è sicuro?

MUHEIM                               - Non son mica rimbecillito.

SCHWITTER                         - Accidenti. (Emette grandi sbuffate di fumo) Senta, MUHEIM, io non ho mai conosciuto una Elfriede. Evidentemente ho confuso sua moglie con la moglie di un padrone di casa alla Bertholdsgasse, dove ho abitato piú tardi.

MUHEIM                               - Mi sta prendendo in giro?

SCHWITTER                         - Sua moglie le era fedele.

MUHEIM                               - Accidenti!

SCHWITTER                         - (pensosamente) Ma a ripensarci bene... anche quella non si chiamava Maria... (Si mette a sedere e continua a fumare) Sa, nell'agonia mi si confonde tutto. (Spenzolando le gambe fuori del letto) Ma forse, MUHEIM, era proprio sua moglie, dopo tutto... Irmgard...

MUHEIM                               - Elfriede, si chiamava!

SCHWITTER                         - In ogni caso mi ricordo benissimo dei due leoni di pietra davanti alla sua casa nella Oranienallee.

MUHEIM                               - (urla) Io non ho leoni! Non ho mai avuto leoni in vita mia!

SCHWITTER                         - No? Che strano. Entrano nello studio l'ispettore di polizia Schafroth e il professor Schlatter, quest'ultimo occhialuto e con una valigetta da medico; li seguono due poliziotti e GLAUSER, tutti e tre carichi delle corone che erano state buttate fuori da MUHEIM.

ISPETTORE                           - Giú nella tromba delle scale c'è un uomo per terra. Il pittore Hugo NYFFENSCHWANDER. Coniugato. Padre di due figli. Silenzio.

MUHEIM                               - (rivolgendosi all'ispettore) Sono MUHEIM. Il grande MUHEIM           .

ISPETTORE                           - Signor MUHEIM?

MUHEIM                               - Ho sbattuto quella cimice giú per le scale. Silenzio.

GLAUSER                             - Misericordia! Silenzio.

ISPETTORE                           - Mettete le corone contro il muro.

PRIMO POLIZIOTTO          Sí, signor ispettore.

GLAUSER                             - E il signor SCHWITTER è di nuovo in vita! (Dispone le corone lungo la parete insieme ai due poliziotti).

SECONDO POLIZIOTTO    Messe contro il muro, signor ispettore.

ISPETTORE                           - ISPETTORE Schafroth, della polizia investigativa. Devo pregarla di accompagnarmi. Sarà meglio se prendiamo la sua macchina, signor MUHEIM.

MUHEIM                               - Ma perché? Silenzio.

SCHLATTER                         - Sono il professor SCHLATTER della clinica municipale, signor MUHEIM.

MUHEIM                               - Ebbene? Silenzio.

SCHLATTER                         - Quell'uomo è morto.

Silenzio.

MUHEIM                               - (sconvolto) Ma io gli ho dato solo una piccola spinta. (Silenzio. A bassa voce) Morto.

GLAUSER                             - è già il secondo questo pomeriggio, signor MUHEIM.

MUHEIM                               - (disfatto, si rivolge lentamente a SCHWITTER che continua a fumare) Schwitter: ho ucciso un uomo. (L'ISPETTORE fa un cenno e i due poliziotti si accostano a MUHEIM). Schwitter: lei sta lottando con la morte. Il suo spirito è già elevato in sfere piú sublimi. Noialtri le siamo ormai indifferenti. Eppure... devo avere la certezza. Mia moglie e lei, mi hanno...?

SCHWITTER                         - (continua a fumare placidamente) Non lo so.

MUHEIM                               - Schwitter: io sono un tipo paziente. Ma... ma non deve essere che ho ucciso inutilmente.

SCHWITTER                         - La verità...

MUHEIM                               - Devo saperla.

SCHWITTER                         - (s'illumina all'improvviso)

MUHEIM                               ... Ecco, mi ricordo. (Si mette a ridere) La storia è inventata, MUHEIM.

MUHEIM                               - (sconvolto) Inventata?

SCHWITTER                         - Immaginata da me nella mia agonia. è incredibile, ma ho preso per realtà una delle mie novelle. Vaneggiavo, MUHEIM, vaneggiavo. Io le ho sempre pagato i miei cento puntualmente per posta e non sono mai andato a letto con sua moglie.

MUHEIM                               - (stordito) Mai?

SCHWITTER                         - Solo la storia della mia prima moglie col vinaio è vera.

MUHEIM                               - Lei aveva detto un macellaio.

SCHWITTER                         - Macellaio? Può darsi benissimo.

MUHEIM                               - Una schifosa menzogna!

SCHWITTER                         - è da morir dal ridere.

MUHEIM                               - (comincia a dare in escandescenze) L'attizzatoio! L'attizzatoio! (I poliziotti lo trattengono. A un tratto si calma e ritrova la sua dignità) Chiedo scusa. Ero sconvolto.

ISPETTORE                           - Prego.

MUHEIM                               - Schwitter!

SCHWITTER                         - Sí, grande MUHEIM.

MUHEIM                               - Perché mi ha distrutto?

SCHWITTER                         - Per caso.

MUHEIM                               - (umilmente) Ma io... io non le avevo fatto niente.

SCHWITTER                         - Lei è capitato negli ingranaggi della mia morte. Silenzio.

MUHEIM                               - Il grande

MUHEIM                               - è vecchio. Vecchissimo.

ISPETTORE                           - Andiamo!

MUHEIM                               - Andiamo. (Vien condotto via).

SCHLATTER                         - Aria e luce in questa tana puzzolente! (Apre i tendaggi con violenza, spegne le candele).

SCHWITTER                         - (cupamente) Sono ancora vivo.

SCHLATTER                         - Come medico so apprezzare pienamente il significato di questo fatto. Ho constatato due volte la sua morte, e lei adesso sta fumando un sigaro.

SCHWITTER                         - Che colpa ne ho io dei suoi errori di diagnosi?

SCHLATTER                         - Errori di diagnosi? (Apre la valigetta) Nel suo caso, caro lei, non c'è stato nessun errore di diagnosi da parte mia.

SCHWITTER                         - Dopo tutto non sono mica morto.

SCHLATTER                         - Non piú.

SCHWITTER                         - Non si provi a insinuare anche lei che sono risorto.

SCHLATTER                         - Non starò certo a offrirle delle motivazioni teologiche.

SCHWITTER                         - è uno scandalo che io sia ancora vivo.

SCHLATTER                         - Proprio quel che volevo dire io, caro lei. (Tira fuori uno stetoscopio dalla valigetta e si siede al tavolo) Esaminiamola dunque ancora una volta. Venga un po' qui. (SCHWITTER posa il sigaro sulla stufa e si mette davanti a SCHLATTER). Per prima cosa il polso.

SCHWITTER                         - Era molto debole poco fa.

SCHLATTER                         - Silenzio! (Ascolta) Caspita! (Lo guarda incredulo) Si scopra il petto. (Lo ausculta con lo stetoscopio) Respiri profondamente! Ancora una volta! (SCHWITTER           respira profondamente). Tossisca! (SCHWITTER tossisce). Buon Dio! (Lo guarda di nuovo esterrefatto) Si sieda! (SCHWITTER si siede sul seggiolone). Son curioso di vedere la pressione. (Gli sistema lo sfigmomanometro e gli misura la pressione) Misericordia! (Misura di nuovo) Mi vengono i brividi. (Guarda nel vuoto).

SCHWITTER                         - Ha finito?

SCHLATTER                         - Ho finito. (Rimette nella valigetta lo stetoscopio e lo sfigmomanometro.

SCHWITTER                         - si alza in piedi). Fa caldo. (Si pulisce gli occhiali) è come se il sole non volesse piú tramontare.

SCHWITTER                         - è il giorno piú lungo dell'anno.

SCHLATTER                         - è il giorno del giudizio. (Si rimette gli occhiali) Per lo meno per noialtri medici. Detto fra noi, caro amico, ero venuto per impadronirmi del suo prezioso cadavere.

SCHWITTER                         - Posso immaginarmelo.

SCHLATTER                         - Ancora non ci siamo.

SCHWITTER                         - Finalmente! Ora diventa impaziente anche lei.

SCHLATTER                         - Mio caro, la medicina ha subito la piú grande sconfitta del secolo. Il suo tono cardiaco e i suoi polmoni sono perfettamente a posto. (Silenzio). Sono disperato. (Silenzio). è un vero schifo. (Si alza in piedi) Anche la pressione è eccellente, o quasi.

SCHWITTER                         - Non è vero! Io mi sto putrefacendo, sto andando in decomposizione! Sto per esalare l'ultimo respiro!

SCHLATTER                         - Le sue condizioni fisiche sono perfette.

SCHWITTER                         - Lei mente!

SCHLATTER                         - Illustre maestro, se non mi crede questa volta...

SCHWITTER                         - Lei mi ha mentito sempre.

SCHLATTER                         - Sono un chirurgo, dopo tutto.

SCHWITTER                         - Illustre maestro, solo una operazione e poi il peggio è passato; mio caro, ancora un piccolo intervento e il piú è fatto; amico mio, un altro trattamento e poi tutto è in ordine.

SCHLATTER                         - Nelle sue condizioni disperate, mentire era un dovere di umanità.

SCHWITTER                         - Non le credo una parola.

SCHLATTER                         - Un motivo morale per mentirle non sussiste piú.

SCHWITTER                         - (urla) Io muoio!

SCHLATTER                         - Chissà quando.

SCHWITTER                         - Adesso! (Silenzio). è da ore che aspetto la mia morte!

SCHLATTER                         - Io sono mesi che aspetto, e adesso anche il suo movimento peristaltico ricomincia a funzionare. L'editore

KOPPE                                   - entra nello studio con una corona, resta sorpreso.

KOPPE                                   - Ma come! Schwitter! (SCHWITTER si rificca nel letto con un salto). Professor SCHLATTER! è di nuovo in vita!

SCHLATTER                         - E come!

KOPPE                                   - Perbacco! Ma mi può spiegare...?

SCHLATTER                         - Non c'è niente da spiegare.

KOPPE                                   - Ma lei ha constatato la sua morte.

SCHLATTER                         - Esatto.

KOPPE                                   - E poi una seconda volta. Alla mia presenza.

SCHLATTER                         - E infatti era morto un'altra volta.

KOPPE                                   - Veramente geniale da parte tua.

SCHWITTER                         - A me non sembra geniale, ma piuttosto una porcheria.

KOPPE                                   - Ho una fretta che non ti dico. Son venuto su solo per un momentino. Dio sa che sono ormai abituato a vedere e sentire ogni sorta di cose dai miei autori, ma quel che mi combini tu, Wolfgang, non mi è mai capitato prima. Mi sai dire come fai?

SCHWITTER                         - Non ne ho la minima idea.

KOPPE                                   - Scusa se mi siedo un momentino accanto a te. (Appoggia la corona contro la stufa) Mia, personalmente. (Si siede accanto a SCHWITTER sul bordo del letto) Solo per rifiatare. Ho ancora un sacco d'impegni. Il banchetto degli editori, l'Associazione per il Teatro, la Fondazione Gottfried Keller, ecc. Ah, e hai ripreso a fumare.

SCHWITTER                         - è il mio ultimo sigaro.

KOPPE                                   - Veramente geniale! E pensare che io in questo studio ti avevo già chiuso una volta gli occhi!

SCHWITTER                         - Molto gentile.

KOPPE                                   - Composto le tue mani in preghiera.

SCHWITTER                         - Molto bello.

KOPPE                                   - Sistemato i fiori e le corone.

SCHWITTER                         - Molto affettuoso.

KOPPE                                   - E di' un po', li hai risistemati tu i mobili qui dentro?

SCHWITTER                         - Sí, io.

KOPPE                                   - Sei fantastico. Ho appena incontrato tuo figlio al bar; affermava che hai bruciato i tuoi ultimi manoscritti. SCHWITTER. Non valevano niente.

KOPPE                                   - E che inoltre era andato in fumo anche un milione e mezzo.

SCHWITTER                         - Avevo freddo.

KOPPE                                   - Veramente geniale!

SCHWITTER                         - Di cui trecentomila erano tuoi.

KOPPE                                   - Cinquecentomila. Magnifico. La mia casa editrice è stata, per cosí dire, data alle fiamme.

SCHWITTER                         - Sei rovinato?

KOPPE                                   - Completamente.

SCHWITTER                         - E sei venuto per questo?

KOPPE                                   - Mio caro: non potevo proprio immaginarmi che avrei avuto ancora una volta l'occasione d'intrattenermi con te. No, volevo soltanto trascorrere un minuto in silenzio col mio amico morto, ecco tutto. Ma adesso devo proprio scappare. Ti stringo la mano per l'ultima volta, Wolfgang. Ma muori poi veramente?

SCHWITTER                         - Veramente.

KOPPE                                   - Ne sei proprio sicuro?

SCHWITTER                         - Assolutamente sicuro.

KOPPE                                   - Perché se no ti si potrebbe riinterpretare in chiave cristiana, e la mia casa editrice sarebbe salva.

SCHWITTER                         - Niente da fare.

KOPPE                                   - Staremo a vedere. (Si alza in piedi) Se fossi in te comincerei ad avere dei dubbi. Il morire è divenuto per te addirittura un atteggiamento spirituale, muori con un'energia cui nessuno può tener testa. E poi invece sei ancora vivo. Non ti sembra un po' preoccupante? Forse dovresti ricominciare a provare a vivere, caro Wolfgang, per lo meno fintanto che sei ancora in vita. Ma adesso ti lascio, e in gran fretta. Caro professore, lei mi spaventa: con tutto il rispetto per la sua arte, questa volta mi sembra che abbia fatto degli errori formidabili. (Esce).

SCHWITTER                         - (si alza in piedi, butta il sigaro nella stufa) Facciamola finita. Mi faccia un'iniezione. (Si butta sul letto bocconi) Non ne posso piú.

SCHLATTER                         - (lo guarda furibondo) Ah, se solo l'avessi fatto! Ma lo sa, caro lei, che sono stato tante volte sul punto d'iniettarle una dose mortale, per pura compassione? E nessuno avrebbe potuto rinfacciarmelo. Lei era il piú spettacolare caso inguaribile che ho mai avuto sul mio tavolo operatorio. (Chiude la valigetta) E invece di lasciarla semplicemente morire, sono stato cosí pazzo da lottare per salvare la sua vita. Per notti intere non sono andato a letto! L'ho collegata a un rene artificiale. Le ho introdotto intestini di plastica nell'addome, le ho riempito i polmoni di gas velenosi, l'ho imbottita di elementi radioattivi. E senza credere a una possibilità di guarigione, questo è il bello. Lottavo disperatamente contro la sua morte, ma se un qualsiasi assistente le avesse attribuito anche la piú lieve probabilità di sopravvivere, l'avrei sbattuto personalmente fuori dalla clinica.

SCHWITTER                         - Faccia l'iniezione!

SCHLATTER                         - Lei è impazzito.

SCHWITTER                         - La supplico.

SCHLATTER                         - Impossibile.

SCHWITTER                         - Non capisco proprio i suoi scrupoli.

SCHLATTER                         - Scrupoli? Carissimo, se già ha avuto la faccia tosta di non morire, abbia almeno la decenza di mettersi nei miei panni! Se le avessi fatto un'iniezione nella mia clinica, avremmo già avuto il suo funerale, e da un pezzo, ma se gliela faccio adesso, il funerale lo fa a me il procuratore della Repubblica. Lo capisce in che situazione assurda mi trovo? (Dà in escandescenze) è mostruoso. Il mondo intellettuale è convinto della mia incapacità e il mondo dei credenti è convinto della sua risurrezione. è veramente un disastro, caro lei. Per gli uni sono rincretinito, e per gli altri sono stato messo nel sacco da Domineddio. In un modo o nell'altro sono rovinato. (Si siede al tavolo) Ma proprio a me doveva risuscitare un Premio Nobel! Il ministro della sanità mi ha dato una strigliata per telefono, e il ministro della pubblica istruzione si è calmato solo quando gli ho giurato solennemente che avrebbe avuto il suo cadavere per questo pomeriggio. Lui intanto sta aspettando col suo discorso e il funerale di stato è già bell'e pronto. Lo scandalo è inaudito. Tutto ricade su di me. E pensare che ho donato all'umanità la pinza di

SCHLATTER                         - e ho perfezionato la sega per le ossa! Si metta il cappotto.

SCHWITTER                         - E perché?

SCHLATTER                         - Lei adesso torna immediatamente in clinica.

SCHWITTER                         - In clinica?

SCHLATTER                         - Mi ha capito benissimo.

SCHWITTER                         - E a fare che?

SCHLATTER                         - La esaminerò clinicamente, fino all'esaurimento. Voglio un po' controllare queste risurrezioni. Scommetto che lei è in vita per un fenomeno puramente nevrotico.

SCHWITTER                         - Si dovrebbe dunque ricominciare da capo, con quei tormenti.

SCHLATTER                         - Non ci sono altre possibilità per una mia riabilitazione. Ho troppi nemici che vogliono la mia fine. Se non dimostro inoppugnabilmente che lei è morto due volte, non trovo piú una sistemazione neanche tra i popoli sottosviluppati.

SCHWITTER                         - è sempre piú schifoso, tutto ciò.

SCHLATTER                         - Avanti, partenza!

SCHWITTER                         - Cosí può ricominciare a torturarmi.

SCHLATTER                         - Cosí potrò finalmente guarirla! E definitivamente! Non si faccia illusioni: la sua condizione generale è degna di ogni lode, ma per il resto! Bisogna togliere lo stomaco, l'ho sempre detto; una volta che il suo esofago è collegato direttamente con l'intestino tenue, diventerà possibile una guarigione non solo temporanea ma anche durevole. Coraggio, riverito maestro, non abbia esitazioni proprio adesso. Perfino io sono ottimista, ora. Silenzio.

SCHWITTER                         - No.

SCHLATTER                         - Schwitter!

SCHWITTER                         - Non voglio piú ricominciare a sperare.

SCHLATTER                         - Ma non capisco: lei può ricominciare a sperare.

SCHWITTER                         - Ho sperato abbastanza. Adesso me ne infischio della speranza. Silenzio.

SCHLATTER                         - Lei vuol dire... (Si alza in piedi) Ma io sono di sasso, riverito maestro. Come, lei si rifiuta di venire con me in clinica?

SCHWITTER                         - Mi lasci in pace e se ne vada! (Si tira su le coperte).

SCHLATTER                         - Rabbrividisco. Io lotto per salvare la sua vita, e lei mi lascia in asso.

SCHWITTER                         - è lei che lascia in asso me.

SCHLATTER                         - Signor Schwitter... (Silenzio). Non può cacciarmi via cosí.

SCHWITTER                         - Fuori di qui!

SCHLATTER                         - Sono un medico. Ho perso la fiducia dei miei pazienti. Mi dia ancora una chance!

SCHWITTER                         - Noi due non abbiamo piú una chance.

SCHLATTER                         - Lei mi distrugge, in questo modo.

SCHWITTER                         - Può darsi.

SCHLATTER                         - Non sopravvivrò a questa umiliazione.

SCHWITTER                         - Forse.

SCHLATTER                         - Porrò fine ai miei giorni.

SCHWITTER                         - Chissà.

SCHLATTER                         - La scongiuro.

SCHWITTER                         - Gli ultimi minuti della mia esistenza preferirei trascorrerli senza la sua presenza. Silenzio.

SCHLATTER                         - Ecco che la sua follia di morte distrugge pure me. Sulla porta compare la signora Nomsen, grassa, dura, vestito scuro, cappello, in mano ha dei garofani bianchi. SIGNORA NOMSEN Mio Dio!

SCHWITTER                         - E lei chi è? SIGNORA NOMSEN Il signor Schwitter! Ma che imbarazzo. Non me lo aspettavo proprio. I signori mi scuseranno, ma devo sedermi, sono ormai vecchia, matura per il camposanto, anche troppo, e la fatica di salire le scale, la sorpresa... (Viene avanti arrancando) Mi piace seder sul duro, anche all'albergo Bellevue siedo sempre sul duro. (Si siede) Sono addetta alle toilettes là dentro, signor Schwitter, e perciò la conosco. Dal mio posto posso controllare sia il reparto uomini che il reparto donne. Buon Dio, le mie gambe. Tutte gonfie. (Si massaggia le gambe).

SCHLATTER                         - è la fine. (Esce barcollando).

SIGNORA NOMSEN           - Quello era il professor

SCHLATTER                         . Conosco anche lui.

SCHWITTER                         - Esca subito, o la butto fuori!

SIGNORA NOMSEN           - Le porto dei fiori.

SCHWITTER                         - Non ne ho bisogno.

SIGNORA NOMSEN           - Prenda pure, non faccia complimenti. Non mi costano niente. Li prendo da un becchino, e lui li ruba dalle tombe, ancora freschi. Volevo mettere i garofani sul suo letto, signor Schwitter, mi fa sempre tanto piacere vedere dei morti, e invece adesso lei non è affatto morto. Al contrario. Sembra proprio rinato. Florido, ecco l'espressione esatta. L'ultima volta che l'ho vista al Bellevue aveva l'aspetto pallido e gonfio, ma è vero che l'illuminazione è scadente. Ecco, prenda. (Gli porge i fiori, irritata)

SCHWITTER                         - (seccato) Non voglio credere che sia venuta in qualità di ammiratrice delle mie opere.

SIGNORA NOMSEN           - Anche in questa veste, signor Schwitter. Frequento talvolta le rappresentazioni popolari e trovo che i suoi drammi rivelano un gran talento.

SCHWITTER                         - (sgarbatamente) Butti quella roba lí tra le corone, e se ne vada.

SIGNORA NOMSEN           - (butta i fiori nel fondo) Io sono la signora Nomsen. La signora Wilhelmine Nomsen, la mamma di OLGA. Lei è mio genero.

SCHWITTER                         - La piccina non mi ha mai raccontato di lei.

SIGNORA NOMSEN           - Lo spero bene. Glielo avevo proibito severamente. Un'addetta alle toilettes per madre l'avrebbe danneggiata nella sua carriera, gli uomini sono sensibili in queste cose, e un Premio Nobel per giunta... No, signor Schwitter, non lo si poteva pretendere da lei, ho preferito ammirarla in silenzio... ma sa che son sorpresa del bell'aspetto che si trova ad avere? Veramente splendido. E

OLGA                                     - invece credeva che lei stesse per morire.

SCHWITTER                         - Lei si sbaglia, e di grosso. (Si raddrizza) Se vuole esaudire l'ultima preghiera di un moribondo, accenda le candele prima di andarsene e chiuda i tendaggi!

SIGNORA NOMSEN           - Ben volentieri, signor Schwitter, ben volentieri. Solo, sa, signor Schwitter, alzarmi, ora che sto seduta... non ce la fo. Sono vecchia e malata, e lei stesso può sentire che affanno che ho. (Ansima).

SCHWITTER                         - E va bene. Vuol dire che mi renderò da solo questo ultimo segno di affetto. (Si alza, accende le candele, accosta le tende, l'atmosfera è di nuovo solenne).

SIGNORA NOMSEN           - Il motivo per cui sono venuta, signor Schwitter, è questo: OLGA è morta.

SCHWITTER                         - (la fissa sbalordito) OLGA?

SIGNORA NOMSEN           - (con tono impersonale) Mia figlia si è avvelenata a casa mia, caro signore, aveva conosciuto anche un farmacista, prima di sposare lei, naturalmente.

SCHWITTER                         - (si siede lentamente sulla sponda del letto) Ciò mi coglie di sorpresa.

SIGNORA NOMSEN           - Dev'essere morta subito. Nella sua borsetta ho trovato l'indirizzo di questo studio.

SCHWITTER                         - Mi dispiace, signora...

SIGNORA NOMSEN           - Nomsen. Mio padre era francese, si chiamava Do... De..., be', insomma aveva un nome francese, e anche il padre di

OLGA                                     - era francese, solo che come si chiamava non lo so, e cosí pure i padri di Inge e di Waldemar, io ho altri due figlioli. Una famiglia deve avere una unità logica, niente mescolanze scombinate. (Sbuffa) Ahi, il mio cuore. Be', certo, l'aria del Bellevue non è ideale, malgrado l'aria condizionata. A poco a poco ci si rovina. (Apre la borsetta) Non si disturbi, per carità, solo che io adesso dovrei prendere una pastiglia.

SCHWITTER                         - Ma naturalmente. (Va verso il fondo, torna con un bicchier d'acqua) Prego.

SIGNORA NOMSEN           - (prende una pastiglia, beve) Anche la mia Inge lei la conosce.

SCHWITTER                         - Non che mi risulti.

SIGNORA NOMSEN           - Si esibisce col nome di Inge von Bülow.

SCHWITTER                         - Mi ricordo vagamente di questo nome.

SIGNORA NOMSEN           - Lei non si ricorda vagamente di questo nome, ma si ricorda i suoi stupendi seni. Inge è un'artista di strip-tease, e ha già una fama internazionale. Anche Waldemar è di bell'aspetto. Era un caro ragazzo, un po' tranquillo e sognatore, ma anch'io ero come lui da piccola, e perciò l'ho fatto educare particolarmente bene, scuola media, poi la commerciale, e lui che mi fa, mi combina un'appropriazione indebita alla ditta Häfliger e compagnia. Non che io ce l'abbia coi criminali, mia madre lo era, e mio padre probabilmente anche lui, a quanto pare, ma allora non c'è bisogno di un'educazione, basta il buon senso. L'educazione serve per sbrigare con minor rischio degli affari piú grossi di quanto sarebbe mai possibile a un criminale. Pazienza. I quattro anni son finiti tra poco. In settembre. E non deve piú andare nell'esercito, quelli per fortuna i criminali non li prendono.

SCHWITTER                         - Cara signora Momsen...

SIGNORA NOMSEN           - Nomsen, non Momsen. è curioso. Molti mi chiamano Momsen. Anche il direttore del Bellevue dice sempre Momsen. Capita spesso giú da me, benché abbia una toilette privata... oh Dio, la mia schiena. A star sempre seduti, con la corrente e l'umidità... laggiú al Bellevue è tutto isolato, ma a forza di tirar l'acqua le toilettes sono sempre umide. è meglio se mi siedo nel seggiolone. (Si alza a fatica).

SCHWITTER                         - Posso esserle di aiuto?

SIGNORA NOMSEN           - Meglio di no. Lei è Premio Nobel e io sono addetta alle toilettes, tutto un mondo ci divide, è meglio mantenere le distanze. (Arranca fino al seggiolone, si siede, congiunge le mani e sbuffa, chiude gli occhi).

SCHWITTER                         - La disturbano le candele?

SIGNORA NOMSEN           - Le lasci pure bruciare. L'illuminazione è come nel Bellevue prima che lo rinnovassero.

SCHWITTER                         - Che afa!

SIGNORA NOMSEN           - Ho freddo. (SCHWITTER le copre le gambe col suo cappotto di pelliccia. La Nomsen, appoggiata in fondo al seggiolone, con voce d'oltretomba) Signor Schwitter, vorrei soltanto precisare ancora una volta che soltanto la falsa notizia della sua morte ci collega fatalmente. Ma ormai il guaio è fatto, e bisogna che le parli chiaramente. (SCHWITTER si siede di nuovo sul letto). Ho preparato OLGA coscienziosamente al suo mestiere. Ha avuto la vita piú facile della mia, ha evitato il disagio di battere il marciapiede. Io invece son dovuta venir su dalla gavetta, e se adesso faccio ancora l'addetta ai gabinetti alla mia età, è soltanto perché il mutamento, che è nella natura delle cose, della tattica d'affari lo richiede: io vivo degli indirizzi che dò ai signori che vengono giú da me al Bellevue. Il portiere prende il venti per cento, le ragazze il trenta. Come vede non sono una sfruttatrice. E OLGA invece? Io alla mia figliola lasciavo l'ottanta per cento, è vero che al portiere non toccava niente, lei possedeva una bella abitazione, e quella schifosa non mi va a maritarsi! (SCHWITTER vuol dire qualcosa, ma la signora Nomsen, severa e spietata, non lo lascia parlare) Lo so, lei è stato felice con mia figlia. Se l'è goduta, ma dopo tutto era lí per questo. E allora, che bisogno c'era di un matrimonio? Che cosa ne sarebbe di me oggigiorno se mi fossi sposata, signor Schwitter? Glielo dirò io: un disastro, sarebbe stato. E adesso? Io possiedo due ville nel quartiere inglese e un grande negozio al centro. No, caro signor Schwitter, le donne del nostro rango invecchiano gloriosamente ma non si sposano. O si ha un senso dell'onore, o si va a fondo. E adesso ne abbiamo la conferma. Ora dobbiamo piangere la morte di mia figlia, e sa perché? Perché OLGA si è permessa di avere dei sentimenti, l'avevo sempre messa in guardia, ma dei consigli di una madre non si tien mai conto. Forse che lei come scrittore si è mai concesso il lusso di avere dei sentimenti nel suo mestiere? Ecco, vede! I sentimenti non bisogna averli, bisogna produrli. Quando il cliente li richiede. I sentimenti non c'entrano negli affari, se non per farci degli affari. E mia figlia ne ha fatto uno pessimo.

SCHWITTER                         - Signora Nomsen...

SIGNORA NOMSEN           - Queste cose andavano dette, signor Schwitter.

SCHWITTER                         - Cara e riverita signora suocera...

SIGNORA NOMSEN           - Signora Nomsen, per favore.

SCHWITTER                         - Stimatissima signora Nomsen.

SIGNORA NOMSEN           - Signor Schwitter: io non ho la sua florida salute. è un miracolo se sono ancora viva. Lo faccio solo per amore di Waldemar. Gli devo tener pulita la casa e consegnargliela in ordine quando torna a casa, ora che Inge lavora negli Stati Uniti. Il mio ragazzo non deve piú farsi illusioni. Deve imparare a non far altro che la vita del ricco. Glielo ficcherò bene in testa. Deve imparare a vivere di rendita e basta. Lo conosco. Se lavora, gli vengono delle strane idee, e finisce in galera. I nostri figli hanno il diritto di essere meno efficienti e capaci di noi, signor Schwitter. La morte di OLGA mi è stata una terribile lezione! Avevo per lei ambizioni professionali troppo grandi e lei invece non riuscí a reggere la vita degli affari e si rifugiò nelle sue braccia. Nelle braccia di un Premio Nobel!

Silenzio.

SCHWITTER                         - La ringrazio, cara signora Nomsen, di essere venuta su da me. Finalmente ho qualcuno con cui parlare. Lei mi è straordinariamente simpatica. Lei vendeva carne a pagamento, un mestiere onesto. La invidio: lei si occupava di prostituzione, e io soltanto di letteratura. è vero che mi sono sforzato di rimanere onesto. Ho scritto soltanto per guadagnare denaro. Non ho propinato né morale né saggezza di vita. Ho inventato delle storie e nient'altro. Tenevo occupata la fantasia di coloro che compravano i miei racconti, e in compenso avevo il diritto di incassare, e incassavo. Posso anzi constatare con una certa fierezza, cara signora Nomsen, che economicamente e moralmente non le ero poi inferiore. (Si alza in piedi) Ma veniamo al sodo. La piccina è morta. Non voglio né difendermi né accusarmi, lei non si aspetterà certo da me simili dichiarazioni di cattivo gusto. Colpa, espiazione, giustizia, libertà, grazia, amore, io rinunzio alle sublimi giustificazioni e motivazioni che l'uomo usa per i suoi sistemi d'ordine e le sue incursioni piratesche. La vita è crudele, cieca ed effimera. Dipende dal caso. Una malattia al momento giusto, e non avrei mai incontrato OLGA. Abbiamo avuto sfortuna, ecco tutto. (Silenzio). Lei tace, signora Nomsen. Per lei la vita ha ancora un senso. Quanto a me, a un certo punto non sopportavo piú nemmeno me stesso. Durante il pranzo pensavo a una entrata in scena, e durante il coito a una uscita di scena. Dinanzi al mostruoso disordine delle cose intorno a me, mi sono rinchiuso in una chimera di ragione e di logica. Mi sono circondato di esseri inventati perché non riuscivo ad aver contatti con quelli reali. La realtà infatti non la si raggiunge a tavolino, signora Nomsen, essa appare soltanto nel suo mondo infero tappezzato di piastrelle azzurre. La mia vita non valeva la pena di essere vissuta. (Silenzio). Perché poi vennero i dolori, signora Nomsen, vennero le iniezioni, venne il bisturi. E venne la conoscenza, la coscienza della verità. Non c'era piú la fuga nella fantasia. La letteratura mi lasciava in asso. Non c'era altra realtà che il mio vecchio corpo grasso e cancrenoso. Non c'era niente altro che l'orrore. (Silenzio). E allora mi lasciai cadere. E caddi giú, sempre piú giú. Niente aveva piú peso, niente aveva piú valore, niente aveva piú senso... La morte è l'unica cosa reale, signora Nomsen, l'unica cosa eterna. Io non la temo piú. (Tace, sorpreso) Signora Nomsen! (Silenzio). Signora Nomsen! (La guarda fisso) Dica qualcosa, signora, signora Nomsen! (Va da lei, si curva su di lei) Signora Nom... (è preso dal terrore. Pone il paravento intorno a lei) Auguste! è scappata. Portiere! (Apre in fretta i tendaggi e la finestra) Questo maledetto sole! Anche lui non tramonta mai! (Corre alla porta, l'apre) Portiere! Entra JOCHEN.

JOCHEN                                - Anche le percentuali sono un fiasco. (SCHWITTER si rannicchia sul letto). Vengo dal bar.

KOPPE                                   - mi ha illuminato sulla situazione. Non sei piú di moda, vecchio mio. I tuoi libri marciscono nelle librerie circolanti, i tuoi drammi son caduti nel dimenticatoio. L'umanità vuole fatti concreti e non storie inventate, documenti e non leggende, istruzione e non intrattenimento. Lo scrittore deve diventare «engagé», altrimenti è superfluo.

SCHWITTER                         - Vieni qui!

JOCHEN                                - Son capitato qui per contemplare il tuo cadavere emettendo bestemmie blasfeme. (Guarda dietro il paravento) Ma chi diavolo...

SCHWITTER                         - Non far domande! Chi è morto è morto! Siediti. (JOCHEN ubbidisce). Vieni piú vicino! Ho paura!

JOCHEN                                - Di che cosa?

SCHWITTER                         - Di dover continuare a vivere.

JOCHEN                                - Sciocchezze!

SCHWITTER                         - Di dover vivere eternamente.

JOCHEN                                - Nessuno vive eternamente.

SCHWITTER                         - Io risuscito sempre.

JOCHEN                                - Ce la farai, una volta o l'altra.

SCHWITTER                         - Non ci credo piú. Tutti quanti sono morti in questo maledetto studio: il parroco, il pittore, il grande MUHEIM, OLGA, il medico e quella terribile signora Nomsen, e solo io devo continuare a vivere.

JOCHEN                                - Non è esatto, vecchio mio. Hai dimenticato me. Anch'io devo continuare a vivere. Non sono diventato un tipo in gamba. Devo trovare un paio di vecchie megere che mi mantengano. Peccato. Non volevo gran che. Volevo solo il tuo patrimonio. Il denaro non puzza. Il tuo milione e mezzo era l'unica cosa onesta di te. Volevo, con quel denaro, vivere una vita piú onesta della tua, col tuo spettacolo dell'arte e dello spirito, volevo esser libero e sputarci sopra, sulla tua gloria, ed ecco che mi hai liquidato con un paio di fiammiferi. Finisce male per gli Schwitter.

Sulla porta compare il maggiore FRIEDLI dell'Esercito della Salvezza, seguito da uomini e donne dell'Esercito della Salvezza. Entrano tutti quanti nello studio, uno con una tromba a pistone.

FRIEDLI                                - Sono il maggiore

FRIEDLI                                - dell'Esercito della Salvezza.

ESERCITO DELLA SALVEZZA Alleluia!

SCHWITTER                         - Via! Fuori!

FRIEDLI                                - (imperturbato) Benvenuto sii tu, che Gesú Cristo ha consacrato!

ESERCITO DELLA SALVEZZA Alleluia!

SCHWITTER                         - Siete capitati nel locale sbagliato. Qui non si predica, qui si muore!

FRIEDLI                                - (imperturbato) Salute a te, che sei risorto dai morti!

ESERCITO DELLA SALVEZZA Alleluia!

FRIEDLI                                - In te si è avverata la tua fede! Sei chiamato alla vita eterna!

SCHWITTER                         - Son chiamato a morire, solo la morte è eterna. La vita è un'incredibile porcheria della natura, un'oscena aberrazione del carbonio, un'escrescenza maligna della superficie terrestre, una rogna incurabile. Composti di cose morte, ci decomponiamo in cose morte. Sbranatemi, tamburini del cielo!

ESERCITO DELLA SALVEZZA Alleluia!

SCHWITTER                         - Calpestatemi, o pii suonatori di fisarmonica!

ESERCITO DELLA SALVEZZA Alleluia!

SCHWITTER                         - Scaraventatemi giú per le scale, gorgheggiatori di salmi!

ESERCITO DELLA SALVEZZA Alleluia!

SCHWITTER                         - Siate misericordi, o cristiani!

FRIEDLI                                - Alleluia!

SCHWITTER                         - Massacratemi con le vostre chitarre e tromboni! La tromba a pistone comincia a suonare.

ESERCITO DELLA SALVEZZA (accompagnato dalla tromba a pistone) Alba dell'eternità, luce da luce increata, mandaci questa mattina dei tuoi rai la visione beata, e discacci il tuo valor ogni terror. La tromba a pistone preannuncia la seconda strofa.

SCHWITTER                         - si solleva sul letto.

SCHWITTER                         - Ma quando crepo una buona volta?

ESERCITO DELLA SALVEZZA (accompagnato dalla tromba a pistone) O tu venuto dall'altura dà che al giorno del Giudizio risorga ogni creatura e lontan da ogni supplizio ognun grazie al tuo martir possa gioir! La tromba a pistone inizia la terza strofa, e cade il sipario. 

FINE