La morte civile

Stampa questo copione


DRAMMA IN CINQUE ATTI

diPaolo Giacometti

PERSONAGGI

CORRADO

Il medico ARRIGO PALMIERI

Monsignor abate GIOACHINO RUVO

DON FERNANDO

GAETANO

ROSALIA

EMMA

AGATA

L'azione ha luogo in un grosso paese della Calabria ulteriore

a' tempi del cessato Governo Borbonico.


ALCUNE PAROLE

CHE L'AUTORE HA SCRITTE

PERCHÉ SIANO LETTE

Se per ben stabilire il principio, dal quale parte il mio dramma, io mi facessi a discorrere della morte civile in generale, considerando lo spirito della legge e gli effetti della pena, susciterei, con poco frutto e fuori di luogo, una grave questione morale, legislativa, teologica, e per quanto mi studiassi di essere breve, sono persuaso che la materia supere­rebbe la mole del presente fascicolo.

Lascio cui spetta il compito severo, e cito frat­tanto a' miei benevoli lettori l'opuscolo in proposito del signor Antonio Ascona, dove troveranno conve­nientemente svolto l'argomento, per ciò che riguar­da gli effetti civili.

Siccome però l'onesto scopo che mi sono prefisso venne frainteso da alcuni, falsato e contraddetto da alcuni altri, così trovo indispensabile di premettere al dramma le seguenti riflessioni.

Appunto perché la legge civile, privando il con­dannato dei diritti di cittadino, ne scioglie i vincoli colla società e colla famiglia, e la moglie di lui ri­tiene in perfettissimo stato di vedovanza, mentre per altra parte i sostenitori del diritto divino ci vengono innanzi colle abusate parole - Quod Deus conjunxit homo non separet - appunto per questo ho scritto come meglio ho saputo, onde far medi­tare, chi ne avesse voglia, sulla manifesta contra­ddizione de' due poteri, dello Stato e della Chiesa, sulla lotta scandalosa o piuttosto ridicola, di due legislazioni, delle quali l'una scioglie in nome del­l'umanità, l'altra lega in nome di Dio, contrastan­dosi a vicenda il libero e perfetto adempimento de' loro statuti.

Di fatti, che importa mai che il tribunale seco­lare ritenga per morto il condannato, quindi per vedova la costui moglie e per illegittimi i figli che, per avventura, nascessero durante la incorsa morte civile, se la Curia romana, alla barba di tutti i le­gislatori, vi proclama indissolubile il matrimonio, e con poca spesa — usa com'ella è da secoli a far mercato delle cose sacre — vi legittima i figli di mezzo mondo?

Contro quegli stoici mitrati, per tanto, che nel fa­mosissimo Concilio di Trento dichiararono indisso­lubile il matrimonio, rivolsi unicamente e chiaris­simamente l'arma della mia penna, proclamando la necessità di una riforma, di una eccezione (che non verrà mai se si aspetta dalla Roma dei preti) al­meno nel caso di morte civile, per togliere la enorme ingiustizia di veder aggravate sulla moglie innocente le conseguenze della pena inflitta al colpevole. Di fatti la moglie di un uomo condannato al carcere perpetuo, mentre viene dichiarata vedova e maritata nel tempo stesso, deve rassegnarsi a vivere o monaca senza  vocazione,   o  adultera  per  illegittimi  amori.

Considerata da questo lato la morte civile, im­presi a svolgere il dramma che alcuni potranno cre­dere mediocre, altri cattivo per ciò che riguarda l'arte e la letteratura, ma del quale nessuno, per quanto mi son dato a credere, riuscirà ad impu­gnare lo scopo arditissimo, se si vuole, ma giusto, umanitario e nell'indole de' tempi.

So che mi accusarono di aver trasportata la cat­tedra sul teatro, usurpando l'uffizio dei pubblicisti e dei libri. Sarà benissimo, ma oramai tutti sanno sotto quale aspetto severo io mi sia accostumato a riguardare il teatro. Io sono d'avviso che le idee generose, comunque e dovunque esposte, possono dare qualche buon frutto e disporre, se non altro, il terreno a ricevere l'altrui semente.

Parmi, inoltre, che sia debito d'ogni uomo onesto di difendere con tutte quelle armi che sono in suo potere, la causa dell'umanità, e di combattere ogni specie di oppressione, molto più quando questa per illudere e fuorviare le classi meno illuminate, si presenta ricoperta del manto augusto della Reli­gione.

Non ignoro nemmeno che in qualche città, anime semplici e sfrenati cattolici si scandalizzarono alla recita del mio dramma, scorgendovi un abate a fare il suo mestiere. Veramente io non immaginai sì fatto abate» che in sostanza veste i panni di tanti altri che ben conosciamo, per far la satira ai monsignori. Non vi è questo bisogno, dacché avversando ogni idea pura, grande, cristiana, sappiano essi mede­simi rendersi, per stolte infamie, ridicoli e provvi­denzialmente suicidi.

Ma per la natura dell'argomento, od in ragione del principio che volevo combattere, mi occorreva indispensabilmente un cagnotto dell'Episcopato che avesse interesse a sostenere, nel dramma, la deci­sione del famoso Concilio, rappresentandovi il pre­teso diritto divino.

Le poche suscettibilità religiose o settarie che sirisvegliarono provano unicamente che tutti gli er­rori e i pregiudizi non sono vinti ancora e che per proseguire vittoriosamente l'opera della civiltà po­litica e cristiana non bisogna stancarsi d'illuminare i semplici e di far guerra ai tristi, a qualunque casta o luogo essi appartengano. Gli uomini dell'intelli­genza vi pensino sopra tutti.

Parma, 8 luglio 1862.

Paolo Giacometti


ATTO PRIMO

Sala in casa del medico Arrigo Palmieri, mobiliata con molta decenza. La porta d'ingresso è nel mezzo, altre laterali che conducono al giardino, alla biblio­teca, alle camere.

SCENA   PRIMA

Don  Fernando  e  Agata.

FERNANDO  Dunque, mi avete riconosciuto subito?

AGATA          Subito: come si possono dimenticare le fattezze di un giovane, quando lo si è allattato?

FERNANDO Dite piuttosto che aveva quindici anni almeno allora che l'abate, mio zio, mi mandò in Ca­tania agli studi, per cui...

AGATA          Ma da quell'epoca molto tempo è trascorso. Non vedete, don Fernando mio, come mi sono invec­chiata? Voi,  all'incontro,  siete  sempre  giovane.

FERNANDO È forse per quésto che, vedutomi appena, mi squadraste con tanta meraviglia, esclamando: an­cora lo stesso?

AGATA          Eh no! La mia esclamazione, che riguardava solamente lo stato vostro, voleva dire: sempre seco­lare!

FERNANDO Ah! ora capisco. La mia buona nutrice sperava di rivedermi canonico, prelato, è vero?

AGATA          Sì, mi ero raccomandata tanto a san Gennaro!

FERNANDO Mi facevate un bel servizio! Sia lode al Santo che non vi ha esaudita.

AGATA          Ohimè!   che sentimenti son questi?

FERNANDO Da galantuomo, mia cara, perché i mestie­ri non si fanno senza una certa inclinazione, o se si fanno, si fanno male. È verissimo che lo zio monsi­gnore desiderava d'incamminarmi alla prelatura, e perciò da Catania mi fece passare a Roma, raccoman­dandomi al cardinale suo cugino - ma fu un conto sbagliato. Io speso il danaro, studiai poco, ho goduto molto, mi scandalizzai moltissimo, e se ritornai alla Abbadia appena cristiano, fu un vero miracolo!

AGATA          Gesù mio, cosa sento! E dire che io vi ho allattato cristianamente, divotamente! che prima di adagiarvi nella culla vi esorcizzavo con preghiere, con segni di croce... che vi coprivo il petto di medaglie benedette, di reliquiarii Ah meschina me! figurarsi la collera di monsignore se vi sente a dire certe ere­sie!... Almeno abbiate prudenza con lui.

FERNANDO Diavolo! non son poi stato a Roma per nulla, ed un po' di santa impostura l'ho imparata-tanto è vero che son qui per rendere un servigio a monsignore - un servigio di esplorazione: vedete che sono ancora un buon cattolico.

AGATA          Di esplorazione?

FERNANDO Esplorazione, per altro, innocentissima ed anche piacevolissima, giacché si tratta di esplorare una donna.

AGATA          Una donna? Ah, forse... credo di coglier giusto, ma non mi pare un incarico per voi, giacché... basta, monsignore fa sempre bene. Io però supponevo che voi foste venuto qui semplicemente per vedere il , medico Palmieri, col quale avete passata,l'infanzia, e anche per veder me.

FERNANDO Difatti non v'ingannaste del tutto: vi ho riveduta volentieri, rivedrò con piacere Arrigo... ma la; donna misteriosa, che, per quanto ho inteso dallo zio, il medico recò con sé da Catania coll'intento forse di nasconderla in quest'ultimo lembo della Calabria, è quella che ora mi interessa moltissimo - Chi è  costei?  come  si  chiama?

AGATA          Chi è? non si sa. Come si chiama? Rosalia.

FERNANDO Rosalie ve ne sono tante in Sicilia... ne ho conosciute parecchie. - Ditemi piuttosto: questa Rosalia è zitella?

AGATA          Chi lo sa!

FERNANDO  È maritata?

AGATA          Chi lo sa!

FERNANDO  È vedova?

AGATA          Chi lo sa!

FERNANDO    Non  si  sa niente!  - Infine, è bella?

AGATA          (stringendosi nelle spalle) Uh!...

FERNANDO Veramente non avrei dovuto farvi questa ultima domanda.

AGATA          Perché mo'?

FERNANDO Perché una donna vecchia non vi risponde mai, e si stringe sempre nelle spalle come avete fatto voi. Ne giudicherò io. Il punto sta che questa inco­gnita pone in angustie l'animo dello zio, giacché, nella sua qualità di abate, deve - egli dice - sorvegliare il buon costume, prevenire gli abusi, gli scandali... e questa Rosalia, secondo quello che ne ho inteso, risve­glia certi sospetti, certe trepidazioni di coscienza ne­gli abitanti, che naturalmente e sventuratamente sono un po' pinzoccheri, molto pregiudicati...

AGATA          Eh!   lo scandalo c'è, pur troppo!  lo sa Maria Santissima,  alla quale mi rivolgo sempre, perché mi conceda  la   grazia  di   uscire  da   questa  casa,  senza peccato!

FERNANDO  E perché non ne uscite?

AGATA          Non posso. Sono stata acconciata presso il me­dico - che, in confidenza, è un eretico - dal signor abate, il quale è anche il mio confessore.

FERNANDO  Per   verità,   ciò   è   molto   strano.   Allora, probabilmente, mio zio non aveva ancor avuto certi motivi di disgusto col medico...

AGATA          Non lo so.

FERNANDO E questi motivi di disgusto in che consi­stono?

AGATA          Ah, don Fernando! le son cose che non si possono dire, perché offendono  troppo la religione.

FERNANDO Ma allora - domando io - in qual modo il vostro padre spirituale vi ha messa, per così dire, sulla  porta  dell'inferno?  forse  come  una  sentinella?

AGATA          No, don Fernando, come una povera peccatrice che ha bisogno di guadagnarsi il Paradiso.

FERNANDO (fra sé) Facendo la spia. Avvertirò l'amico.

AGATA          Permettete che io vada per le mie faccende...

FERNANDO Aspettate; vorrei farvi un'altra interroga­zione.... ma vi prego di non rispondermi con una stretta di spalle.

AGATA          Uhm!...

FERNANDO  Il medico non aveva moglie?

AGATA          L'aveva certamente, ma è morta da molto tempo.

FERNANDO  E dove morì?

AGATA          In questa casa medesima, due anni prima che il medico andasse a stabilirsi a Catania con la sua piccola Emma, nata fra gli spasimi della madre ago­nizzante.

FERNANDO A Catania?... per certo, dopo che io ne ero partito, perché altrimenti ci saremmo incontrati... E l'amico rimase sempre vedovo?

AGATA          Chi lo sa!

FERNANDO  Da capo con questi chi lo sa!

AGATA          Eh, mio Dio!  che devo dire?

FERNANDO Dite molto. Vi è dunque il sospettoche abbia contratto un secondo matrimonio?...

AGATA          Uhm!...

FERNANDO  Forse  segreto? colla misteriosa  Rosalia?

AGATA          Ma!...

FERNANDO Uhm!... ma!... Voi mi fate diventare più curioso di una  governante.

AGATA          Per me non lo sono punto. - Volete vedere l'incognita? guardate là. (Indica una delle porte che si trovano a sinistra.)

FERNANDO Non posso ben distinguere... ha seco una giovinetta... Chi è? sua figlia? la figlia del medico?

AGATA          Non so niente.

FERNANDO Corpo del diavolone! che io mi diverto moltissimo. Mi piace lo straordinario, e se riesco a scoprire...

AGATA          Non riuscirete...

FERNANDO Ad ogni modo... aspettate; esse vengono verso di noi - ritiriamoci un poco. (Si ritirano nel fondo della scena.)

SCENA   SECONDA

Rosalia, Emma ed i suddetti.

ROSALIA      (tenendo per mano Emma) Volete, la mia cara Emma, che scendiamo in giardino a cogliere i fiori?

EMMA            Col massimo piacere: faremo un bel mazzo­lino che presenterò al papa quando ritornerà dai suoi ammalati. Non va bene che io gli offra dei fiori come per ringraziarlo delle consolazioni che egli lascia sempre agli infermi? Poverini! Io gli dò dei fiori, e ricevo dei baci. Vi guadagno, è vero?

ROSALIA      Oh sì! i baci dei proprii genitori sono una santa cosa; lo sa chi non può più averne!

EMMA            (dolorosamente)   Ah!  io non li ho che da lui!

ROSALIA      (subito) Andiamo, andiamo in giardino. (Si muovono per andare, mentre don Fernando, il quale si era mosso lentamente verso dimoro, le incontra.)

FERNANDO  Domando  scusa  se...

EMMA            (sottovoce a Rosalia)  Un signore!  Chi è?

ROSALIA      (dopo d'aver considerato don Fernando) Credo di averlo veduto un'altra volta, ma...

FERNANDO Io cercavo una semplice curiosità... (Pia­no ad Agata) Mi pare di conoscerla.

AGATA          Davvero?

ROSALIA      (guardando don Fernando, dice fra sé) (Ah! non m'inganno, no... come evitarlo?) Perdonatemi, signore, se essendo aspettata...

AGATA          (Da chi?)

FERNANDO Un momento, di grazia. Adesso che ho interrogate le mie rimembranze, sono certo di non ingannarmi. Noi ci siamo conosciuti a Catania.

ROSALIA      Non me ne ricordo, signore.

FERNANDO Non ricordate quel don Fernando, che praticava in casa di vostro padre, che fu poi anche amico di...

ROSALIA      (subito per interromperlo) Può darsi... di fatti mi sembra... ma dopo tanti anni...

FERNANDO  Quattordici circa...

ROSALIA      Sì,  quattordici!

AGATA          (Si conoscono... sapremo qualche cosa.)

FERNANDO Che fortunata combinazione! (Fra sé) (Però, prima di farle certe domande assai delicate, vorrei...) E questa leggiadrissima giovinetta è una vostra figlia?

EMMA            Ah! no, signore! io non ho conosciuta mia madre, perché è morta nel darmi alla luce... ed io ne provo tanto rimorso! non ho ragione forse? non è un furto che io ho commesso?                 

FERNANDO  Poverina!

EMMA            Ah! se questa buona Rosalia fosse mia madre!...

AGATA          (E  probabilmente  lo  è.)

EMMA            Non avrei, no, una spina fitta nel cuore. Dicono che la mia salute è un po' gracile, che mi scuoto per le più leggiere impressioni, che piango facilmen­te... Ma egli è perché non posso perdere la memoria... e quando penso che mia madre è morta per farmi vivere, e che io l'ho fatta morire, soffro molto, soffro sempre, signore... E senza un padre sì nobile, sì gene­roso, sì buono che mi vuoi tanto bene, che mi acca­rezza ad ogni momento...

FERNANDO  Voi dunque siete la figlia di Palmieri?

EMMA            Lo sono, signore.

FERNANDO  Del mio amico d'infanzia?

ROSALIA      (sorpresa)    Egli è vostro amico?

AGATA          (Pare che le rincresca.)

EMMA            Ah! voi lo conoscete? lo amate? Ciò mi fa piacere. Dite, signore, non ho io un angelo per padre?

AGATA          (Con quell'odore di zolfo!)

FERNANDO Oh sì! Arrigo Palmieri è uno di quegli uomini rari che Dio fa nascere qualche volta sollievo dell'umanità sofferente. Egli meritava un premio quag­giù, ed ora che vi ho veduta ed ascoltata, comprendo che lo ha ottenuto. Di fatti, adesso, ricordo benissimo ch'egli  era divenuto  padre...

AGATA          Non ve lo dissi, don Fernando? qui divenne padre, precisamente qui... e la fanciullina coll'andare degli anni, si è molto cangiata, massimamente negli occhi, che da neri divennero azzurri... almeno, secondo quello che osserva la sua nutrice, e le nutrici - io lo so per prova - non isbagliano.

FERNANDO  San Gennaro avrà fatto il miracolo.

AGATA          Eh! potrebbe darsi.

ROSALIA      Che cosa avete inteso di dire, mia cara Agata?

AGATA          Nulla, precisamente nulla. Ho ripetuto ciò che udii a raccontare le cento volte.

ROSALIA      Badate molto ai racconti voi... ma adesso ne sappiamo abbastanza, e vi pregherei di andare pei fatti vostri, giacché...

AGATA          Come  la  mi  comanda.

ROSALIA      Vi ho pregata.

AGATA          Non può comandare? In sostanza, non è la padrona di casa?

ROSALIA      Il padrone è uno solo.

AGATA          Sarà...

EMMA            Brutta Agata! sei sempre in collera. Cosa vieni a raccontarci di occhi neri od azzurri? Gli occhi me li ha fatti il Signore, e poteva anche cangiarmeli. Non mi piace che tu sia sempre piena di stizza verso que­sta buona Rosalia, che mi tiene luogo di madre, che amo come mia madre.

AGATA          Già, già...

EMMA            Va, non ti voglio più bene.

AGATA          Vado vado. (Partendo dice fra sé) (Che aria si danno queste figlie del peccato!)

FERNANDO (guardandole dietro) (Sono le gran stre­ghe, certe sante!)

ROSALIA      (Bisogna soffrire!)

FERNANDO Ora poi, signora Rosalia, mi parlerete un poco di voi, della vostra famiglia, di...

ROSALIA      (facendogli cenno di tacere) Emma, io vor­rei dire qualche cosa a don Fernando: vorreste frat­tanto scendere voi sola in giardino?

EMMA            Volentieri; preparerò i fiori pel papa prima che ritorni. - A rivederci, Rosalia; addio, don Fer­nando.

FERNANDO Addio bell'angiolo! (Emma esce a sini­stra.) Mi spiace disturbarvi... ma però la signorina poteva rimaner con noi. - Vi è del mistero in ciò che avete da dirmi?

ROSALIA      La giovinetta ignora il mio passato, e sic­come fu assai doloroso, così, per rispondere alle vostre interrogazioni, avrei amareggiato il suo mite animo... giacché la poverina mi vuole un gran bene... Voi lo avete inteso.

FERNANDO Sì, ma ignoro che male vi sia a sapere che voi avevate un marito, mentre, non vedendolo presso di voi, e la vostra umile condizione in questa casa - se le apparenze sono reali,- mi fanno credere che vostro marito non viva più.

ROSALIA      E se vivesse?

FERNANDO Allora bisogna convenire che le apparenze ingannano. Vive! la cosa è molto diversa... e come, dove vive egli? che è mai accaduto? una separazione?

ROSALIA      Non vi posso rispondere.

FERNANDO Però i vostri occhi mi lasciano compren­dere... Vi ha abbandonata? Voi piegate il capo? - Ab­bandonata! - Eh! perbacco! era da prevedersi. Certe passioni esaltate, più proprie del romanzo che della vita reale, conducono a precipizi... Inoltre, ricordo bene come fu fatto il vostro matrimonio... Rapita da quel forsennato! - Egli era veramente una di quelle nature, le quali si sviluppano spesso sotto il nostro cielo di fuoco, presso i vulcani, che non ammettono la via di mezzo, ma spingono l'uomo ad una eccentricità asso­luta, o per grandi virtù o per grandi delitti:

ROSALIA      Grandi pur troppo!

FERNANDO I vostri genitori eran dunque profeti quando...

ROSALIA      Ah! tacete!

FERNANDO La fatalità esiste a questo mondo!... io me ne persuado. Se almeno foste libera!... Come ve la passate col medico? non troppo bene, è egli vero? Io capisco: senza un titolo giusto... un legame appro­vato dalla Chiesa...

ROSALIA      (offesa)  Don Fernando, che dite voi?

FERNANDO  State tranquilla,  perché   io   non   ho   né pregiudizi, né scrupoli, ma delle idee affatto parti­colari circa il matrimonio, giacché trovo che il più legittimo di tutti fu quello celebrato nel Paradiso ter­restre... ma però le costituzioni civili... la Curia ro­mana...  il  conciliabolo di Trento...

ROSALIA      Non proseguite. Anche voi! anche qui calun­niata... dappertutto!  Eppure sono innocente; povera, abbandonata dalla mia famiglia, accettai questo uffizio di aia, che è la mia unica risorsa. Il dottor Arrigo è l'uomo più virtuoso che io mi abbia conosciuto; è stato un salvatore mandatomi dalla Provvidenza. Nulla abbiamo da rimproverare a noi medesimi; credetemi, don Fernando, le nostre anime sono pure.

FERNANDO Vi credo, signora Rosalia, ma ad ogni modo vi avrei stimata egualmente, giacché certi sacrifizi mi sembrano inumani, e non li posso ammettere. Che diavolo! preferisco la logica al diritto canonico, il quale ne ha sempre poca. Ma è ben naturale che non la pensi così l'abate mio zio.

ROSALIA      (con gran sorpresa) Che dite? Monsignore è vostro zio?

FERNANDO  Ve ne rincresce?

ROSALIA      Molto - egli è il mio persecutore.

FERNANDO Veramente dai suoi discorsi ho capito che non vi è troppo amico... ma perseguitarvi poi... a meno che non lo facesse per coscienza.

ROSALIA      Per coscienza non si calunnia.

FERNANDO Siamo d'accordo - ma mettetevi un po' nel­la sua tonaca. Egli agisce per principio, con fede, da apostolo, da inquisitore se volete - ma da santo inqui-sitore. Egli è persuaso che fra voi ed Arrigo esista una corrispondenza, la quale, non essendo perfetta­mente ascetica, offende la santocchieria di questi po­veri abitanti, che potrebbe ledere i diritti di succes­sione, quelli della Banca romana...

ROSALIA      Ma questa corrispondenza non esiste.

FERNANDO  Io lo ammetto. - Ma non sapete voi che l'opinione pubblica è un tribunale, che giudica senza prove, che condanna senza misericordia?

ROSALIA      Però l'opinione pubblica può essere corretta, illuminata...

FERNANDO  Ahimè! da chi?

ROSALIA      Da chi ne ha il dovere, da chi si vanta seguace di una legge di amore e di carità.

FERNANDO Lo capisco, ricordo anch'io le parole che il Redentore ha scritte sulla sabbia...

ROSALIA      (risentita) Non è questo il caso... e nondi­meno se lo fosse, il signor abate non ricordò quelle parole misericordiose, mentre fu il primo a raccogliere la pietra, che il suo sapiente Maestro aveva fatto ca­dere dalle mani dei lapidatori, per lanciarla contro di me, che non sono la peccatrice di Maddalo.

FERNANDO  Egli?  mio  zio?

ROSALIA      Dove nacque la calunnia? dentro le pareti dell'Abbazia. Da dove si mosse per recare il suo sordo ronzio di casa in casa? Da un luogo che non ardisco di nominare.

FERNANDO (fra sé) (Ah! quella pinzocchera avrà fatto il male.) Ma però, mio zio vi ha rivolto qualche rimprovero? Vi ha  minacciata?

ROSALIA      Ah, mio Dio! certe guerre si fanno all'ombra e nel mistero, la vittima si sente colpita e non vede la mano - i pozzi spirituali esistono ancora. Io vivo in continue apprensioni, sempre in forse del domani, perché l'odio sacerdotale non perdona.

FERNANDO L'odio? convengo nella massima - nulla-meno non posso supporre che... L'abate vi odia?

ROSALIA      Profondamente.

FERNANDO  Allora vi dev'essere una causa  segreta...

ROSALIA      Vi è.

FERNANDO  Tale che io possa saperla?

ROSALIA      No - sono generosa.

FERNANDO  (La saprò.)

SCENA   TERZA

Agata premurosamente, ed i suddetti.

ROSALIA      Che desiderate, Agata?

AGATA          Sapere se il padrone è rientrato, perché vi è in sala monsignor abate, il quale ha somma premura di parlargli.

ROSALIA      (con sbigottimento)    L'abate?

FERNANDO (vedendo l'imbarazzo di Rosalia)    E così?

AGATA          Alla signora non piace questa visita?

ROSALIA      Non è certamente per me - chi sono io? Il padrone non è ritornato, ma non dovrebbe tardare. Se monsignore si degna di attenderlo, potete introdurlo in  questa  camera,   dove  ritroverà  suo  nipote.

AGATA          (ironica) Tante grazie! - (Che lunga conver­sazione! non ho potuto bene ascoltarla... ma sapremo poi.)  (Esce.)

ROSALIA      Io vado in giardino da Emma.

FERNANDO Vi consigliere! a rimanere; la vostra pre­senza mi darebbe coraggio per...

ROSALIA      Io rimanere qui?... è impossibile. Però mi raccomando a voi, don Fernando, che mi conoscete giovinetta, che avete detto di credermi senza colpa. Assicuratelo che non ne ho commessa alcuna, ditegli che non merito le sue persecuzioni, perché ho patito tanto: che mi lasci vivere tranquilla, obliata in questo asilo, che mi ha dato il Signore... Ditegli ciò, o almeno non mi compromettete di più, siate onesto, prudente, per carità.

(Esce per la porta dalla quale è partita Emma.)

FERNANDO Lo sarò. - Una causa d'odio? Eh! non vorrei che monsignore, in luogo di far guerra al vizio, la facesse alla troppa virtù... Non sono gonzo io, e ricordo benissimo che questo pastore, nei suoi anni più verdi, aveva delle predilezioni, poco spirituali, per certe pecorelle, e non sarebbe difficile che, trovatane una smarrita, si fosse ingegnato di tirarla all'ovile... per carità evangelica.

SCENA   QUARTA

L'Abate  ed il suddetto.

ABATE           Siete ancora qui? come andò l'esame?

FERNANDO Ho fatto da inquisitore - così alla meglio. Voi non ne sarete persuaso, ma il mestiere è difficile.

ABATE           Che vi è sembrato della malinconica avventu-riera? Voi che non avete voluto darvi a Dio, ma vivere al secolo, dovete intendervi per pratica di certe arie sentimentali,  rugiadose,   seducenti...

FERNANDO Me ne intendo un poco - ma non quanto un confessore.

ABATE           Donne  simili  non  si  confessano.

FERNANDO (Se fossero matte!)

ABATE           Dunque?

FERNANDO Dunque questa Rosalia, nel suo mite do­lore, è di una bellezza affascinatrice, e mi pare che anche un santo anacoreta potrebbe preferirla alle radici e alle flagellazioni... motivo per cui ne sono edificato.

ABATE           Cosa  vi  edifica?

FERNANDO  Quell'odio sacro che voi le portate.

ABATE           Odiarla? al contrario, io ne sento pietà - una austera pietà. Vorrei richiamarla sulla buona strada, e perciò sappiate ch'ero venuto perfino nella determi­nazione di offrirle un sicuro asilo all'abbazia presso di me.

FERNANDO Da vero? (Voleva proprio tirarla all'ovile!) E lo ha rifiutato?

ABATE           Sdegnosamente ed assolutamente, per non ab­bandonare...

FERNANDO  Chi mai?

ABATE           Il suo amante - e forse...

FERNANDO  Arrigo?... v'ingannate - non si amano.

ABATE           Non si amano?  Eh! voi, don Fernando, non conoscete a fondo il medico Palmieri, come lo conosco io.

FERNANDO  Siete  il  suo confessore?

ABATE           Di chi? di un ateo?

FERNANDO  Arrigo è un ateo?

ABATE           E quando lo si vede in chiesa? Mai. Scopre egli il capo davanti alle sacre imagini, che la pietàdei divoti ha effigiate sulle pareti esterne delle case? Mai. Che cos'è per lui il miracolo di san Gennaro? Una superstizione alimentata dal clero. In questa casa si leggono libri perniciosi, empi, non si prega. Fuori di un crocifisso, perché lo si creda opera di Cellini, voi non trovereste l'immagine di una Madonna, di un Santo... Ma invece nella biblioteca del medico stanno appesi i ritratti di Sarpi, di Arnaldo, di Giordano Bruno, di Campanella, di Filangieri, di Francesco Con­forti, di Domenico Cirillo.

FERNANDO  Uomini   grandi...

ABATE           Dite settari che finirono quasi tutti sul pa­tibolo.

FERNANDO  Come Cristo.

ABATE           Che dite voi, don Fernando?

FERNANDO Io sono sorpreso, e non so come monsi­gnore possa sapere così bene quello che si fa, che si dice, che si pensa, che si mangia in una casa, dove ella viene così di rado.

ABATE           Vedo attraverso i muri.

FERNANDO (Cogli occhi della sacra referendaria.) Però non capisco che relazione possano avere le trasgres-sioni di culto col carattere morale, cogli amori sup­posti di Arrigo e di Rosalia.

ABATE           Non capite che senza religione non si può dare moralità?

FERNANDO Non lo capisco, perché ho sentito a de­cantare il medico - massimamente dai poveri - per uomo illuminato, filantropo, generosissimo; lo chia­mano l'angelo delle capanne.

ABATE           Qui esiste il pervertimento - ecco la corruzione, lo scandalo. Quest'uomo è pernicioso tanto alla morale pubblica  quanto  alla fede.

FERNANDO Qui si fa una guerra di principi reli­giosi... lo comprendo, e comprendo che la povera Rosalia ne sarà la vittima.

ABATE           La povera Rosalia è alla vigilia di andar molto lontano di qui.

FERNANDO  La farete partire? Voi? Monsignore, diso­norare una donna sopra alcune apparenze, è tal cosa...

ABATE           Apparenze, voi dite?... ma sappiate che ho in mano dei fatti... e tali che mi costringono ad agire energicamente.

FERNANDO Monsignore, pensateci. Rosalia non me-rita un simile trattamento; io la conosco da molto tempo; fu sempre buona, onesta... e senza un malau­gurato matrimonio...

ABATE           (sorpreso) Maritata? essa?... tanto peggio - o tanto meglio. - E dov'è suo marito?

FERNANDO  È ciò che ignoro...

ABATE           Divisa   da   lui?

FERNANDO  Non per sua colpa.

ABATE           La  colpa  è  sempre della donna.

FERNANDO  Adagio un poco - bisogna distinguere.

ABATE           In casi di matrimonio noi non facciamo distin­zioni.

FERNANDO  Ed avete torto.

ABATE           (severo)  Come?

FERNANDO Cioè... (Fra sé) (Difatti, già Roma non distingue che fra scudo e zecchino.)

ABATE           Frattanto vi ringrazio di avermi avvisato.

FERNANDO  (Credendo di far bene ho fatto male.)

SCENA   QUINTA

Agata ed i suddetti.

ABATE           È  rientrato questo signore?

AGATA          Da qualche tempo; ma si fermò in giardino a ricevere il solito mazzolino di fiori dalla... figlia: quindi molte tenerezze; poi, già s'intende, complimenti, sor­risi alla signora... aia.

FERNANDO  (Maledetta!)

ABATE           Insomma, mi fa l'onore di ricevermi?

AGATA          È entrato nella biblioteca, e prega monsignore di attenderlo un momento.

FERNANDO Va bene; lo vedrò io pure con molto piacere.

ABATE           Non adesso, giacché ho bisogno di parlargli io, senza testimoni;  favorite di andarvene.

FERNANDO  Ma...

ABATE           Devo comandarvelo?

FERNANDO  Vado. (Che demonio di un santo!) (Esce.)

ABATE           (ad Agata con aria grave e significante) Altro di nuovo?

AGATA          No. Ma circa alla ragazza è certo che...

ABATE           Ne so quanto basta. Andate. (Agata gli bacia la mano.) Vi aspetto domani.

AGATA          Sì, monsignore. (Esce.)

ABATE           Ora se il filosofo viene disposto ad azzuffarsi meco,  io  sono  preparato  a   riceverlo.

SCENA   SESTA

Il dottor Palmieri ed il suddetto.

PALMIERI     Monsignore, vi prego a scusarmi se vi ho fatto attendere un poco, ma...

ABATE           Sono io anzi che desidero di essere scusato per esservi venuto a rapire, così all'improvviso, alle gioie domestiche, o alle vostre filosofiche speculazioni... Capirete bene però che senza un motivo...

PALMIERI     Qualunque sia, monsignore, favorisca di accomodarsi.

ABATE           Tante grazie. (Siedono.) Nessuno può ascol­tarci ?

PALMIERI    Nessuno.

ABATE           Egli è perché le cose che ho a dirvi sono piuttosto gravi.

PALMIERI    Ed lo le ascolterò colla mia solita pazienza.

ABATE           Per non abusarne soverchiamente, tralascierò dunque gli oziosi preamboli per toccare subito l'ar­gomento.

PALMIERI    Ve ne sarò obbligato.

ABATE           Vengo a parlavi di quella certa donna...

PALMIERI     Chi è quella certa donna?

ABATE           Uhm?...   Rosalia.

PALMIERI     L'argomento non è nuovo, ma però sem­pre piacevole.

ABATE           Questa volta non lo sarà poi tanto, giacché è assolutamente necessario che la donna si allontani, non solo da questa casa,  ma anche dal paese.

PALMIERI    E perché, signor abate?

ABATE           Non vorrei spiegarmi di più.

PALMIERI     Allora il nostro colloquio terminerà presto, perché se è vero che io sono filosofo, saprete che in filosofia si cerca e si  vuole  sempre la  ragione delle cose e dei fatti. La necessità che ammette, monsignore, non è appoggiata a ragioni, molto meno poi a diritti. Rosalia è una donna onesta, vive nella casa di un uomo onesto - è l'aia di mia figlia e tanto basta.

ABATE           Di vostra figlia!...

PALMIERI    Vi ha dei dubbi, monsignore?

ABATE           Tutt'altro. Temo solamente che la fanciulla non sia la stessa che diede alla luce la vostra moglie, e che io ebbi l'onore di battezzare.

PALMIERI    Come?

ABATE           Credo che la bambina - la vera Emma - abbia cessato di vivere in Catania, alcuni mesi dopo il vostro soggiorno in quella città.

PALMIERI    Siete male informato.

ABATE           Non potrei esserlo con maggior esattezza, giacché stamattina appunto quell'abate dei Benedettini si è dato la premura di spedirmi l'attestato di morte, che io gli avevo chiesto, per tutti i casi possibili e che ho l'onore di presentarvi. (Gli dà un foglio.) Ritenetelo a vostro bell'agio, perché io ne ho un altro. Voi vedete che, quantunque semplice teologo, cerco anch'io la ragione delle cose.

PALMIERI     Quando si tratta di nuocere... Vedo che il signor abate s'interessa - più che non dovrebbe - dei fatti miei.

ABATE           Non dovrei interessarmi di ciò che potrebbe turbare la tranquillità delle coscienze?

PALMIERI    Povere coscienze, come sono ben governate!

ABATE           Ora dunque - poiché vostra moglie è morta nel dar alla luce la bambina, né !voi siete passato a nuove nozze - non rimane alcun dubbio; la seconda Emma è illegittima.

PALMIERI     Potrei disingannarvi... Ma delle mie azioni, signor abate, io non rendo ragione che alla mia co­scienza, la quale non ha bisogno del vostro governo. L'avere io una figlia - illegittima, se vi piace, e che d'altronde potrei far legittimare dal santo padre, con poca spesa - non prova che Rosalia sia sua madre.

ABATE           Lo  si   può   supporre  facilmente.

PALMIERI    Simili supposizioni le fanno i cattivi.

ABATE           Ma nullameno stabiliscono lo scandalo morale. Che Rosalia sia o no la madre di Emma poco importa; il mondo lo crede e basta.

PALMIERI    Il mondo crede ciò che gli impostori gli fanno credere.

ABATE           Infine vi è una cosa che non può mettersi in dubbio ed è che Rosalia è un'adultera, perché ha marito. Vede, signor dottore, che io so anche questo.

PALMIERI     Ah, bisogna convenirne. Se io, come il si­gnor, abate mi fa l'onore di credere, sono l'erede di Do­menico Cirillo, martire della scienza e della patria, ella è il legittimo erede di Torquemada, inquisitore e carnefice.

ABATE           Badate bene a quello che dite!

PALMIERI     Vorreste denunziarmi al Sant'Ufficio? non ho paura; il soffio della civiltà ha spento per sempre i santi roghi.

ABATE           Forse... Ma è bene che ci calmiamo per ritor­nare al punto da cui siamo partiti. Questa donna che vive con voi, separata dal proprio marito...

PALMIERI     Separata - ciò è incontrastabile. Ma il per­ché lo sa monsignore?

ABATE           No.

PALMIERI    Eppure giudica? condanna?

ABATE           Ch'essa ritorni...

PALMIERI    Dove?

ABATE           Presso suo marito.

PALMIERI    Nell'ergastolo di Napoli!

ABATE           Come?

PALMIERI     Da tredici anni egli è stato condannato e rinchiuso nella casa di forza.

ABATE           Condannato?... Ah, buon Dio! ed essa intanto, invece di piangere la disgrazia di suo marito?...

PALMIERI    E cosa ha fatto finora?

ABATE           Non lo so.

PALMIERI     Lo so io. La situazione di questa donna è falsa, lagrimevole, disumana - lo comprendo  ma la colpa non è sua, benché ne porti la pena.

ABATE           E di chi dunque?

PALMIERI     Il signor abate me lo domanda? del Con­cilio di Trento.

ABATE           Ah vorreste alludere alla indissolubilità del matrimonio?

PALMIERI    Appunto.

ABATE           Ed ignorate che comandata da Dio?

PALMIERI    Non lo credo.

ABATE           Voi dite cose empie.

PALMIERI    Monsignore può non ascoltarle, se vuole.

ABATE           Aspetto le vostre risoluzioni  circa a Rosalia.

PALMIERI     Le mie risoluzioni, signor abate, sono che nessuno ha facoltà di anatomizzare il mio cuore, di inquisire i miei intimi rapporti, la mia famiglia. Che Rosalia è povera, percossa dalla legge, respinta dalla società, calunniata dall'ipocrisia religiosa. Che io le ho offerto un ricovero onorato e tranquillo, per quella legge di carità che imparai dal più grande dei filosofi - dal Vangelo, monsignore. - Che infine, per consigli, delazioni o minaccie, io non rinunzierò il mandato di benefattore che ho ricevuto dalla Provvidenza.

ABATE           È ciò che vedremo.

PALMIERI     Quando vi piacerà. - Il signor abate ha altro a dirmi?

ABATE           No.

PALMIERI     Tanto meglio.

(L'abate esce.)

Povera Ro­salia! lasciarla partire? Dividerla da sua figlia?... Oh no! sarebbe lo stesso che farla morire!


ATTO SECONDO

Sala  di   studio   nell'appartamento   dell'abate.   Una libreria,   quadri   religiosi,   inginocchiatoio   con crocifisso, ecc.

SCENA   PRIMA

L'Abate

ABATE           legge attentamente, seduto allo scrittoio, dopo un momento,  alzando gli  occhi dal grosso libro,  dice:

Nell'ergastolo?... per qual delitto? - lo saprò. Questa scoperta è importantissima e rende sempre più mi­steriosa la situazione di Rosalia, che ho bisogno di allontanare dal paese, per molte ragioni... Imprudente che fui! Le ho fatto capire troppo bene certe cose, certi progetti... le ho scoperto la mia debolezza... e non vorrei che un giorno o l'altro mi facesse perdere quell'odore di santo, del quale ho goduto finora... Testi­moni e accusatori non ne voglio. Inoltre, se la scom­parsa di Rosalia farà un po' di rumore, tanto meglio. Lo scandalo che, in questi casi, suole edificare le coscienze, scemerà anche la riputazione del medico. Un incredulo virtuoso? un ateo caritatevole?... Ah! bisogna far isparire l'esempio, perdere l'uomo. Per­derlo?... mi è balenata un'idea. Se quell'uomo - il ma­rito - non fosse là incatenato! Se, in qualche modo, lo si potesse far comparire come un fantasma, o piuttosto come un giudice, alla moglie che vive in braccio di un altro... Ah! è certo che quell'uomo, un galeotto, spinto dalle proprie passioni, diventerebbe, assai  naturalmente   e  senza  saperlo,  un  sicario  del Santo Ufficio. L'idea è stupenda, e potendola tradurre in azione... chi sa! Le mie aderenze in Napoli son tali che... il confessore della Regina può tutto, e... basta, ci penserò questa notte.

SCENA   SECONDA

Gaetano ed il suddetto.

GAETANO    (reca la lucerna accesa che depone sul ta­volo)    Dio vi salvi, monsignore.

ABATE           Voi pure, Gaetano.

GAETANO    Devo dirle che uno sconosciuto, giacché non ricordo di averlo mai incontrato in questi contorni, si è introdotto nel cortile interno dell'abbazia, forse dalla parte della chiesa.

ABATE           A quest'ora?... non lo avete interrogato?

GAETANO    Subito; quantunque, a dir vero, così sul far della sera, non m'ispirasse molta confidenza quella figura strana, che non potevo ben distinguere, mezzo coricata, com'era, sul piedistallo d'una colonna. Basta, al rumore de' miei passi, giacché mi dirigevo verso di lui, l'uomo si scosse d'improvviso, guardandomi, direi, con un senso di sbigottimento, per cui natu­ralmente presi coraggio e lo interrogai. Dalle sue risposte, fattemi con poche parole interrotte e con voce più tremante che spaventata, capii ch'era un viaggiatore smarrito fra questi monti, e che desiderava di essere presentato a monsignore, probabilmente per chiedere  un  poco  di  ricovero.

ABATE           Il ricovero non si niega ad alcuno... ma però siccome vi sono ancora dei banditi, i quali vanno scorrazzando la montagna...

GAETANO    Mi pare senz'armi, a meno che non le porti nascoste...

ABATE           Come veste?

GAETANO    Presso a poco alla foggia dei nostri mon­tanari. Stivali larghi, lungo tabarro e cappello cala­brese, il tutto però in cattivo stato. È alto della per­sona, ha viso bruno, scarno, affilato, occhi piuttosto grandi, barba ispida, lunga...

ABATE           L'età?

GAETANO    Questa poi... forse sopra i quaranta... Insomma è un essere straordinario, perché, avendolo meglio osservato al chiarore della lucerna, mi ha fatto una impressione diversa, singolare. La sua fisonomia non ha un carattere deciso: non si sa precisamente se esprima la ferocia, il disprezzo, la malinconia, la pietà, il rimorso... Ma forse tutte queste cose nel tempo stesso. Potrebbe anche darsi che appartenesse ai ban­diti, in questo caso lo giudico ammalato, perché il suo respiro è affannoso, si regge poco sulle gambe, proba­bilmente a cagione della stanchezza. Ma ad ogni modo se monsignore volesse interrogarlo...

ABATE           Certo che lo voglio. La vostra descrizione ha risvegliato la mia curiosità. Andate ad introdurlo... però, non senza ordinare alla mia gente di stare sullo avviso.

GAETANO   Ciò resta inteso, monsignore. (Esce.)

ABATE           Un bandito? chi sa!... Ma di che dovrei temere? I banditi, in fondo, non sono poi cattiva gente; hanno molta divozione; recano sempre indosso qualche me­daglia benedetta... e non è gran tempo che prestarono servigi importantissimi alla causa del Sanfedismo; dunque... Mi pare che venga.

SCENA   TERZA

Gaetano che introduce Corrado, ed il suddetto.

GAETANO    (a Corrado)    Eccovi monsignore.

ABATE           Venite avanti galantuomo; non abbiate timore. Siete stanco? dategli da sedere. (Gaetano eseguisce.)

CORRADO    Grazie, monsignore. (Siede.) Grazie anche a voi   (a Gaetano).

ABATE           (a Gaetano) Lasciateci.

(Gaetano esce. L'Abate l'osserva attentamente,) (Gaetano aveva ragione, la sua fisonomia ha un carattere singolare.) Or su, par­late, chiedete ciò che vi occorre da me.

CORRADO    Nient'altro che un po' di ricovero per que­sta notte, un po' di riposo. Ho camminato tutto il giorno ed il tramonto mi sorprese sulla china della montagna, davanti alle guglie di questo tempio. Allora i tocchi dell'Ave Maria risvegliarono nel mio cuore le memorie dell'infanzia... ed ho sentito il bisogno di entrare in un luogo santo. Dopo molti anni ho pre­gato!

ABATE           Dopo molti anni?... Ciò non va bene, e per questo, sia ringraziato il Signore che vi ha condotto fin qui;  forse io potrò giovare alla vostra anima.

CORRADO   Alla mia anima ci penso io.

ABATE           Se è inferma, io la guarirò.

CORRADO               Guarirla?... Non lo credo, monsignore...

ABATE           E perché?... quando si sente il rimorso...

CORRADO    Il rimorso?... io?...

ABATE           Non trasalite così, figliuolo, quietatevi.

CORRADO    Quiete! rimorso!... monsignore mi crede un delinquente!

ABATE           No; ma in tutti i casi abbiate confidenza in me; siete in un luogo ben sicuro; la mia abbazia gode  tuttora   il   privilegio  d'immunità...

CORRADO   Mi è noto.

ABATE           Ed è per questa ragione che siete entrato?

CORRADO    Vi dissi che sono entrato per chiedere una notte di ristoro. Volete accordarmela, sì o no?

ABATE           Sì, figliuolo... io vedo in voi più l'uomo del dolore che quello della colpa, e vi so dire che m'inspi­rate molto interesse. La vostra fisonomia, benché alte­rata forse dai patimenti, mi prova abbastanza che la vostra condizione non è tanto umile, come indiche­rebbero questi abiti... che indossate... per caso.

CORRADO    Per fatalità!... Sventuratamente non sono figlio dei monti; non fui molto agiato, ma esercitavo una nobile arte.

ABATE           Quale?

CORRADO               La pittura.

ABATE           Siciliano?

CORRADO               Non lo fossi stato mai!

ABATE           Avete famiglia?

CORRADO    L'avevo!

ABATE           Ed ora siete solo?

CORRADO    Solo?... Ah! guai a me se... Basta così, mon­signore. Non ho che una speranza - lasciatemela. Le vostre interrogazioni mi sembrano quelle di un giu­dice; voi mi fate paura - tacete. Vi ho chiesto un po' di ristoro pel mio corpo, ma non vi ho dato il diritto di avvelenarmi l'anima. Che v'importa più in là? Io non sono per voi che l'apparizione di una notte; do­mani, svegliandovi, non mi ritroverete più. Su, via monsignore, non vi chiedo che poca paglia, un pane bianco e una brocca d'acqua per ispegnere l'ardore che ho nel sangue - non mi abbisogna altro.

ABATE           Che dite? voi sarete trattato come merita lo stato vostro... ma siccome vorrei pure giovarvi meno materialmente, così desidero di sapere dove siete diretto.

CORRADO               Verso l'Etna, a Catania.

ABATE           Se avessi delle cognizioni un poco più esatte sulla vostra persona, potrei dirigervi...

CORRADO   Grazie.

ABATE           È la prima volta che vi recate in quella città?

CORRADO               Vi sono nato.

ABATE           Allora ditemi - è un'ultima interrogazione -conoscete voi a Catania un giovane per nome Fernando Merrano?

CORRADO    Mi sembra di ricordare questo nome... Ma dopo tanto tempo... Egli studiava le leggi?

ABATE           Appunto.

CORRADO   Sì, ci siamo conosciuti e fummo anche amici.

ABATE           Amici? allora vi sarò utile, vostro malgrado. Sappiate che quel don Fernando è figlio di una mia sorella, e si trova all'abbazia, presso di me.

CORRADO    (sorpreso e con dispiacere) Qui?... che me ne importa? Ho bisogno di riposo - è la terza volta che ve lo dico - fatemi condurre al giaciglio del vostro cane.

ABATE           Abbiate un poco di sofferenza; mio nipote vi rivedrà con piacere. Ora lo farò chiamare.

CORRADO    Non voglio vedere alcuno, non voglio essere esaminato - lo fui abbastanza da voi.

ABATE           Permettete che vi usi questa violenza. (Suona il campanello, e comparisce Gaetano.) Avvisate mio nipote di venir qui, sul momento: ditegli che un suo amico di Catania desidera di vederlo.

GAETANO                (Suo amico? allora sapremo chi è.)  (Esce.)

CORRADO    Monsignore, avete poca carità: vi è nota la mia condizione civile, mi vedete in sì misero arnese, e ciò non vi impedisce di espormi alle Interrogazioni di un indiscreto, alla vergogna... Mi fate pagar cara l'elemosina. Ma anche il povero ha la sua superbia - per Dio! - e giacché mi accorgo di esser entrato nella casa degli inquisitori, io ne uscirò tosto. (Con mal garbo si muove per partire.)

ABATE           Di grazia, fermatevi. Se non mi aveste detto di essere nato ai piedi dell'Etna, ora lo indovinerei da questa vostra natura accensibile. Non va bene; mo­deratevi, amico, perché con simili temperamenti si commettono errori... e molte volte delitti.

CORRADO    Delitti?... (Calmandosi, ed appoggiato il go­mito sullo schienale della sedia) È vero!

ABATE           (fissandolo) (Ciò è bastato a calmarlo... Eh, forse...) (Avvicinandosi a Corrado) Dunque, io vi lascio con mio nipote, giacché mi pare che venga.

CORRADO    (a capo basso)    Come comanda monsignore.

ABATE           Con un amico avrete maggior confidenza. (Partendo, dice fra sé) Ed io saprò se si può credere ai presentimenti. (Entra a destra.)

CORRADO    (sollevando lentamente il capo) Vi sono delle parole che agghiacciano! Che dirò a costui?... che mi dirà egli?... Ah! forse potrebbe darmi qualche indizio... Se quelle due creature vivono, io camminerò tanto, finché le avrò raggiunte... se sono morte, andrò a cercarle sotterra... ho meco quanto basta per dor­mire eternamente con loro.

SCENA   QUARTA

Don Fernando, Gaetano e detto.

FERNANDO (appena entrato dice a Gaetano) Dov'è l'abate?

GAETANO    Sì sarà ritirato per lasciarvi in tutta con­fidenza coll'incognito, che si dice vostro amico - ec­colo lì.

FERNANDO (sorpreso dalla foggia di vestire di Corrado)  Quello?...

GAETANO    Appunto; io mi ritiro, ma se avete bisogno, chiamatemi. (Esce.)

FERNANDO (Un montanaro!... basta... [Si avanza e considera Corrado.] Non lo ricordo.) Amico, dove ci siamo conosciuti?

CORRADO               A Catania.

FERNANDO  Sono molti anni?

CORRADO               Molti.

FERNANDO (osservandolo con maggior attenzione) Eppure, una rimembranza... mi pare...

CORRADO   Infine, sono Corrado.

FERNANDO Corrado?... sì, certo... Abbracciamoci dun­que... ma... direi che è un sogno ben strano... Voi!... come vi siete cangiato!...

CORRADO    E voi no; la ragione è chiara: non avete sofferto.

FERNANDO Può darsi. Infatti il vostro abbigliamento è alquanto  singolare...  E  come va che...?

CORRADO    Vicende crudeli...

FERNANDO  Capisco...  mi è noto...

CORRADO    (subito con apprensione) Che cosa vi è noto?

FERNANDO (correggendosi) Quasi nulla... so che avete sofferto... questo già lo si capisce guardandovi... (Non vorrei commettere imprudenze... Cosa viene a fare? Scaviamo.)

CORRADO   Che pensate fra voi?

FERNANDO Penso alla combinazione, che, a dir vero, è assai stravagante, perché mai più mi sarei imma­ginato di rivedervi presso l'abate mio zio, del quale non ricordo di avervi mai parlato, e qui poi, ai piedi degli Appennini, in un paese che... Su, via, racconta­temi qualche cosa. Dove siete stato finora? da dove venite?

CORRADO               Non lo so.

FERNANDO Ciò è anche più singolare della vostra ap­parizione... Ma, permettete... mi sovviene benissimo che allorquando partii da Catania per avviarmi a Roma, vi lasciai ammogliato...

CORRADO   Lo ero!

FERNANDO E quella vostra moglie, che, per quanto mi ricordo, era buona, bella...

CORRADO   Molto bella!

FERNANDO  Dove si trova adesso?... è morta?

CORRADO    (subito)    Spero di no!

FERNANDO Sperate?... ma, dunque... forse vi siete cor-rucciati?... forse una separazione?...

CORRADO               Una  separazione!

FERNANDO  E il motivo?

CORRADO    Orribile!

FERNANDO  Orribile?... Potrei saperlo?

CORRADO   No.

FERNANDO Pazienza. E adesso pensate di avviarvi a Catania?

CORRADO    Sì.

FERNANDO Probabilmente, nella lusinga di ritrovarvi la   moglie.

CORRADO               E la figlia!

FERNANDO (sorpreso) La figlia?

CORRADO    Sì, la mia Ada, che non ho veduta da tre­dici anni... Io volevo chiedervi conto di loro, ma sfor­tunatamente mi accorgo che ignorate...

FERNANDO  Non   del  tutto.

CORRADO    Don Fernando, che dite? vivono esse? pre­sto,  parlate...  A Catania?

FERNANDO Cioè... ecco, mio buon amico, io potrei dirvi qualche cosa della moglie.... ma della figlia poi...

CORRADO   Vivrà colla madre.

FERNANDO  No veramente.

CORRADO               Dunque, avete veduta Rosalia?

FERNANDO L'ho veduta, e, se è vostra intenzione di ricongiungervi a lei...

CORRADO               E perché ho camminato tanto?

FERNANDO  Allora  fermatevi.

CORRADO    Fermarmi? qui?

FERNANDO  Qui, dove vive Rosalia.

CORRADO    (esaltato) Rosalia è qui?... Non m'ingan­nate?...  L'ho ritrovata  sì presto?

FERNANDO Ohimè!... vi vien male?... forse sono stato imprudente.

CORRADO    Al contrario... egli è che la mia fibra si è fatta sì debole... Rosalia!... ma Ada?...

FERNANDO  Vi ho detto che la figlia non c'è.

CORRADO               Ne  siete sicuro?

FERNANDO  Sicurissimo.

CORRADO    Ah, buon Dio! sarà morta... era assai gra­cile... la povertà, l'inedia avranno consumato quel suo corpicino... Tutto fu inutile - non la vedrò!

FERNANDO Chi sa!... potrebbe vivere in una qualche casa di educazione... Calmatevi, saprete meglio da Rosalia.

CORRADO    È vero, potrebbe vivere... vivrà. Perché ri-nunziare alla speranza? Ho bisogno che viva... Or bene, conducetemi tosto da Rosalia.

FERNANDO Adagio un poco... Così all'impensata... di notte... senza prima sapere se...

CORRADO    Avete ragione; vi sono molte cose a sapersi - molte, don Fernando!... Rosalia sarà disposta ad accogliermi?... avrà dimenticato?... Oh! è impossibile! io le farò orrore.

FERNANDO Orrore poi... Eh, per bacco! vi siete amati con tal trasporto, che... l'amore, in fin dei conti, per­dona a tutto.

CORRADO    Tutto?

FERNANDO Sì, tutto... d'altronde Rosalia è stata sem­pre sì buona...

CORRADO    È buona ancora?... mi ha ricordato mai?... dite... non lo sapete?... Un'altra interrogazione vorrei farvi. Rosalia sarà povera, è vero?... Come è vissuta? come vive?

FERNANDO  Vive in qualità di aia.

CORRADO   Aia? mia moglie!  - e presso chi?

FERNANDO  Presso un'ottima persona.

CORRADO               Una donna?

FERNANDO  (Ahi!)  No, è un uomo - è il medico - Arrigo Palmieri, il quale, avendo una figlia... una cara giovinetta...

CORRADO   È ammogliato?

FERNANDO  Vedovo.

CORRADO               Vedovo?... e quanti anni avrà?

FERNANDO  Trentasei forse...

CORRADO    È giovane ancora!... E Rosalia è l'aia di sua figlia!... aia solamente?

FERNANDO  Credo - ne sono certo.

CORRADO    (stringendogli la mano) Grazie, don Fer­nando. - Ma dopo tanti anni!... Ahimè! Rosalia ne aveva diciannove quando lo la lasciai...

FERNANDO  E ciò che vuoi dire?

CORRADO    Me lo domandate? Vuoi dire che Dio, nella sua sapienza, rese eterno il sonno delle morte, ed ha fatto bene. Guai se gli estinti potessero risvegliarsi!

FERNANDO  Che strane idee son  queste?

CORRADO    Non tanto, o amico, perché io avrei dovuto dormire per sempre.

FERNANDO Non vi comprendo, in fede mia... ad ogni modo confortatevi: Rosalia è pur sempre vostra mo­glie, e spero che verrà con voi, dovunque vi piacerà di andare.

CORRADO   Dovunque? con me?

FERNANDO Credetelo fermamente; per esempio, mi pare che potreste recarvi con lei a Catania, presso la sua famiglia.

CORRADO               Quale famiglia?

FERNANDO Forse i genitori di Rosalia non esistono più? ma vivrà, per lo meno, il fratello di lei, Alonzo...

CORRADO    (scosso grandemente) Alonzo?... qual nome proferiste! Alonzo!... (Si lascia andare sulla sedia, co­prendosi il viso colle mani.)

FERNANDO Corrado, perché questo sbigottimento ec­cessivo?... Insomma, io non capisco... non so più che dire...

SCENA   QUINTA

L'Abate ed i suddetti.

FERNANDO  Monsignore,  venite  in  buon'ora.

ABATE           Ebbene,  chi  è questo amico vostro?

FERNANDO Chi è?... consolatevi, perché ci occorre appunto la vostra santa opera: trattasi di perdono, di riconciliazione.

ABATE           Di riconciliazione?

FERNANDO Sì; giacché io vi presento il marito di Rosalia.

ABATE           (scosso) Che cosa dite?... Ah! se fosse vero!... Ma il marito di Rosalia, del quale ignoro il nome, trovasi però condannato a vita nell'ergastolo di Napoli.

CORRADO    (alzandosi con impeto) Monsignore, chi vi ha detto?...

FERNANDO  (con  grande   stupore)    Corrado?...

ABATE           E voi siete quel desso?... ma come mai?... sarei stato prevenuto? vi fu condonata la pena? Parlate con confidenza; siamo in luogo sicuro.

FERNANDO Noi vi salveremo a qualunque costo. Sa­reste fuggito?

ABATE           Ditelo pel vostro meglio.

CORRADO   Ebbene, che giova il negarlo? sono fuggito.

ABATE           Ah! ciò va a seconda de' miei desideri: peroc­ché sappiate, mio caro, che lo stato incerto, infelice, pericoloso di Rosalia mi aveva intenerito siffatta­mente, che con l'aiuto del confessore di Sua Maestà, mi disponevo ad impetrare la vostra liberazione, ed ero certo di ottenerla. Ma questa fuga non distruggerà i miei progetti - al contrario. Informatemi delle circo­stanze che accompagnarono la vostra disgrazia, le quali, siccome spero, mi faciliteranno i mezzi per riuscire nell'intento e farvi ottenere un salvacondotto; vedrete.   Da  bravo,   dunque;   raccontateci   tutto; poi vi condurremo al riposo, e domani vi troverete in caso di fare una dolce sorpresa a vostra moglie, che certamente non vi aspetta... Ah! io ne godo in anti­cipazione!

CORRADO    Riaprirò la piaga. Don Fernando vi avrà già informato di ciò che riguarda il mio matrimonio...

ABATE           Poco mi disse.

FERNANDO E poco ne sapevo. Ricordo solamente che amavate Rosalia da forsennato, ch'essa pure vi amava, contro il divieto de' suoi genitori, ai quali non gar­bava punto il vostro umore fantastico, il vostro ca­rattere fiero, violento; che voi, senza tante cerimonie, e poco badando alle conseguenze, una bella notte ra­piste Rosalia alla sua famiglia e ve la siete sposata. Ecco quanto mi è noto; in seguito partii da Catania, e non seppi più nulla dei fatti vostri.

CORRADO    Fu meglio così. - Vi lascio imaginare il dolore che provarono i genitori di Rosalia, l'odio che concepirono contro di me. Era giusto, ma allora non mi sembrava così. Mia moglie aveva un fratello di nome Alonzo, il quale era riuscito ad intenerire il cuore di suo padre... ma non verso di me. L'onesto vecchio avrebbe volentieri perdonato alla figlia, l'avreb­be riaccolta in casa, se si fosse decisa a lasciarmi. Rosalia, già divenuta madre di una vaga bambina... resisté coraggiosamente ai consigli, alle preghiere, non meno che alle minacele... ma invano, perché decisero di rapirmela ad ogni costo, ed Alonzo se ne tolse l'incarico. Fui avvertito della trama da un vecchio servo della famiglia, che già aveva favorito ed agevo­lato la fuga di Rosalia dalla casa paterna. Una notte-era la notte fatale destinata da Alonzo al rapimento della sorella... io mi appostai sulla cantonata, e vedu­tolo, mentre si dirigeva per entrare in mia casa, gli chiusi il passo, di modo che, pel suo meglio, avrebbe dovuto retrocedere sul momento... ma invece lo sven­turato ebbe l'imprudenza di minacciarmi... minacciar me egli, in quel luogo, in quell'ora!... Subito le mie braccia diventarono d'acciaio come la lama dello stile, che già serravo nel pugno. Al grido di Alonzo, si spalancò la finestra, e vi comparve Rosalia spaventata, sclamando: Corrado, rispetta mio fratello!... A quel secondo grido i miei occhi infoscati non videro più che sangue... e difatti la mia lama aveva già spaccato il cuore di Alonzo.

FERNANDO Che orrore! capisco adesso perché poc'anzi trasaliste in quel modo!

ABATE           Infelice, continuate.

CORRADO    Avevo appena consumato l'omicidio che, la Giustizia divina era là per vendicarlo, giacché fui arrestato sul fatto dalla pattuglia, che passava per caso. Il mio processo fu breve; le prove non mancavano; le circostanze rendevano più grave la colpa, anche per la resistenza sanguinosa da me opposta ai soldati. Venni condannato a vita, e condotto nella casa dì forza a Napoli.

ABATE           I giudici avrebbero potuto mitigare la pena perocché, a mio avviso, se fu grave la colpa, apparte­neva però meno al cuore che al temperamento.

CORRADO    Può darsi - ed infatti non giunsi mai a do­marlo, perché il vizio era nel sangue. Tredici anni di lavori forzati non fece che aggiungere fiele a questa lava che mi scorre ancora per le vene. Per cui vi avete a figurare ciò che abbia patito un uomo quale io mi sono, giovane allora di ventotto anni. Artista, marito, padre, costretto come una fiera dal guinzaglio di ferro ribadito nel masso del carcere. La mia im­maginazione mi fu sempre fatale, e nell'ergastolo addoppiava i miei tormenti: vedevo Rosalia sola, spre­giata, mendica... ma giovine e bella! - Quindi, o co­stretta a vivere col pane della elemosina, o con quello della colpa... m'intendete voi? E mentre nel bagno urlavo per gelosia, la sferza dell'aguzzino invece di punire l'omicida, flagellava il marito. - Non basta. -Avevo lasciata la mia figliuolina Ada, dell'età di un anno, o poco più, grama, pallida come un angioletto di cera, e me la figuravo ora stesa sopra un letto di giacinti recata al cimitero; ora coperta .di cenci, stretta ai fianchi della madre nell'atto di stendere le sue manine ai passeggeri; e spesso invece tutta ben vestita vispa saltellante in una bella casa intenta a prodigare la cure e l'affetto di figlia ad un ricco si­gnore, ganzo della madre... e quest'ultimo pensiero in­cessante, questo orribile sogno bastava per condurmi al delirio.

ABATE           Lo credo; e per verità, se la vostra immagi­nazione non vi avesse ingannato!... Ah, pover'uomo!... Ma in seguito?

CORRADO    In seguito pensai al modo di fuggire. Questa idea fissa, tanto naturale nel prigioniero, questo eni­gma che non riuscivo a sciogliere, questo lavoro as­siduo, ostinato, mi produsse una lenta febbre cere­brale.   Allora  il  Regio  Commissario  ebbe compassione di me, e mi fece trasportare in un car­cere più umano, dove ero solo, trattato con un poco di carità, poiché fui anche sollevato dalle catene. Gua­rito dalla febbre ritornai alla prima idea, al consueto lavoro. Mi diedi ad esaminare il piccolo carcere, ch'era piuttosto una cella penitenziaria, e vidi che l'unica ferriata non era molto alta. Coll'aiuto di un tavolo, che mi avevano recato per collocarvi i medicamenti, mi arrampicai, e mi accorsi con gioia che al di là del muro si trovava un cortile, poi subito la campagna. Non ero più sorvegliato, perché, fingendomi tuttora infermo, non si credeva che mi bastassero le forze per alzarmi dal mio giaciglio, dove stavo coricato tutto il giorno per ingannare quelli che venivano a visitarmi; ma nella notte, simile al paziente meccanico, prose­guivo con diligenza il mio lavoro, che cresceva. Oh! nessuno sa quanta forza acquistino le facoltà del pri­gioniero, nessuno sa che le sue unghie diventano lime e scalpelli! Ma la catena stessa, che per buona fortuna, i secondini avevano sospesa al muro, mi fu strumento di liberazione, perché mi sono servito de' suoi lucchetti, de' suoi anelli per iscalcinare le pietre, che tenevano confitte le spranghe della ferrata. Alla perfine mi riuscì di smuoverne una; con questa sol­levai la seconda, poi la terza, la quarta... l'adito era aperto, ma bisognava spiccare un salto pericoloso. Qui pure mi giovò la catena, giacché avendola raccomandata  alle   spranghe  rimaste,  mi  calai  facilmente nel cortile, e da questo, più facilmente ancora, gua­dagnai la campagna.

FERNANDO  Ottimamente.

ABATE           M'immagino ciò che avrete provato dentro di voi vedendovi libero!

CORRADO    No, non lo potete. Bisogna essere stati se­polti vivi per tredici anni. Bisogna aver contati quei lunghi anni, ora per ora, aver desiderato la libertà, la famiglia, l'aria, il sole!... Io mi sentivo sano, robusto, felice! la mia fronte si rinfrescava, i miei polmoni si dilatavano dentro a quella atmosfera imbalsamata dagli aliti di tante esistenze!... Del resto è inutile che vi parli. Camminando tutta la notte ben presto mi posi in salvo fra le gole delle montagne. Un buon abruz­zese mi fornì queste vesti, un altro assai ricco e caritatevole un po' di denaro, e per tal modo, sulla cresta degli Appennini, mi trascinai fin qui.

ABATE           La Provvidenza vi ha assistito finora. Voi ve­dete dove vi ha condotto - presso vostra moglie.

FERNANDO  Dunque coraggio.

CORRADO               Coraggio?...  io  ne  ho  avuto  molto,  vorrei averne ancora... ma da che intesi che la mia Ada non vive con sua madre, nella casa di questo medico...

ABATE           La  vostra  Ada?...   Aspettate...   secondo  quello che ho inteso, la giovinetta dovrebbe avere  quattor­dici anni...

CORRADO    Sì.

ABATE           Presso a poco l'età della fanciulla, che, per quanto si è fatto credere, il medico ha dato in custodia alla vostra Rosalia... Ma riflettete bene - siccome la figlia legittima del dottor Palmieri cessò di esistere da lungo tempo...

FERNANDO  Come?

ABATE           (andando allo scrittoio) Tengo presso di me l'atto mortuario, che ho già reso ostensibile al me­dico, e...

CORRADO    (subito, infiammandosi) Ma chi è dunque la madre della fanciulla? ...

ABATE           Ma!...

CORRADO               Per l'anima vostra, spiegatevi!...

ABATE           Buon Dio! come vi lasciate subito trasportare dalla vostra immaginazione meridionale!... Io che non sono sì facile a supporre il male, volevo dire sola­mente che la vostra Ada potrebbe vivere nella pre­tesa figlia...

CORRADO               Ada?

FERNANDO  Diavolo!... questo è impossibile.

ABATE           Chi sa!... fra le varie spiegazioni che si possono dare ad un mistero...

CORRADO    La mia Ada credersi figlia di un altro? a-mare un altro?... Non erano visioni d'inferno le mie?...

FERNANDO  Lo  erano,  siatene  certo.

ABATE           Voi avrete bene un qualche indizio per rico­noscere vostra figlia.

CORRADO    Ahimè! quale? vi dissi che aveva poco più di  un  anno  quando la  lasciai.

ABATE           Certo che... ma, infine, di quali indizi ha biso­gno un padre? la natura stessa.

CORRADO    Ah! è vero, il cuore mi dirà... che potrà mai dirmi dopo tredici anni?

ABATE           Allora interrogherete Rosalia; la madre vi ren­derà ragione della figlia, la moglie di se stessa.

CORRADO               Di sé?...

ABATE           Sono  questi  i  vostri  diritti.

CORRADO    I miei diritti? Non lo so, monsignore; posso dirvi, però, che desiderai tanto, che tanto ho fatto per rivedere mia moglie, ed ora che le sono vicino, tremo, vorrei fuggire, ritornare nel carcere.

ABATE           Perché?

CORRADO   Vi dico che non lo so.

FERNANDO Via, Corrado, voi siete troppo agitato, siete debolissimo; vi occorre una buona tavola, ed un ottimo letto.

ABATE           Sia vostra cura di fargli apprestare l'una e l'altro. Dimani poi... Coraggio, la misericordia del Si­gnore è grande.

CORRADO    Ma la sua giustizia?... è l'una o l'altra che mi ha qui trascinato?... lo saprete domani! (Esce con don Fernando.)

ABATE           Domani il leone avrà riacquistato le forze... e noi - signor dottore - ripiglieremo il nostro discorso. (Entra.)


ATTO TERZO

La scena dell'atto primo.

SCENA   PRIMA

L'Abate entra seguito da Agata.

ABATE           Nemmeno oggi il medico è in casa?

AGATA          Glie l'ho detto, monsignore. È questa l'ora consueta delle visite e non ritornerà sì presto, per­ché non fa solamente il medico, ma il moralista, il pervertitore;  risana i corpi e infetta le anime.

ABATE           Ancora per poco.

AGATA          Così piacesse a Maria Santissima! Dunque se monsignore si degna di aspettarlo anche oggi...

ABATE           Ne farò a meno; chiamatemi  colei.

AGATA          Subito. E quando cesserà lo scandalo?

ABATE           Presto.

AGATA          Così sia! (Entra a sinistra.)

ABATE           Lo scandalo crescerà, forse. Ciò dipende dalla risposta che mi darà Rosalia. È un dramma che può finire o incominciare... Vedremo.

SCENA   SECONDA

Rosalia  ed il suddetto.

ROSALIA      Il signor abate mi ha fatta chiamare. Ma egli è con me che desidera d'intrattenersi o col signor dottore?

ABATE           Col dottore parlai abbastanza ieri mattina.

ROSALIA      Troppo.

ABATE           Può darsi. Nullameno tranquillizzatevi; non mi occorre più di rivolgervi alcun rimprovero, giacché la vostra posizione in questa casa, grazie alla divina Provvidenza, sta per  cessare intieramente.

ROSALIA      So infatti che monsignore ha avuto la carità d'ingiungere al mio benefattore di scacciarmi siccome una vile mantenuta. Io potrei invocare l'appoggio della legge civile, che certamente troverei più umana della vostra: forse una mia parola, fors'anche l'alito delle mie labbra basterebbero ad appannare la falsa au­reola di santità, che vi trema sulla fronte... ma voi sapete che sono virtuosa; così fra voi e me, bisogna che lo confessiate, non vi è permesso di guardarmi con quella sicurezza, con la quale vi guardo io... Questa vittoria mi basta, monsignore ; non voglio cercarne altre, ostinandomi in una lotta, la quale riuscirebbe funesta a persone, che io non posso rendere infelici per cagion mia... no, sono pronta a partire.

ABATE           Partire  se  questo  sarà il vostro piacere;   ma almeno non partirete sola.

ROSALIA      E chi mi accompagnerà?

ABATE           Vostro marito.

ROSALIA      Monsignore si prende anche giuoco di me?

ABATE           Tutt'altro, mia  cara.

ROSALIA      Ella ormai non ignora in qual luogo d'igno­minia si trovi l'uomo, che, fatalmente, fu mio marito.

ABATE           Fu?... lo è sempre, figliuola mia, tanto è vero che non potendo resistere al desiderio di rivedervi, trovò l'ardire nella disperazione, e col divino aiuto pervenne a frangere i ceppi dell'ergastolo, non solo, ma fino da ieri sera si è ricoverato alla mia abbazia.

ROSALIA      (con estrema meraviglia) Corrado?... ma è possibile? è vero?

ABATE           Potrei ingannarvi in cosa di sì gran momento?

ROSALIA      Corrado è qui?... ma come? perché è venuto? chi cerca?

ABATE           La sua famiglia.

ROSALIA      La  sua famiglia!

ABATE           Appunto; ma io sono ben sorpreso, per non dire scandalizzato nel vedervi ricevere con simile di­sgusto la nuova, che mi diedi la premura di recarvi... ne ero sì lieto!... Ah! mio Dio! ogni altra moglie mi avrebbe ringraziato.

ROSALIA      Ogni altra fuori di me.

ABATE           Badate bene a quello che dite.

ROSALIA      E monsignore prima di giudicare sappia...

ABATE           So che Corrado ebbe la disgrazia di uccidervi un fratello, ma...

ROSALIA      E dopo di ciò ardisce di credere che quel­l'uomo abbia ancora una famiglia? che io sia sua mo­glie? che debba seguirlo?

ABATE           Sì, credo tutto questo, perché una legge divina mi autorizza a crederlo.

ROSALIA      Non può essere divina, perché nel mio caso sarebbe ingiusta e disumana. Spero che monsignore non vorrà calunniare Dio.

ABATE           Vedo che beveste a larghi sorsi ad una fonte impura, pestilenziale... Ma vedo anche altra cosa - la difficoltà della posizione In cui si trova quell'uomo più infelice che colpevole. Ricomparire nella società, dopo tredici anni di assenza e di oblio... trovarsi così d'im­provviso - troppo d'improvviso - al cospetto di una moglie, ancor giovane, bella, che ha saputo consolarsi... Ahimè! non è una dolce sorpresa, non un bel giuoco, nemmeno per la moglie;  ma ci vuoi pazienza. Inoltre è meglio partire con un marito qualunque che sola e discacciata.

ROSALIA      Preferisco il secondo caso.

ABATE           Non avete il diritto della scelta. A quanto pare, dimenticaste affatto la natura gelosa, violenta di Cor­rado...

ROSALIA      Verrebbe ad usarmi violenza?

ABATE           Non avrà questa intenzione, perché è pieno di amore per voi... ma non conviene percuotere la selce se si temono le faville. Prima ch'egli venga a prendervi voi stessa andate da lui... o, per meglio dire, venite, io vi condurrò fra le sue braccia.

ROSALIA      Fra le sue braccia? io?

ABATE           Ascoltate. Per ora, vostro marito nulla ha da temere. Qui nessuno lo conosce, nessuno lo scoprirà. Di più, io gli ho promesso di fargli ottenere un sal­vacondotto, e sono certo di riuscirvi; cosicché, sotto altro cielo, voi potrete ancora essere felici. Non vi pare che io renda bene per male? Or dunque appro­fittate del mio consiglio. Venite.

ROSALIA      (dopo aver riflettuto)    È impossibile.

ABATE           (Tanto meglio!) Badate però, che verrà egli stesso, perché è già poco lontano di qui.

ROSALIA      Qui egli? Ah no!...

ABATE           E dovrete rispondere alle sue interrogazioni... ne avrà molte da farvi. Per esempio, bisognerà confes­sargli a chi appartenga la giovinetta misteriosa... dirgli che sia avvenuto della sua piccola Ada...

ROSALIA      (sbigottita)    Di Ada?

ABATE           Certo... egli la ricorda, e la desidera, la vuole, e... basta; ad ogni modo, son ben contento di avervi prevenuta. Vi resta un po' di tempo per fare il vostro esame di coscienza, per prepararvi ad un colloquio, che è assolutamente difficile e potrebbe assumere lo aspetto di un giudizio e di una condanna. Addio, mia signora.

ROSALIA      E che gli direte voi frattanto?

ABATE           Che lo  aspettate con desiderio infinito.

ROSALIA      No, ditegli piuttosto che non venga, che ri­spetti il mio stato, che abbia compassione di me.

ABATE           Dovrei commettere una simile imprudenza? pungere il leone, del quale ho già ascoltato il ruggito? No, pensateci voi, mia cara, e disponetevi a riceverlo con mansuetudine. (Uscendo dice fra sé) (Il colpo non può fallire).

ROSALIA      Corrado! rivedere Corrado?... Ah! direi che è un sogno, del quale non mi è dato di risvegliarmi intieramente. Dopo quella orribile notte, dopo tanti anni, rivederlo parlargli? oggi, qui! Io credo che non ne avrò la forza; mi mancheranno le parole, mi man­cherà il coraggio" di guardarlo... guardarlo io?... oh mai!... L'abate aveva ragione, io dovrei rispondere a molte interrogazioni... e come? con che viso? con quali parole? rispondere a lui!... dirgli... che dirgli di Ada? nulla? tutto?... Per fatalità il dottore non è in casa, non posso consigliarmi... Vorrei fuggire, o almeno na­scondermi; ma potrebbe essere peggio... E d'altronde ho io veramente il diritto di fuggire, di respingerlo, di negargli le consolazioni che viene a cercare?... non l'ho amato io? non sono fuggita con lui dalla casa di mio padre? Ah pur troppo il nostro amore ha partorito il delitto... Eppure senza la situazione strana, spaven­tevole nella quale mi trovo, io sento nel mio cuore che volerei incontro a Corrado per aprirgli le brac­cia... ma, mio Dio! Corrado viene ora a prendermi tutto, -a rapirmi... (Vedendo comparire Emma, si arresta visibilmente commossa.)

SCENA   TERZA

Emma e la suddetta.

EMMA            (accorgendosi dell'alterazione di Rosalia, le corre vicino)  Che  cos'avete,  mia  buona  Rosalia?

ROSALIA      Nulla, cara Emma.

EMMA            Nulla?  veramente?...  eppure  mi  sembrate  più malinconica del solito, e mi fate tanto dispiacere. Via abbracciatemi un poco... Non lo merito?

ROSALIA      Voi!   (abbracciandola)

EMMA            Ma voglio anche un bacio, altrimenti crederò di essere stata cattiva. (Rosalia la bacia.) Mi avete bagna­ta di lagrime; guardate (raccogliendo sul dito una lagrima e mostrandola a Rosalia). Perché piangete? perché mi guardate con tanta compassione? sono pal­lida io? mi credete malata?

ROSALIA      No...

EMMA            Ma dunque?... Oh! anche il papa, da qualche giorno, ha perduto il suo buon umore; mi trascura, si dimentica di baciarmi quando gli presento i miei fiori... Sta troppo fuori di casa, e poi quando ritorna è serio, taciturno, non si accorge che io gli vado dietro sulla punta de' piedi, per fargli una burla... Ma, mio Dio, che cos'ha egli mai? è in collera con me? gli ho dato qualche dispiacere?

ROSALIA      Voi?... poverina!  e quale?

EMMA            Forse è minacciato da una disgrazia? oh! par­late se lo sapete... parlate.

ROSALIA      Una disgrazia?... non credo... povera Emma! Voi amate molto vostro padre, è vero?

EMMA            Lo amo tanto, che non posso- dirlo - già voi lo sapete. Vi ricordate, quando il cattivo si era provato a mandarmi nell'Istituto di Napoli? quanto tempo vi sono rimasta? sei mesi, e poi è stato costretto a levarmi di là, perché non potevo vivere fra persone straniere, senza sorrisi, senza baci, io che ho bisogno ogni mattina di volare come una lodoletta nello studio del papa, di saltargli al collo, di dargli i miei baci, di riceverne altrettanti. Sentite: se è vero qhe le fan­ciulle, quando si fanno spose, debbono uscire dalla casa paterna, io non mi farò sposa: no, non posso comprendere come una figlia si rassegni a lasciare i suoi genitori per andare con un uomo, che ha appena veduto... che cattiva figlia!... Ebbene, Rosalia? perché vi  accigliate  così?  ho  detto  delle  brutte  parole  io?

ROSALIA      Tutt'altro,  figlia  mia!

EMMA            Ah? così mi piace - figlia! Questo nome sulla vostra bocca mi riesce sì caro! quando le vostre lab­bra lo proferiscono, io le bacerei, come le bacio adesso (le bacia la bocca). Vi ho pregata tante volte di chia­marmi sempre figlia, e voi non ve ne sovvenite quasi mai... Ma perché? non sapete che, chiamandomi figlia, mi fate dimenticare la mia disgrazia? Oh! ascoltate, voglio dirvi una cosa, ma non mi sgriderete, è vero? Una notte, cioè per varie notti, ho sognato che voi eravate proprio la moglie del papà, e per conseguenza, mia madre... io ero seduta fra voi due: mi divertivo a legarvi con una bella ghirlanda di rose... era tutta felice!... All'indomani mi svegliai, corsi allo studio del papa... era solo, e piansi tanto fra le sue braccia!

ROSALIA      Ah! (Estremamente commossa, senza poter proferire parola, abbraccia e bacia Emma con tra­sporto ; quindi, per nascondere la commozione ecces­siva, che non potrebbe più reprimere, fugge rapida­mente nella sua camera.)

EMMA            Mi fugge via... ma mi ha abbracciata e baciata in un modo affatto nuovo... le sue labbra fremevano... Ah! il mio sogno!... Egli è che non sognai solamente; ho anche pensato... forse feci male; non devo pensa­re... ma pure... la colpa non fu mia, bensì di quel pie­toso racconto, che ho letto con tanto trasporto, e mi lasciò tale impressione!... Ah sì! que' due poveri gio­vani si erano sposati segretamente... nessuno lo sa­peva, e non potrebbe darsi che?... Ah! se fosse vero!... no, no; io ho aperti gli occhi quando li chiuse mia madre! (Si pone a sedere tutta malinconica, facendo delle mani velo agli occhi.)

SCENA   QUARTA

Corrado e la suddetta.

CORRADO    (sulla porta) Dov'è... ricusare di vedermi?... Ah! (Avanzandosi impetuosamente vede Emma.) Una fanciulla? forse...  (Si avvicina lentamente, e siccome per l'atteggiamento di Emma non potrebbe ben ve­derne il viso, le prende la mano per allontanarla dal medesimo.)

EMMA            (sentendosi toccare si alza spaventata, e vedendo Corrado si scosta paurosa, dicendo) Un uomo! qual uomo... Chi siete? Chi cercate? il papà forse?...

CORRADO    (subito)    Chi è vostro padre?

EMMA            Il più buono, il più grande degli uomini.

CORRADO               In fine?

EMMA            Il benefattore di queste contrade, il medico Arrigo Palmieri.

CORRADO               Palmieri?   (Dessa!)

EMMA            Non lo conoscete?

CORRADO               Desidero di conoscerlo.

EMMA            Ma allora...  (scostandosi)

CORRADO    (movendo verso di lei)  Allora...

EMMA            Non vi avvicinate...

CORRADO               E perché? (fissandola attentamente)

EMMA            Ohimè! i vostri occhi sembrano due tizzi ar­denti... non mi guardate; sento che il mio viso brucia.

CORRADO               Ma io ho bisogno di guardarvi.

EMMA            Bisogno? (come per coprirsi il viso)

CORRADO    Lasciate che vi guardi... io cerco nei vostri lineamenti l'imagine d'una mia figlia.

EMMA            Avete una figlia?... allora prenderò un poco di coraggio, perché un padre non è mai cattivo.

CORRADO    È vero! ed io sarei così buono se mia fi­glia fosse con me!

EMMA            L'avete perduta?

CORRADO    Sì, ma la troverò, se è viva... Lasciate che vi guardi... (Dopo di averla osservata attentamente, come cercando di risvegliare le sue memorie, dice con dolore sdegnoso) Ah, sono pur pazzo io! di che vorrei ricordarmi? Il vostro nome?

EMMA            Emma.

CORRADO               Emma?

EMMA            Non vi piace questo nome?

CORRADO   No;  vorrei che vi chiamaste Ada.

EMMA            Perché Ada?

CORRADO    Perché è il nome di mia figlia... Nessuno ve l'ha nominata?

EMMA            Nessuno.

CORRADO               Nemmeno vostra madre?

EMMA            Mia madre è in cielo.

CORRADO               In cielo!... ed essa fu la moglie del medico?

EMMA            Certo, e spirò nel darmi la vita.

CORRADO    (fra sé) Menzogna! Ora ecco l'orribile dubbio. Se la mia Ada è morta, la figlia legittima di Palmieri è morta essa pure... e costei da chi nacque?... dalla colpa? da Rosalia? Devo abbracciarla, o... (mo­vendosi minaccioso verso Emma)

EMMA            (Impaurita)   Volete farmi del male?

CORRADO    (rimettendosi)  No, mia fanciulla,  non ab­biate timore.

EMMA            Ma ve l'ho detto; i vostri occhi mi bruciano.

CORRADO    Dai miei occhi non spirano sempre le fiam­me; vi è anche una luce d'amore, vi è la sorgente delle lagrime, ed io ne ho versate tante... e orribili lagrime! Mi piace guardarvi... siete sì bella e soave, che osservandovi, mi pare di ritornar giovine, puro, tranquillo... Oh! guardatemi anche voi!

EMMA            Ahimè! adesso la vostra tenerezza mi fa più paura della vostra collera...

CORRADO    (impetuoso) Paura? sempre paura! (Più dolce) Non avete detto che un padre non è mai cat­tivo?... Ebbene, io vi chiamerò Ada, voi chiamatemi padre... voglio esserlo... (appressandosi)

EMMA            (allontanandosi)   Voi mio padre?

CORRADO    (con impeto) Guai se non lo fossi! guai a voi!... (minacciandola)

EMMA            Misericordia di me! chi mi soccorre? aiuto!...

SCENA   QUINTA

Rosalia ed i suddetti.

ROSALIA      (spaventata dal grido di Emma, senza aver visto ancora Corrado) Che fu, Emma?

In questo punto vede Corrado, lo fissa, e dopo un momento riconosciutolo, manda un grido di sorpresa e di ter­rore: quindi, come se avesse perduto la favella, ser­rando Emma fra le sue braccia, la spinge dentro alla porta, dalla quale essa è uscita, e rimane sulla soglia, esterrefatta, immobile, a capo basso.

CORRADO    (che al venire di Rosalia sì era scosso pro­fondamente ora, superato il primo assalto, dopo di aver attesa invano una parola dalla moglie, si muove verso di lei)

Rosalia.

(Rosalia si copre il viso colle mani rivolgendo un poco il capo.) Sono io un fanta­sma per farvi tanta paura?... In ogni modo, dopo il vostro rifiuto di venire da me, voi dovevate essere preparata alla mia apparizione in questa casa. Il vo­stro contegno è un enigma. Ignoro se poc'anzi vi abbia colpita di terrore la mia persona, o piuttosto lo avermi trovato a colloquio con una fanciulla, che io amo  di  credere nostra figlia.

ROSALIA      Ada? voi delirate. La fanciulla non vi ha detto che si chiama Emma?

CORRADO               Lo ha detto.

ROSALIA      Che è là figlia del medico Palmieri?

CORRADO               Ha detto anche questo... Ma voi lo ripetete?

ROSALIA      Lo ripeto.

CORRADO    Tanto peggio; poiché se è certo che quella giovinetta è figlia di Palmieri, non è meno certo che la sola figlia legittima ch'egli ebbe da sua moglie è morta da lungo tempo. Così io vi domanderò, e voi mi direte chi sia la madre di questa fanciulla, che vi affrettaste tanto a salvare dagli impeti gelosi di vo­stro  marito.

ROSALIA      Chi è sua madre? - lo ignoro. Quando ridotta all'estrema povertà, fui accolta per istitutrice in que­sta casa, mi sono creduta dispensata dal chiedere la fede battesimale della giovinetta. Chiedetelo a suo padre.

CORRADO    Lo farò - frattanto rispondete ad un'altra interrogazione, e guardatevi dal mentire. Dov'è la mia Ada? che ne faceste voi?

ROSALIA      Strana domanda!  che ne ho fatto? è morta.

CORRADO               Ada è morta?

ROSALIA      Sì, perché la povera moglie disprezzata di un condannato non raccoglieva tanto di elemosina per alimentare la sua bambina, che spirò di languore.

CORRADO    La mia Ada? e con simile freddezza mi annunziate la sua morte? Voi a me?... non vi credo. Mi mostrerete l'attestato mortuario...

ROSALIA      Andate a Catania a domandarlo... colà vi ri­sponderanno che un omicida, fuggito dall'ergastolo, non ha diritto di chiedere conto della propria famiglia; egli vi ha rinunziato.

CORRADO    Io vi ho rinunziato?... io? (Commovendosi gradatamente) Ma perché dunque ho potuto trascina­re per tredici anni la mia pesante catena? perché curvai anima e dorso sotto orribili pesi, senza cadere affranto come il giumento? Perché non agonizzai sotto il bastone? Chi mi ha tenuto in vita, se non la spe­ranza di riposare, ancora una volta, nel mio letto nuziale? di riveder mia figlia? - e perché ho scas­sinate, corrose le spranghe della mia inferriata? per­ché, colla morte sul capo, tra vepri e burroni, trafe­lato, ansante ho camminato fin qui reggendomi sugli stinchi logorati dai ceppi, e lacerandomi i piedi? Do­v'ero diretto, se non alla casa in cui avevo lasciato mia moglie? Chi son venuto a cercare in questa casa se non Rosalia, il mio primo amore, la sola donna che amai con entusiasmo, e che ho posseduta per sì poco tempo? Ah! sì, Rosalia, per dirle: guarda a quello che ho patito, e perdonami a quello che ho fatto per istrascinarmi fino alle tue ginocchia (inginocchiandosi) e tu, generosa, rialzami... prendi il tuo fardello e vie­ni con me!

ROSALIA      Coll'uccisore di mio...?

CORRADO    (subito alzandosi lentamente) Non profe­rire un nome, che dall'ora fatale mi è sempre risuo­nato nel cuore, come voce di rimorso, che mi ha fatto trasalire, piangere, imprecare ai miei trasporti. Non odio, no, ma amore e gelosia mi armarono la mano -lo sai. Alonzo voleva rapirmi tutto, ed io gli tolsi tut­to... fu rappresaglia, fu colpa orribile... ma l'ho espia­ta duramente.

ROSALIA      Lo credete?... io non voglio negarlo, ma per patimenti e castighi si espia forse l'infamia? no, essa dura incancellabile, e diventa un legato che gli eredi, innocenti, sono condannati a raccogliere. Ma se io accettai di portare il vostro nome, quando era puro e onorato, non potete voi, non può nessuno, costringer­mi a portarlo ora, che è coperto di vergogna e di san­gue. Quando l'aguzzino vi ribadì la catena lacerò il no­stro contratto nuziale.

CORRADO    No, Rosalia, non è questa la legge che han­no fatto i sacri legislatori.

ROSALIA      Tanto peggio per loro, se ne promulgarono una diversa. Nessuno è obbligato a rispettare i codici che ha fatto la barbarie. Io ho il diritto della ribellione.

CORRADO    Rosalia! il cuore è il più giusto e il più pie­toso dei codici; leggivi dentro, e vi troverai scritto che la più sublime fra le mogli fu quella di Caino, per­ché osò baciare la fronte fulminata da Dio. Ma se ti spaventano i giudizi od i pregiudizi del mondo, noi possiamo ingannare il mondo, giacché lo vuole. Ricusi di portar il mio nome? Non lo porterai: io lo cangerò. Andremo a nasconderci in luoghi vergini, lontani, dove vorrai.

ROSALIA      E cangiando nome e paese, cangerete natu­ra? io perderò la memoria? Non sorgeranno sempre due spettri fra noi?... Sì, quello pure di mia madre, che morì di dolore, che ci ha maledetti... Or via, siate giusto, e tronchiamo questo amaro colloquio; io avevo una casa, e voi la distruggeste; or dunque lasciatemi questa - partite.

CORRADO    Partire senza di voi? lasciarvi in questa casa!... Rosalia, ciò è assolutamente impossibile... biso­gna pure che lo confessiate. Se temete tanto i giudizi che pesano sul mio nome, non dovete temer meno quelli che potrebbero pesar sul vostro.

ROSALIA      Che dite ora voi?

CORRADO    Ora dico ciò che ho taciuto fin qui, perché amai d'illudermi... perché ho voluto tentare il vostro cuore, che trovai chiuso, inesorato più di quello dei miei giudici... Dico che se vi ostinate a rimanere, cre­derò di essere stato un pazzo a sollevar la pietra del mio sepolcro; crederò veramente di esservi apparso come un fantasma, venuto a sorprendere i vostri se­greti, a disturbare le vostre gioie, la vostra felicità... (infiammato ognor più)

ROSALIA      Le mie gioie? la mia felicità?

CORRADO    Credo infine che questa casa sia molto più bella e deliziosa di quella che vi ho distrutta, perché nasconde i vostri nuovi amori, la vostra nuova figlia.

ROSALIA      Or bene, credete ciò, credete tutto. In mil­le guise fui calunniata per cagion vostra. Nessuno ha creduto alla virtù, al sacrificio di una donna giovane, povera, sola, maritata, senza marito... Ora voi unitevi agli stolti, ai calunniatori; gettatemi un po' di fango sul viso, non farete che continuare.

CORRADO    Io voglio scuoterlo dalle vostre vesti. Per pietà venite prima che io m'incontri con quest'uomo. Salvatemi... salvatelo!

ROSALIA      Vorreste commettere un secondo delitto?

CORRADO    Ma, per Dio! chi è dunque che fa scattar la molla? che mette la mano sull'aspide? Io non vo­glio commettere delitti, voglio comandare a me stesso, ma il mio sangue non ubbidisce sempre. (Disperata­mente) Rosalia, vieni!

ROSALIA      (spaventata) Compassione di me!... (In que­sto mentre vede comparire sulla porta Palmieri, e manda un grido di terrore) Ah! egli!

SCENA   SESTA

Il dottor Palmieri ed i suddetti.

CORRADO   (al  grido di Rosalia si rivolge,  e vedendo Palmieri, dice) Egli? è lui? Palmieri?

PALMIERI    Io stesso - ma chi siete voi ?

CORRADO   Un uomo che viene a reclamare sua moglie.

PALMIERI     (colla massima sorpresa) Corrado?...

CORRADO               Corrado che vi giudicherà entrambi.

PALMIERI     (freddamente)  Lo farete.


ATTO QUARTO

La sala dell'atto precedente.

SCENA   PRIMA

Corrado e Fernando.

CORRADO    (a sedere presso il tavolo) Amico, è la se­conda volta che vi prego di lasciarmi in pace... se po­trò trovarla.

FERNANDO  Ed io vi prego nuovamente a volermi dire qualche cosa riguardo all'accoglimento che avete rice­vuto. In primo luogo perché m'interessa la vostra si­tuazione singolarissima, ed inoltre perché vorrei ap­pagare il desiderio di mio zio che aspetta la vostra ri­sposta con grande impazienza.

CORRADO    Il signor abate ha molta premura e non so perché. Ma posso io rispondere? dire quello che non so?

FERNANDO  Non avete veduto Rosalia?

CORRADO               L'ho veduta.

FERNANDO  Che vi ha detto?

CORRADO    Molte cose mi ha detto, e ne ho compreso una sola.

FERNANDO  Potrei saperla?

CORRADO    (segnando il cuore)    Sta qui, amico.

FERNANDO  Ne può uscire?

CORRADO    Senza aprirmi il cuore, no.

FERNANDO  Davvero  che  vi  rinunzio...  Ma  la   figlia?

CORRADO    Figlia di chi?

FERNANDO Volevo appunto sapere. L'avete esami­nata?

CORRADO               Sì.

FERNANDO  Che impressione vi ha fatta?

CORRADO    Come si possono spiegare certe impressioni? L'avrei abbracciata ed uccisa.

FERNANDO  Nel tempo stesso?

CORRADO               Appunto.

FERNANDO  Dunque, buio perfetto?

CORRADO    Orribile. Attendo una spiegazione dal medi­co che si fa molto desiderare; l'attendo con ansia, con febbre. È qui che noi ci dobbiamo parlare, e per que­sto vi ho detto di uscire. Ve lo dico per la terza volta, non aspettate la quarta.

FERNANDO Non l'aspetterò, ma vorrei lasciarvi più tranquillo, farvi riflettere alle vostre circostanze, le quali potrebbero diventare anche più gravi, giacché ho veduto alcuni gendarmi a cavallo, che si dirige­vano all'abbazia, e forse per...

CORRADO    Per arrestarmi?... Tanto meglio! quando non si ha più famiglia, si può anche morire! Io ho vissuto per mia moglie e per mia figlia, altrimenti, non sapete voi, che se mi fosse mancato ogni altro mezzo, avrei fracassato il mio cervello contro i ma­cigni della prigione? Ma sappiate che io possedevo un mezzo migliore, allora, e men doloroso; sappiate che lo posseggo anche oggi... dunque, abbiamo un po' di pazienza... non ho bisogno che di poche ore per far ciò che devo in questa casa, e poi...

FERNANDO Amico, sono enigmi spaventevoli questi. Badate bene che, in qualunque caso, voi non avete il diritto della punizione, e molto meno quello della ven­detta.

CORRADO               Chi  parla dell'una? chi  pensa dell'altra?

FERNANDO  Perché  Rosalia,   in  fin  dei  conti,  merita d'essere compatita;   non è dessa che  vi  ha  lasciato.Per bacco! trovarsi maritata e vedova nel tempo stes­so!... nell'età di diciannove anni!... Che cosa avreste fatto voi nel suo caso?

CORRADO    Siete un gran filosofo voi che nulla soffrite. (Impazientandosi) Ma non viene? non viene costui?...

FERNANDO Pur troppo verrà! e mi spaventano le con­seguenze di questo colloquio. Se Arrigo ha la generosa imprudenza di confessarvi... Ah! buon Dio!... che fa­rete voi?

CORRADO    So io quello che mi dirà? quello che farò? Sa la palla micidiale dove andrà a colpire quando non è ancor fuggita dal suo carcere di bronzo?... Andate, insomma! Voglio raccogliermi prima di parlare col medico.

FERNANDO Raccoglietevi e meditate: è troppo giusto; giudicherete bene dopo di aver interrogata la vostra coscienza. Coraggio, mio povero amico! (Gli stringe la mano ed esce.)

CORRADO    Non ho il diritto della punizione e molto meno quello della vendetta: sono abbastanza giusto per convenirne. Rosalia, slanciata da me sull'orlo del­la voragine, senza guida, debole, sola, poteva sdruc­ciolare, cadere... chi lo nega? Rosalia avrà desiderato la mia morte, l'avrà attesa di giorno in giorno come una buona novella, per esser libera e felice, e... In-somma, non viene più questo medico? Perché tarda cotanto?... Avrà voluto consigliarsi con lei sul modo d'ingannarmi... Oh guai a loro! se non mi confessano... guai! (Vedendo venire Palmieri) Ecco che egli viene; finalmente!  Ora Dio ci guardi!

SCENA   SECONDA

Il dottor Palmieri  ed il suddetto.

PALMIERI     Eccomi a voi. Scusate se vi ho fatto atten­dere, ma dovevo prepararmi a questo colloquio, così improvviso, dovevo riflettere riposatamente alle cose che sono per dirvi.

CORRADO               Così ho pensato.

PALMIERI     La risoluzione non era facile nel mio caso. Si trovano presto i consigli nella rettitudine del pro­prio cuore, ma io dovevo interrogare anche l'altrui volontà.

CORRADO               Quella di Rosalia?

PALMIERI     Appunto, e lo feci. Le nostre decisioni, le speranze che abbiamo concepite partono da un prin­cipio, ed è che quando un uomo ha commesso errori gravissimi, deve saperli riparare anche a costo della propria vita.

CORRADO               È questa la vostra confessione?

PALMIERI    Non ancora. - Io ho parlato di voi.

CORRADO    Di me?... Prima d'ogni altra cosa, voi favo­rite di mostrarmi la fede di nascita di vostra figlia.

PALMIERI     Mi domandate l'impossibile, poiché io non ho  figli.

CORRADO               Non avete figli?... ma quella giovinetta...

PALMIERI     Quell'angelica giovinetta che si crede, che tutti credono  Emma, si chiama Ada.

CORRADO    (con grido)  Ada?...

PALMIERI    È la figlia vostra.

CORRADO    Ada viva?... è qui?... l'ho veduta! era lei!... (vacillante)

PALMIERI     Ohimè!... le forze vi abbandonano?... tre­mate tutto...

CORRADO    Non volete ch'io tremi di gioia? Eh signore! vi son gaudii che possono far morire, ma io vivrò, è adesso che vivo. La mia Ada così bella... Ma perché vi crede suo padre? perché vi ama? tacete; non vo­glio saperlo. Voi me la restituite e basta; vi perdono il resto, perdono tutto... ed a tutti.. Ah! corro a dirle...

PALMIERI    Aspettate.

CORRADO               Vi ripeto che mi basta.

PALMIERI     Ma io ho bisogno di sapere se siete degno di Ada.

CORRADO               Non lo fui - lo sarò.

PALMIERI     È ciò che spero, ciò che vedremo. Ponete in calma lo spirito, fate tacere il cuore, acciocché la vostra mente possa bene intendermi e meditare sul molto che vi dirò, giacché finora vi ho detto poco. Piuttosto sediamo.

CORRADO    (serrando le braccia al petto)    Parlate.

PALMIERI     È inutile che io vi spieghi di quali mezzi si giovò la Provvidenza per farmi incontrare Rosalia. Ciò avvenne alcuni mesi dopo la vostra carcerazione. Io la conobbi afflitta, grama, poverissima, senza fami­glia, senza tetto, respinta benanco dalla madre ago­nizzante spirata d'angoscia sul sepolcro del misero Alonzo... La sua situazione deplorabile mi parlò su­bito al cuore; mi persuasi che, non a caso, il Signore mi aveva condotto presso quella infelice creatura, e ben presto diventai il suo benefattore; senza altro scopo che quello del benefizio. Ero infelice io pure; da poco tempo avevo perduto la moglie e la mia pic­cola Emma; non mi sarebbe stato possibile di nutrire una passione colpevole, perché quelli che soffrono sono sempre buoni. Nulla di meno vi confesso can­didamente che, se Rosalia fosse stata libera, io le avrei dato il mio nome per riabilitarla... ma la poveretta era legata alla vostra catena! Io osservavo con un senso ineffabile di pietà la piccola Ada, che rassomigliava un poco alla mia Emma, e per una predestinazione singolare, mi si andava affezionando ogni giorno di più, forse perché la ricolmavo di carezze. Quantunque avesse oltrepassati di poco i due anni, mi accorgevo dai suoi lineamenti, dalla tinta pallidissima del viso e, più di tutto, dalla conformazione del suo cervello, che col crescere dell'età si sarebbe sviluppata dentro di lei una di quelle nature sensitive ed essenzialmente nervose, che le più leggiere impressioni del dolore o della gioia scuotono con forza, quasi direi, con vio­lenza. Osservandola, mi persuadevo che coll'andare degli anni la cognizione del proprio stato e della domestica infamia avrebbe potuto benissimo affievo­lirne la salute già gracile, e condurla benanche a fine   immatura.   Dicevo   fra   me: “Povera bambina! quando, fra poco, giunta all'età della ragionevolezza, chiederai di tuo padre, che ti risponderà la madre tua? che ti diranno gli altri? Ahimè! un'idea fissa, umi­liante si mischierà sempre alle tue gioie, alle tue affe­zioni, ti turberà i sonni, e, più tardi, nell'età delle felici illusioni, quando l'anima vergine avrà bisogno di dare amore chi verrà a profferirtelo? chi vorrà dare il proprio nome alla figlia di un forzato?” Queste riflessioni mi fecero pensare al rimedio; pensai di correggere, a suo riguardo, il vecchio pregiudizio, e dissi un giorno a Rosalia: - Buona madre, se voi lo volete, io costringerò il mondo a rispettare questa fanciulla. Se non posso riabilitare la madre, posso però riabilitare la figlia, darle un nome intemerato, il mio nome. Credendo di aver fatto un cattivo sogno, riab­braccerò la mia Emma nella vostra Ada; avrò un angiolo in cielo, ed una figlia in terra. - Così avvenne... ed  ora voi giudicatemi.

CORRADO    Senza dubbio, vi è della generosità in ciò che faceste... molto più se nessuna ricompensa...

PALMIERI    Una ne aspetto da voi.

CORRADO    Da me?... Nulla meno vi dirò che cessa il merito di una buona azione, quando per farla si usur­pano i diritti altrui. Signore! quella fanciulla aveva un padre.

PALMIERI     Non sapevo persuadermene in forza di un principio che non mi ha mai permesso di distinguere fra il carcere perpetuo e la tomba, fra l'uomo che muore per legge fisica, e quello che cessa egualmente di esistere per legge civile. Ad ogni modo se violai un diritto noi feci con cattiva intenzione; se commisi un errore, fu per lo meno un nobile e pietoso errore.

CORRADO    Che voi riparerete - io faccio appello alle vostre parole.

PALMIERI     Le mie parole - lo dissi - riguardano unica­mente i vostri errori, ben più gravi del mio; a voi spetta la riparazione. Rosalia, che è stata, e continua ad essere la vostra vittima, vi offre un insigne esem­pio di coraggio, giacché comprenderete bene che per accreditare il nostro inganno, perché ognuno si persuadesse che la mia Emma non era morta, Rosalia ha dovuto rinunziare ai suoi diritti, alle sue gioie di madre.

CORRADO    Come? Rosalia si è rassegnata?... ma voi comprenderete che io non posso né voglio rasse­gnarmi...

PALMIERI    Vi rassegnerete perché è necessario.

CORRADO               Necessario?

PALMIERI     E come no?... Io ignoro dove troverete le parole per dire a questa fanciulla, la di cui tempra delicata e fragilissima ha verificato i pronostici del medico: Senti, o mia fanciulla, ti hanno ingannata: l'uomo onesto che rispetti ed ami con tanto entusia­smo, non è tuo padre, ma io, che sono ancora bagnato del sangue di un innocente che era tuo zio; io che ti mostro i polsi lacerati dalla catena, che trascinai per tredici anni; che non ho ancora scontata la mia pena, che sono fuggito, che posso essere preso di giorno in giorno, di ora in ora e ricondotto all'erga­stolo, io, io sono tuo padre. Se morirai di crepacuore, di vergogna, non importa, purché io ti abbia abbrac­ciata.

CORRADO               Oh!   in nome di Dio tacete!

PALMIERI     Io tacerò... ma vorrei che parlasse il vo­stro cuore.

CORRADO               Mi diceste di farlo tacere.

PALMIERI    Ma adesso...

CORRADO    Adesso che lo avete squarciato volete che parli ?

PALMIERI     Dunque tronchiamo il colloquio. (Si acco­sta a destra facendo cenno a persone che si suppon­gono dentro la camera.)

CORRADO               Che significa ciò?

PALMIERI     Vedrete. Io ho fatto il mio dovere, voi fa­rete il vostro. Giudicate, assolvete, punite come più vi aggrada. Volete distruggere la mia opera di reden­zione? La legge vi autorizza a farlo; io ne convengo. Vi accorda anche il diritto di uccidere vostra figlia... Guardate;   viene  essa  medesima,  ed  è  la  povera,  la magnanima madre, che la conduce al giudizio.

CORRADO               Ah!

PALMIERI     Su dunque, coraggio, con una parola voi potete trafiggere due cuori. Io starò ad osservarvi.

CORRADO               Che tortura è questa!

SCENA   TERZA

Rosalia, Emma ed i suddetti.

EMMA            (senza vedere Corrado, corre subito verso Palmieri) Finalmente ti ritrovo! cattivo papa!... Io non sapevo più stare senza vederti, quando la buona Rosalia venne a dirmi che mi aspettavi... Via, meno male!  vuoi farmi un po' di carezze?

PALMIERI     Dovevo dirti alcun che... ma adesso stavo ragionando con quell'uomo...

EMMA            (osservando Corrado con isbigottimento) An­cora qui?

PALMIERI    Come? ti fa paura?

EMMA            Molta paura: devi sapere che l'ho veduto una altra volta, e Rosalia è giunta appena in tempo, per salvarmi dalla di lui collera.

CORRADO    Ma allora io... (Rosalia tiene sempre gli occhi sopra Corrado nella massima apprensione.)

EMMA            Allora, cosa vi avevo fatto? Figurati papa! pre­tendeva che io mi dovessi chiamare Ada...

CORRADO    Perché... (incontrandosi cogli occhi in Ro­salia si arresta.)

EMMA            Perché si chiama così una vostra figlia; e per questo è un'Ada ogni fanciulla?... E poi voleva ab­bracciarmi, voleva assolutamente che lo chiamassi padre...

CORRADO               Ah!

PALMIERI     (subito) E non ti piacerebbe ch'egli fosse tuo padre?...

EMMA            Morirei subito!... Ma sei tu mio padre... (tre­mante e con un grido di dolore misto a senso di paura) Lo sei, non è vero? non mi abbandonerai! resterò sempre  con  te!...   (slanciandogli  le  braccia  al  collo)

PALMIERI     (guarda Corrado in modo che significa: "ve­dete..." Corrado abbassa la testa, e Palmieri allora ponendo la mano sul capo di Emma, dice)  Sempre!

EMMA            Sempre? Ah! così va bene... Dunque andiamo di là, quell'uomo mi fa male al cuore... andiamo di là se devi parlarmi.

PALMIERI    Precedimi  nello  studio...  vengo   subito.

EMMA            (con dolcezza)    Non  farmi  aspettare.   (Entra.)

PALMIERI     (si accosta a Corrado, il quale si scuote dalla sua concentrazione fosca, profonda) Riflettete su ciò che avete  udito,  che avete veduto.  (Entra.)

ROSALIA      (dopo un momento di silenzio) Corrado, hai nulla a dirmi?

CORRADO    Molto devo dirti... Mi si comanda di riflet­tere su ciò che ho udito, che ho veduto, ed è un uomo vestito di carne, soggetto alle mie stesse pas­sioni quello che mi dice di riflettere, che ordina al mio cuore di tacere quando ha bisogno di urlare, e vuole che parli quando è un sepolcro... Sì, ho udito e veduto. Ho veduto mia figlia, più bella di un angiolo, mia figlia, alla quale io faccio paura, che mi odia senza conoscermi, e non si accorge che io respiro dentro di lei. Mia figlia che ama un altro uomo, lo accarezza, lo bacia, si stringe al suo collo... e siete voi che avete permesso ciò, voi, che invece d'inse­gnarle a piangere sulla mia sciagura a pregare pel misero carcerato, coltivaste nel suo cuore un affetto falso,  menzognero,  in onta alla  natura e alle leggi.

ROSALIA      Corrado, io mi sono creduta in diritto di dare a quella infelice ciò che tu le avevi tolto: un buon padre ed un nome onorato.

CORRADO    Un buon padre?... Sì, sono costretto ad am­mirare ciò che  faceste, che  ha  fatto Arrigo... ma so che altro è il raziocinio della mente, altro quello del cuore; so che vi sono castighi superiori alle colpe, che non si possono imporre senza offendere l'umanità. E si può comandare ad un padre, che dopo tanti anni s'incontra colla propria figlia, di starle davanti impas­sibile, freddo, muto?... Ah! l'immobilità si ottiene da' macigni. Poc'anzi mi sono frenato, non so come; forse la generosità di quell'uomo mi aveva istupidito, pietrificato. Ma ora il sangue torna a circolare; ora sento il dolore, la gelosia - una orribile gelosia. Vi domando mia figlia.

ROSALIA      Ma non l'hai inteso? tua figlia muore.

CORRADO    Non morirà; io le racconterò le mie pene, le mie angoscie, i miei rimorsi. Se è buona e santa si rassegnerà volentieri a diventare il mio angelo re­dentore. Ah sì! io ho bisogno di una bianca mano che mi spiani la fronte, che mi rinfreschi il sangue, che mi guidi e mi assista. Ma, se non fosse che per una volta sola, lasciate che io mi stringa al seno la mia...  la nostra Ada -  poi fuggirò.

ROSALIA      Per una volta sola!... E dopo che sarebbe di lei? di Ada?... Ah! Corrado, non è possibile. Tu mi parli delle tue pene, che sono crudeli, - io lo vedo, lo sento; ma non vedi, non senti le mie, tu? Vuoi dire alla nostra Ada che sei suo padre! ma io, quando le ho detto di essere sua madre? io che per non do­verle spiegare, un giorno, chi era, cosa avevo fatto, dove vivea suo padre, mi sono privata de' miei diritti e di quelle gioie, che tu ora reclami da me?... Sì, per riparare i tuoi falli, per non costringere Ada ad arros­sire de' suoi genitori, mi sono assunta l'uffizio di edu-catrice, di aia, di serva... e spesso, nel silenzio della notte, mi accostai leggermente al suo letticciuolo, per contemplarla con occhi di madre, senza essere veduta: la baciai con timore e fuggivo subito, come inseguita dal grido della pubblica opinione, che a Catania, qui, dappertutto mi han creduta una prostituta.

CORRADO    (scosso)    Tu?... per cagion mia!

ROSALIA      È bene che tu lo comprenda; così compren­derai egualmente che non puoi, che non devi rapirmi il frutto della patita vergogna, di un sacrifizio che non ha nome nell'istoria delle madri. No, non priverai tua figlia degli agi, dei quali ha bisogno la sua debole complessione; non la chiamerai a dividere con te il disonore, il duro pane dell'elemosina; non la trasci­nerai sulle montagne per nasconderla in una capanna, col rischio di essere inseguito, scoperto ad ogni mo­mento, ucciso a' suoi piedi... Ah! no, Corrado si ricusi di esaudire la preghiere della madre, se non t'inte­neriscono le lagrime della moglie, abbi compassione almeno della povera donna, che ha salvata tua figlia! (inginocchiandosi)

CORRADO    In ginocchio, ai miei piedi? tu?... alzati, Rosalia, alzati!

ROSALIA      (si alza) Piuttosto, sentimi, Corrado, la mia risoluzione è presa. La nostra Ada serbi il nome di Emma, e rimanga col nobile uomo che le ha dato il suo nome. In quanto a me, giacché la donna è una schiava, legata alla volontà del marito, finché questi respira, sia così; non me ne lagno, io ti seguirò sulla montagna, nel carcere, al patibolo, se lo vorrai.

CORRADO               Tu mi seguiresti?... mi seguirai?

ROSALIA      Non hai detto: Rosalia, prendi il tuo fardello e vieni con me? Sono pronta a prenderlo anche oggi. Non abbisogni di una mano che ti spiani la fronte? che ti rinverdisca il sangue? che ti guidi e ti assista? ebbene, la mano che ricerchi è la mia, è questa: pren­dila, questa è ben tua.

CORRADO               Ah!  io non son degno di toccarla...

ROSALIA      Povero Corrado, non lo eri... ma in questo momento sì, ora puoi appoggiare il tuo capo ardente sul mio seno... Vieni, infelice, vieni! (allargando le braccia)

CORRADO    (slanciatosi, ed ora tenendola abbracciata nell'estrema commozione)      Rosalia...  che gioia  è questa !

ROSALIA      È la gioia del sacrifizio, è una santa gioia! Dio ti avrà assolto perché hai patito molto; io ti per­dono tutto perché sei rassegnato... Lo sei, è vero?

CORRADO    Lo sono, sì; la mia energia è caduta; non posso più resistere; la mia anima di bronzo si scio­glie in lagrime fra le tue braccia!...

SCENA   QUARTA

L'Abate ed i suddetti.

ABATE           (avanzandosi) Scusate se vengo così all'im­provviso; ma, da quanto vedo, giunsi almeno in un buon punto per prendere parte ad un colloquio molto edificante.

ROSALIA      Monsignore piuttosto viene a troncarlo... ma un poco tardi, per nostra fortuna, giacché nulla ci resta da dire, e siamo perfettamente intesi; non è vero, Corrado?

CORRADO               Sì.

ROSALIA      Ciò basta, monsignore se ne rallegri, e frat­tanto mi permetta di ritirarmi.  (Entra.)

ABATE           Voi  le   avete  perdonato?

CORRADO    Il signor abate sbaglia - è Rosalia che ha perdonato a me.

ABATE           Va bene, un'assoluzione reciproca è veramente evangelica. Ma io ho anche inteso - giacché, arrivato a caso, mi fermai un poco dietro l'usciale, per non turbare le nobili manifestazioni - che le mie previ­denze non fallirono; che la vostra Ada vive nella sup­posta Emma.

CORRADO               Vive, ma non per me.

ABATE           Non  per voi?

CORRADO               Ho dovuto rinunziarvi.

ABATE           Dovuto?... Ah, ciò non può stare... Un marito ed un padre non perdono mai i propri diritti.

CORRADO    Li perdono, monsignore, perché il delin­quente scioglie i vincoli, che aveva contratti con l'onesto   uomo.

ABATE           Non siamo d'accordo.

CORRADO    È ben naturale... ma ditemi, signor abate, se la legge nell'atto che priva il condannato d'ogni diritto civile, d'ogni rapporto colla società e colla fa­miglia, dichiarasse pure sciolti i legami che, in so­stanza, più non esistono che nella cerimonia e nel nome, credete voi che la punizione non riuscirebbe più morale, più utile?

ABATE           Che  strano legislatore!

CORRADO    Meno di tanti altri, mentre vi so dire che in poche ore ho espiata qui la mia colpa, assai più che in tredici anni di lavori forzati: nel carcere rug­giva la fiera, qui è l'uomo che piange.

ABATE           Nessuno ha il diritto di farvi piangere; la vostra famiglia vi appartiene. Infelice! non avete an­cora compreso che si vuole allontanarvi? Che se il medico vi usurpò i diritti di padre, spera anche di proseguire ad usurparvi quelli di marito?

CORRADO    (con forza) Voi mentite, e non dovreste farlo.

ABATE           Mentisco io?

CORRADO    Lo ripeto... Ma giacché vi degradaste, fino al mestiere di spiatore, avreste anche dovuto intendere che Rosalia è pronta a seguirmi.

ABATE           Sì, lo dice, perché non ignora che siete recla­mato dalla giustizia, per cui...

CORRADO    Tacete, non oltraggiate quella santa donna.

ABATE           Santa poi...

CORRADO    Santa. Voi che appartenete ad una setta di egoisti, non potete comprendere la generosità di quel­l'uomo, i sublimi sacrifizi di quella donna. I cattivi non riescono mai a farsi una giusta idea del bene. Ma se fosse anche vero ciò che voi asserite - con quale scopo di carità lo ignoro - di chi sarebbe la colpa se non di que' strani legislatori appunto, che pervertirono il senso di sapienti parole, per imporre al mondo una legge stolta, inumana come i loro cuori?

ABATE           Che dite voi?

CORRADO    Dico ciò che il mondo vede e soffre... Ma che è mai un uomo condannato alla reclusione perpetua, se non un cadavere, al quale si conserva ancora un po' di moto, perché rimanga sulla superficie della terra ad ammorbare l'altrui esistenza?... Se non vi manca il lume dell'intelletto, vedete e considerate. Una fanciulla pura, onorata muove al vostro altare, certa di unire la sua esistenza a quella di un uomo onesto. Ma poco dopo, quest'uomo si fa reo di un delitto; la legge lo colpisce, viene chiuso in un carcere, sepolto vivo in una tomba... e la donna? Ahimè! la misera superstite, la vedova del condannato, coperta di ver­gogne, mendica, spregiata, deve serbar fede ad un talamo che non ha più, che la legge le ha tolto; deve comandare al suo cuore deluso di non battere, al suo sangue di non fremere nell'età delle passioni, sotto pena di essere tacciata d'adultera, di meretrice. Così, mentre senza concorso della volontà, non si può am­mettere la colpa ed è inumano il castigo, voi eredi dell'Inquisizione, punite, torturate sempre l'innocente in nome di Dio... Ed è legge divina questa? è religione? quale? dove?

ABATE           Le vostre parole sono sacrileghe; vi comando di non proseguire.

CORRADO    Io proseguo per dirvi che compatisco mia moglie se amò, che l'assolvo se ha peccato.

ABATE           Che ascolto! Ora io non posso più che com­piangervi; ma giacché siete ricercato dalla giustizia, vi avverto che le porte della mia abbazia non si a-priranno  per voi ;   seguite  il vostro destino.

CORRADO               Io credo anzi che voi mi denunzierete.

ABATE           Voi ardite di crederlo?

CORRADO    E voi ardite di negarlo?... Andate, monsi­gnore; dite a quelli che mi ricercano, che io son qui ad aspettarli... ma pochi istanti mi bastano per essere più pietoso di voi: più grande della legge.

ABATE           In qual modo?

CORRADO               Non mi confesso che a Dio. (L'abate esce.)


ATTO QUINTO

Ancora la medesima sala.

SCENA   PRIMA

Corrado, poco dopo Rosalia.

CQRRADO    Rosalia non comparisce... perché? i miei istanti sono pochi e possono sfuggirmi... Ah eccola: mi ha esaudito;  va bene.

ROSALIA      Corrado, hai desiderato di parlarmi? eccomi; l'ora della nostra fuga è venuta?

CORRADO    Non ancora; prima ho bisogno di dirti al­cune cose, di farti qualche interrogazione con quella calma che non avrei potuto ritrovare poche ore sono. Ero troppo commosso, troppo esaltato; mi mancavano le idee; ma adesso mi trovo più tranquillo. Rosalia, vieni a sedere presso di me; noi ci faremo le nostre confidenze... vieni. (Rosalia siede vicino a Corrado.) Principierò io. Dimmi anzi tutto. Ho mantenuto la mia promessa? ho saputo rassegnarmi? tacere? soffri­re? incatenare le braccia?

ROSALIA      Sì, Corrado.

CORRADO    Dovevo farlo, e lo feci, e lo feci volontieri dopo la inesprimibile soavità gustata sul tuo petto, dopo che tu avevi promesso di dividere la mia sorte, di seguirmi dovunque.

ROSALIA      Ed  io  pure manterrò la promessa.

CORRADO    Sì, ma con quale, con quanto sacrifizio? Ecco quello che ho bisogno di conoscere, ecco la con­fidenza che io ti domando. Rosalia. Non si spezzerà il tuo cuore nell'abbandonare questi luoghi? questa casa?

ROSALIA      Questa casa?... tu me lo domandi? non è qui che noi lasceremo, forse per sempre, la nostra Ada?

CORRADO    Lo comprendo... ma oltre la figlia, non ti dorrà  di  lasciare  un'altra  persona?

ROSALIA      Chi?

CORRADO    Non esitare a rispondere  chi resterà con Ada?

ROSALIA      L'uomo generoso...

CORRADO    Al quale devi molto, che hai rivestito de' miei diritti  di  padre...  Ho  detto tutto?

ROSALIA      Corrado, spiegati.

CORRADO    Sei tu che devi spiegarmi come sei vissuta per tanto tempo presso di lui, se lo hai amato - ed in qual modo - s'egli ti ama.

ROSALIA      Corrado, simili  interrogazioni!...

CORRADO    Se non ho il diritto di fartele, ho bisogno però che tu vi risponda. Rosalia, confessati con co­raggio ad un colpevole, ad un amico, se lo vuoi. Il colpevole piegherà il capo davanti a te, l'amico è già pronto ad assolverti.

ROSALIA      Ebbene; io voglio che l'amico mi giudichi, che il marito mi condanni se lo avrò meritato. Saprai quello che nessuno sa a questo mondo, fuori di me -ed è giusto. Ormai conosci Arrigo, la nobiltà, la gran­dezza dell'animo suo, e ti è noto abbastanza ciò che ha fatto per tua figlia e per me. Aggiungerò sola­mente ch'egli mi ha salvata da un mostro spaventevole, che qualche volta rende possibile la colpa - dalla mi­seria. Quindi la mia riconoscenza rassomigliava ad un culto religioso, perché, infatti, Dio solo poteva avermi spedito quell'angelo custode ed io era tranquilla. Nes­sun timore, nessun rimorso mi turbava; ma cominciai a perdere la calma, quando mi accorsi che quel mio affetto,  a poco a  poco, cangiava aspirazioni,  forma, natura: e quando me ne accorsi, il mutamento era avvenuto. Allora mi posi subito in guardia; mi esa­minai e capii che ero forte, che potevo resistere. La battaglia, però, fu crudele, lunga, ostinata; ma la vinsi, perché piuttosto che cedere, sarei fuggita... e non mi bastava l'animo di lasciare mia figlia. La nostra Ada mi salvò.

CORRADO               Ed egli?

ROSALIA      Credo ch'egli pure soffrisse e lottasse al pari di me; lo credo, giacché se i nostri occhi errarono, qualche volta, le labbra furono più prudenti e rima­sero suggellate. Così abbiamo vissuto e trionfato; te lo giuro, Corrado. Abbiamo trionfato, perché risoluti entrambi di non giustificare mai la calunnia, di non voler mai abbassare gli occhi davanti a lei. Però, se alle mie inquietudini, alle mie materne torture, tu aggiungi queste lotte incessanti, inumane, compren­derai ciò che è stata la mia vita in questi tredici anni di prova, di virtù sconosciuta, di calunnie, di sacrifizio. Ora che mi sono confessata, aspetto la tua sen­tenza.

CORRADO               Ma non mi hai detto tutto.

ROSALIA      Tutto, Corrado...

CORRADO    No, non mi hai detto se nel fervore de' tuoi interni combattimenti, nei giorni della debolezza, una idea si è presentata alla tua mente - un'idea ben na­turale  - quella  della  mia  morte.

ROSALIA      Della tua morte?

CORRADO    Non vi hai pensato? non l'hai desiderata? non la chiedesti a Dio, in premio di tanta virtù?

ROSALIA      Mai... ti giuro anche questo. Non avrei po­tuto guardare in viso tua figlia.

CORRADO    Ma se Dio, che è più misericordioso degli uomini, avesse spezzata la tua catena, non saresti divenuta volontieri la sposa di Arrigo?

ROSALIA      Corrado, questa tua interrogazione non è ge­nerosa;   vi  posso rispondere  io?

CORRADO               E perché non vi puoi rispondere? sii sincera al pari di lui. Egli mi ha detto, che se tu fossi stata libera, ti avrebbe dato il suo nome per riabilitarti.

ROSALIA      Egli?... È la prima volta che conosco le sue intenzioni.

CORRADO    Tanto meglio. Io ti domando se avresti accettato il suo nome e la sua mano. Rosalia, il marito non ti ascolta!   parli all'amico - rispondi.

ROSALIA      (a capo basso)    Sì.

CORRADO    E dopo tutto ciò, sei rassegnata, sei pronta a lasciare questa casa per seguirmi?

ROSALIA      Non te l'ho detto? partiamo.

CORRADO    Ma se la nostra fuga non fosse più possi­bile? io sono ricercato, e forse a quest'ora... forse a momenti verranno a  prendermi...

ROSALIA      Dici il vero, Corrado?

CORRADO    Poniamo che ciò avvenga... tu allora che farai?

ROSALIA      Verrò ad abitare in vicinanza del tuo car­cere o mi accoglierà un monastero; perché il mondo mi ha troppo calunniata e... Oh! ma il Signore proteg­gerà la nostra fuga... la notte è vicina; noi fuggiremo... il mio cuore si è risvegliato; io voglio vivere con te. Ti amo, Corrado, come prima, più di prima.

CORRADO    Mi ami? mi ami?... Ah, Rosalia, quali e quan­te gioie ho respinte da me!

ROSALIA      Noi le gusteremo di nuovo, saremo ancora felici...

CORRADO    Felici?... sì, va dunque a prepararti per questa notte, e lasciami solo; ho tanta commozione nel cuore che se tu resti qui un altro momento, io muoio...

ROSALIA      A questa notte dunque... Addio, povero Cor­rado  (Gli stringe la mano ed entra a destra.)

CORRADO    E nullameno morirò... ma dopo aver fatta giustizia. Sventurata, magnanima donna! Io l'ho di­velta dalle braccia de' suoi genitori; le uccisi un fra­tello; feci morire d'angoscia la madre sua; la coprii di miseria e di vergogna;  l'ho esposta alla calunnia; ho torturato il suo cuore... Essa amava il più gene­roso degli uomini, che l'avrebbe rilevata dal fango, sotto il quale io l'aveva sepolta... Ma un cadavere steso fra loro li separava... ebbene il cadavere sparirà, per­ché io lo seppellirò... Oh! voi, rappresentanti di un diritto, che alcuni bestemmiatori han chiamato divino; voi che avete piantato i vostri aculei anche nei pene­trali della famiglia, guardate qui adesso, a questo omicida che vi rampogna, a questo galeotto che vi insegna la carità. (Estrae un medaglione.) Poche gocce di liquido nascoste in questo medaglione che i miei aguzzini non si sono creduti in diritto di rapirmi, can­celleranno il vostro codice. Poveri stolti! miserabili tormentatori! Vorreste darmi ancora il pane amaro dello schiavo, per continuare la tortura di due cuori?... no; io berrò per dormire... (Arrestandosi) E mia fi­glia?... che importa? io le faccio ribrezzo... è una di­sposizione della Provvidenza anche questa; Ada non piangerà vedendomi morto. (Vedendola venire) Ah! è lei!... in tal momento non è a caso ch'essa viene... il Signore me la invia.

SCENA   SECONDA

Emma ed il suddetto.

EMMA            (vedendo  Corrado)    Sempre quest'uomo!...   (Fa per partire.)

CORRADO               Non mi fuggite ora, o fanciulla, perché ho gran bisogno di parlarvi.

EMMA            Parlarmi?... Sempre parlarmi!

CORRADO               È  l'ultima volta!

EMMA            Partite?

CORRADO               Sì... domani non mi vedrete più... ciò vi farà piacere?

EMMA            Un poco, perché...

CORRADO    Perché vi atterrisco, lo so... ma non vi sem­bra di vedere in me qualche cosa di diverso? non sono tranquillo? non vi parlo più soavemente? - Or bene, se temete che anche adesso io possa farvi del male, mi metterò  ginocchioni  davanti  a  voi...   (S'inginocchia.)

EMMA            Oh!  questo poi no...

CORRADO    Volete che io mi alzi? sono debole... aiuta­temi,  stendetemi  la mano  (protendendo le  braccia).

EMMA            Sì, pover'uomo... (Nel prendergli le mani si ac­corge delle fossette e contusioni che sogliono produrre i serrami delle catene.) Che vedo? i vostri polsi furono offesi, straziati?... Ah forse... mio Dio!... foste con­dannato ai ferri?... Oh!... (Coprendosi gli occhi..Corrado profondamente colpito dal ribrezzo di se medesimo, dopo di aver cercato, di coprire i polsi, barcollante per commozione eccessiva, si appoggia allo schienale della sedia, chinando il capo.) Condannato! e per quale de­litto?... non me lo dite; ho fatto male a interrogarvi; non vi sdegnate... ma vedo che i vostri occhi si gon­fiano di lagrime... Ah! non mi fate più paura, ma molta pietà... Sventurato! e se incontrerete vostra figlia, la vostra Ada?... io tremo tutta pensando a lei!

CORRADO               Non la incontrerò... essa è già morta...

EMMA            Ah! il Signore le è stato misericordioso! perché, toccando le piaghe dei vostri polsi, come feci io, un poco fa, sarebbe morta di dolore e di vergogna (Corrado non potendo più resistere si lascia cadere sulla sedia.) Vi viene male? Gesù mio! come impallidite! forse vi ho offeso, poveretto! non volevo offendervi... Voi soffrite molto... volete che chiami qualcheduno?...

CORRADO    No... guardate, dentro a questo medaglione conservo un liquore che mi farà guarire (mostrando il medaglione ).

EMMA            Abbisognate di aiuto?

CORRADO    Del vostro aiuto per?... oh no! - Piuttosto, giacché siete sì buona, rivolgete il capo e pregate Dio per me.

EMMA            Lo pregherò in ginocchio (s'inginocchia e giun­ge le mani).

CORRADO    (non visto da Emma la guarda appassionata­mente, quindi levando gli occhi in alto, dice) Mio Dio! tu sai per chi prega questa fanciulla; esaudisci la sua preghiera, e nella tua sapienza perdona al suicida! (Beve, quindi posato il medaglione sul tavolo, si acco­sta ad Emma e le dice affettuosamente) Grazie, mio buon angelo... io mi sento già meglio.

EMMA            Ah! vorrei che fosse vero, perché non posso spiegarvi quello che, nell'atto della mia preghiera, ho provato per voi... Vedete che io piango. Ohimè! voi siete  venuto  per far pianger  tutti...

CORRADO    Io?...

EMMA            Sì; anche mio padre, anche Rosalia si sono fatti così malinconici dopo il vostro arrivo!...

CORRADO    Eppure sono venuto per rendervi tutti fe­lici... per lasciarvi una dolce memoria di me.

EMMA            Voi partite... è singolare! temo che anche Ro­salia abbia in mente di partire, di abbandonarmi...

CORRADO   Ve lo ha detto essa?

EMMA            No, veramente, ma, poco fa, mi ha abbracciata e piangeva, come si sogliono abbracciare le persone che si amano, come si piange quando si parte per non ritornare sì presto... e forse mai più.

CORRADO    Vi sarete ingannata... abbandonarvi essa? perché... Ma voi ne soffrireste?

EMMA            Tanto ne soffrirei!

CORRADO   Amate  dunque molto la povera Rosalia?

EMMA            Come mia madre.

CORRADO               E godreste assai se lo fosse veramente?

EMMA            Oh! ne godrei tanto! Sappiate che io nel se­greto del mio cuore ho creduta possibile questa fe­licità... io la sognai più volte... sognai che Rosalia ed il papà erano sposi, uniti segretamente... guardate un po'!

CORRADO    (dopo aver riflettuto) E se voi non aveste sognato che il vero?

EMMA            (sorpresa)  Buon Corrado, che dite voi?

CORRADO    Ecco perché sono venuto, o mia fanciulla; per dirvi: no, non è giusto che duri l'amaro inganno; che rivolgiate sempre i vostri occhi al cielo per cer­carvi la madre vostra, mentre dessa vive quaggiù, in questa casa...

EMMA            Rosalia?

CORRADO               Sì, ecco la memoria che volevo lasciarvi.

EMMA            Rosalia mia madre?... ma non sogno anche a-desso? non ho sognato allora? Ah! se è vero, grazie, mio amico, grazie! Ma dov'è, dunque, Rosalia?... che non parta, che non mi lasci ora... dov'è mio padre? (Corre verso la porta a destra.) Ah! venite, venite!

SCENA   TERZA

Rosalia,  Palmieri ed i suddetti.

ROSALIA      Che volete Emma?

PALMIERI    Corrado?...

EMMA            (a Palmieri) Ah, dimmi se è vero ciò che mi ha fatto credere il povero Corrado. Mia madre non è morta nel darmi alla luce? (A Rosalia) Parlate anche voi, toglietemi la spina dal cuore... siete voi... sei tu mia  madre?

ROSALIA      (con terrore e sorpresa)    Ah!

PALMIERI    Che?... voi le diceste?...

CORRADO    Tranquillatevi: le ho detto che ancora un nodo legittimo vi unisce a Rosalia.

PALMIERI    Come?

CORRADO    Perdonatemi se le ho svelato il segreto... ma potevo, dovevo farlo nel momento solenne in cui lo ostacolo che si opponeva alla pubblicazione del vostro matrimonio, sparisce per sempre.

ROSALIA      (spaventata)  Sparisce?...

PALMIERI    Corrado, che avete voi fatto?

CORRADO               Ho riflettuto su ciò che vidi e udii.

PALMIERI    Ah!  temo di comprendere...

CORRADO    Su via dunque, o fanciulla, temete ancora che io vi abbia ingannata? (La prende per mano.) Ve­nite che vi unisca alla madre vostra, che vi veda abbracciate...  (serrandola fra le braccia della madre)

EMMA            Ah! il mio sogno!

ROSALIA      (sempre spaventata) Oh! figlia!... (Vedendo Corrado che sta per cadere) Corrado!...

EMMA            (vedendolo infatti cadere sulla sedia) Egli sviene!...

PALMIERI     (con una mano sul polso, l'altra sulla fronte dì Corrado)  Egli muore!

ROSALIA      Muore!...

EMMA            Aspettate; questo medaglione contiene un li­quore salutare, egli ne ha bevuto qualche goccia, mo­menti or sono... proviamo a dargliene ancora...

PALMIERI     (vedendo il medaglione aperto, lo afferra, e dopo  averlo  aspirato)  Veleno!   si è avvelenato!

ROSALIA      Mio Dio!

EMMA            Avvelenato !

ROSALIA      Presto dunque, un rimedio...

PALMIERI    Ah! non ve n'è alcuno - è tardi!

CORRADO    (ripetendo macchinalmente le parole) È tardi. (Con vaneggiamento, o sogno febbrile) Povera donna! nobile uomo! magnanimi cuori!... meritavano un po' di bene, un premio... e l'ottengono da me...

ROSALIA      (fra sé, costernata)    Ah!  la mia confessione lo ha reso suicida!

PALMIERI    (Muore per noi!)

CORRADO    (c.s.) Dite che vengono a prendermi?... Ah!  il delatore... Vile!  stolti!  il cadavere civile perde il  moto... ho terminato di ucciderlo  io... Ah! la mia Ada... la mia Ada!

ROSALIA      Chiama sua figlia!... (Ad Emma) Egli ha creduto che tu lo fossi... Ah! se lo credesse anche adesso!... accostati a lui... chiamalo padre, perché muoia in pace!

EMMA            Oh sì! (Si accosta a Corrado, e ponendogli la mano sulla fronte, gli dice con grande affetto) Padre, padre mio! guarda la tua Ada.

CORRADO    (trasognato) Ada?... (Si alza e la stringe convulsamente fra le braccia, ma guardando Rosalia e Palmieri, torna in sé, e dice) No, no, Emma!...

Fa cenno a Palmieri di accostarsi, e così pure a Rosalia; pone fra loro Emma, e dopo di averli strettamente aggruppati, stende le sue mani sui loro capi... poi cade e spira. Rosalia ed Emma mandano un grido di dolore e si curvano sul corpo di Corrado.

PALMIERI     (rimasto in piedi, ed allargando le braccia coll'accento doloroso e solenne dell'uomo che pensa all'umanità)    Legislatori, guardate!

F I N E

                                           

Rizzoli Editore – Milano 1962