La pappa reale

Stampa questo copione

LA PAPPA REALE

Titolo originale: La bonne soupe

Commedia in due tempi

di FELICIEN MARCEAU

Versione italiana di Belisario Randone

PERSONAGGI

LEONA

LEONA N. DUE

IL CROUPIER

RUGGERO

ODILON - GIUSEPPE - ANGELA

Il Signor Gastone - Il Barman

La Madre - Il Cliente di Ruggero

La Moglie di Ruggero - Il Portiere d'Hotel

La Guida Famelica - La Pattinatrice

Il Signor Alfonso - Irma - Mauricette

1° Cliente -2° Cliente - 3° Cliente

La Cameriera – 4° Cliente - Lecasse

Raimondo - Il Pit­tore - Jacquot

Minouche - Armando - Il Signore del Negresco

La Madre di Armando - Berta – Ernesto

La Signora Desvaux - La Signora Thonnard

Giannina - Mollard

PRIMO TEMPO

La scena rappresenta un angolo del Casino di Mon­tecarlo. A sinistra un tavolo da giuoco, sotto il clas­sico lampadario con la sottanina di stoffa verde. Una colonna, qualche statua, qualche pianta tropicale. Dalla parte opposta, e cioè a destra, un bar. Al cen­tro un grande vano. È il pomeriggio.

All'alzarsi del sipario sono in scena il croupier e Leona. Stanno giuocando in silenzio. Solo dopo qual­che colpo il croupier comincerà a parlare.

Leona è una donna grande, forte. Al principio del­la commedia, ha quaranta - quarantacinque anni. Alla fine non ne avrà che trenta. Al principio porterà un mantello e un cappello che la invecchieranno un po' mentre al terzo, toltasi cappello e mantello, apparirà più giovanile. Il suo modo di vestire è sobrio, ele­gante, ma esagera un po' nei gioielli.

Croupier                        - Che calma, oggi... Non trova, sciura Leona? (Leona conta i gettoni e ne passa nove al croupier).

Leona                            - (col tono arido dei giocatori) I carré dell'otto. Dodici quindici, quindici diciotto, ventitre ven­tisei, ventinove trentatre. E anche il tredici diciotto.

Croupier                        - (eseguendo) I carré dell'otto. Dodici quindici, quindici diciotto, ventitre ventisei, venti­nove trentatre, tredici diciotto. (Lancia la pallina) Badi che non mi lagno... Lei dirà che ci rimetto, per via delle mance... Ma pensi quando ci sono venti gio­catori attorno al tavolo. Che tensione!... Bisogna tener gli occhi aperti cosi! (Col suo tono professionale) Rien ne va plus...

Leona                            - Ventotto trentuno... (Silenzio. Il croupier guarda la pallina).

Croupier                        - Vingtdeux noir pair et passe... (Rac­cogliendo i gettoni) E c'è sempre qualcuno che ha uri debole per la puntata del vicino... quando il nu­mero è uscito... Pardon, scusi tanto... credevo... (Con voce professionale) Messieurs, faites vos jeux... (Na­turale) Mentre invece...

Leona                            - Zero et les voisins. Ventotto trentadue.

Croupier                        - Mentre invece con lei, sciura Leona, non penso a niente... Un vero riposo... Come andare a pesca... Le piace pescare?

Leona                            - Non lo so. Non ho mai provato.

Croupier                        - E dovrebbe provare. Io, quando sono di riposo, dalle sette del mattino, prendo la bici­cletta e me ne vado a pescare. Fino a mezzogiorno, mezzogiorno e mezza... In fondo la pesca è come la roulette. Ci si mette a sedere e si aspetta che venga su qualcosa.

Leona                            - Dovessi vincer pesci, me li friggerei!

 Croupier                       - Ah ah! Se li friggerebbe! (Annuncia) Dodici... Giornata nera, sciura Leona. Certi giorni tutto va storto. Io, per esempio, il martedì qualunque cosa faccia, zero, non riesce. (Leona dispone i gettoni) Pare che non sia vero, che non si pensa a niente, si pensa sempre a qualche cosa, senza nem­meno saperlo... L'ho letto da qualche parte... Lei ci crede? Adesso, per esempio, lei crede che io pensi a qualcosa? Non penso proprio a niente. (Interro­gandosi) Davvero. Insomma delle sciocchezze e allo­ra non lo chiamo pensare. (Pausa. Il croupier fa i soliti gesti) Lei dirà che pensare che non si pensa a niente è già un modo di pensare. Ma è cercare il pelo nell'uovo! Eh? (Giuocano) Ha letto i gior­nali? La ragazza che si è buttata dalla finestra a Viale Principessa Carlotta? Sembra che sia stato per un incontro che aveva fatto in treno. Una passione improvvisa. Lei si vedeva già felice e poi viene a scoprire che lui era già padre di famiglia. Guarda la combinazione... (Con intenzione) Dico: la combi­nazione. Quella avrebbe potuto prendere il treno pre­cedente. Niente affatto! Era scritto che doveva pren­dere il diretto delle 19 e 12.

Leona                            - Cosi è la vita, Oscar.

Croupier                        - Già. Cosi è la vita. La vita che è com­binata in un modo assai bizzarro. (Riprendendo il giuoco) Per esempio io... non più di una trentina di anni fa... una cliente che veniva sempre al mio ta­volo, una rossa... un po' il suo tipo., sciura Leona... mi aveva stregato. Mi svegliavo alle cinque del mat­tino, soffrivo, smaniavo... Ero pronto a piantare mo­glie e figli. Roba da non credersi. In certi momenti vede, mi si risveglia un temperamento cosi torrido, cosi passionale che... guardi... una volta, per esempio, (si interrompe, vedendo entrare da sinistra, il signor Gastone. È un vecchietto asciutto e distinto, come sovente si incontrano sulla Costa Azzurra. È in co­stume da yachtman. Si ferma un momento dal bar­man, gli consegna il berretto, beve qualcosa) A pro­posito di stregati. Ecco il suo, sciura Leona. Atten­zione! Sta per abboccare... Sento che sta per abboc­care...

Leona                            - Davvero, Oscar?

Croupier                        - Lo sento in fondo al filo... (Fa il ge­sto, poi con deferenza) Signor Gastone...

Gastone                         - Buongiorno, Oscar. (Salutando Leona con intenzione) Signora... (Prendendo una sedia) Mi permette?

Leona                            - Faccia pure. Non punto mica su tutti i numeri. (Il signor Gastone si è seduto e il croupier e Leona si animano) Il dodici! Un pieno!

Gastone                         - Per me il sei. (Galante a Leona) Cosi mi sembra di essere per metà nel suo giuoco. (Il croupier lancia la pallina)

Gastone                         - Bel tempo, vero? Forse un po' fresco per la stagione.

Leona                            - Ai fiori, pare, gli fa comodo.

Gastone                         - Se lo dice lei... È un fiore che parla... (Leona e il croupier si scambiano uno sguardo)

Croupier                        - Douze... pair rouge et manque. (Spinge i gettoni verso Leona, che fa un gesto avido con le due mani per raccoglierli)

Leona                            - (con una risata grassa) Ah! Come sono belli! Sotto! Fatevi sotto! Che bella musica! Qua, la pappa reale! (Gastone trasalisce. Un po' di freddo. Un giro di roulette)

Croupier                        - Dix-sept impair noir et manque.

Leona                            - Diciassette! Che diavolo, Oscar! Se li sbatte in faccia i suoi impair et manque! Di questo passo me lo becco fra vent'anni il visone! (Il signor Gastone ha un sussulto. Si alza, saluta rigidamente e se ne va)

Leona                            - Visto e perduto. Non ha abboccato...

Croupier                        - Be'... sciura Leona... lei mi deve scu­sare... ma se vuole che quello abbocchi deve fare uno sforzo e sorvegliare las palabras. Lo conosco, quello. È un vecchietto tanto per bene, pieno di belle ma­niere. Le sue invece, sciura Leona, sono un po' spic­ce. Mettiamo che un giorno quello voglia presentarla alle sue nipotine. Oh... tutte contesse e duchesse...

Leona                            - Già. Tanto vale ammaestrarlo subito. Io, con gli uomini, mi comporto come al circo. La gab­bia delle belve.

Croupier                        - Non sempre si può Madama, non sem­pre si può. Io, con mia moglie, per esempio, le pa­rolacce non le dico. Quant'è meticolosa, mia moglie! Pensa subito che siano allusioni alla sua persona umana. Forse è proprio per questo che ormai non ci parliamo quasi più... Buongiorno... buonasera... do­v'è l'apriscatole... Non sono mai delle vere conver­sazioni... Mi rifaccio quando vado a pesca. Dovrebbe sentire come gliele canto ai pesci! (Pausa) Il dottore dice che è una forma di compensazione. E perché no? (Pausa) Ma lei ci tiene proprio?

Leona                            - A cosa?

Croupier                        - A quel centenario.

Leona                            - Mi pare imbottito di contante.

Croupier                        - (entusiasmandosi) Contante? Accidenti se ne ha quello, di denaro! E un azionista della Vickers Limited. Cannoni e armi varie.

Leona                            - (riflettendo) Ieri le Vickers facevano tre­centododicimila...

Croupier                        - Vede? Non c'è niente di più tranquillo che le armi, al giorno d'oggi!

Leona                            - Dica quello che vuole, Oscar, ma quando si possiede la moneta a vagonate, ci si deve sentire che so?... come una statua sul piedistallo. L'impres­sione che, cascasse pure il mondo, non c'è più nes­sun pericolo, si è al riparo, tranquilli, salvi.

Croupier                        - Eh, la capisco. (Pausa. Il croupier am­mucchia i gettoni) È quello che mi è sempre man­cato. Un capitale cambia tutto nella vita. Metterei su un negozietto... (Pausa. Tutti e due pensano) Per quan­to... in un certo senso... Lei non ha preoccupazioni. Di che si lagna? Che vuole di più? Suo marito le passa un assegno mensile. Ogni mese, zac, puntuale come il destino. L'altro giorno, con mio cognato, parlava­mo di lei... ci divertivamo a farle i conti in tasca... l'hotel, i ristoranti... una bella cifra!

Leona                            - Già. Ma sempre una cifra! Io voglio che non sia più una cifra, capisce? Voglio che il denaro sia tanto da metterci la mano dentro e non toccare mai il fondo. Una cifra, è come dire niente. La tocchi e non è più la stessa. E allora si comincia a stare in pensiero. Una pena, una paura... Mio marito... l'asse­gno... d'accordo. E se crepa? E se cambia parere? Se vuol farmi dei dispetti? Se si rovina? Sapesse quant'è stupido... e poi, da quando non ci sono più io... No no... Oscar... Mi resta la paura.

Croupier                        - La paura? E di che cosa, Madama Leona?

Leona                           - Ho sempre avuto paura...

(Il croupier con un gesto meccanico lancia ancora la pallina, ma guarda Leona che è rimasta in un atteggiamento assente, con lo sguardo lontano)

Leona                            - Dicevano: Leona, macché, quella non ha paura di niente. Ma perche non dovrei aver paura di niente? Per la testa che ho?

Croupier                        - Ma che dice...

Leona                            - Si, una testa leonina... Del resto, ho l'au­torità d'un carabiniere. Nei ristoranti, quando c'è qualcosa che non va, faccio chiamare il direttore e lo prendo per il collo. Dovunque vado protesto, re­crimino, alzo la voce, mi impongo, mi faccio valere. E la gente si inchina, fa come dico io. Non avevo paura di niente perché avevo paura di tutto. (Verso il croupier, distaccando le parole) Avevo paura di non riuscire, Oscar...

Croupier                        - Che dice!

Leona                            - Non si crederebbe vero? Col mio fisico... Ep­pure... La paura di non riuscire, di sentirmi perduta, senza un soldo, per la strada, senza sapere dove an­dare... quale demonio spinge la gente? Credono di scoprire, che so?, dei mari, dei monti... E non scopro­no che un po' d'angoscia, una piccola miserabile an­goscia. Gente che non sa nemmeno di esistere, tanto è piccola... tanto è meschina... Per tutta la vita ho avuto quel senso di paura dietro di me, alle mie spal­le, come un bue, col suo testone... camminavo come un carabiniere, è vero, franca, spedita... Ma dietro di me, la mia ombra, tremava... (Prende la borset­ta, ne trae una fotografia che mostra al croupier)

Leona                            - Ecco come ero, da giovane...

(Il grande vano scompare e al suo posto si vede una modesta cucina. Un tavolo, un fornello. Leona n. Due, seduta, si sta depilando le gambe. Leona n. Due ha vent'anni. Tenuto conto della differenza d'età, essa rassomiglia all'altra...)

Croupier                        - Ah!... Bella carrozzeria, non c'è che di­re... Complimenti. D'altronde, da come si è conser­vata...

Leona                            - Abitavo a Carcassonne. Conosce?

Croupier                        - Carcassonne? Ma si, ne ho sentito par­lare... Pare che ci siano delle belle mura.

Leona                            - Già, ma non ci si campa mica, con le mura!

(Nella cucina entra la madre di Leona n. Due. Porta a fatica un secchio di carbone che posa a terra. Si asciuga le mani al grembiule. E una don­netta, consumata prima del tempo. Leona, al tavolo da giuoco, si alza e mette una mano davanti alla bocca)

La madre                       - (a Leona n. Due) Già alzata?

Leona                            - (da lontano, con la voce strozzata) Ho la lezione di stenografia.

Croupier                        - (vinto anche lui dall'emozione, dolcemen­te) È sua madre? (Leona fa un cenno di si con la testa, e si lascia ricadere sulla sedia)

La madre                       - Quanto pesa questo carbone... Guarda che mani... Una volta avevo delle belle mani, sai... « Che belle mani »... diceva sempre tuo padre. « Quan­do saremo marito e moglie, avremo la serva ».

Leona                            - Papà era contabile. (La madre riprende il secchio, poi si ferma)

La madre                       - Certo, tuo padre ha ragione. Bisogna calcolare, contare. Niente debiti. Economie. Non si sa mai quel che può succedere. (Aspramente) Ragaz­za mia, voglio dirti una cosa. Prendi quello che ti capita nella vita. Pur di vivere tutto va bene... Ma la serva ci vuole. Capito? Devi avere la serva... (La madre va al fornello. Poi si volta verso il pubblico, rialzando, col rovescio della mano, una ciocca di ca­pelli. Madama Leona traversa pesantemente la scena. Con la mano timidamente saluta la madre che, evi­dentemente, non la vede. Il regista giudicherà quan­do è il momento di far scomparire la cucina, subito o forse alla fine della battuta di Leona)

Leona                            - Il carbone... gli stracci... le scope... (Si guarda la mano carica d'anelli, poi si avvicina al bar, prende un bicchiere e ritorna piano piano verso u tavolo da gioco) La regola dovrebbe essere che i genitori onesti lasciano l'onestà addosso ai loro figli come una piega, un marchio. E te la sbatti!. Onesti come i miei in tutta Carcassonne non ce n'era altri. Ma dei loro scrupoli, non m'è rimasta che la paura…la paura di non farcela... Mi ricordo di un sacco cose di mia madre... I suoi capelli grigi, il suo scialletto... Un giorno, c'era la festa a Carcassonne... dovevo avere cinque o sei anni... mi persi in mezzo alla folla. Mio padre mi ritrovò e mi riportò da mamma, che per tentare di scorgermi, era salita al primo pia­no dal pasticciere Berchon... Vedendomi ebbe un ge­sto con le braccia... (La sua voce si spezza. È arri­vata al tavolo da giuoco, si siede) Che stupida, Oscar... Ancora adesso, dopo tanti anni, mi vien vo­glia di piangere... E quella volta che provò a fumare una sigaretta... Rideva... rideva... Tutto è svanito via... un po' d'ombra... Di mia madre, non m'è ri­masta che quella frase, quella sola frase... l'unica volta forse che perdette coraggio... E di me? La pau­ra... La paura che cominciava. Lasciai perdere la ste­nografia, perché volevo guadagnare subito...

(Nuova scena parziale. Nel vano appare l'interno di un negozio di confezioni a Carcassonne. Un banco, uno specchio. Sul fondo due porte: una a vetri, con la scritta, che dà sulla strada; l'altra che dà nel re­trobottega. Leona n. Due è dietro al banco. Davan­ti allo specchio Ruggero prova a un cliente una giacca molto larga. Ruggero è un uomo sulla tren­tina, un bellimbusto invadente e gioviale)

Ruggero                        - Troppo larga? Troppo larga questa giac­ca? Signorina Leona, venga a vedere. Il signore tro­va che la giacca gli va larga!

Leona N. due                - (raggiunge Ruggero e guarda il clien­te) Troppo larga? Per carità! Un po' d'ampiezza. Ed è il suo bello.

Ruggero                        - Ha visto? L'opinione delle donne è quel­la che conta, signore, soprattutto in materia di giac­che. Noti poi che la signorina ha una spiccata predi­lezione per i vestiti attillati. Glielo dico sempre: si­gnorina Leona, il vestito attillato non va più di moda.

1° cliente                       - Ma guardi le maniche! Guardi dove m'arrivano!

Ruggero                        - Troppo lunghe le maniche? Mi casca­no le braccia! Se lei m'avesse detto troppo corte, l'avrei anche ammesso. Permette? (Passa dietro al cliente e gli rimonta le spalle) Ma guardi! Guardi! È giusto! Perfetto! Ah, signore, ecco quello che si dice una manica a pennello! Alzi un po' il braccio, tanto per vedere... (Il cliente alza il braccio) Ecco! Che le dicevo? Ed è un gesto, questo, che si fa con­tinuamente... Per esempio al ristorante, quando ri­prende il cappello dall'attaccapanni...

1° cliente                       - (impugnando i risvolti) Ma tutta que­sta stoffa...

Ruggero                        - Lei m'ha detto che desiderava qualco­sa di stile inglese. Lo stile inglese ha un suo segreto: l'ampiezza. E il tessuto? È tweed. Ottimo tweed. Il segreto del tweed è tutto qui, nell'ampiezza!... Il tweed si porta ampio, oppure non è tweed!

1° cliente                       - (sempre coi risvolti in mano) Ce n'è per tutta la famiglia...

Ruggero                        - Ah ah ah ah! Il signore fa dello spi­rito! E che spirito! Si si si... se lo lasci dire da un intenditore. Ha sentito signorina Leona? Con lo spi­rito che ha e una bella giacca, il signore avrà succes­so! (Alle spalle del cliente, gli stringe la giacca) Con­fessiamolo! Lei è nato con la camicia! Alla prima prova paf! trova la giacca perfetta... su mille che ne abbiamo... la prima! Paf! Non c'è nemmeno bisogno di un ritocco. Oggi, col taglio americano, si fanno miracoli nella confezione. Provi, provi ad andare dal più grande sarto di Parigi o di Londra, le farà forse una giacca altrettanto perfetta, non dico di no, sono un commerciante onesto io, ma migliore di questa, è impossibile! (Indietreggia di due passi, stringe l'oc­chio osservandolo) Vuole la mia opinione schietta? Dipendesse da me, le darei la misura superiore...

1° cliente                       - Ah no, no! Grazie tante!

Ruggero                        - Come vuole. Qui il cliente è padrone. Anche se lei pretendesse la misura inferiore... Per me è lo stesso... Signorina Leona, vuol per favore prendere la misura più piccola... Ma... un momento (fermandola col gesto, al cliente) la pregherò di non dire che si è fornito da noi. Si fa presto a dire: la j sartoria di Ruggero non è più quella di una volta...

1° cliente                       - (esitante) Allora, crede che vada bene?

Ruggero                        - Se lo credo? Signore, se non fosse arri­vata stamane, l'avrei già venduta dieci volte, questa giacca! Ecco, guardi, c'è ancora l'imballaggio... Non ho ancora avuto il tempo di fare i conti, di rivedere i prezzi. Signorina Leona, d'ora in poi prenda la buona abitudine di mostrarmi le giacche in arrivo, pri­ma di metterle in vendita.

1° cliente                       - Allora va bene. La prendo.

Ruggero                        - E mi ringrazierà, ne sono sicuro! (Ac­compagna il cliente fino alla porta del negozio)

Leona n. due                 - (estasiata) Signor Ruggero!

Ruggero                        - Ha visto, Leona? Una giacca che si tra­scinava in negozio da tre anni! Con me, il commer­cio deve andare per forza! (Gioviale, dà un colpo sul sedere di Leona) Avanti, metta in cassa. (Canticchia l'aria dei "Diamanti", mentre Leona inette il denaro nella cassa)

Leona n. due                 - Lei è formidabile, signor Ruggero!

Leona                            - Proprio cosi, ero pazza di quell'uomo.

Croupier                        - Devo dire che nel suo genere...

Leona                            - Con lui dimenticavo la paura. Sano e ben pasciuto com'era, in un certo senso mi rassicurava. (Con una punta di nostalgia) Ruggero! Bisogna ca­pirle certe cose, Oscar. Per una donna, il primo uo­mo, è un po' come la statua della Libertà. Fra me di­cevo: quello, lo voglio...

Croupier                        - Be', non doveva essere un'impresa dif­ficile, Madama Leona... (guardandola) con la sua bel­la carrozzeria... Senza contare la promiscuità...

Leona                            - E il caldo. Agosto. A Carcassonne, d'agosto, ci si scioglie in acqua. Tutto il giorno a rosolarci là dentro. Anzi anzi... ce n'è voluto di tempo! (A Rug­gero, da lontano) Che diavolo aspettavi?

Ruggero                        - (a Madama Leona) E chi lo sa? Avevo paura che tu non volessi...

Leona                            - Potevi informarti. (Ruggero con un va­porizzatore si spruzza la faccia. Poi si fa coraggio, va vicino a Leona n. Due e la prende per i fianchi)

Leona n. due                 - (sorridente) Giù le mani, signor Ruggero.

Ruggero                        - Come vuoi, cocchetta mia... (La prende per le anche)

Croupier                        - Che faccia tosta!

Leona n. due                 - Attenzione! Il fornaio di fronte potrebbe vederci!

Ruggero                        - Vieni di là... (E la trascina nel retro­bottega)

Leona                            - Nel retrobottega, Oscar. Debuttai nel re­trobottega, pieno di giacche appese. Romantico, vero?

Croupier                        - (intenerito) Ah, gioventù, gioventù! Io debuttai lungo un viale, una sera di nebbia... non ci si vedeva a due passi... È vero che... lei era una in­glese...

Leona                            - Lo facevo tanto per farlo, senza progetti, senza piani, punto e da capo. Non ci fosse stata sua moglie...

Croupier                        - Era sposato?

Leona                            - Sposatissimo, con due figli.

Croupier                        - Due figli? Curioso, proprio come me. Com'è piccolo il mondo! E adesso ho già tre nipo­tini, il più grande ha cinque anni. Vuole vedere la fotografia? (Tira fuori il portafogli) Stia a sentire con che cosa se n'è uscito l'altro giorno, quella pe­ste! (Leona allontana la fotografia con un gesto. Dal­la porta della strada entra nel negozio la moglie di Ruggero. Porta un cappello vistoso. Si guarda attor­no, sorpresa)

La moglie di Ruggero   - Ruggero! Ruggero! Signo­rina Leona! Ma dove si sono cacciati! Ruggero! (Ruggero esce dal retrobottega, aggiustandosi la cra­vatta. Leona n. Due lo segue)

Ruggero                        - Oh, tesoro! Come sei gentile di venirmi a fare una visitina!

La moglie di Ruggero   - Dove stavi?

Ruggero                        - Di là, cara, nel retrobottega a mettere un po' d'ordine... con tutte queste giacche...

La moglie di Ruggero   - Qui non c'era nessuno! Se fosse entrato un cliente chissà che avrebbe pensato... Fatti vedere, vieni qui... Ecco... tutto impolverato... (lo spolvera) È un lavoro che devi lasciar fare alla signorina. Perché le dai uno stipendio, se non sa nem­meno mettere un po' d'ordine nel retrobottega?

Ruggero                        - Veramente...

La moglie di Ruggero   - Imparerà. È giovane. Non è vero, signorina? In avvenire mi farà il piacere di tenere bene in ordine il retrobottega. Non è lavoro per mio marito. (Indicando un pantalone sul banco) Guardi quel pantalone buttato là, tutto sgualcito... (A Ruggero) Vedi di mostrarti più energico! Be', ora me ne vado. Toma presto stasera. Ti ho comperato il rognone.

Ruggero                        - Oh! quanto mi piace!... (La moglie di Ruggero esce. Ruggero le manda un bacio sulla pun­ta delle dita, poi guarda Leona n. Due, fa spallucce e si mette a fischiettare l'aria dei « Diamanti »)

Leona                            - Ha visto che tipo, la moglie? Presuntuosa, sicura di sé... Mi disgustava... Ma nello stesso tempo mi apriva gli occhi... mi faceva vedere un po' più lontano...

Ruggero                        - (dopo un'occhiata alla porta del retrobot­tega) Vieni?

Leona n. due                 - Niente affatto.

Ruggero                        - (sorpreso) Cocchetta mia...

Leona n. due                 - Non sono la tua cocchetta, io.

Ruggero                        - Ma che ti prende? Andiamo... Mi piace tanto con te... e adesso non viene nessuno...

Leona n. due                 - E tua moglie?

Leona                            - (alzandosi e avvicinandosi ai due) Eh? Se viene tua moglie, che le diremo?

Ruggero                        - Mia moglie non viene.

Leona n. due                 - Anche l'altro giorno non doveva venire. E invece è venuta, col rognone.

Ruggero                        - Andiamo, cocchetta... (Leona n. Due lo guarda, ride e canticchia) Ma insomma, si può sape­re che è successo?

Leona n. due                 - Te l'ho già detto. Voglio vivere con te!

Ruggero                        - È una parola! Lo sai che sono già spo­sato.

Leona n. due                 - Divorzia. Per fortuna in Francia c'è il divorzio, no?

Ruggero                        - Il divorzio! E insiste... insiste... (Pren­dendole il mento) Gelosa?

Leona n. due                 - (liberandosi) Lasciami stare.

Ruggero                        - Ma insomma...

Leona n. due                 - Voglio vivere con te, voglio vivere con te.

Leona                            - Tutti i giorni battevo sullo stesso chiodo.

Ruggero                        - (vicino alla porta del retrobottega) Su... vieni... sii buona...

Leona n. due                 - (aspra) Ho da fare.

Ruggero                        - Ma vieni almeno a vedere. Ho messo per terra un mucchio di paltò. Vedrai come staremo comodi.

Leona n. due                 - Bravo! Un mucchio di paltò. Hai staccato i bottoni almeno?

Ruggero                        - Uno di questi giorni compero un di­vano.

Leona n. due                 - (con gli occhi al cielo) Un diva­no! Nientemeno!

Ruggero                        - Cocchetta mia...

Leona n. due                 - A una vera cocchetta, le si fa il nido.

Ruggero                        - Il divano appunto...

Leona                            - Lo sai che ci hai scocciato, col tuo di­vano?

Ruggero                        - Non possiamo mica andare in albergo! A Carcassonne! Dove tutti ci conoscono!

Leona n. due                 - Ne ho abbastanza, hai capito? Ne ho abbastanza! Che diamine! La sera, tu torni a casa, ritrovi tua moglie, le tue pantofole, il tuo rognone...

Ruggero                        - Uffa, questo rognone!

Leona n. due                 - Io invece? La mia cameretta. Sto li tutta sola a sospirare mentre il signore se la spassa con la legittima...

Ruggero                        - Che ti dicevo? Sei gelosa.

Leona n. due                 - E perché non dovrei essere ge­losa? Tua moglie non è gelosa? Ho proprio voglia di andarle a raccontare qualche cosetta, tanto per vedere.

Ruggero                        - Non oserai, vero?

Leona                            - No, sta' a vedere che mi impressiono!

Ruggero                        - C'è qualcosa che non va, cocchetta mia?

Leona                            - Che perspicacia!

Ruggero                        - Ma insomma che vuoi?

Leona n. due                 - Non hai ancora capito? Non sai ancora quello che voglio? Sono secoli che te lo dico! Voglio vivere con te! Voglio essere tua moglie! Voglio una casa mia, una cucina mia, un letto matrimoniale mio!

Ruggero                        - E che altro? I mobili stile Luigi XV? Un giardino d'inverno? Una Roll-Royce? Un visone?

Leona n. due                 - Andiamocene a Parigi.

Ruggero                        - A Parigi?

Leona n. due                 - Si, a Parigi. Perché no? E una volta che siamo a Parigi, tu divorzi.

Ruggero                        - E con che soldi? (Va alla cassa) Lo sai quello che c'è in cassa.

Leona n. due                 - E la dote di tua moglie?

Ruggero                        - Un momento. La dote di mia mo­glie è la dote di mia moglie!

Leona n. due                 - Come se non l'avessi mai toccata!

Ruggero                        - Ma non posso contemporaneamente di­vorziare e prendere la dote di mia moglie!

Leona n. due                 - Chi ti dice di farlo contempora­neamente? Prima la dote e dopo il divorzio. È anzi un eccellente motivo di divorzio!

Ruggero                        - Ma la dote è in banca, a suo nome!

Leona n. due                 - E tu hai la firma... (Va verso Ruggero) Ah, Ruggero!... Quando penso che potrem­mo dormire insieme... Tutta la notte... Vieni... Ah, vieni... (Lo trascina verso il retrobottega) No... è troppo lontano...

Ruggero                        - Ma sta li, a due passi... è più como­do, coi paltò...

Leona n. due                 - Ah, Ruggero mio... (Precipitano insieme dietro al banco. Pausa)

Leona                            - E hop! Vittoria! Due giorni dopo, parti­vamo per Parigi. Con la dote della moglie. (La scena parziale evoca adesso Parigi. Un tavolino di ristorante con un secchio da champagne e una lampada abat-jour rosa. Leona n. Due e Ruggero entrano dal fondo)

Leona                            - Era come invasato di trovarsi a Parigi.

Croupier                        - Parigi! Pare che sia proprio una gran bella città. Un mio cognato che c'è andato un paio di volte, mi ha raccontato...

Ruggero                        - Formidabile! Quanta gente! E su ogni tavolino una piccola lampada! Che intimità! (Pren­dendo il menu) E allora che ci facciamo? Arago­sta? Se si ordina l'aragosta mi hanno detto che dopo portano delle tazze speciali per lavarsi le mani. Sono curioso di vederle, queste tazze. E il gabinetto? Hai visto il gabinetto? Tutto dipinto di bianco, come in una clinica! Ah! Quanto sono de­licati questi parigini! E stasera, sai che facciamo? Andiamo a Place Pigalle! (Emozionato) Pare che ci siano delle donne nude.

Leona n. due                 - Ma come? Non ti basto io? Non mi vedi abbastanza nuda di notte? E tua moglie? Non hai avuto il tempo di vederla nuda?

Ruggero                        - Ma non è la stessa cosa.

Leona n. due                 - Perché?

Ruggero                        - Pare che queste qui abbiano delle piume, dei lustrini...

Leona n. due                 - Allora non sono poi molto nude.

Ruggero                        - Che puoi capire, tu?

Leona                            - Però, per quanto cercassimo nelle boites, in fatto di donne nude, non trovavamo che danze russe. In fondo, a Ruggero, interessavano anche le danze russe. Tornando all'albergo, in camera, pro­vava i movimenti, lanciando le gambe qui e là. Ma di donne nude, nulla...

Leona n. due                 - Perché non ti informi? Chiedi al portiere.

Ruggero                        - Credi? E se fosse proibito? Sai, di questi tempi... (Da sinistra entra un portiere d'al­bergo. Ruggero disinvolto, mettendogli in mano del denaro) Vorremmo vedere uno spettacolo veramen­te... parigino... Potrebbe raccomandarci qualcosa?

Portiere                         - Vuole qualcosa di veramente parigi­no? La Comédie Francaise. (Consultando la "Semaine à Paris") Stasera, per esempio... Stasera danno "Fedra". Un collega m'ha detto che è for­midabile!

Ruggero                        - (con una risatina) Mia moglie vorreb­be vedere qualcosa di più... (fa un gesto fregandosi le mani)

Portiere                         - Ah, capisco... qualcosa di più... Capi­sco... Le andrebbe il "concerto Mayol"?

Ruggero                        - (liquidandolo) Musica? Grazie tante.  (A Leona n. Due, con un gesto rassegnato) Hai visto?

(Il portiere esce dal fondo, mentre da sinistra avan­za una di quelle guide fameliche, abituali a Place Pigalle)

La guida                        -  La signora e il signore se la passeg­giano? Pigalle, Parigi di notte... (Confidenziale, met­tendosi un dito sotto l'occhio) La signora e d signore vorrebbero vedere qualcosa di... di soin-soin…

Ruggero                        - (emozionato)  Stavamo appunto cercando….

La guida                        - Che genere la interessa? Attrazioni, curiosità, cinema cochon?

Ruggero                        (estasiato, a Leona n. Due) Finalmente! (Alla guida) E non avreste invece delle donne nude?

La guida                        - Donne nude? Signore, lei mi offende! Ma tutto quello che c’è di più nudo a Parigi! Per trovare qualcosa di più nudo ancora, non so davvero cosa potrei consigliarvi… la Poline­sia Terra del Fuoco, il Belgio? Se la signora e il signore vogliono farmi l'onore... (Li conduce al tavolo, li fa sedere. Musica in sordina. Indicando un punto) Hanno visto mai niente di più nudo? (Esce dal fondo. Durante le battute seguenti, passa una piccola sigaraia in tutù, dalla quinta spunta qualche piuma di struzzo che tremola, seguendo ti ritmo della musichetta)

Leona                            - Ruggero era felice. Tanto felice da tor­narci tutte le sere.

Croupier                        - Tutte le sere, sciura Leona?

Leona                            - Che indigestione! Tutti quei sederi! Bianchi, pallidi come crisantemi, che ondulavano da darvi il mal di mare.

Croupier                        - Quelle parti in genere, non sono ec­cessivamente variate. Quando se n’è visto uno… E poi, che vuole che le dica? Non so gli manca l’anima

Leona                            - Che dice, Oscar. L'anima e dappertutto

Croupier                        - (con un gesto scandalizzato) Sciura Leona!... (Per qualche secondo la musica più su di volume)

Ruggero                        - (guardando sempre verso le immaginarie donne nude entusiasta) A Carcassonne, dove le trovi certe cose! Ah! Parigi, Parigi! (Disegnando nell’aria) Che petti! (Al colmo dell'eccitazione porta i due indici all'altezza dei seni e con un gridolino acu­ta) Ti ti... (E canta l'aria dei “Diamanti” )

Leona n. due                 - Calma, eh, toreador! Non sono neanche ben fatte, guarda che roba!

Ruggero                        - Sei ingiusta. Non sono tutte bellissime, questo è vero... Ma... ma guarda la terza, per esempio.

Leona n. due                 - Che terza e terza. Sono tutte uguali

Ruggero                        - La terza da sinistra. La bionda col paniere.

Leona n. due                 - (sdegnata) Una donna quella? Sem­bra un pezzo di sapone. Un tubo di dentifricio, io sono fatta meglio.

Ruggero                        - (conciliante) Ma certo, cocchetta mia… ma certo! Sennò perché t'avrei conquistata, cocchetta mia?

Leona                            - E già. Era convinto di essere stato lui ad avermi "conquistata". Che presuntuosi gli uomini! Oscar, se le donne fossero la metà meno stupide de­gli uomini, la vita sarebbe una bella corrida!

Leona n. due                 - E allora?

Ruggero                        - Allora che?

Leona n. due                 - Non riesco ancora a capire perche trovi questo spettacolo così appassionante, quando puoi vedermi nuda tutte le sere. E gratis.

Ruggero                        - Ma è un'altra cosa. Come te lo devo dire? Prima di tutto non le conosco, e quindi la cosa è istruiva... Poi c'è tutta questa gente... (Leona n. due si gira per guardare)

Leona                            - Tutte quelle facce nella penombra., anche esse pallide... come i sederi....(Ancora la musica. Ancora il passaggio della sigaraia in tutù. Leona n. 2  e Ruggero si alzano, fanno qualche passo verso il proscenio)

Leona n. due                 - Di' un po', non credi che ci siamo divertiti abbastanza? La dote di tua moglie non e inesauribile. Dovresti cercarti un lavoro

Ruggero                        - Lascia fare a me. Non te ne ho parlato, faccio finta di niente, ma intanto studio la situazio­ne, le possibilità. Quando ci vedrò chiaro (facendo il gesto di lanciare una freccia) zac! nel punto giu­sto. Non sono mica nato ieri. Ah ah! E nell'attesa, vieni!

Leona                            - Il signore scopriva le delizie del patti­naggio. (Palais de Glace. In sordina un valzer. Ap­pare una pattinatrice)

Ruggero                        - (in estasi) Ma guarda! Ooh!... Bisogna proprio che impari!

Leona n. due                 - Lo imparerai un'altra volta.

Ruggero                        - Oh no, subito! Subito... (Si siede per calzare i pattini. Alla pattinatrice, mandandole un bacio) Eccomi! Uno deve sentirsi come... come un cigno...

Leona N. due                - Ruggero! (Ruggero ha raggiunto la pattinatrice e pattina. Leona n. Due indietreggia)

Leona                            - (imparziale) Pattinò subito bene. Vuol di­re che c'era portato. C'è gente cosi, nata per fare cose che non servono a niente.

Croupier                        - Come è vero! Mio suocero, per esem­pio, il suo hobby è la filatelia. Riconosce un franco­bollo a quindici metri di distanza!

Leona                            - (che, come al solito, non lo ascolta) D'al­tronde fu proprio al pattinaggio che cominciai a giu­dicarlo...

Leona n. due                 - Ruggero!

Ruggero                        - (pattinando, da lontano) Cocchetta mia...

Leona n. due                 - Il denaro che hai non è inesau­ribile!

Ruggero                        - Non prendertela!

Leona n. due                 - Il lavoro che trovi quando hai tre­centomila franchi da parte, è ben diverso da quello che trovi quando non hai più il becco d'un quattrino!

Leona                            - Giudiziosa, vero?

Croupier                        - Molto giudiziosa, madama. Guardi per esempio, io che le parlo...

Leona n. due                 - E il divorzio? Non ci hai più pen­sato?

Ruggero                        - (sempre pattinando) Che ci posso fare? I torti li ho tutti io. È mia moglie che deve co­minciare.

Leona                            - Non mostrava nemmeno di preoccuparse­ne. D'altronde gli uomini, per l'iniziativa, glieli rac­comando!

Leona n. due                 - E se tua moglie non comincia mai?

Ruggero                        - Che vuoi che ti dica, cocca mia... Vuol dire che mi ama ancora... (Cantando sull'aria del val­zer) Na na na na nna...

(Un ultimo giro, poi la pattinatrice se ne va da destra, seguita da Ruggero e da Leona n. Due. Leona si alza, fa qualche passo e fa l'abituale gesto di mi­naccia verso Ruggero)

Leona                            - Ha visto, Oscar? Portarsi via una donna, rubare una dote a un'altra, sono fatti che dovrebbero maturare un uomo. Ruggero, invece, sembrava rin­giovanito. Al pattinaggio, compresi finalmente quanto Ruggero fosse ancora'un ragazzo! E io mi ero an­data a mettere nelle mani di un ragazzo!

(La scena parziale rappresenta adesso la camera di un modesto albergo. Due porte: una è quella della camera, l'altra è quella dell'armadio. Fra le due un letto, nel quale sono Leona n. Due e Ruggero. Sul davanti una sedia, alla quale è appesa la giacca di Ruggero. Specchio, lavabo, tavolino da notte. Penom­bra. Squilla una sveglia)

Ruggero                        - (svegliandosi di soprassalto) Pronto! Pronto!

Leona n. due                 - È la sveglia, idiota!

Ruggero                        - Perbacco! Le nove! Al galoppo! (Si stira, perde tempo)

Leona n. due                 - Quando ti alzi? Domani?

Ruggero                        - Si si si... (Accende, si alza, comincia a vestirsi, fischiettando l'aria dei "Diamanti". Leona n. Due, appoggiata a un gomito, lo osserva)

Leona                            - Era riuscito a trovare qualcosa, una rap­presentanza...

Ruggero                        - Vedrai, vedrai, cocca mia... Nelle gior­nate buone, con la mia parlantina riesco a fare anche sei settemila franchi di commissione. Settemila mol­tiplicato trenta, aspetta che faccio il calcolo... siamo sulle duecentocinquanta al mese...

Leona n. due                 - (freddamente) Duecentodieci.

Ruggero                        - Come vuoi, già... duecentodieci. Eh! non sono mica da buttar via, duecentodiecimila franchi al mese!

Leona n. due                 - (freddamente) Non hai sottratto le domeniche.

Ruggero                        - Le domeniche? Già... Quando ti metti a fare la pignola, tu! (Ruggero che ha finito di vestirsi, si spruzza dell'acqua di colonia)

Leona                            - Per me Ruggero era già passato, non esi­steva più. Era come un calabrone entrato dalla fine­stra. Quando si decide di piantarla con qualcuno, tutto quello che dice non ha importanza, come gli uccelli sugli alberi, è un semplice rumore! Noioso. Niente altro.

Ruggero                        - (prendendo il portafogli) Tieni, ti lascio 500 franchi per la colazione. Buon appetito.

Leona N. due                - Con 500 franchi? Proverò. (Rug­gero si avvicina al letto, bacia Leona n. Due, insiste. Per abbracciarla meglio, posa il portafogli sul tavo­lino da notte. Leona n. Due, respingendolo) No no, sei matto? Adesso? Via, al lavoro!

Ruggero                        - Non casca il mondo, se esco fra dieci minuti!

Leona n. due                 - No!

Ruggero                        - (furioso, alzandosi) L'ho sempre detto-Sei una donna senza temperamento... (Va alla porta, l'apre, si volta a guardare Leona n. Due e agitando il dito con malizia, si mette a fischiettare l'aria dei "Diamanti"... Poi esce. Leona n. Due aspetta un mo­mento, poi, girandosi sul letto, batta tre volte contro la parete)

Voce di Odilon             - Presente! (Dal fondo entra Odilon, in vestaglia, fischiettando l'aria "Toreador" della Carmen. Odilon è un uomo un po' più anziano di Ruggero, più piccolo, tarchiato. Ha un'aria contenta)

Odilon                           - È andato via il pattinatore?

Leona n. due                 - No. Sta sotto al letto.

Odilon                           - (portandosi una mano sul cuore) Eh? Ma che dici?

Leona n. due                 - Andiamo, scherzavo...

Odilon                           - E non sono scherzi da fare! Col cuore che mi ritrovo! (Si tasta il polso. Va a prendere la sveglia sul tavolino da notte) Qui non ci sono i se­condi. Come vuoi che faccia?

Leona n. due                 - A fare che?

Odilon                           - Come vuoi che faccia a tastarmi il pol­so? Bah... Sembra normale... (Comincia a togliersi la vestaglia) La stavo facendo proprio grossa... Dimen­ticavo la boldina... (Prende un flacone dalla tasca e manda giù una pillola) Il dottore mi ha raccoman­dato di prenderne una tutti i giorni prima delle dieci. (Si toglie la vestaglia. È in camicia e pantaloni. Si guarda attorno, va alla porta, la chiude a chiave. Poi torna verso il letto, fregandosi le mani) E allora, bel­lezza, bellezzina... ce lo facciamo questo viaggetto in Paradiso?

(Si stende accanto a Leona n. Due, ma la porta viene scossa da qualcuno che vuole entrare. Bussano. Silenzio. Bussano ancora)

Leona n. due                 - Chi è?

Voce di Ruggero          - Sono io! Chi vuoi che sia! Il Presidente della Repubblica? Il Comandante della Nato? (Leona n. Due e Odilon si guardano smarriti. Odilon si alza spaventato, con la mano sul cuore. Leo­na n. Due lo fa entrare nell'armadio. Ruggero bussa ancora) Vuoi aprire o no? Fa presto! Ho dimenticato il portafogli. Ma perché ti chiudi dentro?

Leona n. due                 - Sto facendo ginnastica! (Intanto con rapidità indossa un vestito)

Voce di Ruggero          - Ginnastica? Ma per chi ti pren­di? Per Greta Garbo? Ah ah ah ah! (Leona n. Due va ad aprire. Ruggero entra) Ti sei vestita! Perché non sei venuta in mutandine? Intimi come siamo...

Leona n. due                 - (indicando l'armadio) Sst!

Ruggero                        - Che c'è?

Leona n. due                 - E dentro l'armadio.

Ruggero                        - (a voce bassa) Dentro l'armadio? (A passi di lupo va a prendersi il portafogli sul tavolino da . notte. Poi, sussultando) Ma chi c'è dentro l'ar­madio?

Leona n. due                 - Papà.

Ruggero                        - Tuo padre?

 Leona n. due                - Ha avuto il nostro indirizzo, chissà come. E venuto a farmi una scenata, a supplicarmi di tornare a casa.

Ruggero                        - (inquieto) Cocchetta mia... non gli dare retta...

Leona n. due                 - No no.

Ruggero                        - Purtroppo ti ho deluso un po', ma che vuoi farci? La felicità, Parigi... mi sono lasciato an­dare... Ma mi sto riprendendo, sai? Vedrai, vedrai!... Sta' senza pensieri! Al galoppo, Ruggero!

Leona n. due                 - Come sei stupido, caro!

Ruggero                        - Di' un po'. Perché l'hai chiuso dentro l'armadio?

Leona n. due                 - Non vuol vederti.

Ruggero                        - Non vuol vedermi? Che maniere! E che gli ho fatto, a tuo padre? Aspetta, gliene dico quattro come si deve! (Si volta verso l'armadio, fa un passo. Leona n. Due ha un'espressione di speranza)

Leona                            - Gli lasciavo ancora una possibilità. L'ul­tima. Speravo che per una volta non si comportasse come un ragazzo!

Ruggero                        - (fermandosi indeciso) Credi che sia il caso?

Leona n. due                 - Decidi tu.

Ruggero                        - Fra due uomini tutto diventa subito importante...

Leona n. due                 - Hai ragione. E allora vattene. Mi arrangerò da sola.

Ruggero                        - Ma si, te la caverai... Altrimenti... (Ca­valleresco, verso l'armadio) sono sempre a sua dispo­sizione!

Leona n. due                 - Adesso vattene, tanto non hai nes­suna voglia di vederlo.

Ruggero                        - (parlando all'armadio) Vado... Ma tu digli... digli che io capisco benissimo il suo punto di vista... Digli che sono pronto a riparare, digli che divorzierò, ti sposerò... (Improvvisamente sospettoso) E la ginnastica? Perché mi hai detto che facevi gin­nastica?

Leona N. due                - Perché se t'avessi detto che c'era papà, col carattere violento che hai, avresti sfondato la porta. Perciò l'avevo chiusa a chiave. D'altronde sapevo che dovevi tornare, avevo visto il portafogli sul comodino.

Ruggero                        - (accarezzandole il mento) Che graziosa osservatrice... (La carezza diventa un abbraccio)

Leona n. due                 - Andiamo... Davanti a mio padre...

Ruggero                        - Ah... L'avevo già dimenticato! Vedi co­me sono? Una bella donna e dimentico tutto... Me ne vado... me ne vado... (Tirando fuori il portafogli) Tieni. Offrigli una buona colazione... (A voce bassa) al caro papà... (Scherzoso, fa il gesto di lisciarsi la barba)

Leona n. due                 - Matto che sei! (Ruggero esce. Odi­lon viene fuori dall'armadio)

Odilon                           - No! No no no! Grazie tante! Non lo posso sopportare! Ho avuto uno choc. Ecco, vedi? Ho qualcosa qui al plesso solare.

Leona n. due                 - Prendi una pillola.

Odilon                           - Si si! Ridi! Ridi! Io non rido, io! (Sì siede affranto sulla sponda del letto e si tasta il polso) Non hai un orologio? (Leona n. Due gli passa il suo orologetto da polso) Neanche qui ci sono i secondi. Ma che t'ha preso di dire che ero tuo padre?

Leona n. due                 - Hai ragione. Avrei dovuto dire: c'è il signor Odilon, quello della stanza accanto. E che sta facendo nell'armadio? Chi lo sa. Aspetta l'autobus.

Odilon                           - Potevi star zitta e non dire niente. Col cuore in queste condizioni... Da domani, ci vediamo in camera mia. (Leona n. Due lo osserva)

Leona                            - Stavo cercando me stessa... Provavo a ten­toni...

Leona n. due                 - D'accordo. Verrò nella tua camera. Ma prima andrai a cercarne un'altra, in un altro al­bergo.

Odilon                           - Perché? Sarà molto meno comodo.

Leona n. due                 - Voglio vivere con te.

Odilon                           - Che novità sarebbe? (Guarda Leona n. Due, riflettendo) E il pattinatore? Che ne fai? (Leo­na n. Due alza le spalle) Se è cosi... possiamo vedere...

(La camera d'albergo scompare lasciando il posto a un'altra camera d'albergo, un tantino più su di tono della precedente. Un portamantelli con appesi un cappello e una giacca. Un canarino in una gabbia. Odilon, fa entrare Leona n. Due che porta una valigia e, tol­tasi la vestaglia, infila la giacca)

Odilon                           - Eh? Non è "cosy"? (Leona n. Due posa a terra la valigia e avanza) C'è anche un balcone; sul viale... Visto gli alberi? Come clorofilla, dico, non c'è male, vero? Ti presento il mio canarino. Cip cip.

Leona n. due                 - Piacere. Cip cip...

Odilon                           - (va alla seconda porta) E una stanza da bagno, scusatemi tanto. Gli impianti igienici sono il mio debole. Ci ho fatto mettere un radiatore e un fornelletto cosi potrai cucinare. Sai, col mio fegato, quello che si mangia nei ristoranti a lungo andare è veleno. (Prende una pillola mentre Leona n. Due aperta la valigia ne trae un vestito, che appende al portaombrelli)

Croupier                        - Che mestiere faceva questo Odilon?

Leona                            - Il barman in una boite di Montparnasse. Prendeva servizio verso le cinque del pomeriggio e ciò gli permetteva di fare ogni giorno insieme a me, dalle due alle quattro, la sua brava passeggiata, un po' di footing, eccellente per il fegato, raccomandato dal medico.

(Odilon prende il cappello e fa qualche passo in­sieme a Leona n. Due. Intanto illustra il paesaggio)

Odilon                           - Come fa bene quest'arietta! Respira, re­spira. Approfittane. E poi guarda là... il Maresciallo Ney.

Leona n. due                 - Quale?

Odilon                           - La statua. E pensare che l'hanno fucilato! Un maresciallo! (Con dignità si scopre)

Leona n. due                 - E nerché l'hanno fucilato?

Odilon                           - Per disciplina. Si rifiutò di mettere Na­poleone in una gabbia di ferro.

Leona n. due                 - Che idea! E perché volevano met­tere Napoleone in gabbia?

Odilon                           - (con un gesto vago) La politica, mia cara. La sporca politica. (Fa qualche passo, con Leona n. Due) E una volta fucilato, sai che fece un inglese? Ci saltò sopra col cavallo.

Leona n. due                 - Ma che stai raccontando?

Odilon                           - È storico! Ah, questi inglesi!... Baste­rebbe Giovanna d'Arco.

Leona                            - Per le date e la storia, bisognava lasciarlo stare... Soprattutto Napoleone.

Croupier                        - Napoleone... è comprensibile. (Pausa) L'impero...

Odilon                           - (bruscamente, con furore) Ah! se potessi averlo fra le mani!

Leona n. due                 - Ma chi?

Odilon                           - Grouchy!

Leona n. due                 - E che diavolo t'ha fatto?

Odilon                           - (scoraggiato) E Blùcher! E tutti gli al­tri! Ah, questi tedeschi! L'unica cosa che sanno fare bene è scocciare il mondo! (Si scopre nuovamente e guarda in basso) Ecco, là... la tomba di quel Napo­leone... sai, di cui ti parlavo...

Leona n. due                 - (guardando anch'essa in giti) La sua tomba?

Odilon                           - Si... Dimmi se non fa pietà! Solo, lag­giù... Lui che amava tanto i viaggi... (Rimette in testa il cappello) Nel gilet aveva fatto cucire dei taschini foderati di daino, per il tabacco. Tabaccava.

Leona n. due                 - (sospettosa) Napoleone?

Odilon                           - È storico. (Tornano nella camera. Odilon posa il cappello)

Leona                            - Un giorno, ricordo... un venerdì'.

Odilon                           - Sai, noi due, cara, da oggi... è finita.

Leona n. due                 - Come? Che diavolo vuoi dire?

Leona                            - Di nuovo la paura mi cadeva addosso...

Odilon                           - Che vuoi farci? È finita. Le cose non possono mica durare eternamente! Nota che mi di­spiace. Mi dispiace moltissimo. Avremmo potuto pas­sare insieme ancora tanti bei momenti... Ma che pos­so fare? Mi offrono il bar di un albergo importante al Cairo, il Sheperd's e non posso rifiutare. Il Cairo è ben altra cosa da Montparnasse. Parto lunedi.

Leona n. due                 - Lunedi? E me lo dici oggi? Voglio sapere la verità. Da quanto tempo te lo stai rimu­ginando questo Cairo?

Odilon                           - Finché una cosa non è sicura. Non vale la pena di parlarne.

 Leona n. due                - (in uno slancio) Odilon! Parto con te!

Odilon                           - (con fermezza) No, bambola. (Prende una sedia, si siede vicino a Leona n. Due, le tiene una mano) Lascia che ti spieghi. L'Egitto, i negri, il clima col mio fegato nelle condizioni che sai, grazie tante! Non è roba per me, vero? Se ci vada; è per fare il peculio. Ecco la mia idea: voglio un bar mio, tutto mio. Già ho scelto la zona... i Campi Elisi o qualche straduccia laterale... un ambientino intimo, con le lampadine nei grappoli d'uva... Progetto ragionevole, no?, con tutti gli amici che ho fra i fornitori... Al Cairo, in tre anni, mi tiro su il denaro relativo, be­ninteso, facendo delle economie. E per fare delle eco­nomie, bisogna che parta da solo, altrimenti so come va a finire: fra vent'anni sto ancora al Cairo. Le Pi­ramidi perpetue, no, grazie tante. (Leona n. Due ab­bassa la testa, mentre Odilon le dà dei colpetti sulla mano)

Leona                            - Mi stava bene. Imparavo la lezione. Nella vita di una donna, un uomo solo è come un ramo secco. Ce ne vogliono almeno due perché è più dif­ficile che due rami si secchino contemporaneamente. Pensi un po', Oscar, col mestiere che faceva Odilon, mi lasciava tutte le serate libere. Tutte le serate e buona parte di tutte le notti... se ne rende conto?... Con quello che Parigi offre!... E io che avevo fatto? Ero andata al cinema.

Croupier                        - Non è una gran colpa.

Leona                            - E invece si. È una gran colpa! Non si nasce per andare al cinema, santo Cielo! Eh no! Bisogna darsi da fare, cercare, raccogliere... Batte­re il ferro finché è caldo. E non è mai caldo per molto, sa, il ferro! Odilon, per esempio s'era dato da fare e aveva trovato.

Odilon                           - Hai capito il mio progetto?

Leona n. due                 - (incolore) Ho capito.

Odilon                           - E fra tre anni, quando tornerò, se ti va, possiamo rimetterci assieme. Eh, che ne dici? Mi piacerebbe ritrovarti, senza scherzi. Avremmo un bar tutto nostro... un avvenire tranquillo...

Leona n. due                 - Già.

Odilon                           - Ma intanto tu che farai?

Leona n. due                 - Che farò? Me ne andrò al Cairo anch'io e tutte le sere verrò al tuo bar, tanto per farmi qualche amicizia. Voglio vedere che faccia faranno gli egiziani...

Odilon                           - (alzando le spalle) Non faranno nessu­na faccia.

Leona n. due                 - Vedremo.

Odilon                           - L'egiziano è molto impassibile, sai?

Leona n. due                 - (testarda) E io voglio verificarlo.

Odilon                           - Senti, Leona. Perché non ci lasciamo da buoni amici? Tieni, ecco qua. Sono trentamila franchi. Tanto per organizzarti un po'.

Leona n. due                 - (subito) Sessanta.

Odilon                           - Trenta. Di più non posso, ho un sacco di spese! Ma, dico, solo una farmacietta da campo, foderata di alluminio contro l'umidità e il calore, sai quanto l'ho pagata? Cose da pazzi! Ti lascio anche il canarino.

Leona n. due                 - (amara) Grazie.

Odilon                           - Vedrai, ti farà compagnia. (Va alla gab­bietta) Che ne dici, cip cip? Quando vivevo solo, tornando dal lavoro, gli raccontavo tutte le mie co­sette... Cip cip cip... Lo porterei volentieri con me, ma ho paura che non si adatti al clima. (E’ tor­nato da Leona n. Due e cerca di rabbonirla) Su... non fare quella faccia... Ho un progettino anche per te... Questo pomeriggio andiamo insieme al Chatou's. Conosco bene il signor Alfonso, il padrone. Non ti andrebbe di fare l'entraineuse? Lui ti prende di si­curo, fatta come sei... Non piaci a tutti, ma quan­do piaci, piaci. Hai visto con me...

(Nuova scena parziale. Il Chatou's. Sono in scena tre clienti e tre ragazze. Leona n. Due, Irma e Mauricette. Irma è alta e solida. Mauricette sembra un gattino. Il primo cliente è abbastanza anziano e di­stinto. Il secondo è corpulento e gioviale. Il terzo è triste. Tutti sono seduti: in piedi il signor Al­fonso. Eventualmente ci sarà anche una sigaraia in tutù, un altro cliente, un'altra entraineuse, un ca­meriere. Il grammofono suona per intermittenza un'aria di jazz, fra le battute che verranno dette una dopo l'altra ben pausate)

Mauricette                     - (facendo la bambina) Voglio lo champagne: Voglio lo champagne!

Primo cliente                 - Il tempo si può rimettere al bello... È marzo.

Irma                              - Dove saranno andate a finire le mie scarpe?

Secondo cliente            - Come? Sei di Carcassonne? Che combinazione!

Alfonso                         - Chissà quanta gente per il Salone dell'Automobile! (Jazz. Tutti si alzano e danzano, ma rapidamente e in un modo meccanico. Poi siedono)

Terzo cliente                 - (dopo una pausa) Quanto ci di­vertiamo, vero?

Irma                              - Con la scusa che il tempo si può rimet­tere, non potresti rimettere le manine al loro posto?

Mauricette                     - Mi piacerebbe andare a Nagasaki.

Secondo cliente            - Le mura di Carcassonne sono famose!

Alfonso                         - Sbarcano ottomila turisti all'ora...

Irma                              - E che posso farci? Mi si gonfiano i piedi.

Mauricette                     - (con un sospiro) Eh, la vita!

Primo cliente                 - Ah ah! (Riprende il Jazz)

Irma                              - E allora?

Secondo cliente            - Carcassonne e Montelimar, non sono nella stessa provincia?

Alfonso                         - Va bene sbrigarsi, ma tu ti sbrighi troppo, Irma. Dagli almeno dieci minuti, al cliente, per tirare il fiato!

Irma                              - Dieci minuti? Al prezzo dove è arrivato il burro?

Primo cliente                 - Ah ah!

Secondo cliente            - (stirandosi) Beuh...

Terzo cliente                 - (dopo un silenzio) Non mi piac­ciono le discussioni troppo accese!

Mauricette                     - Al mattino prenda un bel bicchie­re d'acqua.

Terzo cliente                 - (uscendo dalla sua apatia) Io dico che l'anima esiste. Scommettiamo?

Mauricette                     - Ma si, bello... Non preoccuparti!

Secondo cliente            - Restiamo insieme stasera?

Leona N. due                - Conosco un posticino poco lon­tano...

Leona                            - (alzandosi e tentando inutilmente di impe­dire, con un vago gesto, una decisione ormai cosi lontana) No... No!... Ma che fai?...

Leona n. due                 - (al cliente) E allora? Si va?...

Leona                            - No...

(Il Chatou's scompare per far posto a una came­ra d'albergo a ore. Un letto, una toilette, uno spec­chio. Una delle porte del fondo si apre. La came­riera fa entrare Leona n. Due e il secondo cliente. La cameriera mette gli asciugamani)

Leona                            - Che impressione la prima volta! Lui, l'ho dimenticato come era fatto, ma la camera la vedo ancora. Era in Via Chateaubriand. (Leona n. Due si avvicina allo specchio) Sei tu? Proprio tu, Leona? Tu, qui? Proprio tu? Nello specchio lo vedevo, die­tro a me... se gli avessi chiesto il nome, me ne avrebbe dato uno fasullo... se gli avessi chiesto il cognome se ne sarebbe andato, oppure m'avrebbe detto: «di che t'immischi?»... quello sconosciuto, quell'ombra, quel fantasma... che stava per diven­tare che cosa? Il mio amante? No, non è quello un amante...

Leona n. due                 - (volgendosi) E allora? Hai prepa­rato il regaluccio?

Secondo cliente            - Tremila... va bene?

Leona n. due                 - Tremila? E che siamo all'istituto di beneficenza?

Secondo cliente            - Quattro...

Leona                            - Fantasmi... ecco quello che eravamo, Oscar, fantasmi. Forse perciò si prende cosi presto l'abitudine a quegli hotel, a quella vita... Il primo cliente mi fece una certa impressione. Ma il se­condo e gli altri... uscivamo dal bar... raggiungeva­mo l'albergo... la scala, le guide, i tappeti, i cor­ridoi, la cameriera, Susanna o Adele secondo i gior­ni... Le va bene il quattordici, signorina Leona?

(Nella scena parziale una delle porte di fondo si apre. La cameriera fa entrare Leona n. Due e il Quarto cliente. Durante tutte le battute che seguono Leona n. Due e il cliente resteranno immobili l'una di fronte all'altro)

Leona                            - Cominciava l'operazione fantasmi... Lei mi dirà: quando si mettono a letto insieme, un uo­mo e una donna, fanno qualcosa di reale, di posi­tivo, di concreto. Si, domani! Nel silenzio della ca­mera, davanti agli specchi, non c'erano più che due corpi, che si muovevano lentamente, cercandosi co­me delle meduse. Come delle meduse, Oscar, a ten­toni, cieche. Ci stavo ripensando proprio l'altro giorno, al cinema, durante un documentario sul fondo marino... Il fondo del mare, ricorda molto le came­re degli hotel a ore... s'intende, quando la casa è tenuta bene... quando è di una buona categoria. Ba­sterebbe il silenzio. A Parigi, al giorno d'oggi, gli hotel a ore sono i soli posti dove ci sia un po' di silenzio... Un fruscio, qualche volta, nei corridoi, co­me il passaggio di un pesce... Una luce smorta, la calma, tutto chiuso, l'aria rarefatta. Si ha come l'im­pressione di essere lontani, perduti, due annegati, l'impressione che non sia vero, che se qualcuno gri­dasse nessuno lo sentirebbe, ma forse quelle grida creperebbero i muri. L'impressione che ci si trovi in quella camera proprio per caso, mentre si po­trebbe essere altrove o altrimenti, non essere lui, non essere io. Due meduse insieme per qualche mo­mento. Una che si agita, l'altra che sta ferma, che guarda il soffitto e sbadiglia. E fra le ' due meduse... il nulla, la vertigine, il vuoto... Forse perché le due meduse non hanno niente da dirsi, forse perché riescono a pensare che alla fine, all'una dell'altra, non gliene importa niente. Due o tre gesti, appena ter­minati e già dimenticati. Due o tre parole, anch'esse non vere, che ricascano di traverso, se ne vanno a tentoni anch'esse, come gamberi.

Leona n. due                 - Dove si va?

Quarto cliente               - Dove vuoi. Hai un'idea?

Leona n. due                 - Conosco un posticino tranquillo.

Leona                            - Perché non dire un albergo? Ma perché un'entraineuse ha delle belle maniere, usa delle espressioni corrette...

Leona n. due                 - Un salottino...

Leona                            - Perché non dire una camera?

Leona n. due                 - Ci pensi al mio regaluccio?

Leona                            - Perché chiamarlo regalo, anzi regaluc­cio? Eppure lo si vuole consistente. Parole che va­gano intorno al loro vero significato...

Leona n. due                 - Sarò carina...

Leona                            - (alzando le spalle) Carina!...

Leona n. due                 - (recitando) Tesoro mio, bellezza, caro, muso bello, bambinone, gioia, micio, micetto, micione, biondo, biondino, brunetto, porco, bello mio, brutalone...

Leona                            - (spiegando) Secondo il genere del cliente. Cancellare le menzioni inutili.

Leona n. due                 - Ci pensi al regalo? Guarda che combinazione! Oggi è la mia festa.

Leona                            - Un'ideuzza dire che era la mia festa. Ma rendeva bene.

Leona n. due                 - Ci porterà fortuna! Che le dà, per la sua festa alla sua gattina, il brutto lupo mannaro?

Leona                            - Al bar erano ancora degli uomini... Va­gamente... delle specie d'uomini... In camera diven­tavano dei sonnambuli, degli automi. Emergevano fuori dei loro gilet con dei vecchi sogni, dei vec­chi desideri, bisognava vederli, bisognava sentirli, dei vecchi sogni tutti frusti e tarlati...

Quarto cliente               - Vorrei...

Leona N. due                - Che stai dicendo?

Quarto cliente               - Vorrei...

Leona n. due                 - Ma spiegati.

Leona                            - Balbettavano, ma sapevano quello che volevano! Sofisticati e meticolosi, peggio delle ser­ve al mercato. Voglio cosi, non in quell'altra ma­niera. Un gesto da fare e non quell'altro. Atten­zione! La sfumatura, il dettaglio, la virgola.^ Era evi­dente che, con le mogli, trovavano solo l'approssi­mativo.

Quarto cliente               - No... Non cosi!

Leona n. due                 - Cosi va bene?

Quarto cliente               - Si, ma aspetta!

Leona                            - Seduta, sdraiata, in piedi, che altro.

 Quarto cliente              - (in un soffio) Un sorriso ades­so... negli occhi il rapimento... la gamba sinistra...

Leona                            - I quadri plastici, insomma. Come nei film... Io sono un cowboy e tu un'indiana...

Quarto cliente               - Chiamami signor Generale.

Leona n. due                 - Si, signor generale.

Quarto cliente               - Di che ti faccio paura.

Leona n. due                 - Ah! Che paura mi fai!

Quarto cliente               - Di' che torni da scuola e che hai avuto zero in aritmetica.

Leona n. due                 - (facendo la bambina) Tomo da scuola. La maestra mi ha rimproverata. Mi ha mes­so zero in aritmetica.

Leona                            - Fragile come un quadro plastico. Atten­zione a toccare. Un niente e tutto crolla. Una paro­la e il sonnambulo si risvegliava. Furioso, sconten­to, rimetteva il gilet.

Quarto cliente               - Ti obbedirò. Farò tutto quello che vuoi.

Leona n. due                 - Tutto quello che voglio?

Quarto cliente               - Si.

Leona n. due                 - Giuralo.

Quarto cliente               - Lo giuro.

Leona n. due                 - Allora dammi mille franchi di più.

Quarto cliente               - (ribellandosi) Ah no. Ah no! Ah no! Non era convenuto! (Se ne va. Quando è sulla porta si volta) Ma guarda un po'... (Esce)

Leona                            - Certe idee, avevano... certi trucchi... Che diavolo c'era dentro di loro, mi chiedevo, che son­necchiava... Ne potrei raccontare di episodi...

(Dal fondo entra Lecasse, un uomo di una tren­tina d'anni)

Lecasse                         - Ecco! Eccotelo il regaluccio! (Getta un fascio di biglietti sul letto, si toglie la giacca, si getta sulla sedia e comincia a singhiozzare) Mio Dio che ho fatto, che ho fatto!

Leona n. due                 - Che ti succede? Ohe! Eppure non mi sembri uno di quei tipi complicati...

Lecasse                         - Quel denaro, Leona! Il denaro che ho messo li, sul letto...

Leona n. due                 - Embé?

Lecasse                         - L'ho rubato!

Leona n. due                 - Come l'hai rubato?

Lecasse                         - Al padrone, questo pomeriggio, facen­do la cassa. Ho rubato al mio padrone, che ha tan­ta fiducia in me! Mi butterà fuori, mi farà arre­stare!

Leona n. due                 - Ma che diavolo hai combinato!

Lecasse                         - La prigione! Il disonore! La prigione, capisci? Dopo tutta una vita d'onestà!

Leona n. due                 - Mi dispiace bello mio, ma che vuoi che ci faccia?

Lecasse                         - Ridammelo! Ridammelo, te ne sup­plico.

Leona n. due                 - Ridarti il denaro? Con la faccia tosta che ti ritrovi, potresti far carriera in politica! Faresti fortuna!

Lecasse                         - Ridammelo! Te lo chiedo in ginocchio!

Leona n. due                 - Gira gira.

Lecasse                         - Non abbiamo fatto ancora niente!

Leona n. due                 - Per quello che ci resta da fare!

Lecasse                         - Mi hai detto che ti piacevo.

Leona n. due                 - Bisogna pur dire qualche cosa, no?

Lecasse                         - Allora non ti piaccio?

Leona n. due                 - Si, mi piaci... mi piaci tanto... Ma non è una buona ragione.

Lecasse                         - E papà? Hai pensato a mio padre?

Leona n. due                 - A tuo padre? E perché dovrei pensarci? Se non lo conosco nemmeno.

Lecasse                         - È colonnello. Quando saprà che suo figlio è carcerato, si ucciderà. Si ucciderà, non c'è dubbio!

Leona n. due                 - Potevi pensarci prima.

Lecasse                         - E se non riuscisse a morire, se la sua forte fibra resistesse... povero papà... con che cam­perà? Non ha che la pensione...

Leona n. due                 - La pensione da colonnello...

Lecasse                         - La pensione da colonnello... Sapessi, come ci pensa, il governo, ai colonnelli...

Leona n. due                 - Ma perché hai rubato quei soldi? Che stupido!

Lecasse                         - Avevo tanta voglia di te!

 Leona n. due                - Grazie, ma potevi aspettare la fine del mese.

Lecasse                         - E come facevo? Ero troppo impazien­te... sulle spine! Non resistevo più... da quando ti ho vista... (Ripreso dalla disperazione) In prigione! E non ho che trentacinque anni!

Leona n. due                 - (brusca) Uffa! -Quante storie. Tie­ni. Riprenditelo...

Lecasse                         - (con trasporto) Davvero? Saresti cosi buona?

Leona n. due                 - Te lo sto dicendo! Una serata a vuoto. Capita, no?

Lecasse                         - (saltando su Leona n. Due abbraccian­dola) Ah, sei meravigliosa! Meravigliosa! Fatti vedere! Fa' vedere la faccia!

Leona n. due                 - Va bene... va bene cosi...

Lecasse                         - La passione!... Il furore!... (Bramoso) Ti voglio... ti voglio... (La travolge)

(La camera scompare. Ritorniamo al bar del Chatou's. Non ci sono clienti. Irma e Mauricette abbandonate, annoiate. In un angolo il signor Alfon­so, legge un giornale di corse. Entra Leona n. Due)

Irma                              - (scuotendosi) Guarda chi si vede. Miss Carcassonne! (E ne ride con Mauricette)

Leona n. due                 - Ma che diavolo avete voi due? Cos'ho, del prezzemolo fra i denti?

Mauricette                     - Racconta, bellezza. Ti ha fatto la scena madre? Il furto al padrone, il disonore, il colonnello in pensione che vuol suicidarsi...

Leona n. due                 - Come lo sapete?

Irma                              - Gli hai ridato i soldi?

Leona n. due                 - E che dovevo fare?

Irma                              - (ridendo) Signor Alfonso, Miss Carcas­sonne c'è cascata! (A Leona n. Due) Non te la pren­dere! Pensa che quando venne con me, dopo lo portai anche a cena, gli offrii dei ravioli, per con­solarlo. Eppure, sai, per cascarci io, ce ne vuole...

Mauricette                     - A me mi fece piangere come una fontana tante me ne raccontò! Era come al cinema.

Leona n. due                 - Ma dite sul serio? Quel denaro... non l'aveva rubato?

Irma                              - Si, domani! Come si chiama? Lecasse. È quello dei mobili Lecasse. Conti correnti come il suo non ce ne saranno più di una quindicina in tutta Parigi. Ha uno yacht... Mai vista la foto del suo yacht sui giornali? Ma è fatto cosi. Se non recita la commedia, non combina niente.

Leona n. due                 - Ma perché non me l'avete detto? Mi sarei divertita un tantino anch'io!

Irma                              - C'eravamo cascate anche noi. Perché do­vevi essere risparmiata proprio tu?

Leona n. due                 - Che razza di mascalzone! Spruz­zava lacrime grosse cosi!

Mauricette                     - Con gli uomini non si finisce mai di imparare. Io ne ho uno fisso, il giovedì', gli devo parlare sempre della Bretagna.

Alfonso                         - (interessato) Della Bretagna?

Mauricette                     - Una volta, mi ero fatta una cul­tura, gli ho cominciato a parlare dei menhir.

Leona n. due                 - E che roba è?

Mauricette                     - Uffa... dei monumenti, fatti con delle grosse pietre una sull'altra... Ti ci metti an­che tu? Be', lui... era cosi felice, avrebbe fatto chis­sà che!

Leona                            - (al croupier) Due o tre storie come quel­la di Lecasse e cominciavo ad avere il voltastomaco per quella vita... Cosi non poteva durare... Avevo altre mire... (Alfonso ha ripreso il giornale. Mauri­cette fa un solitario)

Irma                              - (a Leona n. Due) Ti annoi qua dentro, vero?

Leona n. due                 - Mah, che vuoi che ti dica.

Irma                              - T'ho capita subito, non sei fatta per stare qui. Una ragazza come te ha bisogno di un affetto, ha bisogno di un uomo che le voglia bene. Sei il tipo da trovarlo facilmente, tu. Uno solo, ma che torna. Sempre quello. O due, tre al massimo, non di più. Il tram-tram domestico, insomma.

Leona n. due                 - Che devo fare? Ce ne sono tanti che tornano, ma non ho ancora trovato nessuno che mi metta su casa.

Irma                              - Hai provato a chiederlo? Ma devi scegliere un tipo su misura, adatto a te. Ci stai e co­minci a fargli il trucco della passione...

Leona n. due                 - Come sarebbe?

Iraia                               - È un trucco facile. Al momento giusto devi fare solo ""rhà rha", cosi... con la gola... una specie di gargarismo. Solo a sentirti, lui si monta la testa, e si chiede: che diavolo sto combinando a questa qui? Tu lo guardi e commenti: «Non so quello che ho... Mi sento come pazza... Sei tu... sei tu...». L'indomani quello torna e tu "rha rha"... Dopo tre settimane ti ha comprato i mobili.

Leona n. due                 - Davvero?

Irma                              - Se non fossi innamorata di Renato, l'a­vrei fatto cento volte. Tutto sta nel saper scegliere il tipo adatto, il milionario.

Leona n. due                 - E come fai a riconoscerlo il mi­lionario? Lecasse, col suo yacht e il conto corrente l'avevo preso per un fattorino.

Mauricette                     - Lecasse non è un esempio. Lo fa apposta.

Leona n. due                 - E quello della settimana scorsa? Uno stenografo, e io lo prendevo quasi quasi per Onassis!

Irma                              - Ma fa il piacere, va! Tu ti fermi a guar­dare la giacca, e la giacca non vuole dire niente di niente. (Con aria professorale) Facciamo un pa­ragone. Quello che guadagna modestamente, che se­gna sempre tutte le spese che fa, se si trova cin­quantamila franchi che gli crescono, come li spen­de? Si compera un vestito nuovo e tutto finisce qua. Come mai? Perché in genere, quello che guadagna poco, quando si ripulisce, non lo fa per se stesso, come i ricchi, ma lo fa per gli altri, per fare buona figura, per avere credito. Per la facciata insomma. Le altre cose, quello che serve solo a lui, quello che non si vede, lo slip, la maglietta, le calze, il fazzoletto, se ne frega. La sola idea di spendere per cose che non si vedono, gli ripugna: è più forte di lui, non ci riesce. Ricordati bene quello che ti dico: il povero si tradisce sempre dal dettaglio. Intimo!

Mauricette                     - E i soldi? I biglietti di banca? Gli uomini ricchi sul serio hanno dei bigliettoni più belli, più nuovi. Chissà perché.

Alfonso                         - E come mai, con tutti questi bei prin­cipi non siete ancora mantenute da Ali Khan?

Irma                              - Eh, lei signor Alfonso, dovrebbe saperlo meglio di me. Perché nella vita ci sono quelli che sanno e quelli che fanno. Raramente sono la stessa persona. Conobbi una volta un ragazzo che sapeva e faceva. Era pieno di idee. Eppure crepa di mi­seria.

Alfonso                         - Tale e quale come i professori. I pro­fessori, con tutto quello che sanno, dovrebbero es­sere chissà chi. Niente affatto. Ho letto sul giornale che guadagnano dai cento ai centocinquantamila franchi al mese. Quelli bravi.

Mauricette                     - E gli affidano i bambini. Ma che potranno imparare?

Alfonso                         - Che volete, ragazze. La Francia è mal governata!

Leona                            - Quante ne sentivo! Quante ne impara­vo! Con gli occhi bene aperti cercavo di capire gli altri e me stessa. E cosi a forza di tenere gli oc­chi aperti, un giorno mi parve di vedere il tipo che cercavo.

(Al Chatou's, su un'aria di danza in sordina, entra Giuseppe. E un uomo di una cinquantina d'anni. Ha un tic: si toglie gli occhiali e ne mette una stanghetta in bocca. Danza con Leona n. Due. Irma fa a Leona n. Due qualche cenno di incoraggiamen­to. Dietro Giuseppe e Leona n. Due, il bar scom­pare e riappare la camera dell'hotel a ore. La mu­sica tace)

Leona n. due                 - Hai fatto bene a deciderti... Quando ti ho visto entrare al Chatou's, te lo giuro, ho avuto come un choc, qui... (Mette una mano sul petto)

Giuseppe                       - (ne approfitta per metterle una mano sul petto) Veramente? Qui?

Leona N. due                - (dandogli un piccolo colpo sulla ma­no) Ma guarda un po'! Il signore è lesto di ma­ni, a quanto pare! (Giuseppe ha una risatina soddisfatta e si toglie la giacca) Da' qua, la metto a posto che non si sciupi.

Leona                            - Palpavo il tessuto. Fodera di ottima qualità.

Leona N. due                - (a Giuseppe che s'è seduto sulla, sponda del letto) Che bei calzini. Fa un po' ve­dere? (Glieli palpa)

Leona                            - Mi pareva di giuocare col mio destino. Un destino promettente. Tutta seta.

Leona n. due                 - (toccando i calzini) Che ne dici? Scoppierà la grande passione fra noi due?

Giuseppe                       - (leggero) Chissà!... Chissà... (Si alza. Trae dal portafogli dei biglietti che depone sul co­modino. Poi si avvicina a Leona n. Due e la bacia sul collo)

Leona n. due                 - (subito) Rha rha...

Giuseppe                       - (sbalordito, indietreggiando) Perbac­co... perbacco...

Leona n. due                 - Non so che cosa mi sento... Sono come pazza...

Giuseppe                       - (intenerito) Musetto mio bello... quan­to sei sensibile!

Leona n. due                 - Non mi succede mai... Oddio... Che diavolo può essere? Che dici?

Giuseppe                       - Ma, non so... un po' d'emozione... (Ab­braccia Leona n. Due)

Leona n. due                 - (liberandosi da Giuseppe e scuoten­do la mano) Ehi! Accidenti come sei radioat­tivo!

Giuseppe                       - (solleticato) Davvero?

Leona                            - Mi buttai nella passione totale, la follia, il delirio...

Leona n. due                 - (riprendendo i biglietti e porgendoli a Giuseppe) No no... riprendili... Il denaro gua­sterebbe tutto... tutto...

Giuseppe                       - (fulminato, fermandosi mentre si anno­da la cravatta) Vuoi davvero che li riprenda?

Leona n. due                 - (con pudore) Preferisco.

Giuseppe                       - (che, suo malgrado, tende la mano) Andiamo! Davvero? Ti giuro che l'ho fatto di buon animo...

Leona n. due                 - (che, suo malgrado, trattiene il de­naro) Anch'io, anch'io l'ho fatto di buon animo.

Giuseppe                       - Mi fai passare per uno sbafatore-Pero se ci tieni, se insisti tanto... (Riprende il de­naro, si astrae per un momento, poi, con voce mu­tata) Ma allora... quello che è accaduto fra noi... è amore? È proprio amore?

Leona n. due                 - È proprio amore... (Tradendo la sua ansietà) Tornerai, vero? Dimmi che tornerai!

Giuseppe                       - E me lo chiedi?

Leona n. due                 - Quando?

Giuseppe                       - Domani! (Riprendendosi) No, doma­ni ho un impegno a cena. Dopodomani, va bene?

Leona n. due                 - Dopodomani... si…Giuseppe (infilandosi la giacca) Chi l'avrebbe immaginato?... Passavo davanti al bar... non pensa­vo a niente... non ti conoscevo neppure... (Scuoten­dosi) Che effetto curioso! Mi sento giovane, cosi giovane...

(Al momento di uscire, vicino alla porta, fa una piroetta. Leona n. Due lo saluta con una bella ri­sata, poi, quando la porta si chiude, alza le spalle, si siede sul letto e pensa)

Leona                            - E io mi sentivo una miserabile. Un uo­mo che non mi dà dei soldi, a me mi mette ad­dosso una specie di angoscia. A lei non fa questo effetto, Oscar?

Croupier                        - Non sono mai stato donna, sciura Leona.

Leona                            - Per settimane e settimane, nemmeno un centesimo. Niente di niente. Tornava e come! Tor­nava con regolarità. Ma dal lato soldi, niente di niente. Gli andava bene cosi. Il mio visone con­tinuava a correre nella nativa foresta imbalsamata. Se poi mi mettevo a fare qualche allusione, alla lontana, con prudenza, non capiva. Di gesso. Con gli uomini, non raccomando le allusioni Una volta che hanno deciso di non capire, non li fa capire nemmeno Domineddio. Sono fatti cosi, gli uomini. Allora tentai altre strade. Provai la gelosia... (Verso la fine di questa battuta, Giuseppe è entrato e sta snodandosi la cravatta)

Leona n. due                 - Domani sera... ancora qui, su questo letto... con un altro... Chissà chi... Farò con lui la stessa cosa...

Giuseppe                    - (senza agitarsi) Non sarà la stessa cosa...

Leona n. due                 - Perché?

Giuseppe                       - Noi due... ci amiamo, musetto mio bello...

Leona n. due                 - Già... E cosi non ti fa impres­sione.

Giuseppe                       - Non ho detto questo...

Leona n. due                 - Non ti fa impressione che io faccia all'amore con un altro?

Giuseppe                       - Oh, l'amore! ... Tu sei una sensibile, sensibile come un passerotto, coniglietto mio bello... Chissà quanta pena proverai... D'altronde...

Leona n. due                 - E io dovrei credere che mi ami?

Giuseppe                       - Lo spero bene, caspita! Non te ne ho date mille prove?

Leona n. due                 - Ma non sei neanche geloso!

Giuseppe                       - Si, invece! Sono geloso! Insomma, sa­rei geloso se tu amassi un altro uomo. Ma non pos­so essere geloso di uno che passa, di un cliente.

Leona n. due                 - E tua moglie? Se si facesse qual­che cliente, che ne diresti?

Giuseppe                       - (degno) Mia moglie è un'altra cosa.

Leona                            - (con rabbia) Sempre lo stesso ritornello. Sempre lo stesso ritornello! Lo sapevo a memoria. La moglie era sempre un'altra cosa. Ma quale al­tra cosa, potrebbe dirmelo lei, Oscar? La quadra­tura del cerchio? I bagni turchi? L'hula-hop?

Leona n. due                 - E allora?

Giuseppe                       - Allora che, musetto mio bello?

Leona n. due                 - Che decidiamo?

Giuseppe                       - Senti, ti faccio una proposta. Una volta mi hai detto che sai la stenografia.

Leona n. due                 - Be', sono un po' fuori esercizio...

Giuseppe                       - La stenografia, è come la bicicletta: una volta imparata non si dimentica più. Io ti fac­cio assumere dalla mia Società. Stipendio quaran­tamila. Io ne aggiungo sessanta, fanno cento. Vedi la finezza? Ti becchi 100.000 franchi al mese e io non ne sborso che sessantamila.

Leona n. due                 - Ma a che mi serve d'avere 100.000 franchi, se devo vivere come se ne guadagnassi qua­ranta?

Giuseppe                       - Non ho capito bene.

Leona n. due                 - Se devo alzarmi alle sette del mattino, se devo sfacchinare tutta la giornata? Non fai i tuoi interessi, micione mio. La sera sarò stan­ca morta, di cattivo umore... E all'ufficio, gli impie­gati... col mio fisico... Ma ti pare?...

(Alle spalle di Leona n. Due e di Giuseppe, la scena parziale rappresenta l'appartamentino di Leona n. Due. Mobili comodi, ma di serie; cuscini, bambole di satin. Nella sua gabbietta, il canarino di Odilon. Una cameriera sta mettendo a posto i so­prammobili, e se ne va subito. Leona n. Due e Giu­seppe si trovano nella nuova scena)

Leona                            - Otto giorni dopo, avevo un appartamen­tino in Via d'Artois...

Giuseppe                       - (al canarino) Cip cip cip... (A Leona n. Due) Come sono affettuosi questi canarini... Cip cip... Mi riconosce, sai. Guarda come piega la te­stolina. Quanto è grazioso. A casa mia non ci sono che pesci rossi invece. È molto più indifferente il pesce rosso... (Sedendosi su una poltrona) Comoda!... Mi piace di trovarmi qua, insieme a te... noi due... (Minacciando Leona n. Due col dito) Hai avuto quel­lo che hai voluto... il nostro piccolo nido... e la don­na di servizio... quella ad ogni costo! È brava?

Leona n. due                 - La tiro su un po' alla volta...

Leona                            - E a questo punto ecco che venne...

Croupier                        - Chi, Madama?

Leona                            - L'estate. Venne l'estate, vennero le va­canze.

Croupier                        - Ah. Questo non era imprevisto.

Leona                            - E chi l'ha detto? Ho detto solo che venne.

Giuseppe                       - Non c'è niente da fare, musetto mio bello. Il mese d'agosto è sacrosanto, devo passarlo in campagna con mia moglie.

Leona n. due                 - Be', un mese passa presto.

 Giuseppe                      - Trenta giorni senza di te!

Leona n. due                 - Il mese d'agosto ne ha trentuno.

Giuseppe                       - Peggio, trentuno!

Leona n. due                 - Ti dispiace proprio? Puoi fare ogni tanto un salto a Parigi, se vuoi.

Giuseppe                       - Eh no:.. Angela non permette.Vuole assolutamente che mi riposi. Riposo completo.

Leona n. due                 - Di' un po'... Sei molto intimo tu, con tua moglie?

Giuseppe                       - Direi, no? È naturale...

Leona n. due                 - Dormite insieme?

Giuseppe                       - (sulle spine) Cosa vuoi che faccia? Il dovere... ogni tanto... Ma niente di speciale, però... (Tornando al canarino) Cip cip... cip cip...

Leona n. due                 - (svogliatamente) Potresti dire a tua moglie che quest'anno ti è indispensabile una se­gretaria...

Giuseppe                       - Una segretaria? Ma non mi dicesti che la stenografia l'avevi dimenticata?

Leona n. due                 - (alzandosi e accarezzandogli la guan­cia) Micione mio... se non ce ne fosse già uno stupido come te, bisognerebbe inventarlo.

Giuseppe                       - (in estasi) Musetto mio bello!

Leona                            - (al croupier) Quella proposta la facevo solo per bontà d'animo... Rimanevo volentieri a Pa­rigi, sa. Agosto, con tutti quei mariti in libertà, è una vera giostra. Hanno certe facce, felici, conten­ti, sono quasi belli. Le mogli, non ha idea quanto possono sciupare e imbruttire gli uomini!...

Giuseppe                       - (ragionando) In fondo... ragioniamo. C'è la crisi... Con la crisi non si possono più pren­dere le vacanze come si prendevano una volta... Un vero uomo d'affari deve tenersi al corrente dei pro­pri affari anche durante le vacanze. C'è la posta da dettare... Ma tu dovrai fare molta attenzione. An­gela, meglio che tu lo sappia, è una donna onesta, che non conosce niente della vita. Dovresti control­lare le tue espressioni...

Leona n. due                 - Non so stare al mio posto?

Giuseppe                       - Una parola fa presto a scappare. Sa­pessi come è ingenua mia moglie. Per esempio, fino all'anno scorso, non sapeva nemmeno che fra uo­mini... mi capisci?... possono succedere certe cose!...

Leona N. due                - Per quello che serve a una don­na, saperlo! È scoraggiante, e basta. Piuttosto, la campagna va bene, è molto carino... grazie dell'in­vito... ma non ho niente da mettermi. Bisognerà pensarci, eh?

Giuseppe                       - (allarmato) Musetto mio bello...

 (La scena parziale scopre la facciata di una gran­de e vecchia casa di campagna sulla Loira. Davan­ti alla casa un giardino, con degli ombrelloni, del­le sedie, dei tavolini di ferro, delle sdraie. Angela è seduta e legge. È una donna di una cinquantina d'anni, la bontà fatta persona. Di carattere giovia­le, ridente, semplice e ingenuo. Vicino a lei, Rai­mondo, suo fratello: una cinquantina d'anni anche lui. È seduto e osserva un giuoco di scacchi che è sul tavolo. Leona n. Due e Giuseppe entrano dal fondo. Leona n. Due siede e Giuseppe comincia su­bito a giuocare a scacchi)

Angela                          - (emergendo dalla lettura) Ma da dove escono degli orrori simili? Leona ha letto questo libro?

Leona n. due                 - No, signora.

Angela                          - Brava! E non lo legga, sa! Una ragaz­za giovane che si innamora di un uomo sposato, molto più vecchio di lei! Il solo argomento fa ve­nire la pelle d'oca.

Leona n. due                 - Che orrore!

Angela                          - È... come dire?... lascivo! Ecco, lascivo!

Leona n. due                 - Quanta brutta gente si incontra al mondo!

Angela                          - Ma perché scriverne? Io so che cosa è la vita e non ne ignoro le bruttezze. (Con una ri­satina) ...Ho visto un film tempo fa... Peppino, co­me si chiamava quel film?

Giuseppe                       - Di quale film, parli, tesoro? (Scam­bio di sguardi fra Giuseppe e Leona n. Due)

Angela                          - Te l'ho raccontato tante volte, ma tu non mi ascolti mai. (A Leona n. Due) Ah questi uomini!... Tutte le mie amiche mi parlavano di quel film, cosi ho voluto vederlo anch'io. No, lei non ce l'avrei portata. (Con fermezza) Una ragazza, no. Ma una donna sposata può vedere tutto e sentire tutto. (Nuova risatina) Io d'altronde ho anche il diploma da infermiera.

Leona                            - I quadri plastici. Per colpa sua, solo per colpa di Angela, mi ritrovavo nell'atmosfera dei quadri plastici! Appena credibile. Una sola perso­na che sa, che decide, e gli altri si adeguano, non osano più muoversi. Sotto il suo sguardo si diven­ta come delle immagini, come su una fotografia: da sinistra a destra il bravo sposo, la brava sposa, il bravo fratello. E la brava segretaria. Modesto, de­voto, perfetto ciascuno al suo posto, perfino gli al­beri, perfino, il cielo. Non ho mai visto un cielo più bravo di quello. Tutto azzurro, senza una nu­vola e là attorno una brava campagna, e il bravo fiume Loira che l'attraversava. Lei dirà... un mo­mento questa è l'apparenza... mentre poi, il pome­riggio, nello studio, Giuseppe ed io, carambola!... altro che pensare agli affari. Eppure no, Oscar,... non era cosi. A causa di Angela, tutto quello che accadeva fra me e Giuseppe nello studio, non sem­brava più vero, era come uno scherzo, una cosa qua­lunque, senza sapere perché, senza ragione, nel vuo­to... Perché? (Sì alza quasi e punta un dito sul crou­pier) Perché Angela non lo sapeva, non lo avrebbe nemmeno potuto immaginare, perché Angela non ne aveva nemmeno la più pallida idea! Questo è il mondo, Oscar. Quando si fa qualcosa che nessu­no immagina è come se non la si facesse.

Croupier                        - (impressionato) Sciura Leona, lei sta dicendo certe cose... Aspetti che rifletta un mo­mento...

Giuseppe                       - (giuocando) Oh oh povero Raimondo? Dove ti metti le mani?

Raimondo                     - Non è ancora detto... non è ancora detto...

Angela                          - (dopo averli osservati) Che differenza! Questa pace e il caos di quell'orribile Parigi! In quale quartiere abita, a Parigi, signorina Leona?

Leona n. due                 - In Via dArtois, signora.

Angela                          - (sorpresa) Via d'Artois? È un quartie­re per impiegati?

Leona n. due                 - Ho una cameretta, con uso di cucina.

Angela                          - Ah si? (Con bontà) Povera cara... (Con sollecitudine) E sano, come aria, il quartiere della Via d'Artois?

Leona                            - L'azzurro! Volava nell'azzurro. Che crea­tura! Eppure non riuscivo a volergliene. Comincia­vo ad abituarmi a quelle vacanze, cominciavano a piacermi. Mi riposavo, prendevo un bel colorito... La gente, gli indigeni, quando andavamo in paese, si voltava a guardarmi...

Croupier                        - Sfido io! Lo credo bene!

Leona                            - E quanto mangiavo! Al mattino, solo a pensare alla colazione, mi scioglievo tutta. Si, una brava donna Angela, proprio brava. Mi seccava solo che quell'azzurro, quel cielo senza nuvole lo avesse avuto fin dalla nascita, gratuito, senza difficoltà, senza pedaggi.

Angela                          - Raimondo!

Raimondo                     - Angela.

Angela                          - Ti ricordi le vacanze a Langeais?

Raimondo                     - Se me le ricordo! Che intingoli, che sciantella, che polpettine al burro, specialità della nostra vecchia cuoca Elisa!

Angela                          - (a Leona n. Due) C'era la terrazza piena di rose President Hoover.

Raimondo                     - (facendo una mossa) E adesso? Come ti muovi?

Giuseppe                       - Bravo! Ti sei battuto bene. (Si alza con un tono falso) Signorina Leona, coraggio. Il tesoro ci aspetta.

Angela                          - Non la metterai sotto con questo caldo! sarebbe inumano!

Giuseppe                       - Già ieri con la scusa dell'escursione, non abbiamo fatto niente. Avantieri sei venuta tu  e il pomeriggio è andato a farsi benedire.

Angela                          - Ma caro! La President Hoover aveva fio….. e volevo che la vedessi subito!

Giuseppe                                 - Non c’è Presidente che tenga. Devo dettare.

 Angela                         - Dettare! Sentiteli questi uomini d'af­fari! Lo lasci dire, signorina Leona, lo lasci dire. Se gli dà un po' di spago, se lo trova addosso tutta la santa giornata.

Leona n. due                 - Davvero non "si lavora, signor Giu­seppe? Allora posso approfittarne per un tuffo, sen­nò la Loira che ci sta a fare?

(Leona n. Due prende una cuffia da bagno che è su una sedia, e con semplicità si sfila l'abito ap­parendo in costume da bagno, quindi esce)

Angela                          - (intenerita) Che cara ragazza. È sem­pre pronta!

Giuseppe                       - (di cattivo umore) Già, ma non l'ho portata qui per farle fare i bagni!

Angela                          - (ragionevole) Bisogna essere buoni, com­prensivi, Peppino. È forse la prima volta che si gode delle vere vacanze quella figliuola. Poi a Pa­rigi, la riprenderai in pugno. Con la tua autorità!

Raimondo                     - (che sta guardando, da lontano, Leona n. Due) Non è fatta niente male, eh, Leona... (A Giuseppe) Ehi, guarda. Che ne dici?

Giuseppe                       - La signorina? Non ci ho fatto caso. Sai, io per l'uso che ne faccio... le segretarie, belle o brutte...

Angela                          - Non sono della tua opinione. In ufficio una faccia graziosa rende tutto gaio, rinfresca. (Prende un parasole, si alza, va verso il fondo, poi agitando l'ombrello, grida) Leona! Oho!

Voce di Leona n. due   - (da lontano) Oho!

Angela                          - (gridando) Non si spinga troppo lon­tano!

Giuseppe                       - (raggiungendo Angela e gridando anche lui) Ci sono dei mulinetti! (Imbarazzato a Rai­mondo) È vero, la Loira è famosa per i mulinetti.

Angela                          - Certe volte fa delle riflessioni proprio da impiegata, non trovi? Si sente subito la diffe­renza di ceto. (Spaventata d'un tratto) Sono già pas­sate due ore, da che ha mangiato?

Giuseppe                       - Quasi tre.

Angela                          - (sollevata) Ah bene... È carina... gentile... sempre al suo posto. (Gridando) Leona! Guardi! Una barchetta! (Agli altri) Come va lontana! All'ufficio fa buona impressione? Ha degli abitini gra­ziosi. Non avrei mai creduto che ai Grandi Magaz­zini si potessero trovare delle confezioni cosi cari­ne. Eh, ma dentro c'è la parigina. Basta un niente e sono eleganti!

Leona                            - La classe... lo chic... Bla bla bla...

Angela                          - (gridando) Oho!

Leona n. due                 - (da lontano) Oho!

Leona                            - Mentre nuotavo, guardandoli da lontano, Giuseppe, Angela... mi venivano delle strane idee. Mi veniva l'idea che avrebbero potuto essere mio pa­dre e mia madre... Facevo il conto dell'età... c'en­travo. Tutto sarebbe stato differente, allora. Le va­canze a Langeais, gli intingoli, la besciamella, le polpettine, il burro... quando si è abituati alla buo­na tavola, quando si è sempre mangiato bene... be', si dovrebbe vedere nel corpo, nella linea, nella pel­le... non crede? Un altro corno e di conseguenza un'altra anima... Noi avrei conosciuto Ruggero, non avrei conosciuto Odilon, non avrei conosciuto la paura... E nemmeno Giuseppe... Sarei stata sua fi­glia, e non avrei mai saputo quello che era real­mente, un maiale... Tutto sarebbe stato diverso. (Guarda Angela e Giuseppe) Come padre e madre, credo che in fondo mi sarebbero piaciuti... Credo che avrei potuto volergli bene...

Angela                          - (gridando) Leona! Adesso torni indie­tro! (A Raimondo) Raimondo, prepara l'accappa­toio. Oh, l'hai lasciato all'ombra, Mettilo al sole, presto, fallo riscaldare. (Preoccupata) Che faccio? Le dico di aspettare un momento, prima di uscire dall'acqua?

(Raimondo ha preso l’accappatoio che era su una sedia, ma Giuseppe glielo toglie dalle mani e lo passa a Leona n. Due che sta entrando; si toglie la cuffia e scuote la testa ridendo. Giuseppe e Angela la asciugano)

Angela                          - (indaffarata) Si asciughi bene, sa! Non prenda freddo! (Va al tavolo e riempie un bicchie­re) Tenga. Beva un po' di cognac, per la reazione.

Leona                            - Là nel giardino, l'illusione continuava per un po'. Erano i miei genitori. Preoccupati come tutti i genitori, pieni di premura.

Angela                          - (con una risatina) Che brava! Una ve­ra sportiva, la nostra Leona! (A Giuseppe) Più energia, Peppino! Frizionala forte!

Leona                            - Credevo perfino di volerle bene. Ma co­me poteva essere? Vallo a sapere. Fra ricchi e po­veri, quando si stabilisce un contatto, è sempre ipo­tetico. (Giuseppe continua a massaggiare. La sua mano si ferma con intenzione. Leona n. Due la spin­ge via)

Angela                          - (tutta ridente) Non è certo in Via d'Artois che potrebbe offrirsi un bagno come questo!

Leona                            - Ecco. Già finito il momento di grazia. Li guardavo e desideravo solo di buttarli in acqua tutti e tre quanti erano, in quell'acqua gialla, un bel colpo di remo sulla testa... qualche bollicina di burro fuso... e null'altro... Cosa vuole che le dica, Oscar... le vacanze, la villeggiatura, il non far nien­te, a me, alla lunga, mi rendono cattiva.

(Leona n. Due si allunga su una sedia a sdraio e si scalda al sole)

Croupier                        - E chi le dice di no, sciura Leona? L'ozio è il padre dei vizi, tutti lo sanno. Una set­timana, quindici giorni passi, ma quando è di più, tutto va a rotoli. Io, per esempio, d'estate, quando me ne vado fuori con mio cognato, che è un bravo uomo davvero, a non far niente tutto il santo gior­no cominciamo a discutere e, dieci volte su nove, finisce che litighiamo.

Raimondo                     - (a Angela) Non hai freddo cara? L'a­ria è fresca. Vado a prenderti uno scialle.

Giuseppe                       - (a Angela) Non è meglio il mantello, tesoro? Preparo l'acqua bollente per il tè. Questa s'è raffreddata.

Angela                          - Vede come mi viziano, signorina? No grazie, miei cari. Torno dentro. (Esce dal fondo, seguita da Giuseppe. Raimondo rimane seduto e sbircia Leona n. Due)

Leona                            - Cominciava a darmi sui nervi, quella donna con i suoi uomini. Si metta nei miei panni. Circondata di attenzioni, provveduta di tutto, e sen­za mai aver fatto niente. Pigolava, parlottava, e non vedeva mai niente. Dentro di me era nata una spe­cie di bestia, che si stirava, che cacciava fuori le unghie... (Leona n. Due guarda Raimondo e con in­tenzione scosta un lembo dell'accappatoio per mo­strare le gambe)

Leona n. due                 - Non si annoia mai in campagna, signor Raimondo?

Raimondo                     - Ci ho fatto l'abitudine. Vengo qui ogni anno.

Leona n. due                 - A guardarla non si crederebbe. Lei è di un altro stampo.

Raimondo                     - Ah si? Un altro stampo... Ma .guardi i miei capelli, signorina, guardi i miei capelli...

Leona n. due                 - Anzi... capelli grigi su un viso fre­sco... Lei deve avere una vita interessante...

Raimondo                     - (interessato, avvicinandosi) Parola d'onore, signorina Leona, lei ha l'aria di conoscere gli uomini...

Leona n. due                 - Oh, signor Raimondo, che cosa dice mai...

Raimondo                     - E lei? Lei s'annoia qui?

Leona n. due                 - No. Oh, no. Si figuri... Solo che di notte...

Raimondo                     - Che succede di notte, signorina Leona?

Leona n. due                 - Tutto questo silenzio... io che so­no abituata alla Via d'Artois... E poi... quel gran letto con le colonne...

Raimondo                     - (turbato) È stile Luigi XIII. Ce n'è uno uguale al Castello di Blois.

Leona n. due                 - Ah si? Non so se sia il silenzio oppure il letto Luigi XIII, fatto sta che non riesco ad addormentarmi...

Raimondo                     - Non riesce ad addormentarsi? Biso­gna prendere qualche pilloletta calmante.

Leona n. due                 - (guardandolo) Qualche pilloletta? Perché no?

Raimondo                     - (con una falsa risata) Oppure si po­trebbe... potrei venire io a farle un po' di lettura...

Leona n. due                 - (con intenzione) E un'idea.

 Raimondo                    - (emozionato) Parla sul serio? (Leona n. Due batte le ciglia, Raimondo si alza agitatissimo) Oh, cara... cara piccola Leona... E io che non osavo... (Curvandosi su di lei) Vuole che venga sta­sera?... Si?... Lascerà la porta accostata... Guai se Angela pensasse anche lontanamente... (Irrequieto) Uh la... Non vedo l'ora che sia stasera... E dopo le vacanze... ci ritroveremo a Parigi, noi due... Ci divertiremo... Vedrà... La porterò nelle boites de nuit...

Leona n. due                 - (battendo le mani) Oh, le boites de nuit! Quanto mi piacerebbe!

Raimondo                     - (senza fiato) Venga subito. Non posso aspettare... stasera è troppo lontana... Vieni...

(Rapidamente trascina Leona n. Due verso la por­ta del fondo a sinistra. Leona n. Due ha appena il tempo di riprendere il vestito. Dalla porta di de­stra rientrano Giuseppe e Angela che ora indossa uno scialle)

Angela                          - Che bel tramonto!

Giuseppe                       - (con convinzione) Stupendo!

Angela                          - Se un pittore lo dipingesse con questi colori, direbbero: cartolina illustrata! E sarebbe ingiusto! Ma guardalo! No, tu non guardi bene.

Giuseppe                       - Si si... che guardo. Sto guardando. Come no. È... è proprio bello.

Angela                          - Dov'è Raimondo? (Chiamandolo) Rai­mondo!

Raimondo                     - (appare alla porta di sinistra) Cucù!

Angela                          - Ti ricordi, quando eravamo piccoli, quando i contadini pigiavano l'uva? E il nostro buon papà che dirigeva i lavori...

Raimondo                     - (meccanico) E le torte di ciliege e di pesche e le torte di mele specialità di Elisa, la nostra vecchia cuoca...

Angela                          - E Poincaré, quando venne a visitare l'officina?

Raimondo                     - E lo zio di Losanna? (Su una di que­ste battute rientra Leona n. Due, che ha indossato l'abito)

Angela                          - E quei grandi barattoli di prugne sotto spirito?

Giuseppe                       - (annoiato) Se parlassimo un po' del presente.

Angela                          - (con un sospiro) Ah, come sono belli i ricordi... Eppure qualche volta ho sofferto. Ti ricor­di, Raimondo, quando persi il mio carnet di ballo? Quanto ci piansi!...

Leona                            - (arrabbiata) Il carnet di ballo! Spazza­tura! (E’ fa un gesto di minaccia verso Giuseppe, Angela e Raimondo, che lentamente escono da de­stra) Mi ribellavo tutta dentro, Oscar, soffocavo dal­la stizza, i nervi mi si spezzavano dalla rabbia. Lei dirà che poteva importarmene? Ma ragioni. Ero scon­volta, come se avessi subito un'ingiustizia. Eppure i miei piani, il mio interesse erano chiari: Giuseppe durante la settimana, Raimondo per il week-end. Avrei raddoppiato le rendite. No. È stato più forte di me. Ho dovuto saccheggiare, mettere tutto sotto­sopra! Perché? Che m'era preso? Vallo a sapere?

(Leona n. Due si mette a rigovernare i bicchieri che sono sul tavolino, facendo rumore. Angela appare sulla porta di destra, con un lavoro a maglia)

Angela                          - Ssst! Quanto chiasso Leona! Raimondo sta facendo la siesta,, e io la maglia accanto a lui. Gli fa bene dormire un po'. In questi ultimi giorni soffre di insonnie...(Scompare)

Croupier                        - (ridacchia) Chi gliele procurava, le insonnie, Madama Leona?

Giuseppe                       - (entrando da sinistra) Angela non c'è?

(Leona n. Due gli fa cenno di tacere, poi finge di ricordare)

Leona n. due                 - No... È andata in paese con suo fratello... (A voce più alta) Approfittiamone, micione mio! Stiamo un po' assieme! Per una volta che non ci rompe le scatole, quella là...

Giuseppe                       - Eh, non parlare cosi forte!

Leona N. due                - (un po' meno forte) Ti dico che se ne sono andati!

Giuseppe                       - C'è la cuoca.

Leona n. due                 - È sorda! (Più forte) Fra la tua vecchia cuoca e la tua vecchia metà, sei ben cocco­lato, vero, micione mio?

Giuseppe                       - (ridendo) Eh eh eh... certo che lo sono.

Leona n. due                 - (facendo un movimento a destra e sempre a voce alta) Andiamo. Credi che mi basti quello che hai fatto oggi dopo colazione?

Giuseppe                       - (lusingato) Sei sfrenata... (Le corre appresso, l'afferra e l'abbraccia. In quel momento Angela appare sulla porta di destra e, per­plessa, si toglie gli occhiali)

Giuseppe                       - (baciando Leona n. Due sul collo) Mmm... Musetto mio bello... quanto mi piaci, aoh!

Leona n. due                 - (che ha già visto Angela da sopra la spalla di Giuseppe) Tesoro... ah... rha rha...

Angela                          - (al colmo dello stupore e con un filo di voce) Giuseppe!

Giuseppe                       - (indietreggiando atterrito) Angela!

Angela                          - (con un grido) Giuseppe!

Giuseppe                       - Non crederai alle apparenze!...

Raimondo                     - (apparendo sonnacchioso sulla porta di fondo e allontanando Angela) Che succede?

Angela                          - Ho trovato Giuseppe fra le braccia di quella creatura!

Raimondo                     - Come? (Angela cade fra le braccia di Raimondo)

Angela                          - Raimondo! Raimondo! Non mi resti che tu!

Raimondo                     - Nelle sue braccia! (A Leona n. Due, con molta dignità) Con Giuseppe! Disgraziata! Noi... che l'avevamo accolta qui come... come una parente.

Leona n. due                 - (volgare) Vacci piano coi parenti! Chi c'era stanotte nel mio letto? Chi si agitava sotto il baldacchino? Eh? Parla! Ma parla!

Angela                          - (allontanandosi da Raimondo) Rai­mondo!

Giuseppe                       - (avanzando verso Raimondo) Tu?

Raimondo                     - Si., ma chi poteva immaginare?... Io sono celibe, santo Dio!... avevo il diritto, in un certo senso...

Angela                          - (facendo due passi con i pugni alle tempie) Oh! Oh!

(E si lascia cadere su una poltrona. Giuseppe e Raimondo accorrono)

Giuseppe                       - Angela...

Raimondo                     - Sorellina...

Giuseppe                       - Ti spiegherò...

Raimondo                     - È stato un malinteso...

Angela                          - (riapre gli occhi e guarda Giuseppe) Giuseppe! (Con orrore) Oh! (Si getta verso il fra­tello) Raimondo! (Con orrore) Oh! (Singhiozza)

Leona                            - (alzandosi trionfante) Volati via i passe­rotti! Distrutto il quadro plastico! Li calpestavo co­me volevo. Era il mio turno, vero? Era da pazzi, lo so, perdevo di grosso, ne buttavo via di pappa reale, eccome! Ma solo lo spettacolo, gliel'assicuro, Oscar, valeva la pena! Accidenti se valeva la pena! Uno spettacolo che valeva milioni!

(E ride clamorosamente mentre cala il sipario)

SECONDO TEMPO

Leona e il croupier sono sempre seduti al tavolo da giuoco.

La scena parziale rappresenta l'interno di un bar. È quel che si dice un localino intimo. Un pittore, su una scala a libretto, sta dipingendo le pareti in verde-nilo. Sedie e poltrone sono ammucchiate. Da un lato la gabbietta col canarino di Odilon. Una pelliccia poggiata da qualche parte. Giuseppe seduto e Leona n. Due in piedi stanno osservando il lavoro del pittore.

Leona                            - (al croupier) Eppure, dopo quella scena da melodramma, il più bello è che Giuseppe tornò da me.

Croupier                        - Che coraggio! Dopo un simile affronto?

Leona                            - È cosi.

Croupier                        - Stento a crederlo. Ma che razza d'uo­mo! Non aveva un filo di dignità?

Leona                            - Dignità? (Alza le spalle) E che me ne sa­rei fatta della sua dignità? Io me ne infischiavo del­la sua dignità.

Croupier                        - Non è una buona ragione. Avrebbe potuto avere qualche sorpresa, cadere come si dice dalla padella nella brage.

Leona                            - Be', io l'aspetto sempre, la sorpresa. Con gli uomini, sa che cosa si trova sempre?

Croupier                        - No.

Leona                            - Stia a sentire. Si trova sempre quello che si cerca, niente altro. Magari è un po' meno bel­lo, ma non è mai un'altra cosa. Che ne dice?

Croupier                        - Aspetti un momento che rifletta. Ve­diamo... Supponiamo che io veda entrare il signor Gastone...

Leona                            - Che diavolo può aspettarsi dal signor Ga­stone? Che le frigga due uova? Che si metta a can­tare? No no... lei lo aspetta soltanto perché punti dei gettoni, molti gettoni sui suoi maledetti nume­ri... E che fa in realtà il signor Gastone? Punta dei gettoni sui suoi maledetti numeri.

Croupier                        - Evidentemente... se il signor Gastone entra qui al casino. Mi scusi, sa, sciura Leona, ma la sua maniera di ragionare non è del tutto con­clusiva.

Leona                            - No? Guardi allora un momento il caso di Angela. Che diavolo poteva cercare in Giuseppe? Un buon marito ed effettivamente ve lo aveva trovato. Infatti nel suo genere, Giuseppe era un eccellente marito, affettuoso, previdente, pieno di soldi, la di­gnità fatta persona. Angela mi raccontò che in un salotto una volta una signora, parlando di terze per­sone, aveva insinuato chissà che. Giuseppe s'era al­zato e aveva detto: "Andiamo, Angela". Testuali, due parole; tipo Luigi XV, tutto d'un pezzo. In Giusep­pe, Angela aveva trovato la dignità, perché appunto la dignità cercava nel marito. Io invece avevo tro­vato il porco, perché il porco cercavo. Sempre nello stesso Giuseppe.

Croupier                        - Ma dei due, il Giuseppe vero, qual era? Il porco o il marito dignitoso?

Leona                            - Vallo a sapere. A ben riflettere in Giusep­pe c'erano due Giuseppe, altrettanto veri, e ciascu­no dava esattamente quello che gli si chiedeva, ciò che chiedeva Angela e ciò che chiedeva Leona. Di­gnità e il contrario della dignità. Un buon marito, un buon porco. (Come se si trovasse in un negozio) Il signore desidera? Una casseruola. Ecco la casseruo­la. E il signore? Un passa-maccheroni. Ecco il passa-maccheroni. Al mondo si trova solo quello che sì cer­ca, come le dicevo poco fa. E questo spiega tutto, spiega fra l'altro che nella vita ciascuno ricade sem­pre sulle stesse cose, sulla stessa varietà. Chiamavo il porco e il porco veniva. Non veniva certo un asce­ta, un mistico... Aah! Che cosa può rispondere? E lui Giuseppe, non faceva come me? Che cosa mi chie­deva? Quello che potevo dargli. Se invece avesse in­contrato una violinista, o una deputatessa, crede che avrebbe chiesto la stessa cosa? Come volevasi di­mostrare.

Croupier                        - (agitando l'indice) È un'argomentazio­ne speciosa, Madama, molto speciosa.

Leona n. due                 - (al pittore) Come andiamo con queste opere d'arte? Non ti sprechi troppo, mi pare. Guarda lassù, in quell'angolo. Dacci una ripassatina.

Pittore                           - Deve asciugare, prima, signora Leona. Se gli dò un'altra mano adesso, non attacca.

Leona n. due                 - E il tempo che ci vuole perché asciu­ghi, lo metti in conto? (A Giuseppe) Tutti gli stessi! (Andando verso il banco) Bevi qualcosa?

Giuseppe                       - Un tantino di porto. Ma un dito ap­pena.

Leona n. due                 - Un dito come? Orizzontale o ver­ticale?

Giuseppe                       - Una cosa di mezzo, musetto mio.

Leona n. due                 - (passandogli il bicchiere) E di tua moglie, che notizie?

Giuseppe                       - Cosa vuoi che ti dica, ha subito uno choc. Era completamente digiuna delle cose della vita e l'averci visti abbracciati, le ha dato una crisi di orticaria. La vera morale è nella salute. Io, per esem­pio, quando gli affari vanno bene, non sento più i reumatismi. È lo stesso fenomeno, non ti pare?... A-desso comincia ad andare meglio. Ho dovuto anche offrirle un breitschwanz...

Leona n. due                 - Un breitschwanz ad Angela? Però... Per quello che ha fatto...

Giuseppe                       - Cerca di capire, musetto mio bello. In una circostanza come quella, era un gesto che si imponeva... Ma non sai il fatto più curioso. A Rai­mondo non ha perdonato. Non vuole più vederlo. Ha una sensibilità tutta particolare, non trovi?

Leona n. due                 - Raimondo non poteva offrirle un breitschwanz anche lui?

Giuseppe                       - Poveraccio. A lui gli affari non vanno mica bene. L'officina fa acqua da tutte le parti...

Leona n. due                 - Accidenti! Potevi dirmelo prima. (Da lontano Leona le fa un gesto di disappunto. Giu­seppe si alza e va verso la gabbia del canarino)

Giuseppe                       - Dirti prima che cosa, tesoro?

Leona n. due                 - Oh niente... niente... Dicevo per dire...

Giuseppe                       - (al canarino) Cip cip cip... Quest'in­verno poi la mando sulla Costa Azzurra, perché si rimetta bene.

Leona n. due                 - Un breitschwanz, la Costa Azzurra... Perché non una bella crociera alle Hawai? Perché non le regali un paio di cammelli... Mi sembra che si dia un po' troppo importanza, tua moglie...

Giuseppe                       - Come sarebbe?

Leona n. due                 - Lasciamo perdere. (Pausa) Da quan­do ci siamo rimessi assieme...

Giuseppe                       - (leggero) Ora che il nostro amore ha trionfato della sua prima burrasca...

Leona n. due                 - ... dobbiamo pensare a organizzarci meglio.

Giuseppe                       - (al canarino) Cip cip cip...

Leona n. due                 - Mi stai a sentire, si o no?

Giuseppe                       - Ti sto a sentire, musetto mio bello.

Leona n. due                 - Fino adesso mi davi press'a poco centocinquanta mila franchi al mese...

Giuseppe                       - Davvero? Tanto cosi?

Leona n. due                 - (aggressiva) Be'? Al prezzo che stan­no le patate! Una donna che si rispetta!

Giuseppe                       - Non volevo rimproverarti, musetto mio bello...

Leona n. due                 - Centocinquanta moltiplicato dodici, fa all'incirca due milioni all'anno.

Giuseppe                       - Due milioni? È un po' troppo!

Leona n. due                 - Appunto! Proprio quello che dice­vo. Giusto. Ieri sera non riuscivo a prendere sonno. E perché? Credi che ti voglia mangiare vivo, micione mio? Col carattere che hai, diresti di no, e non avresti torto. E poi, tutte queste storie di denaro, fra noi, puah!

Giuseppe                       - Come dici?

Leona n. due                 - Ho detto: puah! La mia idea è che dovrei cominciare a guadagnare qualcosa con le mie proprie forze.

Giuseppe                       - (con una vaga speranza) Pensi di tor­nare al Chatou's?

Leona                            - A cambiare cliente ogni notte?

Leona N. due                - Tesoro, so che non ti piacerebbe... no no... so che ti farebbe troppo male... Geloso come sei... (Giuseppe non risponde. Leona si alza a metà e lo interpella con rabbia)

Leona                            - E dillo che ti farebbe troppo male, idiota!

Giuseppe                       - (che evidentemente non ha sentito) Cip cip cip... (Leona ha l'abituale gesto di minaccia col braccio)

Leona n. due                 - (più aspra, ma contenta) Allora ho pensato... Sai che devi fare? Mi comperi un bar.

Giuseppe                       - Un bar?

Leona n. due                 - Perché no? Un bar. Un piccolo bar. Non ti chiedo mica di comperarmi il Café de la Paix. Un baretto, tanto per vivacchiare.

Giuseppe                       - Ma un bar... un vero bar? Tutto un bar?

Leona                            - (aggressiva) No, il banco solo, sta' a ve­dere! Intero, si... Non saprei proprio che farne di mezzo bar...

Leona n. due                 - Non è una buona idea? Invece di rutto quel liquido che se ne va poco per volta, in che cosa, poi?... in patate? in carote?... ci sarebbe qual­cosa di solido, qualcosa che rimane, che si può ri­vendere all'occorrenza... un capitale... (Più aspra) Tua moglie, la mandi sulla Costa Azzurra, no?

Giuseppe                       - Non vedo il rapporto.

Leona n. due                 - Perché? Non ce ne sono bar sulla Costa Azzurra forse?

Giuseppe                       - (scuotendo la testa) Un bar?... Un bar intero?

Leona                            - Ecco come sono fatti gli uomini d'affari, Oscar. Per non mettere fuori due milioni all'anno - e poi per quanto tempo ancora? Non eravamo mica in­collati per la vita! - preferì sborsarne quattordici d'un colpo solo!

Croupier                        - Gli uomini... Tutto un mondo, sciura Leona.

Giuseppe                       - (andando verso la porta) Allora, a sta­sera. Verrò a prenderti verso le otto. Hai un'idea di dove andare a cena?

Leona n. due                 - Vedremo.

Giuseppe                       - (al canarino) Cip cip cip... (Esce. Leo­na n. Due ricomincia a osservare il pittore)

Croupier                        - Il canarino è sempre lo stesso di...?

Leona                            - Si, come no! E quello di Odilon. Il bar­man. Le piramidi. Si ricorda di Odilon?

Croupier                        - Certo che me ne ricordo! Le dirò che sono abbastanza fisionomista, è la professione che lo impone. Una volta, qui al tavolo, c'era un cliente-dove l'ho visto? dove non l'ho visto? Con quella fac­cia... quel mento... Non ci crederà, era Totò.

Leona                            - Certo che con tutto quel traffico, il bar, l'installazione, la licenza, i fornitori, mi sentivo un po' sperduta. Un bicchiere di limonata, crede che sia una cosa tanto semplice? Bisogna sapere dove si com­perano i limoni e come si fa a spremerli. Odilon lo sapeva. Gli scrissi. Otto giorni dopo sbarcava a Pa­rigi.

Croupier                        - Gli scrisse? Dopo quello che Odilon le aveva fatto? Mi meraviglio molto di lei, sciura Leona.

Leona                            - Aspetti un momento a meravigliarsi. Si figuri col mio carattere... non perdono a quelli che non m'hanno fatto niente...

Odilon                           - (entrando nel bar, molto in -forma) È una fortuna che da Martini & Rossi abbia ancora un amico. Ma ho dovuto fare una tale spanciata! Uff... sono pieno. Domani vedrai il fegato. (Prendendo da una scatoletta una pillola) Mi dai un po' d'acqua? (Leona n. Due va al banco) Ma al formaggio l'uomo era mio. Ci fornirà tutto quello che vorremo con sei mesi di credito.

Leona n. due                 - (portandogli il bicchiere) Bravo! Hai fatto un buon lavoro.

Odilon                           - Certo che è un buon lavoro! Senza di me che faresti, bellezza? (Al canarino) E tu che ne dici? Cip cip? Quando la lasciai, questa bestiolina, che pena! Per fortuna l'avevo messa in buone mani... (Parlando sempre al canarino, va verso Leona n. Due) La conosci? Una donna sulla quale si può contare... (Con l'indice le tocca i due seni poi, facendola vol­teggiare, le due natiche) Uno due... tre quattro...

Leona n. due                 - (apparentemente dominata) Ah!... questa è buona!... E per il whisky?

Odilon                           - (tirando fuori dalla tasca un pezzo di carta) Un altro amico... Guarda qua.

Leona n. due                 - (leggendo, ammirata) Perbacco, porcellino mio!

Odilon                           - Come vedi, il signor Odilon ha qualche relazione... La carriera avrei fatto, se non fosse stato per il fegato... Ma ci difendiamo, vero? (Guardan­do i muri) Viene bene la pittura... E quel verde-nilo... azzeccatissimo!

Leona n. due                 - In un certo senso, per te sarà un ricordo.

Odilon                           - Si, un ricordo! L'Egitto, adesso te lo spie­go, non è un posto. Almeno per tipi come noi, con una certa cultura. Intanto, per il fegato. (Buttandosi su una poltrona) Ci fa caldo e devi bere. Dirai: bevi acqua minerale. Grazie tante. Poi, gli inglesi... tu mi conosci... non facevo che pensare al Maresciallo Ney... Hai voglia di leggere? Impossibile, le zanzare non lo permettono. E le distrazioni, te le raccomando... Una volta andai a vedere le Piramidi. Sono curiose, chi dice il contrario. Ma quando le hai viste, le hai viste. Sono delle pietre. Senza un'idea. Mettigli vicino un po' di gotico, e scusatemi tanto, vero?... Che vuoi che ti dica? Non hanno un passato... Ma perché diavolo ti sto parlando delle Piramidi?

Leona n. due                 - Siamo partiti dal verde-nilo.

Odilon                           - Ah, già. Il verde-nilo. Azzeccatissimo. Pa­re che per un bar, è il colore più indicato, perché il verde evoca l'acqua e l'acqua dà sete. Le statistiche parlano chiaro. Guarda gli uccelli: vivono in mezzo alla verdura. Secondo le statistiche l'uccello in genere beve tre volte il proprio peso. Riportalo sulla scala umana... Vuoi un disegno? (Alzandosi) A proposito, cip cip ha avuto da bere?

Leona                            - Odilon... Una testa piena di idee. Anche troppe.

Leona n. due                 - E di questo bar, che ne pensi?

Odilon                           - (alzando il pollice) Non c'è male. Ben situato, niente concorrenza nel giro di due o trecento metri, e poi tutti i clienti che mi porto dietro io. Credo che se ne possano fare parecchi.

Leona                            - Lo credo anch'io. (Odilon riattraversa il bar guardando attorno con aria soddisfatta. Si siede nuovamente. Leona n. Due che lo ha seguito con lo sguardo, si va a sedere sul bracciuolo della poltrona)

Leona n. due                 - (carezzevole) Di' un po', ti piacereb­be di fare il barman qui da me?

Odilon                           - (cascando dalle nuvole) Il barman qui da te?

Leona n. due                 - Oh, se la cosa ti dispiace non in­sisto. Ma sai com'è, in questi giorni ti ho visto, cosi devoto, ti sei dato tanto da fare... Ho pensato: l'ami­cizia è una gran bella cosa, forse a Odilon gli pia­cerebbe di farmi il barman, ma il pudore lo trattiene, non osa chiedere...

Odilon                           - (quasi muto dallo stupore) Il pudore?...

Leona n. due                 - Ho fatto bene i conti. Potrei darti ottantamila franchi al mese. (Finalmente Odilon emerge dal suo stupore. Bruscamente si alza. Leona n. Due fa un passo indietro)

Odilon                           - Ma... sto sognando? Non è possibile di­versamente. Sto proprio sognando! Di' un po'... mi hai visto nudo in una scatola di fiammiferi?

Leona n. due                 - E che vuol dire?

Odilon                           - Vuol dire se hai battuto la testa? Il tuo barman? Con le mie capacità? Con le mie relazioni? ah ah ah... È già molto se ti prendo come socia!

Leona n. due                 - Socia? Ho capito bene? Io metto l'esercizio, la licenza, i primi fondi. E tu? Tu che metti?

Odilon                           - Le mie relazioni, il mio lavoro, la mia pratica.

Leona n. due                 - E io l'apprezzo la tua pratica, e ti offro ottantamila franchi al mese, oltre le mance. Non c'è male, vero?

Odilon                           - Non c'è male? Al Cairo guadagnavo quat­tro volte di più!

Leona n. due                 - Dovevi restare al Cairo.

Odilon                           - E la lettera?

Leona n. due                 - Che lettera?

Odilon                           - La lettera che mi hai scritto! (Cerca nelle tasche) Per fortuna l'ho conservata. Una lettera come questa equivale a un contratto. (Leggendo) "Porcel­lino mio..." lasciamo stare le cortesie ..."Finalmente ho un bar. Me l'ha pagato un amico. Potremo essere contenti... Invece di stare a muffire coi beduini - e tanto per la precisione, in Egitto non ci sono beduini -ritorna qui. Fa' presto. Ce la godremo, spero..." Che ne dici?

Leona n. due                 - Che ne dico? Questa lettera parla di associazione in affari?

Odilon                           - No! Parla di giocare al lotto!

Leona n. due                 - Comprati un paio di occhiali. Ti si è abbassata la vista, bello mio. (Prendendo la lettera e a sua volta leggendo) "Finalmente ho un bar". Si parla di te? Non ho questa impressione. "Me l'ha pagato un amico". Saresti tu per caso questo amico? E a chi è stato pagato? A me, credo, mi pare, mica a te. Perché un amico mio dovrebbe pagare un bar a te? "Potremo essere contenti" ...E non è cosi? Non siamo contenti qui, tutti e due?

Odilon                           - Hai scritto anche "Torna! Fa' presto"!

Leona n. due                 - E con ciò? E’ un grido d'amore sem­mai, non un contratto.

Odilon                           - Un grido d'amore? E "Ce la godremo?"

Leona n. due                 - Come "Ce la godremo?"

Odilon                           - L'hai scritto tu. Hai scritto "Ce la godre­mo"! Nero su bianco. Ce la godremo, non vuol dire che faremo tutto insieme? Che dividiamo tutto? Che siamo soci?

 Leona n. due                - Sei impazzito? Ce la godremo?... Vuol dire che ci divertiremo...

Odilon                           - Ah, si? E allora comincia a divertirti un po' con questi! (Pazzo dì collera, Odilon schiaf­feggia Leona n. Due. Ma subito, spaventato di quel che ha fatto, indietreggia, mentre il pittore si ap­poggia coi gomiti sulla scala per godere -meglio lo spettacolo) Prendi su e porta a casa. È un acconto. Poi verrà il resto. (Al pittore) Ho torto?

Leona N. due                - (con rabbia concentrata) Il resto? (Avanza su Odilon, gli affibbia un calcio negli stinchi e con un rovescione lo getta a terra)

Leona                            - Mi sembra che il signore abbia dimenti­cato-le mie possibilità. Forse si crede qualcuno? Al­zare la mano su una debole donna! Che mondo! E questo che ti insegnano, i faraoni? (Odilon fa un gesto come per rialzarsi, Leona n. Due col rovescio del bracciolo minaccia e lo ferma)

Leona n. due                 - Ottantamila, hai capito? Non un soldo di più. Se non ti va, fila. Ci siamo frequentati abbastanza, noi due.

Odilon                           - (dominato) E chi dice questo, tesoro?

Leona n. due                 - D'ora in poi, davanti ai clienti, mi chiamerai Signora. Intesi? (Odilon si rialza) Ma guar­da un po'! Perché si è un po' dormito insieme, il signore si prende subito delle confidenze.

Odilon                           - (disperato) Ma questo bar l'ho fatto io, con le mie mani! Il falegname, i fornitori!

Leona n. due                 - Grazie e non ti ho ricambiato?

Odilon                           - Sono due mesi che sfacchino. E tutto il denaro che ho tirato fuori?

Leona N. due                - Dovevi prendere qualche precau­zione.

Odilon                           - Ma son tornato apposta dal Cairo! Ho piantato il bar del Sheperd's, dove guadagnavo come un ministro!

Leona n. due                 - E quando piantasti me?

Odilon                           - (battendo il piede a terra, come un bam­bino) Non è giusto!

Leona n. due                 - Già. E la Costa Azzurra per quell'altra stupida, credi che sia giusto?

Odilon                           - Quale Costa Azzurra?

Leona                            - (gridando quasi all'indirizzo di Odilon) E gli intingoli e la besciamella, e le polpettine al burro e il carnet di ballo? E il Maresciallo Ney, eh? Ti pare giusto? Dovresti cominciare a capire come gira il mondo, tu!

Leona n. due                 - Domani alle tre. Intesi?

Odilon                           - (distrutto) Speravo almeno che cenassi­mo assieme.

Leona n. due                 - Figurati! Ceno con Giuseppe da Chez Maxim's, andiamo. (Prende la pelliccia e la ten­de a Odilon per farsi aiutare. Ma Odilon ha l'aria dì non capire) E allora? Vogliamo sbrigarci? (Odilon l'aiuta) Non c'è mica male, vero? Me l'ha offerta Giuseppe per l'inaugurazione. Sono morbide queste bestiole, eh?... (Poi apre la borsetta e tranquillamente si incipria)

Odilon                           - (timido) Allora a domani?

Leona n. due                 - Alle tre.

Odilon                           - Ma, senti...

Leona n. due                 - Cosa?

Odilon                           - Fra noi due... non è mica finito?

Leona N. due                - (mettendo il rossetto) Vedremo... di tanto in tanto... perché no? Per la digestione... (Odi­lon se ne va)

Leona n. due                 - (al pittore) Non hai finito ancora?

Pittore                           - Si si... ho finito da un pezzetto. Ma sono rimasto a godermi lo spettacolo. Signora' Leona, se lo lasci dire, lei ci sa fare!

Leona n. due                 - Hai visto che tipo?

Pittore                           - Una donna come lei è stata sempre il mio sogno. La mia, che vuole che le dica, è come un piumino. A che serve un piumino? Non fa che spol­verare. Brava, devota... ma a che serve un piumino.

Leona n. due                 - Che ore sono?

Pittore                           - Le otto meno venti, signora.

Leona n. due                 - Abbiamo un buon quarto d'ora. Vieni. Questo incontro di judo, mi ha innervosita un po'.

Pittore                           - (entusiasta) Certo che vengo, signora Leona! E molto gentile da parte sua aver pensato a me.

Leona n. due                 - Si, con questa variante, però. L'ora di straordinario te l'appendi al collo. Intesi?

Pittore                           - Intesissimi, signora Leona. Si figuri! (Scende a precipizio dalla scaletta, si guarda attorno) Metto subito in ordine...

Leona n. due                 - Ci penserai dopo. Vieni. (Escono da una delle due porte in fondo)

Croupier                        - (riprendendo il tono entusiasta del pitto­re) Vede! Essere al momento preciso nel posto giusto! Che cosa avrei dato per essere sulla scaletta di quel pittore!

Leona                            - Non spingiamo troppo, Oscar. È una di­chiarazione?

Croupier                        - Non mi nascondo mica, sciura Leona. Da quando la conosco non faccio che dirmi: sono nato venti anni troppo presto! E noti che avrebbe potuto benissimo succedere, perché mia madre mi ha avuto a diciannove anni. Se m'avesse invece avuto a quaranta, sarei stato a sua disposizione. Sia detto senza l'ombra di offesa.

Leona                            - Ma non c'è nessuna ombra d'offesa, caro. L'età è l'età, anche io me lo dico spesso. Penso agli uomini che avrei potuto avere e invece non si può perché sono venuta al mondo troppo tardi, o troppo presto! Quante volte, per la strada, guardando un ragazzetto, mi dico: Guarda quant'è carino! Avrebbe potuto essere il mio uomo. E invece ha solo otto anni. E nel senso inverso? Pensi, all'epoca della Rivolu­zione, o sotto Luigi XIV, chissà quanti ne sono nati che sarebbero stati adatti a me!

Croupier                        - E chi lo sa? Forse lo stesso Luigi XIV. Vallo a sapere... Lei avrebbe potuto essere Lola Montez...

Leona                            - Troverà forse stupido quello che dico, ma ogni volta che Odilon mi parlava del suo Maresciallo Ney, sentivo qualcosa qui... (Mette una mano sul cuo­re) come un piccolo battito supplementare... E mi dicevo: in fondo, con questo maresciallo, ci saremmo potuto benissimo mettere insieme...

Croupier                        - Perché no? È proprio vero!

Leona                            - Era, da quello che ho sentito dire, di pelo rosso. E io uomini di pelo rosso non ne ho mai cono­sciuti. Sarebbe stato come se mi fossi conservata per lui...

(Nella scena parziale, riappare il bar. Odilon in giacca bianca è dietro al banco e agita lo shaker. In attesa davanti a lui, Jacquot il cameriere. In piedi accanto a un tavolo occupato da due clienti, Leona n. Due sta conversando. A un altro tavolo, sola, Mi­nouche)

Leona n. due                 - (da lontano a Odilon) E allora ven­gono questi due Manhattan?

Odilon                           - (zelante) Subito, signora Leona. (Versan­do nei bicchieri) Due Manhattan.

Jacquot                          - (portando le consumazioni con un movi­mento vivace fra il ballerino e il prestigiatore) E due Manhattan due!

Jacquot                          - (facendo il suo numero ai clienti seduti) Signore, signorine, signori... (Salutando al vuoto) Eccellenze... Signora Duchessa... (Confidenziale) C'è parecchia bella gente stasera... non si direbbe con questi chiari di luna... anzi con questi chiari di Baby luna... ah ah ah... Dunque un po' d'attenzione... Gra­zie... (Mostrando un fazzolettino) Guardino... guardi­no... Ecco quel che si dice il ferro del mestiere... Sen­za di questo come farebbe un costipato? Una volta Cirano si raffreddò... e subito, da quel poeta che era, si mise a cantare: Dove, in cotal condizioni, il naso io metto? Un lampo, ed ecco inventato il fazzoletto... Ma chiudiamo la parentesi... (A Odilon) Chiudi que­sta parentesi, per favore! Non senti che corrente d'a­ria? Ah ah ah ah... Come sono spassoso (Durante questa battuta, Leona n. Due si è avvici­nata al banco. Con gli occhi fissi sul cameriere, lo ascolta estasiata) Ma torniamo al fazzoletto. Un semplice fazzoletto, signore e signori. Niente doppio fondo, niente tasche segrete, niente trabocchetti... Ed ecco un pollice, un vero pollice! (Alza il pugno col pollice ritto) Nel pie­no rigoglio della sua bella giovinezza... (A Minouche) Vuole rendersene conto? (Minouche, sorridente fa cenno di no) La sua fiducia mi onora, signorina. E adesso guardino tutti, guardino bene. (Spiega il faz­zoletto disponendolo sul pugno, fa qualche passo, ri­tira il fazzoletto) E voilà! Il pollice è scomparso! Incredibile! Miracolo della scienza? Trionfo della tecnica? (/ clienti battono le mani e ridono. Due si­gnori si alzano. Jacquot tira fuori di tasca un minuscolo flauto e si mette a suonare col naso, accompagnandoli fino alla porta e più. volte inchinandosi al loro passaggio)

Odilon                           - (a Leona n. Due) Non c'è male questo Jacquot... (Leona n. Due non risponde, continua a guardare Jacquot che, tornato al tavolino già occupato dai due clienti, comincia ad asciugarlo. Indi si immobilizza)

Leona                            - (cercando di render viva la sua evocazione, a Minouche) E allora Minouche? Come vanno gli affari?

Minouche                      - Be', non saprei dire... non so. Sto aspettando uno che ho conosciuto l'altra sera... Ha una Cadillac lunga di qui al portone di faccia. Ma è troppo bello per essere vero.

Leona                            - Non c'è niente di troppo bello, stupida!

Minouche                      - Lo dice lei, Signora Leona. Dovrebbe essere qui da un quarto d'ora. Non verrà più...

Leona                            - (ragionevole) Una Cadillac non è mica facile parcheggiarla... Ho sempre consigliato di aspet­tare un uomo almeno mezz'ora. Oltre la mezz'ora è pericoloso, si crederebbe amato senza secondi fini e allora, addio regalo! Aspettalo il pullover! Hai il tempo di prendere una polmonite. (Guardando Leona n. Due sempre immobile vicino al banco) E intanto, che diavolo sta facendo laggiù, la mia giovinezza?

Croupier                        - Sembra inchiodata sul posto. Succe­dono, nella vita dei momenti simili, in cui si crede che tutto si fermi. (Con un gesto meccanico, lancia la pallina della roulette)

Odilon                           - (curvandosi sul banco) Di' un po', quan­do la pianti?

Leona n. due                 - Quando la pianto che cosa?

Odilon                           - Credi che non veda niente, che non mi accorga di niente, tu con Jacquot? È un pezzo che ti osservo. Sbatti le ciglia come le bajadere. Il signor Giuseppe lo sopporto, ci sono delle ragioni... (Leona n. Due ha un brontolio, poi col gesto abituale del braccio impone silenzio a Odilon, che subito sparisce dietro il banco)

Leona n. due                 - (curva sul banco) Vuoi chiudere il becco, si o no?

Croupier                        - (interessato) Il cameriere, Madama Leona?

Leona                            - Si, Jacquot. Con lui almeno ridevo. Ride­vo, capisce? Dirà che è poco, molto poco. Ma non è vero. Non è molto poco. Quando non c'è rimasto al­tro, poter ridere è come se, per un istante, avessimo ancora un'anima. Capisce quello che voglio dire, Oscar? Le bestie non ridono mai.

Croupier                        - (molto colpito) È vero, non ci avevo mai pensato.

Leona                            - I cani, i gatti...

Croupier                        - I pesci... Per quanto certe volte abbiano delle espressioni...

Minouche                      - Be' io... ormai... me ne vado. Ho aspet­tato troppo. Vado al bar della Stella d'Oro. Se quello della Cadillac dovesse venire, glielo dirà Ma­dama Leona? Ma cosi, senza darci peso, sa. Non so dove sia Minouche... Non l'ho vista... Provi alla Stel­la d'Oro... il primo bar a sinistra... Ma non gli dia l'impressione che sia stata io a dirlo... mi racco­mando...

Leona n. due                 - (distratta) Va bene. Glielo dirò. (Minouche se ne va. Leona n. Due fa un passo verso Jacquot. Minouche riappare sulla porta)

Minouche                      - È facile riconoscerlo. Alto, calvo... con delle gran borse sotto gli occhi... (Se ne va)

Leona n. due                 - (Lei e Jacquot sono una di fronte all'altro. Con voce strozzata) Chi ti ha regalato questi gemelli da polso? Sono orribili... (Con uno sforzo) Prendi qua. Te ne ho comperati degli altri... (Gli tende una scatoletta)

Jacquot                          - (turbato) Ma non doveva, signora Leo­na... Non doveva... (Guardandola apre la scatoletta)

Leona                            - (al croupier) È vero oro, a 18 carati. (Il croupier scuote la testa)

Leona k. due                 - Lascia fare a me. Voglio met­terteli.

(Leona n. Due toglie uno dei gemelli a Jacquot e lo getta con disprezzo. Jacquot fa un gesto come per raccoglierlo, ma Leona n. Due, vi mette un pie­de sopra. Silenzio. Jacquot ha un timido, sorriso. Leona n. Due gli infila il gemello. In sordina la mu­sica "Nuit de Chine, nuit caline, nuit d'amour").

Leona n. due                 - Che sta succedendo?

Jacquot                          - Signora Leona...

Leona n. due                 - (come oppressa, lentamente) Non sapevo... non sapevo che sarebbe stato cosi forte...

Jacquot                          - Leona... La tua voce... è come liquida...

Leona n. due                 - (oppressa) Domenica andremo a Nogent, sul fiume.

Jacquot                          - Si... Noi due soli...

(Più forte la musica. Leona n. Due e Jacquot bal­lano, ina quasi senza muoversi. Si guardano inten­samente. Intensamente Madama Leona e il croupier seguono i loro movimenti. La musica diminuisce. Leona n. Due e Jacquot si fermano e rimangono, un po' ansanti, una di fronte all'altro. Ridono)

Jacquot                          - Senti questa! Te ne voglio raccontare una buona. Solo per te! (Ridendo, si battono nelle mani uno con l'altra)

Leona                            (si prende il viso fra le mani e con una vo­ce piena di lacrime) Nuit de Chine... (Scoppia in singhiozzi) Nuit caline... (Si toglie le mani dalla fac­cia) Nuit d'amour... (Guarda davanti a sé con spa­vento)

Croupier                        - (con premura) Perché piange, Mada­ma Leona?... Non era che amore... (Più timidamente e dopo una breve pausa) Se l'amore non è allegria, gioia, a che serve?

(Madama Leona ricade a sedere sulla sedia. Jac­quot e Leona n. Due sono sempre imo di fronte al­l'altra)

Leona                            - (con voce grigia) Andammo a Nogent la domenica successiva... Una bella cameretta. Si sen­tiva la gente ridere... scherzare nelle barchette, sul fiume... L'indomani...

Jacquot                          - Bisogna che vada a ritirare il whisky. Odilon si è raccomandato tanto.

Leona n. due                 - (gaia) Va', presto.

Leona                            - (con un grido) No... Non cosi presto!...

Croupier                        - (sorpreso)   - Madama...

Leona n. due                 - (tenera) Sta per piovere, metti l'impermeabile. O vuoi l'ombrello?

Jacquot                          - (ride) L'ombrello! Lo vedi il tuo Jac­quot, per la strada, sotto un ombrello? (Buffonesco) Signore e signori, qui riposa un uomo che non ha mai usato il parapioggia in vita sua!

Leona n. due                 - (prendendolo per i risvolti della giac­ca) Va', amor mio... Più presto vai, più presto torni (Leona si alza. Mordendosi l'indice, guarda Jacquot con angoscia)

Leona                            - No... Non ancora... Un minuto...

Croupier                        - Non può sentirla...

Leona                            - (supplichevole) Soltanto un minuto... amo­re... (Come se l'avesse sentita, Jacquot sulla soglia della porta si volta)

Leona                            - Dammi un bacio...

(Jacquot guarda Leona n. Due, che gli volta le spal­le, occupata al banco. Esce)

Leona                            - (con un grido) Jacquot!...(Al croupier) Ma allora non si può far niente? Non si può far niente? Niente!... (Ricade sulla sedia. Erge la testa, ma si mette le mani alle orecchie)

Croupier                        - Perché si tura le orecchie?

(Si sente lo stridere dei freni di una automobile e tre colpi di arma da fuoco. Leona n. Due sì volta, esita un poco, corre alla porta. La scena gira: la stra­da, proprio all'ingresso del bar. Sul marciapiedi è steso Jacquot. Leona n. Due gli si getta addosso)

Jacquot                          - Leona... (Silenzio)

Leona n. due                 - (urlando d'un tratto) Me l'hanno ammazzato! (E ricade sul corpo di Jacquot)

Leona                            - (coinè in un lamento) Me l'hanno am­mazzato... Me l'hanno ammazzato... (Facendo il ge­sto di chi spara, con un fucile mitragliatore) Una scarica, una sola scarica, Oscar. E ci fosse stata una ragione, si fosse trattato di affari suoi... No... Niente... Un errore... Due gangster che avevano un conto da regolare e che si sono sbagliati... Lui, Jac­quot... passava di là tranquillamente, senza occupar­si di nessuno... e me l'hanno ammazzato, cosi... come dei bambini, senza sapere quello che fanno, quello che distruggono... Pan pan pan tre colpi, tre colpi soltanto... una scarica... (Singhiozzando) E tutto è fer­mo, tutto è sistemato... Jacquot è sistemato, il mio Jacquot... ed è sistemata anche la mia vita, la mia gioia, la mia felicità... E hop! Si, ti farei vedere io!... (Compassionevole) Avevamo appena cominciato... Era­vamo stati assieme una volta, Oscar, una volta sola... Eravamo andati a Nogent sul fiume... Una cameret­ta... Si sentiva la gente ridere, scherzare... i gram­mofoni... (Singhiozzando) E noi due anche ce la ri­devamo... Quanto ridevamo, signor Oscar... da sga­nasciarsi... da crepare... È stato il solo giorno della mia vita, in cui mi sono sentita viva...

(La scena parziale è di nuovo il bar. C'è Giuseppe e c'è Odilon, dietro al banco. Da una porta in fon­do entra Leona n. Due. Barcolla. Si ferma)

Leona n. due                 - (con un brivido) Ho paura...

Giuseppe                       - (andando verso di lei e prendendola per le spalle) Ma perché, musetto mio bello., ci sono qui io...

Leona n. due                 - (liberandosi con rabbia) Tu? Tu mi fai il sacrosanto piacere di filare, andartene, ta­gliare la corda.

Giuseppe                       - Io?

Leona                            - No! Maometto!

Giuseppe                       - Bellezza mia, cerca di dominarti, per carità. Sei ancora tutta emozionata, ma poi ti passa. Sono cose che succedono... Poveraccio... povero ragaz­zo... cosi, da un momento all'altro... E con la tua sensibilità...

Leona n. due                 - Fila, vattene, sparisci, capito? Non voglio vederti mai più!

Giuseppe                       - Musetto mio, non bisogna prendere le cose tanto sul tragico, diamine! Un cameriere si può sempre rimpiazzare... Non si troverà magari un ragazzo divertente come Jacquot... ma insomma... met­teremo un annuncio economico.

Leona                            - Io l'amavo...

Giuseppe                       - Ma si... ma si, tutti gli volevamo bene, a quel bravo ragazzo... Quando penso che ancora sa­bato scorso... Sai, spesso è solo un'impressione. Quan­do qualcuno se ne va per sempre, tutti si mettono a volergli bene...

Leona n. due                 - Vattene!

Giuseppe                       - Odilon, andiamo, di qualcosa anche tu... Che diamine... Non parla mica sul serio...

Odilon                           - Eh, signor Giuseppe... lei dovrebbe co­noscerla meglio di me. Quando la signora si mette qualcosa in testa, non ce l'ha fuori della testa...

Leona n. due                 - Vuoi che telefoni alla tua Angela?

Giuseppe                       - Angela? Perché?

Leona n. due                 - Per dirle che ti metta sotto chia­ve, che non ti faccia più uscire di casa, perché io ti ho visto abbastanza e ne ho piene le scatole di te!

Leona                            - (esasperata, alzandosi) Ne ho piene le scatole!

Croupier                        - (calmandola) Sciura Leona!

Leona                            - Ma come diavolo bisogna parlare per farsi capire? Come cavolo bisogna parlare?

Leona n. due                 - (minacciosa) Allora vuoi che te­lefoni?

Giuseppe                       - Se la prendi su questo tono... Non ca­pisco, musetto mio... quello che ti succede...

Leona n. due                 - Fuori!

Giuseppe                       - Come fuori?

Leona n. due                 - (gridando) Fuori!

Giuseppe                       - (perdendo la pazienza) Come fuori? E il bar? (Nello stesso momento Madama Leona e Leo­na n. Due fanno il gesto abituale col braccio)

Leona                            - Non te l'ho ripagato abbastanza? Sono due anni che ti sopporto, sai... due anni... (Giuseppe la guarda freddamente, mette in testa il cappello e se ne va, dignitoso)

Odilon                           - (uscendo con una faccia felice da dietro al banco) Ben fatto! Non lo potevo sopportare più nemmeno io! Quante arie! E cosi ci ritroviamo noi due, eh, tesoro mio? Come ci sai fare tu! Tre parole e Giuseppe è liquidato.

Leona n. due                 - Anche tu sei liquidato, intesi?

Odilon                           - (colpito) Anch'io?... E perché?... E poi... Un minuto... E che c'entro io nella morte di Jacquot? Mi dispiace, lo compatisco, condivido il tuo dolore, ma che ci posso fare?

Leona n. due                 - Sei liquidato, ho detto. Liquido tutto. Vendo il bar. Me ne vado via. Cambio vita.

Odilon                           - Cambia la tua quanto vuoi, ma lascia in pace la mia vita!

Leona n. due                 - La tua vita? Che diavolo è? (Si guardano in faccia)

Odilon                           - (abbassa lo sguardo, miserevole) Ma co­me? Te ne vuoi proprio andare?... No... cara, non andartene...

Leona                            - (con un gesto) Fuori.

Odilon                           - Ah, cosi? Mi prendi e mi butti sulla strada? Come un pezzo di cartaccia! Come una cic­ca! Non conto niente! Io non conto niente... Hai il cuore di farlo? Io che ti sono stato sempre devoto... fedele... Alla mia età... col fegato in queste condi­zioni...

Leona n. due                 - Uffa. Quando proprio ti andrà ma­le... che non avrai nemmeno i soldi per il dormito­rio pubblico... che sarai costretto a dormire sotto i ponti... fammi una telefonata... (Odilon ha un'espres­sione di speranza) Ti porterò le sigarette. (Odilon dapprincipio crede che Leona n. Due scherzi, ma fi­nalmente capisce che fa sul serio. Allora batte a ter­ra il piede)

Odilon                           - Se Darli in questo modo me ne vado! Riprendo il canarino.

Leona n. due                 - Fai bene a riprenderlo. Mi rispar­mi la pena di massacrarlo.

Odilon                           - Massacrarlo! Questa povera bestiola?! Bisogna che te lo dica, Leona. Mi sei cascata! (Odi­lon va fino alla gabbia del canarino, la prende ed esce. Anche Leona n. Due esce)

(La scena parziale rappresenta ora la hall di un grande albergo sulla Costa Azzurra. Seduti attorno a un tavolo basso, in poltrona, sono Armando e un altro signore)

Leona                            - La paura... La paura m'era ricaduta ad­dosso... Ma poi c'era dell'altro... Aspettavo un figlio... una bambina...

Croupier                        - Di Jacquot?

Leona                            - Certo...

Croupier                        - Ma scusi, come faceva a sapere che era una bambina?

Leona                            - L'ho saputo più tardi, quando nacque, no?

Croupier                        - Ah si si... È vero... Per quanto, oggi la medicina, cosi dicono, può prevedere...

Leona                            - Volevo metterla in salvo, anche prima della sua nascita. Volevo dargli un vero padre, una persona come si deve... Perché non avesse mai ad aver paura nella vita. Perché fin dalla nascita fosse al sicuro... Certe cose, o si hanno fin dalla nascita, o non si hanno mai... E cosi vendetti il bar, ci gua­dagnai sopra un milione e presi il treno per Nizza. Mi installai al Negresco.

Croupier                        - Il Negresco! Guarda un po' le coinci­denze!

Leona                            - E perché?

Croupier                        - Un mio cugino fa il portiere al Ne­gresco. Vede chi voglio dire? Piccolo, bruno... Ah, che idiota! Non era alla stessa epoca, evidente­mente...

(Leona n. Due entra da una delle porte in fondo a sinistra. Porta un abito meno appariscente. Veden­do i due uomini, esita un poco, consulta con lo sguar­do Madama Leona. Uno dei due uomini prende un giornale e si mette a leggere. Leona n. Due va al­lora verso Armando e gli si siede poco distante)

Leona                            - Da che dipende certe volte, Oscar... Da un giornale... (Leona n. Due fa per prendere anch'essa un giornale, ma nello stesso tempo Armando vi mette le mani sopra)

Armando                       - O scusi...

Leona n. due                 - (con altro tono: posa a fanciulla se­ria) Prego prego... Non fa niente...

Armando                       - (imbarazzato) Scusi tanto, signorina... (Lo prende. Pausa) Grazie mille... (Pausa) Ma non vorrei che se ne privasse...

Leona n. due                 - Che dice. Non me ne privo af­fatto. Avrei letto senza leggere. Con questo tempo...

Armando                       - E’ vero... (Pausa) Dicono che sulla Co­sta Azzurra faccia sempre bel tempo...

Leona n. due                 - (con vivo interesse) Si.

Armando                       - Eppure qualche volta piove...

Leona n. due                 - (incoraggiandolo) Con questo tem­po non si sa davvero che fare.

Armando                       - Davvero...

Leona n. due                 - Non si sa come riempirlo...

Armando                       - Già... (Pausa) Ma le notizie dei giornali certe volte sono interessanti...

Leona n. due                 - Oh io... per quel che leggo... (Ride)

Armando                       - (con un po' di coraggio) Cosa legge sui giornali?

Leona n. due                 - L'oroscopo... (riprendendosi) ... le ri­cette di cucina.

Armando                       - Le ricette di cucina?

Leona n. due                 - Quando le pubblicano.

Armando                       - Certo. (Pausa) Quando non le pubbli­cano come si fa a leggerle?

Leona n. due                 - (con un’espressione adorabile) Lei si prende giuoco di me!

Armando                       - (spaventato) Signorina, che dice? No no... Dicevo cosi... quando non le pubblicano... vero?... (Riprendendosi) Perché, lei si interessa di cucina?

Leona n. due                 - Sono donna... insomma signorina...

Armando                       - Anche la signorina è donna, signo­rina...

Leona n. due                 - Mi sembra un po' spinto, quello che lei sta dicendo.

Armando                       - Sono confuso... Che stupido! Mi cre­da... No no... Volevo dire... la promessa insomma, la promessa della donna... Niente altro... (Ardimentoso) L'ho spaventata? È passato, vero? Mi dica che è passato...

Leona n. due                 - È passato.

Armando                       - (lanciatissimo) E il cinema? Le piace il cinema?

Leona n. due                 - Oh si. Molto.

Armando                       - Potrei osare di proporle... di venire con me?

Leona n. due                 - Al cinema, con un giovanotto?

Armando                       - Oh, signorina... I costumi hanno molto progredito...

Leona n. due                 - Non so che cosa ne penserebbe mammà.

Armando                       - (tentandola) Bisogna proprio dirglielo? È proprio indispensabile?... Ci eclissiamo... un paio d'ore... non dura di più un film... Dov'è la sua si­gnora madre?

Leona n. due                 - A Carcassonne.

Armando                       - (sbalordito) A Carcassonne? Lei ha detto proprio Carcassonne... la città famosa...

Leona                            - (seccata) ...per le storiche mura...

Leona n. due                 - Si, Carcassonne...

Armando                       - Ma allora?

Leona n. due                 - Allora che?

Armando                       - Come vuole che sua madre venga a sapere?... (Si alza e le tende la mano) Andiamo?

Leona N. due                - (si alza, ma lo minaccia col dito) Ha l'aria un po' troppo sbarazzina, lei, con le donne...

(Prima di uscire, Leona n. Due ha ancora uno sguardo per l'altro signore che ha abbassato il gior­nale e che la guarda. Leona n. Due alza le spalle e se ne va con Armando. Anche l'altro signore se ne va)

Croupier                        - Diretta bene la scenetta. Brava, sciura Leona.

Leona                            - Che ne sapevo di quel mondo? Andavo a tentoni.

Croupier                        - Si lasciava guidare dall'istinto, proba­bilmente.

Leona                            - Pescare un uomo, è un giochetto da bam­bini. Ma pescare un marito! Non sapevo da dove co­minciare.

Croupier                        - Non si vedeva... Il gusto per la casa, la passione per le ricette di cucina, l'ho molto ap­prezzato. Dica la verità. Sapeva almeno cuocere un uovo al burro?

(Dal fondo a sinistra entrano Armando e sua ma­dre, vecchia signora distinta. Essi avanzano fino al centro avanti. Leona n. Due entra da fondo a destra)

Armando                       - Eccola... (Va fino a Leona n Due, la prende per mano e la conduce da sua madre, rimanendo estasiato a guardare entrambe) Mi permet­ta di presentarla a mia madre.

La madre d'Armando   - Signorina. Sono proprio contenta di conoscerla, d'altronde mio figlio mi ha talmente parlato di lei. Per non nasconderle niente, mi parla di lei da quindici giorni. Non fa altro. Per questo ho tenuto a conoscerla. Capirà, Armando è così ingenuo...

Leona                            - La volgarità di certa gente che parla come la pensa. Neanche una sfumatura...

Armando                       - Mamma... ho trentaquattro anni...

La madre d'Armando   - L'ingenuità non ha nessun rapporto con l'età.

Leona                            - Ben detto, cara suocera.

Croupier                        - Suocera? Lei? Allora tutto è andato bene?

Leona                            - Lo credo!

Croupier                        - Gente di una certa classe, no? Com­plimenti. Si vede subito dal tono...

Leona                            - (senza dare importanza) Una grossa fab­brica...

Croupier                        - (interessato) Una fabbrica di che, sciura Leona?

Leona                            - Di biscotti. Non conosce i biscotti Bu­vard?

Croupier                        - (gridando dall'entusiasmo) I biscotti Buvard? Che mi sta dicendo! Allora lei è la signo­ra Buvard? Quella dei biscotti? Ma guarda un po'... Non avevo mai collegato... I biscotti Buvard! Ma certo che li conosco e come, i biscotti Buvard! Mio nipote, quando ha avuto l'enterite, è stato nutrito con i biscotti Buvard. Pare che siano glutinizzati.

La madre d'Armando   - A quanto pare, cosi mi ha detto Armando, i suoi genitori abitano a Carcassonne. Ah, Carcassonne! Che graziosa città.

Leona                            - Stia a sentire, Oscar.

Croupier                        - Cosa, sciura Leona?

Leona                            - Le storiche mura! (Ma la madre d'Ar­mando tace accontentandosi solo di guardare Leona n. Due) Ma come? Non dice niente delle mura?

La madre d'Armando   - Soprattutto la sera, al tra­monto...

Croupier                        - (contento) Niente! Non l'ha detto!

La madre d'Armando   - Armando vede solo il bello, dappertutto. Meno male che questa volta non si è sbagliato. Ma io vi trattengo...

Leona n. due                 - Oh, signora...

La madre d'Armando   - Si si... Stavate per uscire.

Leona n. due                 - Perché non esce con noi anche lei?

La madre d'Armando   - Eh, cara figliuola... Alla mia età si va a letto presto. Uno di questi pomeriggi, se vuole... noi due sole... ci faremo delle piccole confi­denze... tanto per conoscerci meglio... Ma adesso an­date... andate e divertitevi... (Ad Armando) Non le far fare troppo tardi...

(Leona n. Due e Armando escono sul davanti, men­tre la madre si incanta a guardarli, scuotendo la te­sta. Indi prende un giornale e si immerge nella let­tura)

Leona                            - Dovetti affrettare un po' le cose. Quella gente parlava di un fidanzamento di tre mesi. Come potevo, nelle mie condizioni, con la bambina già in viaggio? Si metta nei miei panni...

(Senza essere scorti dalla madre, Leona n. Due e Armando rientrano e vanno fino alla porta di destra)

Leona n. due                 - Vuol salire un momento, Armando?

Armando                       - È molto tardi...

Leona n. due                 - Dal mio balcone, si gode una vista incomparabile... (Scompaiono attraverso la porta di destra)

Leona                            - E hop! Il banco passava a me!

La madre d'Armando   - (a un immaginario telefono) Ah mia cara, mia cara... È vero... Che vuoi che ti dica... un matrimonio un po' affrettato... un po' precipitoso... Ma che vuoi farci? È stato un coup de foudre. I ragazzi al giorno d'oggi hanno tanta fret­ta... e dobbiamo capirli, no? Tu conosci bene Arman­do e sai, quando si mette in testa una cosa... Io ci tenevo tanto a vederlo sposato... E cosi abbiamo fat­to... ma nell'intimità... nella più stretta intimità... al­trimenti ti avrei invitato, figurati... Poi, ti dirò... i genitori di mia nuora... oh, nulla da dire... sono as­sai considerati a Carcassonne... Le hanno dato anche una bella dote, sai... D'altronde io l'ho sempre detto, è in provincia che si trovano ancora delle fortune' solide... autentiche... Si... gente molto semplice... nel nostro ambiente si sarebbero sentiti un pochino... oh... no... non fuori posto... la gente per bene non è mai fuori posto... ecco... non molto a loro agio... si si... Sai bene come accade... quando due famiglie si uniscono... gli amici dell'una... gli amici dell'altra... L'importante è che i ragazzi si amino... e devo dire che ne ho incontrati pochi di ragazzi che si amino come il mio Armando e Leona. Si amano al punto che... è ancora un segreto... ma te lo voglio dire... presto sarò nonna...

Leona                            - Ecco fatto, Oscar. Tutto sistemato.

Croupier                        - Mi dica la verità, Madama. Quel ma­trimonio l'ha soddisfatta? Noti che succede sempre cosi. La sera che mi sposai, anche io non mi sentivo tanto per la quale. Riflettevo, ragionavo, pensavo... Ma andiamo, Oscar, mi dicevo... Coraggio... Coraggio un corno!

Leona                            - Si... Talvolta mi chiedevo se non mi fossi sbagliata. Mi sentivo come sepolta, con quel matri­monio. Sepolta viva, senza aver diritto a un ricordo e col dovere di sorvegliarmi continuamente. Di tanto in tanto mi sfuggiva una parola, mi lasciavo pren­dere da uno scatto e li vedevo attorno a me che si guardavano... Muti... Sepolta, le dico, sepolta con mia figlia. Ma no, nemmeno insieme a lei... Quando lei m'abbracciava, chi abbracciava? La mia statua, il mio catafalco, la mia lapide... la mia menzogna... Ma ec­coli qua... (Come se facesse un annuncio) Sguardo sulla tomba di famiglia...

(Sulle ultime parole della battuta, la scena par­ziale scopre un salotto borghese. In piedi Armando, seduti Berta, sua sorella e Ernesto, marito di Berta. La madre d'Armando entra in scena, leggendo un giornale. Sul fondo la cameriera col vassoio del caffè. Leona n. Due che era in piedi, prende la caffettiera e si dirige verso la madre, in modo da trovarsi sul davanti della scena. Poi tutto si immobilizza)

Leona                            - (alzandosi) Avanti. Devo andare, ormai.

Croupier                        - Ma dove, sciura Leona?

Leona                            - Nella tomba di famiglia. (Si toglie il cap­pello, il mantello e appare nello stesso vestito di Leona n. Due. Fa due passi verso il salone, si ferma, si volge verso il croupier. Angosciata) È strano... Non riesco a decidermi. (Finalmente si decide. Va da Leona n. Due - la quale, di tutti i personaggi è la sola che la guarda - le dà un colpo affettuoso sui fianchi e le prende dalle mani la caffettiera) Adesso vattene. Fila. Non voglio vederti più...

(Leona n. Due la guarda ancora. Poi indietreggian­do lentamente va verso l'uscita sul davanti. Si ferma, con la mano fa un cenno d'addio a Leona)

Leona                            - Addio!... Addio, giovinezza mia... Mai più... (D'un tratto depone la caffettiera, si passa la mano sugli occhi e avanza sul davanti della scena. Con voce piena di lacrime) No no... non va... Non va, Oscar... Mi si strappa tutto qua dentro...

Croupier                        - Coraggio, sciura Leona... Non è che un po' di giovinezza che se ne va...

Leona                            - (con un brivido e designandoli con un gesto) Ma li guardi... li guardi!...

Croupier                        - (filosoficamente) È una famiglia...

Leona                            - (con uno sguardo verso Leona n. Due) Era quella che amava Jacquot... Non ero io!

Croupier                        - Jacquot se n'è andato.

Leona                            - Non ho fatto nemmeno la decima parte di quello che avrei voluto fare...

Croupier                        - Ma che vuole di più, Madama? Ha un marito, un'automobile, una buona posizione sociale, la donna di servizio...

Leona                            - Due.

Croupier                        - Eh, lo vede?

Leona                            - E a che servono? Col riscaldamento a nafta non c'è nemmeno più da portare il carbone. È per questo che mi sento sepolta viva, per non ave­re più da portare secchi di carbone, in un mondo dove non esistono più i secchi di carbone.

Croupier                        - (con dolcezza) Pensi alla sua bambina, sciura Leona. Come l'ha chiamata?

Leona                            - Giannina... (A Leona n. Due) Vattene... va'... (Con un sospiro) Ce la farò... (Al croupier, con rabbia) Ma giusto giusto ce la farò... (Leona n. Due scompare. Madama Leona entra nel salotto, ripren­de la caffettiera e versa una tazza di caffè alla madre)

Leona                            - (duramente, alla cameriera) Ho trovato Giannina ancora scoperta nella culla. Vi ho già detto una volta di stare attenta. In sala da pranzo c'era della polvere sulle tende. Questo caffè è appena tie­pido... (Riprendendo la tazzina della madre) Andate a riscaldarlo, intesi? (La cameriera riprende la caf­fettiera e scompare)

Ernesto                          - Eh, con Leona tutti devono rigare dritti!

La madre d'Armando   - Mi pareva abbastanza caldo il caffè...

Berta                             - (tutta cinguettante) Io, con i domestici, faccio finta di non vedere mai niente. Non si sa mai di questi tempi... Meglio tenersele buone le si­nistre...

Armando                       - (a Ernesto) Prendila pure con calma, ma ti rammento che alle due e mezzo devi fare il controllo della spedizione per Liverpool.

Ernesto                          - Se la caveranno benissimo senza di me.

La madre d'Armando   - (compiacente) A Ernesto piace prendere il caffè in santa pace.

Armando                       - Ma anche l'ultima volta non ci stavi e abbiamo avuto un trecentomila franchi di danni. (Berta ha una risata a cascatella che però viene in­terrotta di colpo da uno sguardo di Leona. Rientra intanto la cameriera)

Leona                            - Servite per primo il signor Ernesto. Ha fretta.

Ernesto                          - (ironico) Quante attenzioni, cara co­gnata. (Avuta la tazzina, egli la depone con calma sul tavolino, prende una sigaretta, la palpeggia, l'ac­cende, si installa meglio)

Leona                            - (contenendosi) La spedizione per Liver­pool sta aspettando.

Armando                       - (sulle spine) Veramente dicevo...

Leona                            - (dura) L'hai detto e non l'hai detto po­co fa?

Ernesto                          - (cercando di scherzare) E il liquorino? Senza un liquorino dopo mangiato, non digerisco bene...

(Leona si alza, va da Ernesto, gli tende con fer­mezza la tazza del caffè. Dominato, Ernesto la beve strangolandosi, si alza, bacia in fronte sua moglie e se ne va. Un silenzio)

Leona                            - (mettendosi di fronte ad Armando) E tu? Non ci vai anche tu? (Armando fa un cenno verso Berta) Che c'è?

Armando                       - Cara, sai bene come è Ernesto. Se ar­rivo in fabbrica dietro di lui, penserà che voglia sorvegliarlo. Va bene. Vado. (Esce)

La madre d'Armando   - (prendendo il coraggio a due mani) Sei troppo dura con Armando, cara. Lo sai, ha la salute delicata.

Leona                            - Lo dice lei. Ha una salute di ferro.

La madre d'Armando   - Si, di ferro! A tre anni ha fatto le convulsioni.

Leona                            - Prima dava retta a lei, mamma. Adesso dà retta a me. Gli ho buttato dalla finestra tutte le medicine, e sta meglio.

La madre d'Armando   - E infatti ha l'aria stanca questi ultimi tempi. Deve essere un po' per colpa tua, cara... sia detto senza l'ombra di rimprovero... Lo spedisci in fabbrica alle otto del mattino...

Leona                            - Lei sa a quanto ammonta la cifra d'af­fari di quest'anno, mamma? Diciotto milioni più dell'anno passato. Cos'è, non le vanno i miei sistemi?

Berta                             - Ma via, Leona! Non c'è solo il denaro, al mondo!

Leona                            - Lo credo bene. C'è anche il visone, per esempio. (Berta fa la sua risata a cascatella. La ma­dre di Armando scuote la testa, rinunciando a di­scutere)

La madre d'Armando   - Be'... credo che io e Berta questo pomeriggio ci offriamo un bel cinema.

Leona                            - Che cinema d'Egitto! (Un po' meno dura) Mi farete il piacere invece di restare in casa perché aspetto la visita della signora Desvaux. Sarebbe molto contrariata di non vedervi.

Berta                             - La signora Desvaux! Hai fatto bene a dirmelo, Leona. Io me la batto. Non posso proprio sop­portarla, quella donna.

Leona                            - Anch'io non posso sopportarla, la signora Desvaux. Ma siccome è utile per far marciare l'or­dinazione del Ministero la sopporto. Aspetto anche la signora Thonnard.

La madre d'Armando   - La signora Thonnard? Bi­sogna che ti dica chiaro e tondo che fai molto male a ricevere quella donna.

Leona                            - E perché?

La madre d'Armando   - Tante di quelle chiacchiere sul suo conto...

Berta                             - Davvero, sai, Leona. Figurati che ha pro­vato anche con Ernesto... Durante un pranzo, da­vanti a tutti, faceva cosi,     - (appoggia un pugno alla tempia) come per dirgli che se non ci stava si sa­rebbe tirata una rivolverata in testa! Che sfacciata!

Leona                            - Ernesto c'è stato? No. E lei si è sparata? Nemmeno. Suo marito fa parte della Commissione di Sussistenza per l'Armata, e l'Armata ci interessa molto, come sapete, per i biscotti.

La madre d'Armando   - Allora, niente cinema?

Leona                            - Niente cinema. (Madama Leona va fino al tavolo da giuoco per riprendere la borsetta)

Leona                            - Una famiglia è come un bar, Oscar... per­ché righi dritta, serve solo il bastone.

Croupier                        - È un buon metodo, sciura Leona... Quando posso lo uso anch'io...

(Dal fondo entrano le signore Desvaux e Thonnard. La prima è una donna grossa, robusta. La seconda è asciutta, piena di denti e di occhiate irrequiete)

Leona                            - (andando verso di loro) Susanna! Cara Susanna! Cara signora Thonnard! Siete venute in­sieme? Com'è carino! Stavamo proprio parlando di voi!

La madre d'Armando   - Non vi fischiavano le orec­chie?

La signora Desvaux      - Abbiamo incontrato Giannina che usciva dal liceo. Che bella ragazza! E come le sta bene il blu. Sembrava un vero cappuccetto rosso!

(Tutte siedono. La cameriera porta il tè e la ma­dre d'Armando lo serve. Il croupier fa schioccare le dita per richiamare l'attenzione di Leona, che gli volta le spalle)

Croupier                        - È già al liceo, Giannina? Un momento fa era ancora un bebé nella culla...

Leona                            - Il tempo galoppa Oscar... Non ha da far altro, lui.

La signora Thonnard     - (alla madre d'Armando che le serve il tè) Con molta acqua, la prego. Sono talmente nervosa. Sono così nervosa che certe volte emetto delle onde.

La madre d'Armando   - Delle onde, come?

La signora Thonnard     - Magnetiche. Mi vengono da papà che era magistrato. Una forma ereditaria. Gli capitava anche in piena udienza. Paf!... (Fa come se cadesse in catalessi) E voleva dire che l'accusato era colpevole.

Berta                             - Comodo per la Giustizia. (Ride come al solito)

La signora Thonnard     - Per questo non l'hanno mai voluto promuovere in Cassazione.

La signora Desvaux      - Oh, la crociera è stata ma­gnifica! La Svezia, non sta a me dirlo, è un paese interessantissimo. Ve lo assicuro, molto, molto inte­ressante... La capitale poi è molto bella.

La madre d'Armando   - Già, come si chiama la ca­pitale della Svezia?

La signora Desvaux      - La capitale della Svezia... la capitale... Ma quanto è stupido...

Berta                             - La capitale? Come si chiama?... L'ho sulla punta della lingua...

La cameriera                 - Stoccolma, signora.

Leona                            - Chi ha chiesto la vostra opinione? (La ca­meriera esce)

La signora Desvaux      - Oh, ma perché, signora Leo­na? È commovente questa sete di istruirsi, soprat­tutto nel popolo.

La signora Thonnard     - (sognante) L'uomo primi­genio ha lasciato un'impronta del suo passaggio? Ec­co una domanda che mi tormenta.

Berta                             - Pare che Giorgetto, in realtà, lei lo abbia avuto dallo chaulTeur. (Ha la sua solita risata a ca­scatala)

La signora Desvaux      - Non me ne meraviglio, con tutto quello che ha sofferto.

La signora Thonnard     - L'ultima Gioita ci fece ser­vire delle costolette d'agnello. Un'idea curiosa, non vi pare?

La signora Desvaux      - Che settimana ho passato! Il mio pechinese ha avuto l'ernia. Allora l'ho con­dotto dal veterinario, ma le cose vanno di male in peggio. Lo devo tenere costantemente sul vasetto per i suoi bisognini...

Leona                            - (che morde il freno) Il veterinario?

La signora Desvaux      - (scandalizzata, ma divertita) Ah oh! Leona!... Lo dico sempre a mio marito: con Leona non ci si annoia davvero. Il veterinario!

La signora Thonnard     - È almeno un bell'uomo?

La madre d'Armando   - Pietra che ruota, non rac­coglie mota...

La signora Thonnard     - Delle crèpe Georgette... Mor­bida. Allora le ho detto: Adele...

Berta                             - Un vero spaventapasseri... (Risata solita)

La signora Thonnard     - Ma insomma! Adesso ba­sta! Il troppo è troppo!

La signora Desvaux      - Come, ha cambiato parruc­chiere? (Alla signora Thonnard) Leona non va più da Alfredo! Ma questa è una notizia che farà chias­so! (La conversazione prende un ritmo accelerato)

Berta                             - Al mio primo parto...

La signora Desvaux      - Proprio come me! Il gine­cologo mi diceva: «Signora Desvaux...».

La signora Thonnard     - Quando aspettavo il mio piccolo Felice, al terzo mese...

La madre d'Armando   - Già, al quarto mese...

La signora Thonnard     - È che sono tanto, tanto nervosa...

La signora Desvaux      - Bastava che li vedessi da lontano, i babà al rhum. Immediatamente, la nausea.

La signora Thonnard     - Ereditarietà. A me viene da mio padre, che era magistrato.

La signora Desvaux      - E se, Dio guardi, vedessi qual­cuno che lo mangia vicino a me...

La signora Thonnard     - Il mio ginecologo, lo dice sempre: Signora Thonnard...

Berta                             - (continuando il suo racconto) Al sesto mese, ecco che ricomincia...

La signora Thonnard     - E nelle reni...

La signora Desvaux      - Nel ventre...

La signora Thonnard     - Negli organi genitali...

Berta                             - Il mio aborto... (Risata solita)

La signora Thonnard     - Dei cuscinetti! Dei veri cuscinetti di grasso, povera me!

La signora Desvaux      - Ah, bisogna andare verso il popolo. Mio marito lo dice sempre. Se nessuno va verso il popolo...

La signora Thonnard     - Poi alla coscia. Ho dovuto fare dei massaggi... (Estasiata) Aveva delle mani...

Leona                            - (alzandosi, disgustata) Che gente, Oscar! Che gente, la bella gente!... Del grasso, niente altro che del grasso. (Alle sue spalle, scortate dalla madre d'Armando e da Berta, escono la signora Desvaux e la signora Thonnard) Da diventare folle di rabbia. Vuol sapere che cosa arrivavo a fare, una volta che quella bella gente era uscita? Cosi, tanto per sfo­garmi... per alleggerirmi... Prendevo la Guida e co­minciavo a telefonare delle oscenità a casaccio.

Croupier                        - (entusiasmato) Proprio come faccio io coi pesci, sciura Leona. Proprio come coi pesci! È una forma di giusta compensazione, dice il dottore.

Leona                            - (a un immaginario telefono) Pronto!? Po­trei parlare con la signora Contessa? È la signora Contessa in persona? (Urlando) E cosi, vecchia schi­fezza, lo batti sempre il marciapiede?

Croupier                        - (a una immaginaria lenza e gridando co­me Leona) Pezzo di luridone! Ti decidi o non ti decidi?

Leona                            - (sempre gridando) Scendiletto! Sei un vero scendiletto! E tuo marito? Se la fa sempre con le cuoche?

Croupier                        - (sempre urlando) Baldracca! Schifosa! Hai finito di fare la puttana?

Leona                            - (idem) La contessina sua figlia aspetta un marmocchio? A forza di andare a letto con tutti,, finalmente c'è riuscita!

Croupier                        - (fingendo di sollevare la lenza) Una tri­glia questa? Triglia dei miei stivali, si!

Leona                            - (idem) Anche lei è incinta? Dello sta­gnaro probabilmente. E suo figlio? Ora preferisce gli uomini... Ah ah ah... Si aggiorna...

Croupier                        - (ricadendo sulla sedia) Ah! Mi sento meglio, Madama Leona!

Leona                            - Mi sento meglio anch'io! (Entra da sini­stra Giannina, bella ragazza diciottenne)

Giannina                       - Mamma! (Gira su se stessa mostrando l'abitino) Come mi sta? Come lo trovi?

Leona                            - Fa' vedere... Voltati... (Le aggiusta una piega. Entra Armando)

Armando                       - Eh... Non posso più mostrarmi in giro con lei... Una donna fatta, ormai... È compromettente.

Leona                            - Qui ci vorrebbe una piega. E ci porterei un filo di perle. Fa qualche smorfietta a tuo padre,, per il giorno della tua festa.

Armando                       - È promesso... Ma senza smorfiette... (Prende Giannina fra le braccia e fa qualche voluta di valzer) Na na nna na nana... Sono stato un bal­lerino brillante ai miei tempi. Domanda alla mamma.

Leona                            - (indulgente) Come no... (Uno sguardo al croupier) Guarda però che tua figlia non è nata al tempo del valzer...

Giannina                       - Eh no... papà... Oggi c'è il calypso... (Accenna a qualche strano passo sincopato) Ciao ciao, ragazzi...

Leona                            - Dove vai?

Giannina                       - Vado con Bobby. Io ho il vestito nuo­vo, lui la macchina nuova e andiamo a bagnarli.

Leona                            - E chi è questo Bobby?

Giannina                       - Bobby, mamma. Filippo Renson.

Leona                            - Quello delle paste alimentari?

Armando                       - Già. Il figlio di Eugenio Renson.

Leona                            - Ah! (A Giannina) Non farti baciare.

Giannina                       - Da Bobby? Non c'è pericolo! Mi fa­rebbe ridere troppo! (È già lontana. Manda baci ai genitori) Ciao! Ciao! Non aspettatemi per cena. (Esce)

Leona                            - (ad Armando) La farebbe ridere troppo? Perché la farebbe ridere? A me non ha fatto mai ridere!

Armando                       - Tu hai criticato me come ballerino. Che devo dire io di te? Giannina ha diciotto anni, esce con i ragazzi della sua età, resta a cena fuori, senza nemmeno chiedere il permesso... Già... non si balla più il valzer...

Leona                            - Ti fa impressione, vero? Anche a me... Ma tutto sommato sei felice?

Armando                       - Ho una bella moglie, una bella figlia,, gli affari marciano a gonfie vele... (Le bacia la mano) Grazie a te... Si, sono felice.

Leona                            - Eh be'... (Al croupier) Questo è l'essen­ziale. (Armando esce)

Croupier                        - Com'è carina sua figlia, sciura Leona. E poi sembra il ritratto della gioia, della felicità.

Leona                            - Giannina, si... in attesa che qualcuno me la porti via. Non tarderà molto sa... Un anno, due... tre... e via! Il tempo galoppa, Oscar. Qualche volta mi dico: ma era ieri... (Armando rientra)

Armando                       - Sai quello che accade?

Leona                            - No...

Armando                       - Giannina...

Leona                            - (spaventata) Che è successo? Ha avuto un incidente? Te l'ho detto tante volte che non do­vevi regalarle la macchina!

Armando                       - Ma no! Che dici! Sempre cosi, appena si tratta di Giannina... È innamorata, ecco tutto. E vuole sposarsi.

Leona                            - Sposare? Ma se è una ragazzina...

Armando                       - (con dolcezza) Una ragazzina di cui abbiamo già festeggiato il ventunesimo compleanno, cara...

Leona                            - L'ho appena partorita... (Piuttosto verso­ il croupier) Ventunanno! Ma non vuol dir niente ventunanno, lo ha visto? Passano in un istante... La mia bambina... data via a un uomo... sporcaccioni co­me sono gli uomini...

Armando                       - Ma che dici! Non sarà un uomo sol­tanto, cara, sarà un marito.

Leona                            - Come sai che lo ama? Che vuole sposarlo?

Armando                       - Me lo ha appena detto, un momen­to fa.

Leona                            - Perché lo ha detto a te e non a me?

Armando                       - Sai... fra padre e figlia, ci si fa più facilmente delle confidenze...

Leona                            - Ah. (Pausa) Soldi?

Armando                       - Come soldi?

Leona                            - Che fa? Quanto guadagna?

Armando                       - Non chiedi nemmeno chi è, come si chiama?

Leona                            - Chiedo quanti soldi ha, quanto guadagna, fa lo stesso.

Armando                       - Appunto. Non ti ho ancora detto il me­glio. È Mollard.

Leona                            - Mollard dei fosfati?

Armando                       - Proprio lui. Ti ricordi, me l'ero presa un tantino perché ero convinto che ti facesse la cor­te, e invece era per Giannina. Non è mica stupido, però tentare prima la conquista dei genitori. È un metodo che ha dato sempre ottimi risultati.

Leona                            - E allora che si fa?

Armando                       - In queste faccende i genitori contano poco. Non ci opponiamo, vero? Non c'è nessun moti­vo e Mollard è un bravo ragazzo, oltre a un magni­fico partito. Non la pensi cosi?

Leona                            - Certo.

Armando                       - Non dobbiamo far altro, allora, che invitarlo a colazione. Mi parlerà. Gli parlerò.

Leona                            - D'accordo. Vallo a invitare... (Armando esce. Leona va verso il croupier) Già. Perché il bel mondo ha bisogno di supernutrizione. I fosfati! Se ne rende conto, Oscar? I fosfati, vogliono dire qual­cosa! (Sintetizzando) In breve: la colazione, il fidan­zamento, le nozze... le nozze! Non si è fatto altro in questa casa per tre mesi. Non si è fatto altro che sposare! Duecento invitati... fiori, regali, telegrammi, telefonate, ringraziamenti... e io pensavo a Jacquot... Chissà, mi dicevo, come sarebbe stato il matrimonio di Giannina, se... (Con uno scorzo) Ma vuol sapere il più bello? Vuol sapere che cosa ha fatto, dopo appena un anno di matrimonio, il "fosfato"? La tra­diva, capisce? Una figliola carina come lei.. Che spor­caccione!

Croupier                        - Bah, i ricchi, cosa vuole Madama Leo­na, non hanno una vera coscienza. Si figuri che una volta, a questo stesso tavolo...

Leona                            - Lo avesse almeno fatto con discrezione... No! Non si è nemmeno scomodato. Tutto alla luce del giorno! Che gente! (Entra Giannina che si getta singhiozzando nelle braccia della madre)

Giannina                       - Mamma...

Leona                            - Cara... povera piccola...

Giannina                       - Con una donnaccia di bar, mamma! Mi tradisce con una donnaccia di bar! L'ho anche vista. Un donnone, deve pesare sui cento chili!

Leona                            - Cosa vuoi che conti il peso in queste fac­cende. Racconta. Come l'hai saputo?

Giannina                       - Tutti lo sanno. Lo sanno tutti. Le mie amiche... Mi hanno dato l'indirizzo e sono andata a vedere. È la padrona di un bar vicino alla stazione.

Leona                            - (abbracciandola) Cara...

Giannina                       - Mamma...

Leona                            - Vammelo a cercare, quel bel numero. Portamelo qua. Cercherò di arrangiare le cose.

Giannina                       - Ce la farai?

Leona                            - Ma tu... vuoi che le cose si arrangino? Potrai dimenticare?

Giannina                       - Credo di si...

Leona                            - Perché, altrimenti, c'è il divorzio, figlia mia. Te ne troveremo un altro, con la speranza che sia meno peggio di questo. Ma non devi illuderti troppo...

Giannina                       - (più con un gesto, che con la bocca) No... no...

Leona                            - Vallo a chiamare. Digli che ho bisogno di vederlo, ma non dirgli il perché, mi raccomando. (Giannina esce. Al croupier) Una donna di bar! Strano. Eppure mi sentivo tutta rinfrescata da quel­la storia. Ero pronta all'attacco, gliel'assicuro! (En­tra Mollard, un uomo ancora giovane, solido. Attacca subito, ritrovando tutti i toni della Leona di una volta) Allora, ci facciamo le donne di strada? E possibilmente robuste, vero? Perché non provi con la donna-cannone, o la donna-barbuta? Eh eh, il signo­rino adora i muscoli, a quanto pare! Cerca, vedrai che trovi. Al mercato, le fruttivendole, per esempio. Oppure al circo... proprio in questi giorni, c'è una cavalla parlante. Che è? Ti piace far piangere mia figlia, vero? Eh? Parla! Che hai da. dire?

Mollard                         - Non capisco, signora Leona.

Leona                            - Ah no, non capisci? Ma ti piace di fai-piangere mia figlia.

Mollard                         - Niente, niente. Non ho niente da dire. Se lei me ne parla, e su questo tono, vuol dire che ha preso qualche informazione.

Leona                            - Certo che ho preso qualche informazione. Come no! Ti dispiace?

Mollard                         - Be'... pensavo che la cosa veramente ri­guardasse sua figlia... (Tira fuori di tasca un porta­sigarette e lo tende aperto a Leona che brutalmente col rovescio della mano lo spazza via)

Leona                            - Stiamo parlando, signor Mollard. E tutto ciò che riguarda mia figlia, riguarda me. Intesi? Che faccia tosta!

Mollard                         - No, non è faccia tosta, signora Leona... Se lei crede che io sia fiero di me!

Leona                            - Ci mancherebbe altro!... Ma insomma che t'ha preso? Avessi aspettato cinque o sei anni, sarei stata la prima a capirti. Queste cose, si sa... Ma cosi, subito. Tu non ami Giannina.

Mollard                         - Credevo...

Leona                            - Avresti dovuto credere un po' di più... Succede spesso nelle famiglie.

Mollard                         - Mi sono ingannato, con sua figlia.

Leona                            - Carino! Prima la inganni e poi dici: mi sono ingannato. È un modo di dire fra i fabbri­canti di fosfati? Dovevi stare attento a non ingan­narti.

Mollard                         - È stata colpa mia?

Leona                            - No, mia.

Mollard                         - Forse.

Leona                            - (sta per replicare, ma si ferma. Lo guarda intensamente. Poi) Che diavolo intendi dire?

Mollard                         - Oh, nulla. È una riflessione che m'è sfuggita.

Leona                            - Parliamoci chiaro, Mollard. Ho sempre avuto l'impressione che noi due, suocera e genero, ci capissimo a volo. E che andassimo d'accordo. Vo­gliamo continuare a parlar chiaro?

Mollard                         - Ci tiene, signora Leona?

Leona                            - Certo che ci tengo.

Mollard                         - Come vuole, ma la prevengo, arrivere­mo lontano.

Leona                            - Coraggio.

Mollard                         - (cominciando lentamente) Sa come di­ce la gente? Prima di sposare la figlia, guarda la madre.

Leona                            - E cosi?

Mollard                         - Ho guardato la madre.

Leona                            - (con angoscia, ma dominandosi) E non ti ha fatto paura?

Mollard                         - No.

Leona                            - (sollevata) Sei delicato.

Mollard                         - Anzi. M'avrebbe piuttosto incoraggiato.

Leona                            - Parecchio delicato... (Riprendendosi) Ma che diavolo ho potuto farti credere?

Mollard                         - Oh nulla... nulla... Lei non mi ha fatto credere nulla. Tutt'al più, forse, mi ha fatto sognare.

Leona                            - Sognare?

Mollard                         - Sapevo bene quel che mancava a Gian­nina, ma speravo sempre che una volta sposati sa­rebbe diventata come lei.

Leona                            - Ossia?

Mollard                         - (freddamente) Ossia una donna.

Leona                            - (sconcertata) Giannina non sarebbe una donna? Una bella donna?

Mollard                         - Come l'ha tirata su, come l'ha nutrita per farne quello che è? Non è che una cosetta da niente. Una cosetta che parla, che cammina, che si muove, che si abbiglia, che si spoglia e che non mi dà mai nulla. Una cosetta che sa sempre cosi bene quello che deve dire, sissignora, nossignora, Eccel­lenza, Eminenza, Generale, e che non sa che talvol­ta bisogna dire un'altra cosa, e gridare e urlare. Una piccola cosa sulla quale mi appoggio e che cede. Una piccola cosa che non pesa, non vive. Lei invece, si­gnora Leona, lei è viva!

Leona                            - E la donna-cannone che parte ha in que­sta sporca commedia?

Mollard                         - Anch'essa, anche la donna-cannone, come la chiama, è una creatura viva quanto lei, signo­ra Leona. Tutto cambia dove entrano delle donne vive, null'altro esiste quando esse sono presenti, nem­meno più noi stessi. Con Giannina tutto resta egua­le. Il salotto, la camera da pranzo, la camera da letto e il bagno. Soprattutto il bagno. Sempre il bagno. Una cosetta perfettamente lavata e tutta pallida... Una graziosa donna, certo. Una bella donna che mi fa onore e che la gente mi invidia. Piena di qua­lità, salvo una. Deliziosa, non dico di no, durante tutta la giornata... ma ci sono anche le notti...

Leona                            - Aah... Adesso è chiaro. Finalmente ho ca­pito. È la notte che non va, vero?... Ed è un po' di notte che vai cercando vicino all'altra?

Mollard                         - Chiamiamolo un po' di notte, come di­ce lei.

Leona                            - Anche tu sei come gli altri, un porco.

Mollard                         - Perché Giannina ha preso tutto da suo padre e non da lei?

Leona                            - Non parlare di suo padre. Non puoi co­noscerlo.

Mollard                         - Ma lo suppongo, solo per aver saputo prendere una donna come lei.

Leona                            - (lo guarda. Tace. Sta per parlare, ma cambia improvvisamente argomento) Grazie, ma quello che voglio è che mia figlia sia felice. Ti sei ingannato? Che me ne importa? Non hai da far altro che fingere, come fingono tutti. Giannina ti ama e io voglio che lei sia contenta. Intesi? E la donna-cannone mi fai tanto il piacere di mandarla al deposito. Intesi?

Mollard                         - (alzando le spalle) Non si aggiusta niente.

Leona                            - Si aggiusta tutto, invece!

Mollard                         - Ma no. Fra tre mesi di nuovo non ne po­trò più di Giannina e andrò cercando un'altra don­na viva.

Leona                            - Eccolo qua. Eccoli come sono fatti gli uo­mini: vogliono un pezzetto di notte. Non ne possono fare a meno! Magari soltanto un pezzettino, ma lo vogliono! Almeno lo facessero discretamente, almeno si nascondessero!

Mollard                         - E mi ero nascosto, con quella là... avevo preso delle precauzioni...

Leona                            - Bisognerà prenderne ancora. (Pausa. Mol­lard la guarda) Ti facevo sognare, vero? (Col braccio fa il suo tipico gesto di minaccia) Lo facevo sognare! E allora, avanti! Vieni qua che ti voglio riempire di sogni, ti voglio impastare di sogni fino a che gridi basta, non ne posso più di sogni! (Fa un passo verso Mollard) Hai paura? Io no. Non ho paura di nien­te, io!

Mollard                         - (avvicinandosi a lei) Leona...

 Leona                           - Vieni qua (Mollard si avvicina ancora) Un pezzettino di notte, eh? Sempre una parola per l'altra... (Rudemente) Su! Fatti sotto! (Mollard l'ab­branca) Ma niente contro niente, intesi? Giannina de­ve essere felice!

Mollard                         - Farò tutto quello che vorrai... Leona…Leona...

(Su questa battuta sono entrati Armando da sini­stra e Giannina dal fondo. Leona s'avvede di Arman­do, respinge brutalmente Mollard e si volta verso la figlia che ha una mano sulla bocca)

Leona                            - Giannina mia!

Giannina                       - (con un grido) Mi fai orrore! (E fug­ge via)

Leona                            - Figlia mia... (Rimane per un momento di spalle, con le braccia tese verso Giannina. Poi brusca­mente si volge, con le mani sui fianchi, dura, combat­tiva) E allora, uomini? (Avanzando su di loro) Mi creda se vuol credermi, Oscar, ma nessuno dei due ha osato trattenermi. Li guardi! Ma li guardi! Ne han­no una tale voglia! Uno a uno, separatamente, po­tevo riprendermeli. Insieme, in coppia, non hanno osato. (A Armando) Eh?

Armando                       - (sussultando) Con il marito di tua fi­glia! Con tuo genero!... Io mi trovo davanti a un abisso!

Leona                            - Un abisso! Lo chiama un abisso! (Verso Mollard) E i fosfati?

Mollard                         - (balbettando) Ci sono dei limiti...

Leona                            - (ride) Anche i fosfati!...

Armando                       - Andrai dove vorrai. Ti farò versare un assegno mensile.

Leona                            - (allontanandosi dai due) Per una volta che avevo pensato agli altri... e non a me... Un momento, il solo momento che ho avuto pietà di loro... Pietà!... Si, domani te la sbattono in faccia! È sempre la pietà che ci rovina, è con la pietà che ci lasciamo rovina­re!... Ogni volta...

(Mollard e Armando scompaiono insieme alla scena parziale. Ritorna ora il grande vano del salone di Mon­tecarlo. Leona ha raggiunto il croupier che la aiuta a rimettere il mantello e il cappello. Leona si guarda allo specchio della borsetta. A sinistra, riappare il simpatico vecchietto dell'inizio, il ricco signor Ga­stone)

Croupier                        - Sciura Leona... Sciura Leona... è ritor­nato...

Leona                            - Chi?

Croupier                        - La fabbrica d'armi! La Vickers Limited!

(Leona si volta, guarda il signor Gastone che sta consegnando al barman il suo berretto da yacht man e che avanza lentamente)

Leona                            - La Vickers Limited! (Con l'abituale gesto del braccio) Sotto a chi tocca! E hop! Il banco cam­bia di mano. Viva la pappa reale!

FINE