La ragazza del porto

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LA RAGAZZA DEL PORTO

Commedia in tre atti

di FERENC MOLNAR

PERSONAGGI

ANNI

IL CONTE JARAK

IL DOTTOR CONRAD

RUDI - LA SIGNORA PAL

MIZZI - L’AMMIRAGLIO

L’UFFICIALE POSTALE

L’ING. KRINZ - ELISA

IL PADRONE DEL BAR

STEFANO - L’ISPETTORE

CARLO - L’ASSISTENTE

L’EBANISTA - IL CAMERIERE

IL GENDARME - IL DOMESTICO

UNA BALLERINA - UNA RAGAZZA

UN MARINAIO - UNA SIGNORA

UN’ALTRA SIGNORA - UN SIGNORE

AVVENTORI DEL BAR

OSPITI DELLA CASA DI CURA

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

QUADRO PRIMO

Un piccolo caffè-taverna, di infimo ordine, a Trieste, presso il porto. Ingresso sulla strada. Due tavolini, qualche sedia, banco di zinco. In fondo un tramezzo di vetri smerigliati, con una tenda tirata. Dietro s'intravede qualche coppia che balla e qualche cliente ai tavolini. Musica leggera, a intervalli.

Sulla scena, seduto a un tavolino, l’ebanista, con due ragazze. L'ebanista è un uomo di una certa età, vestito trascuratamente; le due ra­gazze sono ballerine e imbonitrici del locale. Hanno abiti scollati, pretenziosi e meschini. Una delle due è Anni. Il proprietario del lo­cale è affaccendato al banco e di tanto in tanto porta qualche consumazione ai clienti della stanza interna. Ha la giacca bianca. Anche un miserabile cameriere in giacca bianca, va e viene.

(La musica suona; nell'altra stanza ballano).

Ebanista                           - (brillo, alle ragazze) Se bevete questo bicchiere di vino tutto d'un fiato, vi do un bacio per una.

Ballerina                          - Non faccio per dire, ma ti but­ti via!

Ebanista                           - Se lo bevete fino in fondo, vi do un bel bacio per una, di quelli gustosi.

Ballerina                          - Dateci qualche cosa di più so­lido, allora: un taglio d'abito, o un orologio d'oro.

Ebanista                           - Ho detto un bacio, e nient'altro che un bacio.

Anni                                - Allora dico una cosa io. Bevi tu tutti e due i bicchieri, e ti daremo noi un bacio per una.

Padrone                           - (dal banco) Questo si chiama parlare!

Ebanista                           - (beve i due bicchieri di vino; le ragazze ridono e lo baciano con strilli e risate).

Cameriere                        - (dalla stanza interna) Due bot­tiglie di birra e un rum.

Padrone                           - (dandogli le consumazioni) Rum e birra. Birra e rum. Non bevono più altro.

Cameriere                        - Eh, non siamo a Parigi, siamo al porto!

Padrone                           - Anche al porto potrebbero bere vino. Vedi il signor Giovanni come beve? La colpa è tua, non sai farli bere!

Cameriere                        - Faccio quello che posso. Ma vino non ne vogliono perché è troppo caro.

Padrone                           - Rum e birra. Birra e rum.

Cameriere                        - Che cosa posso farci io se il mondo è andato così in basso! (Porta via le consumazioni, poi torna).

Ebanista                           - (facendo vedere una moneta) Chi è che vuol più bene allo zio Giovanni?

Ballerina                          - Io! Io! (Fa per portargli via la moneta).

Ebanista                           - (ad Anni) Tu non gli vuoi bene, allo zio Giovanni? Ma lui vuol bene solo a te. (Le dà la moneta).

Anni                                - (sputando sulla moneta) Chiamati dietro le tue sorelle! (La mette in una calza).

Ballerina                          - E a me niente?

Ebanista                           - Se Anni mi dà un bacio, ne do una anche a te.

Anni                                - Va bene, ma solo per lei. (Abbrac­cia l'ebanista che dà una moneta alla ballerina).

Padrone                           - (al cameriere) Allora? Niente birra? Niente rum?

Cameriere                        - No. Adesso ballano.

Anni                                - Un'altra bottiglia di vino allo zio Giovanni.

Padrone                           - Pronti! (Tira fuori la bottiglia).

Cameriere                        - (serve e torna al banco) È una ragazza svelta, quell'Anni.

Padrone                           - Non ce n'è un'altra come lei, al porto.

Cameriere                        - Neanche in città. (Corre alla porta). Pst!

Padrone                           - Cosa c'è?

Cameriere                        - S'è fermata una macchina qui di faccia. (Scosta la tendina). S'è proprio fer­mata. Padrone! Dei signori in smoking! Ven­gono qui!

Padrone                           - (corre a guardare) Dio mio! Sai chi è? Nientemeno che il conte Jarak.

Cameriere                        - Si sono fermati a discutere.

Padrone                           - Il conte Jarak! È impossibile che vengano qui.

Cameriere                        - Sicuro che vengono!

Padrone                           - Il conte Jarak in questo buco! Impossibile!... Ma nò... vengono proprio qui! (Apre la porta con grandi riverenze).

(Entra il conte Jarak, un uomo elegante, sul­la sessantina, accompagnato dai suoi giovani amici Stefano e Carlo, eleganti, sui trenta-tren-tacinque anni. Sono tutti e tre in smoking, sen­za cappello).

Jarak                                - (guardandosi intorno, a Carlo) È questo?

Carlo                                - Sì, è questo.

Jarak                                - Sei sicuro... che sia il peggiore del­la città?

Carlo                                - Il peggiore, sta' sicuro.

Jarak                                - (al padrone) Per chiudere la serata i miei amici hanno promesso di condurmi nel peggiore e nel più miserabile locale notturno. È questo?

Padrone                           - Ma certo, signor conte, è il peg­giore del porto; uno più miserabile non lo trova nemmeno fra i Turchi. S'accomodino. (Siedono al tavolino vuoto. Il padrone e il cameriere aspettano gli ordini).

Jarak                                - Per dir la verità, ho bevuto molto anche al circolo, e poi anche all'« Eldorado »... Dove siamo stati?

Carlo                                - All’«Excelsior», all'« Inghilterra », all'«Alhambra»... Anch'io ho lo champagne che mi gira per la testa.

Jarak                                - Vorrei una buona birra fresca. (Il padrone e il cameriere fanno un gesto dispe­rato).

Stefano                            - Non vi disperate. Portate tre bot­tiglie di birra e una di champagne. Che champagne avete?

Padrone                           - Non ne ho che una bottiglia sola, per il caso che qualcuno...

Stefano                            - Il caso si è presentato! Che mar­ca è?

Padrone                           - Mumm.

Stefano                            - Benissimo. Portate il Mumm.

Padrone                           - (al cameriere) Una bottiglia di Mumm. Ma la migliore!

Cameriere                        - Pronti! (Corre via).

Padrone                           - Intanto servirò la birra. (Corre dietro al banco).

Ebanista                           - (al padrone) Principale, non gli volete bene voi allo zio Giovanni?

Padrone                           - Mi lasci in pace. (Stende una tovaglietta e serve la birra).

Jarak                                - (bevendo) Dopo tanto champagne e tanto whisky, non c'è niente di più rinfrescante di un buon bicchiere di birra. Ah, come fa bene!

Ebanista                           - Chi è quel signore che vi dà tan­to da fare?

Padrone                           - (piano) È il conte Jarak, il mi­lionario!

Ebanista                           - (fischia).

(Il cameriere porta lo champagne).

Jarak                                - Ma che colpo! Mi pare ancora im­possibile.

Stefano                            - Non è la prima volta che vinci una somma. Al Club, a Montecarlo... Ti ho visto portar via dei patrimoni!

Jarak                                - Non è la somma. È il modo con cui l'ho vinta.

Stefano                            - Ah, quello sì, è stato un mira­colo. Io mi son sentito gelare il sangue.

Carlo                                - Io non ho potuto nemmeno guar­dare. Quando ho visto che domandavi carte su un sette, ho chiuso gli occhi.

Jarak                                - Che cosa dovevo fare? Io avevo sette. Lucinski ha domandato carte. Gli ho dato  un cinque. La regola era che io restassi con sette, lo so.

Carlo                                - Certo.

Jarak                                - Da quando sono al mondo, con sette sono sempre restato.

Carlo                                - Non c'è nessuno che vada, con un sette!

Jarak                                - Lo so. Ma io ho visto passare sulla faccia di Lucinski un lampo... un tremito... che cosa ti posso dire... un guizzo come di canzo­natura... sai bene che Lucinski non è tenero per me, l'ho vinto troppe volte, al gioco e al­trove. Ebbene, io ho avuto la percezione sicura che quell'uomo doveva avere otto o nove. Per­ciò guardava il mio sette con quell'aria di trion­fo! È allora, il diavolo mi porti, ho preso una carta. Perduto per perduto... C'era un bel gruzzoletto sulla tavola!

Carlo                                - Altro che gruzzoletto!

Jarak                                - E allora... avete visto. Volto la car­ta... era il due di picche. Lucinski è diventato bianco come questa tovaglia...

Carlo                                - Aveva ragione di diventar bianco.

Jarak                                - Ah sì! ma... la mia psicologia era giusta! Aveva otto. Quale guardi, Stefano?

Stefano                            - Quella vestita di giallo. Per il lo­cale dove ci troviamo, è abbastanza fine.

Jarak                                - Non c'è male... Lucinski è andato via in uno stato che, credo, non toccherà carte per un pezzo.

Carlo                                - Senti: avere otto in mano, di fronte a un banchiere che ha sette, e vederlo ancora fare la pazzia di prendere una carta...

Jarak -                              - Questo è niente! Il peggio viene dopo, quando si vede che quella carta è un due! Stefano, se ti piace, la possiamo chiamare.

Stefano                            - Oh, non posso dire che mi piac­cia... Che scusa ha preso Lucinski per non ve­nire con noi?

Jarak                                - L'avevo invitato per cortesia, ma si capiva che non poteva aver voglia di finire la serata con me. Era tanto avvilito, che ho fatto voto di restituire...

Carlo                                - Come, come?

Jarak                                - La metà della somma. Darla via, voglio dire. Era denaro trovato!

Carlo                                - Una vincita al gioco è sempre de­naro trovato. Come la perdita è denaro per­duto, così la vincita è denaro trovato.

Jarak                                - Ma questo era ancor più trovato del trovato!...

Carlo                                - La metà devi averla già mandata in fumo...

Jarak                                - Oh, no!

Carlo                                - Scusa: mille al portiere, mille al cameriere, mille all'autista... Quante ne hai date a quello che domandava l'elemosina?

Jarak                                - Duemila.

Carlo                                - Vedi? E al groom, e alla guarda­robiera, e a quella ragazzina dell' Eldorado »... e alle ballerine dell'« Inghilterra»... Un patri­monio!

Jarak                                - (osservando Anni che si tiene abbrac­ciata all'ebanista) Bisogna esser miserabili per conservare del denaro guadagnato in quel modo. Hai ragione, Stefano: è carina quella ragazza. In relazione al locale è una princi­pessa.

(Il padrone sta in ascolto).

Stefano                            - (al padrone) Mandateci qui un momento quella principessa. Un momento solo, non di più. (// padrone corre a parlamentare con Anni).

Carlo                                - (versando lo champagne) Alla sa­lute del due di picche!

(Toccano e bevono).

Padrone                           - Signori, ho l'onore di presentare la principessa.

Jarak                                - Principessa, vuole onorare la nostra tavola?

Anni                                - Grazie. (Siede. Il padrone le versa da bere).

Jarak                                - Il mio amico Stefano la trova molto fine...

Anni                                - Qual'è Stefano?

Stefano                            - Sono io.

Anni                                - Grazie.

Jarak                                - Anch'io divido la sua opinione. Non per amicizia, per convinzione. Carlo, non dor­mire. C'è una signora alla nostra tavola.

Carlo                                - (svegliandosi di soprassalto) I miei ossequi...

Jarak                                - (con la birra) Alla salute, cara principessa.

(Tutti bevono compresa Anni. Una ragazza vestita chiassosamente viene dalla stanza inter­na e si appoggia al banco, trafficando col pa­drone).

Anni                                - (al conte) Beve birra, lei?

Jarak                                - Sì. Perché? È brutto segno?

Anni                                - Come... segno, è migliore lo cham­pagne.

Stefano                            - Abbiamo anche quello. Che cosa beveva laggiù?

Anni                                - Vino.

Stefano                            - Chi è quel vecchiotto?

Anni                                - Un ebanista.

Stefano                            - Bravo!

Jarak                                - E che cosa se ne fa di due ragazze?

Anni                                - È un operaio. Lavora tutta la set­timana!

Jarak                                - Mi sarebbe piaciuto vederla bal­lare.

Anni                                - Coll'ebanista?

Jarak                                - No, sola. Te sola, piccola. Permet­ti, vero, che ti dia del tu? Sono vecchio.

Anni                                - È un onore per me.

Jarak                                - Sei ballerina?

Anni                                - Ballo anche. Ma non mi piace. Qual­ che volta non posso farne a meno.

 La ragazza                       - (dal banco, al conte) Posso comprare un pacchetto di sigarette sul conto di Anni?

Jarak                                - Si serva, signorina!

La ragazza                       - Grazie, Anni. (Prende le si­garette e torna nella stanza interna).

Anni                                - (scusandola) Ha bevuto.

Jarak                                - Non fa niente! E tu? Hai bevuto molto, stasera?

Anni                                - No.

Jarak                                - Di dove sei?

Anni                                - Sono nata a Sussak.

Jarak                                - Che cosa fa tuo padre?

Anni                                - Non ho padre. Mia madre suona in un'orchestrina.

Stefano                            - Non hai padre?

Anni                                - Non mi dia del tu.

Stefano                            - Scusi tanto.

Anni                                - No, non ho padre.

Jarak                                - Come, non ha padre?

Anni                                - Oh, lei sì che può darmi del tu. Sono una figlia naturale.

Jarak                                - Allora sarà figlia di qualche gran signore. Un aristocratico, forse.

Anni                                - Ecco che mi fanno l'autopsia. Ap­pena capita una persona un po' distinta, si mette a fare l'autopsia alle ragazze, come fanno i dottori ai conigli. Vogliono vedere come è fatta una donna come noi... di dentro. Allora è meglio l'ebanista. Quello almeno parla di altro...

Jarak                                - Di che cosa parla?

Anni                                - Fa conversazione. Ci tratta come persone... vive.

Jarak                                - Non ci devi fraintendere, ragazzina sdegnosa. Non parliamo per curiosità, noi, par­liamo per interessamento. Per un interessamen­to amichevole. Perché ci sei simpatica. Perciò non cambio discorso. Dunque, tu non sai chi fosse tuo padre?

Anni                                - No.

Jarak                                - E sei nata a Sussak?

Anni                                - Sì.

Jarak                                - Non sarà stato un ufficiale di ma­rina?

Anni                                - Può darsi. Io non l'ho conosciuto. È morto. (Pausa).

Stefano                            - Non vorrebbe mangiare qualche cosa? (Il proprietario accorre subito).

Anni                                - Sì.

Stefano                            - Che cosa ordiniamo?

Anni                                - Una fetta di pane e burro.

Stefano                            - Non sarebbe meglio un po' di caviale?

Anni                                - No.

Stefano                            - Principale: pane e burro, ma del migliore!

(Il padrone corre a provvedere. Due marinai vengono dalla stanza interna e si avviano per uscire. Sulla porta uno si volta).

Marinaio                          - Addio, Anni!

Anni                                - (lo saluta con la mano).

Stefano                            - Amici?

Anni                                - No... conoscenti. (A Jarak) Che co­s'ha da guardare?

Jarak                                - Guardo i suoi occhi. Occhi intel­ligenti...

Anni                                - Grazie. È una cosa che si dice dei cani, generalmente...

Jarak                                - È suscettibile. Ma con intelligenza.

Anni                                - Oh, capisco le cose, io. Sarebbe assai meglio non capire...

Jarak                                - E che modo elegante di star seduta. Su cento donne, non se ne trovano dieci che sappiano sedere con grazia. Carlo, c'è una si­gnora alla nostra tavola.

Carlo                                - (trasalendo) ...Miei ossequi.

Stefano                            - Come siamo diventati contegnosi! Se non è interrogata non parla e se le si do­manda qualche cosa, risponde in stile telegra­fico. Non siamo simpatici, noi?

(Il padrone porta il pane e il burro ad Anni. Invece di rispondere, si mette a mangiare, raffinatamente, con forchetta e coltello).

Jarak                                - E mangia bene, anche. Su cento donne, ce ne sarà sì e no una ventina, che saprebbe risolvere con tanta grazia il problema del pane e burro.

Stefano                            - Non farla inquietare.

Anni                                - Lui non mi fa inquietare. (Mangia).

Jarak                                - È vero, siamo tutti contegnosi... Coll'ebanista era molto più disinvolta.

Anni                                - Secondo con chi ho da fare.

Jarak                                - Ben risposto.

(Il padrone è preoccupato).

Stefano                            - Ha l'aria molto riservata.

Padrone                           - Oh, mi scusino, ma non si la­scino ingannare dalla sua aria riservata. È una zingara.

Stefano                            - Come?

Padrone                           - Una zingara. Un diavolo. (Anni lo guarda). Ma sì, sì... io la conosco bene. Ades­so è seria perché è in soggezione.

Anni                                - Nemmeno per sogno. Sono di ma­lumore.

Jarak                                - Perché?

Anni                                - Non lo so.

Jarak                                - Oh, questa non è una risposta.

Padrone                           - Non è mai così! Ma da qualche giorno sta poco bene.

Jarak                                - Che cos'hai?

Padrone                           - È stata anche dal medico.

Jarak                                - Mi dispiace. Però ne sappiamo quanto prima. Hai la febbre?

Anni                                - No.

Jarak                                - - Che cosa ha detto il medico?

Anni                                - Che sono malata. Esaurimento ner­voso. E poi sono anemica. Ho sempre mal di testa. Anche adesso.

Jarak                                - Forte?

 Anni                               - Eh, non c'è male...

Jarak                                - Perché non vai a casa?

Anni                                - Oh, qui non si finisce mai... (Beve champagne).

Jarak                                - Vedi? Beve senza alzare il mignolo. Non posso vedere le donne che alzano il mi­gnolo quando bevono.

Stefano                            - Ha una bella mano.

Jarak                                - Ha il polso fine. Tanti vanno matti per le caviglie, io giudico le donne dai polsi» Anche tua madre ha il polso così sottile?

Anni                                - No.

Jarak                                - Lo dico io; tuo padre era un uomo distinto.

Stefano                            - Decidiamo senz'altro. Era capi­tano di corvetta. Perché questo egregio com­merciante dice che lei è una zingara?

Padrone                           - È scappata di casa che era quasi una bambina, perché voleva fare la vita...

Jarak                                - Non dovete risponder voi. Rispon­di tu.

Anni                                - È vero. Sono scappata via da mia madre.

Jarak                                - Perché?

Anni                                - Mia madre doveva andare in Ame­rica e mi voleva portare con sé. Ma io ero in­namorata di un cameriere. (Al padrone) Lodo­vico. E sono rimasta qui per lui. Adesso sono due anni che non ne so più niente, di mia madre. Non so che cosa ne sia di lei. Non mi piace parlarne.

Jarak                                - E il cameriere?

Anni                                - M'ha lasciata dopo un mese. Ha preso moglie. Io avevo diciotto anni.

Jarak                                - Che cosa ha fatto, lei?

Anni                                - Mi sono tagliata una vena.

Jarak                                - In questo bel polso?

Anni                                - No. In quest'altro. Ma mi hanno salvata.

Jarak                                - E poi?

Padrone                           - Adesso vive.

Anni                                - No. Non vivo. Sembra.

Jarak                                - Allora?

Anni                                - Non so. (Pausa. Silenzio).

Jarak                                - Carlo, non dormire!

Carlo                                - (dormendo) Ossequi.

Jarak                                - Che cosa vuol dire, che « non vivi »? Non hai desideri? Non hai passione per qual­che cosa?

Anni                                - No.

Jarak                                - Oh! Così giovane e intelligente, qualche desiderio l'avrai. Che cosa ti piace­rebbe?

Anni                                - Mi piacerebbe... star bene di salute. (Pausa).

Jarak                                - Lo sai che sei molto carina?

Anni                                - Lo so.

Jarak                                - Che saresti degna di una sorte mi­gliore?

Anni                                - Lo so.

Jarak                                - E resti qui?

Anni                                - (stringendosi nelle spalle) Che cosa dovrei fare?

Jarak                                - Da quanto tempo sei qui, in questo locale?

Anni                                - Da tre anni.

Jarak                                - (indicando l'ebanista) E quell'u­briaco, chi è? Il tuo amante?

Anni                                - No.

Jarak                                - Allora?

Anni                                - Non lo conosco. È la prima volta che viene.

Jarak                                - E lo abbracci e lo baci?

Anni                                - Già.

Jarak                                - Anche col mal di testa?

Anni                                - Che cosa ci posso fare? È uno che beve vino...

Jarak                                - È un privilegio?

Anni                                - Certo. Gli altri bevono birra.

Padrone                           - (dal banco) È una buona figliola.

Jarak                                - Che cosa dicevi? che vorresti... star bene di salute?

Anni                                - Sì.

Jarak                                - Che cosa ha detto il medico?

Anni                                - Che mi dovrei curare. Un mese al­meno all'aria aperta. E poi... Bagni, iniezioni, un vitto speciale, fegato crudo... per l'anemia... Anche la pressione è bassa. Mi vengono degli svenimenti...

Jarak                                - Senti: che cosa ne diresti se ti man­dassi fuori di città per un mese, per farti gua­rire?

Stefano                            - Bravo, conte!

Jarak                                - Un mese di cura completa, aria buona, medico, medicine, bagni, iniezioni, die­ta, tutto!

Anni                                - (spaventata) Oh... all'ospedale no!

Jarak                                - Ospedale? Dio ne liberi! In una bella villa; una casa di cura dove sono stato anch'io. (A Stefano) Penso alla villa del dottor Conrad a Unterbach.

Stefano                            - È una casa di prim'ordine... ma non l'ammettono.

Jarak                                - Con la mia raccomandazione?

Stefano                            - Allora è un'altra cosa.

Anni                                - Come può raccomandarmi?

Jarak                                - Lascia fare a me. Tu sei la figlia di un ufficiale di marina morto da molto tempo, e nipote del mio direttore.

Stefano                            - Che direttore?

Jarak                                - Un direttore immaginario. Come ti chiami?

Anni                                - Anni.

Jarak                                - E poi?

Anni                                - Pavlovitch.

Jarak                                - Non mi piace. Ti chiamerai... Paoli. Anna Paoli. Va bene?

Anni                                - Va bene.

Jarak                                - Ripeti.

Anni                                - Anna Paoli.

Jarak                                - Bene: tuo padre era un ufficiale di marina.

Anni                                - Sì.

Jarak                                - Tu sei nipote del mio direttore.

Anni                                - Sì.

Jarak                                - Ricordati che quando sei lassù devi dire così. Dillo pure tranquillamente. La villa Conrad è in Austria, a mille chilometri di qui.

Anni                                - Sì... E... quando parto?

Jarak                                - Hai qualcuno da salutare?

Anni                                - No.

Jarak                                - Allora, domani. Adesso vai a casa. Domattina vai dal mio segretario nel mio uffi­cio, e nel pomeriggio parti. Ti prego, Stefano, io dormirò fin tardi: vuoi dare tu le istruzioni, domattina?

Stefano                            - Benissimo.

Jarak                                - Denaro, biglietto di viaggio, tele­gramma e presentazione a mio nome, Dottor Conrad, villa Conrad, Unterbach. (Ad Anni) E tu procurati qualche abitino modesto, calze e scarpe da signorina borghese. Carlo, non la prendere per le gambe, adesso è una signorina per bene. Però tu non ti dipingerai così, alla casa di cura, capito, principessa?

Anni                                - Va bene.

Jarak                                - Allora, Stefano, domattina.

Stefano                            - Sarà fatto.

Jarak                                - (ad Anni) E domani, partenza. (A Stefano) La casa di cura deve mandare i conti al mio ufficio.

Stefano                            - Benissimo.

Jarak                                - Come ti chiami?

Anni                                - Anna Paoli.

Jarak                                - Brava. Dimmi un po': hai un amante?

Anni                                - Dipende da quello che lei chiama un amante.

Jakak                               - Uno che tu ami.

Anni                                - Oh no, uno così non l'ho.

Jakak                               - Signor principale, una parola.

Padrone                           - (precipitandosi) Ai suoi co­mandi.

Jakak                               - Non c'è bisogno che vi dica di che cosa si tratta, perché ho visto che avete ascol­tato parola per parola. Vi domando un mese di licenza per la signorina Anni.

Padrone                           - Signor conte... ha un contratto!

Jakak                               - Non ho domandato che cos'ha. Do­mando se le date un mese di licenza.

Padrone                           - Oh, solo per riguardo a lei, si­gnor conte. Però...

Jakak                               - Però?

Padrone                           - Passato il mese, deve tornar qui.

Jakak                               - Si capisce. Non è che una licenza per motivi di salute.

Padrone                           - Perché vede, signor conte, quella ragazza è la risorsa del mio locale.

Jakak                               - Lo credo. Ha tanti riguardi per i clienti che bevono vino... Stefano, ti prego, paga. (Si alza). Andiamo. (Tutti si alzano; Stefano paga il padrone).

Padrone                           - (ad Anni) Bacia la mano al si­gnor conte!

Anni                                - (si avvicina per, baciar la mano al conte).

Jakak                               - No, no. (La bacia in fronte). Così, piuttosto.

Padrone                           - E domani andrai dal signor conte per ringraziarlo personalmente.

Jakak                               - Che cosa vi viene in mente? Come osate pensare una cosa simile? Guardatene be­ne, sai, piccola. Tanto non ti riceverei. E non ci fraintendiamo, eh? Non ti voglio vedere mai più! E non credere di piacermi! Mi piaccio io. Hai capito? Mi piaccio io, in questa parte di buon genio da fiaba, che viene, salva e scom­pare. Anch'io ho la mia vanità, come gli altri. E questa piccola soddisfazione non mi costa troppo. Ho vinto più di dieci volte tanto sta­notte, su una carta sola. Il due di picche. (Al padrone che vuol ricondurre dentro Anni) La­sciatela andare. La signorina è stanca e va a casa. E poi, non è persona per questo locale. È figlia di un ufficiale di marina, nipote di un mio direttore... Andiamo, ragazzi. (Il padrone apre le bussole con molte riverenze).

Padrone                           - Buona notte. (I tre signori escono).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

QUADRO PRIMO

La casa di cura. Salotto. In fondo grande porta a vetri sulla sala da pranzo. A destra e a sinistra, sul davanti, passaggi aperti. A de­stra, in fondo, tre tavolini da bridge; a sinistra, davanti, divano; vicino, una grande poltrona con un tavolinetto basso. Tavolini, poltrone, ecc. Pomeriggio di giugno. Verso le cinque.

Ci sono due partite di bridge avviate. Alcuni ospiti guardano seduti o in piedi. Fra essi un medico in cappa bianca, l'assistente del dottor Conrad. Sul davanti della scena, sul divano, la signora Pai, molto distinta, sui sessantacinque anni, legge. Nella poltrona vicina, Mizzi, so­rella della signora Pai; ha circa settantacinque anni, ma è piena di vita, simpatica, cordiale. Sta facendo un solitario con le carte. Vicino a lei Rudi, figlio della signora Pai.

Il dottor Conrad, direttore della casa, uomo distinto, elegante, in cappa bianca.

Signora Pal                      - (alzando gli occhi dal libro) Da quanto tempo sono qui, dottore? Ho per­duto il conto.

Dottor Conrad                 - Da tre settimane, signora.

Signora Pal                      - E, secondo lei, dovrei restare ancora...

Dottor Conrad                 - Due settimane almeno.

Mizzi                               - È terribile!

Dottor Conrad                 - Lo dice per farmi inquie­tare, eh?

Signora Pal                      - Sa, mia sorella è una not­tambula incorreggibile; qui si annoia, anche se le fa bene. Le piace andar a letto tardi, fre­quentare i salotti, giocare... il che le fa male, naturalmente...

Mizzi                               - Vogliono persuadermi che quello che piace fa male alla salute! Stasera mi bevo una bella bottiglia di champagne.

Dottor Conrad                 - Non gliela daranno!

Mizzi                               - Per quello lo dico con tanta disin­voltura. (Continua il solitario). Giocare! Ades­so dirai che anche questo si chiama giocare!

Signora Pal                      - Certo. Sono sempre carte!

Rudi                                - (che si e avvicinato al dottore, un poco in disparte dalla signora) Mi dica, dottore, e Anni? quanto deve, restare ancora?

Dottor Conrad                 - Me l'aspettavo, questa do­manda!

Rudi                                - Ma no... dicevo solo...

Dottor Conrad                 - Lo so, lo so... La signo­rina Paoli non ce deve » più restare. La sua cura di un mese è già finita da un pezzo. Potrebbe esser partita da due settimane!

Rudi                                - E... perché è ancora qui?

Dottor Conrad                 - Figliuolo, se non fosse lei a domandarmelo, dovrei dire che non lo so.

Mizzi                               - (che sembrava tutta assorta nel suo so­litario) Questo ti sta bene, Rudi.

Signora Pal                      - Che cosa?

Mizzi                               - Non hai sentito quello che gli ha detto il dottore?

Signora Pal                      - Io no.

Mizzi                               - Molto bene. Tu sei vicina a loro, e non senti. Io sono più lontana e sento. Mi fa piacere. Le altre invecchiando diventano sor­de; io ci sento sempre meglio. (Continua il so­litario). Gli ha dato una bella stoccatina.

Signora Pal                      - A proposito di Anni?

Dottor Conrad                 - (accenna di sì).

Signora Pal                      - Spero che avrà detto niente di male di Anni.

Dottor Conrad                 - Ma le pare?

Signora Pal                      - Se no, l'avrebbe a fare con me...

Mizzi                               - E questo sarebbe poco; il peggio è che l'avrebbe a fare anche con me; e le con­siglio di guardarsene. Rudi, non continuare a guardare laggiù con quell' impazienza. Non aver paura, l'angelo sarà qui fra poco. Alle cinque precise. È sempre puntualissima. Dovre­sti sapere che a quest'ora fa la passeggiata con sua eccellenza l'Ammiraglio.

Rudi                                - Lo so, zia.

Mizzi                               - Non sarai geloso!

Rudi                                - Ma che, zia!

Mizzi                               - Eh... eh... non tanto « ma che». L'Ammiraglio, per quanto pensionato, è ancora un bell'uomo, e poi, ancora valido. Io non lo avrei messo in pensione.

Signora Pal                      - Già, ma il Governo non giu­dica dal tuo punto di vista.

(Entra Anni con l’Ammiraglio, uomo sulla settantina, ma ben conservato; è in borghese, molto distinto).

Ammiraglio                     - Bacio la mano a queste si­gnore...

Anni                                - Buona sera... (Si avvicina alla si­gnora Pai, che l'abbraccia, poi va verso Mizzi).

Mizzi                               - (continuando il solitario) Buona sera. Non posso occuparmi di nessuno: ho da fare. E poi io non conto, sono l'ultima ruota del carro.

(Anni e Rudi si stringono la mano).

 Signora Pal                     - (all'Ammiraglio) Hanno fatto una bella passeggiata! Devono aver parlato di cose molto interessanti.

Anni                                - Oh sì, sua eccellenza mi ha parlato di cose molto interessanti.

Signora Pal                      - Di che cosa, se è lecito?

Ammiraglio                     - Le raccontavo la vita degli ufficiali di marina sulle navi da guerra. Il suo povero padre era ufficiale di marina anche lui, ma l'ha perduto quando era bambina. Così mi sono messo a chiacchierare: non l'ho annoiata?

Anni                                - Ma, eccellenza, come può dire una cosa simile?

Ammiraglio                     - La guardavo, mentre parla­vo... stava attenta, attenta... aveva una lacrimetta negli occhi... pareva proprio una bim­ba... come doveva essere quando era al mondo suo padre... (A Mizzi) Che cos'è, il solitario di Napoleone?

Mizzi                               - (sempre assorta nel solitario) Io mi aspettavo che tornasse dalla passeggiata con una rete di farfalle, e una scatola di latta, verde, per metterci la preda.

Ammiraglio                     - Perché? Io non sono mai an­dato a caccia di farfalle. Faccio raccolta di francobolli, non di farfalle; a meno che lei non creda che anche i francobolli, svolazzino di fiore in fiore...

Mizzi                               - No, ma un ammiraglio in pensione me lo sono sempre immaginato così. Una rete da farfalle, una scatola di latta verde e i reu­matismi.

Ammiraglio                     - Ah quelli sì, li ho. Vero, dottore?

Dottor Conrad                 - Quelli sì!

Mizzi                               - Allora mi contento. (Continua il solitario).

Signora Pal                      - (a Anni) E dove vi siete av­venturati?

Ammiraglio                     - C'è poco da avventurarsi, a Unterbach.

Mizzi                               - (sempre giocando) Unterbach, me­tropoli. Io non so nemmeno perché abbia un nome, questo buco. Una stazione e due case di contadini... E nient'altro.

Dottor Conrad                 - E la casa di cura?

Mizzi                               - (con molta indifferenza) Già, la casa di cura...

Dottor Conrad                 - (ad Anni) Quando non c'è lei, l'aria è piena di elettricità. Le vogliono tanto bene, che quando non c'è lei sono tutti nervosi.

Anni                                - Sono stata puntuale: sono le cinque!

Dottor Conrad                 - Ho paura che quest'altro anno, se non c'è lei, non tornano nemmeno queste signore. E sì che è già il quinto anno che vengono qui! (A Mizzi) Vero?

Mizzi                               - Oh, io non conto... (L'Ammiraglio guarda il gioco). Che cosa vuole lei?

Ammiraglio                     - Quel re di cuori lo metterei

Mizzi                               - E io no. Non mi dia consigli, se no mi guasta tutto il solitario e io ci tengo a non perderlo. Non è mica una battaglia navale!

Ammiraglio                     - Obbligatissimo, signora.

Mizzi                               - Non c'è di che.

Signora Pal                      - (a Anni) Perché la mia fi­gliola è così silenziosa?

Anni                                - (sorride).

Mizzi                               - (sempre giocando) Pardon. La mia figliuola.

Anni                                - (ride).

Signora Pal                      - Di chi sei la figliuola?

Anni                                - Sua. (La signora Pai l'abbraccia).

Ammiraglio                     - Un momento! E del padre non se ne parla? Anni... chi è il suo papà?

Anni                                - (ridendo) Lei.

Signora Pal                      - Eh! Dovrei avere anch'io qualche cosa da dire!

Mizzi                               - Non ti preoccupare. Come suo pa­dre, me lo prendo io.

Ammiraglio                     - (va a baciare la mano a Mizzi) Grazie. Sono commosso e orgoglioso. Le per­dono la battaglia navale.

Dottor Conrad                 - La pace è conclusa. Posso andarmene tranquillamente; a più tardi. (Esce).

Mizzi                               - (sempre giocando) Anni, dimmi la verità: ti piace quel dottore?

Anni                                - Oh, sì!

Mizzi                               - A me no. (Pausa).

Signora Pal                      - Che cosa si fa adesso? Tutti i giorni a quest'ora comincia la grande que­stione.

Anni                                - Mi racconti qualche cosa...

Signora Pal                      - Ancora?

Anni                                - Sempre... Nessuno sa raccontare come lei.

Signora Pal                      - Che cosa devo raccontare?

Anni                                - Come ieri... sempre la stessa cosa. Della casa, del giardino, del cane... del cane... (Le mostra una, fotografia).

Signora Pal                      - Ma come? Porti con te la fotografia del nostro cane?

Anni                                - Me l'ha data Rudi... (La guarda). L'adoro, questo canino. (Ripone la fotografia). Mi racconti.

Signora Pal                      - Sei come i bimbi... che vo­gliono sentire sempre le stesse storie, perché ci sono abituati...

Anni                                - Perché mi piacciono...

Signora Pal                      - Allora... da che cosa comin­ciamo?

Ammiraglio                     - Io vado a fare un bridge; do­mando mille scuse, ma le descrizioni della si­gnora le ho sentite tante volte che le so a me­moria.

Mizzi                               - Sentiamo! Se le sa a memoria.

Ammiraglio                     - (recitando la lezione) Dietro il castello c'è una piccola costruzione di ferro-beton, per i bachi da seta. Poi c'è il gallinaio sotto la direzione della zia Mizzi. Trecentocin­quanta capi: Orpington, Benton e Minorca. Nel mezzo quattro gelsi; le galline mangiano le more e i bachi da seta le foglie...

Mizzi                               - Molto bene. Può andare.

Ammiraglio                     - Grazie. (Si avvicina a un ta­volo di bridge e si mette a guardare il gioco).

Signora Pal                      - E dietro il gallinaio c'è l'orto...

Anni                                - I peschi... i ciliegi...

Signora Pal                      - Sicuro. E poi il giardino. E in mezzo al giardino la casetta di Rudi. Ma Rudi non ci abita; sta con noi, adesso. Ci an­drà quando prenderà moglie.

Rudi                                - Se mia moglie vorrà.

Signora Pal                      - Ci mancherebbe altro che non volesse! Io non permetto che tu sposi una ragazza che non voglia venire a stare nella tua casetta, vicino a noi!

Anni                                - Racconti... Cinque scalini... poi c'è una piccola anticamera, poi la hall...

Signora Pal                      - Sicuro. Poi si passa nella stanza della veranda, la stanza gialla.

Anni                                - No. Non è gialla. C'è la tappezzeria azzurra!

Signora Pal                      - Il bello è che ha ragione! Lo sa meglio di me! Sicuro che è azzurra! È il sa­lotto che è giallo. Questa è una specie di salot-tino da fumo.

Anni                                - E c'è il ritratto di Rudi.

Signora Pal                      - In grandezza naturale, quan­do aveva tre anni. Se lo vedessi, rimarresti me­ravigliata. È tale e quale come adesso.

Rudi                                - Io direi che c'è una certa differenza.

Signora Pal                      - Per te! Ma per tua madre no.

Anni                                - - Racconti. Racconti.

Signora Pal                      - Eh, come sei impaziente! Non mi far tanta premura, se no confondo le tap­pezzerie. E poi, perché debbo raccontare sem­pre io? Tu di te non mi racconti mai niente. Io non so di che colore siano le tappezzerie, da voi. Non mi hai mai detto niente...

Anni                                - Oh... è... mio Dio!... (Tace).

Signora Pal                      - Non so niente, io, della tua camera. Eppure sei la mia figliuola. Io me la immagino bianca, la tua camera. Una cameretta candida, semplice, da ragazzina... È bianca?

Anni                                - (incerta) Sì, sì.

Signora Pal                      - Tappezzeria, coperta, tutto?

Anni                                - No... La tappezzeria... è celeste. E la coperta del letto... è celeste, anche quella.

Signora Pal                      - E i mobili sono bianchi?

Anni                                - I mobili?... Bianchi.

Signora Pal                      - Laccati?

Anni                                - No... verniciati.

Signora Pal                      - E la camera della tua mam­ma? Quante stanze ha?

Anni                                - Due... una camera e un salottino.

Signora Pal                      - Quando viveva tuo , padre, avrete avuto una casa più grande...

Anni                                - Una stanza di più...

Signora Pal                      - Già... ci stava poco, a casa, tuo padre. Sempre imbarcato... È terribile, pe­rò, là vita di un ufficiale di marina... Se avessi una figlia, non vorrei mai che sposasse un ma­rinaio. È una specie di vedovanza, quasi. Tua madre doveva amarlo molto tuo padre, se l'ha sposato.

Anni                                - (piange).

Signora Pal                      - Oh, bambina cara. (L'ab­braccia).

Mizzi                               - (che non ha mai smesso i suoi solita­ri) Non dovevi farla piangere! Dovresti sa­pere che piange facilmente, perché è debole!

Signora Pal                      - Va bene, va bene, figliuolina, non piangere più. Mizzi ha ragione. Parleremo d'altro. (Entra Krintz che la saluta). Buona sera.

(Krintz si avvicina a una tavola di bridge e segue il gioco).

Mizzi                               - È il nuovo. È arrivato stamattina. Ha un gran baule giallo... non so chi sia... e non capisco che genere d'uomo sia.

Signora Pal                      - È un ingegnere.

Rudi                                - Si chiama Krintz. Ingegner Krintz di Sussach.

Signora Pal                      - Di Sussach? (Ad Anni) Lo conosci?

Anni                                - No.

Signora Pal                      - Non mi è simpatico, quell'uomo.

Mizzi                               - - Non si deve giudicare dall'aspetto.

Signora Pal                      - - Anzi, si deve giudicare pro­prio dall'aspetto. (Ad Anni) Che impressione ti fa?

Anni                                - Ha un modo di guardare che mi dà sui nervi... Ma dove siamo rimasti col nostro racconto? La stanza azzurra, poi il salotto gial­lo, poi la camera da letto.

Signora Pal                      - Due camere da letto... In questo sono moderna, forse solo in questo... Trovo che marito e moglie debbono dormire in due camere separate.

Mizzi                               - Due città sarebbe ancora meglio.

Signora Pal                      - La convivenza obbligata di tutte le ore non è un bene. Anche la famiglia non deve stare eternamente addosso agli sposi... Avrei potuto sistemare Rudi in casa, comoda­mente, anche con la moglie; ma se prende mo­glie, preferisco che vivano per loro conto. Nel­la loro casa, col loro giardino...

Anni                                - E il cane?

Signora Pal                      - Se la sposa gli vorrà bene, lo terremo in comune...

Rudi                                - Ma io penso che il primo anno vor­rei condurre mia moglie a Parigi, a Londra, per farle vedere il mondo... teatri, ricevimenti, grandi albeghi, grandi locali notturni...

(Un signore e una signora entrano e vanno a sedersi al terzo tavolino di bridge).

Anni                                - Oh, come può pensare una cosa si­mile! Sarebbe una felicità così grande... per quella donna... vivere con queste due care crea­ture... prendere il tè in giardino... oppure, l'inverno, la sera, far la partita vicino al fuo­co, e poi andare a letto presto... invece di an­dare al caffè, in mezzo al fumo, al chiasso, alla gente che beve, con un jazz che stordisce e donne mezze nude che vanno in giro.

Signora Pal                      - (con un gesto di ribrezzo) Oh!

(Il medico assistente si avvicina alla signora Poi).

Assistente                        - Signora...

Signora Pal                      - (guardando i due seduti al tavo­lino) Debbo venire al lavoro?

Assistente                        - Se non le dispiace...

Signora Pal                      - (alzandosi) Continueremo sta­sera la nostra conversazione. Allora risponderò (a Rudi) ai tuoi piani d'avvenire. Ricordiamoci che siamo rimasti al punto in cui il mio signor figlio, invece di stare con la moglie, vicino alla sua mamma, parte per Parigi e Londra. (Va a sedersi al tavolino del bridge, seguita dall'As­sistente).

Rudi                                - (sedendo al posto della madre, vicino ad Anni) Questa è la spina di mia madre.

Anni                                - Lo capisco.

(Pausa).

Rudi                                - Su certe questioni s'impunta, la mamma.

Anni                                - Lo fa a fin di bene.

(Pausa).

Rudi                                - Le avrei proposto di far due passi, ma fa freddo.

Anni                                - Sì, ha rinfrescato molto.

(Pausa).

Rudi                                - Il barometro si è abbassato, da ieri.

Mizzi                               - (alzandosi) Adesso voi crederete che il mio solitario sia riuscito, visto che mi alzo... Invece non è riuscito niente affatto, ma me ne vado per lasciarvi soli. Finche avete parlato della temperatura, l'ho inghiottita; ma quando è arrivato il barometro, l'ho dovuta capire per forza. Vado a vedere il giuoco di tua madre.

Anni                                - Ma zia Mizzi!

Mizzi                               - Tu rimettiti al tuo posto. Non aver paura, tornerò presto. Giuoca così male che non ci resisto molto a guardarla. (Si avvicina alla sorella e siede guardando il suo giuoco).

Anni                                - (torna al suo posto, piano) Ho tro­vato il suo biglietto.

Rudi                                - Sì...

Anni                                - Eccomi qui.

Rudi                                - È stata una sciocchezza scriverle quel biglietto. Ma ero fuori di me; sono geloso.

Anni                                - Dell'Ammiraglio?

Rudi                                - No!

Anni                                - Allora?

(Pausa).

Rudi                                - Dell'ufficiale postale.

Anni                                - (ferita) Cosa?

Rudi                                - Finora ho taciuto.

Anni                                - Non aveva motivo di parlarne. Ep­pure adesso ha motivo di parlarne.

Rudi                                - Ho le mie ragioni.

Anni                                - Io non le ho dato ragioni...

Rudi                                - Va continuamente alla posta.

Anni                                - E per questo?

Rudi                                - L'ufficiale postale è un bel giovane.

Anni                                - Oh, ma che dice?...

Rudi                                - Dico che è innamorato di lei.

Anni                                - Chi lo dice?

Rudi                                - La gente che l'ha veduta con lui alla posta. Ci sta delle mezze ore.

Anni                                - È ridicolo.

Rudi                                - Che cos'hanno da dirsi tutto quel tempo? Tutti quelli che li hanno visti insieme dicono che lui è tanto innamorato di lei; che non si può più guardare... Io non lo sapevo. È vero?

Anni                                - Se è così non ci posso fare niente.

Rudi                                - Se è così lei non ha bisogno di es­sere sempre laggiù. Non è necessario andare alla posta tutti i giorni.

Anni                                - Come lo sa lei che non è necessa­rio? Che cosa ne sa lei, delle ragioni che io posso avere per andare alla posta? E se fosse per causa sua che vado alla posta tutti i giorni?

Rudi                                - Per causa mia?

Anni                                - (nervosa, inquieta) Avrei dovuto par­tire quindici giorni fa; mi- hanno mandata qui per un mese solo, e son già passate sei setti­mane. E io telegrafo tutti ì giorni e aspetto la risposta, e prego per telefono che non mi fac­ciano partire... Non voglio andar via, capisce? E se non capisce lei, chi può capire?

Rudi                                - Oh, cara!...

Anni                                - Mia madre... Mia madre è una po­vera vedova, la pensione di mio padre ci basta appena per vivere... mi ha mandata qui il con­te Jarak a sue spese per far piacere a mio zio... Il conte non è soltanto principale di mio zio, ma è anche suo amico. Ma non si può abusare della sua bontà. Mia madre non lo ammette. È molto orgogliosa, mia madre.

Rudi                                - Non vuole che lei rimanga?

Anni                                - No. Le ho scritto che cercasse di avere dal conte una proroga di qualche setti­mana... ma mia madre non ne vuol sapere. Mi ha scritto che il mese è passato e che debbo tornare immediatamente a casa. Io ho riman­dato e cerco di intenerirla, ma non cede. E i miei nervi non sopportano questa lotta. Tele­grammi su telegrammi, telefonate su telefonate, per guadagnare una settimana, un giorno... e poi lei s'inquieta con me perché vado troppo alla posta.

Rudi                                - Come mi può perdonare?

Anni                                - Lei non saprà mai quello che sia la mia lotta, la mia sofferenza in questi giorni, per non dovermi dividere da lei. Perché se mi portano via di qui non la vedo più.

Rudi                                - Non mi vede più? Me l'ha già detto una volta questo. Debbo pensare che lei mi nasconde qualche cosa. Anni... Forse sua ma­dre, i suoi protettori... forse vogliono farle sposare un altro? Me lo dica, Anni. Voglio saperlo!

Anni                                - Oh, non mi tormenti.

Rudi                                - Anni, non posso vivere senza di te. Non voglio vivere senza di te.

Anni                                - (dolcemente) Tu vivrai senza di me. Ma io senza te, no.

Rudi                                - Con te... in quella casetta... Mia ma­dre che è così difficile, quasi spietata, quando si tratta di me, mia madre... ti adora...

Anni                                - E io... lei.

(Pausa. Rudi le prende la mano).

Rudi                                - Che mano calda...

Anni                                - Solo che tu la tocchi...

Rudi                                - (dolcemente) Calda, sei ribelle, vio­lenta, inquieta, appassionata quando siamo so­li... Vicino a te mi sento quasi infiammare. E davanti agli altri sei dolce, seria, riservata... (La guarda incantato) Perfetta...

Anni                                - Io non so trovare parole così belle per te. Soltanto gli uomini sanno parlare così bene. Una volta un uomo mi ha detto che per voi è un piacere sensuale lodare con belle pa­role una donna che amate. (Piano, con ardore contenuto) Io, quando sono sola... e quando penso a te, con la mia passione non posso tro­vare che le parole più semplici, ecco... tua... -a te... per te... con te... in te... E ripeto e ri­peto queste parole a occhi chiusi e ti sento così forte che... come posso dirti?... mi sento quasi dissolvere in te e sono dentro di te come il tuo sangue, come la tua febbre, capisci? È una pa­rola sciocca, una parola da niente, «in te», ma non ne conosco un'altra che dica di più. Forse ti posso dire questo semplicemente: che ti adoro...

Rudi                                - Amore mio... (Krintz si avvicina len­tamente; si ferma al tavolino e guarda il soli­tario lasciato da Mizzi. Rudi si allontana da Anni e cerca di parlarle con indifferenza) Vie­ne al tennis domattina?

Anni                                - Volentieri, ma non tanto presto. (Tacciono).

Rudi                                - Alle otto è troppo presto?

Anni                                - Meglio alle nove. (Tacciono).

Rudi                                - Se non pioverà.

Anni                                - Naturalmente. (Tacciono).

Mizzi                               - (avvicinandosi a Krintz) La prego, non tocchi il mio solitario, perché lo voglio finire.

Krintz                              - Le pare, signora? Guardavo sola­mente a che punto era.

Mizzi                               - Anche questo non va bene. Non mi piace la gente che guarda i miei solitari, perché me li stregano e allora non riescono più. Sa che cosa vuol dire « cabala »?

Krintz                              - Lo so.

Mizzi                               - Allora si allontani da questo tavo­lino. Avanti! E non osi mai più avvicinarsi alle mie carte. (Lo sospinge gentilmente).

Krintz                              - (ridendo) Come crede, signora. (Toma verso il fondo).

Mizzi                               - Eh? Chi è che vi vuol bene? (Se­gue Krintz).

Rudi                                - Quel tesoro, Mizzi!

Anni                                - Quell'uomo ha un modo di guar­dare che mi fa diventare nervosa.

Rudi                                - Mi hai perdonato, amore?

Anni                                - Perdonato? Non mi hai offesa.

Rudi                                - Ero geloso.

Anni                                - Sono orgogliosa di questo.

Rudi                                - È naturale... tutti sono innamorati di te... Ma adesso sono tanto felice.

Anni                                - E se mi portano via di qui?

Rudi                                - Ti seguirò!

Anni                                - Oh, è impossibile...

Rudi                                - Ancora? Se mi volessi bene...

Anni                                - Quando saprai come Anni ti ha vo­luto bene... e come ha voluto bene alla tua mamma... e a Mizzi, e alla casetta... ai gelsi, e alla camera azzurra... quando lo saprai... al­lora... (Trattiene a stento le lagrime).

Rudi                                - Non capisco. Quando saprò... che cosa vuol dire? Perché sei cosi commossa? C'è un... segreto?

Anni                                - Oh, in questo mondo non ci sono che segreti...

(Entra l'infermiera Elisa).

Elisa                                 - Signorina Anni, sono le cinque e mezzo.

Anni                                - Vengo, sorella. Rudi: resta qui, lei?

Rudi                                - Sì. Torna?

Anni                                - Certo. Che cosa fa intanto?

Rudi                                - Che cosa si può fare qui? Vado a vedere giocare la mamma. A più tardi. (Va vi­cino alla madre e siede voltando le spalle ad Anni).

Elisa                                 - Se vuol restare, posso tornare fra mezz'ora.

Anni                                - No, è meglio subito così non ci pen­so più.

Krintz                              - (che sta girando intorno, si avvicina) Mi scusi, signorina: mi permette una do­manda?

Anni                                - Prego...

(L'infermiera si ritira da parte aspettando).

Krintz                              - (presentandosi) Ingegnere Krintz, di Sussak.

Anni                                - Molto piacere.

Krintz                              - Mi dica, la prego, non ci siamo conosciuti noi?

Anni                                - No.

Krintz                              - Eppure io credo di sì.

Anni                                - Si sbaglia.

Krintz                              - Io... non la conosco?

Anni                                - No.

Krintz                              - Non è possibile che la conosca?

Anni                                - No, no.

Krintz                              - Invece la conosco. Certamente. L'ho veduta in qualche posto, le ho anche par­lato, soltanto non posso ricordarmi dove. È tutto il giorno che mi stillo il cervello, ma non mi viene in mente. Proprio così.

Anni                                - Ma no, non può essere.

Krintz                              - Eppure è così.

Anni                                - Impossibile.

Krintz                              - Domani mi verrà in mente.

Anni                                - Non le può venire in mente perché io non l'ho mai vista.

Krintz                              - A Sussak, ne sono certo.

Anni                                - Ma no. Viviamo fuori della città, e io... non vado mai al centro.

Krintz                              - Eppure sono sicuro di non sba­gliare.

Anni                                - (inquieta) Che cosa vuole da me, lei?

Krintz                              - Niente... solo...

Anni                                - (scoppiando in pianto) Che cosa vuole da me?

Krintz                              - Mi perdoni, volevo solo...

Anni                                - (piangendo) Oh, la prego, mi lasci in pace! (Fa qualche passo singhiozzando).

Elisa                                 - (accorrendo) Ma, signore!... (Ad Anni) Venga, tesoro! (La conduce via).

Mizzi                               - (che ha visto la scena si è alzata; si avvicina severamente a Krintz che guarda die­tro ad Anni) Che cosa è stato?

Krintz                              - Niente, niente signora. (Continua a guardare).

(Il palcoscenico si oscura).

QUADRO SECONDO

Salottino del dottor Conrad. Due porte. Un'ora dopo il quadro precedente. Il dottore, in cappa bianca, è in colloquio con Krintz.

Krintz                              - (concludendo) Le cose stanno pro­prio così. Prima fra quell'infermiera che mi faceva gli occhiacci e quella vecchia signora che aveva l'aria di rimproverarmi per un momento sono rimasto impressionato, glielo con­fesso... Ma, per fortuna, m'è tornato in mente tutto. Così, almeno ai suoi occhi, dottore, sono giustificato. Sarei rimasto troppo male.

Conrad                            - Io le sono molto grato, ingegnere. (Pausa). Avrei ancora una domanda da farle. Una domanda... molto delicata.

Krintz                              - Prego, dottore..

Conrad                            - Mi permette di comunicare alla signorina quello che mi ha raccontato? E, dopo aver sentito quello che risponderà, di agire in conseguenza, come lo riterrò opportuno?

Krintz ............................ - Certo. Anzi, lo desidero. Se non altro, per riabilitarmi agli occhi di quelle si­gnore.

Conrad                            - Va bene. (Si alza). Grazie, inge­gnere. Mi scuserà se mi sono permesso di man­darla a chiamare, ma mi era stato comunicato quel penoso incidente, e... Capirà, io sono il capitano della nave e non ho bisogno di dirle che importanza può avere un fatto di questo genere per me e per il mio istituto. La ringra­zio ancora di avermi parlato apertamente.

Krintz                              - Oh, dottore, la prego...

Conrad                            - Se le cose si svolgessero in modo che io dovessi pregarla di ripetere quello che mi ha detto alla presenza della signorina?

Krintz                              - Sono a sua disposizione. Mi sono messo su questa strada e non posso tornare indietro.

Conrad                            - Dove la trovo, se avessi bisogno di lei?

Krintz                              - Sono in sala, a un tavolino di bridge. Se ha bisogno di me, non ha che da farmi chiamare.

Conrad                            - Grazie. (Krintz si avvia). No, la prego. Passi dall'altra parte. Lì c'è la signo­rina che aspetta; preferisco che non la veda. (Krintz esce dalla sinistra).

Conrad                            - (suona un campanello; entra un do­mestico) Faccia passare la signorina Paoli. (Il domestico esce e introduce dalla destra An­ni, che entra seguita da Elisa). Vuole accomo­darsi? (A Elisa) Sorella, non ho chiamato lei.

Anni                                - Senza la sorella Elisa non resto qui.

Conrad                            - Come, non resta qui...?

Anni                                - La sorella Elisa era presente quan­do quel signore mi ha parlato, e ha sentito tut­to. Voglio che sia qui, se si tratta di quello. E poi, senza di lei non ci sto.

Conrad                            - È possibile che lei non abbia se­greti per la sorella Elisa, ma io ne ho.

Anni                                - (si alza) Se la sorella se ne va, me ne vado anch'io.

Conrad                            - (rassegnato) Va bene. Io, in ogni modo, l'ho avvertita. S'accomodi, la prego. (Anni e Conrad siedono; Elisa resta in piedi). Cara signorina, poco fa, nel salotto, ha avuto luogo una scena breve ma penosa.

Anni                                - (agitata) Quel signore mi ha aggre­dita così bruscamente, che ho proprio cre­duto...

Conrad                            - (interrompendola) Non si agiti, la prego, figliuola. Non è il caso, per ora. Par­liamo con calma. E lei abbia fiducia in me. Finora mi ha onorato della sua fiducia, e mi lusingo che si sia anche un poco affezionata.

Anni                                - Mi sono molto affezionata a lei. È stato buono come il pane, con me. Ma quando penso che quell'uomo...

Elisa                                 - (sdegnata) Aggredire una povera signorina malata, in pieno salotto, davanti a tutti, come un agente investigativo!

Conrad                            - Sorella, la prego, non parli. Sono costretto a tollerare che resti qui, ma non de­sidero che esprima le sue opinioni.

Anni                                - Oh, mi pare che non valga la pena di parlarne tanto. Sarò stata nervosa, forse ho avuto torto. In fondo, quel signore, non ha detto niente che potesse offendermi.

Conrad                            - Allora perché si è messa a pian­gere?

Anni                                - Perché... gli avevo risposto ben chia­ro, e lui continuava a insistere, in un tono co­sì... offensivo... mi vergognavo per i signori Pal, la zia Mizzi, Rodolfo... chi sa che cosa penseranno...

Conrad                            - Insomma, concludiamo senza per­der tempo. L'ingegner Krintz è stato qui fino a un momento fa, l'ho fatto venir io, per pre­garlo di darmi una spiegazione su questa sce­na. (Anni ascolta con grande attenzione). E infatti ha avuto la cortesia di darmi una spie­gazione... pienamente esauriente.

Anni                                - Cioè...?

Conrad                            - Signorina, le rinnovo la proposta di continuare questo colloquio a quattr'occhi.

Anni                                - (calmissima) Se la sorella se ne va, me ne vado anch'io.

Conrad                            - Va bene. (Piccola pausa). L'inge­gner Krintz dice che l'ha conosciuta a Sussak.

Anni                                - Non è vero.

Conrad                            - Lo afferma assolutamente.

Anni                                - Non è vero. Come sarebbe a dire? Mi conosce e non sa dove mi ha vista; è sicuro di conoscermi, e poi non si ricorda, e che so io... Sono tutte bugie. Dio sa che cosa vuole, da me, il signor ingegnere. Se...

Conrad                            - Un momento. Mi dica, signorina Paoli: che cosa c'è di straordinario che l'inge­gnere sostenga di conoscerla? Perché dobbiamo essere tutti così nervosi per una questione così semplice?

Anni                                - Perché gli ho detto ben tre volte che non l'ho mai visto in vita mia, e lui ha continuato a insistere: « Sì che la conosco, sì che la conosco», come se io volessi dire una bugia.

Elisa                                 - Come se la signorina avesse voluto negare di averlo conosciuto.

Conrad                            - Oh, finalmente è venuta fuori con questa parola! Sicuro, l'ingegnere sostiene pro­prio che la signorina vuol negare di averlo co­nosciuto. (Piccola pausa). L'ingegnere sostiene di aver incontrato la signorina l'anno scorso, al porto, in un locale notturno di infimo ordine.

Anni                                - Bugia.

Conrad                            - Secondo quello che l'ingegnere af­ferma recisamente la signorina sarebbe stata una specie di ballerina del locale, una di quelle ragazze che vanno da un tavolino all'altro fra i marinai ubriachi... e sarebbe stata ubriaca anche lei... (Aspetta una risposta).

Anni                                - Prosegua, prosegua...

Conrad                            - La signorina si sarebbe seduta an­che al tavolino dove l'ingegnere beveva con i suoi amici, mostrandosi molto... espansiva con loro, e accettando danari da tutti, in cambio delle sue cortesie... Io le ho chiesto due volte di restare sola con me, per dirle queste cose a quattr'occhi. Ma lei non ha voluto acconsen­tire...

Elisa                                 - Bella vigliaccheria, raccontare delle cose da far rizzare i capelli, di una signorina che sta qui, rispettata da tutti, quando non si ricorda nemmeno... L'ha detto lui, che non sa­peva dove l'avesse vista! Che affidamento può dare un uomo che va per le taverne a ubria­carsi?

Conrad                            - Non c'è bisogno di andare in col­lera. Lei si è molto affezionata alla signorina, e rispetto i suoi sentimenti, ma adesso noi cer­chiamo la verità. Non è curiosa lei di arrivare alla verità?

Elisa                                 - Francamente, no.

Conrad                            - Beata lei. (Ad Anni che è rimasta immobile, calma e silenziosa) La signorina non ha ancora parlato.

Anni                                - È inutile che io parli. Quello è un uomo senza coscienza. Tutto quello che ha det­to può essere vero, però, con la piccola diffe­renza che quella ragazza non ero io. Meno­male che non mi ha scambiata per un'assas­sina.

Conrad                            - Allora debbo pregarla di permet­termi di chiamare l'ingegnere Krintz.

Anni                                - Prego.

Conrad                            - Non credo che lei potrà perdonar­mi questo interrogatorio, non lo posso sperare. Ma vorrei soltanto pregarla di capire, figliola. Il buon nome del mio istituto che custodisco gelosamente da vent'anni non può essermi in­differente. E soprattutto m'interessa la famiglia esemplare che l'ha accolta nel suo cuore e la tiene sempre con sé da sei settimane. Io sono legato a quella famiglia da un'amicizia che data da due generazioni. Quello che la riguar­da non può essermi indifferente.

Anni                                - Dottore, lei dimentica chi mi ha rac­comandato a lei. Il conte Jarak non le pare una garanzia sufficiente che la verità non è dal­la parte dell'ingegnere, ma dalla mia?

Conrad                            - (perdendo la calma) Per questo sono fuori di me, figliola, peggio di lei, creda! Sono disperato! Certo! la raccomandazione del conte! Ma che cosa posso farci? Di fronte a questo c'è la convinzione ferma, quasi maniaca di un uomo serio, quasi maturo che non ha nes­suna ragione per mentire. (Suona al domestico che entra). Andate in sala e pregate l'ingegnere Krintz di venire da me. (Gli dà una lettera). E questa lettera alla posta, subito, raccoman­data-espresso.

Domestico                       - (prende la lettera ed esce).

 Conrad                           - Mentre aspettiamo l'ingegnere, la pregherei di accordarmi qualche parola vera­mente a quattr'occhi. Non parleremo di... questo.

Anni                                - Va bene.

Elisa                                 - (esce).

Conrad                            - Vede, figliola, c'è ancora un'altra complicazione. Io non so veramente cosa pen­sarne. Lei è venuta qui per un mese, con la raccomandazione e la garanzia materiale del conte. L'amministrazione del conte ha pagato puntualmente la retta per quattro settimane. Ma il quinto conto non è stato pagato. E il sesto neppure. Abbiamo rimandato i conti... Nessuna risposta. Ho scritto una lettera racco­mandata, ho telegrafato due volte, niente... La lettera che ho consegnato adesso al domestico è un ultimo tentativo... Vede, figliola, lei può benissimo non sapere che i suoi conti non ven­gono pagati, non è il caso di parlarne fra noi, ma... non se la prenda a male, finora ho taciu­to, ma la cosa comincia a diventare... un poco strana... Lei è in corrispondenza col conte?

Anni                                - Gli ho scritto... ieri l'altro... Ma del resto... non son riuscita a saperne niente.

Conrad                            - Figliola, non se l'abbia a male, ma, vede... lei mi dà sospetto. Come medico debbo dire che adesso i suoi mali sono tutti simulati, i sintomi sono perfettamente scom­parsi. La pressione è tornata normale, i globuli rossi son tornati alla proporzione normale, l'au­mento di peso che si doveva ottenere è stato raggiunto... Che lei si faccia accompagnare dall'infermiera sotto pretesto della debolezza, del­la nervosità è una posa, ormai. E quei crampi senza ragione, anche quelli... (Sorride). Capi­rà, figliola, io sono qui da vent'anni e di que­ste cose me ne intendo. Lei è innamorata di Rodolfo Pai: ecco la causa di tutto. Confessi. Sbaglio?

Anni                                - No.

Conrad                            - Lo vede?

Anni                                - Anche della mamma di Rodolfo, so­no innamorata. Anche di quella cara Mizzi. (Molto commossa) Dottore, sono innamorata di tutti, qui: della sorella Elisa, dell'Ammiraglio, dei medici, delle bagnine, dei domestici, di tut­to, di questo silenzio, di questa pulizia, di que­sta pace, di questa buona gente che mi vuole tanto bene... la prego, aspetti ancora qualche giorno... non mi mandi via... il conte manderà il denaro, gli telegrafo subito, ma non mi cacci via. Sono tutti così buoni, con me, qui! Anche lei... (Il domestico bussa).

Domestico                       - C'è l'ingegnere Krintz.

Conrad                            - Passi.

Krintz                              - (entra e s'inchina ad Anni) A sua disposizione, dottore.

Conrad                            - S'accomodi, prego.

 Krintz                             - Grazie. (Resta in piedi).

Conrad                            - Signorina, le ho già comunicato, anzi, le ho già ripetuto parola per parola quel­lo che l'ingegnere Krintz mi ha raccontato sul suo conto. Lei contesta decisamente la verità di quelle affermazioni.

Anni                                - Sicuro.

Conrad                            - Prevedendo il caso, ho domandato all'ingegnere se sarebbe stato disposto a ripe­tere alla sua presenza quello che ha detto. E l'ingegnere s'è dichiarato disposto a farlo. Per­ciò... se crede di parlare...

Anni                                - (si volta a guardare Krintz con grande attenzione).

Krintz                              - (al dottore) Ho incontrato la si­gnorina l'anno scorso in una taverna del porto, locale di infimo ordine, il « Bar del Brasile », dove son capitato una notte con qualche amico in un periodo di... pazzie in cui non facevamo che trascinarci da una taverna all'altra. La si­gnorina ballava, e passava da un tavolino all'altro abbracciando gli ubriachi e facendosi dare del danaro. Se parlo di questo è perché ritengo mio dovere avvertire lei, che è respon­sabile di questa casa, e che è legato a me, se non da amicizia, da un'antica e buona cono­scenza. Non posso restar qui a vedere la signo­rina accolta, sotto la sua garanzia, nella cerchia delle persone più rispettabili, e considerata da loro quasi una persona di famiglia, e tacere quello che io so... e che lei, dottore, evidente­mente, ignora. La cosa mi è oltremodo penosa, ma ogni volta che mi son trovato in una situa­zione del genere, mi sono sempre creduto in dovere di parlare. La signorina non deve con­siderarmi come un giustiziere, ma... ma vivia­mo in due mondi diversi e nel nostro mondo un uomo ha dei doveri.

Conrad                            - Guardi, figliola... le signore della famiglia Pai l'hanno presa a benvolere come una figlia. Chi non è cieco vede che lei ha se­dotto Rodolfo. Quel ragazzo è innamorato di lei e ha tutta l'aria, diciamolo pure, di pen­sare al matrimonio. E tutto questo avviene sotto la mia garanzia, con la mia connivenza... Ma come mi troverò io di fronte a queste per­sone, quando risulterà che lei ci ha così incre­dibilmente ingannati?

Anni                                - Io non ho ingannato nessuno. L'in­gegnere si dovrebbe vergognare; tutto questo non sarebbe avvenuto se avessi con me un uomo che mi potesse proteggere. Ma invece ce ne sono due contro una povera ragazza. Due uo­mini forti... Che cosa posso fare contro di lo­ro? io sola? L'ingegnere non mentirà, non ne avrebbe motivo, ma sbaglia, sbaglia, sbaglia!

Krintz                              - (muto scuote la testa facendo: a No, no »).

Anni                                - E... quelle due care signore... an­che loro, e anche il figlio adesso... È spaventoso quello che ha fatto di me, lei, uomo di coscienza. Che posso fare io? Aspettino almeno che io scriva a mia madre... a mio zio, che è direttore negli uffici Jarak... scriverò anche al conte... aspettino almeno questo... assassini... e dovranno vergognarsi a morte, tutti e due, aspettino solo questo, li prego!

Krintz                              - Guardi, signorina...

Anni                                - (senza ascoltare, al dottore) E non è vero che io abbia sedotto quel giovane. (Gri­dando) Che parola è questa? Loro m'hanno preso a voler bene, tutti loro, le signore e an­che il figliolo. Io ne sono orgogliosa... e feli­ce... Sono una povera orfana, io, e non ho niente dalla vita... soltanto lotta... e io sono già finita, e mi sono ammalata per questa lot­ta... e poi vengo qui, e trovo un poco di ca­lore, un poco di sicurezza, di amore... mi sen­tivo sicura... non sono mai stata felice in vita mia, solo qui... (A Krintz) E lei vuol portarmi via tutto questo, vuol farmi cacciare solo perché ha un vago ricordo di qualche cosa... (Gri­dando) E sappia bene, che anche se io fossi cento volte quella che lei dice, anche allora non avrebbe ragione di portarmi via la vita, la spe­ranza... e se io fossi quella che dice lei... que­sta sarebbe una purificazione... sarebbe... la salvezza di una povera anima... e qualunque creatura di cuore dovrebbe aiutarmi, non get­tarmi giù nel fango quando io mi sforzo di uscirne... Le ha insegnato questo, Gesù? Mi risponda: le ha insegnato questo? Anche se fossi quella che dice lei, non dovrei essere cal­pestata! Sostenere una cosa con tanta sicurez­za... per un ricordo così incerto che... lei non oserebbe giurarlo davanti a un giudice... se si trattasse di vita o di morte... eppure qui si tratta di vita o di morte! (Si interrompe per. l'emozione e si abbandona quasi svenuta sulla poltrona).

(Lunga pausa).

Krintz                              - (con molta semplicità) Dottore, la prego, non tenga conto di quello che le ho detto. Ho cinquant’anni, nella vita ho sempre agito eoa sicurezza, ma ho un cuore e coscien­za. È possibile che io abbia preso un equivoco, e mi assumo tutta la vergogna e tutti gli in­convenienti del mio passo avventato. È possi­bile che io mi sia sbagliato, sono un uomo anch'io. In posti come quello dove credevo di aver veduto la signorina, ci si va già ubriachi, per ubriacarsi di più. Questa è la mia unica scusa. (Ad Anni) Signorina, permette che alla presenza del dottore la preghi solennemente di perdonarmi?

Anni                                - No.

(Pausa).

Conrad                            - (suona al domestico) Che entri la sorella Elisa.

(// domestico esce. Entra la Elisa).

Conrad                            - Accompagni la signorina nella sua camera.

(Elisa conduce fuori Anni sostenendola amo­rosamente).

(Pausa).

Conrad                            - Ingegnere... adesso, a quattr'oc­chi, parlerebbe nello stesso modo?

Krintz                              - (semplicemente) Con la mia di­chiarazione ho chiuso la questione definitiva­mente. Mi permetta di tornare al mio bridge.

Conrad                            - Prego.

(Krintz esce).

(Il palcoscenico si oscura).

QUADRO TERZO

L'ufficio postale del villaggio. Finestra a in­ferriata. Tavoli, telefoni, apparecchi ce Morse ». Le sette di sera, mezz'ora dopo il quadro pre­cedente.

L'Ufficiale postale, bel giovane, quasi ragaz­zo, in uniforme, siede all'apparecchio « Mor­se » che batte.

(Dopo una piccola pausa entra Anni, agita-tissima).

Ufficiale postale              - (balzando in piedi, felice) Anni!

Anni                                - (affannata) Non ho che pochi mi­nuti.

Ufficiale postale              - (per abbracciarla) An­ni! Anni!

Anni                                - Oh, lasciami stare, ho fretta. (Ma non può fare a meno di sopportare il caldo abbraccio e il lungo bacio del giovane. Si scio­glie dolcemente da lui e lo guarda) Che cos'hai? Sei pallido... hai certi occhi... che cosa c'è?

Ufficiale postale              - Non posso dormire... Non mangio niente... La mia vita è sconvolta. Ti amo, Anni. (Vuol riabbracciarla).

Anni                                - Per carità, tesoro, lascia andare adesso. Non ho che due minuti. Non posso ar­rivar tardi per il pranzo. Un quarto d'ora fa, il dottor Conrad ha mandato una lettera da spedire raccomandata per espresso, all'indiriz­zo del conte, a Sussak. Per questo sono corsa qui. Dov'è la lettera?

Ufficiale postale              - (prendendola da un cas­setto) Eccola. Ogni volta che portano una lettera dalla casa di cura, mi viene la palpita­zione. È la quinta che intercetto... per te... fi­nirò in prigione.

Anni                                - (impaziente) Dammi. (L'Ufficiale po­stale le dà la lettera). Come, l'hai già aperta?

Ufficiale postale              - Si capisce. Il dottore scrive al conte che tu saresti innamorata di un giovane... Rodolfo Pai...

Anni                                - (legge la lettera) Bugie.

Ufficiale postale ............ - Scrive, parola per pa­rola... (Leggendo la lettera che Anni scorre in silenzio:) «La cura è finita, e la signorina può tornare a casa. Anzi io la prego di richiamarla  senz'altro, perché - ritengo mio dovere che ella ne sia informata - si è innamorata di un giovane ospite della villa, con tutti i pericolosi sintomi di una passione isterica...».

Anni                                - (che legge) Bugie.

Ufficiale postale              - E io... per te... finirò in prigione.

Anni                                - (alzando gli occhi dalla lettera, impa­ziente) Sempre questo discorso! Finirai in prigione! Hai sempre detto che facevi in modo che nessuno se ne potesse accorgere... Che tutti avrebbero creduto a un disguido... (Si rimette a leggere).

Ufficiale postale              - Dicevo così per dire. Tu non conosci il servizio postale.

Anni                                - (sempre leggendo) Perciò ti ho cre­duto. (Alza gli occhi). Perché m'hai dato a intendere delle storie? (Legge).

Ufficiale postale              - (sorridendo) Che do­mande! Le cose sono andate come volevi tu... perché tu volevi... e adesso vengo a sapere che era per un altro!... Che tu... volevi restare qui ...per un altro!

Anni                                - (getta la lettera sulla tavola) Oh, an­diamo! Sei sciocco! Sei un bambino.

Ufficiale postale              - Sì...

Anni                                - Lo dovresti sapere, per chi voglio restare. Per chi lotto in questo modo. La mia pazzia... con te... da una settimana... non ti pare una prova sufficiente?

Ufficiale postale              - Ma questa lettera...

Anni                                - Bugie.

Ufficiale postale              - Scrive che lo vuoi spo­sare, quel giovane. Non hai letto?

Anni                                - E tu lo credi? Che cosa ne sa lui? Come può sapere chi amo, per chi non voglio partire? (Lo bacia). Il dottore si preoccupa dei suoi conti. Vedi quello che scrive!... Anche adesso mi ha fatto chiamare per dirmi che non è pagato da due settimane e io gli ho detto che se non paga il conte pagherà mia madre. Mia madre non è ricca, ma due o tre conti di una casa di cura, li può pagare. Ma ho avuto la disdetta che... è venuto a sapere che siamo povere... Lascia che mi sieda, ho le gambe che tremano. Che cosa dicevo?... Ah, che mia ma­dre avrebbe pagato... e allora... è venuto a sa­pere che... non è vero... Un ingegnere di Sussak... (È nervosa, non sa quel che si dice). Sai? è arrivato ieri...

Ufficiale postale              - E allora?

Anni                                - Ha dato cattive informazioni di me.

Ufficiale postale              - Che informazioni?

Anni                                - Ha detto che mia madre è alla mi­ seria. Che siamo di ottima famiglia, ma... vi­viamo della carità del conte. Ha raccontato che io lavoro alla fabbrica... quello che tu sai da un pezzo... E allora... un'operaia... non gli dà soggezione. Per questo ha scritto. Mi vuol cac­ciar via.

 Ufficiale postale             - La quinta spedizione che intercetto... e tu ami un altro.

Anni                                - Ma lascia andare!

Ufficiale postale              - Ma io non resisto più! Non resisto più! Finché ho creduto di essere io la ragione... ma adesso... adesso che so... non posso più...

Anni                                - (nervosissima) La vuoi finire?

Ufficiale postale              - No. Ho la testa che la­vora continuamente... perché voglio ricordarmi ogni minuto... Oh, mio Dio, come vedo tutto diversamente, adesso. Quando il dottore ha te­legrafato la prima volta... ti ricordi?... «Prego rispondere telegraficamente»... e tu sei scap­pata qui... la notte... per aspettare la risposta... e sapevi che io ero innamorato di te... e m'hai baciato, e m'hai detto che ti piacevo da tanto tempo... e... io... ho creduto d'impazzire per la felicità... E mentre eri qui con me, all'im­provviso l'apparecchio ha cominciato a batte­re... e la risposta è venuta... che il conte non avrebbe più pagato e che ti rimandassero su­bito a casa... E io... io... ho distrutto il tele­gramma... per non perderti...

Anni                                - Ti ho pregato io di distruggerlo.

Ufficiale postale              - Ma non per me! Per un altro! Adesso capisco tutto. Sei venuta per poter fare quello che volevi della posta. Per questo mi hai baciato, per questo mi hai fatto impazzire! per poter restare... coll'altro!

Anni                                - Mi fai una scena, adesso?

Ufficiale postale              - (piangendo) Come lo devi amare... per essere potuta arrivare a que­sto!... Per lui... darti... a un miserabile uffi­ciale postale!... Così, per lui

Anni                                - Che stupidaggini!

Ufficiale postale              - E io, povero scemo... che ho continuato... le lettere dell'ufficio del conte... che dovevano mandarti via... i tele­grammi del dottore... e la più tremenda... l'as­sicurata all'indirizzo del dottore... col biglietto e i denari per il viaggio... Raccomandate, assi­curate, telegrammi... cose sacre... tutto ti ho dato, tutto... solo perché tu rimanessi qui... per guadagnare ancora un giorno... ancora un altro giorno... E adesso vengo a sapere che tutti questi giorni... li ho pagati per un altro... a questo prezzo spaventoso. (Piange come un bambino). A questo prezzo... spaventoso... ho procurato quei giorni... a un altro...

Anni                                - Io amo te.

Ufficiale postale              - Come lo dici male!... Come menti male!

Anni                                - Te l'ho provato.

Ufficiale postale              - Come? Volevo lasciare il mio posto, mia madre, tutto, per portarti via... e tu non hai voluto. Adesso lo so, perché non sei venuta con me!

Anni                                - (si alza) Bisogna che vada. Sono ter­ribilmente nervosa. E se arrivo tardi per il pranzo, mi cercheranno. (Straccia la lettera a pezzetti). Devo correre a casa.

Ufficiale postale              - (la prende per un brac­cio) M'hai ingannato! Hai approfittato di me!...

Anni                                - E ti pare niente, che io sia diven­tata la tua amante? Ti pare niente? Non è una prova che tutto è stato fatto per te? Come? Dunque tu credi che io abbia potuto... darmi a te... per amor di un altro?

Ufficiale postale              - Sì, sì.

Anni                                - Allora non sai chi sono io! (Si stac­ca da lui violentemente).

Ufficiale postale              - Io... non so chi sei... tu? (Afferra una striscia telegrafica impressa che è sulla tavola. Si getta attraverso la tavola, sventolando freneticamente la striscia). Lo so... lo so chi sei tu!...

Anni                                - Che cosa vuoi dire?

Ufficiale postale              - Questa striscia... que­sta striscia...

Anni                                - Che cos'è?

Ufficiale postale              - Un telegramma del conte...

Anni                                - Per me?

Ufficiale postale              - No. Per il dottore. È arrivato stamattina. L'ho trattenuto.

Anni                                - Dimmi.

Ufficiale postale              - (leggendo la striscia, len­tamente) ce Due settimane manco notizie Anni Paoli. Se ancora costì prego rimandarla immediatamente. Porgo scuse vivissime confes­sando averla mandata curarsi sua villa sotto falsa generalità. È ballerina taverna porto»... (Si ferma, guardandola). Ballerina taverna porto!...

Anni                                - (con un grido) Avanti!

Ufficiale postale              - «Suo padrone ricorso polizia, ragazza ricercata presso di me, trovo-mi condizione spiacevole, affrettomi comunica­re verità declinando ulteriore garanzia. Prego perdonare capriccio romantico suo vecchio amico. Attendo risposta immediata. Jarak». (Pau­sa. L'Ufficiale straccia lentamente la striscia. Anni tace). È spaventoso. Io... so chi sei. E ti amo ancora di più. Cento volte di più.

Anni                                - (in silenzio gli accarezza la testa).

Ufficiale postale              - Andiamocene di qui... Via, lontano; con te, dove vuoi!

Anni                                - È impossibile.

Ufficiale postale              - Per quel giovane...

Anni                                - (violenta) Finiscila!

Ufficiale postale              - (ribellandosi) No! Tu lo ami! lo ami! Per lui fai tutto! Di me ti sei servita, e basta! Il tuo amante è lui! È lui il tuo vero amante! (Si alza minaccioso).

Anni                                - (intimorita) Sei pazzo?! Sì, una vol­ta... mi ha fatto una dichiarazione... Che cosa c'è di straordinario? Ma io non so che farme­ne! L'ho quasi schiaffeggiato!

Ufficiale postale              - Non ti credo, non ti credo più! Chi ti conosce?

Anni                                - (vuol abbracciarlo) E chi mi può conoscere meglio di te? Non sono venuta da te... la notte?

Ufficiale postale              - Non credo niente, non credo niente! Vieni perché hai bisogno di me! Ti credo soltanto se andiamo via... insieme... in America... Lascio tutto... faccio qualunque co­sa... lavo i piatti, lustro le scarpe, domando l'elemosina, rubo., purché tu sia con me... Ma se non vieni via con me... allora... la faccio finita! (L'afferra e la stringe a se impetuosa­mente). Perché non rispondi?

Anni                                - Stanotte torno. Allora ti risponderò.

Ufficiale postale              - Resta qui adesso. Re­sta con me... per sempre.

Anni                                - Non si può.

Ufficiale postale              - Torni stanotte? Giuri?

Anni                                - Giuro. (Bacio selvaggio che finisce in un singhiozzo. Anni singhiozza disperatamente, gridando, spezzando le parole, pestando i piedi come una bambina). Sono tornata... quella di prima! Sono tornata... quella di prima...

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

                                        -

QUADRO PRIMO

Il salotto del Sanatorio; la stessa sera, alle nove. Dietro la vetrata, la sala da pranzo illu­minata. Il pranzo è sul finire. Sulla scena c'è solo Rudi che passeggia su e giù, nervoso. Dopo un momento entra da sinistra Anni.

Rudi                                - (correndole incontro) Anni! Che cosa vuol dire? Non si è più fatta vedere...

Anni                                - Sono stata in camera.

Rudi                                - Oggi è successa una scena spiacevole, e io non ne so niente. Per l'amor di Dio, mi dica: che cosa è stato? Perché non è scesa nem­meno per il pranzo?

Anni                                - Non mi sentivo bene. Ho mangiato in camera, con Elisa.

Rudi                                - Ma l'ho cercata; non c'era in ca­mera. Mi hanno detto che era tornata alla posta...

Anni                                - Tornata...

Rudi                                - Tornata, sicuro.

Anni                                - Dovevo spedire un telegramma; l'uf­ficio si chiude alle sei, ho dovuto entrare per farlo accettare anche fuori orario.

Rudi                                - Farlo accettare... Perché l'ufficiale postale lo accettasse.

Anni                                - Rudi!

Rudi                                - Perché non è venuta a pranzo con noi?

Anni                                - Non ho più voglia di stare in mezzo a gente. M'hanno tolto la pace.

Rudi                                - Quell'ingegnere?

Anni                                - E il dottore.

Rudi                                - So che oggi, quando lei è salita, zia Mizzi ha rimproverato l'ingegnere di averla fatta piangere, e l'ingegnere ha risposto che la conosceva, e che lei voleva sostenere che non era possibile. E poi, a pranzo, se n'è ri­parlato; e adesso l'ingegnere dice che non la conosce. Ho domandato al dottore; ha alzato le spalle e m'ha detto di non occuparmene.

Anni                                - (dopo breve pausa) Sono nervosa. Mi sento tanto male.

Rudi                                - Anni, piccola cara... (Fa per avvicinarsi a lei, poi si ritira. Dalla sala da pranzo entra l’Ammiraglio, accendendo lentamente un sigaro).

Ammiraglio                     - Anni, cara, perché non è ve­nuta a pranzo?

Anni                                - Hanno sentita la mia mancanza?

Ammiraglio                     - Io sì, molto.

Anni                                - Non mi sentivo bene. Ho mangiato qualche cosa in camera.

Ammiraglio                     - Ma adesso è tutto a posto, spero.

Anni                                - (cade seduta) Adesso sì... tutto.

Rudi                                - È nervosa... molto nervosa.

Ammiraglio                     - Ancora la storia d'oggi? Ho sentito qualche cosa, ma non ho idea di quel che sia stato. Certo, qualunque cosa sia, ha ra­gione lei.

Anni                                - Vero? (Sorride).

Ammiraglio                     - (avvicinandosi a lei) Sempre. Mi vuol raccontare che cos'ha?

Anni                                - Certo. Ma non adesso.

Ammiraglio                     - Quell'ingegnere m'è riuscito antipatico alla prima occhiata!

Anni                                - Oh, l'ingegnere... Non ho nessuna ragione di averla con lui. Non è lui.

Ammiraglio                     - Chi è allora? Il dottore?

Anni                                - Piuttosto... (La porta a vetri si apre e rimane aperta. Nella sala da pranzo si vedono gli ospiti che si alzano da tavola. Sulla soglia Krintz, Conrad e alcuni altri parlano, ma non si sente quel che dicono). Io torno in camera...

Rudi                                - Perché?

Anni                                - Non li voglio vedere.

Ammiraglio                     - Anni, non deve essere così nervosa. Perché vuol scappare? Ci penso io a mettere tutto a posto. Lei resta qui. Chi ha mai visto una cosa simile?

Anni                                - Caro Ammiraglio... forse è colpa mia... sono troppo suscettibile... ma non mi sento di parlare col dottore e con l'ingegnere. Passerà. Domani. Non posso neanche guardare in viso quelle due care signore... chi sa che cosa credono adesso... non lo sopporto, se si mettono anche loro contro di me...

Rudi                                - Ma che discorsi sono questi? Met­tersi contro di lei? Che mistero c'è, qui sotto? Che cosa è stato? Qualche pettegolezzo? (La compagnia si avvicina).

Anni                                - Mi lascino andare, li prego. Ho l'im­pressione che mormorino sul mio conto. Non li voglio vedere.

Ammiraglio                     - Ma io non lo tollero! Va be­ne, se ne vada, se vuole, ma si fermi nella sala di lettura, e si metta a leggere qualche gior­nale, finché vengo io. Capito? E quando tutti saranno riuniti qui, la vengo a prendere e rien­tra con me. E vedremo se qualcuno oserà fia­tare. Vada, vada.

Anni                                - Com'è buono, lei! (Vorrebbe baciar­gli la mano).

Ammiraglio                     - (ritirando la mano) Bambina mia, è impazzita?

(Anni esce da sinistra).

Rudi                                - Sono preoccupatissimo. Questa po­vera creatura è diventata un'altra. Non l'ho mai vista così inquieta.

Ammiraglio                     - Ci penserò io.

(// dottor Conrad e Krintz si avvicinano. Sul­la soglia è la signora Pai, che poi entra con Mìzzi e l'assistente. Gli ospiti sì dividono. Al­cuni siedono ai tavolini di bridge, altri fumano).

Conrad                            - (continuando un discorso con Krintz) Ma non vedo perché lei deva partire. È ar­rivato stamattina. È assurdo!

Krintz                              - No, no: parto senz'altro domatti­na. Tornerò in autunno. Non posso restare, in queste condizioni. Anche le due vecchie signore mi guardano male. E il giovane amoroso, più che mai! Sono venuto per riposare, per rimet­termi dall'eccesso di lavoro; capisce che non sa­rebbe questo il modo... Doveva andare così, ecco.

Ammiraglio                     - (s'avvicina) Disturbo? Ci sono dei segreti?

Conrad                            - No, no... L'ingegnere ci vuol la­sciare.

Ammiraglio                     - Come? Se è arrivato oggi!

Krintz                              - Già, ma... sono stato richiamato telegraficamente...

Conrad                            - (per cambiar discorso) Eccellenza, ho notizie sensazionali per lei...

Ammiraglio                     - Cioè?

Conrad                            - Il Paraguay ha emesso una nuova serie di francobolli.

Ammiraglio                     - Questi piccoli Stati sono la disperazione dei collezionisti. Ogni mese una serie nuova! (Si allontana).

Signora Pal                      - (a Rudi) Dov'è Anni?

Rudi                                - Ha pranzato in camera. Credo che scenderà più tardi.

Signora Pal                      - Non si sente bene?

Rudi                                - È nervosa... inquieta... (accennando a Krintz) per quel...

Mìzzi                               - (a Conrad) Dottore, non volevo fare uno scandalo a tavola, ma se mi daranno un'al­tra volta un piatto di foglie verdi, invece di un pranzo come si deve, dimenticherò la mia buo­na educazione! Sono tre giorni che non si man­gia che erba, la sera!

Conrad                            - (ridendo) - Che cosa vorrebbe, in­vece?

Mìzzi                               - Io? Un bel gulasch, con molto pepe!

Conrad                            - Niente meno!

Mìzzi                               - Prenda pure nota che appena arrivo a casa, mi faccio fare un piatto di gulasch per primo pasto. Con due bei bicchieri di vino. Ho detto! (Si allontana. Alcuni ospiti siedono al bridge).

Signora Pal                      - (che è in piedi vicino a Rudi) Ingegnere Krintz, m'interesserebbe molto sapere qualche cosa di quel discorso che ha fatto tanta impressione alla nostra Anni.

Krintz                              - Mi perdoni, signora, ma non mi ritengo autorizzato a parlarne con terze perso­ne. Del resto, è una cosa senza interesse... e senza importanza.

Signora Pal                      - In una parola, rifiuta di dar spiegazioni.

Krintz                              - Se le suona meglio, diciamo che non do spiegazioni.

Mìzzi                               - (a Conrad) Dov'è Anni?

Conrad                            - Non lo so.

Mizzi                               - Perché non ha pranzato con noi?

Conrad                            - Dice che non si sentiva bene, e ha preferito farsi servire in camera.

Mizzi                               - Dica un po', dottore: non crede di parlare in un modo più... semplice, con me? Mi dica: che cosa c'è stato con quella figliuola?

Conrad                            - Io non lo so.

Assistente                        - (in capj bianca, a Rudi) Vuol venire a fare il quarto?

Rudi                                - (nervoso) Per ora, no. Grazie. (Si avvia nella direzione di Krintz).

Una signora                     - ((di'assistente) Non vive che per il bridge, lei?

Assistente                        - Tutt'altro! Cerco di far gio­care gli altri. Io debbo ancora andare in cinque camere. Aspetto che mi chiamino!

Signora                            - Allora venga a suonarci qualche cosa, invece!

Seconda signora              - Sì, sì, dottore, suoni un poco!

Un signore                       - Pianino, però!

Signora                            - Non abbia paura, suonerà pianis­simo! (Escono da destra. Si sente il pianoforte, con interruzioni, fino alla fine del quadro).

Rudi                                - (ha aspettato che Krintz finisse di par­lare con un ospite che lo lascia per andare al bridge. Appena Krintz è solo, gli si avvicina risolutamente e in tono moderato ma deciso) Lei ha detto a mia madre che non voleva dar spiegazioni.

Krintz                              - Sì, ho detto proprio questo.

Rudi                                - Però esigo che lei si spieghi con me.

Krintz                              - Con quale diritto, se è lecito?

Rudi                                - Senza motivazione. Esigo spiegazioni da lei.

Krintz                              - Mi lasci stare!

Rudi                                - Le faccio osservare che non tollero che lei...

Krintz                              - (interrompendolo con impazienza) Lei vorrebbe attaccare una questione con me,, ma l'avverto che non ci riesce.

Conrad                            - (avvicinandosi) Che cosa c'è?

Krintz                              - Questo signore... non so che cosa voglia da me. Gli ha detto qualche cosa, lei?

Conrad                            - Io? Le pare! ? (A Rudi) Che cosa vuole, lei, dall'ingegnere?

Rudi                                - (forte) È una questione personale fra l'ingegnere e me. (Gli altri ospiti ascoltano).


Signora Pal                      - (dal tavolino di bridge) Bra­vo! Hai fatto bene!

Conrad                            - Ma signora! Perché avrebbe fatto bene?

Signora Pai,                     - (deponendo le carpe; calma e decisa) Ha fatto bene perché io trovo che ha fatto bene! (Inquieta) Che cosa fa, la mia fi­gliuola? (L'Ammiraglio esce dalla porta della sala da pranzo).

Conrad                            - Signori... c'è un'atmosfera di ner­vosismo che non ha ragione di essere. In ogni modo, signora, mi permetto di pregarla di non assumere un atteggiamento così deciso, prima di sapere come stanno le cose!

Signora Pal                      - Che cosa vuol dire, con que­sto?...

Krintz                              - (a Mizzi, che gli è vicina, piano) Vede, signora Pai...

Mizzi                               - (interrompendo) Prima di tutto, non sono la signora Pai; e poi non bisbigli così, perché non ho segreti con lei!

Krintz                              - Ma non ho ancora detto niente!

Mizzi                               - Non c'è neppur bisogno di dir nien­te: basta andare in giro con quella faccia! Non mi risponda, la prego! L'ho vista e sentita oggi, quando ha fatto piangere la nostra figliuola. E ne ho abbastanza!

Conrad                            - Domando scusa, ma debbo pren­dere le parti dell'ingegnere. L'ingegnere ha...

Mizzi                               - Non deve prendere le parti dell'in­gegnere, lei, ma della ragazza. Questo è il suo dovere. Dio sa chi è, questo ingegnere, Dio sa cos'è e cosa vuole da quella ragazza, da quella povera creatura senza difesa, che è qui sola... Sicuro! Sicuro! Dalla sua parte, si deve mette­re, se non c'è nessun altro uomo che la difenda!

(Sulla soglia della sala da pranzo compare l’Ammiraglio con Anni al braccio. Si ferma un momento, poi conduce Anni lentamente attra­verso il salotto. Si fermano davanti a Krintz).

Ammiraglio                     - Sento che l'ingegnere parte domani. E desidero che prenda congedo dalla signorina Anni. (Un momento di silenzio).

Krintz                              - I miei ossequi, signorina.

(Anni gli stende la mano. Krintz la bacia, poi s'inchina davanti all' Ammiraglio ed esce dalla sala).

Mizzi                               - (avvicinandosi all'Ammiraglio) Ec­cellenza, mi permette una cosa?

Ammiraglio                     - Che cosa, signora?

Mizzi                               - Che le dia un bacio!

Ammiraglio                     - Con gioia, signora! (Si ba­ciano).

Mizzi                               - M'ha fatto bene! Erano cinquant’an­ni che non baciavo un soldato! Non dormirò, stanotte! (Si avvicina ai giocatori. Il dottor Con­rad si avvicina all' Ammiraglio).

Elisa                                 - (da sinistra; si avvicina ad Anni che parla con Rudi) Signorina Anni!

Anni                                - Che vuole, sorella?

Elisa                                 - Sono le nove e mezza... (Piano) L'ufficiale postale la prega di andare da lui, subito. Dice che è una cosa urgentissima! (For­te) È ora di fare l'impacco, e poi il bagno e a letto. Venga.

Rudi                                - Non può restare ancora un mo­mento?

Anni                                - No, Rudi. È meglio che vada a letto presto, stasera. Ho i nervi sottosopra. Buona notte. Arrivederci domattina.

Rudi                                - Al tennis.

Anni                                - Ma non tanto presto!

Rudi                                - No, no. Alle nove. Buona notte. (Si stringono la mano. Anni esce con Elisa. Rudi siede vicino alla madre e segue il giuoco).

Conrad                            - (all'Ammiraglio) Eccellenza, il suo gesto è stato bellissimo; ma credo di non sba­gliare se suppongo che nascondesse una piccola punta anche contro di me.

Ammiraglio                     - Infatti, è così!

Conrad                            - Allora debbo pregarla di permet­termi di giustificare il mio atteggiamento. Ci sono cose che debbo tacere davanti agli altri, ma che posso confidare a quattr'occhi a un gen­tiluomo. Lei, con la sua grande autorità, si è in certo qual modo fatto garante della signorina Paoli, ma mi permetto di dirle che, per far questo, avrebbe dovuto conoscere meglio la si­gnorina... e certe sue mire... Mi meraviglio che Sua Eccellenza...

Ammiraglio                     - (interrompendo) Lei non mi comprende. Io non voglio saper niente della signorina e delle sue mire. Ma la signorina è figlia di un mio camerata morto; e anche se io non l'ho conosciuto, ho il dovere di difendere sua figlia contro chiunque osi farle offesa. (Gli volta le spalle e si allontana. L'assistente entra da destra e si avvicina a Conrad).

Conrad                            - Adesso, poi, ne ho abbastanza! (All'assistente) La prego, chiami subito al tele­fono il conte Jarak...

Assistente                        - Subito! (Esce).

(Il palcoscenico si oscura).

QUADRO SECONDO

L'Ufficio postale. Un quarto d'ora dopo il quadro precedente. L'ufficiale postale è seduto con la testa fra le mani, davanti al tavolino dov'è l'apparecchio «Morse ». L'apparecchio batte lievemente. Nell'angolo della stanza siede un gendarme, con la baionetta in canna.

Dopo un momento entra Anni.

Anni                                - (si guarda intorno, impaurita) Buo­na sera.

Ufficiale postale              - (sussulta, si alza) Anni...

Anni                                - M'ha mandato a chiamare? Che cosa c'è? (L'ufficiale postale non risponde). Che cosa c'è? (L'ufficiale postale non risponde. Anni guarda il gendarme, poi l'ufficiale postale, poi di nuovo il gendarme. L'apparecchio « Morse » cessa di battere).

Ufficiale postale              - Il signor brigadiere è qui per me. Anni, sono in arresto. (Pausa). Debbo solamente aspettare l'impiegato che mi sostituisca, perché il servizio non subisca in­terruzioni.

(Lunga pausa).

Anni                                - (lo abbraccia dolcemente, senza parla­re) Signor brigadiere...

Gendarme                        - (si alza).

Anni                                - Vorrei parlare col signore...

Gendarme                        - Faccia pure...

Anni                                - No... dovrei parlargli a quattr'occhi.

Gendarme                        - Io non posso muovermi di qui, signorina.

Anni                                - Oh, lo faccia per me! Si metta a sedere nell'anticamera. Vede bene che non può scappare, alla finestra ci sono le inferriate... Sia buono.

Gendarme                        - (con dolcezza) Mi dispiace in­finitamente, signorina...

Anni                                - Sia buono... lo faccia per me... (Pia-zio, con angoscia) Io... sono la sua amante...

Gendarme                        - (esita un momento, poi esce).

Anni                                - Che cosa è successo?

Ufficiale postale              - (con voce strana, conte­nuta) Da parecchi giorni... ero sotto inchie­sta... non lo sapevo. Non avevano potuto appu­rare niente. Ma oggi pare che abbiano trovato qualche prova... non so... un'ora fa è venuto quel gendarme, per prendermi... c'è un man­dato di arresto contro di me... hanno mandato un impiegato della centrale... per sostituirmi... «ara qui da un momento all'altro... e allora mi porteranno via. Dieci minuti fa il dottore ha fatto chiamare al telefono... il conte Jarak... ma non ho trasmesso la chiamata. È il mio ul­timo regalo... per te. (Tace).

Anni                                - E poi?

Ufficiale postale              - Non c'è nessun «poi». È tutto qui. Dopo non c'è altro. Per me è tutto finito. L'unico pensiero che mi tormenta è che... metteranno di mezzo anche te... (Anni si strin­ge nelle spalle). Tu non conosci il servizio po­stale. Non sai che cosa abbiamo fatto... che cosa ho fatto. Sono cose che... appartengono al co­dice penale. (Gli si spezza la voce. Grande pau­sa. Poi voci di fuori).

Anni                                - Che cos'è?

Ufficiale postale              - Il gendarme... parla con qualcuno. (Ascoltano).

Anni                                - È la voce del... dottore...

Conrad                            - (bussa ed entra senza aspettar rispo­sta. Poi si volta verso la porta) Venga, venga. (Entra Rudi). Lo vede? Ho mentito? (Silenzio. Rudi rimane a testa bassa; il dottore cammina  su e giù, poi si ferma). Ha detto che andava a dormire. Infatti è andata a letto, ha anche ri­cevuto il dottor Tilling, ma sotto le coperte era vestita. E adesso, eccola qui. (Passeggia di nuo­vo, poi sì ferma). Se io fossi credulo come lei, non avrei fatto quello che ho fatto: da oggi ho fatto sorvegliare tutti i suoi passi. (Siede. Ad Anni) Dunque, l'ingegnere s'inganna ancora?

Anni                                - Sicuro. Una cosa non ha niente a che fare coli'altra...

Conrad                            - (scuotendo la testa) Niente a che fare!

Anni                                - Mando a mia madre dei telegrammi urgenti; anche prima di pranzo sono stata qui; e bisogna che abbia la risposta. Per i miei con­ti, sa bene...

Rudi                                - Lasci andare, Anni.

Anni                                - Perché devo lasciar andare? In che tono lo dice? !

Rudi                                - Lasciamo andare, Anni.

Anni                                - Che cosa vuol dire? Mi vien dietro di notte a spiare, mentre lei... dovrebbe pur sapere... (Si ferma perché capisce che ha detto troppo. Guarda l'ufficiale postale).

Ufficiale postale              - Io non so chi sia lei. Ma capisco che è quello... di cui Anni è in­namorata.

Rudi                                - Ma...

Ufficiale postale              - Non m'interrompa, la prego; non ho tempo per discutere. Quel gen­darme che è in anticamera, mi aspetta, signor Rodolfo, e mi porterà via; e allora resterà lei solo con questa ragazza.

Rudi                                - Il gendarme... lo porterà via?

Conrad                            - Vede, figliuolo, che non sono così male informato. Ma la gioventù non erede ne all'età, né all'esperienza, né all'onestà... Biso­gna che veda coi propri occhi. Questo disgra­ziato ragazzo ha mancato ai suoi doveri d'uf­ficio. Ora lei sa perché le lettere e i telegrammi non partivano. È già più di mezz'ora che ho fatto chiamare al telefono il conte Jarak, e la comunicazione non è ancora venuta. Probabil­mente la chiamata non è stata trasmessa.

Ufficiale postale              - No.

Conrad                            - Che cosa le dicevo io? Disgraziato! Questi favori ha fatto alla signorina!

Anni                                - Se mi ha fatto qualche favore, è stato per aiutarmi, perché è buono. Io non le per­metto di parlarne con quel tono sprezzante.

Rudi                                - Non si tratta di questo, Anni. Si trat­ta di ben altro. Adesso io non posso far niente contro questo signore... contro il suo amante!

Anni                                - Come? Che cosa ha osato dire?

Rudi .............................. - (continua più forte) Contro il suo amante, non posso far niente. Se ci fossimo tro­vati così, di fronte, ieri, avremmo sbrigato la faccenda come si sbriga fra due uomini. Ma non posso chieder conto a uno che è nelle mani dei gendarmi.

Ufficiale postale              - (balzando in piedi) Lei non ha da chiedermi conto di niente! Io, io potrei chiedere dei conti a lei!

Rudi                                - A me? Lei? Un malfattore?

Ufficiale postale              - (gridando) Per causa sua sono diventato un malfattore! Per lei ho rubato! non per me! I giorni, le settimane, l'a­more, tutto per lei!

Rudi                                - Come sarebbe a dire? Tu mi doman­di conto? Io non ti debbo niente! Sei stato pa­gato! Ti ha pagato la mia fidanzata! (Anni get­ta un grido. Rudi si slancia per uscire; il dot­tore vorrebbe trattenerlo; Rudi lo spinge da parte). No. Mi lasci andare! Non ho più niente da fare qui; (Esce. Pausa).

Conrad                            - (all'ufficiale postale) Povero fi­gliuolo! Lo conosco fin da quando era bambino. (L'ufficiale è sempre alla tavola e non parla). Povero figliuolo! (Gli accarezza i capelli. Si vol­ta ad Anni) Una cosa non capisco, cara... Come immaginava di poter continuare così? Non ci ha pensato, neppure un momento, prima?

Anni                                - No.

Conrad                            - Che cosa voleva?

Anni                                - Guadagnar tempo.

Conrad                            - Ma un giorno... due giorni... di­ciamo pure una settimana... e poi avrebbe fi­nito col venir tutto in chiaro!

Anni                                - Due giorni... un giorno... un'ora... è sempre... tempo.

Conrad                            - Una fantasia strana.

Anni                                - La sua fantasia... è una cosa; la mia fantasia... è un'altra.

Conrad                            - In una parola, lei continua a so­stenere che l'ingegnere Krintz s'inganna.

Anni                                - Sì. (Pausa).

(L'ispettore postale entra seguito dal gendar­me, che si mette in fondo).

Ispettore                          - (inchinandosi) Ispettore Masser.

Conrad                            - Dottor Conrad.

Ufficiale postale              - (alzandosi) Io sono... l'ufficiale postale.

Ispettore                          - Ispettore Masser. Lei sa perché sono qui.

Ufficiale postale              - Sì. Per assumere l'uf­ficio in attesa di disposizioni.

Ispettore                          - Appunto.

Ufficiale postale              - (lo conduce alla tavola e gli dà tranquillamente i fogli e i libri che vi si trovano) Queste sono le distinte. Queste le ricevute. Questi i registri; questi i francobolli; questi i conti di cassa; questa la guida.

Ispettore                          - Il registro delle raccomandate?

Ufficiale postale              - Eccolo.

Ispettore                          - Grazie. (Sfoglia i libri. Pausa).

Conrad .......................... - Il signor ispettore assume il ser­vizio?

Ispettore                          - Sì, signore.

Conrad                            - Io sono il dottor Conrad, direttore della casa di cura, «Villa Conrad». La casa di cura è autorizzata a domandare e a ricevere comunicazioni telefoniche a qualunque ora del giorno e della notte.

Ispettore                          - Lo so, dottore.

Conrad                            - Allora la prego di avere la cor­tesia di chiamarmi Sussak: il conte Jarak.

Ufficiale postale              - (all'ispettore) Numero 3841. Sulla linea 4 per Trieste.

Ispettore                          - Grazie. Chiamo subito. (Siede al telefono e parla con la centrale a voce bas­sissima. Intanto il dottore si avvicina ad Anni).

Conrad                            - Allora, figliuola?

Anni                                - (lo guarda).

Conrad                            - Ancora guadagnar tempo? Adesso può dire la verità. Non vai la pena di negare. Ormai, anche se tace, non può guadagnare che qualche minuto. Che cos'è qualche minuto?

Anni                                - È sempre qualche cosa. Anche un secondo è qualche cosa.

(Pausa. L'ispettore continua a comunicare, alzando e rimettendo a posto il ricevitore, al­ternativamente. Anni siede al suo posto, apati­ca. Il gendarme aspetta. Il dottore, appoggiato al muro, ogni tanto guarda l'orologio. L'uffi­ciale postale finisce di raccogliere libri e fogli dai cassetti. L'apparecchio « Morse » comincia a battere, poi tace. L'ispettore va a vedere la striscia. Poi si volta all'ufficiale postale).

Ufficiale postale              - Questo è il bollettino di consegna; questo è l'elenco dei pagamenti, ma non sono i moduli nuovi, non sono ancora arrivati, bisogna sollecitarli. Questo è il regi­stro dei libretti; questo l'elenco delle spedizio­ni. Non c'è altro.

Ispettore                          - L'elenco delle raccomandate me l'ha già consegnato?

Ufficiale postale              - Sì. Eccolo.

Ispettore                          - Grazie. (Siede esaminando i re­gistri).

(L'apparecchio « Morse » comincia a battere. L'ufficiale postale prende da un armadio il suo soprabito e il suo berretto, mette qualche pic­cola cosa in una valigetta, chiude l'armadio e resta in piedi col soprabito sul braccio, il ber­retto in una mano e la valigetta nell'altra. Sor­ridendo al gendarme).

Ufficiale postale              - Possiamo andare.

Gendarme                        - (si inchina e fa un passo).

Ufficiale postale              - (si ai vicina al dottore) A rivederla, dottore.

Conrad .......................... - A rivederci, figliuolo. (L'apparecchio « Morse » tace. Il dottore abbraccia l'uffi­ciale, gli accarezza i capelli) Domattina vado da tua madre. Hai un avvocato? (L'ufficiale pian­ge in silenzio, non può rispondere). Non pian­gere, figliuolo. Hai un avvocato?

Ufficiale postale              - (sempre sul petto del dot­tore) No.

Conrad                            - Ci penserò io. Per tua madre non ti preoccupare. Ci sono io. (Con voce commos­sa) Va', figliuolo.

Ufficiale postale              - (fermandosi davanti ad An­ni) Addio, Anni.

Anni                                - (senza muoversi) Addio.

Ufficiale postale              - (s'avvia verso la porta, fa­cendosi forza).

Gendarme                        - (saluta militarmente) Buona notte.

Conrad                            - Buona notte.

(L'ufficiale e il gendarme escono. Pausa. Si­lenzio. Anni non si muove. L'ispettore mette in ordine i fogli. L'apparecchio a Morse » bat­te, poi tace. Il dottore guarda l'orologio. An­cora un momento di silenzio. Poi il campanello del telefono. L'ispettore si alza, va al telefono e parla sottovoce nel ricevitore: « Pronti, pron­ti », ecc. Poi riattacca il ricevitore. Dopo un momento il campanello suona nuovamente. L'ispettore riprende il ricevitore, mormora qualche parola, poi depone il ricevitore sulla tavola, si alza).

Ispettore                          - Dottore, ecco... Chiamano!

(Anni, stremata di forze, esce lentamente).

Conrad                            - (al telefono) Pronto... Il conte Jarak?... II dottor Conrad di Unterbach... Sì, la prego. Mi faccia parlare col signor conte, personalmente... Sì, grazie, aspetto.

(Il palcoscenico si oscura).

QUADRO TERZO

La camera di Anni alla casa dì salute. Came­retta bianca, mobili laccati, telefono. A destra, in fondo, porta della camera da bagno. Le un­dici di sera. Mezz' ora dopo il quadro prece­dente.

(Anni in veste da camera, è stesa sul letto. Elisa è seduta vicino al letto e piange silenziosamente).

Elisa                                 - Vuole qualche cosa, tesoro?

Anni                                - Non voglio... niente. (Pausa).

Conrad                            - (in cappa bianca, entra dopo aver bussato. Piano) Dorme?

Elisa                                 - No. Sta con gli occhi chiusi.

Conrad                            - (guarda a lungo Anni) Sta meglio?

Elisa                                 - Si è un pochino calmata.

Conrad                            - Le ha dato la valeriana?

Elisa                                 - Certo.

Conrad                            - Quante gocce?

Elisa                                 - Quindici.

Conrad                            - Fra mezz'ora può dargliene altre quindici. (Anni stende la mano al dottore. Con­rad gliela prende) Figliuola, dovrebbe svestirsi e mettersi a letto per bene, non così.

Anni                                - (piano) Ha parlato... con... Sussak?

Conrad                            - Sì.

Anni                                - (ritira la mano. Pausa) Col conte?

Conrad                            - Sì. (Pausa). Non pianga, figliuola. Il conte mi ha parlato con tanta comprensione... con tanta bontà... È un uomo straordinario... Mi ha raccontato tutto. Non ha ragione di agi­tarsi, figliuola. Avrà biglietto, danaro, tutto quello che le occorre. Domattina, con la sorella Elisa, preparerà le valige, e a mezzogiorno par­tirà. Anche per lei deve essere un sollievo al­lontanarsi... di qui... da queste persone... E il conte l'aiuterà. Non abbia paura, nessuno le darà noia. Deve partire tranquilla. (Piccola pausa). Ed io le do la mia parola d'onore che qui nessuno saprà niente di quello che m'ha telefonato il conte. Il suo ricordo, qui, sarà sempre puro, dolce; lei resterà la nostra cara, simpatica, coraggiosa malatina. Per tutti.

Anni                                - (piano) Per le mie... per le mie due mamme?

Conrad                            - Sicuro.

Anni                                - E l'ammiraglio?

Conrad                            - Non saprà niente. Sarebbe peccato distruggere le illusioni di un uomo come quello. Non abbia paura, io sono medico, so custodire un segreto. Non siamo come gli altri uomini, noi... in generale li prendono alla leggera, i se­greti, e se anche non li tradiscono con le pa­role... basta un'occhiata involontaria... un ge­sto... un movimento... ci sono degli uomini che muovono perfino le orecchie... Ecco che ha sor­riso, la mia figliuola... Adesso si metta tran­quilla e dorma. Domattina ci rivedremo. L'ac­compagnerò io alla stazione. (La bacia in fron­te). Buona notte.

Anni                                - (piano) Buona notte.

Conrad                            - (a Elisa) Invece della valeriana, le dia un «Sedormid», così dormirà meglio.

Elisa                                 - Va bene, dottore. (Il dottore esce. Silenzio. Curvandosi su Anni) Vuole qualche cosa, tesoro?

Anni                                - Un bagno caldo... ma tanto caldo... Così mi calma. (Si alza a sedere sul letto). Lo sa preparare così bene, lei, il bagno!

Elisa                                 - Sì, tesoro. Lo preparo subito. (Va nella stanza da bagno e fa scorrere l'acqua. Anni si leva le scarpe e le calze e si mette le pantofole. È sempre seduta sul letto. Pausa. Elisa, dalla camera da bagno) È a trentotto gra­di, tesoro.

Anni                                - Grazie, Elisa.

Elisa                                 - E ci resterà venti minuti.

Anni                                - Sì. (Pausa). Elisa!

Elisa                                 - Che cosa vuole, tesoro?

Anni                                - Non si dimentichi il sonnifero. Vor­rei tanto... dormire profondamente!

Elisa                                 - (entrando) Come può pensare che me lo dimentichi, tesoro! Vado a prenderlo subito. Il bagno è pronto» (Esce).

(Anni entra nella stanza da bagno e lascia la porta semiaperta. Pausa. Elisa en­tra con una scatoletta).

Elisa                                 - Ecco il « Sedormid». Ne metto due pasti­glie sul tavolino. (Rimette la scatoletta in tasca). E a-desso le rifaccio il letto. (Lentamente rifà il letto e intanto parla a intervalli). L'ingegnere parte domattina presto. Non mi piace niente quell'uomo... Lunedì parte quel caro ammiraglio... e poi i signori Exer e il signor Goriano. Poi se ne vanno tutti e continuano a venir­ne dei nuovi, e tutto cam­bia; solo noi siamo sempre quelli: dottori e infermie­re, sempre noi... In una casa di cura la vita è così... Ecco, il suo lettuccio è ri­fatto. Le porto la carnicina da notte? (Nessuna rispo­sta). Tesoro, posso venire a portarle la carnicina da not­te? (Nessuna risposta). An­ni... posso entrare? Anni!... (Nessuna risposta. Elisa, spa­ventata, depone la camicia e corre nella stanza da bagno lasciando la porta aperta. Pausa. Silenzio assoluto. Poi Elisa esce, sconvolta, muta e corre al telefono. Piano, rapidamente) Un medico... al ventitré... immediatamen­te. (Depone il ricevitore e corre di nuovo alla camera da bagno. Pausa. Il dottor Conrad accorre, si guarda intorno, corre nel bagno. Lunga pausa. Poi Elisa esce lentamente, siede su una sedia vicino alla porta del bagno e singhiozza sommes­samente. Pausa. Poi il dot­tore compare sulla porta della camera da bagno e fa un gesto che significa: «Non c'è più niente da fare »).

FINE