L’arrivista

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L’ ARRIVISTA

ovvero

IL NANDO DEL 15º KM

Di Carlo Terron

RACCONTO PER TEATRO IN TRE ATTI

PERSONAGGI

NANDO, benzinaro, però già con la “600 Fiat”

FULVIO, barista. L’uno e l’altro al servizio di...

LIGABO’, gerente della stazione di servizio al 15ºKm

MIRKO, pittore, bravissimo a rifar gli altri

PIERGIORGIO, figlio di papà, un principe del Foro di Milano (suo padre, beninteso, non lui)

TULLIO, figlio di un altro papà:

il... GALLUZZI, forniture igienico-sanitarie, reddito concordato: 155 milioni, padre anche di...

GABRIELLA, detta economicamente LELE, anni ventitré

ELSA, figlia di un terzo papà del ramo liquori

ELSA, proprietaria della Galleria antiquaria “La cantina”

EDDA, un’altra della compagnia; naturalmente possiede un fratello Benito

NANDA, sorella di NANDO

UN TALE, che pronuncia poche parole e sarebbe meglio che non ne pronunciasse nessuna

DUE INNAMORATI, alla maniera di Giorgio Gaber, che ne pronunciano ancor meno e sono troppe anche quelle

L’unico punto della storia da lasciar saviamente in ombra è se si sia trattato dell’autostrada dei laghi, oppure dell’autostrada del sole, o, anche, chissà mai, quella dei fiori. Le autostrade che fanno capo a Milano sono sei o sette. Libero, ognuno, di scegliere quella che più gli garba, tanto già il significato non cambia. E dire che sarebbe una curiosità così facile da togliersi. Una cinquantina, almeno, di quelli lì, in platea, conoscono bene quale fosse. Non tanto, magari, per esperienza diretta – in tal caso, si scenderebbe a venticinque, ammesso che la normale proporzione dei sessi, in platea, sia pari – certamente per sentito dire, e una buona percentuale sarebbe anche disposta a farlo. Ma, dacché il protagonista è saltato da un pianerottolo all’altro, si vuol dire ha cambiato stato e quindi professione – degna di indagine psicanalitica la sua gioia, fin da piccolo, nel salire le scale – tanto ha perso di sfacciataggine e spregiudicatezza, quanto ha acquistato in riservatezza e suscettibilità, tendenze, del resto, potenzialmente possedute già prima, e non gli si può dar torto: ad ogni ceto la propria regola. Son cose per le quali ha sempre posseduto un istinto innato. È uno che ha sempre guardato in su. Lui, esempio, nullatenente, votava i partiti dell’ordine. Ad esser troppo precisi, insomma, c’è da rischiar querela e, d’altra parte, non sarebbe che legittima difesa. E, con lui, ancora ancora, anche se era meno antipatico quando era più mascalzone, anzi, allora, era decisamente simpatico. Ma non c’è soltanto lui. Se lui ha potuto fare il dritto, molto è dipeso da chi non ha potuto far a meno di lasciarglielo fare e anche quando, come capita nove volte su dieci, vincitori e vinti diventano amici e alleati, la resa si lascia sempre dietro qualche sbavatura di rancore attaccabrighe in cerca di soddisfazione da sfogar su terzi. L’impasto giusto, in altre parole, si potrà avere alla prossima generazione a beneficio di chi avrà la malinconia di scrivere la commedia dei figli dei figli. Ecco i pericoli a cui ci si espone col promuovere la cronaca provvisoria al rango di letteratura stabile. E allora, legittima difesa per legittima difesa e letteratura per letteratura, sotto ad imbrogliar le carte, quel tanto che basta, e non di più, per lanciare il sasso senza rimetterci la mano. Anche perché, siamo giusti, episodio limite indubbiamente, quello del NANDO non è, poi, un caso né isolato né troppo paradossale. In quanti mai modi, proporzioni, esiti, ardimento e fantasia, palese o nascosta, insospettabile o sospetta, dacché, faticosamente ma a passo di carica, l’eguaglianza dei sessi s’è messa a correre gomito a gomito con l’eguaglianza sociale, l’arrampicatore sessuale va diventando un personaggio di prima fila sul palcoscenico di questa italica società, fluida ed evanescente fin che si vuole, ma non priva di divertimento; lo sbaglio, semmai, è di insistere a raccontare seriamente una realtà che è soltanto comica; questo è un paese dove niente si fa sul serio, ma guai aver l’aria di voler scherzare. Non si vede, quindi, a ragione, a diritti pari, perché dovrebbe rimanere esclusivo privilegio di usucapione della donna, precluso all’uomo, ciò che, in ultima analisi, si identifica in un’arma di difesa. Ecco quel che si chiama un campo ancora vergine, benché, dato l’argomento, vergine, forse non sia la parola più adatta; diciamo: ancora tutto da arare, spalancato a delle indagini statistiche i cui risultati potrebbero stupire soltanto i ciechi e i siciliani. Ci si può credere sulla parola quando si garantisce che la più facile delle inchieste non impiegherebbe mezza giornata a stabilire che, ormai, il numero dei poveri giovanotti illusi, sedotti, goduti e abbandonati, con o senza gratifica di licenziamento, non è inferiore al numero delle ragazze che subiscono la stessa sorte, con lo sgravio, oggi, per la seduttrice, del minor rischio e delle minori conseguenze; e con l’aggravio, per il sedotto, di quel tanto di deprezzamento di mercato che l’operazione inevitabilmente si tira dietro, per le ripercussioni, non fosse altro in forma di umiliazione personale e di ridicolo sociale, proiettate sul declinato ma pur sempre resistente orgoglio del maschio; mentre, scomparso l’antico disonore, nel caso della vittoriosa e vindice femmina, dopo il danno, si va sempre più attenuando anche la delusione, che, del resto, può sempre contare sulla anacronistica consolazione degli arcaici residuati di solidale comprensione e compassione della gente: gratifica morale che non toccherà mai all’uomo, e Dio non voglia, se del caso, sarebbe non miele bensì aceto sulla piaga del ripudiato. Ormai non c’è ragazza abbandonata che, esposto dai giornali il suo incidente, non trovi subito un ottimo partito; fate il caso corrispondente del giovanotto e poi sappiateci dire. E allora, quando, capito il gioco, dopo averne valutati i pericoli e calcolati i vantaggi, presentatasi l’occasione favorevole, uno la sfrutta fino in fondo, senza scrupoli, a proprio pro, adottando la strategia dell’abile generale che, in condizioni d’inferiorità, accetta una sconfitta inevitabile per tendere un’imboscata al nemico, passando all’offensiva da posizioni migliori anche se più arretrate, vogliamo chiamarlo un profittatore? O non sarebbe più umano e giusto dire un pioniere? Nel progressivo ed inevitabile slittamento del giudizio dal primo al secondo di tali due sostantivi è contenuta una non trascurabile fetta del progresso dei prossimi decenni. Lo si può giurare e non è, poi, nemmeno una gran scoperta. In fondo, il problema a che si riduce? A un semplice scambio delle vecchie parti. Mettete Armando al posto i Margherita e Margherita al posto di Armando e “La signora dalle camelie”, a patto, beninteso, che la partita venga spostata dal sentimento al senso, torna a diventare la commedia più attuale del secolo, tanto già, se si getta l’amo in fondo a quel gran buco che si chiama anima, tutto quel che si riesce a pescare è il sesso o poco più. Basta. Il quindicesimo chilometro, niente di speciale, né grandezze, né lussi, è però comodo in vari sensi, letterali e figurati. Per chi arriva: una frenata, un caffè al banco, un gettone e un colpo di telefono: fra un quarto d’ora sono a casa, butta giù la pasta. Per chi parte: il pieno di benzina, un’occhiata all’acqua e all’olio e via. Stazione di servizio. Si fa per dire. Il distributore della Shell, il baretto a dieci passi e due persone in tutto: il NANDO  alla pompa e il FULVIO alla macchina dell’espresso: dipendenti, a percentuale, col gestore a Milano ad ingrassare. Si fa vivo ogni paio di giorni, un quarto d’ora, per i conti ed intascar l’incasso. Giudizio, ragazzi, fatevi gli affarucci vostri ma senza esagerare; fin che non so niente, niente da dire. D’inverno è grigia, nella nebbia, un cliente ogni paio d’ore e pile di “Gazzette dello Sport” – unico diversivo – accumulate sotto il banco; ma da aprile ad ottobre, tutta un’altra musica. Intanto, il bosco, a mezza schioppettata, fresco ed ombra, con la gibigianna, delle fronde di tutti quei mobili pioppi adolescenti che danno vento anche quando non c’è, a farti il solletico addosso, e par di muoversi pur se si sta fermi dopo che ci si è dati da fare. La notte, meglio ancora, senza doversene star col cuore in gola e le ossa ingarbugliate come l’uomo serpente, chiusi in una macchina alla mercé dei sottoproletari immigrati, dediti alla rapina a mano armata, in attesa di un posto all’Alfa Romeo; tanto, in caso di emergenza, se non c’è il FULVIO a far urlare “Milord” sullo jukebox, fino ad arrivare in galleria, non c’è pericolo che non giunga il doppio fischio del NANDO, e uno ha tempo di farsi trovare a posto e in piedi, qualsiasi cosa stesse facendo, si trattasse di sottane o di pantaloni, e potersi dichiarare amico del fresco e basta. Ma capiterà una notte su mille, quelli del buoncostume hanno il loro bel daffare in città. Così, nei mesi caldi, è una mezza processione. Fatto il carico a viale Maino o a corso Sempione o al Vigorelli, quando non si è già in compagnia, in dieci minuti uno è sistemato e, poi, si respira anche un po’ d’aria pura in questa Milano avvelenata. Che, se ci si vuol risparmiare anche la fatica della scelta, c’è sempre il FULVIO in grado di rimediare col telefono, per ogni gusto; e intanto che si aspetta la merce motorizzata, chi vuole può far quattro salti sotto la luna, tanto già gente allegra lì ce n’è sempre. Anche queste, alla fine, son percentuali; per quanto, alla prudenza ed anche a una certa bulla malagrazia del NANDO, ciò non vada troppo a genio; e niente del tutto qualche traffico sottobanco del FULVIO. Passi per le svizzere di contrabbando ché farla al Monopolio è un civico dovere; ma la volta che ebbe il sospetto di veder passare da una mano all’altra qualcosa molto più piccola, incartata come le polverine del farmacista, gli spaccò la faccia senza neanche spiegargli perché; e certi tipi con una certa cera da telegramma, che avevano cominciato ad apparire e scomparire nelle ore bastarde come fantasmi con la febbre, cambiarono giro. Così se, ora, quello, li continua a rifornire, lo farà quando smonta dal servizio, ma lì no. Il NANDO, ha, anche lui, i suoi giri e le sue ore, però certa gente o troppo giù perché è troppo giù, o troppo fuori perché è troppo fuori, l’ha sempre tenuta alla larga. Chi si prende confidenza con lui bisogna che lui gliel’abbia data e che l’interesse a non far chiacchiere sia reciproco. La conoscenza del motore viene di rinforzo al possesso di un maschio fisico di proletario dai modi educati e signorili, in grado di portare, con eguale disinvoltura, la tuta azzurra e la camicia bianca: due risorse in una, specie con queste tediate signore confindustriali e queste agre ragazze senza timor di Dio che hanno lo spider prima ancora di riuscire a distinguere il cambio dal freno a mano e, se vogliamo, in un certo senso, è una risorsa anche codesta. Quando sta in vena, e a ventisei anni, con due spalle così e quei capelli da mulatto, esclusa l’influenza, vorrei vedere i giorni che non lo fosse; e se gli è simpatica, capace anche di mettersi alla guida e, in un quarto d’ora di lezione, andata e ritorno, farle provare che tutto funziona facile e bene, basta solo toccar le leve giuste, mandandola a casa soddisfatta, senza che suo marito o i suoi genitori sappiano chi devon ringraziare di vedersela restituita meno nervosa del solito e fare tutto un sonno senza bisogno del tranquillante. È accaduto fra l’estate e l’autunno, un anno fa.

ATTO PRIMO

Oggi pomeriggio, primo settembre, giovedì, trascorse di una decina di minuti le sei, qui, nel bar, fra un temporale e l’altro, non è passata molta gente. In questo momento, oltre al FULVIO, dietro al banco e a cui la “Gazzetta dello Sport”, aperta davanti, non impedisce di gettare, ogni tanto, sguardi di ricognizione, fuori, verso il distributore della benzina che dal suo posto può veder bene, ci sono soltanto due anemici e patetici viaggiatori, maschio e femmina, portatori, in volto, delle stimmate di un preciroco innamoramento, platonico fino all’indecenza, oppure lascivo fino allo struggimento? Nessuno può dirlo, tanto già, al giorno d’oggi, i segni esteriori sono i medesimi, e anche una volta, probabilmente, del resto ciò ha poca importanza. Stanno in piedi, presso il juke-box, ognuno, naturalmente, con la sua inevitabile Coca-Cola in pugno, ascoltando intensamente una di quelle irreparabili canzoni parlate, lente, stracche e interminabili, che trattano di amore e di miseria incoercibili, con copia di precisazione economiche e toponomastiche, concernenti generalmente la zona fra Porta Romana e Ticinese, e una particolare predilezione per gli incontri alle fermate dei tram della linea 13 e 25. Più volte, il FULVIO li ha gratificati di qualche sguardo dove la pazienza professionale non esclude una vaga ostilità contingente; e sempre, dopo o prima di loro, non ha mancato di gettare un’occhiata all’orologio sopra la scansia, specie in occasione di un paio di rabbiose strappate di clacson, provenienti evidentemente da un’automobile ferma fuori, da un bel po’. Finalmente, l’ultimo ritornello (“...E’ poco quel che ho. – Ma basterà, però – Ad acquistar, lo so – Un letto ed un comò”) suggella, sulle labbra dei due, un sorriso grondante di sogni, e la musica cessa di disturbare il frusciante rumore delle macchine che procedono veloci sull’autostrada. Senza fretta, si avviano, si fermano davanti al banco, depongono i bicchieri, lui paga e lei domanda.

LEI                           -  Conosce mica, per cortesia, la casa discografica che ha messo in vendita la canzone di poco fa?

FULVIO                  - Spiacente.

LUI                          - Ci sarà pure su l’etichetta, no? E fa per tornare indietro.

FULVIO                  - Escluso. E se c’è, tanto non si vede. Mandano qui la macchina già con tutti i dischi infilati in pancia, bella e sigillata.

LEI                           -  Vuol dire?

FULVIO                  - Stitica come una cassaforte. Fregare un centone, lì dentro, è più difficile che svaligiare la Banca d’Italia.

LUI                          - Naturalmente. È un brevetto americano.

FULVIO                  - Gente che non si fida.

LEI                           -  Grazie lo stesso.

FULVIO                  - Sera...

LUI                          - Sai cosa facciamo? Telefono io, domattina, in ufficio, alle Messaggerie Musicali, gli canto il motivo, e, a mezzogiorno, te lo faccio già trovare a mensa, sotto il tovagliolo.

LEI                           -  (dopo essersi alzata in punta di piedi per dargli un bacetto riconoscente sulla guancia) Così la Beruti crepa dalla rabbia. Escono, raggiungono la loro utilitaria e non se ne sentirà più parlare. Ciò non toglie che, nei prossimi vent’anni, non contribuiscano copiosamente all’incremento demografico della Lombardia. Accertatosi che siano partiti,

FULVIO                  - va al juke-box, preme i tasti necessari e fa esplodere “Milord”. Evidente che si tratta di un segnale di via libera, perché pochi secondi dopo, entra

UN TALE                - molto su, elegante con una certa eccentricità vistosa, forse giusta e simpatica in un giovanotto sotto i trenta, certo un po’ stonata ed equivoca in un uomo sopra i quaranta, per giunta vagamente insicuro e palesemente ansioso. Appena lo vede comparire,

FULVIO                  - abbassa il volume della musica e torna dietro il banco. È una scena che potrebbe svolgersi in silenzio, tanto ciò che dicono, salvo la cautela, non ha né significato né vigore particolari.

QUEL TALE           -Stavo fuori da un quarto d’ora.

FULVIO                  - Ho sentito.

QUEL TALE           - S’era detto alle sei in punto.

FULVIO                  - Colpa di quei due rompiballe che non si decidevano a levarsi dai piedi. Nel parlare, si è chinato sotto il banco a frugare e a prendere qualche cosa. Il tempo occorrente all’altro per tirar fuori dalla tasca dei pantaloni un mazzetto di carta moneta.

QUEL TALE           - Dieci da dieci. D’accordo? E si vede gettar sul banco, una dopo l’altra, delle innocenti bustine da caffè. Una, due, tre, quattro e cinque. Stanno, ciascuno, allungando la mano verso la propria merce e non fanno in tempo ad andar più in là che è già entrato violentemente il NANDO.

NANDO                  - Acqua, olio e gomme tutto a posto. Giù l’osso! Una sberla sulla mano del FULVIO            e un’altra su quella del cliente. Poi, piglia su un foglio da diecimila, di quelli che erano stati messi sul banco e, secco, dandolo al collega: Spiccioli. L’altro, torvo, glielo cambia, alla cassa, in cinque biglietti da mille e uno da cinquemila, più uno da mille. Il resto. Agguanta le altre nove banconote rimaste e gliele caccia in una tasca della giacchetta. Questi qui se li ripiglia e li offre a Sant’Ambrogio per grazia ricevuta. E al bicarbonato ci penso io. Consiglio da amico: non farsi più vedere da queste parti, nemmeno in caso di terremoto. E, passando, accelerare; o, meglio ancora, cambiar autostrada. Ciò dicendo si è impossessato delle bustine. Ora, il FULVIO, non fosse altro, per salvare la faccia, si decide a reagire, esce dal banco e tenta di strappargliele.

FULVIO                  - Tu ti fai i fatti tuoi, capito? Ma uno sberlone lo getta contro il banco.

NANDO                  - Buono! Che son anche fatti miei. Ostia di un Dio, per finire tutti in galera! (schiaffeggiandosi una guancia) Guardatela bene questa faccia, se la volete conoscere. Il sottoscritto non ha né tempo, né voglia di farvi compagnia a San Vittore. Chiaro?

FULVIO                  - Tu non pensarci.

NANDO                  - E invece ci penso. Ho il terzo occhio sulla nuca, io. Non penso che a quello, guarda un po’! Qualcosa in contrario? Ed ora guarda. S’è diretto verso un inequivocabile uscio, lì vicino, che ha su dipinti, tre zeri in fila una sbarra per traverso.

QUEL TALE           - (fermandolo quando ha già la mano sulla maniglia, non si sa se più spaventato o più implorante, lo sforzo è pietoso) Son senza da ventiquattr’ore.

LEI                           -  non può capire.

NANDO                  - Non si preoccupi, capisco anche troppo. Succedeva, tale e quale, a mio nonno, più economicamente, con la grappa, prima di crepare a Mombello.

QUEL TALE           - Almeno una. Sento che mi piglia una crisi.

NANDO                  - (un viso crudele, tutto silenzioso, solo di denti. Rivolto a FULVIO)  Se ora gli dico: fallo fuori che te le dò tutte, capace che ti spedisce all’altro mondo a bottigliate in testa... Si soffre, eh?! Vedi un po’ perché uno si deve sentir tirare i nervi. (Improvvisamente, gli getta una delle cartine che l’altro afferra famelico) Mica buon cuore. Solo tanto per evitare la crisi qui, che sarebbe scomodo. Gratis. Offre la casa. E ora: tela! Girare al largo. A duecento all’ora, visto che si possiede una fuoriserie che li fa. Con tanti auguri di fracassarsi l’osso del collo e una croce sopra. Scompare, un momento, nello stanzino, donde si sente lo sciacquone dello scarico... Quando ricompare, l’altro s’è dileguato. Abbiamo inventato le bustine del caffè. Si fanno progressi. Ora passiamo a brevettare l’idea e poi la si presenta alla Fiera Campionaria: la streppa espresso.

FULVIO                  - Sei fortunato che son più debole e più vigliacco di te.

NANDO                  - No, tu non sei più vigliacco, sei soltanto vigliacco. E fesso. Vigliacco e fesso, che è la peggiore combinazione.

FULVIO                  - Dì un po’, piuttosto; e il centomila, adesso, chi lo rimette? Son mica sbruffoni come te, quelli.

NANDO                  - Li mandi da me i tuoi grossisti. Ci parlo io. Li voglio vedere in faccia.

FULVIO                  - Gli fai la paternale?

NANDO                  - No. Gli dò dei fessi anche a loro.

FULVIO                  - Ho sloggiato da casa a quindici anni per levarmi la tutela del vecchio, ed era mio padre. Sì che, adesso, a ventiquattro, mi vengo a mettere a balia da te! Cosa sono, per caso, tuo fratello, mi passi uno stipendio, ti faccio da leccapiedi, vengo a letto con te?

NANDO                  - Questi son gusti che lascio alla tua ghenga. Per il momento niente da fare. Puoi sempre sperare in seguito. Per me, puoi, pure, metterti a svaligiare le banche, a dir messa fra i binari del tram, ad uscire in mezzo alla strada e farti stendere dal primo camion che passa e io non muovo un dito. Io non penso che a me.

FULVIO                  - Si vede che ti vuoi bene.

NANDO                  - Tanto!

FULVIO                  - E allora, tu fatti i fatti tuoi e, me, lasciami fare i miei.

NANDO                  - Fin che tu stai qui e io sto là, i fatti tuoi sono anche i fatti miei.

FULVIO                  - Parliamoci chiaro.

NANDO                  - E’ quello che sto facendo. La prima volta, ti ho rotto la faccia, la terza piglio il telefono.

FULVIO                  - Chiami il principale e mi fai licenziare. Sai che perdita! Puoi risparmiarti il gettone. Stasera o domani è qui a fare i conti. Gli spifferi tutto e ti aumenta anche il salario per fedeltà all’azienda con la promessa di farti socio.

NANDO                  - No no. Telefono ad un altro numero. Non ti faccio licenziare, ti faccio impacchettare. Liscio. Questione chiusa.

FULVIO                  - Tutto per il mio bene.

NANDO                  - Per il mio.

FULVIO                  - Carte in tavola. Cos’è tutta stà manfrina? Vuoi anche tu la tua parte, vuoi entrare nel giro anche tu? L’altro non ha fretta di rispondere. S’è andato a versare un aperitivo e lo sta bevendo, senza seltz, così è più forte. Cosa pretendi, si può sapere? Ci vuoi stare? Io ti conosco come le tue mutande... Mica me la dai ad intendere a me.

NANDO                  - Bravo, se mi conosci, dovresti aver annusato che odore ho.

FULVIO                  - E’ perché mi pare d’averlo proprio annusato che non mi torna perché ti scandalizzi tanto.

NANDO                  - Il tipo capace di scandalizzare me ha ancora da nascere.

FULVIO                  - E’ ben quello che ho sempre pensato.

NANDO                  - Solo non voglio correre tanto così di rischio. Ti torna, adesso? Fin che sono i liquori, i Longines o le svizzere sottobanco, niente da dire. Fregare il monopolio è un dovere nazionale e il fumo dà più gusto... Male che vada, finisce con la condizionale e la non iscrizione. Ma quella roba lì, no.

FULVIO                  - (quasi cordiale) Dritto come sei, con tutte quelle cretine che filano le bave per la tua bella faccia e vengono a far benzina nella speranza di caricarti in macchina, con la scusa di farti controllare il motore, si potrebbero far soldi a carrettate. Basterebbe fargliene provare il gusto una volta sola e poi ci restano. Ci hanno tutti la tendenza e i mezzi, quella gente lì, te lo dico io.

NANDO                  - Quelle sono già abbastanza calde per conto loro e, in quanto al gusto, avrebbero più da perderci che da guadagnarci a cambiarlo, ho idea.

FULVIO                  - Figurarsi, con un drago come te!

NANDO                  - Modestamente, so quel che mi dico. Del resto, non sono io che le vado a cercare. E, tanto perché sia chiaro: a me mi cerca solo chi voglio io che mi cerchi.

FULVIO                  - E’ diventato, si può dire, un distributore per sole donne.

NANDO                  - Perché, è proibito dal codice della strada? In compenso il bar rischia di diventar un bar per soli uomini, così la divisione del lavoro è completa.

FULVIO                  - Ti disturba l’opinione della gente, adesso?

NANDO                  - Mi disturba l’opinione della gente.

FULVIO                  - Che lussi!

NANDO                  - Me li paghi tu?

FULVIO                  - Cosa credi, che ci sia poi molta differenza fra le mie bustine da caffè e i tuoi giretti in auto con le clienti che saldano venti litri di benzina con diecimila lire e il resto mancia?

NANDO                  - Enorme. I milanesi sono generosi, tutti lo sanno.

FULVIO                  - Ma non per essere fatti cornuti.

NANDO                  - E che cosa posso farci io se, in questo momento, vanno di moda le tute? Mai chiesto niente il sottoscritto. Io so solo che se non mi rigiro un paio di donne durante il giorno, la notte dormo male e la mattina mi sveglio col mal di testa. E questo si chiama esser sani, normali ed invidiati.

FULVIO                  - Resta da stabilire se sei tu a rigirare loro, o loro, te.

NANDO                  - Ognuno approfitta delle situazioni che trova o si difende come può. Non sono stato io a combinare il mondo in un certo modo. È così? Mi ci rannicchio dentro e cerco di starci meglio che posso, coi maggiori vantaggi possibili. Ma rispettando le regole del gioco.

FULVIO                  - Che sono abbastanza larghe per starci comodi.

NANDO                  -  Tanto di guadagnato. Ciò dovrebbe facilitare i movimenti.

FULVIO                  - Tre pasti al giorno e due donne!

NANDO                  - E’ la mia razione. Di meno mi ammalo.

FULVIO                  - Hai detto niente!?...

NANDO                  - (dopo un po’, riflessivo) Tu facci caso: oggi, quelli giù guardano in su...

FULVIO                  -  Come non ci avessero sempre guardato. Bella scoperta...

NANDO                  - Sì. Ma quelli su han cominciato a guardare in giù. Questa è la novità.

FULVIO                  - E allora?

NANDO                  - Ricordarsene... Ricordarsene e tenersi pronti.

FULVIO                  - Bisogna sapere come e fino a che punto guardano in giù, e dove sono disposti ad incontrarci.

NANDO                  - Si sta a vedere.

FULVIO                  - Attenzione a non farsi venire il torcicollo.

NANDO                  - Disturbo da poco.

FULVIO                  - Letto e polverina. Non si va più in là. Oltre, scatta il dispositivo di sicurezza.

NANDO                  - Si sta a vedere, ti dico. L’altro ridacchia fra sé, va al juke-box e mette in moto un ballabile in sordina; ci fa su anche qualche passo di danza e, senza il minimo residuo di rancore, anzi affettuosamente.

FULVIO                  - Metà e metà?... Tanto per dare una occhiatina in su, visto che il collo ti tira da quella parte.

NANDO                  - (ricambiando la cordialità. Son da tanto tempo amici e si conoscono talmente in fondo!) Quando si dice aver deciso di non capir niente!

FULVIO                  - Scrupoli?

NANDO                  - Buonsenso.

FULVIO                  - O paura?

NANDO                  - Diciamo: prudenza.

FULVIO                  - Cosa t’ha preso, la malattia dell’onestà?

NANDO                  - Anzi il contrario, guarda un po’!

FULVIO                  - Ah sì?! E questo ti fa diventare moralista?

NANDO                  - Sono tanto poco moralista che, per mio conto, figurati, potrei aprire uno spaccio in piazza del Duomo e drogare tutta la Lombardia, senza che la mia coscienza faccia una piega. Mettitelo bene in testa: il mio colpo, se mi capiterà di farlo, io lo voglio fare dall’altra parte e una volta per tutte.

FULVIO                  - Vale a dire?

NANDO                  - Da quella giusta. Col codice, il Vangelo, la Bibbia, la morale e il resto, tutto dalla mia.

FULVIO                  - Non è che se, domani, leggiamo sul giornale che hanno assaltato la Montecatini, sappiamo subito chi ha fatto il colpo?!

NANDO                  - La Montecatini, vedi, sta dalla parte sbagliata. Ed esce, ché un clacson ha già chiamato un paio di volte.

FULVIO                  - (dopo aver messo a tacere la canzone) Quello lì deve essere convinto d’avere la Cassa di Risparmio nei calzoni. Vengono dentro

TULLIO                  - e ELSA. Una decina di anni di differenza a vantaggio di

LUI                          - che ne deve avere non molto più di venti; e il contrasto esistente fra un tipo vagotonico e uno simpatico-tonico; in parole povere ma comprensibili: fra chi lascia fare e chi si dà da fare, aiutandosi con un turbante, dei capelli tinti in blu ed un involto, né grande né piccolo, da dimenticare in qualche posto e si saprà in seguito il perché.

ELSA                       - Salute, FULVIO! Il solito veleno della solita fermatina.

FULVIO                  - Per due?

ELSA                       - Per due.

TULLIO                  - E se io, per esempio, avessi voglia di una camomilla?

ELSA                       - Mancherebbe altro. E chi ti recupera più, poi? Hai bisogno del montacarichi in condizioni normali, figurarsi dopo una camomilla. Per tirarti su, ti ci vuole il carro attrezzi!

FULVIO                  - Allora, diciamo: un Negroni e una camomilla.

ELSA                       - No no: due Negroni.

FULVIO                  - Vuol dire che, quando si saranno messi d’accordo, mi mandano un telegramma. Io son qui.

TULLIO                  -  E se facessimo due camomille? Mi sa che la indovineresti a cominciare a farne uso. Forse, ti distenderebbe un po’ il temperamento.

ELSA                       - Mai bevuta camomilla in vita mia. Se comincio con la camomilla, invece di venti pastiglie di simpamina al giorno, me ne occorrono cinquanta. Scombinerei tutto il mio bilancio.

TULLIO                  - ( verso FULVIO) Per non dormire.

LEI                           -  è l’Insonne, l’eterna sentinella. Il sonno, dice, si porta via metà della vita. E così, quando non ha altro di meglio, passa le sue notti a leggere libri di vampiri. Si eccita con la paura. In economia. Ha l’hobby dei vampiri.

FULVIO                  - Ma se, poi, il vampiro non arriva?

TULLIO                  - Bè, sai uno si aiuta con la fantasia.

LEI                           -  lascia la finestra aperta e si sente la coscienza a posto. Peggio per il vampiro se non passa da quelle parti. O meglio, gusti suoi.

FULVIO                  - (interessato) Come ha detto? Simpamina?

TULLIO                  - Famosa. Sin da quando studiava a Brera e le serviva a tener sveglia, la notte, la compagnia, per istruirla sulla pittura informale e sul teatro di Brecht. Per portarsi a letto le matricole non c’è niente di meglio.

FULVIO                  - Cos’è? La cocaina dei poveri?

ELSA                       - Fa conto. Io lavoro, FULVIO. Sono una proletaria come te, mica una figlia di papà come i miei amici.

FULVIO                  - Cos’è che fa, la barista anche LEI?

TULLIO                  - No, LEI fa l’antiquaria a trucco. Alimenta il proprio conto in banca, fregando i borghesi per mantenersi fedele al suo ideale progressista.

FULVIO                  - Come sarebbe?

TULLIO                  - Per esempio spara a pallini contro i comò nuovi e poi li vende come fossero delle nostre nonne, facendoseli pagare quattro volte tanto.

ELSA                       - I tarli costano.

TULLIO                  - Vorrai dire i pallini.

FULVIO                  - Meno male fin che impallina i comò.

TULLIO                  - Sì, ma vedi, l’istinto dello sparare a zero fa parte del suo carattere. Il suo ideale sarebbe sparare ai comò con gli uomini nei cassetti, chiusi a chiave.

ELSA                       - Levami una curiosità.

TULLIO                  - Agli ordini, cara.

ELSA                       - C’è caso che tu abbia chiesto una camomilla perché ti senti troppo spiritoso?

TULLIO                  - Vuoi dire?

ELSA                       - Fa attenzione che, poi, non ti venga il mal di testa.

FULVIO                  - Allora, cosa servo?

ELSA                       - Facciamo due whisky, così nessuno ha l’impressione di cedere.

FULVIO                  - LEI cosa ne pensa?

TULLIO                  - Vada per due whisky.

FULVIO                  - Non c’è neanche gusto a scommettere. Finisce sempre così.

TULLIO                  - Così, cosa?

FULVIO                  - Io lo sapevo già. Son sempre loro che decidono.

TULLIO                  - Loro, chi?

FULVIO                  - Le donne: il cosiddetto sesso debole. E va ad occuparsi delle consumazioni, mentre, da fuori, si sente il rumore di un’automobile che parte.

TULLIO                  - (che guarda oltre i vetri) Volevo ben dire, la EDDA, tutta la sua insistenza per far sosta. Il solito giretto col NANDO.

ELSA                       - Purché non mi sciupino il Gobelin.

TULLIO                  - Così, ora, si dovrà anche star qui chissà quanto ad aspettarla.

FULVIO                  - Di solito, fanno presto. Il

NANDO                  - è veloce.

ELSA                       - Tanto, già, dobbiamo aspettare anche tua sorella col PIERGIORGIO, no?

TULLIO                  - Dovrebbero essere già arrivati. Venivano dietro a noi.

ELSA                       - Generalmente, in macchina, quando si baruffa, si rallenta.

TULLIO                  - Perché tu, ti intendi anche di questo?

ELSA                       - Ho fatto di quelle baruffe, in macchina, io, che una volta, i primi tempi, col MIRKO, quando aveva ancora un po’ di spina dorsale, appena venuto su dalla Sicilia, geloso come un saraceno, siamo arrivati senza una portiera. Come se la spina dorsale non fosse stata

LEI                           -  a sfilargliela!

TULLIO                  - Un’emiliana e un siciliano, hai capito la combinazione?

ELSA                       -  La migliore, per l’unificazione degli italiani. Garantito. Una pausetta da poco.

TULLIO                  -  Vorrei che il Giorgio le rompesse la faccia, a quell’egoista, guarda.

ELSA                       - Io vorrei che fosse

LEI                           -  a rompergliela a lui, pensa un po’.

TULLIO                  - Figurarsi se, tra voi, non vi tenete mano.

ELSA                       - Ma cosa pretende ancora, quel mollusco sentimentale?

TULLIO                  - Forse soltanto di non essere usato come uno straccio e via.

ELSA                       - Tua sorella ha avuto fin troppa pazienza, te lo garantisco io.

TULLIO                  - Se lo garantisci tu è come avesse parlato la Sibilla. S’è già mosso il

FULVIO                  - con le consumazioni e il suo zelo si spinge fino a porre in mano a ciascuno quella che gli compete.

FULVIO                  - Questo è doppio. ( Lo dà a LEI) E questo è semplice, con uno schizzo d’arancia e un grano di caffè. E questo è un toast, penso che ne avrà bisogno.

ELSA                       - Sei pieno di delicatezze, tu. Quasi quasi, mi faresti venire un sospetto.

FULVIO                  - Non ci rinunci.

ELSA                       - Sta a vedere che non mi ero sbagliata.

FULVIO                  - Adesso non si dia delle arie. La scoperta dell’America è stata molto più difficile.

ELSA                       - Te ne vanti, anche?

FULVIO                  - No. Mi difendo. Ci difendiamo.

ELSA                       - Da che?

FULVIO                  - Dalle nostre nonne, dalle nostre mamme, dalle nostre sorelle, dalle nostre mogli, dalle nostre amiche: da quella parte del genere umano che spara a pallini contro l’altra, in parole povere.

ELSA                       - Cosa sei di simpatia,

FULVIO!

FULVIO                  - Mi càpita sempre quando mi ritrovo di cattivo umore. Allora, mi ricordo d’aver fatto le scuole serali e vien fuori tutta la mia virilità rientrata.

ELSA                       - Ti salterei al collo.

TULLIO                  - Ed è capace di farlo.

FULVIO                  - E’ meglio che non si provi. Non ci ricaverebbe un gran che.

ELSA                       - Non si può mai dire. E, in questi casi, non c’è soddisfazione che li paghi.

TULLIO                  - La vertigine dell’impossibile.

FULVIO                  - Lo so. Oggi va di moda. Spiacente.

ELSA                       - Si tratta dell’ultima parola?

FULVIO                  - Ultimissima.

TULLIO                  - Se disturbo, esco a far due passi.

FULVIO                  - Avrei creduto di trovar maggior solidarietà. Si vede che mi ero sbagliato. Torna, contrariato, dietro il banco.

ELSA                       - ( dopo in po’. Intanto finiscono di bere) Allora, che si decide? Telefono?

TULLIO                  - Io, stasera, avevo una mezza idea di andare alla boxe!

ELSA                       - Chi c’è?

TULLIO                  - Loy contro quel negro, come si chiama? Un gigante. Quarantotto incontri, quarantotto vittorie per knock-out.

ELSA                       - Meglio ancora. Prima si va alla boxe. Ho voglia, anch’io, di farmi pettinare un po’ i nervi, assistendo a una bella pestata. Deciso?

TULLIO                  - Tanto già, sarebbe deciso lo stesso.

ELSA                       - Vedi che era sconsigliabile prendere la camomilla.

TULLIO                  - A me, la camomilla mi dà corda, figurati.

ELSA                       - Tu sei tutto a rovescio. Va al telefono e chiama. Sta a vedere che hanno già tirato giù la saracinesca... “Sì, io, ELSA... non chiamarmi padrona, bestia! Te l’ho detto cento volte! Cosa facciamo, del feudalesimo?... Passami il MIRKO... E va bene, sveglialo... Ah, dì un po’: il Longhi almeno, l’ha finito?... Il Longhi, il Longhi, quello schifo di Alessandro Longhi: 1733-1813: un suo collega, un pittore del tempo antico... Neanche presi in mano i pennelli. Era prevedibile. Attende l’ispirazione... Dài, mandamelo al telefono”. (Verso TULLIO) Tre mesi che se lo ricama, dieci minuti al giorno. E oggi, via io, nemmeno quelli. Dorme. Quando lo appiopperemo al Triulzi, non sarà più una crosta del Settecento scoperta in una vecchia villa veneta, ma un capolavoro contemporaneo messo all’asta da Bagutta a favore delle opere assistenziali... E dire che, se volesse, sarebbe in grado di rifar Giorgione!... “Viene?... Ah sei già lì?... Sì, io, e chi, sennò?... Sei in grado di capire, o hai bisogno, prima, di andarti a mettere la testa sotto l’acquedotto?... Ne sei sicuro?... (Come una schioppettata) Sei per otto?... E, invece, quarantotto: quarantotto, non cinquantatré... Ma già, i numeri tu li sbagli anche da sveglio... e fossero soltanto i numeri. Vatti a rinfrescare, va... Come vuoi... Visto che le cose vanno per le lunghe, mentre

LEI                           -  continua, il

TULLIO                  - si avvicina al barista, paga e poi gli fa segno che si ritira un momento per lavarsi le mani, si fa per dire. Che c’entra? Niente. Ma così, assicurano i maestri del neorealismo, riesce più naturale. E allora, stammi a sentire... Sì, qualcosetta, ma dopo aver girato per quasi duecento chilometri, meno male che eravamo in compagnia... Ma dài...: il

TULLIO                  - e sua sorella, la

EDDA                      - e il PIERGIORGIO... Ti telefono dal quindicesimo chilometro... T’ho detto di sì... In un granaio, sepolto sotto le patate... Cambio merce. Nelle campagne è sempre più facile... Un arazzo mezzo mangiato dai topi... Topi d’epoca, credo, a giudicar dai buchi... Fa molto antico. Ce n’è uno al Poldi-Pezzoli, guarda... Siamo lì...; un trumò mancante due cassetti e una coppia di pistole del Seicento, una priva di una canna, l’altra del grilletto. Ci facciamo un attaccapanni...Tutto per il solito Marelli a diciassette pollici, senza secondo canale... No. L’antenna se la installano loro... Ma cosa c’entra tutto questo? non fai che far perdere tempo... Mi senti?... E allora, accendi e poi fai attenzione... Ci sei?... Stanotte, il

TULLIO                  - dorme con noi... Con con...No, mica: da: con... Ecco, bravo. Meno male che, fino a tre, riesci a contare. Speriamo... Fatti onore... Prima, però, si va insieme alla boxe. Chissà che, quella, non ti tiri su la pressione. Cosa dici? Parla più forte, sembri in agonia... Un arabo, ecco quel che sei... Andare alla stazione a veder arrivare il mostro di Garbagnate, ammanettato fra i carabinieri?... Ma no!... A che ora lo sbarcano?... Forse facciamo in tempo... E sennò, andremo a vederne arrivare un altro, uno di questi giorni. Non c’è abbondanza che di mostri... Sì sì, capisco. Vorrà dire che invece della madre, la nonna, la moglie e tre sorelle, avrà sbranato il padre, il nonno, il marito e tre fratelli... Ah, già, il marito non è possibile peccato... Ma a che capostazione è venuto in mente di farlo arrivare alla stessa ora dell’incontro di Loy?!... Sempre rinunce. Pazienza... Saremo lì prima delle sette. Tu datti da fare, facci trovar qualche cosa da cena... Lì, in negozio, si fa più presto. E, intanto, comincia a vestirti... No! Contrordine! Appuntamento alla tavola calda della Centrale. Purché il treno arrivi in orario, ce la facciamo. Se riusciamo ad infilarci anche il mostro, mi sa che si riesce a mettere insieme una serata passabile... Ciao, ciao...”. (Credendo di rivolgersi verso TULLIO  - che, invece, sta per fare la sua riapparizione dal lato opposto) Eh, ma abbiate pazienza, con voialtri, è come trascinare un macigno fin sul monte Bianco!... Dov’è? E’ fuggito?

FULVIO                  - Niente paura.

TULLIO                  - Son qua, son qua.

ELSA                       - Ah!... Forse non ci si è fatto caso, ma, fuori, deve essersi fermata un’altra automobile, e piuttosto violentemente, a giudicare dallo stridore della frenata. Infatti, scura in volto e accigliata, senza che ciò guasti la sua agra bellezza bruna, un po’ dura e vorace, entra GABRIELLA, detta confidenzialmente LELE, per quanto poco il grazioso nomignolo le si addica, ma è uso del suo ambiente. Uno, viceversa, a cui il proprio nome si addice tutto intero e, più lungo è, più fragile e morbido risulta, è l’emozionato PIERGIORGIO, il giovanotto che la segue: poco più d’un adolescente, però drammatico in volto, come avesse il doppio della sua età. Senza dir niente,

LEI                           -  si va a sedere in un angolo e non smetterà un momento di fumare; lui, altrettanto silenzioso, raggiunge il juke-box, ci traffica dietro e ne fa uscire qualcosa sul tipo patetico e mormorato. I presenti non hanno parlato. Subito, quasi automaticamente,

TULLIO                  - si avvicina all’amico e lo sta ad osservare.

LELE                       - (dopo un po’) Tanto per saperlo, faceva parte del programma anche una sosta dedicata a un concerto?

ELSA                       - Si aspetta il ritorno di EDDA.

LELE                       - Pure?!

ELSA                       - Sarà qui a momenti. Le si avvicina e le parla, breve ma fitta, all’orecchio.

LELE                       - (non partecipe, anzi piuttosto infastidita) Come una macchina a gettone. Me l’hai già detto. Sai che divertimento!

ELSA                       - Chiamala una comodità da poco!

LELE                       - Questione di gusti.

ELSA                       - LELE, non farmi venire il nervoso. Sai come la penso. Non si può parlare di ciò che non si conosce.

LELE                       - Non farlo venire tu a me. Mi trovi proprio al momento adatto.

ELSA                       - Aspetta a vedere e poi giudica. Tu, dopo ogni scenata col PIERGIORGIO, diventi intellettuale, non so capire.

LELE                       - Se m infilo una lampadina tra le dita, guarda, giuro si accende. Figurati se ho voglia di condividere i tuoi entusiasmi nel genere carburanti.

ELSA                       - (un’occhiata significativa, là, verso la macchina ammazzamusica) Almeno qui si va per le spicce, senza creare complicazioni.

LELE                       - Ognuno si regola come crede.

ELSA                       - Che ti devo dire? Per me l’odor di benzina ha qualcosa di afrodisiaco. Prova. Due parti di colonia e una di benzina. È sorprendente. Io, sempre... Provi?

LELE                       - No.

ELSA                       - Che ti costa?

LELE                       - ( al fratello) TULLIO... Ma

LUI                          - o non ha sentito o non gli va di rispondere.

LELE                       - ( più forte) TULLIO. Sei diventato sordo, o lo fai apposta?

TULLIO                  - Bè?

LELE                       - Ti fa niente cedermi il tuo posto in macchina con

ELSA                       - e tu prendere il mio su quella del Giorgio?

PIERGIORGIO      - Le faccio schifo, capisci?

ELSA                       - Ma cosa vuoi farle schifo? Son cose che si dicono. Se ne dicono tante fra una dormita e l’altra.

PIERGIORGIO      - Bene.

LEI                           -  non ha neanche bisogno di dormirci su.

TULLIO                  - E io ti dico che dovresti essere tu ad aver schifo di

LEI                           - .

LELE                       - Allora?

TULLIO                  - Ma sì, ma sì, certo. Risparmiati la fatica. Lo accompagno io.

PIERGIORGIO      - Io non ho bisogno di essere accompagnato da nessuno. Ho solo bisogno che mi lasci stare.

TULLIO                  - E io ti accompagno lo stesso.

ELSA                       - Cosa lo accompagni? Tu ti devi trovare, alle sette, alla Stazione Centrale.

TULLIO                  - A far che?

ELSA                       - Ad assistere all’arrivo del mostro di Garbagnate fra due carabinieri. Te ne eri dimenticato?

TULLIO                  - Perché, con le tue aderenze, sei riuscita ad ottenere un colloquio intimo, in cella, per festeggiargli la condanna?

ELSA                       - Purtroppo, il nostro non è ancora un paese abbastanza civilizzato da pensare ai bisogni fisiologici dei giovani nostri condannati all’ergastolo. Dico bene?

TULLIO                  - Che vuoi farci? Da noi, la pianta dell’assistenza sociale sta mettendo appena le prime foglioline. Devi aver pazienza.

ELSA                       - ( persuasa, probabilmente, di contribuire ad un alleggerimento dell’atmosfera) Tu, che idea hai del disfattismo di tuo fratello?

LELE                       - A te, ELSA, mancherà tutto, ma non si può dire che ti manchi il tatto.

ELSA                       - Oh, sapete cosa vi dico? Cominciate a seccarmi le scatole.

TULLIO                  - Sta buona che, alla boxe, dopo, ci vediamo. Non ci perdi niente.

ELSA                       - Ma che bisogno c’è di complicare la serata. Noi ci si stringe un po’ e il Giorgio, a Milano, ci arriva da solo. Probabilmente, lo preferisce anche lui.

PIERGIORGIO      - Proprio così.

ELSA                       - Lo vedi?

TULLIO                  - Tu non te ne incaricare. Il Giorgio, a Milano, ce lo porto io, punto e basta.

ELSA                       - Mio Dio, ragazzi, è scoppiata la guerra? Per un po’ si tace e si lascia alla musica il vano compito di rasserenar l’atmosfera.

TULLIO                  - ( inaspettato ed esplosivo) Giorgio, sei un cretino!

PIERGIORGIO      - Hai scoperto l’acqua calda. Lo so. Da farci su le fotografie e vendere la mia faccia alla “Rinascente”: fesso nato.

TULLIO                  - E smettila con questa lagna. Decapita di colpo la canzone e, quasi con risentimento, prendendolo per il bavero della giacchetta. Cosa fai adesso? Ti metti anche a piangere? Le vuoi dare pure questa soddisfazione? Sei senza dignità. Hai idea la figura che fai?

PIERGIORGIO      -  Altro, se ho idea? Come mi vedessi al cinematografo, tale e quale, guarda, grande così.

TULLIO                  - Per quella degenerata là! Ma non l’hai conosciuta ancora?

ELSA                       - Dico, se poi non parlasse di sua sorella, chissà cos’altro ci sentiremmo raccontare.

FULVIO                  - ( dal banco) Serve niente?

ELSA                       - Ma sì, porta un paio di cognac. Chissà che non aiutino a raddrizzare la navigazione.

FULVIO                  - Vuol dire?

ELSA                       - Si può sempre tentare, no? All’improvviso, d’impeto,

PIERGIORGIO      - attraversa la stanza e investe convulsamente l’amica imperturbabile, fra la sorpresa generale che impedisce di prestare attenzione al ritorno del NANDO. Il quale, senza scomporsi, i gomiti tesi dietro, appoggiati al banco, sta ad ascoltare. Lo ha preceduto EDDA, una bionda che somiglia a qualcun’altra, e si accosta, con aria interrogativa, al gruppo delle donne.

PIERGIORGIO      - Ci sono forse entrato io, al Forte, di notte, in camera tua? Mi sono infilato io nel tuo letto? Ero io che, al largo, sott’acqua, ti sfilavo, da sotto, il costume da bagno? Rispondi. Dì: sono stato io a venirti a cercare, che neanche m’ero accorto che esistevi?...

ELSA                       - E di che ti lamenti se ti ha fatto diventare uomo? Non l’avesse mai detto. Prima ancora di poter finire, l’hanno raggiunta due ceffoni del TULLIO, uno per guancia. Ah!... E poi dicono che la solidarietà esiste soltanto fra donne. (Più stupita che offesa: inequivocabilmente contenta) Averlo saputo prima! Ma lo sai che tuo fratello possiede una sberla da far girare la testa? Ed io che dubitavo della sua virilità.

PIERGIORGIO      - ( senza quasi essersi interrotto) Ore, così: muta. Un posto vuoto che fuma. Non mette neanche più conto che se ne parli. Lo trova tempo perso. Liquidato! Perché, poi, si scopre che se ne è avuto abbastanza. Non va più. Tutto finito come è cominciato. La ragione? Mah!... Cambiata pelle. Preso e mollato. Ci provo schifo, ti senti dire; cercatene un’altra. E, uno, volta pagina e ricomincia. Tanto, già, non sono quelle pronte a farti passare che mancano. Disposta, magari, a trovarmela

LEI                           -  la sostituta. Favori che ci si scambia. Ne sappiamo qualche cosa, tutti, in compagnia. E mica reagisce, mica risponde niente! E sì, dico, ci siamo lavorati abbastanza, ci si è dato dentro! Ci conosciamo bene, noi due, centimetro per centimetro, sotto la camicia; ne abbiamo fatte di cose con queste mani!...

TULLIO                  - (cercando di trascinarlo fuori) Smettila, Giorgio. Andiamo, che, poi, ti senti male.

ELSA                       - A rischio di un’altra sberla, visto che non parla

LEI                           - , devo dir qualcosa io. (A PIERGIORGIO, essa con didascalica condiscendenza, LUI         - con aggressiva emotività) Abbi pazienza. Ci sei andato a letto? Che volevi di più?

PIERGIORGIO      - Forse volevo solo non andarci subito. E, quando ci fossi andato, che fosse un’altra cosa.

ELSA                       - Oh bella, quale per esempio?

PIERGIORGIO      - Non so, non so. Non così, ecco, un’altra cosa.

ELSA                       - Come se ci fossero diversi modi di andare a letto.

PIERGIORGIO      - E invece ci sono, può darsi, ci devono essere.

ELSA                       - Perché, così, ti accorgi adesso che non ti andava?

PIERGIORGIO      - Mi andava, mi andava anche troppo. Forse, ecco, era quello. Non vi preme niente altro. Mi andava troppo e, dietro non c’era a altro... “Che ora abbiamo fatto!... dammi una sigaretta...è tempo di rivestirsi... Ci si vede domani... Ora tale...”. Niente altro, c’era!

TULLIO                  - ( scuotendo sua sorella) E dì qualcosa, vedi come si è ridotto?

LELE                       - Gira al largo, tu e lui, è meglio. Mi date il voltastomaco tutti e due. PIERGIORGIO... Una vacca, ecco cosa sei, una vacca e basta!

TULLIO                  - E dài, vieni via. L’ha tirato fin quasi sulla porta.

ELSA                       - Del resto, che ci si poteva aspettare da uno che scrive ancora poesie con la rima?

TULLIO                  - Su, vieni. Vieni, ti dico! Ma per riuscirci deve portarcelo quasi di peso. Né il

NANDO                  - né il

FULVIO                  - si son mossi.

ELSA                       - lo ha seguito sull’uscio e gli grida dietro.

ELSA                       - Alla boxe. Non dimenticartene. (Ritorna sui propri passi come non fosse successo niente, e, all’amica) Stasera dorme fuori. Tu, avverti i vecchi. E cerca, per piacere, di non dimenticartene anche tu. Sennò, capaci, le mummie genitrici, di farlo cercare dalla questura. Cose da matti.

EDDA                      - Bè, posso essere messa al corrente: cos’è successo di preciso?

ELSA                       - Niente, figlia mia, hai sentito, abbiamo recitato il rosario.

EDDA                      - Cosa pretende ancora?

ELSA                       - E’ ben quello che ci domandiamo tutti.

EDDA                      - Per un flirt balneare, guarda che cagnara mette giù. Ma da che secolo ci è stato conservato?

ELSA                       - Far mente locale: queste cose càpitano nel settentrione. E poi ti senti dire che siamo evoluti. Mitteleuropa! Abbiamo la Sicilia in camera e non lo sappiamo, questa è la realtà!

EDDA                      - Antidiluviano, parola d’onore. Deve aver la sensibilità di un bidello della “Cattolica”!

ELSA                       - Tu non dir male dei bidelli. Reazionaria!

EDDA                      - Non parlo di quelli di Brera.

FULVIO                  - ( ma LUI          - che c’entra? Bè, c’entra)

LEI                           -  scusi, si chiama EDDA, vero?

EDDA                      - Cos’è, una novità?

FULVIO                  - Naturalmente, disporrà di un fratello che si chiama Benito.

EDDA                      - Perché, è proibito? Contemporaneamente,

LELE                       - ad

ELSA                       - : “Passami le sigarette, le mie le ho finite”. E mentre Otavia: “Non hai fatto che fumare da quando sei arrivata”, prima che l’altra le risponda: “E che dovevo fare? Prenderlo a sberle?”, NANDO, senza muoversi dal suo posto, le getta il pacchetto delle sue Nazionali e ne riceve un: “Grazie” distratto con una punta di sorpresa. Ho detto: è proibito?

FULVIO                  - Mai più. E, poi, suo padre, verso la fine, ha fatto parte della Resistenza. Mi corregga se sbaglio.

EDDA                      - E con questo?

FULVIO                  - Si capisce tutto. È sempre la stessa menata.

EDDA                      - Tutto cosa?

FULVIO                  - Tutto regolare, voglio dire.

ELSA                       - Ah, se ci facciamo entrare anche la politica, adesso siamo a posto. Hai scelto proprio bene il momento di fare l’attivista.

FULVIO                  - Ma

LEI                           - , scusi, non ha detto che è rossa, come me?

ELSA                       - E che vuol dire, FULVIO? Abbi pazienza. Siamo obbiettivi. Sono due parrocchie separate.

FULVIO                  - Mica tanto, per i furbi.

ELSA                       - Vorrai dire per i fessi. Mancherebbe anche che i letti avessero la bandiera e, prima di coricarvisi, ci si dovesse scambiare le tessere!

FULVIO                  - Mi sa che sarebbe il caso. Non è mai prudente mescolare i colori. Poi si vendicano. Ma per chi parla, che vuol dire precisamente e che ragione c’è di sbirciare il compagno, lì vicino?

ELSA                       - E dove andrebbe a finire l’uguaglianza? Con tutti i partiti che ci sono in Italia, vorrebbe dire ridurre a niente il proprio margine di scelta.

FULVIO                  - E

LEI                           -  di che si lamenta? Il suo è un partito di massa. La verità è che, al momento buono, i colori contano ancora. Giù, ma fino ad un certo punto, neh, NANDO?

EDDA                      - Dicevi, cos’è che si capisce?

ELSA                       - Son curiosa anch’io. Mica è un discorso chiaro.

FULVIO                  - Non ha afferrato? Ora glielo spiego.

NANDO                  - (calmo, però con un pugno perentorio sul banco) Tu non le spieghi niente.

FULVIO                  - Il sultano non vuole. Peccato. Sarà per un’altra volta.

LELE                       - si alza di scatto, decisa.

LELE                       - Si parte, o non vi pare ancora abbastanza?

ELSA                       - (fermandola) E lasciali andare avanti. Che la scottatura gli si rinfreschi. C’è il caso che ti aspetti in mezzo all’autostrada per ricominciare. L’altra si rimette a sedere, torva.

EDDA                      - Dio non voglia, fa uno sproposito; e con un celebre penalista per padre, capace, poi, che lo fa assolvere per ragioni d’onore e ce lo vediamo portare in trionfo.

FULVIO                  - E’ press’a poco quello che volevo dire. Altro pugno sul banco da parte di

NANDO.

ELSA                       - L’ha solo presa male, ecco tutto. La prima esperienza è sempre, più o meno, traumatizzante. Càpita ancora anche a noi donne, qualche volta. Però, anche tu, sai, che ti vai a mettere coi ragazzi vergini. Ma lo era poi per davvero?

LELE                       - ( fra i denti) Figurati, a vent’anni!

ELSA                       - Si sa mai. La verginità è uno stato d’animo. Uno se la porta dietro tutta la vita come i reumatismi.

LELE                       - E se la smettessimo?

ELSA                       - Un paio di settimane, va tutto a posto. Bisogna lasciargli fare il suo spogliarello morale e poi gli passa.

LELE                       - T’ho pregata di farla finita.

ELSA                       - Sei solo una borghese complessata, ecco cosa sei. Ha ragione il FULVIO, se ho ben capito quel che voleva dire. E non fare quella faccia da venerdì santo. ( Agli altri) Cosa sarà mai successo?!... Sciocchezze. Il

NANDO                  - e il

FULVIO                  - sono amici e capiscono benissimo.

FULVIO                  - Da dietro questo banco, se ne vedono che è una giostra.

ELSA                       - Ma tu pensa un po’. Non ti puoi rimediare uno straccio ‘amante senza sentirti subito accusata che è il tuo fidanzato. È vita questa?

FULVIO                  - Peggio potrebbe essere il contrario.

ELSA                       - Cioè?

FULVIO                  - Farsi uno straccio di fidanzato e sentirsi accusata che sia un amante.

ELSA                       - Ecco la prova. Permane la concezione magica della vita. Si concepisce far l’amore come uno dei sacramenti, come se non ce ne fossero già abbastanza. A proposito, quanti sono?

FULVIO                  - Dipende dal temperamento. Anche una ventina, se uno è molto arrabbiato!

LELE                       - Piantatela. Piantatela! Lento, sorridente, il primo dei due proletari, ora va al juke-box – però che risorsa questo organetto! – e libera un ballabile; dopodiché, con la maggiore disinvoltura, si avvicina all’arrabbiata.

NANDO                  - Non ci faccia caso. Cose che succedono. Calmo, sicuro, uno di loro, ora fa il gesto, non più che il gesto, con le braccia, di invitarla a ballare.

LEI                           -  lo guarda stupita. È l’ultima sorpresa di questa giornata storta.

ELSA                       - Ma che distratta! Nessuno vi ha ancora presentati.

LELE                       - GALLUZZI... Un gesto di

LUI                          - a farla tacere, come dire che non è necessario, e senza togliere lo sguardo dall’altra. Che, alla fine, indifferente, si alza e cominciano a ballare lentamente. Vanno avanti così un po’, nel silenzio generale. LELE... Sicché, tu saresti il celebre NANDO.

NANDO                  - E tu la celebre

LELE                       - GALLUZZI. La danza continua, lenta, vischiosa, mano a mano,

LUI                          - stringendola sempre più al proprio corpo. Qualcosa di spontaneo, sano, naturale e, nello stesso tempo, sfacciato, una punta di indefinibile oscenità. La si sospetta nel punto quando

LEI                           -  ha un lieve scatto della testa, in su, a sogguardarlo e, sulle labbra di lui, scorre un ambiguo sorriso. Ma ha già riabbassato il viso e – anche

LEI                           -  – gli si stringe addosso quel poco che è ancora decentemente possibile. Improvvisamente, prima che la musica sia terminata,

LUI                          - si stacca. Ecco. Via libera. A quest’ora devono già essere usciti dall’autostrada. Essa ha accusato un’ombra di sorpresa, un attimo di disappunto. Non dice niente, non saluta.

LELE                       - ( afferrando il proprio soprabito) Si va? Restituisce il pacchetto delle sigarette a chi gliele ha gettate, con lo stesso gesto onde le ha avute. Grazie.

ELSA                       - Si va. Notte, ragazzi. Ci vediamo.

FULVIO                  - Sempre agli ordini.

NANDO                  - Notte... Quando la prima è già fuori e la seconda sulla soglia.

EDDA                      - (all’ELSA) Dimentichi la cassetta delle pistole.

ELSA                       - (a mezza voce) E lasciale dove sono. Servono di pretesto a mantenere i contatti. Uscite, il

NANDO, davanti alla porta, le osserva partire.

FULVIO                  - (dal suo posto al banco) Per oggi, metà razione.

NANDO                  - Non è ancora notte.

FULVIO                  - Sì che quelli vedono un bel mondo! Ma loro possono permetterselo. Gli impianti igienico-sanitari del vecchio provvedono a sistemare tutto. Prova a dire quanto ha concordato, di reddito, il GALLUZZI, coll’agente delle tasse? Sta sul “Corriere” di stamattina. Una pausa non breve.

NANDO                  - (sempre senza voltarsi) Quanto?

FULVIO                  - Centocinquantacinque milioni. E, quindi, miseria che vada, saranno, a dir poco, il doppio. Altra pausa, non lunga.

NANDO                  - (nell’accendersi una sigaretta) Nemmeno un milione al giorno. ATTO SECONDO Quanto tempo facciamo che sia passato? Un tre settimane crescenti, forse quattro o cinque, come corre il tempo; s’era già in ottobre e sembrava prima, perché, volesse far dispetto all’autunno tenuto fuori dall’uscio ad attendere, l’estate era come tornata indietro. La

NANDA                  - – non era stata scarsità di fantasia, piuttosto semplice sentimento dell’unità figliale a suggerire per il maschio, venuto parecchio dopo, il medesimo nome della femmina – s’era scelta quel sabato, sennò, poi, al lunedì, si sarebbero riaperte le scuole e, coi ragazzini da preparare a da raccomandare alla maestra nuova, avrebbe avuto ancor meno tempo di quel niente che le restava, per traversare mezza città, trentacinque minuti di tram, e venir a mettere un po’ d’ordine nella casa di suo fratello: una camera né bene né male, però, piuttosto più bene che male, e i servizi, ma la vasca no, solo la doccia, ventimila lire al mese, dietro a piazza Napoli. E, lo stesso, un’ora, un paio di volte al mese,

LEI                           -  la rimediava sempre, altrimenti chi s’è visto s’è visto, è più difficile incontrarsi in queste città grandi che se si stesse in due province separate; ci si perde d’occhio e, così, tante famiglie si scollano del tutto. Scomparsa la loro madre da quanti mai anni, piccoli com’erano,

LEI                           -  se la ricordava un’ombra grigia e

LUI                          - nemmeno; portatosi in casa il padre fin da quando s’era maritata, e con la sua avara pensione da tranviere era un aiuto alla baracca e, poi, una provvidenza per tener a bada i bambini – quattro in otto anni, troppi, mai fermi un momento, dispettosi da sberle, uno peggio dell’altro, a chi somigliavano Dio lo sa? - , la chiave di casa e quell’oretta fra gli odori della propria carne, rimanevano gli unici legami tra fratelli. Sì, che, otto volte su dieci,

LUI                          - nemmeno c’era – i suoi orari erano sempre stati un mistero, fin dai diciotto anni quando s’era messo solo – a dar aria alla camera, a rammendargli la biancheria, a smacchiargli i vestiti, tre in tutto, ma eleganti, di figura, eppure era un legame saldo, elementare, animale quasi, quando c’è tutto da dirsi perché non c’è niente da dirsi o niente perché c’è tutto o non ci si parla o si parla troppo, e fa lo stesso. E per le disgrazie, caso mai, provvede il telefono, invenzione fatta apposta. Come quando il vecchio ebbe il suo mezzo infarto e il cognato l’incidente addosso al filobus del 93 con la spalla rotta in tre pezzi e stette quaranta giorni col gesso che, d’inverno, sotto quell’acqua e quella nebbia, continuare a far l’autista di piazza, son dolori da disperato. Metti caso, oggi, nel suo giorno di libertà, se capitava d’incontrarsi, erano mezze domande e mezze risposte più che altro, eppure bastava.

LEI                           -  sta, con la trielina e con un batuffolo di cotone a sgrassargli il colletto di un impermeabile; lui, pantaloni e canottiera, coricato lungo disteso sul letto, le mani dietro alla nuca, guarda per aria e solleva, adesso una adesso l’altra, le gambe a piedi nudi.

NANDA                  - Dài, NANDO, tirati su da quel letto, se devo cambiar le lenzuola. Passa un altro po’ di tempo. Il Berto smonta dal lavoro alle sei e mi devo far trovare a casa. Ancora nessuna risposta. Hai un’idea che ora è?... Sono le cinque e mezzo passate.

NANDO                  - Mi è sempre piaciuto, il mio giorno di riposo, starmene coricato a guardare il soffitto. Ci leggo l’avvenire.

NANDA                  - Quando sono entrata, neanche mi hai sentita. Dormivi come un’asse.

NANDO                  - M’ero riaddormentato.

NANDA                  - Capace di non aver buttato giù un boccone da ieri sera, tu.

NANDO                  - Fatto tutto.

NANDA                  - Due panini imbottiti e sarà ancora molto. Come tu faccia a fare una vita così barbona, non ti capisco.

NANDO                  - Mi son fatto, invece, mandar su un fottio di roba dalla latteria. (Preceduto da un paio di schiaffi sullo stomaco) Ho aperto gli occhi a mezzogiorno, con una fame che avrei mangiato le gambe della tavola.

NANDA                  - Chissà a che ora eri andato a letto.

NANDO                  - Mah. L’orologio mi si era fermato.

NANDA                  - Naturalmente, sarai stato a ballare.

NANDO                  - Ballare? Bè, sì, anche pure, in un certo senso... Si possono anche dir balli... dipende.

NANDA                  -  Quanto tempo che non faccio quattro salti, io. Nemmeno più capace, scommetto, di distinguere un valzer dalla marcia dei bersaglieri.

NANDO                  - Ogni tanto, però, il Berto potrebbe disturbarsi a portartici. Una volta, gli piaceva. Vi siete ben conosciuti lì.

NANDA                  - Dopo l’incidente, figurati, e sette ore a farsi venir la nevrastenia alla guida del tassì, pieno di spifferi. Quando riporta i piedi a casa, la sera, non riesce a tener aperti gli occhi altro che il tempo che gli faccio le fregagioni coll’alcool canforato alla spalla. Ché, uno di questi giorni, mi si dovrà rimettere in Mutua. Sì che ha voglia di portarmi a ballare. Passò quel tempo!...

NANDO                  - E’ diventato troppo grasso. Gli farebbe bene.

NANDA                  - Si sta lasciando andare, quello è. E poi, di sera, coi bambini... sembra d’avere il Luna Park nella testa. Sordi.

NANDO                  - C’è sempre il vecchio, no? Ha un debole, lui, per i mocciosi.

NANDA                  - Vorrei che provassi te. Quattro fra i piedi e il primo meno di sette anni. E poi, anche lui, ormai... E’ perché è un pezzo che tu non lo vedi... Ogni giorno è regalato.

NANDO                  - Quanti anni sono?

NANDA                  - Settantatré quando saremo a domenica. A proposito, fin che ho in mente: gli si fa festa per il suo compleanno. Lascia, una volta tanto, perdere le tue sottane e procura di esserci.

NANDO                  - La domenica, per noi, è giorno di fatica. Potrei farmi dar riposo lunedì.

NANDA                  - Va bene. Basta che tu ci sia. Mi sa difficile che si festeggerà un altro compleanno.

NANDO                  - Siamo allegri, eh, NANDA?!

NANDA                  - Che vuoi farci? Siamo al solito. Verrà a mancarci anche la sua pensione e, coi figli che, un paio di scarpe, dopo quindici giorni, son già da buttar via, e poi mandarli al mare, non so l’anno prossimo, come ce la caveremo. Colpa sua, può darsi, ma quel maledetto incidente s’è mangiato tutto quel poco che s’era messo via.

NANDO                  - Al mare ce li mando io i mocciosi. Tu non pensarci.

NANDA                  - Non l’ho detto per questo.

NANDO                  - Dài, che lo so. Ci roviniamo! Balza a sedere sul letto e fa un nodo sull’angolo del lenzuolo. Lunedì dieci ottobre, ricordasi: Chianti per il compleanno del genitore, scarpe nuove per i nipoti e consiglio al cognato: attenzione a fermar la macchina fabbricamocciosi.

NANDA                  - Sta attento tu a non buttar via troppi soldi piuttosto, come hai sempre fatto, che hai le mani un colabrodo.

NANDO                  - I soldi son da risparmiare da una certa cifra in su. Ma, da una certa cifra in giù, spendi dieci o spendi cento, il bilancio è sempre uguale. Spiegami un po’ questo mistero. Finito con l’impermeabile,

LEI                           - , ora, va ad appenderlo e comincia a controllare i cassetti del comò, nel mentre le scappa l’occhio allo specchio che c’è sopra.

NANDA                  - Guarda lì. Trentadue anni e ne dimostro almeno dieci in più.

NANDO                  - Va là che saresti ancora una bella ragazza. È perché non ti sai tener su.

NANDA                  - Anche per tenersi su, bisogna averne il tempo e i mezzi, siamo sempre a quella. Lui, intanto, si è alzato e si prepara a farsi la barba nello stanzino del bagno, continuando il discorso coll’uscio aperto.

NANDO                  - La voglia e la volontà bisogna avere. È tutto lì.

NANDA                  - Se fosse tanto semplice!...

NANDO                  - E tu ringrazia d’aver sfangato dall’età di quindici anni, prima in fabbrica e poi in famiglia. Qua per far da mamma all’orfano e là per far da moglie all’infortunato. E dire che avresti potuto sposare il capo del personale e ora circoleresti coll’autista accanto, invece di avere un autista per marito. La ragazza che eri! Facevi voltar la gente per la strada, Cristo! Avevi un capitale addosso e l’hai buttato via.

NANDA                  - Mi piaceva il Berto, me lo son preso, non sono stata capace di dirgli di no dalla seconda sera e non lo cambierei per tutto l’oro del mondo.

NANDO                  - E allora, che ti vieni a lamentare? Almeno, sotto le lenzuola, sei contenta.

NANDA                  - Mi lamento con te, le poche volte che ci si vede, perché, in casa vecchia ci si è sempre lamentati, ecco tutto. Un’eredità della mamma.

NANDO                  - Le belle abitudini familiari! Parlando,

LEI                           -  ha tolto delle lenzuola pulite dal comò e le sta sostituendo a quelle del letto. L’osservazione che fa, in qualche modo, le deve riguardare.

NANDA                  - NANDO, almeno i pantaloni del pigiama, quando dormi, dovresti tenerli addosso.

NANDO                  - E’ dall’età di quattordici anni che me lo rimproveri.

NANDA                  - Tanto già, è come parlare al vento.

NANDO                  - E allora, voltiamo pagina.

NANDA                  - ( dopo un po’) Dove sei stato a ballare? Son venuti su, mi dicono, tanti bei posti, adesso.

NANDO                  - Sottoterra. In mezzo a un fracco di quadri rotti senza cornice, di statue nude senza testa, di mobili che cascano da tutte le parti e di sedie scompagnate che guai a sedercisi sopra, quando perdono poco, perdono l’ultima gamba.

NANDA                  - Cos’hanno fatto, una festa da ballo nel magazzino di un museo?

NANDO                  - Metti conto. La chiamano galleria d’arte e fan soldi quanti vogliono.

NANDA                  - Ho capito: i tuoi amici signori.

NANDO                  - Ormai, son gli unici che si trovano. Pare impossibile, ma, oggi, ci son più signori che poveri. La miseria non è più di moda. Si va incontro all’inflazione capovolta.

NANDA                  - Te lo sei imparato da loro a non voler portare le calze rammendate?

NANDO                  - Bisogna dar respiro al commercio. Più consumo, più benessere. Li leggi i giornali?

NANDO                  - E’ deciso, le vuoi proprio scartare queste qui?

NANDO                  - T’ho detto di sì. Portatele via, nel caso ti servano per il vecchio.

NANDO                  - Mi servono per il Berto. Son quasi nuove. Ed è tornata a trafficare dentro ai cassetti. Guarda qui la confusione. Tale e quale come da piccolo. Basta che tu infili le mani in un calto per prendere un fazzoletto, ed è la fine del mondo.

NANDO                  - NANDA, mi incominci a diventare troppo materna.

NANDA                  - Ti devi sposare, NANDO. Guadagni bene, scoppi di salute, piaci da matti, che aspetti ancora? Ti puoi trovare una brava ragazza. Non puoi continuare a vivere come in un accampamento, resterai sempre uno spostato.

NANDO                  - Volevo dire che non arrivasse! Al momento buono, ti manderò la partecipazione. Contenta? Un timido colpo di campanello.

NANDA                  - Aspetti gente?

NANDO                  - Può essere. L’avvenire arriva a cavallo del campanello.

NANDA                  - Almeno, infilati la giacchetta.

NANDO                  - Non è prescritto. Bastano i pantaloni. Fila.

LEI                           -  comincia a raccogliere la sua roba, prima di aprire la porta, far entrare chi ha suonato ed andarsene. Altro colpetto di campanello.

NANDA                  - Ma che fretta. Se, almeno, tutte queste matte che ti girano intorno, ti tenessero un po’ in ordine la casa!...

NANDO                  - M’hai dato un’idea: mezzo servizio in cambio merce. Le sfiora la guancia con un bacio frettoloso, prima di tornare in bagno. Vai. E lascia entrare. Ci vediamo lunedì.

NANDA                  - Ti telefono sabato per ricordartelo. Ciao. Va a letto presto, alla sera. Ape l’uscio e va scontrandosi, sulla soglia, con

GABRIELLA          - che entra. Appena un cenno reciproco del capo per saluto e forse nemmeno. Ma, poi, già, il sentimento non resiste. Glielo dica anche

LEI                           - , se gli preme, che non stia tanto in giro di notte. E scompare senza aspettar risposta. Segue un certo silenzio e non è, come ci si potrebbe aspettare, un silenzio di imbarazzo. Appena cauto, ma, forse, nemmeno, un silenzio e basta, senza strascico di aggettivi.

LEI                           -  lo adopera a guardare, a impadronirsi della camera, dove, si capisce, mette piede per la prima volta.

LUI                          - bada a lavarsi i denti, la faccia, le ascelle, trionfalmente immerso nella propria felicità, e, quindi, l’ultimo pensiero che gli potrebbe passar per la testa sarebbe di nascondere ciò che fa.

LELE                       - Chi era? La donna delle pulizie?

NANDO                  - (che, forse, si sta già asciugando, e sennò più avanti) Mia sorella.

LELE                       - Scusa.

NANDO                  - Che scusa? Mia sorella che càpita qui, ogni tanto, a mettere un po’ in ordine e a farmi la paternale.

LELE                       - Deve esserti affezionata.

NANDO                  - Perché non dovrebbe esserlo? È mia sorella. Come vedi.

LELE                       - Non mi riferivo alle pulizie.

NANDO                  - Ah no?

LELE                       - Sento che, anche

LEI                           - , si preoccupa delle tue notti bianche.

NANDO                  - E chi altri?

LELE                       - Mah... non so.

NANDO                  - Solo

LEI                           - . E, per

LEI                           - , non andar a letto presto ha qualcosa a che fare coi dieci comandamenti. Fa parte dei suoi doveri materni. È la trappola delle sorelle maggiori, quando si resta senza madre da piccoli.

LELE                       - In un modo o nell’altro, delle mamme, da noi, non si riesce mai a liberarsi.

NANDO                  - Vuol farmi ammogliare, pensa un po’!

LELE                       - Che ti dicevo?

NANDO                  -

LEI                           -  è combinata così. Se non lo facesse, si sentirebbe in debito con la coscienza.

LELE                       - Può darsi che non abbia tutti i torti.

NANDO                  - Mi trovi sciupato?

LELE                       - E chi lo sa? Non ho ancora avuto la grazia di vederti in faccia.

NANDO                  - Ah, già, ora vengo.

LELE                       - Finita la toilette, te lo potrò saper dire.

NANDO                  - E’ vero. Son sempre un po’ lungo nelle mie cosette. Ora si sta pettiNANDO. C’è, nella sua animalesca lentezza, qualcosa di sicuro e calcolato, ma anche una naturale gentilezza, una durezza morbida;

LEI                           - , piuttosto, reprime a sforzo un’ombra di indefinibile irritazione dalle cause non ben afferrabili e che, comunque, devono avere un’origine meno vicina. Mai, però, - l’istinto! – da parte di lui, per quanto educato parli, un aiuto a far andare disinvoltamente il discorso. Viene a galla, sottaciuto fin che resterà sottaciuto, un rapporto come per dire, fra punti fermi e punti interrogativi. E così, si rende inevitabile, un’altra pausa che

LEI                           -  utilizza mettendosi a sedere sul letto – una maniera di arrivare più presto al dunque? – e accendendo una sigaretta.

LELE                       - Niente, poi, male qui.

NANDO                  - Così, la ricognizione non t’ha delusa? È già qualcosa.

LELE                       - Perché mi doveva deludere?

NANDO                  - Si sa mai.

LELE                       - Era per questo che non mi ci hai mai fatta venire?

NANDO                  - Neanche passato per la testa.

LELE                       - Di farmici venire? Grazie tanto.

NANDO                  - No, di deluderti.

LELE                       - Meglio ancora.

NANDO                  - Certo, l’interno della tua Mercedes è meglio.

LELE                       - Ma anche più scomodo.

NANDO                  - Trovi?

LELE                       - Comunque, lo è l’interno della tua “Seicento”.

NANDO                  - Poverina, fa quel che può. Finalmente, col proprio corpo è terminata e, gettando in aria un asciugamano, viene avanti. Scusa tu, piuttosto.

LELE                       - Scusa cosa?

NANDO                  - Di farmi trovare così. Va per prendere una camicia che sta infilata sulla spalliera di una sedia, vicina al letto, e, mentre sta per introdurre un braccio in una manica,

LEI                           -  gliela toglie di mano. Nemmeno ora

LUI                          - reagisce domandando o con la parola o col gesto, come se non ne avesse compreso il significato. Lascia fare e passa a frugarsi nelle tasche dei pantaloni in cerca di sigarette che non trova.

LEI                           -  gli offre delle sue, guardandolo disinvoltamente in faccia.

LELE                       - Una volta per uno. Fosse solo nella stanza, non sarebbe altrettanto spontaneo il suo sdraiarsi su una poltrona e concentrarsi, così, nel gusto di fumare. Disturbo, per caso?

LUI                          - la guarda, piglia tempo a rispondere quello necessario ad allungare pigramente la mano, reperire, in qualche posto, l’orologio, osservare che ora fa, con una punta di insistenza, ed allacciarselo al polso.

NANDO                  - (molle) No no.

LELE                       - Aspettavi qualcuno?

NANDO                  - E chi?

LELE                       - Qualcuna?

NANDO                  - (falsamente falso perché si senta) T’ho detto di no.

LELE                       - Ti imbarazzo?

NANDO                  - (cadendo letteralmente dalle nuvole nello spazio di due monosillabi) Di che?

LELE                       - Che ne so? D’esserti capitata qui, per esempio.

NANDO                  - Mancherebbe altro. Anzi.

LELE                       - Eh già, tu non conosci nemmeno di vista cosa sia l’imbarazzo.

NANDO                  - (sempre quella noncurante e rude gentilezza) Proprio no. Non ho questo disturbo.

LELE                       - Vuoi dire che eri così tanto sicuro che ci sarei venuta?

NANDO                  - Potrebbe stare anche al contrario.

LELE                       - E perché no proprio io?

NANDO                  - Già, perché no, proprio tu.

LELE                       - Chissà quante altre ci son venute e ci vengono.

NANDO                  - Vuoi dire?

LELE                       - Mi sbaglio?

NANDO                  - Mica tante, il puro bisogno. Non è, poi, nemmeno da credere il cento per cento di quel che si dice. C’è rischio di restar delusi.

LELE                       - E’ già capitato?

NANDO                  - In faccia non m’è mai stato detto. Ma, in giro, c’è gente molto educata!

LELE                       - La modestia!...

NANDO                  - Che modestia? Uno mangia, dorme, si lava, fa l’amore: bisogni di natura, ma non più del necessario, senza far indigestione.

LELE                       - Solo tu?

NANDO                  - Solo io cosa?

LELE                       - Solo tu hai i tuoi bisogni di natura?

NANDO                  - Penso di no. Sarebbe un disastro.

LELE                       - E’ quel che dico anch’io.

NANDO                  - Sennò, sai che quaresima! Dicendo dicendo, s’è incominciato a infilare le calze. Ma a che gioco sta giocando?

LELE                       - Patisci freddo ai piedi?

NANDO                  - Mai patito freddo ai piedi in vita mia. Anzi piuttosto sul caldo.

LELE                       - Vedo che te li copri. Hai dei brutti piedi?

NANDO                  - (alzandoli entrambi verso di

LEI                           -  con la maggior disinvoltura) Trovi, in coscienza, che abbia dei brutti piedi?

LELE                       - Per carità! Potrebbero essere stati scolpiti, crepi l’avarizia, da Michelangelo.

NANDO                  - Vuoi dire che sono dei piedi grandi?

LELE                       - Appena sufficienti a farti star dritto, immagino.

NANDO                  - Per quel che ho visto, un fusto alto una casa, in piazza a Firenze, Michelangelo faceva tutto grosso.

LELE                       - Avevi detto grandi.

NANDO                  - Grande, grosso, che differenza fa? E glieli tiene lì, una calza sì e una no.

LELE                       - (ancora, meno male: l’ironia palese salva l’orgoglio nascosto) Son dei bei piedi maschili. Ti basta? Sei contento?

NANDO                  - Grazie, già lo sapevo. Peccato doverli tener nascosti nelle scarpe.

LELE                       - Puoi metterti a circolare scalzo.

NANDO                  - Mi si rovinerebbero subito.

LELE                       - E allora?

NANDO                  - Allora che?

LELE                       - (se non continuasse l’ironia a distrarre la dignità!) Son dei bei piedi, non patiscono il freddo, sei in casa tua e stai seduto, che bisogno hai di metterti le calze? Qui, se si continua di questo passo con ogni parte del corpo, si finisce il mese prossimo.

NANDO                  - Ma è più decente, dicono, no?

LELE                       - Guarda dove sono andati a cacciarsi i tuoi pudori.

NANDO                  - (siamo lì per passare i limiti?) Va bene: levamele. Quante, al posto suo, gli lascerebbero andare un manrovescio?

LEI                           -  no, s’accontenta di non aderire alla richiesta, ed è un altro vantaggio che

LUI                          - capitalizza. Millimetro a millimetro, va così da un mese. Devo aver letto da qualche parte, non so dove; aspetta, com’è che diceva?... Me la voglio far tornare in mente, perché m’era piaciuta, mi ci trovavo... Ah: ecco, a forza di morale, l’uomo, ormai, si sente naturale solo quando è vestito, mentre, invece, sarebbe naturale che si sentisse naturale nudo, o qualcosa del genere. Voleva dire anche la donna, si capisce.

LELE                       - Eggià, dopo la prima foglia di fico, i vestiti diventarono inevitabili. Per via dei complessi.

NANDO                  - Vuoi dire?

LELE                       - Ma tu non sei nudo. Almeno, non ancora. E sei anche uno dei pochi che abbiano capito che la morale vera non ha niente a che fare con la vita sessuale. Cos’è, un tentativo di risalire sull’onda della sfacciataggine?

NANDO                  - E te, che ti ci vuole per sentirti naturale?

LELE                       - Io mi sento naturale quando posso fare ciò che sento naturale fare.

NANDO                  - Così va bene. Anche vestita dunque?

LELE                       - Cos’è che intendi?

NANDO                  - Che, così, non c’è bisogno di spogliarsi.

LELE                       - Ah sì?!

NANDO                  - Si fa tanto per mandare avanti il discorso. Sai, io non son troppo forte in conversazione, e negli indovinelli manco ancora.

LELE                       - Non mi pare.

NANDO                  - Son poche le cose, dài, in cui sono bravo.

LELE                       - Tu sei bravissimo, soprattutto, a non capire.

NANDO                  - Dici niente?

LELE                       - (seria) Vengono momenti, poco che una dovesse badare alla sua dignità, ti dovrebbe sparare.

NANDO                  - Con la dignità non si va avanti un passo. Mi sa che se, a non capire, son bravo io, tu non mi resti indietro. Il tono va mutando.

LEI                           -  si è alzata, gli s’è messa davanti e gli parla direttamente.

LELE                       - Io non ho mai pregato un uomo, NANDO. Mi son sempre corsi dietro loro.

NANDO                  - Lo credo bene, la ragazza che sei!...

LELE                       - Ed è cominciato o non è cominciato, è durato o non è durato solo se, come e quando ho voluto io.

NANDO                  - Sì sì. Ne avevo idea. Senti un po’, e fidanzata mai? LELLE Anche, un paio di volte. Ma m’ero sbagliata.

NANDO                  - Su cosa t’eri sbagliata?

LELE                       -  Sbagliata. Dopo, m’accorgevo sempre di essermi sbagliata.

NANDO                  - E sempre tu, cominciato, non cominciato, durato, non durato...

LELE                       - Sempre io.

NANDO                  - Dalle mie parti, questo si chiama non aver mai voluto bene, bene veramente.

LELE                       - Che c’entra il voler bene?

NANDO                  - Sempre dalle mie parti, c’entra anche il voler bene.

LELE                       - Serve?

NANDO                  - Pare che ci sia più gusto.

LELE                       - Tu che ne pensi?

NANDO                  - Penso di sì.

LELE                       - Tu, dici questo, tu?

NANDO                  - Lascia stare me. Per quel che conto io!... Si parla in generale.

LELE                       - E che ne diresti, invece, se fosse ora di venir a parlar un po’ in particolare?

NANDO                  - (da sberle) Purché non sia troppo difficile. Io sono un ignorante. Ho fatto poche scuole e vivo senza problemi. Non hai idea quanto mi stufa discorrere con le parole. Trovo che si comunica molto meglio in altri modi.

LELE                       - Ma certo. Che bisogno c’è di parlar tanto? Decisa, dopo avergli presa la testa fra le mani, lo bacia, bocca a bocca.

LUI                          - non ci mette molto a ricambiarla. È una stretta calda e tesa, inequivocabile. Ma, ancora una volta, egli vi si sottrae.

NANDO                  - Fammi fumare una sigaretta, fa il piacere.

LELE                       - E’ proprio urgente adesso?

NANDO                  - Sì, è urgente. ( Stringendosi le palme delle mani contro le tempie) Ah!... Che cosa far l’amore!... Va là che ci si intende, sì, con la pelle, noi due! Mai capitato qualcosa così.

LELE                       - Meno male che te ne rendi conto.

NANDO                  - S’è sentito dire che prigionieri, appena liberati dai cancelli dei campi di concentramento, mica domandavano un panino; no, si buttavano sulla prima donna presente.

LELE                       - Perché, tu avresti fatto diverso?

NANDO                  - Fame per fame, io avrei fatto l’amore, mangiando contemporaneamente il panino. Non deve mica, poi, essere impossibile. Combinazione, essa si trova in un punto dove un panino, o una mela che sia, qualcosa da metter sotto i denti, può avercela a portata di mano. Non fa che afferrarla e gettargliela. Ma, io, non ho fame.

LELE                       - Siamo sicuri? E gli si appende al collo. Nuovo abbraccio come prima e, può trattarsi di impressione, tenta di stringerlo verso il letto. Nel caso che, anche questa volta,

LUI                          - avesse intenzione di disertare, a risparmiargli la fatica e la figura si presta il telefono che si mette a suonare. Naturalmente che

LUI                          - fa per andare a rispondere. Essa, però, non gli facilita il proposito e lo trattiene fra le braccia. E lascialo strillare. Stanno lì così. E quello continua a chiamare, una volta, un’altra volta... alla terza, egli si decide e si libera. Un’espressione di ironia mortificata.

NANDO                  - Abbi pazienza, non posso sopportare di non sapere chi mi telefona. Mi distrarrebbe.

LELE                       - Spicciati e liquidali.

NANDO                  - (al telefono) “... Sì, io... Come un pesce nell’acqua, invece. A me succede così... Un sonno solo fino a mezzogiorno... E quando mai il

MIRKO                   - non dorme?... Basta che stai sveglia tu... Verso le quattro, più o meno... Va bene: più... No no... tanto brava... m’ha condotto fin sotto casa, pora stella. Se ti dico depositato davanti alla porta... Ben, sai, era una bella notte,

LEI                           -  guida prudente... quattro chiacchiere, e il tempo si consuma da sé... Com’è che dici?... Un’ora senza alibi?... Chi?... Ah sì?... Non avevo capito... Mica, spero, l’avranno trovata strangolata, i metronotte alle prime luci dell’alba, mi dispiacerebbe...

LEI                           - ... lì, la... come ha nome?... Ecco: ELSA, mi pareva. Sai, ieri sera, in quella baraonda, non avevo sentito bene... Son qui che ascolto... Dipende quando... Va bene, tanto non mi muovo prima di cena... Avete tutto il tempo... Hai detto niente!... Sarà un terno al lotto... Ben, meglio... Intesi”. Ha finito, si volta e scopre la sua ospite intenta a far qualcosa che evidentemente non lo entusiasma troppo. Che fai, ti spogli? Hai mica sentito? Si son messi d’accordo per passare a prendermi.

LELE                       - Ti costava poco rifiutare.

NANDO                  - Ma, dicono d’avere una proposta da farmi.

LELE                       - Vuol dire che, se arrivano prima che me ne sia andata, li lasci suonare e che tornino.

NANDO                  - Come si fa? Son amici tuoi prima che miei.

LELE                       - Appunto.

NANDO                  - Però io gli devo più riguardi, proprio perché li conosco da meno. Dico male?

LELE                       - Ma se non t’è parso vero!

NANDO                  - Vuoi dire?

LELE                       - Hai anche il telefono dalla tua parte. A orologio. Da pensare, perfino, che ti potessi esser messo d’accordo.

NANDO                  - Non è mica troppo chiaro, sai, quello che stai dicendo, e mi piace anche meno.

LELE                       - E allora si fa come propongo io e non ci si pensa più su tanto. Tutto diventa chiarissimo e può darsi anche che ti finisca col piacere.

NANDO                  - Sì, che sei abituata bene, tu!

LELE                       - Allora?

NANDO                  - ( un’esitazione, beninteso calcolata) No. E ciò basta a deciderla a reinfilarsi il giacchettino del tailleur.

LELE                       - Finalmente una parola precisa. E va bene. Ora però ci si spiega. In qualche caso, anche le parole servono.

NANDO                  - Non mi torna cosa ci sia da spiegare.

LELE                       - Tutto. E più nel tuo che nel mio interesse.

NANDO                  - Che brutta parola.

LELE                       - Chiamalo come vuoi. Sì, perché, dico,

NANDO                  - : qui, chi rischia di farci la figura più ridicola che un uomo possa fare, non son certo io. Ti torna?

NANDO                  - E allora, dài! Prima di mettersi tranquillamente a sedere per assistere alla requisitoria, si stira in tutte le membra fino al limite dello sbadiglio. C’era un egoistone di gatto così, una volta, in casa.

LELE                       - Noi due, ci si conosce da un mese...

NANDO                  - Più...

LELE                       - Poco più di un mese. Meglio ancora. L’ho qui fotografata: quella sera, nel bar, al quindicesimo chilometro, quando hai voluto, per forza, farmi ballare. Esatto?

NANDO                  - Voluto...

LELE                       - Diciamo: m’hai fatta ballare. E ho ancora da capire. Era un invito?

NANDO                  - Era un invito?

LELE                       - NANDO, non posso sopportare l’eco. Mi fa venir in mente le poesie del Pascoli.

NANDO                  - Aboliamo il Pascoli, volevo dire, l’eco.

LELE                       - Facciamo che non fosse un invito. D’accordo. Due giorni dopo, t’ho cercato io.

NANDO                  - Cercato... Oh, scusa.

LELE                       - Sì sì, cercato. Cercato, è la parola. Son qui mica a negarlo. Una domanda: ci sei stato sì o no?

NANDO                  - Vorrei vedere chi non ci fosse stato. Ti dai mai un’occhiata nello specchio?

LELE                       - Rimandiamo i complimenti. Stabiliamo questi due punti fermi: t’ho cercato io e tu ci sei stato. Perché non è che tu non ci sia stato. Seppur non mi aspettavi già, stato ci sei. E allora perché tutto questo?

NANDO                  - Cosa, tutto questo?

LELE                       - Ma, tutto questo... tutto questo che va avanti da un mese.

NANDO                  - Di che ti puoi lagnare?

LELE                       - Sentimi un po’: ti risulta di essere il tipo che si comporta con le donne come tu ti stai comportando con me? Rispondimi solo questo. Francamente... Basterebbe, lì, l’

ELSA                       - della telefonata, la figlia dell’aperitivo.

NANDO                  - Quale aperitivo? Beve?

LELE                       - No. Lo fabbrica suo padre.

NANDO                  - Che nome ha ’sto aperitivo?

LELE                       - Non mi viene in mente. Un aperitivo analcolico.

NANDO                  - E’ buono?

LELE                       - Ho proprio voglia, in questo momento, di far la pubblicità agli aperitivi!... Sì, dico basterebbe

LEI                           -  per dare un’idea dei tempi della tua tattica. Presentata e portata in camera tua. È così?

NANDO                  - Abbi pazienza, non sono uso compromettere le donne che non conosco neanche. Aspetta almeno che le abbia frequentate un paio di volte.

LELE                       - Però, andarci a letto sì, non è nemmeno necessario domandar, prima, come si chiamano.

NANDO                  - Che ne so io degli aperitivi? Ce ne son tanti. E poi che differenza fa? Mica si trattava di rinnovare la carta d’identità.

LELE                       - E, guarda, niente da obbiettare, ma proprio niente niente. Mancherebbe altro!... Fai benissimo.

NANDO                  - Ho capito, va bene, se lo dici tu...

LELE                       - Due al giorno, dicesti, il tuo bisogno? Ma tre, quattro, dieci...

NANDO                  - Fèrmati, che, sennò, mi viene l’esaurimento nervoso.

LELE                       - Affari tuoi. Questo, tanto per essere chiari, nel caso che incominciassi a sentirti importante pensando, chissà mai, a una scena di gelosia.

NANDO                  - Gelosia di che? Son proprio i tempi!

LELE                       - Appunto: di che gelosia? I nostri patti son chiari perché non ce ne son mai stati.

NANDO                  - Proprio così.

LELE                       - Un mese. Ci siamo incontrati un giorno sì e uno no, spesso tutti i giorni, qualche volta anche due volte al giorno. Siamo stati volentierissimo insieme. Avremo consumato ettolitri di benzina, esplorata tutta la Lombardia. Baci, abbracci, strette, morsi, la fine del mondo, un teatro, in macchina, e sempre fermati lì, come a un passaggio a livello chiuso. T’ho proposto: andiamocene via un paio di giorni; oggi ti son piombata in casa decisa di venirne in fondo... E sempre la stessa storia. Perché? NANDO, perché non vuoi far l’amore con me?

NANDO                  - Ti lamenti perché ti rispetto?

LELE                       - Mi lamento perché mi rispetti. Ma potrei anche pensare che si possa trattare del contrario. Di mancanza di rispetto, conoscendoti.

NANDO                  - Sei un po’ matta, non ti pare?

LELE                       - Mi lamento perché, con me, sei l’opposto di quello che sei con le altre, la smentita di te stesso.

NANDO                  - Questo è il punto.

LELE                       - Sentiamo. Una ragione ci deve pur essere.

NANDO                  - Ma, dì un po’, francamente: tu, ci tieni proprio così tanto?

LELE                       - Sì. Non ho ritegno a dirlo.

NANDO                  - Che male c’è? Se, per te, è importante...

LELE                       - E’ importante. Oltretutto, a questo punto, cosa vuoi che ti dica? È diventato un puntiglio, una questione d’orgoglio: un’ossessione. Disgustoso? Disgustoso. Non so cosa farci.

NANDO                  - Mi dispiace.

LELE                       - Non mi importa niente che tu mi dica che ti dispiace. Per farmene una ragione devo conoscerne la ragione.

NANDO                  - Come sei curiosa.

LELE                       - Cambia tono, NANDO, è un discorso serio.

NANDO                  - Sapessi per me.

LELE                       - Dunque, cos’è? Non puoi? Non ce la fai?

NANDO                  - Come hai detto? Non ce la faccio, io? E pretendi di parlar sul serio?

LELE                       -  Abbi pazienza... Può anche darsi. Una, cosa deve pensare?... Tutto è possibile. Vatti a spiegare i misteri della pelle! Qualcosa che si mette di mezzo all’ultimo momento, ti dispiace, ti disgusta. Può succedere. Basta, qualche volta, un’espressione, un gesto, un odore, un profumo e, sò no, ci si smonta. Che vergogna c’è a dirlo? Quello che riesce con novantanove donne, può non riuscire con la centesima. Non è la fine del mondo. Ma saperlo, e

LEI                           -  si mette il cuore in pace, o cambia sapone. Cos’ho, io, di diverso dalle altre che non puoi? Costa tanto confessarlo? Cos’è, ne va di mezzo la fierezza maschile?

NANDO                  - Dritta, tu! Non mi smonto e lo sai. Non serve farla troppo lunga, lo sai fin dalla prima volta che t’ho presa fra le braccia. Una donna magari sì, ma un uomo certe cose non le può fingere. Cristo, con una grazia di Dio del tuo stampo, vorrei vedere anche questo! Non farmi ridere. Ma che, scherziamo? Va tutto benissimo. Troppo. Non potrebbe andar meglio. E non tormentarmi a farmici pensare.

LELE                       - Non tormentarmi tu.

NANDO                  - Veniamoci incontro a metà strada e facciamoci il piacere di non tormentarci tutti e due.

LELE                       - Ti rendi conto che, così dicendo, diventa sempre più assurdo?

NANDO                  - Non so cosa farci. Per me è naturalissimo.

LELE                       - C’è da proporsi le ipotesi più scombinate. Non so, cos’è, hai forse temuto che, poi, ti impedissi di andar con le altre? Toglitelo dalla testa. Arriverei a dire, guarda, scusa, sai, ma è l’unica qualità che ti valorizza. Senza quella non saresti più niente.

NANDO                  - Lo so, lo so, altro se lo so!

LELE                       - Sarebbe, per caso, questo che hai temuto?

NANDO                  - Lo vengo a conoscere adesso da te. E poi, sai, quella capace di impedire qualcosa a me deve ancora venir partorita.

LELE                       - E, quindi, niente di tutto ciò?

NANDO                  - Neanche l’ombra dell’ombra.

LELE                       -  E’ già qualcosa. Non rimane, quindi, che l’ultima spiegazione.

NANDO                  - Quale, quale? Fammi sentire.

LELE                       - Non vuoi. Puoi, ma non vuoi.

NANDO                  - Posso, ma non voglio. Ecco.

LELE                       - Però, anche a questo punto, non è che si sia andati molto più in là. Ci si è solo spostati di un gradino. Perché uno non vuole? Ti piaccio, mi desideri, non hai timore che pretenda di limitare la sacra libertà della tua virilità proverbiale, sei tu a dirlo, ma non vuoi.

NANDO                  - (dice sul serio?) E mi costa, sai. Perché, per me, è più importante che per te. Non ti fai un’dea quanto mi costa. Fino al mal di testa, alle vespe nelle orecchie, fino, guarda, all’intorcigliamento delle budella. Se ti dico, mi comincia a costare perfino di notte, coi sogni pieni zeppi di te che scoppiano, sempre meno vestita; io che ho sempre dormito come una zucca vuota!

LELE                       - (di slancio, le braccia al collo, quell’ebete)

NANDO!

NANDO                  - (dopo un po’ che l’ha tenuta lì) No. E finalmente si porta a casa due sberle. O una sola, se la protagonista non è abbastanza sfacciata. Ma lui, placido. Hai ragione, sì sì. Sono io il primo a dirtelo. Hai ragione. Da vendere. Ma nemmeno io ho torto. Sai perché non voglio e faccio questi sforzi contro la salute? Lo vuoi sapere? Stai attenta che te lo spiego.

LEI                           - , ora, si mette seduta, lo guarda torva, malevola fuma, fuma... Perché mi piaci troppo, perché il desiderio, macché desiderio, la voglia, il bisogno martire di te, mi scortica vivo, perché mai nessuna donna mi ha fatto l’effetto che mi fai tu, ma cosa sei, la cocaina solida? E, se appena mi capita di infognarmi di te, non ne tiro più fuori i piedi e buonanotte al NANDO. Fila?

LELE                       - Hai detto niente! Un cerebrale! Raramente, ma guarda, che si può anche morir dal ridere. A forza di pompar benzina nelle fuoriserie, sei diventato sofisticato anche tu: ti metti a far della letteratura. Il proletario che rinuncia al piacere per paura di innamorarsi di una borghese qualunque e maledizione alla rivoluzione che tarda a venire a ristabilire l’equilibrio. Sai che romanzo! Puoi offrirlo a Moravia che, da tanto, aspetta un soggetto così e rischi che te lo porti via prima.

NANDO                  - (l’ironia dell’umiltà che è la più schifosa) Che ti devo dire? Sarà dipeso quando uno, dopo aver fatto le scuole medie, ha l’onore di frequentare le tue simili. Qualcosa resta sempre attaccato. A voi l’odor di benzina, a noi quello dei romanzi che avete letto. Tu, che ne pensi?

LELE                       - Penso solo che, alla resa dei conti, ti sarai privato anche di quello che potevi avere.

NANDO                  - E’ qui che ti sbagli.

LELE                       -  Son curiosa di ascoltar come. Cos’è, hai paura di compromettermi?

NANDO                  - Semmai, la paura è che sia tu a compromettere me.

LELE                       - E tu saresti stato uno col quale si semplificano le cose!

NANDO                  - Naturalmente! Non realizzi?... Proprio?

LELE                       - Non voglio più, ormai, far nemmeno la fatica di tentare.

NANDO                  - Fin che mi ti nego, tu continuerai a starmi attaccata. È talmente semplice!

LELE                       - Ah, così?

NANDO                  - Così!Pensa un po’.

LELE                       - Perché su questo, non è che tu abbia dubbi?

NANDO                  - Zero. L’hai detto tu, prima. Come hai detto?

LELE                       - Un puntiglio, sì, un puntiglio.

NANDO                  -  T’è uscita anche un’altra parola, più forte, più importante.

LELE                       - Un’ossessione.

NANDO                  - Bella! Ecco. Ci son dentro fino al collo io, però, accidenti! Ci sei dentro mica male anche tu, più giù ancora. La pelle, cara te, fa mica tante chiacchiere,

LEI                           - . Decide e basta.

LELE                       - Com’è che si diceva una volta? Al cuore non si comanda.

NANDO                  - E adesso, il cuore ha passato la mano a qualcos’altro. Tutto lì. In fondo, non è che sia cambiato molto.

LELE                       - Ma cosa credi... basta che voglia... e del resto, mi conosci, l’hai visto... che io non trovi uomini come te, meno presuntuosi, meno volgari, meno ridicoli, più rispettabili di te?

NANDO                  - Altro! Quanti ne vuoi.

LELE                       - Meno male.

NANDO                  - Ma non me. Non c’è niente da fare. Dopo, semmai. Mica c’è da vergognarsi. Tutti, li puoi avere, ma non me. E tu è me che vuoi avere. Il primo della lista son passato io e blocco la compagnia. (Paziente, didascalico) Stammi attenta e cerca di capirmi...

LELE                       - Mi sforzo, mi sforzo, caro. E poi si dice la semplicità dei semplici!

NANDO                  - (tutte le carte in tavola) Mettiti nei miei pantaloni e considera, un momento, anche il sentimento mio, cara. Questo non volere: una rinuncia, un sacrificio superiore alle mie forze, ma è anche l’unico capitale che io posseggo in dote per tenerti. Come potrei farti capire? Fa conto... Ci sei?... La mia verginità! Sì che non ne approfitto e me la gioco così! Aò!?... come sei usa te a trattare chi ti càpita sotto! Poi, cosa resto?

LELE                       - Ah, questo?

NANDO                  - Mi chiamo mica PIERGIORGIO, io. Sono stato chiaro abbastanza?

LELE                       - (ora in piedi, eh, in piedi) Bene, vogliamo fare a gara a scandalizzarci?

NANDO                  - Scandalizzarci voler rimaner vergine? Limitatamente a te, naturale. LELE...Facciamola. Stiamo già nella stratosfera dell’incredibile e dunque avanti. Io posso anche comprarti, cosa credi?

NANDO                  - Lo so.

LELE                       - E allora, stammi a sentire.

NANDO                  - Sentiamo quanto mi valuti sul mercato. Ci sarà pur lì una matita, una penna, un pezzo di carta, qualcosa per render più reale e pittoresca l’azione.

LELE                       - Toh. Scrivi tu una cifra. Ma alta, alta, la più alta che ti pare. Non farti scrupoli, tanto già, tu non sei tipo da fartene. Colle donne, tu, non è che ci abbia mai perso, mi figuro.

NANDO                  - No, no. Ci ho anche guadagnato, qualche volta.

LELE                       - Scrivici tu la cifra, ti dico. Quella che vuoi.

NANDO                  - Non sono in vendita. Mi dispiace, già prenotato.

LELE                       - Da chi?

NANDO                  - Ma da te, cara.

LELE                       - Ti dico alta. Pur di cavami questa soddisfazione, non sarà mai abbastanza alta. E può anche darsi, lo spero, lo voglio, che, una volta incassata, sia io a mandarti a spasso, senza che tu debba fare nemmeno la fatica di saldare il conto.

NANDO                  - Tu mi devi creder fesso.

LELE                       - Lo sei.

NANDO                  - Non mi pare.

LELE                       - Lo sei.

NANDO                  - Penso di no. E poi, ognuno si tiene la sua idea.

LELE                       - Lo sei, lo sei.

NANDO                  - Mah!...

LELE                       - Sei persuaso che lo sei?

NANDO                  - Mi vuoi?

LELE                       - Sì.

NANDO                  - Proprio?

LELE                       - Sì.

NANDO                  - Guarda che costo caro.

LELE                       - Tu non preoccuparti. Ora gli mette veramente in mano, con provocazione, una penna. Che gli serve solo per gettarla sul tavolo.

NANDO                  - Sposami.

LELE                       - Hai detto?

NANDO                  - Sposami. La risata! Da esaltarsene, da distruggersi, esserne spazzata via e ritrovarsi mezza strangolata, coll’umore capovolto.

LELE                       - Cosa sei di simpatia. Il commediante! Ed io ci son cascata. Come si fa a far a meno di te? Un pomeriggio buttato via in questo scherzo. Ma meritava. Dovresti far l’attore. Ti darei un bacio e te lo dò, anche. Convinta, disinibita e libera, fa per passare al concreto. Lui, però, la ferma, una palma delle sue grandi mani calde sulla sua spalla, non senza morbida brutalità.

NANDO                  - Sentimi bene, bella. Io non faccio la commedia. Mai recitato da buffone per nessuno, questo qui, o, quando mai, si sceglie

LUI                          - momento e compagnia. Quando parlo sul serio, io parlo sul serio. Così o niente. E, per parte mia, ho finito e non ho più nulla da dire.

LELE                       - (la doccia scozzese) No, non è possibile. Merce in vetrina a prezzo d’affezione, prendere o lasciare!

NANDO                  - Ecco: così! Suona il campanello all’uscio. Proprio al punto giusto. Scena conclusa. Par di essere a teatro. Va ad aprire ed entrano ELSA, MIRKO, il gigantesco pittore concubino, ed ELSA, la figlia dell’aperitivo, una bruna, secca, occhi verdi e seno assente. ELSA         - (spiritosa indiscreta, come è abituata) Complimenti. (Direttamente alla LELE) Avevamo un bell’aspettarti in negozio.

LELE                       - Sarei passata più tardi.

MIRKO                   - Te ne avevo avvertita che si rompevano le scatole.

ELSA                       - Se si fossero rotte le scatole, padroni di non farci entrare, le serrature sono state inventate per questo. Mica tutti sono come te che, ad ogni tua minima cosetta, hai bisogno tre volte tanto il tempo che basta agli altri. A proposito, non è che vi dispiaccia se

ELSA                       - ci ha chiesto di accompagnarci?

NANDO                  - No no.

LELE                       - Anzi, figuratevi, così è al completo. E, di continuo,

ELSA                       - a NANDO       - : “Ciao. Hai, poi finito coll’impararlo il mio nome?”;

NANDO                  - ad ELSA          - : “Spero di sì”. “Dormito bene?”.

ELSA                       - a LELE            - : “LELE, un secolo che non ci si sente”, e così via. A fantasia di chi gli piace la verosimiglianza di precisione.

ELSA                       - Cosa ti sei persa, LELE, ieri sera! Il ridere che ci ha fatto il NANDO, quando, a furor di popolo, ebbro di whisky e di malabrama, gli è toccato esibirsi in uno streap-tease con tuo fratello! D’un estroverso!... Il girasole e la mammola; fa conto Van Gogh e De Pisis ultima maniera.

ELSA                       - Ti basti, dal ridere, il PIERGIORGIO, garantito: guarito dalla scuffia che s’era preso per te.

ELSA                       - Mani sul fuoco. Fattelo dire dal

MIRKO                   - ; nei pochi momenti che teneva aperti gli occhi, beninteso, perché lui, dopo la sua solita pantomima di Poppea uccisa a calci da Nerone, non ha più dato segni di vita. Che numero! In galleria, fra le anticaglie allucinate, colle lampadine blu, guarda: surreale! È ben stato allora che m’è venuta l’idea e siamo qua.

LELE                       - Sì sì, me lo figuro. Quando di impegna, è irresistibile. Non vi avrà, però, mai fatto ridere come ha fatto ridere me, oggi.

MIRKO                   - Bè, si capisce, per te, esibizioni fuori serie.

LELE                       - Niente, mi ha chiesto di diventar sua moglie.

ELSA                       - Ma dove le pensa? (E al proprio amico) Impara!

MIRKO                   - Se non ti serve altro...

ELSA                       - Che ti dicevo? È unico.

MIRKO                   - Fabbricato lui, s’è rotto lo stampo.

ELSA                       - Puoi ben dirlo. Le hai chiesto di sposarla?

NANDO                  - (serio) Non precisamente. Le ho chiesto di sposarmi.

ELSA                       - Capito la differenza?

MIRKO                   - Lascia andare, è una differenza che può avere un senso.

NANDO                  - Proprio così.

ELSA                       - La naturalezza come riesce a dirlo! Il bello del

NANDO                  - è che tutto quello che tocca diventa suo.

LELE                       - La stessa cosa che notavo anch’io. Frattanto,

ELSA                       - a NANDO, sottovoce, approfittando di essergli vicina e gli altri no: “Ti va se, poi, mi fermo?”. Lui, una breve riflessione, una sbirciata verso l’altra: “Mi va, sicuro. Ma sì, fermati”.

ELSA                       - (dopo essersi applaudita battendo le mani) Ora, però, al lavoro. Sono riuscita, è tutto dire, a persuadere il

MIRKO                   - di partecipare al concorso per il manifesto delle olimpiadi di Tokio. Il premio dovrebbero darlo a me soltanto per questo. Una cosa inequivocabile, concreta, antiletteraria, tutta sesso, da mettere in allarme, al completo, la rete dei riflessi condizionati. Realismo popolare come lo sente lui, con dietro, un sacco di Freud come lo sento io. Pare impossibile, le cose più semplici sono le più difficili da venir in mente. Del Caravaggio drogato, per rendere l’idea. Un bel maschio, giovane, dai muscoli in allegria e tutte le sue cose a posto, dipinto come fotografato. Lui! ( Al NANDO) Tu sei nato con la camicia. Per poco che la si imbrocca, questa è la volta che il tuo corpo si caccerà come un chiodo dentro ai sogni di mezzo mondo. Me ne è venuta l’ispirazione ieri sera, appena andato via. Dài, spogliati che il

MIRKO                   - ti deve fotografare per documentarsi.

LELE                       - Mancavano solo i quadri plastici. Da parte del chiamato in causa solo un lento giro di testa e una espressione alquanto incerta. Ma si rende anche conto subito che, a questo momento, gli altri non contano più, la partita diventa solo più fra

LUI                          - e

LEI                           - , che, infatti, lo sta già aspettando al varco, in sarcastica attesa. Dir di no sarebbe ammainare le vele. E allora, calmo, naturale, giocatore fino in fondo, fa volare le pantofole, si mette pigramente in moto e comincia con lo sfilarsi la canottiera, mentre il pittore è già occupato a preparar la macchina fotografica. Qui si rende indispensabile una parentesi. La pagina non è un quadro e, tanto per chi scrive, quanto per chi legge, specie se coltiva il nudismo, non esiste alcun problema. Per chi dovesse recitare e andar a teatro invece sì, ce ne rendiamo ben conto. Ecco un caso che lo scenografo diventa il padreterno. La situazione l’ha in mano lui. Si pensa che la risolverà, se ha poca fantasia con una tenda o un paravento, se ne ha abbastanza con un rientro del muro o una parete morta, se ne ha da sprecare s’ingegni un po’

LUI                          - e tante grazie, purché ciò che deve essere palese in palcoscenico non lo sia in platea. Ma deve averla già risolta perché le cose procedono per il verso intrapreso, e, alla fine, non sono affari nostri.

MIRKO                   - (tal quale un regista) Dilata le narici, fa un po’ il tipo mulatto.

NANDO                  - (un pochino seccato) Se vuoi, mi metto le dita nel naso.

MIRKO                   - Sai, è per quella punta polemica antirazzista che è sempre bene non far mancare.

ELSA                       - Che spiegazioni inutili. Son cose che il

NANDO                  - capisce al volo. Vota rosso come noi.

NANDO                  - No. Io voto liberale.

ELSA                       - Oh bella, perché?

NANDO                  - Perché ho in testa di diventarlo.

ELSA                       - Ed è per tradire il proletariato che ti spogli solo a metà! (Da non ammettere replica) Via tutto!

MIRKO                   - Ma il Sant’Uffizio, la patria censura, matta d’una Kapò che non sei altro!

ELSA                       - La verità è nuda, la giuria è giapponese e là non hanno tante malinconie. Caso mai, per i paesi cattolici, rimedi col fil di fumo della fiaccola olimpica. Del resto, sono chiarimenti superflui; da oltre il riparo, dove il modello s’è collocato, è già volato un paio di slip. E la corda, comprensibilmente, si spezza.

LELE                       - (inaspettata) Io vi attendo giù, piglio un caffè e mi metto in macchina.

ELSA                       - Questione di cinque minuti.

LELE                       - Ci vediamo. E se ne va. Vinta o vittoriosa?

MIRKO                   - Comincia a metterti in posa.

NANDO                  - Quale?

MIRKO                   - Lo scatto della corsa. Ginocchia flesse, braccia oblique indietro, testa tesa in avanti... Ora, dritto in piedi... Petto in fuori, proiettato in alto. Ad ogni posa, si scatta, naturalmente, una fotografia.

NANDO                  - ’Na parola! Così? (Ma sbaglia).

MIRKO                   - Così. (Gli mostra come) ... Ecco. Voltati di profilo... Di dietro, correndo avanti... ora dammi un tre quarti...

NANDO                  - Ne avete basta?

MIRKO                   - Quasi finito?

ELSA                       - Deve essere tutto autentico, documentato e sovrapponibile.

MIRKO                   - Alza un po’ la mascella... Più contratta, sofferente, un po’ crudele... Di meno... Di più... Ecco.

NANDO                  - Mi posso rivestire?

ELSA                       - Momento! Ci dimentichiamo il meglio. Va a prendere un ombrello dall’attaccapanni e glielo caccia in mano. Lancio del giavellotto. Il giavellotto piace sempre, chissà perché.

ELSA                       - Freud, mia cara.

ELSA                       - Vuoi dire?... Eggià.

MIRKO                   - Fatto.

ELSA                       - Spettacoloso! (Rigettandogli, dall’altra parte, gli slip) Si intende che, se si vince, tu avrai la tua parte e sputami in faccia se non finisci al cinematografo, specializzato per i film alla Tarzan con le gambe nude e il vello d’oro sullo stomaco. (Al proprio amico) Muoviti, che, quella già è in macchina a spazientirsi.

ELSA                       - Io mi fermo un momento a domandar una cosa al

NANDO.

MIRKO                   - Qui si fa ad aspettarci a scaglioni.

ELSA                       - Dai, fila, ebete, che non c’è da aspettar più nessuno. Ci si sente. Escono

ELSA                       - e MIRKO. Prima cosa, il

NANDO                  - va e dà un giro di chiave all’uscio.

ELSA                       - Lo sai che, poi, ho girato in macchina fino a mattina? Coi nervi smollati e le strade deserte è fin bella anche Milano.

NANDO                  - Io ho ficcato la testa sotto il guanciale e, otto ore, morto, mi avrebbero potuto demolire la casa sotto. Va alla finestra e guarda giù, verso strada. Resta lì un po’, accosta le imposte, le riapre, torna a guardare in basso. Intanto

LEI                           - , accesa una sigaretta – come l’altra, non è che facciamo spreco di fantasia – si è seduta sul letto e s’è messa a lisciarne istintivamente le lenzuola. Sono state cambiate.

ELSA                       - Sfacciato. Le si avvicina, le sfila dalle labbra la sigaretta e la sostituisce con un bacio fugace, dà un paio di tirate, torna alla finestra – e insiste – vi si fa vedere e la getta in strada. Poi si mette a parlare da lì, dov’è.

NANDO                  - Non ti avevo mai incontrata con la compagnia.

ELSA                       - Ho consumato l’estate in Inghilterra, non son tornata che una settimana fa.

NANDO                  - Te la sei spassata?

ELSA                       - Preferisco i prodotti nazionali.

NANDO                  - Compreso l’aperitivo di papà?

ELSA                       - No, quello no. Lo trovo disgustoso. Altra sbirciata verso la strada.

NANDO                  - Freddi, eh, lassù.

ELSA                       - Bè, non tutti.

NANDO                  - Meno male.

ELSA                       - Peggio. Quando non son freddi, rischi che ti strangolino con le tue stesse calze e ti seminino, per i boschi, a pezzi, è il loro sport nazionale. Ora

LUI                          - l’ha raggiunta, ha cominciato a toglierle il giubbetto e, all’uscio, squilla il campanello. Accidenti...

NANDO                  - (d’ora in poi, sempre sottovoce) Ssst... Naturalmente, fuori si insiste. E sta qui. Lascia che suoni... Basta non aprire, no? Di che hai paura?

ELSA                       - Chi può essere?

NANDO                  - Mah, forse il postino. Si fa finta di niente. Visto che il campanello non serve, si comincia a tempestare l’uscio di pugni e, inevitabilmente, prima o dopo, arriva anche la voce: “...NANDO, NANDO... Apri... NANDO... Carogna, schifoso!...”.

ELSA                       - Non mi pare il postino.

NANDO                  - Buona... lasciala strillare... vedrai che la serratura resiste. “Apri, ti dico, NANDO... Maledetto, apri... So con chi sei, so cosa stai facendo... Ti prego, NANDO... Perché mi tratti così?... Ti prego...”. Ecco, ora va bene.

ELSA                       - Ma, con te, ci si deve prenotare!...

NANDO                  - Buona... Le toglie la parola, bocca sulla bocca, la rovescia sul letto, allunga una mano e mette in moto la piccola radio che fa da accompagnamento ai richiami di fuori, con un valzer lento, vecchio ma si ascolta sempre volentieri. ATTO TERZO Si è già alle prime nebbie; precoci quest’anno. È giorno alto ma, dentro al bar, par quasi sera.

FULVIO                  - sta in piedi, su uno sgabello, addosso a una parete, alla mercé di

ELSA                       - che, dal basso, gli passa un cartellone pubblicitario alto e largo tanto, col

NANDO                  - dalla testa ai piedi, dal vero al naturale, tutto muscoli ed energia, senza niente addosso, lanciato d’impeto a scagliare il giavellotto e, sopra, scritto: “Olimpiadi 1964”.

ELSA                       - Toh, dài.

FULVIO                  - Io lo attacco ma senza pigliarmi responsabilità. Capace che si disturba e, quando lo vede, si mette a sacramentare e farlo a pezzi.

ELSA                       - Tu, sentiamo, ti disturberesti?

FULVIO                  - Vorrei possedere quel fisico, mi metterei vivo in vetrina, alla Rinascente; io che, alla sera, vado a letto al buio per non addormentarmi con la malinconia a dovermi vedere spogliato nello specchio.

ELSA                       - E vuoi che si disturbi lui? Non dispiace a nessuno farsi invidiare, qualunque cosa si tratti, è una regola della vita.

FULVIO                  - Quello, è bravo chi lo capisce, massima negli ultimi tempi.

ELSA                       - Salta giù, piuttosto, e dà un’occhiata, tu che sei intenditore... Compiuta l’affissione, egli scende, si allontana tre passi indietro e se lo ammira. Eh, ti toglie la parola come è stato immortalato? Prova a fare un po’ di luce così lo si gode meglio.

FULVIO                  - (dopo aver girato l’interruttore) Già, il tipo atletico, va sempre. Si porta con tutto, come la camicia bianca. Che spettacolo, creature! Gli dovete voler bene, sì, voialtri, per averlo valorizzato tanto!

ELSA                       - Tale come lo vedi, a milioni di copie in tutto il mondo.

FULVIO                  - Fa vergogna a pensarci. Dico da un punto di vista familiare, dove anche una canottiera ha la sua importanza morale.

ELSA                       - Un po’ osè, se vogliamo, ma la trovata era ben di rendere sexy le olimpiadi! Rivelare lo stretto legame intercorrente tra l’eros e la ginnastica. Però, quell’accidente del MIRKO, quando vuole. A forza di star con me, vedi come sente l’antico. Se era qualche secolo fa, ora finiva appeso alla pinacoteca vaticana; quel genere lì, là dentro, è sempre stato apprezzato.

FULVIO                  - Gente che se ne intende. E avrebbero incamerato anche l’originale, ho idea. ELSA...Ne avesse combinata una giusta! Cosa ci voleva? Gli basta venire al mondo quattro secoli indietro ed eri sistemato. Macché, neanche a nascere l’ha indovinata. Confezionami un po’ i miei soliti veleni, va. ( E mentre l’altro al banco provvede) Bè, e ’sto protagonista arriva, sì o no?

FULVIO                  - Sta fuori, non l’ha visto? Col gerente, a fare i conti della settimana.

ELSA                       - Ah, dimmi, piuttosto, una cosa: la

LELE                       -

GALLUZZI             - è molto che non compare da queste parti?

FULVIO                  - Mica spesso come prima, solo una volta, due, alla settimana e anche meno. Ma, ormai, è un bel po’ che non si fa vedere.

ELSA                       - Con noi, più fatta viva niente del tutto, vuoi vedere che ci snobba.

FULVIO                  - Se è per quello, mi sa che si son messi a snobbarsi anche tra loro, qua. Arriva come un fantasma dispettoso, entra senza salutare, si stabilisce là in fondo, con una grinta al mitra e una coca-cola al rum, e comincia il film muto, silenzio

LEI                           - , silenzio

LUI                          - e son più le volte che se ne resta fuori e non mette neanche dentro la testa per dir crepa. È una storia che si va smollando.

ELSA                       - Così, niente più fughe in macchina?

FULVIO                  - Un ricordo. Quaresima stretta. Solo, però, con

LEI                           - . Tipo, se gli capita di combinar gli orari, da fargliela anche sotto gli occhi. S’è messo a giocare sul cavallo della crudeltà.

ELSA                       - Sarà, per caso, invece

LEI                           - , sopraffatta dal complesso della borghese e si incontreranno di nascosto per non dare nell’occhio? Non s’ha idea le schifose metamorfosi del conformismo.

FULVIO                  - Non son pantomime per il NANDO, quelle lì. Che devo dire? Si vede che è rimasta affezionata al posto. Sa mica, se avesse tendenza al paesaggio?

ELSA                       - Escluso. Ha sempre prediletto la figura.

FULVIO                  - Va a capire la gente come gli gira!

ELSA                       - Sta a scommettere che ci si prepara una riedizione della bisbetica domata. Il gusto che ci proverei!... E null’altro ha il tempo di aggiungere, essendo già entrato il

NANDO                  - dietro al Ligabò,

UN TALE                - che manifesta il proprio ottimismo con una gran giacchetta a scacchi e poco più.

NANDO                  - (dopo aver confessato, con un fischio, la soddisfazione di trovarsi di fronte a se stesso) E così ce l’avete fatta.

ELSA                       - (una strizzatina d’occhio al FULVIO) Che ti dicevo?

NANDO                  - Cosa le dicevi?

ELSA                       - Che sei riuscito una bellezza.

NANDO                  - E, naturalmente,

LUI                          - era d’accordo.

LIGABO’                - Cos’è, ti sei fatto fare il ritratto da mister muscolo e l’hai attaccato nel bar per richiamar clienti?

NANDO                  - Più o meno.

LIGABO’                - E adesso, al primo passaggio della squadra del buoncostume da queste parti, mi chiude l’esercizio.

ELSA                       - Come se piazze e musei non fossero pieni di opere d’arte che valgono molto meno, senza, per questo, essere vestite di più.

LIGABO’                - Il fatto è, cara

LEI                           - , che, in questura, l’arte non li commuove neanche tanto così; in compenso, però, sono allergici al nudo.

FULVIO                  - Ci si può attaccar su la réclame della camomilla Bonomelli che è distensiva e calmante.

ELSA                       - Ma

LEI                           - , moralista, circola per la strada a occhi chiusi?

LIGABO’                - Generalmente no, quando si tratta di accontentar la vista.

ELSA                       - Bene, non si preoccupi che l’accontenterà. Tempo un paio di giorni, di quei Nandi lì ne vedrà a migliaia appiccicati ai muri di Milano.

LIGABO’                - Se me lo garantisce, allora può restarci. Ad abituare l’occhio, dopo tutto, rallegra l’ambiente.

FULVIO                  - Capaci che l’avranno anche pagato per dargli quella soddisfazione.

NANDO                  - Così, almeno, s’era restati intesi.

ELSA                       - E lo si è ancora, se ci tieni.

NANDO                  - (perché non si debbano creare equivoci) Non avevo dubbi.

ELSA                       - Siamo in tre: io l’idea, il

MIRKO                   - il pennello e tu stesso. Un terzo del premio a testa.

NANDO                  - Vale a dire?

ELSA                       - Se il cambio giapponese non fa scherzi come quello italiano, un milione largo.

LIGABO’                - Bel colpo!

NANDO                  - Mi può arrivar giusto comodo per qualcosa che ho in testa.

FULVIO                  - Questa è la volta che realizza il suo sogno di passar capitalista.

ELSA                       - Bè, io scappo. Se stasera, sul tardi, ti fai vedere in galleria, si festeggia l’originale.

NANDO                  - Vedrò di farcela.

ELSA                       - E cerca di essere in forma. Prendi esempio lì.

FULVIO                  - Me lo dà un passaggio, che, se il

NANDO                  - mi tiene d’occhio il bar, avrei una faccenda da sbrigare? Tanto già, oggi, colla nebbia che comincia a calare, poca gente si vede. Un’oretta in tutto. Posso?

NANDO                  - Che, poi, l’oretta, non si arrivi a sera.

FULVIO                  - Ce la faccio anche con meno, capo. E vanno.

LIGABO’                - Come se la cava quello lì?

NANDO                  - Quando si accontenta di fare quel che deve fare, se la cava niente male. È solo questione di tenerlo in corda.

LIGABO’                - Il responsabile, qui, sei tu e, io, a te, guardo.

NANDO                  - Mi vuol cavare una curiosità?

LIGABO’                - Dipende che curiosità.

NANDO                  - Si è sentito dire che vorrebbe cedere, qui, la concessione.

LIGABO’                - Prima o dopo, sicuro che me ne libero, di questa e anche di quell’altra. Son miserie.

NANDO                  - Certo, il ricavato no è gran che con tutti i mesi morti.

LIGABO’                - Mi son servite per avviarmi, ma adesso ho bisogno di liquido per qualche cosa d’altro.

NANDO                  - Cambia giro d’affari?

LIGABO’                - Non proprio. Mi estendo, come si dice. Ho in mente un piccolo motel, trenta chilometri più avanti. Ho già il terreno. Poca cosa ma ben messa: bar, tavola calda e un dieci camere.

NANDO                  - Biletto.

LIGABO’                - Naturale. Però, uniti. Se si sviluppa, come si sta sviluppando, questo andare all’americana, le camere sull’autostrada rendono. Possono essere usate anche tre o quattro volte in un giorno. Gente in compagnia che ha voglia di fermarsi un paio d’ore a riposare in libertà, ne circola sempre di più. Prima gli stranieri e dopo ci vengon dietro gli italiani, non c’è dubbio, se non ci vanno anche avanti prima.

NANDO                  - Ho capito.

LIGABO’                - La trovi mal pensata?

NANDO                  - Senza rischio non si fa fortuna e il rischio è relativo, a tener gli occhi aperti.

LIGABO’                - Ecco. Trovare un socio dalla parte buona, senza farlo figurare, mi spiego?

NANDO                  - E l’ha trovato

LIGABO’                - Fra gli onorevoli affamati di serie B, se ne trova sempre. Tu, ci verresti a mandarmi avanti la baracca?

NANDO                  - E’ una mansione per la quale le potrebbe andar meglio il

FULVIO.

LIGABO’                - Scrupoli?

NANDO                  - E’ che avrei in testa una mezza idea anch’io.

LIGABO’                - Cambi mestiere?

NANDO                  - Ha detto che, qui, è disposto a cedere. Penso che non abbia ancora sottomano chi subentra. Io le potrei dare un milione, anche, forse, uno e mezzo, subito, e il resto, diciamo, a due anni, se va male.

LIGABO’                - E se va bene?

NANDO                  - Se va bene, e non è escluso, subito subito, tutto sull’unghia.

LIGABO’                - Ma ci vuole almeno cinque sei volte tanto, a non contar gli interessi, ti rendi conto?

NANDO                  -

LEI                           -  non ci pensi. Qua si può sempre garantire, no? Fino al saldo, si tiene tutto intestato a

LEI                           -  e dorme senza pensieri.

LIGABO’                - Non perdi tempo a cercar di mettere a frutto il tuo nuovo capitale.

NANDO                  - Ho torto?

LIGABO’                - Anzi,

NANDO                  - Prima o dopo, bisogna pur lasciar crescere il dente del giudizio.

LIGABO’                - Fossero tutti come te.

NANDO                  - Allora?

LIGABO’                - Ci si può pensare. Tenuto conto quel che voglio mettere su più avanti, mi sarebbe comodo aver qui te piuttosto di un altro. Diventa una specie di posto di blocco.

NANDO                  - Mi può lasciare, facciamo minimo un mese, prima di prendere altri impegni?

LIGABO’                - Se ne parla, tanto c’è tempo. Là, prima della fine dell’anno, non si cominciano i lavori.

NANDO                  - Parola?

LIGABO’                - Parola.

NANDO                  - Ci si beve su?

LIGABO’                - Ho fatto già fin troppo tardi. Devo ancora farmi vedere all’altro distributore. Avrei proprio curiosità di conoscere dove potrai trovare tutti quei soldi.

NANDO                  - Le ho detto non ci pensi. Se prendo l’impegno, in un modo o nell’altro, me la cavo.

LIGABO’                - Stammi bene. Tu farai strada.

NANDO                  - Vuol dire?

LIGABO’                - Lo porti scritto sulla pelle.

NANDO                  - Si vede che la pelle è la mia unica risorsa.

LIGABO’                - Tientela da conto.

NANDO                  - Seguirò il suo consiglio. Erano già sull’uscio. Si stringono la mano e il

NANDO                  - resta solo. Tutto considerato, non deve trovarsi di cattivo umore, perché va al juke-box, si offre una canzonetta melodica alla Claudio Villa, la prima che gli capita sotto, e se la sta ad ascoltare a cavalcioni d’una sedia, contemplando il manifesto olimpionico. Ed è lì che lo incontra il

GALLUZZI             - padre, un uomo che non sarà una cima e che, fuori dell’ambito del melodramma, sua passione del cuore fin dalla verde età, quand’era persuaso d’avere una miniera d’oro in gola, è meglio non avventurarlo. A meno che non si tratti dei “Promessi Sposi” che conosce a memoria e, a causa di questo solo, passa per una macchietta, tanto alieno e sospettoso è l’ambiente, al quale appartiene, verso tutti i libri che non siano quelli del dare e dell’avere. Ma non è nemmeno privo di buonsenso, né carente di spirito di tolleranza, né destituito di un equilibrato colpo d’occhio nel giudicar la gente senza tener troppo conto del ceto e della rendita dove la fortuna li ha alloggiati. Tanto per dire: pieno così di milioni, non è mai riuscito a nascondere la sua simpatia per Nenni. (Per la precisione, ai “Promessi Sposi”, da qualche settimana, sarebbero da affiancare “I Miserabili”, una scoperta recente, merito della televisione, davanti alla quale, essendosi, una domenica sera, a causa di una storta a una caviglia, trovato per caso, non ha più mancato una puntata del romanzo e non vede l’ora di conoscere come andrà a finire, se l’avrà vinta Jean Valjean oppure lo sbirro Javert, e guai chi tentasse di raccontarglielo prima che sia finito, anche se è finita la storta e il cuore lo ha già informato di tutto).

GALLUZZI             - (che ha sostato, dietro, ad ascoltare, quando il disco sarà esaurito) Mica una cattiva voce. Piccola ma niente male. Però, anche quello lì, ha il mal della pecora. L’altro si volta e lo guarda con comprensibile stupore. Si accorge che ha il mal della pecora?

NANDO                  - Sa, io non me ne intendo. Le ascolto così, tanto per dare aria alle idee, da un orecchio entrano e dall’altro escono.

GALLUZZI             - La lacrima, lì, ha sentito, che offusca le corde vocali. Hanno tutti il mal della pecora, è la malattia dei tenori italiani. Tirano verso il soprano. Anche Di Stefano, anche Corelli, anche Raimondi, anche il Poggi. Voci stupende, sicure, ben educate, ma col mal della pecora.

NANDO                  - Vuol dire?!

GALLUZZI             - Solo Del Monaco non ce l’aveva.

NANDO                  - Perché, gli è venuto?

GALLUZZI             - No, perché gli sta andando via la voce. E’ stato Beniamino Gigli ad attaccar il mal della pecora a tutti. E il peggio è che, all’estero, senza il belato patetico, le nostre voci ormai non le apprezzano più. Due generazioni dopo Caruso, e siamo arrivati a questo.

NANDO                  - E’ grave?

GALLUZZI             - Se è grave?!... Ora, io dico, fin che si tratta di Puccini, Mascagni, Cilea, Massenet, transeat, ancora ancora, tutto passa. Ma cosa vien fuori quando si deve affrontare Verdi, Rossini, Bellini, Donizetti, non parliamo Wagner, i padreterni veri, che poi sono quelli che contano? Qui li voglio. Me lo dice quel che diventa il Trovatore a dover sentire la “pira” col lutto sulla laringe e la lagrima sul ciglio? Eppure, si sente. L’avrà sentita anche

LEI                           - , del resto.

NANDO                  - No.

GALLUZZI             - E’ stato fortunato. Del Monaco?

NANDO                  - Non l’ho sentita perché non ho mai sentito il... il... il Trovatore.

GALLUZZI             - Volevo ben dire. Ah, andiamo bene. Un giovanotto svelto, grande e grosso, dall’aria intelligente, dai modi educati e melodramma zero.

NANDO                  - Lo confesso.

GALLUZZI             - Non è mica un’eccezione. Siete tutti così. A scuola vi riempiono la testa chi era Cavour, la regina Margherita, ma hai voglia che spendano una mezza parola a informarvi dell’esistenza della Malibran e di Tamagno, tanto meno antipatici, oltretutto. I miei figli: lo stesso. Mettergli a disposizione, tutto il tempo dell’anno, un palco alla Scala e obbligarli a mangiare di magro in carnevale, per loro, è la stessa cosa.

NANDO                  - Avranno passioni diverse.

GALLUZZI             - Altro se le hanno, purtroppo, e sarebbe meglio che non le avessero.

NANDO                  - Vedo che

LEI                           -  è competente.

GALLUZZI             - Alla tua età... oh, scusi.

NANDO                  - Mi dia pure del tu, se questo le facilita lo sfogo.

GALLUZZI             - Ma sì, mi trovo meglio. È talmente raro che qualcuno stia ad ascoltare su questo argomento!... Stavo dicendo?

NANDO                  - Stava dicendo alla mia età.

GALLUZZI             - Alla tua età, io possedevo la più bella voce da tenore che si fosse udita da cinquant’anni.

NANDO                  - Sai che capitale!

GALLUZZI             - Lo credo bene. Sulla brunitura del Michele Fleta, più robusta sul registro alto e più morbida in quello centrale, che è tutto dire. Te ne fai un’idea?

NANDO                  - Chissà i successi.

GALLUZZI             - Vorrai dire i fischi. Son salito sul palcoscenico una volta sola: la fine del mondo. Neanche fossi stato io a far scoppiare la guerra!... Cos’è stata quella Bohème! Mi credi se ti dico che, ancora oggi, e son passati quarant’anni, ogni volta che l’ascolto, mi vengono i sudori freddi?

NANDO                  - Timor panico?

GALLUZZI             - Quella bestia del mio maestro, fissato che avevo la voce da baritono e così me l’ha scassata, ma scassata da non poterne più mettere insieme i pezzi, e sì riescono ad aggiustare perfino i vasi antichi! Avrei potuto trionfare come Rodolfo e sono andato a picco come Marcello.

NANDO                  - E così, ha dovuto rinunciare chissà a che carriera.

GALLUZZI             - Per forza. Dalla musica all’industria, vale a dire dagli acuti alle porcellane.

NANDO                  - Coi sacchi di quattrini che avrebbe potuto fare!

GALLUZZI             - Per questo, non è che mi debba lamentare, e non ho neanche nostalgie, me ne è mancato il tempo, se Dio vuole. Ma i soldi non sono tutto nella vita. La vocazione era un’altra. E invece, qualche romanza in famiglia con una voce bastarda, né tenore né baritono, compatito dai parenti, fra amici che mi stanno ad ascoltare perché non possono farne a meno, ed è tutto quel che mi è restato. Ma cosa posso farci? Uno sfogo, ogni tanto, mi ci vuole.

NANDO                  - Se non altro, le opere che non ha potuto cantare, ora si consola ad ascoltarle.

GALLUZZI             - Come se fosse lo stesso! Dal paradiso al limbo.

NANDO                  - Mi dica un po’, ma perché tutte queste cose le racconta a me? Non conosce i melomani!

GALLUZZI             - Mah, forse perché mi sei simpatico, forse il bisogno di distrarmi dalla grana che mi ruga dentro, forse perché sei uno dei pochi che mi siano stati ad ascoltare. Occasioni rare. Cosa vuoi, ogni tanto, l’antica ferita si rimette a sanguinare come le stimmate del Padre Pio e a chi tocca tocca.

NANDO                  - (postosi dietro al banco) Desidera berci su qualcosa?

GALLUZZI             - Sono venuto solo per incontrare

UN TALE.

NANDO                  -  Le ha dato appuntamento qui? Non ha che da accomodarsi.

GALLUZZI             - Deve già esserci, deve lavorare qui: un certo NANDO. Sai dov’è?

NANDO                  - Ha bisogno il pieno di benzina?

GALLUZZI             - Ho bisogno di fagli un discorso.

NANDO                  - Sono io.

GALLUZZI             - Tu?

NANDO                  - Non ho la tuta perché poco c’è da fare e presto smonto dal servizio, ma il

NANDO                  - sono io, glielo garantisco.

GALLUZZI             - E perché non me l’hai detto prima?

NANDO                  - Perché non me l’ha domandato.

GALLUZZI             - Ora diventa tutto maledettamente più difficile.

NANDO                  - Perché?

GALLUZZI             - (già piuttosto, anzi parecchio diverso) Perché ti ho trattato col tu, ti ho raccontato i fatti miei, ti ho dato confidenza e dovevo assumere un registro tutto al contrario.

NANDO                  - E’ sempre in tempo, basta che si spieghi.

GALLUZZI             - E allora ecco qua: cavaliere del lavoro Annibale GALLUZZI. Ti dice niente questo nome?

NANDO                  - (senza aver fatto una piega) Per un grande tenore mi dice che sarebbe stato un nome abbastanza adatto.

GALLUZZI             - Giovanotto, è ora di cambiar tonalità.

NANDO                  - Ben sì, qualcosa mi dice. E mi rendo conto che, anche il mio, deve dir qualcosa a

LEI                           - .

GALLUZZI             - Vedo che cominci a capirmi.

NANDO                  - E così, ha deciso di continuare a darmi del tu?

GALLUZZI             - Adesso te lo devo dare per la ragione opposta di prima.

NANDO                  - Faccia pure, tanto, se ci si deve intendere, è una tappa superata.

GALLUZZI             - Era del tempo che ti volevo vedere in faccia.

NANDO                  - Di solito, non dispiaccio.

GALLUZZI             - Ho idea che è solo una prima impressione.

NANDO                  - C’è una cosa che non mi quadra.

GALLUZZI             - Sapessi, tu, quante ce ne sono che non quadrano a me! NANDO...Che la LELE, con l’amor proprio che ha, sia ricorsa a metter di mezzo

LEI                           - .

GALLUZZI             - Quella disgraziata non sa niente che son venuto.

NANDO                  - Preferisco così.

GALLUZZI             - Che sia venuto o che LEI        -  non sappia niente?

NANDO                  - Che non sappia niente. Perché, tanto per parlar chiaro, maggiorenne io, maggiorenne

LEI                           - , fino a prova contraria, è, prima, tra noi due che ci si deve metter d’accordo.

GALLUZZI             - E mi farai anche il santissimo favore di non dirle una parola di questo mio passo.

NANDO                  - Non mi costa niente prometterglielo.

GALLUZZI             - Se lo sapesse, finirebbe ancor più matta di quello che non sia sempre stata e che non si sia aggravata dopo che t’ha conosciuto. Sulle informazioni di suo fratello, abbiamo ricostruito la tresca io e sua madre, che è appena poco meno peste di

LEI                           - ; solo in maniera diversa e meno immorale, ma, non per questo, meno insopportabile, e così mi son deciso ad intervenire.

NANDO                  - Ha detto, scusi, tresca?

GALLUZZI             - Hai, tu, da suggerire una parola meglio intonata?

NANDO                  - Questa è la prova che non ha parlato con la

LELE.

GALLUZZI             - Giovanotto, io non ho l’abitudine di raccontar balle.

NANDO                  - E che ne so io? Abbia pazienza, è la prima volta che la vedo. E le dico anche un’altra cosa. Se si fosse, prima, spiegato con sua figlia, si sarebbe evitato una mossa falsa. La

LELE                       - ha molti difetti, qualche volta fa venir voglia di prenderla a sberle...

GALLUZZI             - Ecco l’unico punto sul quale andiamo d’accordo, con la differenza che, invece di qualche volta, la voglia di prenderla a sberle la mantiene in permanenza.

NANDO                  - Sì, va bene, però non ha il difetto di dire una cosa per un’altra. (Una sfumatura di piaggeria, quel dritto!) Si vede che, in questo somiglia a suo padre. Quello che vuole, ma tresca, a me, mi fa il piacere, non me lo dice.

GALLUZZI             - Per caso, ti senti calunniato?

NANDO                  - Valorizzato, semmai. Calunniata potrebbe sentirsi sua figlia e mi fa sorpresa che non se ne renda conto.

GALLUZZI             - Cavalleria sprecata. Mia figlia, purtroppo, è da quel dì che non è già più calunniabile.

NANDO                  -

LEI                           -  sta prendendo una cantonata grossa così.

GALLUZZI             - Non domanderei di meglio. Ma, purtroppo, la conosco bene e non da questa volta, e ho anche un’idea dei tipi come te.

NANDO                  -  (dopo essersi tranquillamente versato una birra, chiede se desidera gradire) Vuole? Senza complimenti...

GALLUZZI             - Ho detto di no.

NANDO                  - Credevo che le fosse venuta sete.

GALLUZZI             - Non è escluso che mi venga in seguito.

NANDO                  - (che s’è già messo seduto comodo) Avanti, allora, faccia la sua scena.

GALLUZZI             - Cos’è, siamo già al secondo atto?

NANDO                  - Siamo, ormai, al terzo e si sta andando per le lunghe.

GALLUZZI             - (il guaio di non riuscir a trovarlo antipatico!) La malora è che mi sento stonato peggio di Lauri Volpi e non so da dove cominciare.

NANDO                  - Cominci dalla fine, così faremo più presto. Mi sa che, per

LEI                           - , come si dice, il tempo è danaro.

GALLUZZI             - La verità è che, così, è escluso che si possa andar avanti. E non è neanche che non mi renda conto che se, alla tua età, per quanto mascalzone potessi essermi comportato, mi fossi trovato davanti uno a dirmi quello che ti devo dire io, non è sicuro che non l’avrei mandato a quel paese; ma è sicurissimo che mi sarei messo a ridere. Quel che è giusto è giusto.

NANDO                  - Va bene, vuole che mi impegni né a ridere né a mandarla a quel paese?

GALLUZZI             - Mi useresti una cortesia.

NANDO                  - Mi impegno.

GALLUZZI             - E ora ti dovrei anche ringraziare.

NANDO                  -  Faccia

LEI                           - , non c’è fretta, tanto, già, qualcosa m’avverte che è a quella che si dovrà arrivare.

GALLUZZI             - Così, avrei fatto anche la figura di Germont!

NANDO                  - Chi è?

GALLUZZI             - Il padre della Traviata. Possibile che il destino mi deva assegnar sempre la parte del baritono che non mi è mai riuscita?

NANDO                  - Forse se, per cinque minuti, si dimentica il canto riesce meglio di venire al dunque.

GALLUZZI             - Capiscimi bene, prima di tutto. Non son qui per fare la scena del genitore offeso, a chieder conto della virtù oltraggiata di sua figlia e cose del genere. Se c’è un padre che non è in condizioni di farla, sono io. Fin qui, arrivo a rendermene conto. E con che faccia? Oggi usa così. Le chiamano esperienze prematrimoniali e non ci si fa più caso. È come andar a scuola serale, serve, dicono, ad affrontar, poi, meglio la vita. Bene, Dio lo voglia. Tu come la vedi?

NANDO                  - Non ci ho mai pensato su.

GALLUZZI             - Dico Dio lo voglia perché, diversamente, non ho idea che fine farebbe quella scriteriata. Quello che so è che, se mio padre, trent’anni fa, avesse avuto una figlia come sua nipote oggi, la avrebbe accoppata di bastonate. Mio padre era un uomo semplice e all’antica. Aveva poche idee in testa, ma come chiodi, e, tra queste, una era che i maschi ne facessero peggio di Carlo in Francia, ma le femmine dovevano arrivare vergini al matrimonio, figurarsi! Ora è sottoterra e, in un certo senso, ciò semplifica le cose, perché, da nonno, non era tipo da cambiar idea. Meno male che la Provvidenza semplifica le cose.

NANDO                  - Mi sa che, più o meno, è rimasto così anche il mio.

GALLUZZI             - Hai la fortuna di avere ancora il nonno?

NANDO                  - No, ho la sfortuna di avere ancora il padre. Mio nonno è da quel dì che sta a veder crescere le patate dal disotto!

GALLUZZI             - E’ così, oggi, che parlate, mi par di sentire i miei.

NANDO                  - Non ci badi, si fa tanto per dire.

GALLUZZI             - (subitamente esplosivo, chissà perché) Ma tu, Cristo! Sei maschio, puoi fare l’accidenti che ti pare!

NANDO                  - Non mi ha capito. Se mio padre è come era il nonno di sua figlia, vuol dire che io sarei indietro di una generazione, ecco, questo.

GALLUZZI             - Andiamo sul difficile. Intendi che dovresti pensarla come me che, di suo nonno, sono il figlio?

NANDO                  - Non mi azzardo, ma non mi dispiacerebbe, sempre che

LEI                           -  me o permetta.

GALLUZZI             - Nessuno te lo proibisce.

NANDO                  - La vedo così arrabbiato!...

GALLUZZI             - Fammi il favore di non continuare a interrompermi. Devo domandarti di nuovo dove ero rimasto.

NANDO                  - (rimettendolo in carreggiata) Alla verginità delle ragazze che si maritano.

GALLUZZI             - Ecco. Una volta! Ora non più! C’è stata la guerra, l’uguaglianza dei sessi, il benessere economico e tutti gli accidenti che ci sono stati, compresa la dodecafonia che, anche quella, ha le sue responsabilità. Niente più verginità, soppressa.

NANDO                  - Una fatica di meno!

GALLUZZI             - Moderni, modernissimi. Per forza. E pazienza. Però, c’è chi esagera... Che non deva diventar una malattia! Questo è il perno di tutto: c’è chi esagera. E mia figlia ha sempre esagerato. Che non mi dicano che non ha esagerato perché divento una bestia.

NANDO                  - E io, scusi, cosa c’entro?

GALLUZZI             - La malora! Tu sei la sua maggior esagerazione.

NANDO                  - Vuol dire?!

GALLUZZI             - E ti regalo tutte le questioni di nascita, di fortuna, di condizione e il resto. Perché, oltre all’eguaglianza dei sessi, oggi ci è caduta sull’osso del collo anche l’eguaglianza sociale e, fra tutte queste eguaglianze, contenti o no, si deve... come dicono!... aiutami...

NANDO                  - A far che?

GALLUZZI             - Si deve...

NANDO                  - Non so.

GALLUZZI             - Ce l’ho qui, sulla punta della lingua... Marciare coi tempi, ecco, marciare coi tempi.

NANDO                  - Bravo.

GALLUZZI             - D’altra parte, siamo giusti, chi ero io, quarant’anni fa?

NANDO                  - Un tenore, ha detto.

GALLUZZI             - Sì, va bene, ma se non pompavo benzina, o qualcosa di simile, era solo perché l’automobile non faceva ancora capire il maledetto sviluppo che avrebbe avuto dopo.

NANDO                  - Ma che discorsi si mette a fare?

GALLUZZI             -  Sta zitto un momento! Voglio dire, io sono democratico per costituzione... e un po’ anche socialista. È inutile, la botte, dà il vino che ha, niente da fare. Mio padre...

NANDO                  - Sempre suo padre.

GALLUZZI             - Eh sì, è stato un bell’incomodo. (Rude ma nostalgico) Mandava avanti, pensa un po’, una bottega di manufatti igienici in una traversa del corso Buenos Aires, in fondo, fra un cappellaio e un arrotino, tutti e due falliti. Il primo, causa che, a un certo momento, nessuno ha più voluto portare il cappello; il secondo non s’è mai saputo il perché. Laboratorio e magazzino, tutto in cortile: quattro lavoranti e basta e mia madre, la nonna della LELE, alla cassa. È ancora viva e può dirlo: nei momenti che l’arteriosclerosi glielo permette, se ne ricorda ancora. Poi, da un giorno all’altro, è venuta di moda la frenesia di lavarsi. Detto fra noi, penso che ci sia entrata anche quella in tutto questo far l’amore del giorno d’oggi. Il lavandino di porcellana, le piastrelle di maiolica, i rubinetti cromati, l’acqua calda e frEDDA, il water, il bidet; tutti hanno avuto il bagno, due bagni, tre bagni, la doccia, il Cobianchi, la piscina... E la fortuna ha cominciato a spingerci avanti a calci, che non ci si è più tenuto dietro. I milioni era più difficile non farli che farli. Dopo la guerra, la ricostruzione; dopo la ricostruzione, il Mezzogiorno da civilizzare, e alè. Parola d’onore, adesso, quando vedo i due stabilimenti, i duemila operai e i dieci vagoni di roba che se ne vanno ogni giorno chissà dove, mi par quasi che si siano fatti da sé, venuti su spontaneamente come l’insalata... E ho perso il filo un’altra volta! Tu mi devi fermare, Cristo! Quando senti che cambio discorso.

NANDO                  - Vogliamo tentare di riprendere dalle esagerazioni?

GALLUZZI             - Quello è il punto. Mia figlia esagera, dicevo, e tu sei la sua maggior esagerazione. Ora, tu devi farti un esame di coscienza, devi venirmi incontro, mi devi dare una mano, figlio mio, sennò dove andremo a finire?

NANDO                  - Son qua.

GALLUZZI             - Sì, perché, dico, si deve mandar giù il rospo che essa cambi uomo come cambia la camicia? Che, almeno, questo procuri un po’ di quiete, non lo sconquasso in famiglia.

NANDO                  - Più che giusto.

GALLUZZI             - Finora, nei periodi che stava attaccata a qualcuno, diventava sopportabile, e, siccome questo avveniva spesso, si tirava avanti discretamente. Il brutto era fra un periodo e l’altro, ma s’è sempre trattato di cosa breve e superabile. Questa volta, è successo tutto il contrario, non si respira più. Un serpente a sonagli, la rabbia incarnata: musi lunghi tanto, villanate da far arrossire un carrettiere, un intero servizio di Sèvres, duecento pezzi, tirata la tovaglia, in mille frantumi, davanti a dieci invitati.

NANDO                  - Non le erano simpatici?

GALLUZZI             - Non le era simpatica la mia intenzione di cantare la Mattinata di Leoncavallo alla compagnia. Quattro cameriere e due domestici, dico sei, licenziatisi in meno di un mese, rinunciando al benservito: gli nuocerebbe, dicono. Il giardiniere che, per poco, non le ha rotto un badile in testa e avrebbe fato bene, magari! Cinque incidenti di automobile, novecentocinquantamila lire di carrozzeria e sei punti su un polpaccio. E tutto questo, arrivo a dire, sarebbe ancora niente, coi soldi si rimedia. Ma non mangia, in compenso beve peggio di un muratore, dimagrita come una sardella, che potrebbe far la donna serpente al circolo equestre. Non le crescono più altro che gli occhi, grossi quanto i fanali di una carrozza. Dicono colpa della tiroide, io dico colpa di qualcos’altro. I sonniferi scorrono come la birra e almeno la facessero dormire, si tirerebbe il fiato. A proposito, versamene un “piccolo” che m’è venuta sete.

NANDO                  - Con piacere. (E si appresta a provvedere) Ma non crede di esagerare? Tutto quel che ha perso sarà, sì e no, un due chili, a vantaggio della linea.

GALLUZZI             - Sicuro che esagero, ormai chi riesce più a mantenere il senso delle proporzioni? Se non fosse che, da ieri, c’è stato un arricchimento del repertorio. Ieri, abbiamo raggiunto i vertici della Sonnambula. Contraddetta su una stupidaggine e là: fulminata, a terra, coll’arco addirittura, e oscenità da quella bocca, che neanche una caserma a Livorno. Manca solo scrivere sul portone: manicomio, e siamo a posto. Mi stai a sentire?

NANDO                  - Chiara o scura?

GALLUZZI             - Che chiara e scura? Isterismo galoppante!

NANDO                  - Dicevo la birra.

GALLUZZI             - Com’è meglio?

NANDO                  - Gusti.

GALLUZZI             - Metà e metà.

NANDO                  - Va bene: mezza super e mezza normale.

GALLUZZI             - (incoercibile) Ora stammi attento e considera bene: mia moglie non è mai stata una testa forte. Mette Dio dappertutto. Ex corista della Scala, è convinta che le abbia stroncato una carriera, e arrivava a malapena al mi naturale, quando ci arrivava. Mia madre alla mercé dell’ arteriosclerosi che ne sta facendo un suo capolavoro, mai vista una perfezione simile. Mio figlio ho ancora da capire se sia un ebete, un invertito o un furbo. Quel che ho capito è che ci sarà da tremare il giorno che metterà piede in stabilimento, seppur ce lo metterà mai e s’ha da scongiurar Dio che se ne tenga lontano vita natural durante. Il fallimento, con lui, sarebbe come la villeggiatura; ed è l’unico sostegno su cui dovrei contare...

NANDO                  - Bè, in

LEI                           - , io non sarei tanto pessimista.

GALLUZZI             - Un genero? E dove lo trovo un temerario che resista a quella mentecatta?

NANDO                  - C’è anche dei duri in giro.

GALLUZZI             - Non ci vorrebbe meno di un custode di Mathausen, ma li han già processati tutti.

NANDO                  - Non disperi.

GALLUZZI             - Ti sei messo anche a volermi consolare, adesso? Volevo dire: tutto finisce in testa a me. Ma io, figlio mio, oltre alle grane dell’industria ho: l’uricemia, l’artrosi cervicale, la piorrea alveolare, il fegato ingrossato, la dentiera, la pressione a duecentodieci e la colestrina a trecentottanta.

NANDO                  - Capisco che non risparmia neanche in fatto di malattie.

GALLUZZI             - Come vedi, l’infarto è lì, appena fuori dalla porta ad aspettar solo che uno gli dica avanti. E io non ho nessuna fretta di farlo entrare.

NANDO                  - Mi rendo conto che non ha la vita facile e non trova né molta comprensione né molto aiuto, in famiglia.

GALLUZZI             - Ah, ti rendi conto? Ti limiti a rendertene conto?

NANDO                  - Che vuole che faccia? Mi dica

LEI                           - .

GALLUZZI             - Giovanotto, come la mettiamo? Io sono nelle tue mani. Ma cosa le fai, che, gli altri, il nervoso glielo fanno andar via e tu glielo fai venire? Evidentemente, tu le nuoci alla salute. Che si deve pensare? Ci deve essere un contatto sbagliato, un’incompatibilità. Cose che capitano, in natura.

NANDO                  - Crede?

GALLUZZI             - E’ talmente evidente. Forse dipenderà che tu sei il primo uomo vero, diverso da tutte quelle mezze Caroline coi quali se l’era fatta fino adesso. La

LELE                       - è sempre stata di costituzione delicata. Tu me la distruggi, figlio mio. Tu sei troppo forte per

LEI                           - , quello è. C’è pure chi non sopporta certe gradazioni di vino; anche se gli piace, non lo sopporta e quando ne abusa, buonanotte! Tu così per

LEI                           - , che vuoi farci? E allora, se si deve mettere a repentaglio la salute, perché insistere? A un certo punto, bisogna guardare la realtà in faccia. Ve la siete spassata, anche troppo per averla ridotta così, ora basta, finita la musica e si cambia ballerina. Come

LEI                           - , del resto, cambierà ballerino. Una cosetta più leggera. E, se a Dio piace, si tornerà a respirare.

NANDO                  -  Tutto logico, se

LEI                           -  non fosse partito sul piede sbagliato.

GALLUZZI             - E pazienza, diciamo anche quello che avevo avuto l’impressione che, con te, non fosse il caso di dire. Si vede che mi ero sbagliato.

NANDO                  - Vuole che lo indovini?

LEI                           - , adesso sta per tirar fuori il libretto degli assegni per la buona uscita.

GALLUZZI             - In affari, è ancora il solo modo relativamente rassicurante di sistemare certe faccende. Tutto ha il suo prezzo.

NANDO                  - Non ne dubito, ma non servirebbe a niente.

GALLUZZI             - Si comincia sempre così da principio. È una questione di cifra, poi si finisce col mettersi d’accordo.

NANDO                  - Pista totalmente sbagliata. I soldi non sono tutto nella vita, l’ha detto

LEI                           - ! (Canaglia!).

GALLUZZI             - Io ho sempre paura di chi rifiuta il denaro. Bene che vada, finiscono col costarti dieci volte tanto.

NANDO                  - E’ che, vede, capovolta, se vogliamo, ma questa scena è stata già ascoltata.

GALLUZZI             - Come sarebbe a dire?

NANDO                  - Non ci faccia caso, mi capisco io. In fondo,

LEI                           -  ragiona come sua figlia. Si metta solo in testa che non servirebbe a niente. Soldi sprecati. E lo vuol sapere perché sarebbero sprecati?

GALLUZZI             - Cos’è, non la vuoi lasciare, non puoi fare a meno di LEI? Ma non capisci che l’ammazzi? Con tutte le donne che ti potresti godere, più robuste e resistenti di quelle pore quattro ossa! Un po’ di carità cristiana!

NANDO                  - Io son pieno di carità cristiana. Lo sa perché, a sua figlia, sta succedendo quello che sta succedendo? Proprio per il contrario, pensi un po’. Perché la rispetto.

GALLUZZI             - Cosa le fai?

NANDO                  - La rispetto. Non ci sono mai andato e non ci voglio andare a letto assieme, ecco quanto. Realizza finalmente?

GALLUZZI             - E LEI?

NANDO                  -  Altroché! Ma, più che altro, per orgoglio, per puntiglio, per rabbia, per averla vinta.

GALLUZZI             -  Fammi capire. Aspetta che mi siedo. Qui la colestrina va a mille.

NANDO                  - (arcangelo della pazienza) Non ci sono mai andato e non ci voglio andare a letto assieme.

GALLUZZI             - E cosa aspetti?

NANDO                  - Niente. Cosa dovrei aspettare? Una rinuncia, una prova di forza che mi regalo. Ho coscienza che meriterei una medaglia, ma non ho alcuna pretesa che me la diano, ecco.

GALLUZZI             -  Il mondo capovolto! Non ti piace? (E ora s’arrabbia) Ma cosa pretendi, chi credi di essere? Mia figlia, caro te, ha fatto girar la testa a tipi che ti valevano cento volte tanto.

NANDO                  - E’ ben questo. Non fa che dirlo anche LEI     - .

GALLUZZI             - Avrai, per combinazione, mica deciso di conservarti vergine per quando ti sposi!

NANDO                  - E se anche, si fa per dire, cosa ci sarebbe di male? Esigenze intime.

GALLUZZI             - Che, niente niente, anche tu?...

NANDO                  -  Alt! Sta di nuovo sbagliando discorso. Negato: condannato alla normalità. Ho provato: niente da fare, e non me ne vanto, più uno svantaggio che un vantaggio coll’aria che tira. Non ci vado a letto, con la LELE, semplicemente perché non voglio perderla, questo è quanto. Glielo avevo avvertito che si sbagliava.

GALLUZZI             - E, LEI  - , ne è al corrente.

NANDO                  - Certo che ne è al corrente, se no non funzionerebbe più.

GALLUZZI             - Ti sacrifichi così?

NANDO                  - Lascio giudicare LEI   - .

GALLUZZI             - (se potesse, coll’acuto addirittura) Dio del Cielo, le vuoi bene?!

NANDO                  - La storia è complicata, c’entrano tante cose, ma, con un po’ di buona volontà, le si può dare anche questo nome. Crede che sia da compatire?

GALLUZZI             - Infelice! Me la sentivo: Germont, il secondo atto della Traviata.

NANDO                  - Adesso, però,

LEI                           -  mi toglie una curiosità. Sta Traviata dell’accidenti, sarei io o sua figlia?

GALLUZZI             - Non si sa più, è come una giacchetta rovesciata. M’è fin venuto il mal di testa.

NANDO                  - Si riposi pure un po’, non si faccia riguardo, serve a raccogliere le idee. Il poveruomo si mette a camminare per traverso e, così andando, l’occhio gli casca sul manifesto.

GALLUZZI             - Chi è quel do di petto sopra lì?

NANDO                  - Non mi vede?

GALLUZZI             - Hai un fratello gemello?

NANDO                  - Le ho detto che sono io.

GALLUZZI             - Bè, ora la capisco. Ma!... (Dopo essere riuscito a distrarsi) Non è che ci sia speranza che tu possa tornare sulle tue decisioni? Non si può proprio trattare?

NANDO                  - Trattare cosa?

GALLUZZI             - Al contrario di prima.

NANDO                  - Non afferro.

GALLUZZI             - Che, invece di smetterla, tu cominci, voglio dire. Prima credevo che si fosse ridotta in quello stato perché sì, ora mi rendo conto che ci si è ridotta perché no.

NANDO                  - Escluso. No no, non ci conti, sarebbe finita in poco tempo, so come è fatta.

GALLUZZI             - Ma è lo sfacelo. Mi muore, quella povera figlia, mi muore: tisica mi muore, mi fa la fine della Mimì e io ci vado dietro come Rigoletto. (Tutti baritoni!).

NANDO                  - (comincia ad esporsi) La soluzione forse ci sarebbe. Io l’ho anche fatta presente alla LELE, ma, nella mia situazione, non spetta a me farla avanzare oppure retrocedere. Sta lì.

GALLUZZI             - E sarebbe? O Dio,

LEI                           - , comparsa giusta a tempo!

LELE                       - Farsi sposare.

GALLUZZI             - Avresti questo coraggio?

LELE                       - Lo avrebbe! Non aspetta altro.

GALLUZZI             - Ma ti conosce?

LELE                       - Proprio perché mi conosce, lo avrebbe. O, meglio, perché crede di conoscermi.

GALLUZZI             - Però, dicano quel che vogliono, ogni tanto si incontra ancora della gioventù che ha del fegato.

LELE                       - Papà, qui non si tratta di una delle tue opere comiche.

GALLUZZI             -  Mi dispiace. Avrebbe potuto essere l’Elisir d’amore.

LELE                       - Ma guardalo in faccia, la sicurezza che dimostra! Chiama le revolverate come, un altro, chiamerebbe le carezze. Infatti, badando bene a non intromettersi nel loro discorso, egli si è concesso una melodietta allo juke-box, ma poco può goderla ché

LEI                           -  va e gliela spegne.

GALLUZZI             - E tu, prima tanti discorsi e, proprio adesso, ti metti a tacere. Su, fatti sentire.

LELE                       - Sfido, c’è un limite all’improntitudine.

GALLUZZI             - E dài, rispondi qualcosa, mostrale di essere un uomo, o neanche tu ce la fai a tenerle testa?

NANDO                  - Le carte, ormai, sono tutte in tavola. Sta a voi contarle e decidere la partita.

LELE                       - Ti fai idea la sfacciataggine?

NANDO                  - Chiamala, meglio, sincerità, per piacere.

GALLUZZI             - E allora, sotto, in due parole.

NANDO                  - A gennaio ho fatto ventisette anni. Vado ancora forte, la

LELE                       - può dirlo, ma mi rendo anche conto che, un anno due, le mie azioni cominceranno a calare e io, non faccio per dire, sono abituato piuttosto bene. Dunque, sto ancora nel mio miglior tempo, però, se mi voglio fare una famiglia, è ora che ci cominci a pensare.

GALLUZZI             - E così?...

NANDO                  - Trovo una ragazza, mi piace, le piaccio...

LELE                       - E ti senti a posto.

NANDO                  - No. Perché, neanche a faro apposta, la ragazza è figlia del GALLUZZI. Mi dico: gira al largo, NANDO, non fa al tuo caso, attacca i pantaloni da un’altra parte; meglio che vada, son grane e chi ci rimette sei tu.

LELE                       - Sedotto e abbandonato.

NANDO                  - Proprio così: a terra del tutto. E, nelle mie condizioni, alla mia età, non posso permettermelo.

GALLUZZI             - Bastava piantarla netto, tu, subito.

NANDO                  - Sì, Sì. Ma non sono uso né a strappare né a strapparmi la pelle di dosso da me, io. Ecco.

LELE                       - E non c’è altro, proprio altro?

NANDO                  - Sicuro che c’è, però è sempre la stessa musica. È colpa mia se tu sei piena di soldi come un uovo?

GALLUZZI             - Cosa pretenderesti, che regalasse tutto il suo all’Opera di San Vincenzo? Ci pensa già abbastanza sua madre.

NANDO                  - (è l’ultima mano) Ma è ben a causa che non pretendo niente che mi tiro indietro, lo volete capire? Lo si è visto, abbiate pazienza, io avrei potuto anche combinare un affare e farmi assumere mantenuto temporaneo. Nessuna fatica a tirarla a scappare insieme, comprometterla agli occhi del mondo, piantarle nella pancia un figlio... Va bene, poi la solita villeggiatura in Svizzera l’avrebbe spedito, espresso, fra gli angeli, ma intanto era avvenuto. Sono stato fesso a condurmi così?

LELE                       - Eh no, sei stato furbo: credi di essere stato furbo.

NANDO                  - Stiamo ai fatti, alla realtà. Mi si sta, forse, a fare il processo di non averne approfittato? Cos’è, l’onestà è diventata un reato?

LELE                       - O tutto o niente,vero?

NANDO                  - No, amore, o niente o tutto.

LELE                       - E allora, perché non vai fino in fondo per metterti il cuore in pace? Perché non sfoderi l’ultima faccia tosta, quella di domandare, a mio padre, la mia mano e farti dir di no?

NANDO                  - Non lo posso fare, te lo vuoi mettere in testa? Non ne ho i titoli. Sei tu, è lui, semmai, che dovete domandar la mia, se credete che vi convenga. È l’unico vantaggio che mi offre la condizione d’inferiorità, lasciami almeno quello. Perché, poi, alla fin delle fini, dovrei anche fare attenzione se mi converrebbe, a me, la situazione balorda che mi verrei a trovare. Parlo moralmente, si dice così, mi pare.

GALLUZZI             - Io mi domando perché, poi, per far l’avvocato chiedono una laurea. Sarai anche una mezza canaglia, ma sei una mezza canaglia che sa il fatto suo, va ben là. Tu hai la qualità rara, di quelli dai quali ci si lascia imbrogliare, sapendo che ti imbrogliano.

NANDO                  - Caro

LEI                           - , una moglie, io sono benissimo in grado di trovarmela da me, è chiaro? Una moglie, si capisce, senza visone e senza Maserati, ma insomma, una moglie a mia scelta. Tanto già, più di un vestito alla volta e tre pasti al giorno, mettici la merenda, là, anche volendolo, uno non può fare.

GALLUZZI             - A chi lo dici?

NANDO                  - Ecco. Vede? E, se Dio vuole, le soddisfazioni sotto le coperte non sono in proporzione del conto corrente in banca. Ci provvedono altri fondi.

GALLUZZI             - E qui, spesso, i più ricchi sono i più poveri.

LELE                       - Ma sentili! L’avrei scommesso che non domandereste di meglio che di intendervela, voi due.

GALLUZZI             - Lascia andare, uno che sa giocar così, nella vita, non potrà averla altro che vinta sempre, non c’è niente da fare.

LELE                       - E’ un gran peccato che tu non abbia una seconda figlia per comprartelo per genero.

GALLUZZI             - Se non fosse il pericolo che ti venga una delle tue crisi, sarei tentato di dirti un’altra cosa.

LELE                       - Non darti pensiero.

GALLUZZI             -  Ma sì, crisi più, crisi meno... Bene. Vorrei scommettere, guarda che non ti sarà necessario avere un’altra sorella. Una come te, la propria penitenza ce l’ha in se stessa. Quando ha trovato il suo castigamatti, difficilmente ci sa rinunciare.

LELE                       - E allora, chiedigli tu la mia mano. Vediamo se ne sei capace.

GALLUZZI             - Per conto mio, anche subito. Perché, è sicuro, con questo qui, due sono i casi: o ti raddrizza la testa, o ci libera tutti quanti, spedendoti all’altro mondo e se ne va a passare il resto dei suoi giorni all’ergastolo. Ma neanche! Raccoglierebbe tante di quelle attenuanti che, con poco, se la caverebbe.

NANDO                  - Può darsi che mi sbagli. Se dovessi dir la mia, son persuaso, invece, che si sarebbe fatti l’uno per l’altra, e anche

LEI                           -  10 sa, ma non lo dice.

LELE                       - (al limite dei nervi, naso a naso) Ciò che più mi esaspera è la fortuna con la quale sei nato. Buon per te, guarda, che io resista alla tentazione di diventar tua moglie, perché, soltanto per arrostirti vivo, meriterebbe di fare lo sproposito.

NANDO                  - Vuol dire che, se ci ripenserai, io sono sempre qui. A tempo, gli riesce di afferrarle le mani, torcendogliele fino al gemito. E, questa volta, le sberle me le condoni.

LELE                       - Ed è anche l’ultima volta che mi vedi.

NANDO                  - (oscenamente affettuoso) Pazienza. Continuerò a possederti in sogno. Tutte le notti, LELE. Un tormento che è una delizia.

GALLUZZI             - Aspettai, dammi un passaggio.

LELE                       - Hai la tua macchina e, sennò, fatti accompagnare da lui, visto che t’ha sedotto. E fuori, si può ben dire furiosa.

NANDO                  - (faccia tosta) E poi, non le si dovrebbe voler bene!...

GALLUZZI             - Diceva il condannato a morte alla corda che lo avrebbe strangolato!

NANDO                  - Ma no. È solo questione come saperla prendere.

GALLUZZI             - Proprio vero, gli eroi non ci sono solo in guerra. 11 telefono chiama e il

NANDO                  - va a sentire.

NANDO                  - “ ...Sì, qui... subito”. Vogliono

LEI                           - .

GALLUZZI             - Quell’altra matta di sua madre. Avrà cominciato a stare in pensiero che fossi stato preso a coltellate. “Eccomi, cara... Visto, conosciuto, parlato... tutto, tutto... Come no? È venuta anche

LEI                           - ... Qui, sì, qui... Ha fatto la sua solita sbrasata e via... No, senza convulsioni, niente Sonnambula, la serata d’onore ce la riserba in casa. Stasera non invitar nessuno, sarebbe un rischio... Ma no, stremisset no... tucc al contrari, varda... El saria stà propri, l’omm adatt a lee. L’è v’un dei noster, lu!... Me capissi mi... Taca, taca...”. Allo sfogo dialettale, è apparsa all’uscio la sorella del protagonista.

NANDO                  - NANDA?! Disgrazie? Papà?

NANDA                  - Solo il Berto che doveva andare per un servizio più avanti e ne ho approfittato per farti un saluto. Sta fuori a cambiare una gomma.

NANDO                  - Momento, scusa. E raggiunge il vecchio che si sta rimettendo il soprabito, aiutandolo ad indossarlo. Va già via?

GALLUZZI             - (battendogli su una spalla) Ho imparato abbastanza oggi. Non fosse caritatevole augurar disgrazie a chi non le merita, arriverei a dire che mi dispiace. Tutto considerato, tu eri uno col quale saremmo andati d’accordo, mi saresti stato di sostegno e avresti fatto strada. Tu possiedi le doti di onestà e farabuttaggine, nella proporzione giusta che ci vuole al giorno d’oggi.

NANDO                  - Non ci badi, qualcosa mi gratta che noi ci si rivede.

GALLUZZI             - Nella speranza, mi viene un’idea. Tirami giù, lì, la tua effige che io, intanto, comincio a presentarti in casa.

NANDO                  - Se non vuol altro... Stacca il manifesto, lo arrotola e glielo mette in mano. Per quel che può servire.

GALLUZZI             - Serve serve. Questo qui, ho paura che tirerà già subito dalla tua mio figlio.

NANDO                  - Mi conosce già.

GALLUZZI             - Ma non così.

NANDO                  - Anche.

GALLUZZI             - E allora, meglio, che ti devo dire? Tu hai finito per confermarmi un’idea che già avevo in testa.

NANDO                  - Si può conoscere?

GALLUZZI             - Che dobbiamo rassegnarci ma non dobbiamo più aver paura.

NANDO                  - Chi?

GALLUZZI             - Noi. Quelli coi soldi.

NANDO                  - Vale a dire?

GALLUZZI             - Vale a dire rivoluzione sì ma senza ghigliottina. E, alla fine, non si saprà neanche più chi avrà vinto e chi avrà perso. Tutto bene.

NANDO                  - Se lo dice

LEI                           - !... S’è già allontanato. Visto che padreterno? Ora sarai contenta. Prima del primo dell’anno, nove contro uno, quello lì è mio suocero. La finirai con la fissa che mi devo sposare.

NANDA                  - A occhio, devono star ben messi.

NANDO                  - Comincia col dire che paga per centocinquanta milioni di tasse all’anno.

NANDA                  - E, gente così, sua figlia si è innamorata di te?

NANDO                  - Una cosa molto meno e molto più, insieme.

NANDA                  - Sono anche quelle che, più sì che no, finiscono malamente.

NANDO                  -  Mal che finiscano, resta sempre roba parecchia attaccata alle dita. Ma, di solito, poi viene anche il resto. Con quei tipi lì, fa di mantenerle gravide dodici mesi all’anno per un certo numero dei primi anni, e poi si calmano. Non c’è altro che lega come i figli.

NANDA                  - Però, fa malinconia pensare a doversi conservare la propria donna unicamente coricandocisi sopra.

NANDO                  - Ci son sistemi peggio. Questo, se non altro, dà gusto.

NANDA                  - Fin che dura il gusto.

NANDO                  - E quando smette non importa più. Ma, intanto, ti trovi sistemato in permanenza.

NANDA                  - E così, qui, te ne andrai? Hai finito di respirar aria buona.

NANDO                  - Può darsi che faccia un cambio con l’industria, però qui resta mio.

NANDA                  - Come sarebbe resta tuo?

NANDO                  - Rilevo il posto, sono già in parola.

NANDA                  -  Che bisogno ne hai se fai sto terno al lotto di matrimonio?

NANDO                  - Si sa mai la vita, meglio sempre viaggiare con la ruota di ricambio. Giusto, a proposito, che ne diresti di badarmici te e il Berto?

NANDA                  - Qui, noi?

NANDO                  - Il Berto conosce la partita meglio del meglio e la smette finalmente di arrugginirsi le ossa a portar a spasso la gente, tu tieni d’occhio il resto coll’aiuto del barista, un altro, non questo, non è tipo... Meglio di così!...

NANDA                  - Cominci col licenziare il tuo compagno?

NANDO                  -  

LUI                          - si potrà sistemare più avanti. Si è sempre comportato che non mi piace. Conducendola a guardar fuori. Tre stagioni all’anno qua è bello, tutto verde e sole, tanta libertà e salute per i ragazzi, ora che crescono. Si fa metà e metà, mica a fisso come me il Ligabò. E, nei mesi buoni, potrete portarvi a casa fin le dieci e le ventimila al giorno. Poi, basta cominciare. Fammi ingranare e vedrai se non ti faccio venir su anche , magari, un piccolo motel, il primo, qui, all’inizio, e si mangia tutti quelli della strada, dopo.

NANDA                  - Capisco mai, con te, se scherzi o parli sul serio.

NANDO                  - Mettiti in testa, NANDA, questo è ancora il piano minimo. Colpi agri, di clacson, fuori.

NANDA                  - Devo andare, è il Berto che mi vuole.

NANDO                  - Non è il Berto, fidati del mio orecchio.

NANDA                  - E chiameresti qui noi?!...

NANDO                  - Chi è più fidato?

NANDA                  - Sì che sarebbe vincere la lotteria! Finirebbero i pensieri. Un solo colpo di clacson, questa volta assai più molle.

NANDO                  - Ora sì è il Berto. Vengo fuori anch’io, un momento, a fargli un saluto.

NANDA                  - Gliene posso parlar già?

NANDO                  - Al novanta per cento. E poi, vadano a dire che il

NANDO                  - non sente la famiglia!

NANDA                  - Mal che finisca, ci avremo sognato su un po’ di tempo. Appena fuori i fratelli, rientra

LELE                       - e si va a sedere senza far capire con che sortita uscirà. Dipende anche se tornerà il

NANDO.

LELE                       - (ma passa un bel po’ di tempo) Figurarsi se ti disturbavi a venir fuori! Ti metti anche a trascurare i clienti?

NANDO                  - Mi sa che, a cominciare dalle clienti, dovrò mettermi a trascurarne di cose!...

LELE                       - Ho bisogno il cambio dell’olio.

NANDO                  - Fino a Milano arrivi. LELE... Contento d’aver sedotto anche il genitore?

NANDO                  - Poco merito. S’è lasciato sedurre da sé. Non per niente è un uomo in gamba.

LELE                       - Come dice ELSA? Il bello del

NANDO                  - è che tutto quello che tocca diventa suo.

NANDO                  -

ELSA                       - ha delle vecchie riconoscenze e, perciò, conserva un debole, per me. Come niente fosse, ha fatto andare il ballabile e sta già coll’aria di chi aspetta.

LELE                       - (non però subito) Come te la farò pagare,

NANDO.

NANDO                  - Pazienza, prima, di conoscere quel che ti aspetta.

LELE                       - (colla dolcezza di un coltello nel burro) Potrebbe trattarsi, guarda, il paradiso in terra, per te dovrà essere l’inferno.

NANDO                  - Sarà un matrimonio una bellezza, invece. Mi vien caldo solo a pensarci. Senti le mani se dico una bugia. Tanto già, sai, se tu provi a gettar l’amo in fondo a quel gran buco che si chiama anima, tutto quel che si riesce a pescare è il sesso e poco più. Fermo, lì, invitante, senza bisogno nemmeno di toccarla, solo le braccia allargate, oscillando il corpo alla musica... e

LEI                           -  ci casca dentro. Ballano, come sempre i loro corpi si avvicinano, si stringono, finisce bocca a bocca. E, come al solito, approfittando che è di ritorno il FULVIO,

LUI                          - si distacca bruscamente, ma l’avrebbe fatto lo stesso, guai cedere, ora! Adesso va a casa che ti aspettano e, se vuoi, telefonami.

LELE                       - (quasi sibilato) Quanto male voglio farti!

NANDO                  - Sì, cara, anch’io, ma bisogna far presto, prima che venga la nevrastenia anche a me.

LELE                       - A te, ti verrà dopo.

NANDO                  - (un bacio su una guancia) Ce la divideremo. Abbiamo tanto di quel tempo da parlarne!... L’ha avviata fuori e rimane a guardarla partire, tacendo fin dopo aver udito l’automobile avviarsi. Tu, che, nelle gallerie, ci sei di casa a battere, alla Scala ci si annoia proprio tanto?

FULVIO                  - Dipende. Nei posti comodi, uno può pure dormire, basta solo che non russino.

NANDO                  - E nei palchi?

FULVIO                  - Nei palchi, ci puoi anche aprir casino.

FINE