L’attesa dell’angelo

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L'ATTESA DELL'ANGELO


L’ATTESA DELL’ANGELO

Commedia in tre atti

di GUGLIELMO GIANNINI

PERSONAGGI

VALERIO VIGLIENA

ANTIMO DE LUCA

MARISA PIZZI

VIGLIENA

ETTORE RO­VERI

ADA VIGLIENA

ALFREDO BERNATI, ispettore di polizia

MICHELE RICCI, sergente di polizia

GUIDO VALDINI, autista

BIANCA, cameriera

IL DIRETTORE DEL PENITENZIARIO

IL SECONDINO

IL SI­GNORE QUALUNQUE

VIRGINIA, cuoca

IL PADRE - IL CARNEFICE

ATTO PRIMO

 

Il Salotto-studio in casa di Valerio. Entrate a sinistra, al fondo a sinistra, al fondo a destra, a destra. Al centro della scena un tavolo con cassetti, che non dev'essere una scrivania anche se ci si può scrivere. Sul tavolo portacenere, calamaio, penne stilografiche, qualche carta, telefono. Verso destra un divano con una poltrona, a sinistra un'altra poltrona. Scaffali con qualche libro, una macchina da scrivere, che non viene usata, con coperchio, contro la parete a sinistra. Quadri, ninnoli, sedie, sgabelli, cuscini; un apparecchio radio che nemmeno viene usato. Nel centro, o in altra parte della scena, una « entrata dell'Angelo », mascherata da un mobile, o pra­ticata nella parete, dalla quale entrano ed escono alcuni personaggi. La scena è la stessa per tutti e tre gli atti. All'inizio del terzo ci sarà un siparietto nero, in fondo, sul quale sarà dipinta, alta, un'inferriata da illuminare convenientemente. Eventualmente due telette nere ai fianchi, le luci al principio del terzo atto saranno disposte in modo da far apparire un ambiente piccolo, chiuso, al centro dal palcoscenico: ambiente che dovrà rappresentare l'interno d'una cella carceraria. Tavolo e sedie rimarranno, ma appariranno come mobili della cella. Oltre l'ambiente così sintetizzato oscurità profonda, sia a sinistra che a destra. Fra il primo e il secondo atto trascorrono tre giorni, fra il secondo e il terzo qualche mese. L'azione si svolge nel pomeriggio per il primo e il secondo atto, di notte nella prima parte del terzo, di mattina presto nella seconda.

 Guido                      - (trenta-quaranta anni, sta terminando di farsi il nodo alla cravatta, in piedi verso sinistra, specchiandosi nel cristallo d'un mobile. E' in tenuta d'autista. Una giacca di rigatino da cameriere è gettata su una sedia, con un berretto d'autista sopra. E seccato, indispettito, ma si sforza per apparir calmo e indifferente, fischiettando).

Bianca                      - (venticinque-trenta anni, cameriera, grem­biale, crestina, molto graziosa, entra dal fondo a destra portando un vassoio con su caffettiera, zuc­cheriera, tre tazze da caffè, di cui una sola vuota, con relativi cucchiaini. Seccata, a Guido) Ah, benissimo, fai pure il tuo comodo, sai?

Guido                       - Me ne vado subito. (Si mette il berretto sulle ventiquattro, prende la giacca di rigatino).

Bianca                      - Potevi cambiarti in rimessa!

Guido                       - Ho fretta, ciao. (Si muove verso la destra).

Bianca                      - E dove vai?

Guido                       - Via, lui m'ha messo in libertà...

Bianca                      - (più seccata) Ma lei ha messo in libertà me, uno deve rimanere in casa, no?

Guido                       - (è sulla destra) Rimarrà la cuoca. (Fa per uscire).

Bianca                      - Ma no, scusa, oggi è di libertà anche lei...

Guido                       - Non so che farci, ho la possibilità di respirare fuori da quest'inferno fino a domattina e sarei pazzo se non ne approfittassi. (Esce).

Bianca                      - Ma aspetta... (Furiosa) Oh! (Si muove verso la sinistra brontolando) Ho la possibilità di squagliarmi anch'io e mi squaglio!

Virginia                    - (appare sulla sinistra, quaranta-cinquanta anni, cuoca, anche lei seccata) Spero che almeno il caffè sia andato bene...

Bianca                      - Non saprei, l'ha preso solo il signor Boveri, né lui né lei l'hanno voluto.

Virginia                    - Che gusto c'è a cucinare per questa gente non so proprio. Se niente niente mi capita un'altra piazza...

Bianca                      - (fa per uscire) In tutte le case è lo stesso, la gente è matta, oggi!

Marisa                      - (entra dalla destra, abito da casa molto elegante, trentacinque-quaranta anni, bellissima, giovanile, di pessimo umore) Cosa c'è, conver­sazione?

Virginia                    - (intimidita) Stavo dicendo...

Bianca                      - (preoccupata) Scusi, signora, spiegavo alla cuoca...

Marisa                      - La signora cuoca non ha bisogno di spiegazioni e gliel'avrò spiegato cento volte. Il pranzo è stato buonissimo!

Virginia                    - (spaurita) Se non l'hanno nemmeno assaggiato...

Marisa                      - L'abbiamo assaggiato. Non possiamo divorarlo per far piacere a voi. D'altra parte non vedo perché dovrei lasciarmi avvelenare.

Virginia                    - (quasi piangendo) Avvelenare! Io...

Marisa                      - Cosa c'entrate voi! So benissimo chi è che vorrebbe trasformare in veleno quel poco che mangio, ma io sto con gli occhi aperti, sempre in guardia! (Irritandosi di più) Volete andarvene, sì o no?

Virginia e Bianca     - (insieme) Sì, signora, scusi... Sì, subito, signora... (Escono dalla sinistra).

Marisa                      - Che gente! (Esce dal fondo a sinistra).

Valerio                     - (entra da destra. E' sui cinquantacinque anni, forte, elegante, ha una sigaretta non accesa in mano, e cerca nelle tasche della giacca un ac­cenditore che non c'è. Continua a parlare con un interlocutore che non si vede, e della cui assenza Valerio non s'è accorto) Quello che poi m'esa­spera oltre ogni limite è l'inutilità del litigio, la sua costante mancanza di ragione... (Fruga ancora nella tasca della giacca, poi vede i fiammiferi sul tavolo, ne accende uno, accende la sigaretta, fa per porger fuoco a qualcuno che dovrebbe essere alla sua sinistra, si stupisce di non vederlo) Ma... (Spegne il fiammifero nel portacenere).

Ettore                       - (dal fondo a destra, trentacinque-quaranta anni, simpatico, sportivo nel portamento e nel gesto più che nell'elegante abito da pomeriggio, termi­nando di masticare qualcosa, vagamente seccato) Eccoti... dove sei andato? Basta girar la testa un attimo per perderti di vista...

Valerio                     - (spiegando) Cercavo del... (Vuol dire « del fuoco » e accenna ai fiammiferi) Marisa...

Ettore                       - (con fastidio) E lasciala stare! Se stai sempre lì a rimbeccarla, incalzarla, è naturale che lei si rivolti! Le donne... lo sai, no?

Valerio                     - (con profonda amarezza, dopo una pausa d'un attimo) Lo so. (Siede, è spiritualmente af­franto, dolorosamente colpito dal rimprovero di Ettore che non s'aspettava)

Ettore                       - (si muove, nervoso, poi alza le spalle) Scusami, capisco tante cose...

Valerio                     - (c.s.) Credi di capirle. Ettore - Mi rendo conto che quello di Marisa non è proprio il caratterino ideale, e che tu sei un brav'uomo, buon marito... sì, voglio dire, con le naturali distrazioni...

Valerio                     - (alza le spalle, sempre più in preda a un cupo malumore) Oh!

Ettore                       - (continuando) Ottimo padre... Troppo buono, se debbo dir tutto il mio pensiero... Ma in certi momenti diventi insopportabile, odioso... Oggi l'hai aggredita, Marisa... Aggredita... non so trovare un'altra parola.

Valerio                     - Non perder tempo a cercarla. L'ho aggredita, incalzata, rimbeccata...

Ettore                       - (quasi contento di veder Valerio ricono­scere ì suoi torti) Vedi?

Valerio                     - ... perché lei aveva deciso d'essere ag­gredita, incalzata, rimbeccata... Perché c'eri tu.

Ettore                       - (indignato) Ah senti, non incominciamo a uscire dal seminato. Io ti giuro...

Valerio                     - Cosa vuoi giurarmi? Che non sei stato e non sei il suo amante?

Ettore                       - (seccato) Oh!

Valerio                     - Che me n'importa? E' uno stadio superato quello dell'amante...

Ettore                       - (nervoso) Ti prego di non fare il cinico!

Valerio                     - Non faccio il cinico... Che rimprovero stupido questo di rinfacciare a un disgraziato di fare il cinico... fingere il cinismo... Come se si potesse... Come se l'essere arrivati all'indifferenza totale verso certi fenomeni fosse un atto volon­tario... Chi non piange più ha sparso tutte le sue lacrime, chi non s'indigna più ha perduto la ca­pacità d'indignarsi... Non « fa » il cinico, lo è... Come si è miope, sordo, artritico... in seguito a un processo patologico incontrollabile... Tu non sei il suo amante...

Ettore                       - (c.s.) Permetti...

Valerio                     - ... perché lei, ai suoi imperscrutabili fini, ha deciso di non averne. Forse teme che io ne approfitterei per scacciarla... Sbaglia, perché so che non ne sarei capace nemmeno in quel caso. Sono troppo vile.

Ettore                       - Pensi a tua figlia.

Valerio                     - Appunto, e non è una viltà costringere quella povera ragazza a questa vita d'inferno?

Ettore                       - Certo, se si potesse evitare...

Valerio                     - Per evitarlo non c'è che la morte.

Ettore                       - O il divorzio... o la separazione legale...

Valerio                     - (alza le spalle) Che non serve a niente, come non serve a niente il divorzio... Ci sono uomini che non sapranno mai lasciare una donna e uomini che ne piantano una dopo l'altra con la massima disinvoltura... Per i primi è come se il divorzio non ci fosse, per i secondi è una formalità inutile... Io sono stato sempre piantato.

Ettore                       - Se speri che Marisa ti pianti...

Valerio                     - Non spero più.

Marisa                      - (appare sul fondo a sinistra, vestita per uscire, senza cappello, terminando d'aggiustarsi) Scusate, Ettore, volete chiedere al signor Vigliena se è vero che ha messo in libertà l'autista?

Ettore                       - (giungendo le numi) Marisa...

Valerio                     - (a Ettore) Ti prego di dire alla signora Vigliena che effettivamente ho messo in libertà l'autista.

Marisa                      - (a Ettore) E perché?

Valerio                     - (a Ettore) Perché non mi serviva.

Marisa                      - (a Ettore) Serviva a me!

Valerio                     - (a Ettore) Bisognava dirmelo, non faccio l'indovino.

Marisa                      - (a Ettore) Bastava domandarmelo.

Valerio                     - (a Ettore) Non faccio mai domande che non siano strettamente indispensabili.

Marisa                      - (a Ettore) Va bene, farò a meno del signor autista. (Esce dal fondo a sinistra)

Ettore                       - E' impossibile vivere così!

Valerio                     - Io vivo così da ventiquattro anni e otto mesi, quasi venticinque, un quarto di secolo. Ciò prova ch'è possibilissimo vivere in questo modo bestiale.

Ettore                       - Ma non con quest'asprezza, non con quest'esasperazione, c'è pure stato un periodo in cui vi siete amati,..

Valerio                     - Sì... ma sempre nello stesso modo assurdo... Ogni, momento un litigio, su ogni pre­testo... e sempre con parole crudeli, definitive... Spessissimo la picchiavo...

Ettore                       - (disgustato) Oh!

Valerio                     - ... forte... l'afferravo per i capelli, schiaffi, pugni... poi crollavamo, esausti... Me la tiravo sulle ginocchia e... E' questo il terribile guaio delle unioni fondate solo sull'attrazione fi­sica... Finita quella è finito tutto...

Ettore                       - Marisa è ancora una gran bella donna!

Valerio                     - Sì, ma come faccio a tirarmela sulle ginocchia? Non c'è più posto... E anche lei non è più tanto maneggevole... Avremmo dovuto trovare un altro modo per risolvere i nostri conflitti, e non ci siamo riusciti... Questo è tutto e non c'è altro... Se avessi ucciso mio padre e mia madre mi avrebbero dato trent'anni, e oggi, con gl'indulti e le amnistie, sarei libero...

Ettore                       - (seccato) L'hai detto anche a tavola.

Valerio                     - E' un'idea fissa.

Ettore                       - Sai che piacere, per tua moglie, sen­tirsela ripetere continuamente!

Valerio                     - E sai che piacere, per me, vedermi sempre quella faccia dura, udir sempre quella voce aspra... Pensa che quella disgraziata non canta mai...

Ettore                       - Non puoi pretendere che sia un so­prano...

Valerio                     - Non c'è bisogno d'essere un soprano per canticchiare un motivetto ogni tanto! Invece non ho che questo clima duro, questa tensione continua, senza un sorriso, senza una carezza...

Ettore                       - (esclamando) Ma Santo Cielo, perché non provi a fargliela tu una carezza?

Valerio                     - (alza le spalle) Come si vede che non sei ammogliato... La moglie è la donna più difficile a prendersi, e quando si è giunti alle camere da letto separate non c'è più scampo... Poi la carezza è femminile, siamo sempre lì; tocca alla donna essere dolce, graziosa... femminile, insomma! Se tiene il punto, se si fodera d'orgoglio, se fa que­stioni di principio diventa un uomo! Io convivo con un uomo vestito da donna, che sfrutta la sua apparente debolezza per ricattarmi... Ho tutti gl'inconvenienti del celibe senz'averne nessuno dei vantaggi... Se non avessi mia figlia...

Ettore                       - Povera ragazza! Vorrei avere solo dieci anni di meno per sposarmela e portarla via da questo manicomio!

Valerio                     - E faresti opera santa, noi non siamo degni di possedere un tesoro simile... Ne abbiamo fatto una creatura diffidente, beffarda, timorosa dell'amicizia, spaventata del matrimonio...

Ettore                       - Naturale, non conosce che il vostro!

Valerio                     - Che è un fallimento, pieno... e doloso! Parli di divorzio, separazione... Secondo me ci sarebbero ben altre azioni giudiziarie da esperi­mentare!

Ettore                       - Quali, scusa? Sono laureato in legge e mi piacerebbe imparare...

Valerio                     - Cos'è il matrimonio? Un contratto...

Ettore                       - E' qualcosa di più e di diverso. Intanto è un sacramento.

Valerio                     - Dal punto di vista religioso, ma da quello civile è un atto fra vivi, un contratto che i contraenti s'impegnano di rispettare... L'uomo si assume l'obbligo di provvedere a tutti i bisogni della famiglia.,. Non mi negherai che ho fatto fronte a quest'obbligo...

Ettore                       - Perché dovrei negarlo?

Valerio                     - Ho comprato l'appartamento, abbiamo una casetta al mare, un rifugio in mezza mon­tagna... Lei ha pellicce, gioielli, mia figlia ha tutto quanto le occorre... Il mio dovere l'ho fatto.

Ettore                       - E chi ti dice di no?

Valerio                     - Ma lei?

Ettore                       - Scusa, Marisa ha portato una dote...

Valerio                     - Che ho fatta fruttare e che è a sua disposizione con gl'interessi composti in qualunque momento! Io ti domando se ha assolto gli obblighi che ha assunto sposandomi! L'obbligo di sorridermi! L'obbligo di farmi amare la casa, farmela deside­rare come il marinaio desidera il porto! L'obbligo di rendermi la vita lieta, felice...

Ettore                       - Scusa, tu stesso riconosci che ti è fedele...

Valerio                     - Che m'importa della fedeltà ringhiosa d'un cane che abbaia sempre, che non si può accarezzare, che non ti viene incontro a farti festa quando rientri... Pensa soltanto a questo: mia moglie non mi saluta mai... Le parole « buongiorno, buonasera, come stai, hai dormito bene » non esi­stono nel suo manuale di conversazione... E' una cosa assurda, io ho una persona in casa, un'ospite, un'estranea, che mantengo di tutto punto in cam­bio di sgarberie.

Marisa                      - (rientra dal fondo a sinistra vestita per uscire, cappello, borsetta, guanti, va verso la destra) Arrivederci, Ettore. (Valerio indica Marisa a Ettore come per dirgli: « Vedi? Non mi saluta, io non esisto»).

Ettore                       - (a Marisa) Ma... dove andate?

Marisa                      - A spasso.

Ettore                       - A piedi?

Marisa                      - Guiderò da me se mi verrà voglia di fare un giro... Il signor Vigliena ha messo in libertà l'autista dimenticando che anch'io ho la patente.

Ettore                       - (allarmato) Ma lasciamo andare, la vostra patente è... un pretesto... Vi porterò io dove dovete andare...

Marisa                      - Per ora vado dalla modista che è qui a due passi, fra mezz'ora sarò all'autorimessa, se volete raggiungermi...

Ettore                       - Volentieri...

Valerio                     - Dico: se la macchina servisse a me?

Marisa                      - Se ne serva pure, io la prenderò se la troverò.

Valerio                     - Ma guarda che modo di rispondere... (Fa per alzarsi) Ora le dò un paio di ceffoni...

Ettore                       - (quasi gridando) Ma no...

Marisa                      - (provocante) Avanti, picchiami, pic­chiami! (Valerio sta per slanciarsi su Marisa).

Bianca                      - (appare sul fondo a sinistra, vestita per uscire, cappello, borsetta, la giacca da camera di Valerio in mano) Signore, per carità! (Depone la giacca su una poltrona, trattiene Valerio).

Marisa                      - (a Valerio, c.s.) Coraggio, sfogati, sono venticinque anni che ti sfoghi...

Ettore                       - Marisa, per favore... E tu, Valerio... lasciala andare, che prenda la macchina se vuole...

Valerio                     - Ma la prenda e s'ammazzi, che m'im­porta! (A Bianca che lo trattiene, liberandosi bru­scamente) E lasciatemi... (La guarda) Dove andate?

Bianca                      - La signora m'ha dato libertà...

Valerio                     - Hai capito? Se voglio un caffè...

Marisa                      - Telefona al bar e te lo fai portare.

Bianca                      - Se il signore vuole che rimanga...

Marisa                      - Non occorre, andate pure!

Bianca                      - Sì, signora... (A Valerio) Buongiorno, signore... (Passa oltre Marisa) Buongiorno, signora... (Esce dalla destra).

Marisa                      - (la guarda uscire) Mh... Quanta pre­mura... Fraschetta!

Valerio                     - (a Marisa) Vattene, fammi il favore...

Marisa                      - Vado... Deve venire l'esattore dell'as­sicurazione...

Valerio                     - (a Ettore) Sulla mia vita, capisci?

Marisa                      - Per tua figlia... Te ne avverto perché non vorrei che facesse un altro viaggio inutile... è la terza volta che viene... Appena busserà degnati d'aprire la porta!

Valerio                     - Ci sarà la cuoca, spero!

Marisa                      - (con sprezzante dolcezza) Non c'è la cuoca, è di permesso anche lei. Ti piace star solo? Goditi la solitudine! (E' sulla destra, a Ettore) V'aspetto all'autorimessa fra mezz'ora! (Fa per uscire, poi, a Valerio) Oh, è cambiato, si chiama De Luca.

Valerio                     - Chi?

Marisa                      - L'esattore, Antimo De Luca, è uno nuovo! (Esce dalla destra).

Ettore                       - Io vorrei sapere soltanto questo: perché m'invitate!

Valerio                     - Per evitare scenate.

Ettore                       - Ah.

Valerio                     - In presenza d'un estraneo ci si trat­tiene...

Ettore                       - (si muove, nervoso) Finirò col non venirci più.

Valerio                     - E sarà peggio... per me, naturalmente. (Pausa) Sono stanco... terribilmente stanco.

Ettore                       - Me ne rendo conto. Ti prego di con­siderare, però...

Valerio                     - Oh, è tutto considerato, non temere, non mi suicido,

Ettore                       - Valerio...

Valerio                     - Non per viltà, intendiamoci... per un senso di dovere ch'è più forte di tutto... Tu for­se crederai che scherzo, ma non hai idea di come mi sono abituato all'idea della morte. Bene o male ho fatto ciò che dovevo fare e non m'aspetto più niente, non aspiro a niente. Se venissero a dirmi che debbo morire domanderei solo quanto tempo mi rimane, finirei di sistemare le mie cose e direi tranquillamente: eccomi, sono pronto.

Ettore                       - (nervoso) Non fare il bambino...

Valerio                     - Non potrei farlo... Fra l'altro ho anche un'età... Ti parlo col cuore in mano, credimi.

Ada                          - (irrompe dalla destra, vent'anni, bellissima, pantaloni, giubba sulle spalle, cestello da pesca a tracolla, fucile da pesca in mano, pinne di gomma, maschera, padella) Buongiorno, papà... buon­giorno, avvocato...

Valerio                     - (con tenerezza) Cara! (L'abbraccia).

Ettore                       - Buongiorno, Ada...

Valerio                     - (stringendo Ada) Ti sei divertita?

Ada                          - In un modo fantastico, per tre giorni non ho fatto che dar la caccia ai pesci... Ne abbiamo presi di magnifici...

Valerio                     - Dove sono?

Ada                          - Li abbiamo mangiati! (Mostra la padella) Sono stanca morta, ho bisogno di dormire dodici ore!

Valerio                     - Non c'è nessuno, t'aiuterò io...

Ada                          - Oh, non occorre, metto tutto in un angolo e mi butto sul letto... Ciao, papà, buongiorno, av­vocato... (Va al fondo a sinistra).

Valerio                     - Ciao...

Ettore                       - Buon riposo, Ada.

Ada                          - (fa per uscire, si ferma) Ah, ho incontrato un tale che voleva salire, un certo De Luca... Gli ho detto che non c'eri.

Valerio                     - E perché?

Ada                          - M'ha dato l'idea d'un seccatore... Ciao, papà! (Esce dal fondo a sinistra).

Valerio                     - E' la mia sola gioia...

Ettore                       - Tre giorni, chissà dove, sola o chissà con chi;.. Non pensi a... ai pericoli che corre...

Valerio                     - Non penso ad altro.

Ettore                       - E che fai?

Valerio                     - Cosa posso fare? La madre...

Ettore                       - (infastidito) E smettila con la madre! Avessi io una creatura simile...

Valerio                     - Faresti ciò che faccio io, la lasceresti vivere felice, senza privarla d'un minuto di gioia.

Ettore                       - (alza le spalle) Mah... (Guarda l'oro­logio) Ciao.

Valerio                     - Te ne vai?

Ettore                       - Sì... grazie del pranzo...

Valerio                     - Figurati.

Ettore                       - Prenderò un panino al bar...

Valerio                     - Mi dispiace, ma...

Ettore                       - Oh! (Alza di nuovo le spalle, seccato, fa per dire qualcos'altro a Valerio, poi decide di non parlare) Addio.

Valerio                     - Addio. (Ettore esce dalla destra. Valerio si batte sulle tasche, vi fruga dentro cercando delle sigarette che non ci sono, fruga sul tavolo, guarda intorno, poi esce dal fondo a sinistra rientrando subito con due pacchetti di sigarette, dei fiammiferi che depone sul tavolo. Sta per accendere, cambia idea, si toglie la giacca, si mette quella di casa, se l'assesta bene addosso, siede, prende un giornale, vi scorge un titolo interessante, incomincia a leggere).

 Antimo                    - (entra dall'entrata dell'Angelo, quaranta-cinquanta anni, corretto, pulito senza essere troppo elegante, cappello in testa, borsa di cuoio, siede, si toglie il cappello, aspetta. Valerio, dopo una pausa, sente la presenza di Antimo, alza gli occhi, ha un moto di sorpresa. Antimo, dolce, tranquillo) Buongiorno.

Valerio                     - Buongiorno... Chi è, lei?

Antimo                     - Sono Antimo De Luca...

Valerio                     - (ricordando) Ah... Com'è entrato?

Antimo                     - Sono l'Angelo della Morte...

Valerio                     - (sussultando) Eh?

Antimo                     - Uno dei tanti angeli, ecco perché ho un nome e un cognome. Siamo stati costretti a seguire questo sistema per evitare confusioni, di­sguidi... La popolazione è cresciuta enormemente, € l'antico Angelo della Morte unico e solo a un certo momento ha dovuto farsi aiutare... Oggi c'è un ufficio di cui lui è capo, con un Corpo di Angeli che provvedono al servizio.

Valerio                     - (preoccupato) Lei, dico... si sente bene, vero?

Antimo                     - Benissimo, noi angeli siamo immuni da malattie.

 

Valerio                     - Voglio dire... ha lasciato di sua volontà il... il posto dov'era, oppure...

Antimo                     - Non perda tempo a immaginare fatti inesistenti, non sono pazzo, non sono evaso dal manicomio. Personalmente preferirei prendere la gente che debbo prendere al momento giusto, senza preavviso e senza discussioni. Ma gli ordini sono ordini e mi debbo conformare. Hanno deciso di fare l'esperimento e facciamolo... (Guarda Valerio, affettuoso, comprensivo) Stai pensando di telefonare?

Valerio                     - (smarrito) Ecco, io...

Antimo                     - (c.s.) Vorresti telefonare al manicomio ma non sai il numero... Bene, cercalo sull'elenco che hai lì, davanti...

Valerio                     - Io...

Antimo                     - Prova soltanto a toccare il libro, stendi la mano...

Valerio                     - (fa uno sforzo per muovere la mano, ma non ci riesce) Strano... non... posso...

Antimo                     - Naturale, sono io che te lo impedisco...

Valerio                     - E perché?

Antimo                     - Per dimostrarti che sono davvero quello che dico di essere e non un mentecatto... Prendi il calamaio...

Valerio                     - II... calamaio?

Antimo                     - Sì, portalo alle labbra. (Valerio prende il calamaio e lo avvicina alla bocca) Se ti dicessi « bevi l'inchiostro » lo berresti immediatamente...

Valerio                     - Ecco, se si può evitare...

Antimo                     - Si deve evitare. Rimetti a posto il ca­lamaio. (Valerio esegue) Alzati... (Valerio esegue) Vai su e giù due volte... (Valerio esegue. Antimo, seguendone le evoluzioni) Ecco, adesso fermati e alza la gamba sinistra... (Valerio esegue) Sei convito che sono quello che dico di essere?

Valerio                     - Scusate, perché non mi ordinate sen­z'altro di credere che siete l'Angelo della Morte e non un ipnotizzatore?

Antimo                     - (contento) Bravo! Siedi e credimi in tutto e per tutto... (Valerio siede, guarda stupito e intimorito Antimo) Sei intelligente... (Apre il portafogli, ne cava una rubrica, cerca nell'indice alfabetico) Valerio Vigliena... (Apre la rubrica alla lettera V, legge dopo aver cercato, soddisfatto) Ecco qui, intelligentissimo, non laureato benché si faccia chiamare dottore...

Valerio                     - Non ho mai avuto il tempo di dare l'esame di laurea...

Antimo                     - (sbircia la rubrica) Fosti espulso dall'Uni­versità al terzo anno per aver dato uno schiaffo a un professore...

Valerio                     - (volendo spiegare) Ecco...

Antimo                     - Non tentare di dir bugie, tanto è tutto scritto qui... Il professore aveva torto...

Valerio                     - Stavo per dirlo...

Antimo                     - Ma tu esagerasti. (Chiude la rubrica) Bene, ormai è acqua passata. Dunque... Tu devi morire...

Valerio                     - (emozionato) Io...?

Antimo                     - Sì, non farmi una scena, adesso...

Valerio                     - Voglio dire che...

Antimo                     - Non hai più niente da dire, hai detto poco fa al tuo amico che se venissero a dirti che devi morire, chiederesti solo di sapere il tempo che ti rimane, sistemeresti i tuoi affari e diresti « eccomi, sono pronto ».

Valerio                     - (smarrito) E' vero, l'ho detto, ma...

Antimo                     - Niente ma. Eri sincero quando l'hai detto.

Valerio                     - Sì, va bene, sincerissimo, ma poi, ri­pensandoci...

Antimo                     - C'è poco da ripensare. L'ora, anzi l'at­timo della tua morte è fissato e non si può cam­biarlo.

Valerio                     - (inghiottendo, combattendo la fama) Quando... debbo...?

Antimo                     - Il momento preciso non posso dirtelo, è apparsa troppo crudele una rivelazione così cir­costanziata... Per me è crudele anche il preavviso vago; com'è crudele questo esperimento che si sta facendo da qualche tempo con i tipi come te, corag­giosi, solidamente onesti, più o meno stanchi, seccati di vivere... Ma poiché non son io che comando, sai com'è? Obbedisco e ciao. La tua morte avverrà entro un certo periodo di tempo, non lungo, ma nemmeno brevissimo. Hai tutto il tempo per sistemare ottimamente le cose, provvedere all'av­venire dei tuoi cari, e insomma regolarti come hai sempre fatto, con criterio, equanimità... Io ti starò sempre vicino fino al momento del trapasso... non visibile agli altri, naturalmente... e tu potrai chie­dermi consiglio, nella certezza che tutto quello che po­trò fare per te lo farò... M'affeziono ai miei pupilli...

Valerio                     - Io sono un vostro... pupillo?

Antimo                     - Mi fosti affidato che avevi nove anni, ti ricordi che ruzzolasti per le scale?

Valerio                     - (sbalordito) Sì, e mi ruppi la fronte...

Antimo                     - Si vede ancora la cicatrice... Eri in consegna a un mio collega che fu improvvisamente trasferito in Estremo Oriente all'epoca della guerra russo-giapponese...

Valerio                     - Ricordo, leggevo le corrispondenze sui giornali...

Antimo                     - Appunto, e così passasti alla mia se­zione, con parecchi altri... T'ho seguito, t'ho pro­tetto... ti voglio bene, insomma!

Valerio                     - Vi... ringrazio... Ma è proprio certo che... devo morire?

Antimo                     - Tutti debbono morire, lo sai, no?

Valerio                     - Sì... ma non ci si pensa mai... si finisce con l'abituarsi all'idea che tutto questo non... non finirà...

Antimo                     - E' quello che ho fatto presente quando m'hanno chiesto il mio parere... L'uomo non ha pia­cere di morire, è convinto che da questa parte si stia meglio e forse, da un certo punto di vista, non ha tutti i torti... Prenderlo e portarlo via all'ultimo momento come s'è sempre fatto, a me sembra il sistema migliore... Ma sai com'è, i novatori ci sono dovunque, c'è chi ha pensato che valesse la pena d'offrire a certi uomini e a certe donne un periodo di premorte d'un mese, d'una settimana, d'un gior­no... Secondo i novatori questo può migliorare la razza, fortificare gli spiriti...

Valerio                     - (ascolta, ansioso) Io direi...

Antimo                     - Non c'è niente da dire, ciao, bisogna obbedire a quelli che comandano... Adesso tu rac­cogliti nei tuoi pensieri, stabilisci bene ciò che devi fare... Non preoccuparti, cosa credi che sia, in fondo? Tocca a tutti.

Valerio                     - Meno che agli angeli...

Antimo                     - Secondo. A quelli che sono nati angeli no, ma a me è toccata.

Valerio                     - Non siete nato angelo?

Antimo                     - Lo sono da cinquecento anni soltanto. Nacqui uomo, nel Nepal...

Valerio                     - A Napoli?

Antimo                     - No, nel Nepal, in India...

Valerio                     - Credevo che quel nome di Antimo De Luca, così napoletano...

Antimo                     - E' quello che m'hanno dato quando ho ottenuto la nomina... Mi piace, non è brutto...

Valerio                     - Ah, certo, quell'Antimo poi dà una distinzione...

Antimo                     - Vero? E' stato l'ultimo concorso... Fra poco però ce ne sarà un altro, siamo oberati di la­voro e il personale è sempre quello...

Valerio                     - Non riesco a farmi un'idea...

Antimo                     - Si tratta di qualcosa di colossale, gente a centinaia di migliaia che arriva da tutte le parti... Se non c'è un po' d'ordine, un po' di disciplina, non ci si raccapezza più... E ci vogliono gli angeli per mantenere l'ordine.

Valerio                     - Strano, non ci avevo pensato, e pure è così naturale...

Antimo                     - Il Paradiso s'allarga continuamente nell'Universo, ma secondo un piano che regola tutto. Noi entreremo dalla porta seimiladuecentotrentuno..

Valerio                     - Io... andrò in Paradiso?

Antimo                     - Certo... Non sei stato un vero e proprio» modello di virtù, ma...

Valerio                     - (volendo spiegare) Ecco...

Antimo                     - Ma lo so, lo so, cosa speri di dirmi ch'io non sappia? Ti sei goduto la vita, hai il tuo bravo carico di peccati, ma noi siamo di manica larga, non stiamo lì a sottilizzare... Da qualche tempo poi è prevalsa l'idea di far fare il Purgatorio in terra a quelli che non sono proprio i peggiori...

Valerio                     - Adesso capisco...

Antimo                     - Per facilitare lo smistamento... Ma non perderti in chiacchiere, pensa a sistemare tutto al meglio, rivediti il testamento, io t'aiuterò se vuoi...

Valerio                     - Sto pensando, proprio per il testa­mento... E' peccato cercare di non far pagare troppe tasse di successione agli eredi?

Antimo                     - E' roba da Tribunale Civile... ce ne interessiamo solo fino a un certo punto...

Valerio                     - Io vorrei lasciare mia figlia molto bene... Poi sono preoccupato per mia moglie, in fondo l'ho amata immensamente, posso dire che l'amo ancora, altrimenti come potrei sopportarla?

Antimo                     - Questo si capisce.

Valerio                     - Denaro, roba, proprietà in mani sue no. Chissà cosa è capace di combinare con quel suo caratteraccio... Se si mette a litigare con la figlia può accadere tutto... Come la lascio? Chi se la prende? Chi la sopporta? E perché mia figlia deve accollarsela, disgraziata?

Antimo                     - Chi dovrebbe accollarsela? I figli hanno l'obbligo di provvedere ai genitori...

Valerio                     - Non conoscete Marisa. Se lascio tutto a mia figlia con l'obbligo di mantenere la madre le farà fare una vita d'inferno... Ada è poi capacissima di modificare il testamento per suo conto e metter tutto in mano alla madre, povera ragazza...

Antimo                     - Non puoi fare una divisione netta?

Valerio                     - Si tratta per lo più di partecipazioni in società anonime, è pericoloso spezzettare i pac­chetti azionari, bisognerebbe realizzarli e non è roba da fare col tempo misurato... Chi m'assicura che mia moglie non si metterà a vendere da quella matta impulsiva che è...

Antimo                     - (pensando) Vediamo un po'... Marisa Vigliena, nata Pizzi... (Riprende la rubrica) Debbo averla io, comunque è nella mia zona... (Ha aperto la rubrica, volta un paio di pagine scorrendole col dito) Se non ricordo male dev'essere... (Fermandosi col dito sulla pagina) Ecco qua, tutto sistemato.

Valerio                     - Sistemato cosa?

Antimo                     - Chiusa ogni discussione, tua moglie non è più un problema, è affidata a un mio aiutante, deve morire oggi alle 17,42...

Valerio                     - (sussultando) Eh?

Antimo                     - Per incidente automobilistico.

Valerio                     - (frenetico) Ma, dico... scherzate?

Antimo                     - Perché dovrei scherzare? E' scritto che deve morire alle 17,42 (guarda l'orologio) ossia fra sette minuti...

Valerio                     - Ma non è possibile, perché deve morire, disgraziata? Anche se m'ha tormentato per tanti anni ha avuto le sue ragioni, l'ho provocata, maltrattata...

Antimo                     - Lo so, lo sappiamo, se ne terrà conto, ma cosa c'entra questo col fatto che da quando è nata è stabilito che deve morire (guarda l'orologio) fra cinque minuti e mezzo per incidente automobilistico? In questo momento è all'autorimessa, fra qualche attimo uscirà in macchina...

Valerio                     - (ha afferrato il microtelefono e ha portato il ricevitore all'orecchio, forma freneticamente un numero) Pronto, pronto... Pronto, accidenti, ci vuol tanto per rispondere? (Furioso) Lo so che parlo con l'autorimessa Gaudenzi! La signora Vigliena è lì? (Respirando) Sono il dottor Vigliena... suo ma­rito, sì, non riconoscete la mia voce? Non datele la macchina! (Di nuovo furente) Ho detto non da­tele la macchina!... Perché sono il padrone e voglio così... La macchina è intestata a me, vi tengo re­sponsabili di qualsiasi incidente possa accadere... Se la signora insiste sgonfiate i pneumatici, rompete il carburatore.... Sicuro, rispondo io, ho sempre ri­sposto! Se chiede una macchina in prestito o in noleggio rifiutategliela... declino ogni responsabilità e anzi farò causa per danni, nel caso... (Furibondo) Sono calmo, calmissimo, mia moglie non deve avere né la mia macchina né... (Meno eccitato) Ah, è anda­ta via? Molto bene... (Di nuovo allarmato) Con la macchina dell'avvocato Boveri? Perché gliel'avete... Ah, guidava lui, benissimo, grazie. Nient'altro... Prego... grazie, grazie, buongiorno. (Rimette il mi­crotelefono a posto, sbuffando) Ma guarda un po'...

Antimo                     - (ha scosso due o tre volte la testa durante la telefonata, ora guarda di nuovo l'orologio, poi) Che razza di stupido che sei, però!

Valerio                     - (colpito) Stupido?

Antimo                     - Avrei capito che non m'avessi creduto, ma credendomi, come mi credi, che cosa pensi d'aver fatto con quella telefonata?

Valerio                     - (con animo, ma anche con un vago spa­vento) Impedire che...

Antimo                     - Impedire cosa? (Guarda l'orologio) Sono le 17,43: Marisa è morta da un minuto.

Valerio                     - (più spaventato) Ma è assurdo... (Squilla il campanello del telefono, Valerio guarda l'appa­recchio, poi fissa Antimo, con angoscia).

Antimo                     - Rispondi.

Valerio                     - (prende il microtelefono, porta il ricevitore all'orecchio, parla con voce turbata) Pronto... casa del dottor Vigliena... Sono io... (Balza in piedi, ascolta spalancando gli occhi, sopraffatto dallo spa­vento e dall'orrore, fissa Antimo che allarga le brac­cia, come per dire: «Te l’avevo detto». Valerio urlando, al telefono) Ma non è possibile, voi mi state fulminando... Quando, dove? Appena fuori dell'autorimessa? Contro un autotreno...? (Guarda disperato Antimo, lascia cadere il microtelefono).

Antimo                     - Che vuoi farci?

Valerio                     - (disperato) E' terribile... spaventoso... (Si toglie la giacca da casa, si rimette quella per uscire) Povera donna, povera Marisa mia... (Ha un singhiozzo).

Antimo                     - Capisco il tuo dolore ma...

Valerio                     - (andando alla destra) E' qualcosa di più che un dolore, è un... E' come un assassinio, come se l'avessi uccisa con le mie mani...

Antimo                     - (seguendolo) Ma cosa c'entri tu?

Valerio                     - (c.s.) Ho tante volte desiderato che morisse... L'ho tante volte maledetta, chiamandole la morte addosso... Sono un miserabile, un infame... Debbo, voglio morire anch'io, adesso!

Antimo                     - (seccato) E morrai! Ma alla tua ora, né un minuto prima né un minuto dopo... Non te la prendere tanto calda, caro, tanto a me non m'in­canti!

Valerio                     - (è esasperato, vorrebbe rispondere ma non trova le parole giuste, ha un'esclamazione che è quasi un ruggito) Oh! (Alza le braccia, fremente, esce. Antimo lo segue, scuotendo la testa).

                                                 Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Valerio                     - (s'è rimessa la giacca da camera, si muove, disperato) Assurdo... incredibile... inverosimile! (Antimo è seduto, ha messo la borsa sul tavolo, il cappello sulla borsa, e aspetta, paziente) E quell'al­tro disgraziato... cosa c'entrava lui!

Antimo                     - (paziente) Caro... devi calmarti... il tuo errore è di supporre che tua moglie sia morta perché ti amareggiava la vita, che il tuo amico Ettore sia morto perché tua moglie è andata con lui... Il fatto è invece enormemente più semplice: dovevano mo­rire tutti e due, anzi tutti e tre, perché è morto anche il guidatore dell'autotreno...

Valerio                     - Tutto questo macello per... (Ha un gesto disperato).

Antimo                     - (completando il suo pensiero) ... per liberarti di Marisa? Niente affatto, anche il guidatore dell'autotreno doveva chiudere la sua carriera a quell'ora e a quel minuto... Non capisco perché ti ostini a volerti credere il protagonista d'una situa­zione eccezionale, il perno intorno al quale girano persone, cose, fatti... Muoiono migliaia di persone al minuto sulla Terra, secondo i piani prestabiliti, nell'ordine prefissato... Bisogna essere un presun­tuoso pazzo per pensare di poter essere la causa de­terminante di una soltanto di quelle morti... Calmati, caro, siedi, smetti di farmi girare la testa e pensa che fra poco toccherà a te.

Valerio                     - (colpito) Ah... (Pausa) E... quando?

Antimo                     - Figurati se te lo dico con quel tempe­ramento da nevrastenico che m'hai tirato fuori! Pensa a quello che devi fare e... (S'interrompe).

Ada                          - (entra dal fondo a sinistra, ha un abito scuro, senza cappello, ancora sconvolta, coi capelli in di­sordine, si getta fra le braccia di Valerio) Oh papà, papà caro, mi pare d'impazzire!

Valerio                     - (ha abbracciato affettuosamente Ada, tenta di confortarla) Mia povera piccola Ada, devi es­sere coraggiosa...

Ada                          - Se almeno ci fosse stata una malattia, qual­cosa che avesse preparato... Invece da un attimo all'altro, in piena salute... (Piange col volto sul petto di Valerio) Oh papà, papà caro, solo ora m'accorgo che in fondo io l'amavo assai la mamma, anche con quel suo carattere.

Valerio                     - Questo si capisce...

Ada                          - Non so come farò... non so se riuscirò mai ad abituarmi... Ho tentato di riposare, ho chiuso gli occhi come tu m'hai consigliato, ma non mi riesce di distrarmi un attimo... Non faccio che pen­sare a te... a ciò che d'ora in poi dovrò fare per te..., mi pare d'esser diventata la tua mamma, vorrei poterti prendere in braccio come un bambino, non ho che te ormai...

Valerio                     - (con angoscia, dopo aver fissato per un attimo Antimo) Cara... bisogna invece che tu incominci a familiarizzarti con l'idea che anch'io... fra poco...

Ada                          - (quasi gridando) Cosa?

Valerio                     - ...posso lasciarti e...

Ada                          - (avvinghiandosi a Valerio) Ma non dirlo nemmeno per ischerzo! Papà, papà mio, io sono sola, non ho un fidanzato, non ho un'amica, se do­vessi mancarmi tu che ne sarebbe di me? (Valerio si volge ad Antimo, gli fa cenno: «Vedi? Senti?». Antimo si stringe nelle spalle, poi prende cappello e borsa ed esce dall'entrata dell'Angelo. Valerio ne segue i movimenti con lo sguardo attento. Ada guarda stupita Valerio) Ma... cosa guardi?

Valerio                     - (riscuotendosi) Oh, niente, cara. (Le dà un bacio) Dicevo così per prepararti...

Ada                          - (spaventata) A che cosa?

Valerio                     - Ai casi della vita...

Ada                          - Papà, ti scongiuro di non pensare nemmeno a queste cose... Sei robusto, sanissimo, non dimostri per niente l'età che hai... Capisco il dolore per la tragedia di mamma, ma ora devi pensare a te... a me... Trovar modo di rifarci una vita...

Valerio                     - E' quello che tentavo di spiegare a... (Dà una rapida occhiata là dove era seduto Antimo) Sì, dico... a te... a me stesso anche... Ormai, con la morte della mamma, le cose avrebbero potuto prendere un'altra piega, svolgersi... più tranquilla­mente... Marisa, poverina, aveva un carattere che...

Ada                          - Papà, papà mio, io ti farò un'esistenza di pace e di felicità, come l'hai sempre sognata...

Valerio                     - Ne sono certo... Noi due, soli... Sarebbe stato l'ideale... E invece...

Ada                          - Invece cosa? (Valerio la fissa, sbalordito) Papà, ma tu ti senti bene?

Valerio                     - Benissimo, cara, perfettamente... ed è questo che... che indispone di più, capisci? Sentirmi bene!

Ada                          - Senti, papà, adesso telefono al dottor Mo­relli che venga a vederti...

Valerio                     - Ma non occorre...

Ada                          - Lo so, lo chiamo per scaramanzia, per uno scrupolo... per me, insomma, va bene? Promettimi di riceverlo gentilmente...

Valerio                     - Lo riceverò gentilissimamente...

Ada                          - (lo bacia) Grazie, devi capirmi... Io sono tua madre adesso... M'obbedirai come un figliolino? (L'abbraccia).

Valerio                     - Ti obbedirò come vorrai. (Ada gli dà un altro bacio, poi esce per il fondo a sinistra. Valerio la guarda andar via, trasognato; sì prende la testa fra le mani, si muove, si ferma) Ah, io im­pazzisco... impazzisco... (Antimo, Marisa ed littore entrano dall'entrata dell'Angelo. Marisa ed Ettore sono vestiti come al primo atto. Valerio ha un urlo) Marisa!

Marisa                      - (tenera, gentile, con un sorriso dolcissimo) Mio povero Valerio... Non avrei mai creduto che tu m'amassi ancora cosi...

Valerio                     - (la stringe fra le braccia, frenetico) Marisa... Ma allora... (Guarda Ettore che gli si è avvicinato, gli stringe la mano senza lasciare Ma­risa) E' stato un sogno, un incubo...

Antimo                     - Eh no... Li ho ritirati dal mio aiutante, ti aspetteranno...

Valerio                     - (colpito) Ah...

Antimo                     - Entrano anche loro dalla porta seimila-duecentotrentuno, faremo un solo viaggio...

Ada                          - (entra dal fondo a sinistra col cappello e la borsetta, agisce come se non vedesse Antimo, Ma­risa, Ettore) Il telefono del dottore è sempre occupato, ci faccio un salto... (Bianca ha seguito Ada, è in grembiale bianco e crestina. Valerio s'è voltato, stupito, senza lasciare Marisa).

Marisa                      - (commossa, tendendo le braccia verso la figlia) Ada!

Ada                          - (senza rispondere a Marisa) Bianca intanto ti servirà il thè e ti starà un po' attenta... Io torno subito, qualsiasi cosa t'occorra... (Lo fissa) Ma perché stai così? (Si dispone come Valerio, abbrac­ciando con la sinistra una persona invisibile, strin­gendo con la destra la mano di uno che non si vede. Marisa ed Ettore si allontanano da Valerio che rimane ancora un attimo nella posizione di prima, fissando sbalordito Ada, poi sì ricompone, e guarda Antimo. Ada spaventata) Papà... cos'hai?

Valerio                     - Niente, tesoro, non ho niente... Va' a chiamare il dottore, t'aspetto. Non aver paura...

Ada                          - E' che me ne fai tanta... (A Bianca) Bianca, mi raccomando...

Bianca                      - (autorevole) Stia tranquilla, signorina. (Ada esce dalla destra, in fretta, preoccupata. Bian­ca guarda uscire Ada, poi sì avvicina a Valerio, affettuosa) Permette, dottore? (Gli assesta la giac­ca, e nel toccarlo c'è il senso della carezza; gli passa davanti, gli aggiusta la cravatta, gli sfiora il mento col dorso della mano, sospira, poi) Bisogna che lei si faccia una ragione, che si rassegni... Amare la moglie va bene, è comandato anzi, ma ormai son passati tre giorni, che vuol fare? Morire anche lei? Le abbiamo fatto un bel funerale, l'ab­biamo sistemata come meglio non si poteva... ba­sta, adesso, pensiamo ai vivi...

Marisa                      - (indisponendosi) Ma guarda un po' che chiacchiera che ha...

Bianca                      - D'altra parte la signora... pace all'anima sua... non le ha certo fatto una buona compagnia...

Marisa                      - Ma di che s'immischia, quella? Ehi, imbecille!

Ettore                       - Che ve n'importa?

Marisa                      - Vorrei tirarle qualcosa in testa!

Antimo                     - Non è possibile, cara. (Con chiara, benché cortese minaccia nella voce) Non ci provare nemmeno.

Marisa                      - E lui, che sta lì a farsi coccolare...

Valerio                     - (a Marisa) Che debbo fare?

Bianca                      - Che deve fare? Si deve riprendere, distrarsi, cercar compagnia... Teme di non trovarne? Se sapesse, dottore, quanti sguardi di donna sono appuntati su di lei dall'altro ieri! Vedovo, ricco, bell'uomo, elegante, simpatico...

Marisa                      - E io non le debbo tirar niente in testa!

Ettore                       - (ad Antimo) Quando deve morire, quella lì?

Antimo                     - (infastidito) Oh, c'è tempo, a novan­tasette anni, per indigestione!

Valerio                     - (a Marisa) Sono i soliti discorsi che si fanno a un disgraziato nelle mie condizioni, dall'altro ieri tutte le nubili e le vedove del vi­cinato sono in ebollizione, ogni tanto qualcuna mi telefona...

Marisa                      - Ah sì?

Bianca                      - Ma ci penso io a rispondere!

Valerio                     - (a Marisa) Pensa lei a rispondere!

Bianca                      - Lei chi? Signore! (Lo scuote) Signore!

Valerio                     - Eh.

Bianca                      - Con chi sta parlando?

Valerio                     - Io? Ma... con te, cara, che stavi dicendo?

Bianca                      - (drammatica) Signore, si scuota! Lei deve vivere! Chi muore giace, chi vive si dà pace! Lei si deve riprendere, per sé, per sua figlia, per chi le vuol bene... Tutti le vogliamo bene, e io... me lo lasci dire... più di tutti... (S'è avvicinata fre­mente a Valerio che la guarda disorientato. Bian­ca delusa) Lei è ancora troppo debole, si direbbe che ha dell'acqua nelle vene... (Decisa) Ora vado a farle un bisteccone così... (gesto) al sangue! (Esce dalla sinistra).

Marisa                      - Oh, ma è enorme! Guarda che donna m'ero messa in casa!

Ettore                       - (alza le spalle) Sono tutte le stesse!

Marisa                      - (a Valerio) Spero che la licenzierai!

Antimo                     - E perché? Che te ne importa, ormai?

Valerio                     - (a Marisa) La licenzierò... Ho sempre fatto quello che hai voluto e continuerò a farlo...

Marisa                      - (commossa) E' vero... In sostanza tu, brontolando, resistendo, litigando, hai sempre finito col fare come volevo io... (Si muove, va a sedergli accanto, lo accarezza) Anzi quello che io dicevo, senza nemmeno esserne convinta... Spesso avevo la tua stessa idea, e la cambiavo solo per farti di­spetto... (Antimo ed Ettore si guardano, poi escono dall'entrata dell'Angelo).

Valerio                     - (abbandonandosi al piacere di godersi la compagnia di Marisa) Anch'io, tante volte, fa­cevo così... Mi mettevo contro di te senza una vera e propria ragione...

Marisa                      - Forse è perché siamo stati troppo felici nei primi tempi, ti ricordi?

Valerio                     - Se mi ricordo... ci penso sempre... ma non mi pare che possa esser stata quella la ragione per, inasprirci, per spingerci, certe volte, a farci tanto male...

Marisa                      - E invece sì... Io ero di cattivo umore e pensavo... adesso lui mi domanda cosa ho, poi mi dà un bacio...

Valerio                     - E io, stupido, non ti domandavo niente, oppure, invece di dirti... (Con dolcezza) Cos'hai, Marisa? Ti dicevo... (Aspro) Beh, che ti prende, adesso?

Marisa                      - Ecco, appunto... E io m'indisponevo... E ti davo una rispostacela che tu ribattevi... E in­vece dei baci che aspettavo...

Valerio                     - ... erano ceffoni, brutte parole... Sof­frivo enormemente, credimi...

Marisa                      - Come me... Ho avuto il torto di non capire che non era umanamente possibile conti­nuare come nei primi anni... Il primo anno, ma ci pensi?

Valerio                     - Non riuscivamo mai a vedere uno spettacolo per intero, ce n'andavamo sempre dopo il primo o il secondo atto, per correre a casa a... Oh!

Marisa                      - Eravamo giovani!

Valerio                     - Eravamo felici!

Marisa                      - Ci amavamo di più... o forse... non so... almeno io non posso dire che t'amavo di più allora... T'ho sempre voluto bene come adesso... Solo che c'era qualcosa...

Valerio                     - Appunto, qualcosa che, almeno a me, m'impediva di non badare al fatto che non m'avevi salutato tornando a casa, oppure che m'avevi dato una risposta sgarbata... Ah, è così? mi dicevo. Be­nissimo, non le rivolgerò la parola per una setti­mana. Se tu m'avessi soltanto parlato, fatto una carezza, dato un bacio... Ma tu, invece, aspettavi... come aspettavo io... e così sono passati gli anni, e la vita è scorsa infelice, pesante, senza una gioia...

Marisa                      - Che imbecilli che siamo stati...

Valerio                     - Siamo stati troppo orgogliosi; io, al­meno, lo sono stato...

Marisa                      - E io una pazza... In fondo toccava a me essere più tenera, accondiscendente... Ho in­cominciato a capire solo adesso che tu avevi bisogno d'affetto...

Valerio                     - (con anima) Oh, un enorme bisogno...

Marisa                      - ... e che mi sarebbe bastato non ne­gartelo...

Valerio                     - Non puoi immaginare che sofferenza litigare, e poi star male per settimane intere... Quante volte avrei voluto dirti... perdonami... per­donami... Ero sicuro che mi sarebbe bastato dirlo perché tutto finisse... e pure non lo dicevo... c'era fra noi un muro invisibile... una separazione morale...

Marisa                      - E allora mi scacciavi dalla tua vita chiudendoti nel tuo lavoro...

Valerio                     - (con vivacità) Un uomo ha l'obbligo di provvedere...

Marisa                      - A che? Quasi sempre il lavoro è un pretesto, quando non è un vizio!

Valerio                     - Io sono un uomo d'affari...

Marisa                      - ... che ti chiudi nel tuo studio e ci rimani per ore e ore, mentre quella disgraziata che hai sposata va e viene per il resto della casa sola e sperduta... Sapessi come soffrivo, a volte, a star oltre la porta del tuo maledetto studio, sentendoti così vicino e pure così distante...

Valerio                     - (con animo) Potevi aprire, entrare, venirmi accanto... Quante volte mi sono sentito umiliato, offeso dalla tua indifferenza! Ma questa donna, mi domandavo, si rende conto del mio sforzo? Perché non domanda, non s'associa in qual­che modo... Mi sarebbe bastato che tu fossi entrata, senza parlare... magari con un lavoretto in mano, una rivista... e ti fossi seduta a sferruzzare o a leggere... Avrei lasciato la scrivania, sarei venuto a sedermi accanto a te magari solo per qualche minuto... E invece quante volte ho pensato con rancore... Ecco, io me ne sto qui a far danaro per lei e lei se ne infischia...

Marisa                      - (lo accarezza) Caro...

Valerio                     - Che peccato che non si possa più ri­mediare, ormai...

Marisa                      - (stupita) Come? « Si deve » rimediare!

Valerio                     - (completamente dimentico della situazione) E com'è possibile?

Marisa                      - Caro, sei più in qua che in là...

Valerio                     - (improvvisamente ricordandosi, con di­sgusto e spavento) Ah...

Marisa                      - (con grande dolcezza) E' questione di giorni, di settimane al massimo... Antimo me l'ha assicurato...

Valerio                     - Non t'ha detto... quando?

Marisa                      - No, ma mi fa fatto capire che sarà presto... Io ti sto aspettando, come una fidanzata...

Valerio                     - (indisponendosi) Mh... e naturalmente sei dolce, cara, affettuosa, proprio come quando eravamo fidanzati, e tu facevi ogni sforzo per na­scondermi il tuo vero carattere...

Marisa                      - (seccandosi) Adesso non incominciare a dir cose antipatiche...

Valerio                     - A tessere la tela di ragno nella quale io, povera mosca, dovevo impigliarmi...

Marisa                      - Vedi che sei sempre tu a incominciare?

Ada                          - (entra dalla destra, seccata) Niente, il dot­tore non c'è, ha un consulto che lo tratterrà forse tutto il pomeriggio... Gli ho lasciato detto di pas­sare, o almeno di telefonare...

Valerio                     - Grazie, cara, ma non preoccuparti, io non ho niente, solo un pensiero che m'assorbe...

Ada                          - Che ti tormenta, che non ti lascia mai, che t'impedisce di pensare ad altro... E' per questo' che dico che non stai bene e che hai bisogno del medico...

Marisa                      - (a Valerio) Ma dille che non è vero, inventa qualcosa e spiegaglielo, magari chiedendole consiglio... E' questo che ci tortura, vedervi chiusi in un pensiero, distratti, lontani...

Ada                          - (guardando Valerio attenta, addolorata) Papà, ma tu mi stai a sentire?

Valerio                     - (riscuotendosi) Ah? Ah sì, sì, cara... Ti sto a sentire, ti... (Ha un gesto vago).

Ada                          - A che stai pensando?

Valerio                     - A te... Al... all'eredità di tua madre... la sua dote...

Marisa                      - Ma guarda un po' che soggetto allegro ha trovato!

Valerio                     - (a Marisa, seccato) Cosa debbo dirle? Che debbo morire anch'io, lasciarla sola...

Ada                          - (con impeto) Papà, tu non devi pensare a questo, mi devi giurare di non pensarci più! Adesso ci sono io, si tratta di me... Tu devi vo­lermi tanto bene... Che m'importa della dote di mamma? T'ho chiesto qualche cosa?

Valerio                     - No, ma...

Guido                       - (entra dalla destra togliendosi il berretto, un po' spaventato) Scusi, dottore... Buongiorno, signorina... Stanno salendo due della polizia...

Valerio                     - Della polizia?

Ada                          - Cosa vogliono?

Guido                       - Credo per chiedere informazioni... A noi già ci hanno interrogati...

Marisa                      - Noi chi?

Valerio                     - Noi chi? Rispondi!

Guido                       - Io, Bianca, la cuoca, i portinai... (S'ode squillare un campanello) Vado ad aprire?

Valerio                     - E vai ad aprire! (Guido esce).

Ada                          - (angosciata) Che vorranno?

Valerio                     - Non lo so, sentiremo... Non t'inquie­tare senza ragione...

 

Marisa                      - E tu non t'allarmare, mantieniti calmo, rispondi con chiarezza, non metterti a fare il furbo, con i poliziotti è sempre pericoloso...

Valerio                     - (a Marisa) Lasciami fare a modo mio, non incominciare a rompermi l'anima...

Ada                          - (con voce di pianto) Papà, ma io non ti sto dicendo niente, cos'hai, perché mi tratti così...

Guido                       - (rientra dalla destra facendo strada al Al­fredo) Il dottor Bernati... (Alfredo segue, dalla destra, trentacinque anni, serio, severa eleganza, cappello in mano, accenna un inchino. Michele segue, dalla destra, cinquanta anni, tipo rude, forte, cappello in mano, accenna un saluto. Antimo rien­tra dall'entrata dell'Angelo, scuotendo la testa, sec­cato in anticipo come chi sa che deve accadere qualcosa dì spiacevole. Ettore lo segu0, turbato).

Marisa                      - (a Ettore) Cosa c'è?

Ettore                       - Ho paura che le cose incomincino a complicarsi...

Valerio                     - (a Ettore) E perché dovrebbero... (Si interrompe, ha un gesto per imporre silenzio a Ettore, si rivolge ad Alfredo) S'accomodi...

Alfredo                    - (è un po' stupito, guarda verso Ettore, poi) Sono il dottor Alfredo Bernati, ispettore di polizia... (Presentando Michele) Il sergente Ricci.

Valerio                     - Non so a che cosa debbo la sua vi­sita... che pare abbia carattere ufficiale...

Alfredo                    - Per ora solo informativo.

Valerio                     - Comunque s'accomodi.

Alfredo                    - Grazie. (Siede, fissa Ada) La signorina è sua figlia?

Valerio                     - Sì.

Alfredo                    - Perché ha pianto? (Valerio dà un ra­pido sguardo ad Ada).

Ada                          - (ad Alfredo) Scusi...

Alfredo                    - Non neghi, signorina, lei ha pianto, e desidero sapere perché.

Valerio                     - Perché le è morta la madre... In queste circostanze, di solito, si piange.

Marisa                      - Stai attento a non fare dell'ironia, con i poliziotti non si scherza!

Valerio                     - (alzando le spalle, a Marisa) Io me ne infischio!

Alfredo                    - (a Valerio) L'ho notato. (Ad Ada) Dunque, signorina, vuol dirmi perché ha pianto?

Ada                          - (nervosa) Gliel'ha spiegato mio padre... Scusi, sa, sono rientrata adesso, e se permette...

Alfredo                    - Vada, vada pure, nel caso la chia­meremo. (Ada guarda Alfredo con alterigia, poi mette la mano sulla spalla di Valerio ed esce per il fondo a sinistra. Alfredo a Valerio, indicandogli Guido) Questo giovanotto le occorre?

Valerio                     - Per ora no.

Alfredo                    - Allora lo metta in libertà, per favore. (Valerio fa cenno a Guido dì andarsene. Guido, perplesso, esce per la sinistra).

Valerio                     - (guarda uscire Guido, poi si volge ad Alfredo) Eccomi a lei, ispettore, siamo soli.

Alfredo                    - Non completamente. (Valerio sussulta, dà un rapidissimo sguardo a Marisa, Antimo, Ettore, che si sono seduti verso il fondo) C'è il sergente che in certo senso funge anche da testimone, che prende appunti...

Valerio                     - Ah... Scusi, sa, a me non me ne importa niente... Mi dica in che posso esserle utile e cer­cherò di... eh?

Alfredo                    - Sono stato incaricato delle indagini sul...l'incidente di cui è rimasta vittima sua moglie, insieme all'avvocato Ettore Boveri, e al conducente Gaspare Comegna... Vorrei pregarla di raccontarmi tutto ciò che sa al riguardo.

Valerio                     - E' presto detto, stavo qui parlando con... (S'interrompe, guarda Antimo, che gestisce, come per dire a Valerio: « Ma come ti salta in mente di raccontare certe cose? »).

Alfredo                    - (cortese, insistente) Con?

Valerio                     - (ad Alfredo) Con... Ettore... Ettore Boveri che...

Alfredo                    - Questo lo sappiamo. L'avvocato Boveri ha pranzato qui il giorno della... disgrazia... Il pranzo si è svolto penosamente, fra discussioni e litigi... Poi sua moglie è uscita dopo, essersi data appun­tamento col Boveri all'autorimessa...

Valerio                     - Appunto, stavo per dir proprio questo.

Alfredo                    - Lei ammette che sapeva dell'appunta­mento fra sua moglie e l'avvocato Boveri?

Valerio                     - Certo che l'ammetto, perché non dovrei ammetterlo?

Alfredo                    - (a Michele) Prenda nota, sergente.

Michele                    - Già presa, ispettore.

Valerio                     - Scusi, non capisco il perché di questo prender nota, non ho certo intenzione di negare la verità... A quale scopo, poi?

Alfredo                    - Ora vedremo, non s'innervosisca...

Valerio                     - (nervoso) Io non m'innervosisco af­fatto, è lei che parla in un modo...

Alfredo                    - Che modo?

Valerio                     - Lasci andare, vada avanti, mi dica cos'altro vuol sapere da me.

Alfredo                    - Gliel'ho detto: tutto ciò che sa al riguardo.

Valerio                     - Glie lo stavo dicendo quando lei m'ha interrotto... Mia moglie è uscita, poi il povero Et­tore e io abbiamo parlato per qualche altro minuto...

Alfredo                    - Quanti minuti?

Valerio                     - Dieci, quindici... Poi lui se n'è andato...

Alfredo                    - All'appuntamento che aveva con sua moglie...

Valerio                     - (seccato) Sì... Scusi, sa, ma non mi piace il modo come lo dice...

Alfredo                    - Dico una circostanza di fatto...

Marisa                      - (ad Antimo) Non so cosa pagherei per dargli due bei schiaffoni...

Alfredo                    - Che cosa ha fatto lei dopo che l'av­vocato Boveri se n'è andato all'appuntamento con sua moglie?

Valerio                     - (sta per rispondere male, ma decide di imporsi la calma) Scusi, le dispiacerebbe di chiudere questo capitolo dell'appuntamento? M'in­dispone.

Alfredo                    - Lo capisco. Dunque sentiamo. Che cosa ha fatto dopo che l'avvocato Boveri lo ha lasciato.

Valerio                     - (ha un'occhiata piena d'angoscia per An­timo, poi, ad Alfredo) Niente.

Alfredo                    - Avrà scritto, fumato...

Valerio                     - Non ho né scritto né fumato.

Alfredo                    - Chi c'era in casa?

Valerio                     - Nessuno... cioè no, mia figlia... è tor­nata dalla pesca subacquea...

Alfredo                    - Cosa le ha detto?

Valerio                     - Che era stanca... ed è andata a ri­posarsi.

Alfredo                    - E poi?

Valerio                     - Poi cosa?

Alfredo                    - Che ha fatto? E' rimasto ad attendere? (Valerio fissa Alfredo, sbalordito).

Marisa                      - (acuta) Stai attento, ti sta tirando nel tranello!

Ettore                       - (a Marisa) Ma state zitta! (A Valerio) Digli la verità!

Antimo                     - Non la crederebbe.

Ettore                       - Ma allora che deve fare quel disgraziato?

Marisa                      - Aiutatelo, no?

Antimo                     - Non posso.

Alfredo                    - (a Valerio) Dunque, dottor Vigliena? E' rimasto ad attendere?

Valerio                     - (dolorosamente) Che cosa?

Alfredo                    - Che le telefonassero che sua moglie era morta?

Valerio                     - (sembra uno che si sia improvvisamente accorto di trovarsi sull'orlo d'un abisso e in procinto di cadervi, si copre la faccia con le mani in preda all'angoscia, poi fissa Alfredo) Ispettore... cosa vuol farmi dire...

Alfredo                    - La verità e nient'altro...

Valerio                     - Bisognerebbe poter pensare, concen­trarsi, ricostruirla... Ettore se n'è andato, io... sono rimasto in questa stanza fino al momento in cui m'hanno telefonato che era avvenuto lo scontro... Allora sono corso...

Alfredo                    - Nient'altro?

Valerio                     - Non mi pare che vi sia altro.

Alfredo                    - Non ha telefonato all'autorimessa...

Valerio                     - (interrompendo, fremente) Ecco...

Alfredo                    - (incalzante) ... tre o quattro minuti prima dello scontro... pagherei

Valerio                     - (c.s. frenetico) Mi lasci spiegare...

Alfredo                    - (c.s.) ... gridando in preda alla collera, dando ordine d'impedire che sua moglie prendesse la sua macchina, a costo di sgonfiare i pneumatici, di praticare un guasto al motore?

Marisa                      - (intenerita) Povero Valerio! Volevi sal­varmi in ogni modo! (Valerio sta fissando Alfredo, ansante, con la mani frementi, la bocca semiaperta).

Alfredo                    - (c.s.) Dunque, dottor Vigliena... ha telefonato o non ha telefonato all'autorimessa?

Valerio                     - (esausto) Ho telefonato. (Alfredo fa cenno a Michele di prendere nota. Michele sta scrivendo sul taccuino).

Alfredo                    - (a Valerio) Perché ha telefonato?

Valerio                     - Non lo so... un presentimento...

Alfredo                    - Però quando le hanno detto che sua moglie se ne andava con la macchina di Boveri s'è calmato...

Valerio                     - Sì...

Alfredo                    - Il telefonista dell'autorimessa dice che anzi lei è rimasto contento...

Valerio                     - Sì...

Alfredo                    - E appena tre minuti dopo la macchina di Boveri è andata a cozzare contro l'autotreno e Boveri, sua moglie e un autotrenista sono rimasti uccisi sul colpo...

Valerio                     - (smarrito) Ispettore, è così... non capisco perché lei abbia l'aria di accusarmene... Ero qui, le telefonate lo provano...

Alfredo                    - Ah, certo, l'alibi era impiantato be­nissimo... Senonchè è bastato un nonnulla a smon­tarlo... La sua telefonata all'autorimessa! Lei ha commesso l'imprudenza di dare ordini in seguito ai quali sua moglie ha preso posto proprio sulla macchina che doveva cozzare contro l'autotreno!

Valerio                     - Ma l'ho fatto per salvarla!

Alfredo                    - Da che?

Valerio                     - Dal pericolo di... (S'interrompe, smar­rito).

Alfredo                    - Dal pericolo di morire...

Valerio                     - Appunto...

Alfredo                    - E come faceva lei a sapere che sua moglie correva quel pericolo?

Valerio                     - (guarda smarrito Antimo, poi, ad Alfredo) Glie l'ho detto, un presentimento...

Alfredo                    - Mh... (Apre un fascicoletto, ne cava una carta, la spiega, la mostra a Valerio) Riconosce questa lettera?

Valerio                     - (guarda la carta, sbalordito) E' mia...

Alfredo                    - ... ed è diretta all'avvocato Boveri.

Valerio                     - E' l'invito che gli ho mandato per il pranzo...

Alfredo                    - (fissa Valerio) Difatti glie l'abbiamo trovata in tasca... è una lettera straordinariamente significativa!

Valerio                     - Non direi...

Alfredo                    - Ah, non direbbe? (Incomincia a leggere la lettera) « Carissimo Ettore, la forsennata sta at­traversando una nuova crisi... ». (A Valerio) Chi è la forsennata?

Valerio                     - Scusi, si tratta d'una lettera... anzi d'un biglietto buttato giù in fretta, fra amici di trent'anni... Ettore sapeva tutto di me come io di lui...

Alfredo                    - La forsennata è sua moglie.

Marisa                      - (a Valerio) Ecco i guai in cui ci si mette quando si scrivono certe cretinaggini... (A Ettore) Voi, poi, ricevevate una lettera in cui mio marito mi chiamava forsennata, e non me ne dicevate niente!

Ettore                       - Signora... pensate a Valerio che sta sprofondando in un vero guaio...

Marisa                      - Se lo meriterebbe!

Antimo                     - Stai zitta.

Alfredo                    - (a Valerio) Dottore? (Valerio sussulta) Si svegli... Cos'ha da dire?

Valerio                     - (stanco) Niente... non dirò più niente... Penso che potrò consultare un avvocato...

Alfredo                    - Deve consultarlo', e le consiglio di scegliere il migliore che può, perché ne ha dispe­ratamente bisogno... In questa lettera lei, dopo aver definito «forsennata » sua moglie, invita a pranzo il suo amico Boveri, scongiurandolo di non man­care... ecco qui le sue parole precise... (Legge) «Ti scongiuro di non lasciarmi solo con quella belva... ».

Marisa                      - Ah, questo poi!

Alfredo                    - (continua a leggere) «... non ne posso più, finirò per accettare il tuo piano... ».

Marisa                      - (a Ettore) Quale piano?

Ettore                       - (seccato) Quello di farvi separare!

Marisa                      - Ah, bell'amico, non c'è che dire!

Antimo                     - Basta! (Valerio è disperato, scuote la testa, allarga le braccia, non sa cosa opporre alla contestazione di Alfredo).

Alfredo                    - (ha fissato Valerio, e ora riprende a leg­gere) « Non resisto all'idea di star solo con lei a tavola, Ada non c'è... T'aspetto senza meno, nella speranza che Marisa, vedendoti, si calmi... ». (Alfredo piega la lettera, la rimette nel fascicolo) Ed ecco un altro interessante documento... (Prende un'altra carta dal fascicolo, la spiega, incomincia a leggerla) Un'informazione del Commissariato per la Motorizzazione... L'autotrenista Gaspare Comegna, deceduto nello scontro, era alle dipendenze della ditta Rossato e Moroni... (Fissa Valerio) Ho detto Rossato e Moroni, dottore.

Valerio                     - (inebetito) Ho capito...

Alfredo                    - Una ditta di prodotti chimici con cui lei fa affari per varie diecine di milioni all'anno...

Valerio                     - E' una delle mie rappresentate...

Alfredo                    - (piegando la seconda carta nel fascicoletto) Appunto. L'autotrenista Comegna era pregiudicato, varie volte condannato' per investi­menti... troppo intelligenti. Quasi sempre gl'inve-stiti erano assicurati...

Valerio                     - (esasperato) E a me che me ne importa?

Alfredo                    - Che glie ne importa... mh! Risulta che sua moglie era assicurata sulla vita...

Valerio                     - Un'assicurazione reciproca, sulla sua vita e sulla mia, a beneficio del superstite...

Alfredo                    - Però il superstite è lei!

Valerio                     - E che ci posso fare?

Alfredo                    - La perizia ha accertato che sua moglie sedeva alla sinistra del suo amico Boveri...

Valerio                     - Sì, mi pare di ricordare ch'era una due posti aperta, con guida a destra...

Alfredo                    - E mi dice che « le pare » di ricor­dare? Me ne ha dato una descrizione perfetta...

Valerio                     - Scusi, sono pratico...

Alfredo                    - Lo so che è pratico... anche troppo! Secondo i periti il piano del suo amico Boveri era quello d'andare a sbattere con la parte anteriore sinistra contro la parte anteriore sinistra dell'auto­treno guidato dal compiacente Gaspare Comegna...

Valerio                     - Ma cosa dice!

Alfredo                    - In tal modo sua moglie sarebbe stata proiettata fuori dalla vettura e sarebbe stata la sola vittima dell'incidente...

Valerio                     - Ma lei è pazzo!

Alfredo                    - E' accaduto invece ch'è scapolata la ruota anteriore sinistra della vettura di Boveri, nello stesso tempo in cui si spezzava l'asse anteriore del­l'autotreno. I due conducenti sono stati sbalzati dai rispettivi posti di guida decedendo all'istante, men­tre sua moglie solo per una stranissima combina­zione non s'è salvata!

Valerio                     - (fuori di se) Ma lei sta dicendo un mucchio di sciocchezze! Mia moglie, intanto, non avrebbe potuto salvarsi in nessun modo...

Alfredo                    - ...perché "doveva" morire...

Valerio                     - ...precisamente, alle 17,42...

Alfredo                    - Ora e minuto precisi, era un congegno d'orologeria il piano escogitato da lei e dall'amante di sua moglie!

Marisa                      - Ma è ubriaco, quello lì, non ci credere, sai Valerio, ti giuro...

Ettore                       - E' un visionario, oppure tenta di strap­parti una confessione impressionandoti!

Valerio                     - (a Marisa, Ettore, Antimo, completamente dimentico di Alfredo e Michele) La questione non è questa... non si tratta della solita storia della coppia infelice e dell'amico di casa...

Ettore                       - Valerio, ti giuro...

Marisa                      - Devi crederci...

Valerio                     - Credo, credo, sono arciconvintissimo! Ma qui si tratta di Ada, innocente, che appare fi­glia d'un assassino e d'una prostituta... (Ad Antimo) Questo è inammissibile e bisogna impedirlo a ogni costo! (Antimo alza le spalle).

Ettore                       - Ha ragione!

Marisa                      - Bisogna fare qualche cosa!

Valerio                     - Appunto, e subito! (Alfredo e Michele si sono guardati: Alfredo ha un sorriso sdegnoso. Michele scuote la testa nauseato).

Alfredo                    - (a Valerio) Questa linea di condotta, se mai, avrebbe dovuto adottarla prima.

Valerio                     - Quale linea di condotta?

Alfredo                    - Di fare il pazzo, parlare coi fantasmi...  Ma la prevengo che il sergente e io deporremo che  lei ha incominciato a ricorrere a questo espediente y solo quando s'è visto perduto...

Valerio                     - (con rabbiosa pazienza) Senta, ispettore, lei si trova in presenza del più tremendo infortunio che possa colpire una creatura umana... Quando glielo descriverò minutamente lei si convincerà che io sono sincero... Ma ho bisogno di riconcentrarmi, e riordinare le idee, riflettere...

Alfredo                    - Avrà tutto il tempo per riflettere. (Fa un cenno a Michele, si alza. Michele mette una mano sulla spalla dì Valerio, poi lo prende per una manica, in basso, torcendola leggermente).

Valerio                     - (smarrito) Ma... ispettore...

Marisa                      - (acuta) Lo arresta!

Ettore                       - E' mostruoso!

Valerio                     - (ad Alfredo) Lei mi mette in stato d'accusa...

Alfredo                    - E' lei che ci s'è messo. Andiamo.

Valerio                     - (resistendo a Michele che lo spinge) Ma scusi... mi lasci almeno parlare con mia figlia, mi consenta di...

Alfredo                    - Cerchiamo d'evitare chiasso, pianti di donne, scandalo nel vicinato... E' nel suo interesse. Andiamo. (Va alla destra).

Michele                    - (spinge Valerio verso la destra) Su, fai la persona seria, tanto è inutile resistere con me! '

Valerio                     - (spinto verso la destra, rivolgendosi ad Alfredo, a Michele, alle tre ombre) Ma io... io « davvero » non ho fatto niente... non mi sono mai sognato una cosa simile... non sarei capace d'immaginarla... (Alfredo è uscito dalla destra. Valerio seguendolo) Creda pure, sergente... e non spinga... (Ad Antimo, Marisa ed Ettore) Bisogna chiarire le cose in qualche modo... Io davvero non ho fatto niente... Nessuno lo sa meglio di voi... (Esce dalla destra spinto da Michele. Antimo, Marisa ed Ettore si sono alzati, diretti alla destra, seguendo Valerio).

Marisa                      - (ad Antimo) Dico... non avrete inten­zione di lasciarlo in questo pasticcio...

Ettore                       - Quel poveraccio non ha nessuna colpa...

Antimo                     - (seccato) Ma cosa volete che sia, quante storie! (Esce dalla destra).

Marisa                      - Storie? (Segue).

Ettore                       - Vi pare una cosa da niente? (Segue).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

Valerio, Marisa, Antimo ed Ettore    - (giuocano a carte intorno al tavolino, non si vedranno bene le carte, non si deve capire il giuoco).

Il Secondino             - (emerge, dopo una pausa, dalla zona d'oscurità portando un pacchetto di sigarette; è gentile, quasi affettuoso) Ecco le sigarette.

Valerio                     - Grazie.

Il Secondino             - Mi fa piacere vederti così tran­quillo, rassegnato... Dico al Padre di venire a tenerti un po' di compagnia?

Valerio                     - Più tardi, grazie.

Il Secondino             - Come vuoi. D'altra parte il soli­tario t'aiuta a passare il tempo... Quale stai facendo, quello di Napoleone?

Valerio                     - Non lo so nemmeno io.

Il Secondino             - Mah... Se hai bisogno di qualche cosa chiamami, senza cerimonie.

Valerio                     - Grazie. (Il secondino dà un'occhiata in giro, e scompare nell'ombra. Valerio dopo una pausa, gettando le carte) Uff... mi sono seccato di giuocare.

Marisa                      - (con dolcezza) Ti distrae...

Valerio                     - Da che? Se vinco cosa vinco? Se perdo cosa perdo?

Antimo                     - Io sono del parere che questo concetto dell'utilità in tutte le cose è la causa prima di tutte le vostre amarezze... Giuocare per vincere mi sem­bra così stupido...

Ettore                       - Si deve giuocare per perdere?

Antimo                     - Si dovrebbe giuocare per giuocare... per il piacere di stare con qualcuno che ci piace... Ma forse io ragiono troppo con la mia mentalità...

Valerio                     - Ragionate " esclusivamente ", con la vo­stra mentalità, senza tener nessun conto di quella degli altri... Vi dimenticate sempre, per esempio, che io sono vivo, io... e che non posso considerare le cose come voi... M'arrestano sotto l'accusa d'uxo­ricidio e omicidio aggravato, e voi... (Rifacendo un po' Antimo) Che vuoi che sia! Mi trascinano innanzi alla Corte per direttissima, mi condannano a morte perché ho trovato un avvocato imbecille... e voi con­tinuate a dirmi " che vuoi che sia ", ad alzare le spalle, a consigliarmi di non preoccuparmi affatto perché tutto finirà benissimo...

Antimo                     - E continuo a consigliartelo, tutto finirà benissimo, stai tranquillo...

Valerio                     - E' che non riesco a star tranquillo... Quel cretino d'avvocato ha fatto la domanda di grazia insistendo sull'infermità mentale...

Ettore                       - (seccato) Ha impostato tutta la difesa sull'infermità mentale... (Si alza, si muove).

Valerio                     - ...ed è bastato che i periti mi dichiarassero sano di mente per far crollare tutto!

Antimo                     - Caro, si può anche essere vittima di un errore giudiziario, è capitato a tanta gente!

Ettore                       - Sì, ma non nel modo balordo con cui è capitato a Valerio! L'ispettore di polizia ha inco­minciato con l'imboccare una strada sbagliata: Va­lerio voleva uccidere la moglie! Perché? Sem­plicemente perché litigavano spesso, semplice­mente perché l'autista, la cameriera, la cuoca, hanno riferito parole dette in un accesso di collera... T'am­mazzerei... Ti venisse un accidente... Crepa... Se tutti quelli che dicono cose di questo genere quando sono irritati dovessero essere degli assassini, il mondo sarebbe un cimitero!

Marisa                      - Si potrebbe anche fare a meno di dirle, certe cose!

Valerio                     - Si potrebbe anche evitare di provocarle...

Marisa                      - Tu sei sempre provocato, non provochi mai...

Valerio                     - Così come tu vuoi sempre aver l'ultima parola, caschi il mondo!

Marisa                      - (scattando) Io... (Sì calma, sorride, ha una carezza per Valerio) Perdonami, ti faccio sempre irritare, parliamo d'altro... Non puoi credere che te­nerezza sento per te, adesso... Come ho sofferto du­rante quel pazzesco processo... Quante volte avrei preso a schiaffi quell'animale che s'intestardiva a voler provare un'infermità di mente inesistente...

Ettore                       - (con vivacità) ...invece d'attaccare imme­diatamente l'accusa sui fatti, e reclamare prove con­crete a carico, non le induzioni dell'ispettore, non le argomentazioni del Pubblico Ministero! Ma sì! Quello stupido s'era messo in testa che Valerio era pazzo e non s'è curato d'altro!

Antimo                     - D'altra parte i soli testimoni a discarico eravate voi due e l'autotrenista, e non potevate deporre!

Valerio                     - (pensoso) Io sono tranquillo... (Ad An­timo) M'avete detto che non ho nulla da temere...

Antimo                     - Assolutamente nulla.

Valerio                     - Ma pure con questa certezza non riesco a non rabbrividire pensando alla spaventosa leg­gerezza con cui si fa un processo. Si prende un di­sgraziato e s'incomincia a martellarlo, con interro­gatori e contestazioni... Spesso sono tre, quattro, cinque che interrogano, dandosi il cambio; mentre l'interrogato è sempre quello, sempre più stanco, sempre più debole... Abbiamo abolito la tortura me­dioevale, la ruota, i tratti di corda... ma questo cos'è?

Antimo                     - La giustizia umana è imperfetta, cerca la verità come può.

Valerio                     - Ma si ha il diritto di torturare una creatura di Dio, per estorcerle una verità che non è e non può esser vera, detta da un accusato che non ha più né la forza né la volontà di difendersi?

Marisa                      - Ah, io griderei fino all'ultimo respiro!

Valerio                     - Tu... ma quanti non hanno l'indoma­bile energia che fanno di te una delle donne più straordinarie di questo periodo?

Marisa                      - Bravo, scherza, prendila a riso, è cosi che avresti dovuto far sempre!

Valerio                     - E il processo... i volti di quei giudici! Io argomentavo, ragionavo, ed essi rimanevano con lo sguardo fisso nel vuoto, come se dormissero a occhi aperti... (Animandosi) Pure erano dei pra­tici della giustizia. Come hanno fatto a non capire che il mio avvocato aveva impostato male la causa?

Antimo                     - Ah, ma l'hanno capito benissimo, e se lo sono detto in Camera di Consiglio, l'ho udito io!

Valerio                     - (sbalordito) E non hanno fatto niente per impedirlo?

Antimo                     - Cosa dovevano fare? Il magistrato non può dire a un difensore: lei ha sbagliato l'impostazione della difesa... Oltrepasserebbe il suo man­dato!

Valerio                     - E allora, per non oltrepassare il man­dato, si massacra un uomo, trascinando nella sua rovina la sua famiglia... La mia povera figliola che dovrà cambiar nome, paese... Ricostruirsi una vita...

Antimo                     - Caro... è accaduto a tutti i figli, è acca­duto a te, a tuo padre... E' una ruota che gira...

Valerio                     - Ma non in modo uguale per tutti! Mia figlia non ha nessuna colpa...

Antimo                     - Nemmeno gli altri figli ne hanno.

Valerio                     - (animandosi man mano, per arrivare al massimo del furore) Ma io parlo di mia figlia, non di tutti i figli, c'è una bella differenza!

Antimo                     - Non c'è nessuna differenza.

Valerio                     - (calmandosi con un violento sforzo) Va bene, vedremo anche questo, cercherò, troverò modo di stabilire la verità, la giustizia... Per fortuna è ancora possibile, c'è la grazia...

Antimo                     - Quale grazia?

Valerio                     - La grazia che ha chiesto il mio avvocato, voi m'avete assicurato che l'avrei ottenuta...

Antimo                     - Io? Sei in errore, caro.

Valerio                     - In errore? M'avrete detto cento volte di star tranquillo perché tutto sarebbe finito bene...

Antimo                     - E te lo ridico, ma questo non significa che otterrai la grazia...

Valerio                     - Non otterrò la grazia?

Antimo                     - No, caro. (Ettore e Marisa seguono an­siosi, la scena; insensibilmente incominciano a spo­starsi, Ettore verso la destra, Marisa verso la sinistra).

Valerio                     - (fremente di collera e di paura) Ma allora sarò impiccato?

Antimo                     - Sì, caro, sulla tua scheda c'è che devi morire il sedici di settembre alle ore zero e quattro...

Valerio                     - Eh?

Antimo                     - ...ossia fra nove minuti, per impicca­gione...

Valerio                     - (urlando) Ma non è possibile, non è vero, questa è una menzogna infame... (Il secondino, il direttore, il carnefice e il Padre emergono dall'ombra).

 Il Direttore              - Valerio Vigliena, sono dolente di dovervi dire che la vostra domanda di grazia non è stata accolta e che dovete apparecchiarvi a pagare il vostro debito con la giustizia.

Valerio                     - (urlando) Ma è assurdo, mostruoso... io non ho fatto niente... Perché debbo morire alle zero quattro del sedici settembre? Chi ha compilato la mia scheda? (Antimo, Ettore e Marisa spariscono nell'ombra. Il carnefice e il secondino prendono Valerio per le braccia, cercano di trascinarlo. Va­lerio respingendoli, frenetico) Un ragioniere im­pazzito che ha scritto una cifra a vanvera e pre­tende che i fatti la confermino! Ma io non mi lascerò sopraffare...

Direttore                   - (al carnefice e al secondino) Avanti, sbrighiamoci...

Valerio                     - (fuori di se) Lasciatemi! Lasciatemi, maledetti! (Lotta con il secondino e il carnefice. La scena si oscura del tutto. Valerio nell'oscurità, con­tinua a urlare, e s'odono i rumori d'una collutazione) Miserabili! Infami! Carnefici! V'ho detto di lasciar­mi! Non mi farò trascinare! (La scena si rischiara lentamente, riappare l’ambiente del primo e del se­condo atto. Valerio è seduto al tavolo, con la giacca da camera così come s'è addormentato nel primo atto; non è ancora del tutto sveglio, e continua a gridare) Non esiste un libro del destino! Siete voi che avete inventato questa menzogna!

Marisa                      - (vestita per uscire, ma ancora senza cap­pello, sta scuotendo energicamente Valerio) Ehi! Vuoi smetterla di gridare? Che modo è questo? Sei impazzito?

Valerio                     - (si sveglia del tutto, si guarda intorno, incomincia a rendersi conto d'aver sognato, ha uno scoppio di pianto) Oh... Marisa... Marisa! (Ab­braccia strettamente Marisa, con un intenso bisogno d'affetto. Marisa fredda e distante gli appoggia le mani sulle spalle, lo respinge senza impeto, ma con forza crescente; Valerio è costretto a lasciarla e la guarda angosciato).

Marisa                      - Ricordati cos'hai detto a pranzo!

Valerio                     - (scuote la testa amareggiato) Maledetta!

Marisa                      - (aspra) Grazie della prima parola gen­tile del risveglio!

Valerio                     - (amaro, disperato) Se almeno avessi pensato che soffrivo, poco fa... Se ti fossi fermata a riflettere che forse esco da un incubo, e m'avessi domandato cos'avevo...

Marisa                      - (aspra) Sentiamo: cos'hai?

Valerio                     - (alza le spalle, rassegnato) Niente... Cosa vuoi, che ti serve?

Marisa                      - C'è di là il signor Antimo De Luca.

Valerio                     - (sussulta) Eh?

Marisa                      - Voglio sperare che non lo rimanderai anche oggi, è la quarta volta che viene!

Valerio                     - (con lieve ansia) Fallo entrare. (Marisa esce dalla destra, Valerio si assesta un po' i capelli, la cravatta).

Marisa                      - (rientra dalla destra) Il signor Antimo De Luca.

Il Signore Qualunque - (la segue; non ha nessuna sia pur vaga somiglianza con Antimo, è un qualsiasi esattore d'assicurazioni, cappello in mano, portafogli) .Buongiorno, dottor Vigliena.

Valerio                     - Buongiorno...

Il Signore Qualunque             - Sono il nuovo esat­tore della Società d'Assicurazioni... Ho qui la sua ricevuta mensile, sono ottomila ottocento sessanta­sei... Può farmi un assegno, se crede. (Marisa esce per il fondo a sinistra, Valerio ha preso un libretto d'assegni, ha riempito un assegno, lo stacca, lo porge al signore qualunque che prende l'assegno, lo ve­rifica, lo mette nel portafogli, cava la ricevuta, la porge a Valerio, abbozza un inchino battendo leg­germente i tacchi) Grazie...

Valerio                     - (prende la ricevuta, la mette in un cas­setto senza guardarla, continuando a fissare il signore qualunque) Prego... Lei è di Napoli?

Il Signore Qualunque             - Di Sant'Antimo di Napoli.

Valerio                     - Mai stato in India?

Il Signore Qualunque             - Mai.

Valerio                     - (pensoso) Mh...

Il Signore Qualunque             - Se non ha altri ordini...

Valerio                     - Prego, le pare... Buongiorno...

Il Signore Qualunque             - Buongiorno. (Esce per la destra, Valerio è affranto, ma sta riprenden­dosi, respira con forza).

Ada                          - (irrompe dalla destra vestita come al primo atto, con cestello, fucile da pesca, pinne di gomma, ma­schera, padella) Buongiorno, papà!

Valerio                     - (con tenerezza) Cara! (L'abbraccia, la bacia) Ti sei divertita?

Ada                          - Tanto! (Marisa rientra dal fondo a sinistra col cappello e la borsetta, terminando d'abbotto­narsi i guanti, Bianca la segue).

Marisa                      - (vede Ada, non la saluta, non le sorride) Ah, sei qui, tu.

Ada                          - (gentile, ma fredda) Sì, buongiorno, mamma.

Marisa                      - Buongiorno. (A Valerio) Bianca ha bi­sogno di soldi per la spesa.

Valerio                     - Va bene, glie li dò subito. (Bianca che ha sbarazzato Ada del cestello, del fucile e degli altri oggetti, esce per la sinistra).

Marisa                      - Subito significa subito, non dimenti­cartene.

Valerio                     - Non me ne dimenticherò.

Marisa                      - Vado a fare una corsa in automobile, ho bisogno d'aria. Telefona all'autorimessa che mi diano la macchina. (Va verso la destra).

Ada                          - Buona passeggiata, mamma.

Marisa                      - Grazie. (Esce per la destra senza voltarsi)

Ada                          - (scuote la testa, poi sorride a Valerio) Ce l'avrà con me perché sono stata fuori tre giorni...

Valerio                     - (ha un lieve sorriso) Forse non se n'è nemmeno accorta.

Ada                          - (volendo scherzare, superando un intimo do­lore) Allora ce l'ha con te? (Valerio accenna con la testa di sì, due o tre volte. Ada continuando il giuoco) Che le hai fatto?

Valerio                     - (accettando il giuoco di Ada) Cara... Venticinque anni fa la sposai... e non me lo ha più perdonato. (Sorride ad Ada che gli contraccambia il sorriso trattenendo la sua commozione. Valerio non può più resistere, ha uno scoppio di pianto silenzioso).

Ada                          - (abbracciandolo) Oh, papà, papà, non fare così, io ti voglio tanto bene!

Valerio                     - (con voce di pianto) Me ne devi volere tanto, tanto... E' un bene che m'occorre... come l'aria... Se tu dovessi cessare di volermi bene... io morirei, per davvero!

Ada                          - Ma non dirle nemmeno per ischerzo, certe cose... (Pausa) Perché non vieni a pescare con me?

Valerio                     - (sorride, è di nuovo quasi allegro) Primo: perché dovrei avere vent'anni di meno... Secondo: perché spero che tu riesca a trovare una compagnia più interessante...

Ada                          - Oh, papà... I giovani d'oggi sono così di­speratamente stupidi...

Valerio                     - (affermativo) Mh... Lo diceva anche la mia bisnonna, questo...

Ada                          - Non fare l'ironico... e pensa a eseguire gli ordini: i soldi per la spesa a Bianca...

Valerio                     - Ah sì... (Apre un cassetto, prende del danaro).

Ada                          - E telefona all'autorimessa...

Valerio                     - (ha un lieve sussulto) Perché?

Ada                          - Perché diano la macchina a mamma...

Valerio                     - (ha una lieve alzata di spalle) Lascia che telefonino loro.

Ada                          - Perché?

Valerio                     - Non si sa mai... E' meglio non pren­derle certe iniziative! (Si muove, col danaro in mano, verso il fondo a sinistra).

FINE