L’aurora verde

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L’AURORA VERDE

Fantasia radiofonica

di HENRI MARIA LOVINFOSSE

                                   

PERSONAGGI

Lui

La Solitudine

Jaune, il cane

Il disperato

Un dottore

Una infermiera

Voci dei battellieri

Commedia formattata da

(Una vecchia, vecchissima pendola, suona le dieci con timbro malcerto. Rumore di una chiave che stride nella toppa, d'una porta che s'apre).

Lui                                   - (entra, richiude la porta scricchiolante dando qualche colpo secco di tosse) Che tempaccio... Brr. Qua dentro non fa caldo, vero Jaune? Beh, tu non ci badi neanche con quella lana spessa che hai addosso.,. Via... mio buon cane, stai calmo. Ma sì, sì, certo che ti ho portato qualcosa di buono: ecco qua il tuo osso. Su, su... piano però... (Si sente che si è seduto. Rumore della sedia smossa, poi un sospiro seguito da un nuovo attacco di tosse. Dopo che si è acquietato si ode una musica molto dolce, come un mormorio di violini che a poco a poco si intensifica. Lui ora parla rivolgendosi a se stesso) Eccoti nel tuo covo, vecchio solitario. Non è molto lussuoso pero-Sei stato felice qualche volta qua dentro? Mah... Vecchio mio, è meglio non rispondere... so già com'è questa storia... lo so meglio di te... E poi è necessario sloggiare... troppo caro per la tua borsa, mio caro. (Tossisce ancora) Purché mi permettano di tenere Jaune. Mah... si vedrà. (Durante questo soliloquio la musica è aumentata di tono, dando l'impressione che stia avvicinandosi) Ancora questo ronzio negli orecchi. Si direbbe ch'esse ascoltano quello che rac­conta il mio ventre. Lagnati, vecchio mio, lagnarsi consola... sembra persino che la fame... (la musica che finora era aumentata di tono, si interrompe bru­scamente. Si sente un lungo sospiro).

La Solitudine                   - (è stata lei a sospirare) Disturbo?

Lui                                   - Sei tu, vecchia amica? Accomodati, lì, vicino la stufa. Sì, sì, puoi appoggiarti sopra, tanto è spenta. Il freddo conserva molto bene i corpi e stimola lo spirito... almeno così si dice...

La Solitudine                   - Ho freddo. Una volta a casa tua si stava bene...

Lui                                   - Già, una volta... è vero. Ma ora il calore se n'è andato... come le illusioni.

La Solitudine                   - Ma tu ne hai avute delle illu­sioni? (Con ironia) Forse ne hai avute troppe: tutta la tua vita non è stato che un susseguirsi di illusioni, sicché non le notavi neppure più... (Pausa) Non ri­spondi?

Luì                                   - Cerco di ricordarmi questo motivo... (Can­ticchia) Dev'essere di Borodine... (Continua a can­ticchiare, poi rivolgendosi alla Solitudine) Te ne ricordi?

La Solitudine                   - (parla trasognata) ...immense pia­nure... un cielo perfettamente azzurro... ogni tanto un gruppo d'alberi nascondeva una isola... Laggiù alcuni frutti rossi che sporgevano oltre le spighe pe­santi del grano... Avevi ragione: è di Borodine, questa musica.

Lui                                   - Ho sempre l'impressione di soffocare qui. Non riesco a liberarmi dal desiderio di camminare, di partire; ma appena mi incammino ecco di nuovo il desiderio di ritornare, di rivedere ciò che sto per abbandonare. C'è da diventare matto... Cosa dici tu, Jaune? Certo che a te deve entusiasmare l'idea di andare a zonzo... Alle volte mi capita di invidiare il tuo spirito di cane. La tua vita di cane io la conosco bene perché è stata anche la mia... (Rivolgendosi alla Solitudine) Saresti disposta ad accompagnarmi? Mi hai sempre accompagnato nel mio vagabondare... Solo tu, cara amica, non mi hai abbandonato. Dove andiamo questa volta?

La Solitudine                   - Ti ricordi della Moldava?

Lui                                   - Della Moldava?

La Solitudine                   - Sì, la Moldava, ma non quella che descrive Smetana: la vera Moldava, quella che scorre lenta, sonnolente al fondo dei precipizi, fra scogliere a picco interrotte qua e là da frane sulle quali attecchiscono i larici neri e i rovi... Ah, la bel­la... la fortunata Moldava.

Lui                                   - Dio mio, che ricordi sollevi. Mi fai venire il desiderio di rivedere quell'acqua... di riascoltare il suono delle sue onde, di camminare nel vento...

La Solitudine                   - Vai, vai ove hai già deciso di andare. Vai, amico mio, vai, che io ti seguirò... (Torna a sentirsi « Sulle steppe dell'Asia Centrale » di Bo­rodine).

Lui                                   - Vieni, Jaune. Ecco qua il tuo collare... è molto meno pesante del mio... consolati. (La musica di Borodine in decrescendo cessa improvvisamente).

 (Da lontano giunge il richiamo di un rimorchiatore, poi nettamente lo sciacquio delle onde).

La Solitudine                   - Vedi i mille riflessi della luce nell'acqua nera? Non si direbbero pagliette scintil­lanti dell'abito da sera di... (Si riprende) No, no, è meglio non parlarne.

Lui                                   - Parlane pure, invece... tanto non ti ascol­terò... Scusami, ma sto pensando a tante persone, a tante cose ormai scomparse. Mi è difficile spiegarmi, ma in fondo ciò ha ben poca importanza. Siamo noi che ci intestiamo di dare importanza ad una infinità di persone e di cose che non ne hanno bisogno o che non ne sono degni.

La Solitudine                   - E io? Che importanza ho per te? Sii sincero e dimmi proprio quello che pensi.

Lui                                   - Sei sempre stata una compagna fedele, de­vota, ne convengo. In passato, soprattutto, mi ero affezionato alla tua presenza: mi assomigliavi così profondamente che io finivo per ritrovarmi in te uguale a quello che volevo essere. Fatuità forse? Può darsi, ma soprattutto desiderio d'ottenere un'ap­provazione... tacita, per continuare. Però oggi non ti nascondo che incomincio ad avere un po' paura di me stesso. Stai troppo vicina a me e siamo tutti e due troppo vicini al fiume: un passo falso... Lo so che sei gelosa, ma questa mia premura può anche apparire una prova d'amore, no?

La Solitudine                   - Può darsi, io non ne so niente... (In lontananza l'abbaiare di un cane) Richiama il tuo cane, sta venendo qualcuno che potrebbe spa­ventarsi.

Luì                                   - (gridando) Jaune. Jaune. Vieni qui. (Rivol­gendosi alla Solitudine) Sarà un battelliere, proba­bilmente... a meno che non sia un innamorato o un poeta... Stai a vedere che è un ubriaco, guarda come procede incerto!

La Solitudine                   - Conosco quell'uomo da un pezzo. S'è messo a bere dal giorno che la sua donna l'ha abbandonato. Per consolarsi viene sempre qui, perché è qui che la conobbe. Quel giorno c'erano le regate sul fiume... me ne ricordo così bene...

Lui                                   - S'è fermato. Forse ha paura di Jaune. (Gri­dando) Ehi, amico, vieni pure avanti, il mio cane non ha mai morso nessuno.

L'Uomo                           - Il tuo cane? Dov'è il tuo cane? (Si sen­tono i suoi passi sui sassi) Buona sera. Buona sera a tutti. (S'allontana canticchiando il motivo d'una canzone triste).

 

La Solitudine                   - E' più ubriaco del solito... (Pau­sa) Andiamo. Comincia a far freddo qui...

Lui                                   - Ma è imprudente lasciare quest'uomo solo sulle rive del fiume. Non c'è nessuno che possa tenerlo d'occhio, quel pazzo.

La Solitudine                   - Non è pazzo, è soltanto ubriaco. Anzi, si ubriaca proprio perché sa di non essere pazzo.

 (Rumore di un vento forte, sciacquio dell'onde, ri­chiami delle sirene dei battelli, poi improvvisamente, un grido angoscioso).

Lui                                   - Hai sentito? Quell'uomo è caduto nel fiume. L'avevo detto, io. Corriamo, bisogna tirarlo fuori. (Si mette a correre).

La Solitudine                   - Che mania di voler sempre soc­correre. E dire che si potrebbe anche credere che sia stato il tuo cane a spaventarlo e a farlo cadere nell'acqua.

Luì                                   - (gridando) Aiuto. Aiuto. (Nella notte alte grida di aiuto).

Le Voci                           - Chi chiama? Dove siete? Che è suc­cesso.

Lui                                   - Venite qui. Fate luce. Un uomo è caduto nel fiume. In fretta, aiutatemi. (Clamore di voci e calpestio di numerosi passi).

Prima Voce                      - Eccolo, eccolo là.

Seconda Voce                 - Gettategli una boa.

Terza Voce                      - Io vado a staccare la mia barca.

Lui                                   - Fate in fretta. Tenetemi bene che non cada. Eccolo là. Ti tiriamo su subito. Ehi, tenete la corda. Guardate che s'avvicina... Dammi la mano. Ecco. Attenti, aiutatemi a pesarlo sulla riva.

Prima Voce                      - Poveretto, è svenuto.

Seconda Voce                 - Ma non lasciamolo qui, è gelato.

Prima Voce                      - E' vero, portiamolo nel mio canotto che è qui a soli cento passi. Fate piano. Su, su, at­tenti che non prenda freddo.

Terza Voce                      - (gridando) Maddalena. Prepara dell'acqua calda e delle coperte.

Voce di donna                 - Dio mio. Cos'è successo? Passate di qui, attenzione che la passerella è stretta. (Il cla­more delle voci si attenua).

 (Tutti i rumori della strada: claxon e scampanellio di tram).

La Solitudine                   - Perché corri tanto? Che idea di mettere il tuo biglietto da visita nella tasca di quel poveretto. Dimmi un po': che farai domani?

Lui                                   - Jaune, vieni qui. (Alla Solitudine) Che farò domani? Mah... vedrò. La notte porta consiglio... Eccoci arrivati. (Rumore di chiavi, di una porta che viene aperta e rinchiusa. I rumori della strada ces­sano di colpo) Domani... Siamo già a domani e io muoio di sonno.

La Solitudine                   - Anch'io... persino il tuo cane si è già addormentato. Che graziosa conclusione di una serata... (Ad alta voce, con ironia) E' neces­sario servire lo sciampagna?

Luì                                   - E forse hai ragione.., infatti mi sento leg­gero come una bolla di sciampagna.

La Solitudine                   - Ma al risveglio ti sentirai ancora più... leggero.

Lui                                   - ' E che può importarmene? Domani ritornerà il sole, il chiarore, ed io penso alla gioia di quell'uomo che si risveglierà in un lettuccio ben caldo... Crederà di sognare, poveretto.

La Solitudine                   - Ah. E così domani riprenderà a soffrire e a bere per cercare di dimenticare. Natural­mente non ci riuscirà perché non è possibile di­menticare... a meno che si muoia... oppure essere come il tuo cane. (Si ode di nuovo la musica, fresca e serena: è «La primavera» di Grieg che andrà crescendo sino alla fine del quadro) Comunque non dimenticherà nulla, neppure le mani che si sono tese verso di lui nel momento in cui stava per dimen­ticare tutto. Non dimenticherà nulla, stai certo...

Lui                                   - (trasognato) Non dimenticherà. Non dimen­ticherà mai... Ma l'ultimo ricordo sarà più persi­stente degli altri... Tanto meglio, in fondo la vita può guarirlo, soprattutto adesso che ne conosce il valore. Via, mia cara amica, stai facendoti vecchia... farnetichi mentr'io mi sento tanto giovane. Come poteva sentirsi l'uomo nei primi giorni del mondo. Mi sento così giovane malgrado la vecchiezza del mondo. (Dissolvenza).

Voce del Dottore            - Riposo, solo riposo. Non ha bisogno di altro, signorina.

L’Infermiera                    - Va bene, dottore.

L’Uomo                           - Riposo... riposo... (Ride nervosamente) ... del riposo.

L’Infermiera                    - Zitto. Riposatevi, state tranquillo,

L’Uomo                           - Riposarmi? Ah, se fosse ancora possi­bile.

L’Infermiera                    - Ma certo che è possibile. Vedrete che domani tutto andrà meglio.

L’Uomo                           - Domani... com'è lontano...

L’Infermiera                    - Via, via. (Si ode il suo passo sul palchetto. Rumore di fiale smosse) S'è addormentato. Poveretto. Mi siederà vicino a lui... Casco dal sonno. (Pausa) Ah che vitaccia. (La si sente sbadigliare, poi riprende la musica da lontano. E' il «: Valzer triste » di Sibelius).

L'Uomo                           - (geme) Dio mio. Soffoco... Sento sul petto un peso che mi schiaccia. (Geme nuovamente) Dio mio. Vedo tutto girare... aiutatemi, aiutatemi per favore... (La musica in crescendo copre i gemiti dell'uomo. Pausa. La musica sembra dissolversi e si ode parlare).

La Solitudine                   - Tu soffri? Posso aiutarti, se vuoi...

L’Uomo                           - Chi sei tu? Non ti ho mai vista, ma tuttavia mi sembra di conoscerti.

La Solitudine                   - Sto con te dopo l'incidente... ma ti conoscevo bene molto tempo prima.

L’Uomo                           - Vuoi alzarmi un po' il cuscino"?. Sof­foco. (Geme).

La Solitudine                   - Ecco fatto, ma sarà solo un mi­glioramento passeggero, il male non è lì...

L’Uomo                           - E' vero, è il cuore che soffre. Lo sento battere come un tamburo...

La Solitudine                   - Calmati, calmati e anche lui si calmerà... lo so, io.

L’Uomo                           - Tu sei buona... la tua voce è dolce... Quando parli si direbbe che io senta una ninna nanna, una vecchissima ninna nanna del tempo passato.

La Solitudine                   - Ne ho cullati tanti uomini come te... uomini che non credevano più in nulla e in nes­suno. Adesso tocca a te.

L’Uomo                           - Perché non mi hai lasciato andare dove avevo deciso"?

La Solitudine                   - Non c'entro per niente io. Sono quelli che ci circondano che pretendono dirigere i nostri atti, vedere i nostri pensieri...

L’Uomo                           - E tu cosa ne pensi di questa presun­zione?

La Solitudine                   - Io ascolto pensare e penso ciò che pensi tu, profondamente...

L’Uomo                           - Come hai fatto a sapere che mi tro­vavo qui? Perché sei venuta"?

La Solitudine                   - Sono venuta perché eri solo, solo con te stesso... e anche perché voglio fare un bel viaggio con te...

L'Uomo                           - (rapito) Vuoi portarmi fuori di qui"? Ah, bene... bene... ma fai in fretta.

La Solitudine                   - Vieni, alzati. Ti condurrò dove vuoi.

L’Uomo                           - Ne avrò la forza"? Potrò ancora cam­minare"?

La Solitudine                   - Se desideri partire, desideralo intensamente. Pai questo sforzo, è l'unico che pre­tendo... del resto mi occuperò io... (Ritorna la musica dì prima, che lentamente andrà a raggiungere un «fortissimo» alla fine del quadro).

L’Uomo                           - Voglio partire. Voglio camminare a lun­go, andarmene lontano per dimenticare tutto... per dimenticare persino che sono... Mi comprendi"?

La Solitudine                   - Ti comprendo benissimo. Vieni, vieni, la porta è già socchiusa e fuori c'è una brezza tiepida che soffia... sentì il suo respiro"?

L’Uomo                           - Sì, sì, ha il profumo dei fiori. Un po' in­sipida, un po' dolce... Mi sento molto meglio... E poi c'è la luna piena...

La Solitudine                   - Sì e quando ti sentirai affaticato, non temere, ci sarò io vicino a te, per aiutarti... Mi seguii5

L'Uomo                           - Oh, sii Mi sembra d'essere così leg­gero. Mi pare di rinascere... di essere un altro...

La Solitudine                   - Tu rinasci, infatti. E' vero, e tutta la vita è davanti a te.

 (Nel silenzio s'ode il tic-tac di un orologio e poi un lungo sospiro).

Lui                                   - Già le sei. Dio, quanto ho dormito. Ehi, Jaune, non ti sei ancora mosso"? Poltrone come il tuo padrone, eh"? (Rumore di una sedia smossa) Che bella giornata. Com'è bello vivere. Naturalmente adesso usciamo, vero Jaune"? Uscire ci farà cambiare un po' le idee. Andremo, a prendere notizie di quel pove­retto dell'ospedale. Su, andiamo.

La Solitudine                   - Non preoccuparti di lui. E' par­tito.

Lui                                   - Partito"? (Stupito) L'hanno lasciato andare"?

La Solitudine                   - L'ho lasciato andare e parto anch'io adesso. Mi attende laggiù. Sono venuta per dirti addio.

Lui                                   - Tu dirmi addio"? Infedele. Vuoi proprio ab­bandonarmi"?

La Solitudine                   - Tu sei ancora troppo legato al mondo e il mondo penetra troppo in te. Io non po­trei servirti a niente. Vivi la tua vita e sii felice. Un giorno ho creduto che ti sarei bastata, ma mi sono sbagliata. Addio. Del resto c'è un altro che mi "at­tende e che debbo guidare a lungo, portandolo molto lontano...

Lui                                   - (emozionato) Allora... addio, amica dei cat­tivi giorni. Conservo di te, malgrado tutto, un bel ricordo. Ma hai ragione: debbo vivere la mia vita e - scusami sai - con te questo non è possibile.

 La Solitudine                  - Lo sapevo... Sii felice, ama... sii tanto felice... (Si ode un pianto, un singhiozzo soffocato da una musica fresca che invade l'atmosfera e che durerà sino alla fine del quadro).

Lui                                   - Eccomi finalmente libero. Siamo liberi, Jaune. Liberi come l'aria e il vento. Liberi, liberi. Senza un soldo in tasca, ma con tante idee in testa; senza un progetto sicuro, ma con un fardello di ricordi. Liberi d'andare dove vogliamo, dì fermarci quando vogliamo, di offrire un sorriso al primo che passa, di ricevere il sorriso d'una giovinetta. Liberi d'andare e ritornare. Liberi, liberi, mio caro cane. Finalmente. (Colpo di gong).

FINE