Le cicogne

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LE CICOGNE

Commedia in un atto

Di ENZO GARIFFO

PERSONAGGI

DON COSIMO

PALMAROSA, sua moglie

LE LORO TRE FIGLIE

CARMELO

IL CONTADINO

POPOLANI

Commedia formattata da

Queste CICOGNE sono un'ope­ra d'arte: arte rude, sobria, vi­gorosa, che ben rammenta la terra dalla quale l'autore proviene, la Sicilia che sembra aver preso un monopolio in Italia nella produzione del teatro drammatico. ALESSANDRO DE STEFANI.

Una grande sala in un antico palazzo di un paese della Sicilia. Nella parete di fondo: a si­nistra, la comune; a destra, una arcata che im­mette su una scala interna. Contro la parete di sinistra, l'uria di fronte all'altra, sono due pol­trone; in mezzo, una finestra che dà in un giar­dino. Fra le due poltrone è una piccola tavola con sopra qualche bottiglia di liquore, bicchieri e un boccale d'acqua. Fra la parete di fondo e quella di sinistra, ad angolo, è posta una grande tavola. Dietro a questa, è un seggiolone; davan­ti, una sedia. Alla parete di destra, che corre dall'arcata alla ribalta, sono appesi alcuni strumenti musicali. Su tutte le pareti, sono attaccati vecchi quadri di famiglia.

All'inizio dell'atto sono in scena Don Cosimo e il Contadino, presso la tavola.

Il Contadino                 - (piegando e intascando una rice­vuta) Grazie, Eccellenza... Certo, se la terra non ha reso quando c'era lei proprietario... non renderà di più adesso che ci siamo noi, povera «ente... Ma spero in Dio, Eccellenza! Certo, se non fosse stato per mio figlio Beppe...

Don Cosimo                  - (lo guarda interrogativo).

Il Contadino                 - (volendo cambiare discorso) Uno scavezzacollo Beppe, Eccellenza...

Don Cosimo                  - (e. s.) Ma se non fosse stato per lui?...

 Il Contadino                - (sforzandosi, deciso) Ah, non l'avrei comperata....(Subito mellifluo) Ma voglion la dote i parenti della sua fidanzata... e ili partito, a dire la verità, non mi dispiace. Denaro ne hanno... (Falsamente imprecatore) Fu nel tempo in cui Beppe era soldato!... Invece di ser­vire il Governo, conciava me per le feste, com­binandomi quel po' po' di pasticcio con la figlia di un...

Don Cosimo                  - (pronto) Usuraio...

Il Contadino                 - (risentito) Oh, ma di quello fino, Eccellenza!... Di quello fino: al cento peri cento... Mica succhia il sangue alla povera! gente...

Don Cosimo                  - (impassibile) Ah ,no?

Il Contadino                 - Che dice, Eccellenza... Imi presta il danaro a chi ne ha; e allora fa i suoi! affari...

Don Cosimo                  - (c. s.) Come te, insomma...

Il Contadino                 - (sorpreso) Io sono usuraio?!

Don Cosimo                  - ('malizioso) No; ma sai farei anche tu i tuoi affari...

Il Contadino                 - Con la terra, dice? Ma se è tutta polvere...

Don Cosimo                  - Colpa tua...

Il Contadino                 - Cerne, colpa mia?

Don Cosimo                  - Potevi lavorarla... (Insinuan­te) Non era un tuo sogno possederla, un giorno?...

Il Contadino                 - (con astuzia) Sì, ma un sogno che venne molto tardi... E, per lavorarla, intanto, occorrevano uomini che bisognava pagare, e spese su spese che la signora contessa rimandava sempre all'imminente ritorno di vostra Eccellen­za; imminente ritorno che, se mi permette, é tardato dieci anni...

Don Cosimo                  - (lo guarda come per dire: « la sai lunga! ». Poi) Già, già.. Però non hai sapu­to; far bene del tutto i tuoi conti... (con acre amarezza) dato che ti eri persuaso che i Conti d'Altavilla non stavano troppo bene...

Il Contadino                 - Ma io non ho mai pensato  aquesto...

Don Cosimo                  - E hai fatto male!... Dovevi pensarci... E dovevi anche pensare che, al mio! ritorno, ricco o non ricco, avrei lo stesso ceduto! la terra che tu hai comperato: anche perché di] laggiù, delle Indie, il mio ricordo è l'oro, i diamanti, e non avrei più saputo, adattarmi al conteggio dei vostri limoni e dei vostri fichi secchi. (Ride).

Il Contadino                 - Sì, capisco... Ma gli è che certe cose bisognava indovinarle.

Don Cosimo                  - (urtato dall'indolenza del contadino) Come sarebbe a dire: indovinarle?... C'era poco da indovinare. Se ero partito, ero partito ben per qualche cosa... Non si va così alla cieca... E come te che, standotene qui, cercavi; trarre fortuna dalle cose che avevi sotto mano anch'io certo non stavo in India per contemplare il paesaggio...

( Una pausa durante la quale il contadino guarda don Cosimo come chi crede di capire e non sa rendersene ancora conto).

Don Cosimo                  - (con intenzione) E' presto spie­gata la cosa... Si parte per raggiungere uno sco­po; e gli uomini come me non ritornano mai vinti... non si lasciano soverchiare mai dalle dif­ficoltà... Tu, e con te tutto il paese, vi eravate fitto in testa che sarei tornato pezzente; e intan­to tu finivi di dare il colpo di grazia a quanto ti era stato affidato... sì, sì, è così... per mettere poi l'aut aut: o vendere la terra per un pezzo di pane, o prenderla lo stesso una volta ch'io fossi crepato di fame...

Il Contadino                 - (che ha protestato col gesto, inorridito dalla verità) Ma Eccellenza...

Don Cosimo                  - Che Eccellenza ed Eccellenza! Don Cosimo mi chiamo! Finiscila ora con l’Eccellenza... Eccellenza, finche non mi avresti mes­so sotto i piedi prendendomi per ,la fame... Ma questi (apre un tiretto e ne trae manate di gio­ielli che mette sotto il naso del contadino) che cosa fono?... E questi altri (ripete il gesto, tra­endo gioielli da. un altro tiretto) che cosa sono? E che cosa vuoi che ne faccia ora dei tuoi Eccellenza?... (Stranamente) Prendili, beati, sop­pesali, e dillo a tutti che hai fatto ora un grande sogno-, e che da questo t'è venuta in dono la ter­ra ch'era mia e che io ti cedo per un pezzo di pane... solo perché mai potrà moltiplicarmi questa lucentezza che ti abbaglia e ti intontisce... Il Contadino (si difende, intontito dalla vio­lenza dei gesti di don Cosimo che gli mette sotto il naso i gioielli perché meglio li senta e se ne ricordi. Balbetta, indietreggiando, come se stesse per essere assalito) Ma Eccellenza... Eccel­lenza... io... io...

Don Cosimo                  - (improvvisamente calmo e con strana amarezza) Hai visto, ora?... (Siede, e rimette i gioielli nei cassetti) Ti sei persuado a che cosa serve girare il mondo? O credi ch'io sia tornato perché qui ani chiamate Eccellenza, men­tre altrove mi trattavano a calci?... (Alzandosi e andandogli vicino, lo guarda un attimo; poi lo accarezza col pollice e l'indice sul mento, ironi­camente) Sempre contadino sei...

Il Contadino                 - (felice che la tempesta sia pas­sata, trascura l'amarezza che gli producono le parole di don Cosimo, e dice di sì col capo a ogni sua sferzata).

Don Cosimo                  - (c. s.) Sempre nemico sei dei veri signori... e già domani tuo figlio si vergo­gnerà di te che gli ricordi un passato di schiavitù e magari ricco della tua ricchezza ti riceverà in cucina parche altri non ti veda...

II Contadino                 - (per un attimo è feroce nell'e­spressione contro il tragico quadro dell'avvenire. Si ricompone e sorride, purché riesca a salvarsi da quel supplizio) Ha ragione, Eccellenza... In­grati sono i figli... (Sta per continuare, ma pre­ferisce troncare ogni discussione).

 Don Cosimo                 - (cambiando di umore) E tu ridi anche di questo... Su, non aver paura...

Il Contadino                 - (sempre più intontito, guarda Don Cosimo) Io? (Fa una smorfia con le lab­bra) Paura? ... E di che cosa? ...

Don Cosimo                  - (scoppia in una risata) Ah, ah, ah!...

Il Contadino                 - (lo guarda meravigliato).

Don Cosimo                  - (calmissimo) Be', semi... (Guarda l'orologio da tasca) Dio, se è tardi...

Il Contadino                 - (pronto, e come se gli dispia­cesse di essere stato involontariamente causa del ritardo) Vostra Eccellenza doveva uscire?...

Don Cosimo                  - Io no; dico per te...

Il Contadino                 - Per me fa niente...(Com­portandosi come dimentico della scena avvenuta) Il denaro è qui sotto al tagliacarte; (prende e rimette il tagliacarte  sul danaro) la ricevuta ce l'ho in tasca (si tocca nelle tasche), in quanto al rimanente, restiamo così: alla fine del mese prossimo... E non dimenticartene... (con risentimento) Eccellenza...

Don Cosimo                  - (congedandolo) Allora, tanti auguri ai futuri sposi (ride) e... alla tua ricchez­za... (Ride).

Il Contadino                 - (fa un gesto come per dire: « ci vuol altro per essere ricchi! »).

Don Cosimo                  - Io, intanto... (Abbassa il capo per far vedere i capelli che son radi e. grigi) Guarda: son quasi vecchio come te... Ormai, il nostro dovere sono i figli, hai ragione; e anch'io penso di preparare un avvenire alle mie crea­ture... e meraviglioso...

Il Contadino                 - (istintivamente, alludendo ai gioielli che sono nei tiretti) Oh, adesso sì!...

Don Cosimo                  - Cerne, adesso?... (Ride pel nuovo turbamento del contadino).

Il Contadino                 - (volendosi correggere) Sì, di­co così, per dire... Quando voleva pensarci, stan­dosene in India?...

Don Cosimo                  - Hai ragione... (Aggrottando le sopracciglia) Ma la pace,, prima di tutto, in casa mia... (Rimane un attimo come fisso sul si­gnificato delle parole che ha detto, poi insiste, come parlando con se stesso) La pace! (Fa un gesto come per scacciare un pensiero. Dice, sorri­dendo e accompagnando il contadino verso la porta d'uscita) E poi il resto verrà da sé; oh sì, verrà da sé!... (Dà la mano al contadino, che gliela stringe sinceramente lusingato) Dunque, addio; e tante cose buone...

Il Contadino                 - Eccellenza, le bacio le mani... (Esce).

Don Cosimo                  - E con questa gente la intendo finita! Adesso un pò d'aria buona... (Esce dalla comune, lasciando la porta aperta, e rientra con una scala a pioli. La colloca contro la parete di fondo. Chiude la porta. Sale sulla scala che ha posto sotto a un quadro. Mentre comincia a stac­carlo) Caro il mio antenato, qui non c'è più po­sto per te... (Fa sforzi per staccare la cordicella dalla ruggine del chiodo) Capperi, ci avevi mes­so le radici! Proprie vero che l'erba peggiore è quella che si abbarbica di più... Dopo qualche secolo non sei neppure riuscito a meritarti un posto presso qualche antiquario... E' così che pensi ai tuoi discendenti?... Ma poiché non ti vuole nessuno, va' pure a finire con i topi in can­tina...

(Durante questa scena, sono entrate silenziosa­mente la moglie, e poi, a una a una, le tre figlie. Sono tre creature pallide, clorotiche, leggermen­te tristi. Dal loro aspetto è palese la rassegnazione ubbidiente cui da tempo sono abituate).

Le tre figlie                   - (rimangono attente all'opera del padre, mentre Palmarosa sembra cerchi qualcosa con "lo sguardo).

Palmarosa                      - (quasi timida, al marito) Co­simo. ..

Don Cosimo                  - (.si volta interrogativo verso la moglie).

Palmarosa                      - E' proprio vero?... L'hai ven­duta?...

Don Cosimo                  - Che cosa?...

Palmarosa                      - La terra...

Don Cosimo                  - Ma quale terra?...

Palmarosa                      - Ma come! O io sono pazza, o quel che ho udito con questi orecchi è la verità sacre santa...

Don Cosimo                  - Se hai udito, allora...

Palmarosa                      - Dio mio! Mi parlava il cuore... Sono arrivata in ultimo, 'perché attratta dalle vostre voci... Cosimo! Dimmi che ho capito male.

Don Cosimo                  - Infatti, hai carpito male.

Palmarosa                      - Dunque, non è vero?... (Avvi­cinandosi alla tavola, e indicando il danaro) E questo danaro?...

Don Cosimo                  - Per la polvere..,

Palmarosa                      - Che polvere?...

Don Cosimo                  - Ma se dici d'avere udito, perché vuoi farmi ripetere le stesse cose?  Non vedi che sono occupato?... Che studio il modo di ravvivare queste pareti?...

Palmarosa                      - Macché ravvivare!... (Più pa­drona di se) Qui comincia lo sfacelo! E' la fine... la fine!...

Don Cosimo                  - (si volta e guarda la moglie che s'è rifugiata fra le braccia delle figlie).

Palmarosa                      - (accarezzando le figlie) Non vi rimane più nulla... Non vi rimane pili nulla, povere creature!...

Don Cosimo                  - (scende e si avvicina alla moglie) Palma, queste scenate, ti prego! falle fuori della mia presenza...    - (Alle figlie) E voi rassicu­ratevi!... Vi rimane la giovinezza, figlie mie!... e il mio, grande affetto... (Le bacia in fronte e le accompagna verso la comune. Don Cosimo le guarda allontanarsi tutte beate di quel bacio, e rimane un attimo a considerare il loro aspetti desolato. E' triste. Passa sugli occhi il dorsi della mano).

Palmarosa                      - (voltandosi, si accorge del gesti del marito. Un po' turbata) Cosimo….  Ma allora?...

Don Cosimo                  - Che cosa: « allora? ».

Palmarosa                      - T'avvedi, dunque, d'aver fatto una pazzia, e che io avevo ragione...

Don Cosimo                  - (un attimo perplesso e come in cerca delle parole che deve dire) Senti, Palma... Tu faresti perdere la pazienza perfino un santo... Da venti giorni, e cioè da  quando; san tornato, il tema delle nostre discussioni è sempre il medesimo. Ad onta della mia buona! volontà, non siamo riusciti ,a comprenderci.,. Bisogna che fra noi avvenga una chiarificazione; o tu mi consideri come un pazzo che abusa della) sua qualità di capo di famiglia, e allora ho il tuo disprezzo: e non parliamone più; o viceversa mi consideri come un uomo di coscienza e allora devi rispettarmi. In tutt'e due i casi, ti nego il diritto di espormi a disgustose scenate in presenza delle nostre figlie, non solo perché non intendo rinunciare alla mia dignità e al mio prestigio, ma anche perché , da qualche parola; inconsiderata, esse potrebbero' capire... più di) quanto non debbono capire... E ora, se hai da dire qualcosa, parla pure: ma piano, e senza disperarti...

Palmarosa                      - Che cosa vuoi che ti dica?... Mi chiudi la bocca...

Don Cosimo                  - Perché c'è bisogno di gridare: e di disperarci per dire le proprie ragioni?

Palmarosa                      - Io non avevo che una sola ragione, e te l'ho detta: l'avvenire delle mie creature!

Don Cosimo                  - Benissimo! E come ti adope­ravi per il loro avvenire?

Palmarosa                      - Rinunciando a tutto, meno che alla terra: era la loro dote...

Don Cosimo                  - Questo me l'hai detto centinaia di volte; e io che cosa ti ho risposto?... Su, dillo; che cosa ti ho risposto?...

Palmarosa                      - (tace).

Don Cosimo                  - (riprendendo) Non ti ho forse! sempre detto che, per conservare la terra, bisognava aver denaro per farla curare?... Non ti ho sempre detto e spiegato questo, forse?... Non gli ho anche detto che la terra era il termometro della nostra situazione, e che bisognava venderla per due motivi: prima, per non riconferma agli altri le nostre ristrettezze, anche dopo il mio ritorno; secondo, per ricavare un vero utile da quel deserto polveroso?...

Palmarosa                      - (aggressiva) E, vendendola, non hai fatto capire lo stesso che abbiamo bisogna di danaro?

Don Cosimo                  - Niente affatto!... Se io, dopo dieci anni di assenza, ritorno con altre risorse e con altre idee, non debbo renderne conto alla gente del paese... L'importante è ch'io, non con­tinui a essere controllato sulle mie possibilità finanziarie e, tanto meno, sulle mie intenzioni... (Passeggia. Si ferma di scatto, e dice) Insomma, con tutta questa storia è ora di finirla! Contro l'irrisione alla mia povertà, io, getto un pugno di pietre false, e mi rallegro della credulità al­trui... Del resto, sono in casa mia e non debbo niente a nessuno. Da vivere, sia pure modesta­mente, ce n'è. E' meglio, dunque, che siano gli altri a correre dietro alla mia ricchezza imma­ginaria, e non io a zoppicare ostinato sotto il peso d'una ricchezza inutile. Sono stanco e av­vilito del dileggio altrui... (Si avvicina alla mo­glie, e fissandola) E già troppo mi pesa sul cuore questo senso di gelo di cui hai fatte, circondare la nostra casa...

Palmarosa                      - Io?...

Don Cosimo                  - Sissignora, proprio tu! se lo vuoi sapere... E coloro che ne hanno subito le conseguenze, soffrendone veramente, sono state proprie loro: le nostre figlie! Capisci, ora?

Palmarosa                      - Non capisco niente...

Don Cosimo                  - (stringendole un braccio) Ah, non capisci niente? Quando una cosa non ti garba, allora non capisci niente... Però, parli di dette... E la dote, se non mi sbaglio, serve bene a qualche cosa...

Palmarosa                      - Certamente!

Don Cosimo                  - E a che cosa, con precisione?

Palmarosa                      - A creare uno stato... una sicu­rezza...

Don Cosimo                  - E a favorire l'avvento d'un marito, no?...

Palmarosa                      - Anche!...

Don Cosimo                  - Dunque, ci pensavi?... (Pas­seggia. Si ferma). E che cosa hai fatto per rea­lizzare qualche incontro?... Aprivi la tua casa a qualcuno? Le facevi corteggiare?

Palmarosa                      - Sei pazzo?...

Don Cosimo                  - E allora, su che cosa fidavi per realizzare un possibile 'matrimonio? Sulla fama di quella dote polverosa che diceva a tutti la tua miseria e la tua prosopopea?... Perché non le hai messe a contatto col mondo, quelle povere creature, invece di farle intisichire in casa? Perché non hai lasciato, a loro il compito di sce­gliersi un marito, invece di costringerle alla so­litudine e alla rassegnazione?... Non avevano diritto alla vita?...

Palmarosa                      - E chi ti dice che, per vivere, avessero bisogno di maritarsi?... Non vivono be­nissimo così?

Don Cosimo                  - (con amara ironia) Infatti, si vede!... Il loro aspetto è florido abbastanza, per giudicare del contrario...

Palmarosa                      - Ma, dico: cominci a sragionare?

Don Cosimo                  - Credi che sragioni?

Palmarosa                      - Eh, mi pare!,..

Don Cosimo                  - Può darsi... Ma la gente del paese, sai che cosa diceva? 

Palmarosa                      - Non m'importa!

Don Cosimo                  - E a me sì, invece! Diceva... (tornandole vicino).

Palmarosa                      - Non voglio ascoltare...

Don Cosimo                  - (continuando, e stringendole il polso) ... che era inumano continuare a pre­ferire l'irrisione del ricco alla sincerità di qual­che onesto galantuomo... Diceva, e aveva ra­gione...

Palmarosa                      - (cercando di svincolarsi dalla stretta del marito) Lasciami in pace, ti dico...

Don Cosimo                  - (c. s.) ... che a quella terra, soltanto un onesto lavoratore avrebbe potuto darsi con lena, se fosse stato certo di buona ac­coglienza in questa casa... Invece poi, col pas­sare degli anni, anche di queste intenzioni si pentì, e disse che agli uomini... spettano donne, e non...

Palmarosa                      - E non....

Don Cosimo                  - Cicogne! (Si ode picchiare alla comune. Volto alla comune) Avanti!

La Figlia                        - (entrando, annunzia) Papà, c'è don Carmelo!

Palmarosa                      - (alla figlia) E le altre dove sono?

La Figlia                        - (alla madre) Di là, con don Car­melo. ..

Don Cosimo                  - (alla figlia) Trattenetelo e te­netegli compagnia...

Palmarosa                      - (pronta, verso il marito) Eh? Sole, con un uomo?...

La Figlia                        - (rivolta al padre, interrogativa) Che c'è di male?...

Don Cosimo                  - (trattenendo la moglie, dice alla figlia) Va' pure!

La Figlia                        - (ubbidisce).

Don Cosimo                  - (indicando verso la comune, e trattenendo sempre la moglie che è come sulle spine) Hai udito? Quante volte avrebbero detto: « Che c'è di male? », se tu non le avessi private perfino della luce del sole? Tu le,hai costrette in un'attesa vana e solitaria, e, in quella pena lenta, hai consumato la loro giovi­nezza...       - (Coprendosi il viso con le mani) Cico­gne!... Così, me le son sentite chiamare dopo un'assenza tormentosa di dieci anni! Ed ero par­tito per loro... Perché non potessero rimprove­rarmi mai alcun indugio!... (Alla moglie) E tu vorresti ch'io fossi un padre disgraziato? ... Ch'io continuassi a sapere che nessuno le desi­dera, mentre esse desiderano? Ma io spalanco le porte di casa mia, e voglio vedere se tra le mura di don Cosimo d'Altavilla ci sono donne o cicogne. Io m'infischio dei tuoi pregiudizi, e mi'è più caro morire piuttosto di ammettere che le rane creature manchino di quelle attrattive ne­cessarie per piacere a un uomo. Non si farà avanti il signor Tal dei Tali perché siamo ca­duti in bassa fortuna? Ben venga uno qualsiasi: anche un bifolco, anche un mozzo di stalla: non importa; purché ci sia un amore nella loro vita. (Palmarosa, che ha ascoltato con orrore, sob­balza sempre più) Io ho dato a loro sangue vivo, e ora è come se mi rimproverassero di averle fatto nascere... (Passeggia, nervosissimo).

Palmarosa                      - (stonata, s'è nascosto il viso nelle mani).

Don Cosimo                  - (fermandosi davanti alla moglie che torna a guardarlo trasecolata) E tu che dici d'avere origliato... Sì, sì!... Il cuore mi do­leva davanti all'impudenza di quel contadino furbo che mi portava ancora in casa l'eco deri­soria di tutto il paese... Era ormai in tutti la certezza che in casa mia  non vi fossero se non miseria e... cicogne!... Ci avevano come seppel­liti... Ma le mie creature, a se stesse hanno ru­bato la vita; meravigliate forse dell'ardore della loro carne. (Fissa nervosamente la moglie, che si ostina a coprirsi gli orecchi per non udire. Dice, visibilmente esaltato) Della loro carne!... Ecco di che cosa avrei voluto che ti fossi accor­ta... Ma non sentivi che anche l'aria era piena di questa angoscia ossessionante, e che ciascuna di quelle creature si consumava dietro a un idolo senza nome?... (Perduto nella visione di ciò che dice) Mi hanno guardato, quel giorno del mio ritorno!... (si copre gli occhi, avvilito) come chi teme la pietà nell'impressione altrui; e io, in­vece, ho voluto sorridere... ho potuto sorride­re... ho sorriso: perché con me era tornato il padre: perché io sono il padre! e non hanno più nulla da temere! (Come rivolto verso per­sonaggi immaginari) Che passano, che passino ora accanto alle mie figlie gli uomini che si cre­devano corazzati d'indifferenza; che ribolla nelle vene di quelle creature il sangue del loro padre: di don Cosimo! e poi vorrò vedere... Debbono piangere e implorare per un loro sor­riso!... (Si risolleva da queste parole, col pro­posito di nascondere l'emozione. Ad onta della smorfia fatta, gli occhi gli si inumidiscono di la­crime. Ripete il gesto abituale, passando sugli occhi il dorso della mano. Durante il suo dire infervorato, Palmarosa ha fatto gesti desolati).

Palmarosa                      - (per non più ascoltare, silenziosa­mente esce).

Don Cosimo                  - (quando, dopo il gesto abituale, si volta, rimane un attimo perplesso non ve­dendo più la moglie. Rimasto solo, tenta di ri­mettersi al lavoro; ma è distratto, assente. Pas­seggia. Gesticola. Macchinalmente trascina da­vanti alla ribalta la sedia che era davanti al ta­volo. Vi si abbatte, a cavalcioni, con la persona rivolta al pubblico).

(Lentamente si apre la porta di fondo, ed en­tra Carmelo).

Carmelo                        - (giovane sui venticinque anni, vestito decentemente alla moda paesana. Il suo in­gresso è discreto e insieme furbo, come chi sa di fare dispetto a qualche persona di casa. Dice, strisciando sulla voce) Permesso?... (Pausa). Buona sera, don Cosimo!... (Come don Cosimo non si volta, né gli risponde, riprende in tono più basso e più strisciante) Buona sera!... (An­che questa volta, rimane senza risposta. Si guarda intorno) Vedo novità... (Avvicinandosi a un quadro che è appoggiato contro la parete di destra) Il nonno o il bisnonno, questo?... (Poi­ché non riceve risposta, continua a commentare da sé) La figura c'era... Specie il naso... Questi uomini d'altri tempi avevano un aspetto, come; dire? più autorevole... Anche mio nonno... an­che lui, il naso... (Avvicinandosi a don Cosimo,: che l'ha sogguardato come chiuso in un suo pen­siero) Perché l'avete tolto? Che cosa volete far­ne? Volete venderlo?

Don Cosimo                  - (duro) E perché dovrei venderlo?

Carmelo                        - Così... Una domanda come un'altra... Poiché so che c'è gente che ama l'antico...

Don Cosimo                  - Non vendo niente!

Carmelo                        - (alza le spalle e fa un gesto come per dire. « non ne parliamo più! ». Torna a girare per la stanza; poi dice) Siete contrariato,» stasera?

Don Cosimo                  - (che s'è alzato e s'è rimesso svogliatamente al lavoro, non risponde).

Carmelo                        - (prende posto in una poltrona, e ac­cende una sigaretta. Dopo quattro o cinque boc­cate di fumo, dice) Don Cosimo!... Penso di andarmene da questo paese...

Don Cosimo                  - (come non interessandosi a quan­to dice il giovane) Ah, sì?... E dove vuoi an­dare? ...

Carmelo                        - Mah! non so...

Don Cosimo                  - Ah, un bel paese: non so!....

Carmelo                        - Che cosa debbo dirvi? Non so! Ma sento che andrò via...

Don Cosimo                  - (non risponde).

Carmelo                        - (eccitandosi) Questo infame paese! Dovrei rimaner qui, per tutta la vita?

Don Cosimo                  - E altrove, che cosa faresti?

Carmelo                        - Mah! non so... (S'accorge che don Cosimo s'indispone, e, tanto per dire qualcosa) Mi sposerei...

Don Cosimo                  - Oh, che trovata!...

Carmelo                        - Dico così, per dire... Mi farei un'amante... Qualche cosa, insomma... Troverei una donna...

Don Cosimo                  - (con riposta intenzione) E qui non ce n'è, donne?

Carmelo                        - (scandalizzato) Qui?

Don Cosimo                  - E dove, in America?...

Carmelo                        - In America, sì, ce n'è donne... Ma quelle che son qui: donne le chiamate voi?

Don Cosimo                  - (impassibile) E che cosa sono, scope?

Carmelo                        - Peggio che scope; almeno quelle si vendono e si usano... (Infervorato, si alza) Qui, caro don Cosimo, le donne non si vedono neppure col cannocchiale rovesciato...

Don Cosimo                  - Molto lontano, vuoi dire...

Carmelo                        - Altro che lontano!...

Don Cosimo                  - Ma va', esagerato!... Gli è che le donne dei nostri paesi non sanno cosa farne di uomini come voi... Vi conoscono fin troppo bene; e la donna, si sa, non ama l'imbecille che trema davanti a lei, ma ama l'intraprendente... 1’uomo, insomma!...

Carmelo                        - Ma che intraprendente, fatemi il piacere... Qui, se uno azzarda di fare l'intra­prendente, finisce con una fucilata nello sto­maco ...

Don Cosimo                  - Ma ecco come tu, per paura di prenderla, quella fucilata, vorresti la pappa in bocca; quasi come se la donna dovesse venire a bussare alla tua porta e dirti: « Mi piaci, ti voglio, prendimi!... ». Ma dove s'è mai vista una donna simile?...

Carmelo                        - Scusatemi, don Cosimo, non v'ir­ritate... Io non ho mai preteso d'incontrare una donna simile... Per conto mio so bene di non essere Apollo redivivo...

Don Cosimo                  - E dunque?

Carmelo                        - E dunque, questo: che, anche volendo... qui non c'è da far niente...

(Pausa, durante la quale il giovinotto passeg­gia contrariato. Don Cosimo, che ha preparato una bottiglia di liquore con due bicchierini sul tavolinetto posto davanti alla finestra, si spro­fonda nella poltrona di sinistra).

Don Cosimo                  - (dopo aver versato il liquore nei bicchierini) Vieni a bere un sorso; ti passerà la collera...

Carmelo                        - (un po' arrendevole, sebbene cruc­ciato come un bimbo) Voi, don Cosimo, mi contrariate sempre... Io non vi capisco!... Iersera mi parlavate in un modo; stasera, in un altro... (Siede nella poltrona di destra, e allunga una mano per prendere il suo bicchierino. Dopo un momento, beve d'un fiato. Tossisce forte).

Don Cosimo                  - Vedi come sei?... Anche quando bevi... Prendi questo tovagliolo.         (Glielo porge).

Carmelo                        - (Soffoca la tosse nel tovagliolo).

Don Cosimo                  - (.si alza e gli riempie un bicchiere d'acqua. Il giovane beve, e la tosse si calma. Don Cosimo dice) E' passato tutto?... (Gli riempie nuovamente il bicchierino) Questa volta, bevi con prudenza...

Carmelo                        - (alzando le spalle) Meglio mo­rire!

Don Cosimo                  - (celiando) Per un po' di tosse? (Il giovane non risponde). Tu dici di non capir me, invece sono io che non ti capisco... Ma ti par logico il tuo ragionamento?...

Carmelo                        - Caro don Cosimo, voi non mi po­tete più capire... Iersera vi dissi qual'è il tor­mento per cui, a venticinque anni, mi pare di impazzire... Brucio, don Cosimo; e voglio la mia parte di gioia nel mondo, come l'avete avuta voi e come ce l'hanno tutti... Iersera, sentendovi parlare, mi s'apriva un mondo diverso, e non vi nego che feci bei sogni, dopo... Ho atteso questa sera carne un sollievo...(Torna a bere, ma lentamente). Invece, ora mi dite che il torto è mio, se sogno, e che sono un imbecille... men­tre prima non potevate capire come io, giovane, non sognassi intensamente l'amore e la donna... (beve) ... la desina di cui mi parlavate anche iersera, don Cosimo! Oh, com'è bella! e quanto desiderabile!...

Don Cosimo                  - Dunque, mi sei riconoscente di qualche cosa...

Carmelo                        - Anche d'un’illusione, don Cosi­mo, vi sono riconoscente; ma ora me le togliete tutte... Iersera, vi giuro, mi sentivo un altro; mi pareva, come dire? d'essere uomo anch'io: perché tante volte mi sono domandato dov'è il difetto di non essere amato: se in me o nel paese dove vivo...

Don Cosimo                  - E hai concluso?

Carmelo                        - Ecco: solo iersera mi pareva di toccare una soluzione...

Don Cosimo                  - Quale? .

Carmelo                        - Il paese dove vivo...

Don Cosimo                  - Perché? (Pausa) Perché? (Scattando) Pazzo!... Pazzo!... Ma dove la cerchi, la donna, nella tua fantasia?... Se t'occorre una donna, e il luogo, il caso, il tempo non altro ti favoriscono se non una creatura tutt'altro che bella, sei in peccato se non ne usi. Perché: o tu sei in malafede, esprimendo un desiderio che non hai, o non sei meritevole del tuo stesso istinto che dovresti soddisfare con la forza dell'illusione. Ma, quale credi che sia la donna bella? Quella che forse ti passò accanto e inos­servata ieri, e per la quale io imi sarei tagliate le vene; o quella che tu dici di sognare e che a me non interessa nulla? Ogni donna è divina, se ti sorride!... Va', seguila, tentala, prendila; né ti dare per vinto, s'ella ostenta indifferen­za... La donna non amerà che te, se le saprai dare un attimo di ansia, di febbre, di martirio... e tu sarai tutto, mentre ora sei niente!... perché hai paura di donarla cotesta vita che vale meno delle ciabatte su cui la più vecchia donna del paese si trascina sullo sterco dei porci...

Carmelo                        - (alzandosi e non ben convinto se debba risentirsi. Timido) Don Cosimo, quasi mi offendete... preoccupandovi di ime...

Don Cosimo                  - E come puoi offenderti?...

Carmelo                        - (meravigliato) Oh, bella! E non sono uomo anch'io?

Don Cosimo                  - No!

Carmelo                        - (tergiversando) Ma io non voglio morire! Non voglio mettere come posta la mia vita per amare una donna...

Don Cosimo                  - Tu devi, invece.

(I due uomini si guardano meravigliati l’un l’altro. S'ode picchiare discretamente alla co­mune).

Don Cosimo                  - (che guarda sempre il giovane, scoppia in una risata che rincuora l'altro e, ri­volto alla porta, dice) Avanti!

(Le tre figlie di don Cosimo entrano una dopo l'altra, acconciate per la notte, più spettrali che mai e portano ciascuna una candela accesa. Si dirigono verso la scaletta interna).

Prima Figlia                   - (al padre) Buona notte, pa­pà... (fa un inchino al giovinotto).

Seconda Figlia              - (c. s.) Bucata notte, papà... (Ripete il saluto c. s.).

Terza Figlia                   - (c. s.) Buona notte, papà... (c.s.).   

(Le tre ragazze scompaiono su per la scaletta).

Don Cosimo                  - (ha risposto al saluto delle figlie. Però non ha tralasciato di guardare il giovane, che ha risposto assai indifferentemente al saluto delle tre ragazze. Rimasti soli, succede una pau­sa durante la quale don Cosimo si dirige verso la finestra. La spalanca. Contempla il cielo dis­seminato di stelle. Ha cambiato d'umore e dice, invitando col gesto il giovane a guardare) Che strana affascinante bellezza!...

Carmelo                        - (raggiunge don Cosimo alla finestra).

(Entrambi prendono posto nelle poltrone).

Don Cosimo                  - Com'è strano!... Quand'ero giovane, e facevo dei versi, recitandoli avevo la malinconia di ascoltare la mia voce; e quella malinconia mi faceva pensare al fascino di certe, notti buie, che avrei volute popolare di fantasmi avventurosi e romantici... Per ognuna di quelle fantasie, avrei voluto immergermi in un bagno di voluttà infinita... (A Carmelo) E tu che cosa pensi di queste notti? Le vorresti godere in rivai al mare? o sopra una montagna? o preparandoti! a riposare in una caverna?... O magari forse le vorresti più buie, tempestose, spaventose, lugubri... e un cavaliere passare sul suo cavallo bianco, portando seco, in arcione, forse una creatura svenuta?...

Carmelo                        - (pende, visibilmente beato, dalle labbra di don Cosimo).

Don Cosimo                  - Tutte le notti dei Tropici han­no avuto sempre questo fascino, per me; e ho visto serpeggiare ovunque il corpo nudo della donna come lamina d'argento sotto la luna!... E ogni bacio, proteso, verso quell'apparizione tentatrice e fatale, mi dava l'acre sapore d'una goccia di sangue... (Sorseggiano. Don Cosimo continua, con una diversa modulazione di voce, e curvandosi a guardare fisso il giovane) Ma io non t’ho ancora raccontato la più bella avven­tura della mia vita!...

Carmelo                        - (avvicinandosi saltellante sulla pol­trona) Raccontate, raccontate, don Cosimo!... Ecco: quando parlate così, vi prendete l'anima mia... Non so cosa darei per ascoltarvi sempre..:

Don Cosimo                  - (con lo sguardo lontano, misterioso) Fu in Spagna...

Carmelo                        - In Spagna?... (Soffregandosi le mani) Che bellezza!...

Don Cosimo                  - ... di notte!...

Carmelo                        - (torna a soffregarsi le mani).

Don Cosimo                  - (indicando verso la parete di destra) Prendimi la chitarra!...

Carmelo                        - (si volge verso il luogo indicato) Anche la chitarra?.. Subito! (Va a prendere la chitarra e la consegna a Don Cosimo).

(Breve accordatura).

Don Cosimo                  - (arpeggiando in sordina, e come perduto in una visione. Con voce trasognata) Ella stette tutta una notte alla finestra e guar­dava...

Carmelo                        - (interessandosi) Chi?...

Don Cosimo                  - (c. s.) Aveva pianto tutto il giorno!... Ora non aveva più lacrime!... ma tutta l'anima sua era sospesa, in ascolto...

Carmelo                        - ... Di voi?

Don Cosimo                  - (c. s.) Ed egli non deluse l'ul­tima speranza, perché la notte s'era anch'essa incantata e anch'essa era in ascolto della voce che doveva giungere...

Carmelo                        - E giunse? ...

Don Cosimo                  - ... Soave e dolce, accompa­gnandosi così : (dolcemente preludia con l'intro­duzione alla canzone spagnola: « Ay, Ay, Ay, », e dolcemente canta) « Asomate à la ventana! Ay, Ay, Ay!... ».

Carmelo                        - (levando in alto le mani; lentamente ed estasiato) Che bella! Che bella!

Don Cosimo                  - (continuando) « Palonia del alma mia... Ay, Ay, Ay!... ».

Carmelo                        - (ebbro, accompagnando il ritornel­lo) Ay, Ay, Ay!... (Mesce nel suo bicchierino  beve d'un fiato) Ay, Ay, Ay!... Che bella!... Voi mi fate impazzire!...           (Ha la persona protesa verso don Cosimo che continua a cantare. Ebro: come in attesa sempre, del ritornello} che continua a ripetere con largo gesto delle braccia) ly, Ay, Ay!... (Quasi delirante) Che bella!... ecco: se ci fosse una donna!... (Torna a me­scere e a bere d'un fiato) Adesso, sì, imi sentirei di farla sorridere!... (Canticchiando) Ay, Ay, Ay!... (Si alza. Beve. Dice, con, esaltazione) Ri­schiar ei la vita..

Don Cosimo                  - (torna ad arpeggiare in sordina. Intanto, si alza. Viene presso al giovane. Lo guarda. Questi si volta verso di lui; incontra lo sguardo di don Cosimo, che sembra sospingerlo verso qualche cosa).

Carmelo                        - (guarda dove don Cosimo vorrebbe. Nora capisce o teme di capire. Continuando a guardare ora verso don Cosimo, che sempre ar­peggia in sordina, ora verso la scala su cui si sono allontanate le tre ragazze, indica col gesto come per accertarsi meglio).

Don Cosimo                  - (conferma. Insinuante e tentatore, troncando a tratti il suo arpeggiare in sor­dina, sembra descrivere col gesto la bellezza del­la donna nuda:. Fa un gesto come di profumo nell'aria. Riprende l'arpeggio in sordina).

Carmelo                        - (come pazzo) Don Cosimo... Don Cosimo... Voi mi tentale... Ma io... io ci vado, sapete... Non capisco più niente... (Va a tracan­nare uh altro bicchierino. Traballando, fa qualche passo verso don Cosimo) ... La mia testa... oh, la naia testa!...

Don Cosimo                  - (andandogli vicino, si mette un dito sulla bocca e sembra dirgli che potrebbero udire dalla comune. Gli dà una spinta verso la scala).

Carmelo                        - (che s'è lasciato spingere dall'urto, si ferma sui primi scalini. Guarda don Cosimo. E' ansimante, e sembra ancora interrogare).

Don Cosimo                  - (accompagnandosi sulla chitarra e col volto proteso verso il giovane, canta con ebbra dolcezza) Ay, Ay, Ay!...

Carmelo                        - (accarezza col gesto delle mani la vaporosità della musica. Traballa; si riprende e scompare su per la scala).

Don Cosimo                  - (Riamane con lo sguardo fisso, e arpeggia lentamente e meccanicamente).

(D'improvviso si ode lo schianto d'una porta forzata. Poi un urlo di spavento. Poi altre urla).

Don Cosimo                  - (è come se si svegliasse. Un at­timo. Ha posato la chitarra; ha trovato il taglia­carte sul tavolo. Scompare sulla scala).

(La scena rimane vuota. Fra urla di donne, si ode il rantolo di un uomo ucciso. La porta di fondo si apre, e si precipitano sulla scena Palmarosa e uomini e donne del popolo).

Palmarosa                      - (terrorizzata) Buio?... (Accen­de all'interruttore) Cosimo?... E l'altro?... Non c'è nessuno?... Cosimo?...

Popolani                        - (brusio).

Don Cosimo                  - (appare sulla scala, stralunato. Vede la moglie che è rimasta inchiodata al suo apparire, e dice emozionato, andandole incon­tro) Palma!... Palma!... (Abbracciando la moglie, che lascia fare senza capire) E' un bene ch'io sia tornato! C'era chi ci voleva distrugge­re... Volevano anche le nostre figlie!...

Palmarosa                      - (staccandosi, sempre più presa da terrore, mentre alcune donne si precipitano sulla scala, attratte dal pianto delle ragazze) Cosimo!..

Popolani                        - Sentivamo cantare... C'era qual­cuno... Carmelo... il figlio di don Mattia...

Don Cosimo                  - (in mezzo alla scena, con le simile rivolte agli spettatori) Lui!... Mentre cantavo... (Indicando una delle figlie che, con i capelli sciolti e in abbigliamento da notte, sor­retta da una donna del popolo, appare sulla scala seguita dalle altre sorelle e dalle altre don­ne) Innamorato!... Ma ha tradito la mia ospi­talità!...

Popolani                        - (si fanno incontro alle fanciulle).

Palmarosa                      - (attaccandosi al braccio del ma­rito, che è in disparte davanti alla ribalta, con voce terrorizzata invoca) Cosimo!...

Don Cosimo                  - (prendendole una mano e guar­dando lontano) Adesso non potranno più dire che le mie figlie non piacciono!

 

FINE