Le père humilié

Stampa questo copione


LE PERE HUMILIE’

Dramma in quattro atti

di PAUL CLAUDEL

Versione e riduzione di Carlo Lari

PERSONAGGI

PAPA PIO

IL FRATE MINORE

IL CONTE DE COUFONTAINE (già Luigi Turelure, amba­sciatore di Francia a Roma)

IL PRINCIPE WRONSKY

ORIANO DE HOMODARMES

ORSO DE HOMODARMES

SICHEL

PENSÉE DE COUFONTAINE

LADY U.

A ROMA, nel 1869, 1870 e 1871.

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

La scena si svolge a Roma, il giorno di S. Pio del 1869. È il S maggio, ricorrenza anche della morte di Napoleone. Festa in costume liei giardini di Villa Wronsky, che domina la città. Una bella notte ov'è ancora diffuso il rosseggiare del crepuscolo. Il fogliame degli alberi è di un verde cupo.

 (Sono in scena Pensée De Coufontaine (costume: «La Notte»); Sichel (costume: «L'Autunno»): Il Principe Wronsky (costume: « Il Tevere »). Sichel è al braccio del principe Wronsky).

Pensée                           - (al centro della scena, con un'espressione d'angoscia, fa un passo in avanti, allungando le braccia, come stesse per cadere) Mamma, dove sei?

Sichel                            - (correndole incontro) Pensée, bambina mia, sono qui da te.

Il Principe                     - (avvicinandosi) Vi sentite male, signorina?

Pensée                           - No, no; non è niente.

Sichel                            - (sorreggendola) Niente. Un piccolo males­sere. Pensée, cara. (La fa sedere su una panchina) Vogliate scusarci, principe. Non è niente.

Il Principe                     - Affido » La Notte » alle cure dell'» Autunno ». (Esce. Momento di silenzio).

Pensée                           - (alza la testa e schiude la bocca a un lieve sorriso) Mi è sembrato proprio di svenire.

Sichel                            - Pensée, sono qua io. Perché farmi tanta paura?

Pensée                           - Com'è dolce ritornare alla vita. Com'è bello rivedere la luce.

Sichel                            - Non mi spezzare il cuore.

Pensée                           - Porse se io vedessi, capirei meno bene.

Sichel                            - Tu mi comprendi, bambina mia ado­rata, e sai quanto ti amo.

 Pensée                          - Sì, mamma.

Sichel                            - Non fissarmi così, con quei tuoi occhi, così belli.

Pensée                           - Sono belli i miei occhi?

Sichel                            - Gli altri ricevono la luce, i tuoi la danno.

Pensée                           - E nessuno, guardandoli, si può accor­gere che sono cieca?

Sichel                            - Non dire questa parola.

Pensée                           - Ma è possibile che agli altri basti guar­darmi perché mi vedano?

Sichel                            - Quel tanto che possono vedere i nostri occhi...

Pensée                           - C'è dunque in questi miei una grande potenza?

Sichel                            - (accarezzandole una mano) Sono dei magnifici occhi azzurri, di un azzurro puro, quasi nero.

Pensée                           - « Come l'uva in piena stagione ».

Sichel                            - « Come l'uva in piena stagione », come questo grappolo che mi hai preso, e che matura, signora Notte, alle vostre tempie. (Un silenzio).

Pensée                           - È bello farmi capire le cose... è bello non parlarmi come a una... mutilata. Azzurro... Credi che questa parola non abbia un significato per me?

Sichel                            - Tu sai tutto. Lo so.

Pensée                           - Azzurro... rosso... color d'oro... il bel verde... Credi che questo non significhi niente per un cieco? Questo esiste in lui originariamente. Come il mondo prima di essere stato creato. La nostra povera anima, in ciò che può, ci dà il modo di vedere: ogni colore, e la più piccola sfumatura. Anch'io ne posso parlare, e non bisogna impedirmelo.

Sichel                            - Che bella serata!

Pensée                           - Ne godo quanto te, mamma. Poco fa, sì, tutto era veramente d'oro. Io lo so; quest'impres­sione solenne, questa temperatura divina, quest'aria che alita sul mio volto, questa carezza di cui sento tutte le variazioni sul mio corpo nudo... Così si annuncia la notte, desiderata da tanti, come io desidero il giorno. Anche la vigna lo desidera; ebbene, dove sono i suoi occhi? Eppure, chi conosce ed apprezza il sole me­glio di lei? È il sole che li ha fatti questi grappoli! E tutta questa gente che ho qui d'intorno? Che ne sa delle cose? Ne apprende in fretta quel poco che le è necessario; un'occhiata rapida, indispen­sabile per manovrarsi nell'azione delle sue piccole commedie. Ma a me, invece, tutto parla, tutto pe­netra fino al più profondo del cuore. Come, ad esempio, questa voce che ora sento...

Sichel                            - Io non sento nessuna voce, figlia mia.

Pensée                           - Tu non la senti, mamma, ma io sì, l'ho sentita. Egli non parla più ed io lo sento ancora. Egli parla, e l'anima mia sussulta ascoltandolo.

Sichel                            - Di chi parli, Pensée?

Pensée                           - Che importa? Non ha nome. Io l'ho sentito. Ho sentito quella parola giungere a me.

Sichel                            - Di chi parli, Pensée?

Pensée                           - Che vuoi sapere tu, quando neppure lui sa ancora niente? Come sono felice! Mi ha scelta stasera fra tutte le altre fanciulle, e lui non lo sa.

Sichel                            - Ed è questo che poco fa ti ha dato una così profonda emozione?

Pensée                           - Non sapevo più dove io fossi.

Sichel                            - Eppure io non ero lontana da te.

Pensée                           - Ormai mi sento sperduta ovunque io non sia con lui.

Sichel                            - Sei crudele con tua madre.

Pensée                           - Perdonami, non so quello che ho detto. E anche se egli non dovesse appartenermi mai, niente potrà distruggere questa verità: che io l'ho trovato. Io l'ho trovato. Saprà egli trovarmi nelle tenebre ove io sono? Questa gioia inattesa che mi ha rivelato la mia grande disgrazia! Improvvisamente, in un colpo solo, come una lama che penetri al fondo del cuore.

Sichel                            - Egli non potrà amarti quanto io ti amo.

Pensée                           - Amarmi, mio Dio! E chi parla di questo? Quale parola hai pronunciato? Sì, così deve essere! Non mi conoscerà mai. Che dicevo io delle tenebre? Provvidenziali tenebre che mi sanno così bene nascon­dere! Ah, io ormai non sono più sola. E la certezza di questa verità è grande! Vieni, fuggiamo. Come potrei lasciarmi strappare il mio segreto? Che se ne farebbe di una cieca? Che farei se egli se ne accor­gesse? Certo, mi scaccerebbe. Che sarebbe di me, se mi disprezzasse o se soltanto potesse scoprire ciò che io sento per lui? Bella? Mi hai detto qualche volta che ero bella, mamma!

Sichel                            - Troppo bella per rimanere sola.

Pensée                           - Così bella, quanto la più bella che ci sia in questo mondo che io non conosco?

Sichel                            - Lo sai, e il tuo giovane cuore basta per rivelartelo.

Pensée                           - Dimmi, mi hai fatta molto bella, stasera?

Sichel                            - Non hai sentito ciò che diceva il prin­cipe poco fa?

Pensée                           - È vero, mamma Autunno, che stasera hai fatto di me una vigna? Una vigna carica di tanti grappoli che spezza tutto, che non può più rimanere attaccata a quel muro ove l'avevano crocifissa? Una grande vigna piena di grappoli, che crolla quando il padrone vi appoggia la mano e dalla quale rimane come sommerso. I grandi pàmpani che le braccia non riescono più a tener fermi... Ah, non è soltanto con gli occhi che egli conoscerà il frutto... Li dovrà chiudere, quegli occhi, in questa estasi di ebbrezza!

 Sichel                           - Così parla nei nostri libri la fidanzata di Salomone.

Pensée                           - Il mio sangue è il tuo, mamma.

Sichel                            - Sì, tu sei un'ebrea come me. Tuttavia c'è in te qualche cosa che non deriva da noi e che mi sorprende.

Pensée                           - Quello che ho ereditato da mio padre?

Sichel                            - Sì, o anche da più lontano. Tu sai che fra tuo padre e me - chiama pure questa unione un matrimonio - vi fu una specie di alleanza meditata, un patto politico, come quello che concluse Israele con i discendenti di Ammon, all'entrare nella Terra Promessa.

Pensée                           - L'importante non è da chi siamo nati, ma per chi siamo nati.

Sichel                            - E tu lo sai?

Pensée                           - Sì, mamma, oggi lo so.

Sichel                            - E si accontenterebbe di una cieca e di un'ebrea?

Pensée                           - Hai dunque indovinato chi sia?

Sichel                            - (ambigua e a bassissima voce) Orso de Homodarmes.

Pensée                           - Non lo conosco.

Sichel                            - È quegli che dianzi ti parlava.

Pensée                           - Non lo so. Non lo ascoltavo.

Sichel                            - Ma lui ti guardava.

Pensée                           - Sì, ma non ha importanza.

Sichel                            - Ma non volevo dire Orso! Chissà dove avevo la testa? È suo fratello; colui che siamo andati a trovare l'altro giorno. Come si chiama? Un nome strano: Oriano de Homodarmes.

Pensée                           - (mettendole una mano sulla bocca) No, non è lui.

Sichel                            - Ah, piccina mia, non puoi nascondermi nulla.

Pensée                           - No, non è lui.

Sichel                            - Lo sapevo prima di te. Quel giorno che siamo andati a trovarlo a casa sua, in quel vecchio palazzotto che ti piace tanto e che hai voluto che comprassimo; proprio in quel giorno ebbi come il segno di un avvertimento.

Pensée                           - Ma io allora non lo amavo, e lo avevo appena notato.

Sichel                            - Ma ti ho fatta io, bambina mia, e per quello che ti riguarda ho una specie di preveggenza.

Pensée                           - Perché dunque mi hai portato qui stasera?

Sichel                            - Ne avevo già parlato a tuo padre.

Pensée                           - Mio padre? Essi non sono ricchi.

Sichel                            - Sì, ma sono nipoti del Santo Padre. Oriano è suo figlioccio.

Pensée                           - E tu, mamma, che ne dici?

Sichel                            - Figliola mia, come potrebbe egli amare una cieca e un'ebrea?

Pensée                           - Sì, questo è impossibile.

Sichel                            - La figliola del suo nemico? Il nemico del Papa, poiché egli conosce l'opera di tuo padre. A Poma e a Parigi.

Pensée                           - No, egli non può amarmi.

Sichel                            - Perfino la sua casa gli abbiamo portato via.

Pensée                           - Povero ragazzo!

Sichel                            - Si dice che voglia seguire la carriera ecclesiastica.

Pensée                           - Rimane Orso.

Sichel                            - Per me, lo preferisco.

Pensée                           - Non mi piace.

Sichel                            - Ma come li puoi distinguere? Le loro voci si assomigliano tanto, che non so avvertirne la differenza, neppure con il mio orecchio di musicista.

Pensée                           - No, non si assomigliano.

Sichel                            - Orso è più forte e più bello. Si potrebbe fare qualcheduno di lui.

Pensée                           - Sì, se potessi vedere, forse amerei lui.

Sichel                            - Orfano non pensa a te.

Pensée                           - Ma se un giorno ci pensasse?

Sichel                            - Non lo vedremo più.

Pensée                           - Quale mezzo mi hai dato per smettere di vederlo?

Sichel                            - Perdonami!

Pensée                           - Se un giorno cominciasse a pensare a me - e io so che non ci pensa affatto, tu dici la ve­rità! - me lo vedrei vicino, come un uomo interamente libero e senza preconcetti, senza che egli sapesse che questo non è vero, senza che egli sapesse come io gli sia già attaccata con un nodo tenace. Sì, che egli lo voglia o non lo voglia...

Sichel                            - Questo nodo può sciogliersi ancora.

Pensée                           - Se un giorno tuttavia pensasse a me, che cosa potrei fare allora, ove potrei fuggirlo, in qual modo potrei ritrarmi? Se egli cominciasse a pen­sare a me... Anche se io sono cieca, egli vedrà sempre la mia parte di luce! Anche se non ho occhi, egli potrà sempre vedermi! Non è perché io non conosco il mio volto che egli lo ignorerà! Non è perché io son privata di tutto ch'io potrò rinunciare a lui!

Sichel                            - Ma lui potrà rinunciare a te.

Pensée                           - Chi lo sa?

Sichel                            - Diffida della sua pietà.

Pensée                           - È lui che deve temere...

Sichel,                           - Nell'animo di un uomo, quale orgoglio potrebbe suscitare una donna che l'ama senza vederlo?

Pensée                           - È lui che deve vedermi, io devo essere abbastanza bella perché egli mi veda e perché io veda con i suoi occhi.

Sichel                            - Ma non ti amerà.

Pensée                           - Ed io? Ho forse chiesto io di amarlo?

Sichel                            - Io sola ti amo.

Pensée                           - Sì, mamma.

Sichel                            - Quest'uomo che non conosci e che per di più non ti conosce! E se anche avessi voluto che tu lo sposassi, ora non voglio. Tu l'ami. Me ne ac­corgo. Ed è appunto questo che mi spaventa. Le cose non possono andare a finir bene.

Pensée                           - Mamma, sono stata forse una cattiva figlia fino ad oggi? Sono stata forse una creatura irragionevole e che non sa quello che vuole?

Sichel                            - No, Pensée; sei la mia cara figliola saggia: la gioia e il rimorso di tua madre.

Pensée                           - Perché il rimorso? Considerate forse una disgrazia queste mie tenebre?

Sichel                            - Volesse Iddio ch'io potessi sostituirmi a te.

Pensée                           - Le considerate una disgrazia? No, io lo so, e l'ho imparato' ora, esse sono la felicità della mia vita, una sì grande felicità, quale io non avrei meritata. Se vedessi, sarei meno sua. Se fossi meno immersa nell'oscurità, la gioia di avermi trovata sarebbe per lui meno grande.

Sichel                            - Quest'uomo ci è ostile. Lo sento, lo so. Non avremo gioie da lui. (Rumori di voci dall'esterno).

Pensée                           - (prendendole la mano) Ma no; se tu lo vuoi, vieni, non lo vedremo più. Andiamo via.

Sichel                            - Sì, andiamo. E d'altra parte tremo all'idea di lasciarti andare sola. Ma perché questo capriccio di nascondere ancora che sei cieca?

Pensée                           - Sono appena giunta in questo paese. Lascia che la gente possa credere in me per qualche giorno. Nessuno se n'è dunque accorto stasera?

Sichel                            - No. Tu ti muovi ovunque in questo giardino, ma non proprio come se tu vedessi. È diverso. É come se tu avessi già visto tutte queste cose nuove, come se tu avessi preso dimestichezza con loro ante­riormente, come se fra loro e te ci fosse una specie di connivenza.

Pensée                           - Ieri sera, non abbiamo forse passeg­giato insieme in questo giardino e tu non mi hai forse spiegato tutto?

Sichel                            - Quella sola visita ti è bastata?

Pensée                           - Vieni! (Parlano allontanandosi verso il fondo mentre la scena si popola a poco a poco di per­sonaggi) Ma come farti capire? Non so. È qualche cosa come il dono dei rabdomanti. Il piede solo mi fa capire dove mi trovo; mille rumori, mille contatti, mille differenze di suono che voi non sentite, mille segni rapidi quanto lo sguardo, l'attenzione sempre sveglia, la coscienza dei propri movimenti, il senso della distanza, un po' di sensibilità. E anche senza tutto questo, sono guidata da intuizioni che mi ven­gono dall'anima. Voi leggete, ed io so a memoria. (Entrano da varie parti: Goufontaine, in costume di «Lucciola »; Oriamo de Homodarmes, in costume di « Giardiniere »; Orso de Homodarmes, in costume di «Ingegnere fiorentino»; Sichel; il principe Wronsky; Lady U, in costume di « Città di Roma »).

De Coufontaine            - Signore, vi consegno il tra­ditore! Voleva scapparci! Proprio così. Che cosa state complottando voi, laggiù, con vostro fratello, sotto la statua di Giove tonante?

Sichel                            - Come, caro cavaliere, volete già andar via?

Oriano                           - Il servizio mi impone di essere domani al Vaticano assai di buon'ora.

Lady U                         - Ricordatemi al vostro padrino!

Oriano                           - Che vuol dire questo magnifico costume, milady?

Lady U                         - Sono « La Città di Roma ».

Oriano                           - Il Santo Padre sa quanto Roma lo ami.

De Coufontaine            - Ma non dovete andar via! Pensée, pregatelo di restare. Voi conoscete mia figlia, cavaliere?

Oriano                           - Ho avuto il piacere di incontrarmi con la signorina l'altro giorno.

Sichel                            - Sai, Luigi, quando siamo andati a comprare il palazzine

Pensée                           - Rimanete.

 Il Principe                    - Bisogna arrendersi.

Orso                              - Bimani. Oriano, te ne prego io.

Oriano                           - Eimango.

Il Principe                     - Grazie, Orso. Concedimi queste ultime ore. Domani non si parlerà più di Villa Wronsky, né del principe Doppiovu. Domani mi sequestrano tutto. E io ho invitato tutta la città a passare la notte con me, ed aspettare il momento nel quale apparirà col sole il funesto mandatario della legge, scortato dai suoi satelliti.

Lady U                         - Ed è per questo che la città di Roma è venuta a far visita al suo vecchio amante, per congedarsi da lui. Portando con sé una certa lady U che non riuscirà mai a separarsi dal suo caro Dop­piovu! Portando con sé tutto l'alfabeto! Tutto quel­l'alfabeto in disordine che sa soltanto parlare romano. Tutti i francesi, che sono a Roma, gli inglesi, gli americani, gli sciti ed i sarmati, mescolati agli auten­tici figli della lupa, gli uomini del Vaticano e quelli del Ee Galantuomo, tutti sotto l'usbergo delle ma­schere, ospiti del vecchio principe, questa notte fanno della sua casa e del suo giardino un sol fuoco di gioia. L'aria è piena di intrighi, di amori, di cospirazioni, di musica e di scoppi di risa! Lunghe confessioni che le belle donne sognanti si scambiano quasi distrattamente come se si avvolgessero intorno alle dita dei flocchi di seta; e grandi segreti che scop­piano improvvisi come colpi di pistola. Un punch arde da solo in una sala da pranzo. Un razzo sale al cielo. Un liuto fa sentire i suoi accordi. Un inna­morato e la sua amante in un luogo nascosto, che hanno giurato di separarsi per sempre, piangono tutte le lacrime dei loro occhi. (E tutti i domestici, l'uno dopo l'altro, aprono la porta dieci volte di seguito e la richiudono precipitosamente). Un piano sotto gli alberi fra le lucciole; e un signore dai baffi imponenti, col sigaro in bocca, batte il tasto del do con un dito lungo come una canna. E più giù, un branco di muli scalpitanti e squillanti di sonagliere, coperti di gual­drappe, carichi di panieri, di lanterne, di armi, per gli amici che sono venuti a farci visita dalla campagna.

Il Principe                     - E c'era un vecchio pazzo, poco fa, che dall'alto del « bosco » guardava la sua Roma per l'ultima volta, la città delle cento chiese, tutta im­mersa nel buio, con una sola piazza rosseggiante come un fuoco di bivacco, da cui usciva la cima di una colonna antica sormontata dalla statua di un apostolo!

Lady U                         - Principe, tutte le case di Roma saranno vostre.

Il Principe                     - Grazie, Campidoglio! Meritate un bacio per questa buona parola. (Si toglie la barba, e dopo averla appoggiata a un ramo, fa il gesto di baciare la sua vicina).

Lady U                         - Principe, vi prego! « Behave yourself, Sir! ».

De Coufontaine            - Che cosa diventa il Tevere senza la barba?

Sichel                            - Ha approfittato della barba posticcia per radersi quella vera. Che bella bocca sensuale, fresca come quella di un bambino! Col labbro supe­riore che par fatto apposta per suonare il clarinetto!

Lady U                         - Ma io vi riconosco, principe. Sì, abbiamo fatto una traversata insieme, al tempo in cui ero stella della compagnia Trombini, quando si impiega­vano quaranta giorni per andare da Tenerifa a Buenos Aires.

Il Principe                     - E voi, donna crudele, mi avevate dimenticato? E tutti quei bei tramonti che ab­biamo visto? Nuvole di pesci volanti, ricordate?, che si alzavano scintillando dinanzi al ponte di prua, come gli amorini intorno al carro di Anfìtrite.

Orso                              - Tutti hanno l'aria di ritrovarsi stasera. È proprio vero che per farsi riconoscere non c'è niente di meglio che mascherarsi.

Il Principe                     - Dunque mi avevate dimenticato?

Lady U                         - No, principe. Perché non mi avete mai ricordato quelle belle notti dell'Equatore?

Il Principe                     - Eh, le cose sono tanto cambiate!... Voi non siete più quella Beltramelli alla quale baciavo il polso, quella Beltramelli che aveva un frammento della croce del sud in ciascuno dei suoi occhi neri, ma una qualunque lady U.

Lady U                         - Invece è così. Sono sempre la leonessa italiana, come mi definivano nei manifesti di Fernam­buco, l'eroina del 30 aprile, l'amica di Mazzini e di Garibaldi.

De Coufontaine            - (indicando Orlano) Silenzio!...

Orso                              - Non siamo tutti forse in vacanza questa sera?

De Coufontaine            - È vero. È come una delle ultime lezioni a cui si assiste nel mese di luglio, quando non si prende più sul serio il professore. Si sente benissimo che c'è qualche cosa che sta per finire!

Lady U                         - Appena i signori francesi se ne saranno andati.

Orso                              - Mai. Me l'hanno detto. Chi può strapparsi dall'Italia?

Il Principe                     - (agitando la mano) Addio, cara Roma!

Sichel                            - Principe, cos'è quel cammeo che por­tate al braccio?

Il Principe                     - (mostrandoglielo) Vi piace? È una bella testa, non è vero?

Sichel                            - Strano, mi ricorda qualcuno.

Il Principe                     - Anche a me. È per questo che lo porto sempre. Si chiamava Lumìr. La contessa Lumìr, poveretta, è morta miseramente. Fu allora ch'io lasciai la Polonia.

Sichel                            - Ma non era la sorella di un tale che si chiamava Posadowsky?

Il Principe                     - Può essere. Lo avete conosciuto?

Sichel                            - Il conte l'ha conosciuto in altri tempi, in Algeria. Ti ricordi, Luigi?

De Coufontaine            - Vagamente. Era un grande ubriacone.

Il Principe                     - « Che fare? ». Si beve!

Lady U                         - (a Oriano) Ma anche voi, cavaliere, che magnifico gioiello portate in dito!

Oriano                           - È un gioiello di famiglia. Si chiama « la pietra veggente ». Non c'è che da chiudere gli occhi e la mano vede e vi guida attraverso l'oscurità.

Orso                              - (prendendogli la mano e conducendolo verso Pensée) Guardate, signorina, vi prego. Guardate... a voi piacciono le belle pietre.

Pensée                           - (come se guardasse, toccando leggermente la pietra) È uno zaffiro, mi sembra?

Sichel                            - Un bellissimo zaffiro.

Pensée                           - Tutto contornato da brillanti, da quei vecchi brillanti quadrati che non si alterano e di cui il tempo ha reso eterno lo splendore.

Sichel                            - Un bell'anello di fidanzamento.

Oriano                           - È lui che mi guida stasera.

Pensée                           - Credete che soltanto certe pietre abbiano gli occhi che sanno vedere nell'oscurità?

Orzano                          - I miei non ci riescono.

Pensée                           - Principe, ho forse frequentato molto il vostro giardino?

Il Principe                     - Ci siete stata una volta, una volta sola, ed io non c'ero. Una volta sola mi avete fatto l'onore di venire nella mia povera casa.

Pensée                           - Cavaliere, vogliamo scommettere che a occhi chiusi, io vi faccio fare il giro del giardino e vi riporto qui?

Sichel                            - Pensée, bambina mia!

Pensée                           - Lasciami fare, mamma. Chiudo gli occhi. Così! La vostra mano. Mi affido a questa pietra veggente. Venite, signor Giardiniere! (Escono).

De Coufontaine            - Basta che non parlino di politica.

Lady U                         - Non è un cattivo sistema far penetrare nell'orecchio di chi deve intendere le cose che noi non potremmo dire.

De Coufontaine            - Voi mi trafiggete!

Sichel                            - Temo che Pensée perda la sua scommessa.

De Coufontaine            - Macché, si ritroveranno benis­simo. Si va sempre lontano quando ci si lascia gui­dare da qualcuno che non vede. (A Orso) Che ne dite voi, Fiorentino? Che ne dite, nero Ingegnere?

Osso                              - Io me ne vado. Troppi segreti qui stasera e troppi tradimenti. Vado a regolare il mio mecca­nismo. C'è in questo concerto di acque zampillanti che io ho distribuite ovunque nella notte, qualche cosa di troppo rapido e pieno di perfìdia. C'è bisogno di un giro di chiave. (Esce).

Il Principe                     - L'acqua che cade sull'acqua, e il solenne concerto delle campane che si svegliano tutte insieme, la mattina e la sera, all'ora dell'Ave Maria, e a mezzogiorno come angeli confusi. Ecco quello che non udrò più domani.

De Coufontaine            - Ed è questo il rumore che vorreste far tacere, milady?

Lady U                         - Dio non voglia! Sono una buona cat­tolica, io.

De Coufontaine            - Tuttavia vorreste togliere al Papa la sua casa.

Lady U                         - Come fare? Lo domando a voi. Come separare l'aria dall'aria, la terra dalla terra, la carne dalla carne, il cuore dal corpo, e Poma dall'Italia? Voi, stranieri, quando venite a Poma, vi ci attaccate come il bambino al seno materno. E noi italiani dovremmo rinunciare a nostra madre?

De Coufontaine            - Ma il Papa è vostro padre.

Lady U                         - Certo. Voi siete per lui un nemico più pericoloso di me, signor ambasciatore.

De Coufontaine            - Quale ingiustizia! Il Santo Padre non può avere figli più devoti di me. Sì, io sono veramente un figlio per lui. Volesse il Cielo che egli si degnasse di concedermi una volta un'u­dienza più cordiale!

 

Lady U                         - Lasciate fare a noi.

De Coufontaine            - No. Ho orrore dei mezzi violenti. Sono un uomo di pace. Ecco la ragione per la quale un tempo lasciai l'armata. Perché questa intransigenza che non è del nostro tempo? Queste pretese esagerate che rattristano tutti gli amici sinceri del Papato, e, diciamolo pure, tutti i veri cri­stiani? Che significano queste sfide? Questa infalli­bilità che sta per essere proclamata?

Lady U                         - Sì, l'ho pensato spesso. Tutto questo non giova alla religione.

De Coufontaine            - In un momento nel quale è così necessaria! Quando tutte le basi sono scalzate... sì, scalzate, è la parola, non mi perito a dirla. Ma io mi riscaldo, perdonatemi! Sento le cose troppo al vivo. Il mio motto è: pace, accordo, conciliazione, transazione, intesa, buona volontà reciproca.

Lady U                         - È vero. Non esiste in Francia uno di quei delicati passaggi da un regime all'altro, al quale il vostro nome non sia associato.

De Coufontaine            - Alludete a mio padre, Ognis­santi Turelure? Era un buon servitore della Francia. Un uomo che è stato mal giudicato. Io solo l'ho cono­sciuto bene. (Escono De Coufontaine e Sichel).

Lady U                         - Allontaniamoci anche noi. Il signor De Homodarmes e la sua Psiche avranno forse ter­minato il giro del giardino. Che strana scena!

Il Principe                     - E che strana ragazza!

Lady U                         - Non ci si comporta davvero in quel modo! Sfrontatezza ebraica! E i genitori non ci tro­vano nulla da ridire.

Il Principe                     - Eppure De Homodarmes non è ricco.

Lady U                         - È il figlioccio, e un po' il nipote, del Papa. Sposare il Papa! Che trionfo per la nostra Sichel!

Il Principe                     - Però ha degli occhi magnifici.

Lady U                         - Vi proibisco assolutamente di guar­dare altri occhi all'infuori dei miei.

Il Principe                     - Perché me ne avete privato per tanto tempo?

Lady U                         - Non è tanto tempo che io e Poma siamo la stessa cosa.

Il Principe                     - No, non è tanto tempo. Voi non siete Poma, come non sono Roma quegli improvvisi gettiti di grandine che cadono ogni tanto sulle piazze e che si dissolvono dopo tre colpi dì tuono, come non è Roma il passaggio dei barbari che avviene una volta o due ogni secolo, fra una porta e l'altra.

Lady U                         - Voi parlate senza dubbio dei vostri mercenari! Perché noi non siamo barbari, signor principe... Scusatemi, non ho mai potuto pronunciare il vostro nome e neppure quello di mio marito. Fra Roma e l'Italia c'è tuttavia qualche cosa di comune.

Il Principe                     - Roma è ciò che è eterno, è ciò che dura. E io vi vedo troppo giovane con i vostri capelli troppo neri, foresta di serpenti irrequieti, viva di troppo vita, di troppe speranze, per una città che ha avuto sempre tutto.

Lady U                         - Che cosa è dunque Roma, secondo voi?

Il Principe                     - Lo sapete meglio di me. Qualche cosa di solenne e di sottinteso, il maestoso silenzio di qualche cosa dove noi siamo e che non è nostro e che non dipende da noi. Domani, anzi oggi stesso, io la lascio.

Lady U                         - Il presente sarà forse meno bello del passato; il presente ha sempre torto. Non fa niente. Si vivrà lo stesso. Ci metteremo a posto in qualche modo. Vi giuro che questo popolo ha trovato un altro mezzo di essere eterno, all'infuori di quello di essere morto. Vi giuro che egli ha una sua funzione nella vita. Vi giuro che egli è ben deciso a vivere, lo vo­gliate o no! Ed è anche bello, da un capo all'altro di un paese, un popolo che si sveglia con un gran brivido, come un corpo umano, e si accorge che tutti parlano la medesima lingua, e che da un capo all'altro non è che un blocco solo, un solo corpo in una sola anima.

Il Principe                     - Il mio paese era la Polonia, per la quale non c'è più speranza.

Lady U                         - C'è sempre speranza. E siete proprio voi a dirmi che non c'è speranza, voi che avete più di sessant'anni! Come avete fatto per vivere fino ad ora? Quante cose sono state fatte che non avremmo mai creduto possibili! Quanti colpi abbiamo ricevuto che non ci hanno fatto alcun male! Quanti nemici atterrati! Quanti ostacoli superati!

Il Principe                     - C'è lo spettro della malattia dinanzi a me.

Lady U                         - La malattia, molto interessante! La guerra è sempre una cosa interessante! Accorgersi che si possiede un fegato o un cuore: quale scoperta!

Il Principe                     - C'è la morte.

Lady U                         - Ne avremo ragione come di tutto il resto, con l'aiuto di Dio!

Il Principe                     - Ecco i nostri innamorati che si avvicinano, venite. (Escono. Entra Pensée, tenendo sempre Orlano per il polso. Nell'altra mano, che tiene sollevata, ha l'anello).

Oriano                           - Ci siamo. Mi avete meravigliosamente guidato con quella pupilla magica che tenete sollevata fra le dita. Potete riaprire gli occhi, Pensée. Vi chia­mate così, non è vero?

Pensée                           - (lentamente) Sì. Vedo che mia madre non c'è.

Oriano                           - Tutti sono andati via.

Pensée                           - Sono tutti ai fuochi d'artificio, dall'altra parte del giardino. Ho sentito i primi razzi guizzare nel cielo, in mezzo ai gridi della folla.

Oriano                           - Evviva il Papa Re!

Pensée                           - Per molto tempo non sentirete più questo grido a Roma.

Oriano                           - Sarete voi a soffocarlo?

Pensée                           - Siamo in maggio, pensate al settembre! E guardate queste tre stelle fatali che mi attraver­sano dalla spalla fino al fianco... È Orione, il quale è un pericolo per Oriano. Eccolo che si alza sopra il Palatino.

Oriano                           - Per piacere, non parliamo di politica. E se è vero, Pensée, che voi ci portate l'autunno, spiegatemi piuttosto che cosa intendete di fare di questo giardino che ho preparato, e in cui il mio amico Ingegnere - Orso, colui che poco fa vi parlava - ha portato con la sua arte da molto lontano, queste acque. Le sentite? Non tacciono mai. E tutti i fiori, vedete, tutte le cose che io ho inventate, tutte stanotte si sono trasformate in rose per voi, Pensée. Tutto ciò che maggio può offrire. Questo sonno e questa austerità della terra, che poco a poco, senza subire violenza, si è arricchita fino ad una meravigliosa pienezza. Come potrete distruggere questa pri­mavera così bella? Ma via... volete proprio distrug­gere tutto?

Pensée                           - Non rimangono che queste foglie di semprevivo sulla mia testa e questo piccolo grappolo d'uva vicino al mio orecchio.

Oriano                           - Perché dunque vi siete alleata con l'autunno, quando, invece, sembrate venirmi incontro come la primavera, tenendo fra le dita un grande garofano con lo stesso atteggiamento però di chi impugna un giavellotto?

Pensée                           - L'autunno mi piace di più, e più ancora mi piace l'inverno. L'integro inverno che di tutte le cose non lascia che l'anima nuda e senza volto nella fede.

Oriano                           - Poma non ha inverno, soltanto la parentesi di un'ora, il ritorno e'non la stasi, un sor­riso più scuro fra due notti più lunghe! Qui la mano dell'autunno è disarmata e il vostro potere fallito.

Pensée                           - Chi dunque farà maturare i vostri grappoli, signor Giardiniere? Chi farà scendere, poco a poco, fino a portata di mano, il ramo sul quale il frutto matura?

Oriano                           - Sapremo noi imprigionarvi, o stagione crudele! Sapremo trasformare in miele il vostro oro fuggitivo! Qui il tempo non esiste più. Una volta avevo anch'io un giardino.

Pensée                           - Ve lo abbiamo portato via noi, cavaliere.

Oriano                           - Sì, lo avete comperato. Ora è vostro. Ritornerò qualche volta a vederlo. Era molto piccolo, ma a me piaceva ugualmente. Anche troppo bello per un uomo così povero.

Pensée                           - Me ne vergogno. Scusatemi.

Oriano                           - Ma no, mi avete reso un servigio. Ora sono del tutto libero. Che importanza hanno queste vecchie mura? Bisogna guardare all'avvenire, non al passato.

Pensée                           - Mi maraviglia sentirvi parlare così. Vi credevo il cavaliere del passato.

Oriano                           - Il Papa soltanto è ciò che non passa.

Pensée                           - Tuttavia bisognerà farne a meno.

Oriano                           - Ma vostro padre s'incarica di aiutarci a salvargli il trono.

Pensée                           - Troni ben minacciati sono quelli che godono dell'appoggio della nostra famiglia!

Oriano                           - So dove si rivolgono le intime aspira­zioni di vostro padre.

Pensée                           - Che farci? Scorre nelle nostre vene il sangue della rivoluzione.

Oriano                           - Attraverso tutte le rivoluzioni, la Francia vuole il Papa intangibile a Poma.

Pensée                           - Per salvare il Padre, come voi lo chia­mate, c'è dunque bisogno di circondarlo di una polizia straniera?

Oriano                           - Lo amo come un padre.

Pensée                           - Lo so. Egli è il padrino vostro e di vostro fratello. Ed inoltre, poiché non avete né padre né madre, è il vostro tutore. Vi ha cresciuti tutti e due nel suo palazzo quando non era che vescovo. Le ho sapute stasera queste cose.

Oriano                           - Siete bene informata. La mia famiglia è savoiarda, ma mia madre 'era milanese.

Pensée                           - La mia è ebrea, lo sapete.

Oriano                           - Non lo sapevo.

Pensee                           - Voglio che lo sappiate. Un'ebrea con­vertita, naturalmente. Anche mio padre è un buon cattolico. A questo egli deve la sua fortuna. Ma dunque, vostro fratello Orso non vi ha detto queste cose?

Oriano                           - Egli non ne sa più di me.

Pensée                           - E allora a che gli serve seguirmi con­tinuamente dal giorno che l'ho incontrato con voi? L'altro ieri, mentre si attraversava in carrozza la campagna, ho sentito che egli galoppava dietro di noi, e un momento dopo, mentre noi lasciavamo riposare i cavalli, egli si nascose in una tomba, spian­doci, avviluppato nel suo mantello romano. Lo vide mia madre. Qualcuno che vi è molto vicino s'inte­ressa di me.

Oriano                           - Orso è un buon ragazzo che fa tutto quello che io gli dico di fare.

Pensée                           - Indubbiamente egli vi ama più di me.

Oriano                           - È stato qualche tempo con le camicie rosse. Sono stato io a strapparlo di là e ad arruo­larlo nelle truppe del Papa.

Pensée                           - Ed io posso fargli perdere il gusto di essere ove io non sono.

Oriano                           - Potete venire voi dove è lui.

Pensée                           - Ci verrò, se è il più forte.

Oriano                           - Come si fa per essere il più forte con voi?

Pensée                           - Sarà il più forte, se sarà amato da me.

Oriano                           - Come non si potrebbe amare Orso?

Pensée                           - Se gli volete bene, ditemi di non ascol­tare ciò che vi ha incaricato di dirmi.

Oriano                           - È vero. Ha voluto assolutamente che vi parlassi.

Pensée                           - Bisognava dire di no, Oriano.

Oriano                           - Ho tentato di farlo...

Pensée                           - Si può forse sposare un'ebrea?

Oriano                           - Non siete ebrea.

Pensée                           - Se gli volete bene, ditegli di non spo­sare un'ebrea.

Oriano                           - Siete battezzata.

Pensée                           - Ci vuole molta acqua per battezzare un ebreo! Non si perde così facilmente l'abitudine di tanti secoli! Mi sembra di portare con me tutti i secoli, dalla creazione del mondo. L'abitudine della sventura, la dolorosa intimità con la propria disgrazia, tanta aspettativa! E non siamo riusciti a cambiare atteggiamento. E tanta fede nella promessa ancora irrealizzata! Così, che quando ce l'hanno detta realiz­zata, non abbiamo potuto crederci. Non apparteniamo alla stessa razza. Un'unione fra noi è impossibile. Avete un bel tendermi la mano...

Oriano                           - Siamo figli dello stesso padre.

Pensée                           - Un padre? Io non ne ho. Chi sono mio padre e mia madre? Datemi degli occhi coi quali io li possa vedere! Sono sola. Quell'uomo che parlava qui poco fa, voi lo chiamate mio padre? Credete che gli voglia bene? Credete che voglia bene a mia madre? Sì, povera donna, le voglio bene, mi ama tanto! Sono attaccata a lei. Non posso fare a meno di lei. Ma essi non mi conoscono, ed io ho la sensazione di non saper parlare con loro ; e loro non hanno niente da dirmi. Per me, sono tutti e due un peso!

Oriano                           - Pensée, che mi siete vicina...

Pensée                           - Oriano.

Oriano                           - Ho avuto torto ad accettare l'incarico di parlarvi di mio fratello.

Pensée                           - No. Sono contenta che siate venuto.

Oriano                           - Non vi posso sentir lamentare così, come se mi chiedeste soccorso.

Pensée                           - Che ve ne importa?

Oriano                           - Altri soffrono. Ho fatto male a venire. Ed ora ho torto a trattenermi qui con voi.

Pensée                           - Bisogna sbagliare qualche volta...

Oriano                           - Altri soffrono. Ma non c'è nulla di più bello che vedere la luce.

Pensée                           - Ho sentito spesso dire così...

Oriano                           - Bella come voi siete... (Pensée gli appoggia leggermente la mano sul braccio) Ebbene?

Pensée                           - Vi ascolto.

Oriano                           - Ed anche se foste infelice come credete... Siamo giovani. La vita è schiusa dinanzi a noi; questa e l'altra, quella eterna. Ah, se non fosse che vivere e vedere! E avere gli occhi aperti, essere vivi e vedere il sole. È bello!

Pensée                           - Sì. Vedere soltanto la luce è già bello.

Oriano                           - E anche la notte, che ci fa dono di tutte queste stelle.

Pensée                           - Io non le vedo. Ascolto solamente. Non voglio vedere, ascolto. Sentite questo lieve rumore triste, lo sentite? come di piume agitate? È il terzo palmizio alla nostra destra. Ma forse se voi mi diceste: aprite gli occhi, Pensée! forse allora aprirei gli occhi e vedrei.

Oriano                           - Ed è per tenere gli occhi chiusi che siete venuta a Poma?

Pensée                           - Fatemi vedere la giustizia. Varrà la pena, per questo, di aprire gli occhi. Anch'io, anch'io sono stata portata in mezzo ai vostri dei greci: ho posato la mano su questo marmo scottante! Noi, gente dell'antica fede, li chiamavamo idoli! Per chi davvero ha conosciuto la notte, ci vuole ben altro che questo sole per essere illuminato!

Oriano                           - Cos'è dunque questa notte della quale sempre mi parlate?

Pensée                           - Mai tenebre furono più profonde. Sono un'ebrea come mia madre. Ella credeva che la rivo­luzione fosse venuta e che tutto si fosse equilibrato, e credeva che sarebbe stata accolta fra di voi! Ma io sono meglio informata.

Oriano                           - Quell'acqua che ci fa vivere, che fa vivere anche voi, ha toccato la vostra fronte.

Pensée                           - Ma non ha toccato il mio cuore! Una anima come la mia, non si battezza con l'acqua, ma col sangue!

Oriano                           - C'era in quell'acqua il sangue dì un Dio.

Pensée                           - L'ho chiesta io, forse, quell'acqua?

Oriano                           - Ma quel sangue l'avete sparso voi.

Pensée                           - Quel Dio ve lo abbiamo dato noi. Io lo so. Se c'è un Dio per l'umanità, poteva uscire sol­tanto dal nostro cuore!

Oriano                           - Infatti, ne è uscito.

Pensée                           - E voi che ne avete fatto? È per questo che ve lo abbiamo donato? Perché i poveri siano più poveri, perché i ricchi siano più ricchi? Perché i proprietari possano riscuotere i loro affittì? Perché coloro che vivono di rendita possano mangiare e bere allegramente? Perché dei re imbecilli possano regnare su dei popoli abbrutiti? e perché, dove i vec­chi re cadono, possano sorgere a rimpiazzarli dei tristi avvocati in pantaloni neri, dei bricconi, dei convul­sionari, dei professori, degli ipocriti dalle mascelle di lupo, accozzati con vecchie donne... degli uomini come mio padre? E perché sia proibito un qualsiasi cambiamento a tale stato di cose?

Oriano                           - Come li rimpiazzereste?

Pensée                           - Sarà già una bella cosa l'essersene libe­rati e aver sollevato quel velo odioso che ci acceca e ci toglie il respiro! Chissà se la luce non esista e se per vederla non basti infrangere tutti questi corpi morti che ci soffocano come una nera foresta? Non c'è rassegnazione al male, non c'è rassegnazione alla menzogna, non c'è che una sola cosa da fare contro il male: distruggerlo! Ed è per questo che io odio quella cosa che sapete e che mi separa da voi, perché è la grande soffocatrice, la grande addormentatrice. Perché vorrebbe rendere intangibili questi idoli umani, e annodare per l'eterno i vivi con i morti. Come se quello che hanno fatto la forza e l'inganno, non potesse essere disfatto dalla forza con l'inganno, come se fos­sero sacro e unte da Dio tutte queste larve austriache! Come se non fosse abbastanza aver visto per un giorno tutti questi lunghi volti esangui, voi vorreste ren­derli eterni. Ed è per questo che il mio cuore, tutto il mio cuore, è con questa Italia che si sveglia e che aspira alla sua forma naturale, e che erede di essere matura per occuparsi dei propri interessi, libera da tutte le ingerenze straniere, e incapace di più sop­portare sulla sua carne viva queste cose morte, che non hanno ragion d'essere, né ordine, né necessità! Proprio voi, che siete per me l'immagine dell'avvenire, della giovinezza, proprio voi vi schierate coi morti contro i vivi!

Oriano                           - Io non sono austriaco. Mio padre è morto combattendo contro gli austriaci. E i re, e i principi se la vedano loro con la rivoluzione, con tutta questa gente che credete tanto sicuramente viva e con tutta questa genia di deputati. I morti non hanno bisogno di me per seppellire i morti.

Pensée                           - E non è forse un morto colui che difen­dete: quell'idolo che voi chiamate Papa?

Oktano                          - Anche Cristo, del quale il Papa è l'im­magine, è un morto.

Pensée                           - Quale posto dunque egli pretende fra noi?

Oriano                           - Non più vasto che quello occorrente alla croce.

Pensée                           - Cristo non ha mai posseduto terra.

Oriano                           - Ne ha avuta abbastanza per piantarvi la croce.

Pensée                           - La croce è sofferenza.

Oriano                           - La croce è redenzione.

Pensée                           - Non vogliamo sofferenza!

Oriano                           - Chi ucciderà dunque in voi ciò che è capace di morire?

Pensée                           - Non vogliamo sofferenza.

Oriano                           - Allora non volete nessuna gioia?

Pensée                           - Non vogliamo la gioia? E lo dite a me che non vogliamo la gioia? La gioia, Oriano! Quale parola avete pronunziato!

Oriano                           - Domani sposerete mio fratello. (Silenzio).

Pensée                           - Devo credere che lo desiderate? Devo credere che desiderate questo legame fra noi?

Oriano                           - Non un legame: ma qualche cosa di irreparabile fra voi e me, è necessario.

Pensée                           - Ed è per questo che avete avuto tanta fretta di parlarmi per lui?

Oriano                           - Domani mi troverò qui solo e ascolterò nella notte il tremare dì questa palma che ci è vicina...

Pensée                           - E non vi parlerà di sofferenza?

Oriano                           - Parlerà di trionfo.

Pensée                           - E sarà un trionfo ben caro al vostro cuore, quello che avete ottenuto a detrimento del mio?

Oriano                           - Amare parole! Ecco, finalmente le ascolto da voi. Almeno una volta le avrò udite. Voi siete fatta per l'amore, Pensée, e l'amore non è fatto per me.

Pensée                           - E perché dovrei volere questo amore che voi non volete?

Oriano                           - Il bene che non posso darvi e le parole che non posso dirvi, un altro ve lo darà e ve le dirà al mio posto.

Pensée                           - Orso, vostro fratello?

Oriano                           - Quale dono vi potrei fare, Pensée, che mi fosse più caro? E che potrei donargli...

Pensée                           - Eh, si! Che potreste donargli di meglio se non questa creatura che voi non volete?

Oriano                           - Se voi mi foste indifferente, Pensée, non avrei accettato tanto facilmente di parlarvi di lui...

Pensée                           - Ditegli di non sposare un'ebrea. Do­vrebbe essere dunque lui a squarciare con me queste tenebre? Imprudente! lo potrei spengere ciò che siete riuscito a riaccendere in lui. Ma come donare ormai ciò che una volta è stato rifiutato? Queste tenebre disdegnate che io offrivo, non avendo altro da donare; quest'anima disprezzata, ma unica, la sola che la povera Pensée possedesse! Quale grande luce sarà necessaria ormai!

Oriano                           - Che posso fare, Pensée?

Pensée                           - È giusto che preferiate la vostra anima alla mia.

Oriano                           - Giusto o non giusto, poco importa. Malgrado questo vile cuore che mi tradisce; malgrado questa triste sete di felicità. Fintanto che ho abbastanza senno per rendermene conto. Ciò di cui ho bisogno, voi non potete darmelo. Lo so.

Pensée                           - Ma è vero, Oriano, che la gioia esiste?

Oriano                           - È certo che esiste dal momento che io la preferisco a voi. Esiste e il mio solo dovere è dì raggiungerla.

Pensée                           - E gli altri?

Oriano                           - Sarebbero essi più vivi se io morissi

Pensée                           - Che muoiano.

Oriano                           - Il mio dovere non è comune con loro.

Pensée                           - È contro di loro. Questo popolo, che è del vostro sangue, in quest'ora in cui chiede di vivere e che tutte le sue membra cercano, come in un corpo che risusciti, di ricongiungersi; in questo momento in cui dal sud al nord non si vuole più essere che un solo corpo ed una sola anima, siete proprio voi a mettervi contro di lui.

Oriano                           - Non posso schierarmi contro il Padre nostro.

Pensée                           - Così tra la vita e voi, tra voi e me, sempre questo anacronistico vegliardo, per il quale il tempo non procede!

Oriano                           - Ciò che è ragionevole per lui, lo è abba­stanza per me.

Pensée                           - C'è con me tutto un popolo che ha bisogno di voi.

Oriano                           - Ed io non ho bisogno che della gioia.

Pensée                           - Dov'è la gioia se non nella vita?

Oriano                           - È al disopra della vita; e chi all'infuori di lui può darla? Soltanto la natura e il Papa, che è infallibile. Ov'è la pace se non nel Papa, il quale è ovunque, e che non ha odio per alcuno? Ha forse ragione il popolo? Tutti questi ciechi urlanti? Da dove proviene la vita? Fatevi indietro! So che il mio cuore è debole, e ciò che grida in loro parla anche troppo in me. Entreremo, senza violenza alcuna, in possesso della nostra eredità.

Pensée                           - E questa eredità è forse la gioia?

Oriano                           - Eredità, veramente, è ciò che non può essere acquistato, né conquistato, né meritato. È il nostro diritto in dipendenza di un altro.

Pensée                           - E cos'è la gioia?

Oriano                           - Ciò che posso dire è che non comincia e non finisce.

Pensée                           - E perché pensare che vi sono nemica e che vi voglio del male?

Oriano                           - Non mi siete nemica, Pensée.

Pensée                           - È vero che non mi siete nemico? Che io senta da voi soltanto una parola dolce e non avrete più bisogno di porre fra noi degli ostacoli, lo so che dove siete voi non c'è posto per me.

Oriano                           - Perché non vi potrebbe essere? E poter esser felici, noi due, su questa terra, è forse il più grande dei beni?

Pensée                           - Non c'è bene per me se non mi viene da voi.

Oriano                           - Ma non è forse da me che deriva la vostra sofferenza?

Pensée                           - E voi non soffrite forse per me? Puoi dire ciò che vuoi: esiste fra noi qualche cosa che mi appartiene, e che è il mio diritto! Lo so. Qualche cosa che mi appartiene, qualche cosa che appartiene a me sola! Una parola che è soltanto mia e che nessun'altro potrà udire.

Oriano                           - Che, dunque, aspettate da me, Pensée?

Pensée                           - Una sola cosa che non potete fare, una sola parola che non potete dire.

Oriano                           - Che cosa non potrò dunque fare, bam­bina?

Pensée                           - Che io veda tutta l'anima mia nella vostra.

Oriano                           - Aprite gli occhi, Pensée, e vedrete.

Pensée                           - Non li aprirò se non quando sappia che mi avete perdonata,.

Oriano                           - Perdonarvi? Di che cosa?... (Pensée alza una mano e gli tocca leggermente le labbra, con le dita).

Pensée                           - Taci, amore mio; e quella parola che stai per pronunciare, serbala ad un altro momento, quando il corpo e l'anima si separano. Taci, e quella parola che non è parola terrena, quella parola che non ha suono e che mi dici, ecco io l'ho letta sulle tue labbra!

Oriano                           - Venite, venite qui. Voglio vedere meglio il vostro volto. (La porta verso il raggio di una lam­pada) Perché quegli occhi bassi, colomba mia? (Pensée li alza verso di lui).

Pensée                           - Sono belli?

Oriano                           - Così belli che li riconoscerei oltre la morte.

Pensée                           - Tanto belli? (Li abbassa lentamente, di nuovo).

Oriano                           - Perché nasconderli così presto? Volgili ancora verso di me, guardami ancora, amore mio!

Pensée                           - Sono cieca.

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Un chiostro di marmo bianco, con delle colonne antiche, in un convento francescano dei dintorni di Soma. In mezzo, un pozzo di marmo sul quale si elevano due colonnette. Il giardino è pieno di aranci carichi già dei loro frutti semimaturi.

 (Papa Pio è seduto sugli scalini del pozzo e tiene il braccio disteso sull'orlo di esso come un uomo acca­sciato dal dolore. Dall'altra parte, prima seduto poi in piedi, il Frate Minore. Questi ha un aspetto molto giovanile).

Il Frate Minore              - (a mezzo voce, la mano sollevata verso il Papa, nell'atteggiamento di un prete che ha dato l'assoluzione) ... E così sia! (Silenzio) Andate in pace, figlio mio. (Pausa) Il Sacramento Vi ha con­solato. Non siate triste, Beatissimo Padre.

Papa Pio                        - Fratello, perché vuoi già congedarmi? Mi fa piacere discorrere ancora un poco col figlio del Poverello. Si sta bene vicino al tuo pozzo. Lascia che ti mostri la mia umana debolezza. Sono un povero vecchio.

Il Frate Minore              - Riposate, Santo Padre, riposate... Qui con noi siete ben protetto, e qui nes­suno Vi vuol male. È il gran caldo d'oggi che Vi ha stancato.

Papa Pio                        - Ormai è sera.

Il Frate Minore              - Lasciate che vada a prendervi una brocca d'acqua, ed anche un po' di miele. È molto buono. Sono io che mi occupo delle api. Mi chiamano il Priore delle arnie.

Papa Pio                        - Rimani con me.

Il Frate Minore              - Vedendovi così desolato, io pure diventerò triste.

Papa Pio                        - E come farai per essere triste, frate Pecorelle?

Il Frate Minore              - Chi potrebbe non piangere dinanzi alla Vostra grande umiltà e alla confessione che mi avete fatta, semplice come un fanciullo?

Papa Pio                        - Mi hai parlato da saggio, fratello mio; ed ascoltandoti ho preso delle buone decisioni. Non facevi tu il pastore, un tempo? Coli'aver cura delle pecore hai imparato così bene a consolare gli uomini?

Il Frate Minore              - Mi è accaduto spesso di por­tare sulle spalle qualche pecora matta.

Papa Pio                        - Saremmo forse Noi la pecora matta?

Il Frate Minore              - Vogliate perdonare, Padre, la mia grande ignoranza.

Papa Pio                        - Tu sei il saggio pastore...

Il Frate Minore              - Non ci sono due modi di soffrire, Santo Padre, e non ce ne sono due di soffrire per gli altri.

Papa Pio                        - Queste parole mi fanno bene più che l'acqua.

Il Frate Minore              - Padre, io non ho che il mio cuore da darvi.

Papa Pio                        - Lo so. Colui che potrà togliermi il tuo amore, deve ancora nascere.

Il Frate Minore              - Santo Padre, perché tutti non Vi vogliono bene?

Papa Pio                        - Molti sarebbero contenti di vederci morto. Si rallegrerebbero e darebbero delle feste, e manderebbero doni ai loro amici esclamando: Non c'è più il Papa, finalmente. È morto quel vecchio ostinato.

Il Frate Minore              - A Roma, almeno, non c'è nessuno che pensi così.

Papa Pio                        - No, fratello mio. Il Frate Minore - Se veramente c'è qualcuno che Vi odia, sono i turchi o i tedeschi laggiù, o i russi o alcuni cattivi francesi rivoluzionari, o i cinesi, i quali - ci hanno detto - portano il codino, ed abbiamo riso di cuore. Ma noi che viviamo vicino a Voi e sui gradini della Vostra casa, Vi conosciamo bene. E non contano pochi poveri fratelli immalinconiti e ossessionati dal demonio. Dio abbia pietà dell'a­nima loro tormentata!

Papa Pio                        - Fratello mio, bisogna subito, stasera stessa, innalzare una preghiera per Noi a San Fran­cesco e alla Madonna.

Il Frate Minore              - Sì, lo farò.

Papa Pio                        - « Non recuso laborem ». Ma prima che si compia, l'evento che Noi aspettiamo, prima di ricevere dai Nostri figli questo terribile colpo, voglia, pietosamente Iddio farci raggiungere i Nostri pre­decessori.

Il Frate Minore              - Santo Padre, a colui che è morto in Dio poco importa di essere vivo o no, ma­terialmente.

Papa Pio                        - Sappiamo che grande è l'infermità Nostra e piccola la Nostra virtù.

Il Frate Minore              - Ci sono ora degli angeli che pregano per Voi, in cielo e sulla terra.

Papa Pio                        - Non è forse scritto che il Padre dimen­tica tutte le altre pecore per una sola che si svia? Che farò io quando dovrò comparire dinanzi a Dio alla testa di quest'armento decimato? E che non avrò per me altra scusa se non quella di dire: Non è colpa mia?

Il Frate Minore              - No, non è colpa vostra.

Papa Pio                        - Volesse il Cielo che gravasse tutta intera su di Noi e non su di loro!

Il Frate Minore              - Poveri amici, la loro igno­ranza è grande.

Papa Pio                        - Dinanzi a loro sono disarmato. Troppo facile è colpirmi.

Il Frate Minore              - L'odio non è per Voi, ma per una vana immagine di Voi che essi si sono formata.

Papa Pio                        - Quale arma posso adoperare contro i miei figli? Troppo facile è trafiggere il cuore d'un padre. È ben triste per un padre essere odiato dai suoi figli.

Il Frate Minore              - Così piangeva David su suo figlio Assalonne.

Papa Pio                        - Fratello mio, tu che sei vicino a Dio, dimmi perché il mondo Ci odia.

Il Frate Minore              - Odiava anche Gesù Cristo.

Papa Pio                        - Sono qui appoggiato a questo pozzo come una volta lo fu Nostro Signore a quello di Giacobbe. Si direbbe che non c'è nulla di cambiato dopo mille e ottocento anni. Il sole è allo stesso posto. Samaria è sempre la stessa e il vicario di Cristo non è meno abbandonato del Figlio dell'Uomo. È come se Egli non fosse giunto. Tutto quello che è stato detto è come se non fosse stato detto. Tutto ciò che è stato fatto è come se non fosse stato fatto. Tutto quello che si è sentito è come se non si fosse sentito.

Il Frate Minore              - La Samaritana è già in cam­mino.

Papa Pio                        - Dio benedica questa portatrice d'acqua.

Il Frate Minore              - Quando tutti i pozzi saranno seccati, essa ci darà ancora dell'acqua.

Papa Pio                        - Dicono che non hanno sete; dicono che non è una sorgente; dicono che non è acqua, dicono che non è l'idea che essi si sono fatti di una sorgente e dell'acqua; dicono che l'acqua non esiste. Quanto a Noi, non sappiamo che questo: ch'essa dà la vita e che niente può vivere senza di lei. Se questo è vero, non è colpa Nostra. Perché dunque Ce ne fanno un rimprovero? E perché dicono che non ci si può arrivare, dal momento che questa fonte dei Patriarchi è perfettamente visibile, anche se i suoi muri sono del colore della terra e che da lontano possa sembrare una tomba? Perché costoro preferi­scono morire? E perché io, vecchio inutile, non mi trovo in un luogo così angusto ove non possa vedere questo deserto ove muoiono i miei figli?

Il Frate Minore              - Ma anche Voi, Santo Padre, anche Voi avete un Padre nel quale rifugiare il Vostro volto.

Papa Pio                        - Saranno essi più felici perché non hanno più Padre? Se io non sarò loro vicino, in chi saranno fratelli? Ci sarà fra di loro più concordia

e più amore?

Il Frate Minore              - Non dipende da loro la pos­sibilità di non essere più Vostri figli.

Papa Pio                        - Che cosa Ci rimproverano? Non siamo stati Noi a fare il Cielo e la Terra. E tanto meno siamo stati Noi a fare il peccato. Colpa nostra? È penoso vedere l'odio nei loro occhi. È penoso sen­tirli bestemmiare tutto il giorno e dire malvagità contro Dio. Perché vogliono rendere responsabile della loro infelicità. Noi, che non sappiamo dare altro che la vita. Se ci ascoltassero, se avessero fiducia, non vi sarebbe cosa che Noi non sapremmo spiegare. Si è forse mai abbastanza maturi da fare a meno del proprio Padre? Si è forse mai abbastanza vecchi per fare a meno dei nostri figli? E se uno solo di questi perisse, l'amore di tutti gli altri non saprebbe con­solarcene.

Il Frate Minore              - Pregate.

Papa Pio                        - Se almeno riuscissimo a comprendere ciò che li allontana da Noi. Ahimè, se quello che essi si propongono di porre al posto di ciò che Noi sap­piamo, avesse qualche bellezza o qualche verosimi­glianza! Mai il vecchio Predatore si è così poco preoc­cupato di nascondere la sua insidia. Non offrono loro né il piacere, né il frutto che fa divenire simili a Dio, ma la nuda morte, la disperazione, il Nulla. Noi non possiamo render falso ciò che è vero.

Il Frate Minore              - Santo Padre, se Voi foste vicino ad ognuno di loro, come siete ora vicino a me, essi indubbiamente Vi capirebbero.

Papa Pio                        - Dove siamo mai, fratello mio!

Il Frate Minore              - Essi non vi vedono che sul Trono, in mezzo a spade fiammeggianti, la fronte cinta dalla Tiara, coi fulmini in mano della scomunica.

Papa Pio                        - Esiste tuttavia un altro posto nel quale Noi siamo sempre...

Il Frate Minore              - Dove, Santo Padre?

Papa Pio                        - Ci troverebbero facilmente se Ci cer­cassero dove siamo.

Il Frate Minore              - Dove siete, dunque?

Papa Pio                        - Ai loro piedi, con Nostro Signore.

Il Frate Minore              - Infatti si dice del Papa che è il servo dei servi.

Papa Pio                        - Il posto che è veramente Nostro è il più basso, fra tutti quelli che gli uomini occupano. È là che Noi sediamo in eterno a supplicarli per la salvezza dell'anima loro e per la liberazione della Nostra.

Il Frate Minore              - Ringrazio Iddio di non essere che un povero fraticello.

Papa Pio                        - Ed ora ecco, essi non si accontentano più di ciò che è Nostro: reclamano da Noi la Nostra eredità, come se fossimo morti.

Il Frate Minore              - Dategliela, dategliela, Santo * Padre. È sì piacevole il donare ed è così bello non possedere niente! A chi ci chiede l'abito, diamo anche il mantello. Se qualcuno ci costringesse ad andare con lui a Sant'Agnese, dovremmo accompa­gnarlo volentieri fino a Viterbo.

Papa Pio                        - Fratello mio, tu non mi consigli da uomo saggio.

Il Frate Minore              - Non è forse l'Evangelo che parla in tal modo?

Papa Pio                        - Quando eri pastore, potevi pure di­sporre delle pecore che facevi pascolare? Avresti potuto donarle a qualcuno?

Il Frate Minore              - No. Questo è vero.

Papa Pio                        - E se un inglese ti chiedesse quella bella caldaia, di cui sei così fiero, nella quale fai cuocere i pasti della comunità, e che è fregiata dello stemma di un cardinale... avresti forse il diritto di vendergliela?

Il Frate Minore              - Sarebbe un grave peccato.

Papa Pio                        - Così io non ho più di te il diritto di donare ciò che non mi appartiene: ciò che non è Nostro, ma di tutti i Nostri Predecessori con Noi, e di tutti i Nostri Successori con Noi, ciò che è di tutta la Chiesa, che è dell'Universo con Noi.

Il Frate Minore              - Ebbene, che si prendano quello che Voi non potete donare!

Papa Pio                        - È proibito appropriarsi di una cosa che non ci appartiene.

Il Frate Minore              - Sarà di loro proprietà una volta che l'avranno presa. E andrà a far parte -ahimè! - di quel loro patrimonio di cui sono così soddisfatti. Da parte Vostra non avete forse fatto ciò che era in Vostro potere? Rallegratevi: il Vostro fardello è alleggerito. E pregate, affinché Dio trovi il modo di mettere a posto i conti con questi poveri figli.. Santo Padre, il mondo diventava troppo esi­gente, una macchina troppo complicata. Chi se ne vuole occupare, bisogna che sia troppo schiavo. Mai fardello fu più pesante; rallegratevi che Dio ha voluto sollevarvene. Ecco Vi come un povero curato ridotto alla sua parrocchia. EccoVi un vero Francescano come noi. Ecco che il Serafico di Assisi ha ottenuto la povertà per il Papa di Soma.

Papa Pio                        - La povertà amara è quella dell'amore perduto dei miei figli.

Il Frate Minore              - Ciò che loro non Vi danno, Iddio stesso Vi darà. Sono queste le Vostre buono decisioni? È questo quello che avete promesso poco, fa al vostro confessore? Anche Voi avete un Padre. Credete che egli sia lieto di vederVi sì rattristato, per il- dono che Vi ha fatto di una spoliazione simile alla sua? Questi istanti che Vi sembrano tanto duri, fanno parte tuttavia dell'Anno di Grazia e del tempo della Buona Novella. Per le cose buone che non pos­siamo donare dimenticheremo forse quelle che ab­biamo ricevute? Santo Padre, che cosa fa colui che non ha più peccati? Canta! Come la Venerabile Cri­stina sul suo letto di martirio, con le sue labbra immobili, col suo cuore simile a un sole all'oriente, in quel corpo mezzo distrutto, tanto da farla rico­noscere come un uccello fra altri uccelli... Una melodia giubilante, mai interrotta per una ripresa di respiro, si innalzava come il canto di un serafino in estasi! Come il nostro fratello Pacifico che con due pezzetti di legno raccolti in fondo al parco si era fatto un violino sul quale sapeva suonare meglio'di un vir­tuoso; e soltanto Dio e lui stesso potevano ascoltare la musica che egli ne traeva.

Papa Pio                        - Fratello mio, tu dici il vero.

Il Frate Minore              - Articolo primo della teologia, di quella che faccio alle mie api. Anzi, bisogna che vada ad occuparmi di loro. È tempo. La Vostra bene­dizione, Santo Padre. Ecco i Vostri due nipoti che si avvicinano per parlarVi. (Esce. Entrano Oriano e Orso. L'uno dopo Vèltro s'inginocchiano dinanzi al Papa e gli baciano la mano).

Papa Pio                        - Sono contento di vedervi, figli miei.

Orso                              - Santo Padre, reco a Voi un uomo ostinato perché gli facciate intendere ragione.

Oriano                           - È lui che ha perduto la ragione, e bisogna che gli sia imposta la Vostra volontà.

Orso                              - Ha finito per arrendersi quando gli ho proposto di sottomettere la questione al Vostro giudizio.

Papa Pio                        - Vi ascolto.

Oriano                           - Da dove cominciare, Orso? Ma io so quello che il nostro Santo Padre deciderà. Era inu­tile venire fin qui.

Orso                              - Santo Padre, egli ha ventotto anni, ed io non ho che un anno meno di lui. Ma egli è più saggio di me. Io mi intendo più di cavalli e di armi che di libri.

Oriano                           - Egli dice cose tanto insensate che sarebbe meglio non rispondergli.

Osso                              - È lui che mi ha riportato a voi, Santo Padre, quando mi smarrivo tristemente.

Oriano                           - Non io, Orso, ma la grazia di Dio, e le preghiere di nostra madre, e il buon sangue che scorre nelle tue vene.

Orso                              - Padre, è il mio fratello maggiore. È grande. Gli voglio bene. Lo ammiro. Tutto deve essere deciso da lui. Io lo seguo. Dio ha tutto disposto perché io sia suo fratello minore, sempre il secondo dopo di lui. Per aiutarlo, per amarlo, per fare ciò che egli dice; e non per portargli via ciò che è suo e per dargli dolore.

Papa Pio                        - So che sei un bravo ragazzo, caro Orso.

Osso                              - Allora perché devo prendergli la donna che ama"?

Oriano                           - Santo Padre, non ascoltatelo.

Orso                              - Ah! Ce n'è voluto a strappargli quella confessione! Lo vedevo così triste e chiuso. E so che anche lei lo ama.

Oriano                           - Che sciocchezze!

Papa Pio                        - E vero, Oriano? Siete già così grandi e a me sembra di vedervi ancora piccini. Ora volete prendere moglie. 11 vecchio Padre non vi basta più?

Orso                              - Sì, Santo Padre. Ma noi saremo sempre con Voi.

Oriano                           - Padre, Vi vorrei spiegare... Orso si è pazzamente innamorato di una certa persona. E poiché non osava parlarle, ha incaricato me. d'infor­marla dei suoi sentimenti. Ed io, per debolezza, e più ancora seguendo un impulso folle, ho acconsentito.

Orso                              - Me lo rimprovero, Oriano. Ho avuto torto. Avrei dovuto sapere che ove si dirige il mio cuore, il tuo non può mancare.

Oriano                           - Fu a quella festa che dette il principe Wronsky. Dunque io... parlai a quella fanciulla. Ah! Fui anche troppo orgoglioso, troppo severo, troppo sicuro di me! Tutto quello che esisteva nel mio essere e che io non sapevo, via via che ella par­lava, si trasformava in me e diventava musica! Non era permesso che la vita dovesse essere così facile per me. Qualcuno si è incaricato di mettervi buon ordine. Non è forse strano che alla vista di quel volto affascinante, senza che io sappia come, qualche cosa in me siasi messo a cantare? Sì, qualche cosa che abbia prodotto una musica, ed una musica sì triste, inebriante ed amara? Tutta una parte di me stesso, di cui ignoravo l'esistenza e alla quale non pensavo, occupato com'ero altrove. Ah! mio Dio! ella esiste, ella vive terribilmente! E non posso più togliermi dal pensiero le parole di lei. Ma, nonostante tutto, ci riuscirò.

Papa Pio                        - Sì, bisogna riuscirci.

Oriano                           - Avrei voluto tenere per me quella nostra conversazione. Avrei voluto tacere, fuggire. È stato lui a non lasciarmi pace, e che ha voluto gli dicessi tutto. Almeno non lo avrò tradito.

Orso                              - Ed io non ti tradirò. Santo Padre, libe­ratelo da quegli scrupoli assurdi. Egli crede vera­mente di potermi obbligare a sposare una persona che lo ama e che non mi ama.

Oriano                           - Ti amerà, Orso.

Orso                              - Ed io dovrò prendermi ciò che è tuo? E dovrei costruire la felicità della mia vita sulla infelicità della tua? Non è questo che ci siamo giu­rati. Non varrebbe la pena di essere fratelli se non fossimo buoni amici.

Oriano                           - Tutto quello che mi dici, Orso, anch'io potrei dirtelo.

Orso                              - Ma ella non mi ama. Ama te. Ed ha ra­gione. Non ti sacrifico nulla. Io sono un soldato. Sarebbe ridicolo che mi formassi una famiglia. Per questi quattro giorni che posso disporre del mio corpo integro! C'è per l'aria la promessa di avveni­menti che non consentono agli uomini del mio stampo di raggiungere l'età di Matusalemme.

Papa Pio                        - Questa fanciulla non ha dunque occhi per scegliere da sé tra voi due?

Oriano                           - Appunto: non ha occhi.

Papa Pio                        - Cieca? È la figlia del conte De Coufontaine.

Oriano                           - L'ambasciatore di Francia, sì.

Papa Pio                        - Una tradizione dice che un tempo una signorina De Coufontaine salvò il nostro Pre­decessore.

Oriano                           - Lo so.

Papa Pio                        - Sapete che suo padre Ci è nemico, unito segretamente a tutti ì Nostri persecutori?

Oriano                           - Non voglio sapere niente di lui.

Papa Pio                        - E che sua madre è nata ebrea, e che la bambina è cresciuta in un ambiente ostile a Cristo?

Oriano                           - Santo Padre, è cieca.

Papa Pio                        - E voi che avete negli occhi la luce, volete sposare una cieca?

Orso                              - Come spiegarmi? Non bisognerebbe avere il senso dell'onore. Questa sua inferiorità mi dà un diritto su di lei, un dovere verso di lei. C'è qualcosa in me, a cui lei non poteva rinunciare. Non occorre che si formi un'immagine nei suoi occhi perché essi mi vedano.

Oriano                           - Avete sentito?

Papa Pio                        - E tu che dici?

Oriano                           - Santo Padre, non è colpa mia. Che fare? Fin quando sarà necessario che le donne esi­stano per dare a noi la dolce sensazione di essere loro figli, esse conserveranno il pieno dominio nel cuore dell'uomo. Chi sarebbe restato insensibile veden­dola così vacillante e cieca e sperduta in mezzo alle tenebre inesorabili, e invocante, tendermi le brac­cia? La prima persona, nella vita, che mi chiama e mi cerca, come una che sia più debole e tuttavia più forte, con quel viso che è nello stesso tempo assente e necessario, con una deliziosa autorità... Nello stesso modo che un uomo dopo un lungo esilio ritrova la terra natale e col cuore in tumulto, nella notte profonda, riconosce che quella è la sua patria,

                                     

Papa Pio                        - Non abbiamo, quaggiù sulla terra, una vera patria.

Oriano                           - Santo Padre, noi siamo nelle Vostre mani. Tutti e due contemporaneamente abbiamo tro­vato una creatura che non cercavamo. La portiamo a Voi, Padre. Diteci Voi che cosa dobbiamo fare di questa nostra piccola sorella.

Papa Pio                        - È un consiglio che mi chiedete, figli miei? Io non posso scrutare nei vostri cuori, e voi sapete che il matrimonio è un sacramento di cui la sposa e lo sposo sono i soli ministri.

Oriamo                          - Dateci un consiglio.

Papa Pio                        - In tutto ciò che dite non ravviso che la passione e i sensi, e nessuno spirito di prudenza e di timor di Dio. Quella ragazza vi è piaciuta e altro non vedete. Ma il matrimonio non è affatto il piacere, è il sacrificio del piacere, è lo studio di due anime che per sempre, e per uno scopo che è al di fuori di esse, dovranno accontentarsi Luna dell'altra. È una cosa importante, che esige riflessione e il consiglio degli anziani. È come fondare una città; una casa, chiusa nella quale un tempo si custodivano il fuoco e l'acqua.

Osso                              - Padre, se si riflettesse tanto, ci sarebbero pochi matrimoni al mondo e poche città.

Papa Pio                        - Ecco il soldato che parla superficial­mente di queste cose.

Orso                              - Padre, non sono i vecchi che si sposano, sono i giovani.

Papa Pio                        - Cosicché se tu non temessi di far sof­frire tuo fratello, i Nostri consigli non ti farebbero mutar parere?

Orso                              - Ci vorrebbe un ordine categorico. Se no Vi risponderei che non siete Voi che dovete sposarvi, ma io, un povero diavolo pronto a subirne le conse­guenze.

Papa Pio                        - E che questa fanciulla non ti ami, neppure questo ti basta? Andiamo, sii sincero.

Orso                              - Padre, poiché lo volete, per dire la verità, neppure questo mi basterebbe. Dal momento che io l'amo, perché non mi dovrebbe amare? Dal momento che mi sento capace di prendere la responsabilità della sua persona, perché non dovrei farlo? Questo non basterebbe ad Orfano, perché egli non è abba­stanza paziente né abbastanza semplice. E non c'è niente a cui non si possa arrivare con la pazienza, la dolcezza, la simpatia e con un po' di fermezza e di abilità.

Papa Pio                        - Una madre che non vedrà i suoi bambini.

Orso                              - Ma i suoi bambini vedranno lei.

Papa Pio                        - Una famiglia che tu conosci... suo padre e sua madre... Neppure a questo hai pensato?

Orso                              - Preferirei che la figlia non fosse cieca e che la famiglia non fosse tarata, ma che farci? Quando si dà battaglia non si sceglie sempre il luogo e l'ora. Quando si trova una città, non si è sicuri che vi passerà la ferrovia. Un uomo di cuore non può essere fermato da difficoltà di questo genere. Egli è inca­pace di compiere atti che non giudichi necessari.

Papa Pio                        - La fanciulla è ricca e tu sei povero.

Orso                              - Tanto meglio per la città che fonderemo! Il suo patrimonio non sarà mai tanto importante quanto l'uso che io ne saprò fare.

Papa Pio                        - Tu non fonderai proprio nulla, perché tuo fratello sposerà colei che ami.

Orso                              - Ecco ciò che bisogna ordinargli categori­camente.

Papa Pio                        - E non morirai di dolore?

Orso                              - Io non morirò che quando mi romperanno la testa. E ci vorrà un buon colpo! Non sarà certo una ragazzina che sottrarrà un ufficiale alle armate della Santa Chiesa.

Papa Pio                        - Orfano, che possiamo mai fare di fronte a un uomo risoluto come costui? Non si può che lasciarlo libero di agire come crede.

Orso                              - Non aspettavo altro consiglio dalla Vostra saggezza.

Papa Pio                        - Povero ragazzo! Troppo tu l'ami. Guarda, tu, così orgoglioso della tua forza, che cosa possa fare di noi una fragile creatura, quando la mano di Dio ci abbandoni.

Oriano                           - È forse perché l'ama troppo che gli consigliate di non sposarla?

Papa Pio                        - Non perché l'ami troppo, ma perché non l'ama abbastanza.

Orso                              - Non Vi capisco.

Papa Pio                        - Non vuol dire amare qualcuno il non dargli ciò che c'è di meglio in sé.

Orso                              - Cosa ci può essere di meglio che un amore corrisposto?

Papa Pio                        - Ciò che ella ama non è quell'Orfano che io solo conosco.

Oriano                           - Non quello, Padre mio, ma un altro, ben più forte.

Papa Pio                        - Lo so, povero figlio mio.

Orso                              - Così con tutto il bene che gli voglio, dovrei dargli - proprio io - il dolore più grande; dovrei togliergli ciò che per lui è più prezioso?

Oriano                           - Te lo chiedo io, Orso.

Orso                              - Non ti darò ascolto.

Oriano                           - A chi dunque potrei affidare quello che ho di più caro al mondo?

Orso                              - Abbandona dunque colei che ti chiama e che non ha che te! A deludere il suo cuore, le sue tenebre non sono sufficienti.

Oriano                           - Taci, Orso, mi fai soffrire.

Orso                              - Bisogna che tu la sposi.

Oriano                           - Il Santo Padre mi dà un altro consiglio.

Orso                              - Puoi permettere che ti si privi di ciò che è tuo?

Oriano                           - Non vi sarebbe intesa possibile fra noi, se io la sposassi, Orso. Ciò che essa mi chiede io non posso darle. Chiede la mia anima ed io non posso assolutamente dargliela, poiché io stesso non la possiedo.

Orso                              - Ed a me, Padre, che cosa consigliate?

Papa Pio                        - Non hai detto poco fa di non aver bisogno di consiglio?

Orso                              - (a Oriano) No. Non posso farti questo torto.

Oriano                           - Non mi fai nessun torto. Sii per quell'anima ottenebrata la guida che io non posso essere. Da me ella non chiede luce: vorrebbe soltanto divi­dere con me le sue tenebre. Evitarmi queste tenebre non è un torto che mi fai; e non è un torto - no - donare a lei la luce, se lo puoi... La luce crudele!

Papa Pio                        - La luce non è" crudele.

Orso                              - Addio, Santo Padre. (Oli bacia la mano) Addio, Oriano. (Esce. Silenzio).

Papa Pio                        - Figlio mio, non tenermi rancore. C'è già troppa gente che mi odia.

Oriano                           - Non vi tengo affatto rancore.

Papa Pio                        - Ma dimmi, sono dunque così forti questi affetti terreni?

Oriano                           - Vedo un volto che si volge verso il mio: un bel volto, Padre, un povero volto che non vede.

Papa Pio                        - Ti vedrà più tardi.

Oriano                           - Sento una voce che dice: Oriano, non mi riconosci?

Papa Pio                        - Non devi ascoltarla.

Oriano                           - Vedo ancora una volta quella sua espressione, la gioia che poco a poco si sostituisce al dubbio, quella mescolanza commovente di desi­derio e di vergogna e di dignità virginale.

Papa Pio                        - Sii forte.

Oriano                           - Vedo quella testa che si abbassa, sento quella voce che dice a fior di labbra: Oriano... e poi ancora... ed ancora sì debolmente che appena posso udirla... (Silenzio).

Papa Pio                        - Piangi, figlio mio. Ti farà bene.

Oriano                           - Non piango.

Papa Pio                        - Perdonami se ti ho parlato non in mio nome, ma in nome di quello che c'è in te di più profondo. Fra poco il Vecchio importuno cesserà di esistere. Rimani con me almeno tu, figliol mio predi­letto, nell'ora del martirio e della spoliazione che si avvicina. Rimani con me, quando tutti stanno per ripudiarmi.

Oriano                           - Rimango con Voi. Ho fede in Voi. Credo che sia bene tutto ciò che mi consigliate.

Papa Pio                        - Sono io solo a consigliarti?

Oriano                           - La Vostra voce non avrebbe tanta autorità, non mi obbligherebbe a così grandi sacri­fici se non rispondesse a quello che esiste di più forte in un uomo: a ciò che deve fare e per cui sa di essere stato messo al mondo, a ciò che l'ha obbli­gato a nascere, a ciò che esiste di più forte in un uomo il quale chiede l'azione e non la felicità! Devo sapere.

Papa Pio                        - Dio non è forse una realtà per te?

Oriano                           - Devo andare verso di Lui direttamente?

Papa Pio                        - Non raggiungerai Iddio prima d'es­serti sbarazzato di ciò che devi agli uomini. Per questo ho messo Orso fra la felicità e te.

Oriano                           - Orso! il mio amato Orso, tanto buono e generoso! Come è convinto di darmi la felicità get­tandomi fra le braccia di quell'ebrea, che egli ama e che io pure amo, per mia disgrazia! E non si rende conto che essa rappresenta per me il pericolo, la notte, la fatalità!

Papa Pio                        - Ora te ne abbiamo liberato.

Oriano                           - Un tempo ci fu una certa Sygne de Coufontaine che salvò il Papa a prezzo della vita, e anche di più! Ed ora, Santo Padre, ecco la sua discendenza che ritorna a Voi ed a me con le pretese di una creditrice.

Papa Pio                        - Hai paura di quella povera ragazza? Vana superstizione! Alza gli occhi! Solleva il cuore! Sii forte. Senti lo squillo della tromba maggiore che ti chiama! E ti ripeto che non avrai pace prima di avere regolato i tuoi conti con gli uomini, prima di non aver pagato tutto quello che devi agli uomini. (Si alza con fatica) Oriano, figlio mio, quello che io non ho potuto fare, fallo tu che non hai il peso di questo trono al quale sono inchiodato per meglio sentire il grido di disperazione di tutta la terra! Quale supplizio esservi inchiodato, quando tutto il mondo soffre, mentre si sa di avere in sé il potere della salvazione! Fallo tu che non hai questa veste davanti alla quale, per un influsso diabolico, tutti i cuori si allontanano e si chiudono! Parla tu a costoro, tu che parli lo stesso linguaggio, tu che conosci ogni piega di quelle anime. Fa' che essi comprendano di non avere al mondo altro dovere che la gioia! Quella gioia che noi conosciamo, che è Nostro compito dar loro. Fa' che essi intendano che non è questa una parola vaga, un insipido luogo comune di sagrestia, ma un'or­ribile, superba, assurda, allucinante e impressionante realtà! E che tutto il resto è niente al confronto. Qualche cosa di umile e di materiale e di vivo, come il pane che si desidera, come il vino che essi trovano tanto buono, come l'acqua senza la quale non si può vivere, come il fuoco che brucia, come la voce che risuscita i morti. La mia anima è con la tua, figlio mio. Fa' che essi lo comprendano, Oriano.

Il Frate Minore              - (che è entrato da un momento) C'è alla porta del convento una compagnia di signore e di cavalieri, la moglie e la figlia dell'am­basciatore di Francia, mi sembra... (A Oriano) E c'è con loro anche il signor Orso che vi prega di andare da lui.

Oriano                           - Non posso.

Il Frate Minore              - Mi ha raccomandato di insi­stere. Vuole proprio che andiate. (Silenzio).

Oriano                           - No, non posso. Dite a quei signori che non posso.

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

Le rovine del Palatino. Una sera sul finire di set­tembre del 1870.

 (Sono in scena Oriana e Orso de Homodarmes).

Orso                              - Non essere così triste, fratello mio. Già, non è divertente essere fra i vinti. Anzi, non avrei mai creduto che fosse tanto spiacevole. Quell'ufficiale che raccoglieva le nostre armi e che mi rideva sul naso! Mi ha riconosciuto e anch'io l'ho riconosciuto. Un vecchio compagno... Mio Dio, non fare quella faccia.

Oriano                           - La rivoluzione è entrata a Roma, anche a Roma. Le campane non hanno più lo stesso suono per me.

Orso                              - Tante cose Roma ha visto entrare e uscire. Fra le altre, il mio futuro suocero. Una rivo­luzione a Parigi, un'altra a Roma, è troppo per un discendente da giacobini; e questa cosa mostruosa non è accaduta che troppo rapidamente. Si è tro­vato senza posto. Senza posto, capisci? Non più di quanto ne potrebbe avere sulla terra un puro spirito. Eppure il vecchio sangue repubblicano si è prontamente risvegliato: è morto il suo collega di Londra, e questa notizia gli ha dato le ali. L'ho accompagnato alla stazione stamani. Dice di amarmi come un figlio. S'è levato il sigaro di bocca per dirmelo.

Orzano                          - Spero che arriverà a Parigi prima dei prussiani.

Orso                              - I prussiani? Che cosa contano i prussiani? L'importante è il collega di Londra che è andato all'altro mondo. È questo che gli sta a cuore. La Francia non è concepibile senza un Turelure che la serva.

Oriano                           - Povera Francia! Ebbene, aiuteremo il suocero in questo compito.

Orso                              - È stata proprio una buona idea, la tua, di arruolarci. Quella piccola scarica di piombo a Porta Pia mi ha scaldato il sangue. Ardo dal desiderio di avere un fucile fra le mani.

Oriano                           - E il tuo matrimonio?

Orso                              - Il mio matrimonio sarà quello che Dio vuole! Da un anno che le faccio la corte, mentre tu passeggiavi sulle coste africane, ho ottenuto vera­mente poco. Però, devo dire che ieri improvvisamente mi ha dichiarato di volermi sposare.

Oriano                           - Ieri?

Orso                              - Proprio ieri. Ti sorprende? Pensa alla mia meraviglia. Forse la notizia della mia partenza ha parlato alla sua piccola immaginazione. Sì, da quando ho avuto la fortuna di annunciarle che par­tivo per la guerra, mi è sembrato di cominciare a interessarla.

Oriano                           - Cosa ti ha detto?

Orso                              - Mi ha domandato se partivi anche tu.

Oriano                           - Io non ti ho chiesto di partire con me.

Orso                              - Bravo! E io, ti avrei lasciato partir solo! Un soldato inesperto come te. Non hai niente da dirle?

Oriano                           - Dille addio.

Orso                              - Breve, ma eloquente.

Oriano                           - Sii tu eloquente per me.

Orso                              - (mettendogli una, mano sul braccio) Oriano, ella è qui e ti vuol parlare.

Oriano                           - Cos'è questo tranello?

Orso                              - Ha voluto lei che la portassi qui.

Oriano                           - Vi siete messi d'accordo?

Orso                              - E quand'anche fosse?

Oriano                           - Ho promesso di non rivederla più.

Orso                              - Fra otto giorni saremo tutti e due sul campo di battaglia. (Silenzio).

Oriano                           - Tu lo vuoi, e sia. Non sono capace di dire di no a nulla. Hai scelto bene il luogo e il momento, queste rovine, questa giornata coperta di settembre che ci mostra come tutto sia finito e come del resto tutto fosse inutile. Sì, la rivedrò. Voglio ri­vederla. Che venga. Manco alla mia promessa. Perché dovrei essere io il solo a non essere vinto?

Orso                              - Fra otto giorni, Oriano mio, saremo al campo; questo è certo. E forse fra dieci saremo morti, e allora saremo tranquilli. Bisogna che tu le parli prima di andartene, in ogni modo. Tutto ciò che dovete dirvi è necessario che sia detto. (Esce. Entra Pensée).

Pensée                           - Se mi dovete parlare duramente; se devo sentire dalla vostra bocca parole alle quali anche troppo sono preparata; se la ragione del vostro silenzio è quella che troppo facilmente, posso imma­ginare; se il cuore che per un momento mi fu aperto, si è chiuso; se quella voce che ho sentito dal fondo della mia notte, nella quale sono ravvolta fin dalla nascita come in un velo ; se quello sposo che una volta mi parlò misteriosamente in una sera di maggio dicendo una sola parola - ma che mi è bastata - una sola parola: Amore mio, ma che mi è bastata, e che mi fu detta, povera anima, perché fossi sua per sempre; se quello sposo deve ritornare a me, dopo sì lungo silenzio, per giudicarmi e respingermi... vi prego, Oriano, risparmiatemi. Un solo cenno, un solo movimento mi basteranno. Bisogna che almeno il tono non sia troppo severo e la parola che deve allontanarmi da voi per sempre: « Vattene », ditela sommessamente: così sommessamente come una dichiarazione d'amore. « Vattene » e basterà.

Oriano                           - «Vattene» e soltanto questo, Pensée?

Pensée                           - « Vattene » lontana da me, Pensée. . « Vattene », moglie mia; «Vattene », amore mio.

Oriano                           - Pensée, non posso dirti « Vattene ».

Pensée                           - Perché mi avete lasciata? Perché questa lunga assenza?

Oriano                           - Ho viaggiato. Son tornato a Roma soltanto l'altra settimana: due giorni prima che vi entrassero i piemontesi, gli amici della vostra famiglia.

Pensée                           - Vi ho già preso la casa. Ora vi por­to via la vostra città. E abbiamo relegato in un luogo dal quale non può più uscire colui che chiamate: Padre.

Oriano                           - Me, non mi prenderete.

Pensée                           - Volete che prenda vostro fratello?

Oriano                           - Ci pensa la guerra a prenderci tutti e due.

Pensée                           - Dunque è vero? Partite?

Oriano                           - Sarei forse qui se non dovessi partire?

Pensée                           - Sì. Come potreste essere vicino a me se non in un sogno?

Oriano                           - Mio fratello ritornerà per voi.

Pensée                           - E lo sposerò allora?

Oriano                           - Allora io sarò certamente là dove le cose non fanno più soffrire.

Pensée                           - Ma siete stato voi che gli avete imposto di sposarmi.

Oriano                           - Fra poco, indipendentemente da questo, ci sarà fra noi una separazione definitiva.

Pensée                           - Quando sarò morta, Oriano?

Oriano                           - (violentemente) E che voi apparteniate ad un altro; non capite che questo, per me è più che la morte.

Pensée                           - L'avete voluto voi.

Oriano                           - Sì.

Pensée                           - Non ho più orgoglio. Chi sono dopo tutto, io per dire: no? Vale dunque tanto il mio corpo? Come posso rifiutargli quello che lui (indica Orso) mi chiede?

Oriano                           - Lo amerete quando sarete sua. (Pausa).

Pensée                           - Oriano, vi rendete conto di ciò che sia una cieca? Se alzo la mia mano, non la vedo. Quella mano non esiste per me se non quando qualcuno la prende e mi dà il senso della sua esistenza. Sola, sono come qualcosa che non ha corpo, nè posizione, né forma. Soltanto quando arriva chi mi prende e mi stringe fra le braccia, allora soltanto mi accorgo di esistere. E mi riconosco attraverso quest'altro essere. Non mi conosco se non mi dò a lui. Non comincio ad esistere se non tra le sue braccia.

Oriano                           - È così che vi darete a lui?

Pensée                           - Deve essere così, Oriano? Ditemelo. (Silenzio).

Oriano                           - No, Pensée. Mia, mia soltanto. (Si­lenzio) Non parlate?

Pensée                           - Ci sono delle parole che impiegano del tempo ad arrivare a noi.

Oriano                           - Il vostro cuore non le intende?

Pensée                           - Chi è assuefatto al dolore non è pronto ad avere la sensazione della gioia.

Oriano                           - Fra poco saremo divisi, ben divisi questa volta; e se aspettate da me che vi dia del dolore, quello che ci attende può bastare.

Pensée                           - È necessario separarci, Oriano?

Oriano                           - È necessario che io non sia un uomo felice! È necessario che non sia un uomo soddisfatto! Il Santo Padre, or è un anno, mi diceva di andare verso gli altri. Gli altri? Quali altri? Che cosa m'im­porta degli altri? Qual bene posso io fare a costoro? Cosa posso dire? Cosa posso donare, quando io stesso manco di tutto? Io non ho verso di loro che un dovere: quello di compiere il mio.

Pensée                           - Quale?

Oriano                           - Non è forse morire, quando si è ciechi, il fatto di sapere che il sole esiste e che fra tanti raggi che brillano come spade attorno ad esso, non ce ne sarà uno solo per noi che ci guidi a uscire da questa terribile angoscia mortale? Mi capite?

Pensée                           - Non sarei cieca se non vi capissi.

Oriano                           - È vero.

Pensée                           - Non c'è forse una strada che paziente­mente ci porti verso quella luce di cui parlate? Qualche spiraglio?

Oriano                           - Pensée, io sono capace di ostinazione, ma non di pazienza; capace di sferrare mille colpi all'impazzata ma non con metodo; capace di desiderio ma non di intelligenza: di desiderio ma non di rassegnazione. Come la stupida farfalla, quest'es­sere palpitante e disgustoso, la farfalla che non è se non un brutto verme con delle ah enormi, incon­sistenti come il flato. La quale non sa che get­tarsi, gettarsi ancora, e poi gettarsi ancora, stupi­damente, con tutte le sue miserabili forze, contro il globo della lampada; e che quando interrompe il vano assalto, rimane come morta, qualche cosa di stri­sciante: qualche cosa di immondo e di flaccido, che non si potrebbe toccare senza disgusto.

Pensée                           - Cosicché quando mio padre mi par­lava - e voi non sapete ove giunga il suo entusiasmo in certi momenti - del tempo in cui viviamo, delle grandi invenzioni che rendono bello il vivere la nostra vita attuale, di queste maraviglie inaudite, com'egli diceva, la ferrovia, i cavi sottomarini... del dominio che l'uomo esercita sulla natura, del progresso che spazza via le vecchie superstizioni, e degli anni che ci aspettano, i quali ci assicurano il trionfo della ragione, della cultura e del benessere generale... Sì, sono queste le espressioni di cui si serve...

Oriano                           - Aprite gli occhi, Pensée, e cercate di vedere tutte queste cose. Tutto un mondo consa­crato alla riproduzione dell'utile! Un giorno anche la beata Roma si rallegrerà dei suoi magazzini e delle sue officine. Sì, è questo un tempo glorioso.

Pensée                           - Là dove io sono, il tempo non esiste.

Oriano                           - Fra breve il tempo esisterà anche per voi: quando mi aspetterete ed io non ritornerò.

Pensée                           - Ora siete qui. Non so che questo.

Oriano                           - Anche voi siete qui. Lasciate che io m'inebri della vostra presenza. Poiché voi siete una realtà viva! È bello sentirvi parlare; ed è bello pen­sare che siete qui. La vostra voce è come musica per me. Sono tanto geloso. È per me che voi siete cieca, ed io sono di sentinella ad ogni vostra sensa­zione. E se c'è una precisa maniera, che non vi voglio chiedere, di essere mia, è perché non voglio rinun­ciare a tutte le altre. Se non ve lo dicessi così miste­riosamente, non sapreste di essere bella. E se non mi foste vicina, amore mio, io non conoscerei quella suprema noia che è l'annoiarsi di se stessi. Pensée, vi siete impadronita di me quando vi ho lasciata. Ogni giorno, ogni notte lo stesso sogno, dopo le prime ore di riposo. Sempre Pensée. Mi appariva un'espres­sione del vostro volto, sentivo un'inflessione della vostra voce, percepivo un movimento del vostro corpo, quel corpo femminile sì acerbo, la cui immagine è così precisa in me. Un grido nella notte. Era la vostra voce, che riconoscevo fra tutte. Una figura umana vacillante che mi tendeva le braccia, una creatura cieca che mi parlava, una creatura silenziosa e che non mi rispondeva.

Pensée                           - Se io sono vacillante, Oriano, è perché non ci siete voi a sostenermi. Ed io sono cieca sol­tanto perché non vi posso vedere, Oriano.

Oriano                           - E poi, tutto questo è scomparso. Fra noi si è stabilito un più diretto contatto. C'era qualche cosa in me che tendeva a separarsi dal mio essere. Ho conosciuto allora un altro desiderio: istintivo, senza una forma definita, tutto l'essere che pura­mente e semplicemente si tende verso un altro; e la noia di se stesso, l'anima orribilmente straziata, e non per un solo, continuo ardore, ma per una serie di grandi sforzi, che si susseguono, come nell'affanno dell'agonia, consumando l'anima ad ogni rantolo, per lasciarci alle porte del Nulla! Nonostante ho resi­stito, e quando avrei voluto tornare indietro, ero già sul battello che mi portava via. (Breve pausa) E quando anche fossi tornato, e vi avessi trovata come vi trovo ora, sapevo benissimo che non pote­vate darmi ciò che vi domandavo ; e che quello che si chiama amore, è sempre il solito gioco: la stessa coppa vuotata d'un colpo, l'episodio di qualche notte di albergo, e poi, di nuovo, la folla, il tumulto che stordisce, quella orribile fiera che è la vita, da cui stavolta non è possibile liberarsi. Conosco i grandi e incomparabili legami che importa il matrimonio. Ma so anche che tutt'altra cosa esigeva un desiderio come il mio, infiammato per il giusto castigo del mio orgoglio e contro la mia volontà.

Pensée                           - Amico mio, come avete potuto ingannarvi fino a credere di poter essere là dove io non fossi! Si dice che non esiste un'anima la quale non sia stata creata se non per un rapporto misterioso con un'altra. Ma per noi è ancora di più. Mentre tu parli, io mi sento nascere. Quando ti mettevano al mondo, Oriano, io penso che sia rimasta una pic­cola parte della sostanza che ti era destinata; ed è di questa che ti manca, che io sono fatta. E perché essa fosse capace di ritrovare la tua, e perché nessun sortilegio smarrisse questa povera anima, perché il suo cammino fosse sicuro, perché quello che era sol­tanto tuo ti fosse interamente conservato, per questo, senza dubbio, i miei occhi furono chiusi. E adesso che ti ho ritrovato... non mi vuoi ascoltare? Perché vuoi ripudiarmi? Che ho mai fatto? Perché hai voluto donarmi così crudelmente a un altro?

Oriano                           - Ho udito spesso queste parole in sogno.

Pensée                           - Parole non di sogno: di realtà.

Oriano                           - Che importa il passato? Ora vedo il vostro volto, posso prendere la vostra mano nella mia, e se vi chiedessi di baciarvi, certo me lo permet­tereste. Che chiedere di più? Vederci, stare vicini, parlare, sentire l'altro che parla «quell'attimo neces­sario a capire che non c'è più nulla da dirci »: paro che questo basti per essere presenti» l'uno all'altro.

Pensee                           - Non mi lascerai, se prima non avrai ascoltato tutte le parole che ho preparate e messe insieme in quei lunghi giorni di solitudine, in quelle notti durante le quali non si dorme e si piange molto.

Oriano                           - Le conosco.

Pensée                           - Le conosci come me, anima mia? Dopo, vattene, e cerca di dimenticarle. Ci fu una volta una donna che salvò il Papa - un uomo non può dare che la vita, ma una donna può dare molto di più - la madre di mio padre, Sygne de Coufontaine. Ora è una sua figlia, dagli occhi spenti che tende le mani a colui che il Papa chiama: Figlio mio. Ed ecco che nelle mie vene il più grande sacrificio si è unito alla più grande sciagura; il più grande orgoglio alla più grande decadenza e al disonore. Il francese si erge in una sola persona con l'ebreo. Tu sei cristiano, e a me scorre nelle vene il sangue stesso di Gesù Cristo, un sangue ora disdegnato, col quale fu fatto un Dio. Perché tu vedessi, certo per questo, era necessario che io fossi cieca. Perché tu abbia la felicità, mi era necessaria indubbiamente questa notte eterna e silenziosa, che devo annullare!

Oriano                           - Vieni con me, dove io sono.

Pensée                           - Dove tu sei, c'è posto anche per l'in­felicità? Ove splende tanta luce, c'è posto anche per gli occhi che non vogliono aprirsi? Quell'umiliazione che ho imparato dal giorno della mia nascita, ebrea, cieca; quelle lagrime le potrò dimenticare? E saranno state vane? Ah, non bisogna amarmi. Puoi giurarmi che esiste, dove che sia, un luogo ove possano sussi­stere il bisogno che ho di amare e la certezza che non c'è niente in me per meritarlo?

Oriano                           - È vero che non devo amarvi?

Pensée                           - No, caro sposo, non bisogna amarmi! Qual è mai la strada por la quale potremmo incon­trarci? Vi amo troppo. Vi ho aspettato tanto. È dif­ficile, Oriano, convincermi del vostro amore. Per chi non vede, ben altro occorre che le parole comuni. Ci vuole qualche cosa che gli sia personalmente rivolta. Una prova sicura.

Oriano                           - E se io morissi per voi, sarebbe suf­ficiente?

Pensée                           - (con un gesto verso di lui) La vostra morte sarebbe non per me, ma per la Francia che amate più di me.

Oriano                           - Se io muoio, Pensée, è certamente perché non avevo altro mezzo di giungere a voi!

Pensée                           - E chi dunque mi farà sentire quella parola che il mio cuore aspetta? È difficile, Oriano, farmi credere al vostro amore. Bisogna dirmelo. Ma dite soltanto: « Vi amo », e mi basterà. Dite soltanto: « Vi amo », e vi crederò subito.

Oriano                           - Appena ve l'avessi detto, cesserebbe di esser vero.

Pensée                           - Non capisco. Com'è possibile che sia un bene per me la vostra morte? Che la persona da me amata non sia più? Si stancano forse del sole, coloro che vedono? Ed io che non ho sole, dovrei privarmi di quella voce che, come una rivelazione magnifica, mi ha detto una volta: « Amore mio »? Se vivessi cento anni e se ogni secondo di questi cento anni fosse composto a sua volta di cento anni, non invecchierei per questo, e sono sicura che tro­verei ancora qualcosa da dirvi, qualche appellativo nuovo, qualche nuova invenzione del mio cuore da offrirvi, qualche rivelazione del mio intimo che arriverebbe a voi in un gettito perenne. È colpa mia se siete voi la forza? Se siete voi che dovete sapere per me? Se tutto ciò di cui ho bisogno non è in me, ma al di fuori di me? Se siete voi la persona cui mi lega una cosa più forte del diritto, la necessità senza diritto alcuno? Questa povera anima cieca è fra le vostre braccia; e non si stanca di chiamarvi per nome e di dirvi che vi ama!

Oriano                           - Allora, mi consigliate di disertare? Volete forse chiudermi a chiave in casa vostra per non darmi altro compito che quello di farvi delle carezze? Non dovrei avere altra missione nella vita all'infuori che occuparmi di voi? E che cosa amate in me, se non lo spirito che mi spinge a quella mis­sione per cui sono stato creato? Se non questa mèta che mi sono imposto e che giustifica la mia esistenza, senza la quale io non sono che un corpo senz'anima? Quando sarò in possesso di quest'anima, allora ve la potrò donare. Fino a quel momento il dovere ha da passare davanti a tutto, subito appena si presenti! Quando alfine vivrò, quando non sarò più questo Oriano cieco e semidormiente, ma qual­cuno in un rapporto eterno con una causa ragionevole...

Pensée                           - Quell'Oriano di cui avete parlato, mi bastava.

Oriano                           - Allora, mia adorata, potrò tornare a voi e dirvi: « Apri gli occhi, Penséo! ».

Pensée                           - Non c'è niente da vedere nei miei occhi.

Oriano                           - C'è la morte che mi aspetta, nudo di opere e senza posterità.

Pensée                           - È questo che vedi, quando mi guardi?

Oriano                           - È quello che mi annunciavi e che ho amato in te.

Pensée                           - Morire per me è dunque preferibile alla vita?

Oriano                           - Sì, Pensée.

Pensée                           - Che posso chiedere di più?... Dimmi, perché hai voluto lasciarmi ad un altro?

Oriano                           - Questo, Pensée, appartiene al tempo in cui vivevo ancora.

Pensée                           - È vero, almeno, che ora sono vostra?

Oriano                           - Quando avrò liberata l'anima mia, allora ve la potrò donare.

Pensée                           - Non c'è altro modo di liberarla se non separandola crudelmente da questo vostro corpo e dal mio?

Oriano                           - Felice colui che ha un breve dovere da compiere; felice colui al quale il dovere è chiara­mente indicato. Difendere la propria madre, difen­dere la propria patria... che può esistere di più chiaro, di più semplice? Per me, le circostanze hanno tutto regolato. Lo stesso umile, lo stesso facile dovere degli altri: quale felicità! Ed il premio che mi aspetta: Pensée. Ero troppo impaziente per la vita, troppo sventato, troppo capriccioso, troppo impetuoso. L'insetto maschio che ha la vita di un'ora.

Pensée                           - Io ero paziente anche per te.

Oriano                           - Ciò che ti chiedevo, ciò che volevo darti non è compatibile col tempo, ma con l'eternità.

Pensée                           - Se ti dicessi che ti amo, ti sarebbe facile abbandonarmi?

Oriano                           - Lo so. Non occorre che tu lo dica.

Pensée                           - (si rannicchia fra le sue braccia) Ma è sempre una cosa dolce ad ascoltare, quando si sa che è vero.

Oriano                           - Non mi tentare, dolce rosa nella notte. Non rifugiarti fra le mie braccia. È pericoloso per una rosa non avere che la difesa di un caprifoglio.

Pensée                           - Come potrei sapere che sono la più bella, se non me lo dici?

Oriano                           - Non ce n'è un'altra per me.

Pensée                           - Dov'è la, più bella di tutte le donne?

Oriano                           - È così vicina a me, che non la posso più vedere.

Pensée                           - Dov'è questo posto contro il tuo cuore?

Oriano                           - La mia nemica lo occupa.

Pensée                           - Se io lo trovo, non sarà facile farmelo abbandonare.

Oriano                           - So che sei la più forte.

Pensée                           - Se voglio veramente che tu resti, potrai partire?

Oriano                           - Tu sola esisti: niente all'infuori di te. (Silenzio).

Pensée                           -  (allontanandosi da lui) Addio, allora.

Oriano                           - Pensée, sei tu ora che mi dici addio?

Pensée                           - È finito. Non ti avvicinare.

Oriano                           - Pensée, resterò se lo vorrai.

Pensée                           - Non pronunciare parole indegne di te.

Oriano                           - Sono pazzo! Cos'è tutto il resto in confronto di quel solo momento che tu puoi darmi?

Pensée                           - A me occorre più di un momento solo.

Oriano                           - Sei in mano mia.

Pensée                           - È vero. Come potrei fuggire?

Oriano                           - E’ impossibile separarci

Pensée                           - No. Non è impossibile.

Oriano                           - Non lo voglio più. Non lo posso più, Pensée!

Pensée                           - Non puoi tu fare ciò che fanno tanti francesi? Non potrò sopportare io ciò che tante donne sopportano?

Oriano                           - Non dovevi starmi tanto vicina.

Pensée                           - Non dovevo, Oriano?

Oriano                           - Non dovevo prenderti fra le braccia.

Pensée                           - E se il mio cuore non avesse battuto sì vicino a te, come l'avresti conosciuto?

Oriano                           - E il mio, lo conosci?

Pensée                           - Lo conosco.

Oriano                           - Quando ti sei messa fra le mie braccia, la notte è scesa sui miei occhi.

Pensée                           - Ho dunque potuto insegnarti almeno questo ?

Oriano                           - So che cos'è la notte.

Pensée                           - È poi una cosa tanto crudele? C'è forse bisogno di vederci quando ci si ama?

Oriano                           - Non c'è bisogno di altro...

Pensée                           - No.

Oriano                           - Ma comprendi ora ciò che volevo dirti quando ti parlavo di un'altra sofferenza?

Pensée                           - Sono debole, e quello che basta alle altre donne mi sarebbe bastato.

Oriano                           - Perché dunque mi dici di partire?

Pensée                           - Anch'io sono forte. (Silenzio).

Oriano                           - Ti amo, Pensée. (Breve pausa).

Pensée                           - Capisco che questo vuol dire: addio.

Oriano                           - Addio.

Pensée                           - Lascia che un'ultima volta io tenda le mani verso di te, come fanno i morenti quando un angelo pone fra le loro dita che la cercano, l'arpa eterna. (Gli tocca il volto con le mani) Lascia che un'ultima volta io conosca il tuo volto; lascia che ne prenda l'impronta con questa cera vivente; queste due mani che con le loro dita altro non sono che l'anima mia,     - ( da quando ti hanno toccato. Addio, caro volto! (Gli tocca il cuore) Addio, cuore adorato! (Oriano esce. Entra Orso) Orso, bisogna subito annun­ciare a mia madre, che il nostro fidanzamento è rotto.

Orso                              - Finalmente ci siamo arrivati. Vedete che il mio consiglio era buono. Ve l'ho portato qui al momento opportuno?

Pensée                           - Siete buono, Orso; e vi voglio molto bene.

Orso                              - Non chiedo altro. Voi avrete sempre il primo posto in questo cuore di soldataccio.

Pensée                           - Non soffrite troppo?

Oeso                              - Appena il necessario. Proprio quel tanto per dare ad un volto maschio quell'ombra di malin­conia che gli sta così bene.

Pensée                           - Non scherzate.

Oeso                              - Eccomi alfine liberato. Mio Dio, che ne avrei fatto di questa signora «Inciampadappertutto »?

Pensée                           - Per quanto cieca, sono arrivata dove volevo. Ed egli, pure avendo gli occhi, non ha saputo fuggire così lontano da riuscire a scapparmi.

Orso                              - Contate su di me. Gli farò compiere il suo dovere.

Pensée                           - È vero che va incontro a un grande pericolo ?

Orso                              - Non devono sciuparvelo, eh?

Pensée                           - Egli è sicuro di non far ritorno.

Orso                              - Vi garantisco che ve lo riporterò.

Pensée                           - È la morte che mi ha reso possibile conquistarlo.

Orso                              - Perché parlare anche voi della sua morte? Mi secca. Non voglio che parliate così.

Pensée                           - E quand'anche dovesse morire, e quando non avessi avuto che quel solo momento... adoro quel momento, e mi basta, e niente può impedire che esso esista. Così, ad onta di questo velo impene­trabile che mi circonda, l'amore è riuscito a pene­trare fino in me, e niente ha saputo difendermene! Egli mi ama. Credo in Dio. La morte non esiste più per me. Non esiste più il buio. La felicità è un bene immenso al quale non potevo sottrarmi! Ci sono molte donne più belle di me, ed egli ha scelto me. Ci sono molte donno veggenti ed io ho gli occhi chiusi per tutto, all'infuori che per il suo amore! Iddio sia lodato, perché io gli sono apparsa desiderabile! Iddio sia lodato perché fra tutte le cose ha desiderato soltanto quelle che io potevo dargli! Nella mia grande notte io ero dunque, senza saperlo, padrona di questi grandi tesori? Ah, poiché cieca mi ha amato, desidero di essere ancora più cieca! E non soltanto che io non lo veda, ma che egli pure non mi veda, e non più questo volto mortale, ma queste cose che io gli ho dato e che sono soltanto sue, e che né la vita né la morte saranno capaci di strappargli! E poiché mi ha amata spoglia di tutto, io desidero essere più povera ancora, dono fra le sue braccia, compren­sibile soltanto da lui. Nella notte in cui ero immersa, ha saputo trovarmi. Se è necessario ora che anch'egli sparisca agli occhi di coloro che vedono, non sarà certo quella notte che mi farà paura e che sarà suf­ficiente a staccarmi da lui.

Orso                              - Ed io, Pensée, sarò sempre vostro amico?

Pensée                           - (dandogli la mano) Mio grande amico!

Orso                              - Quando sarà conclusa la pace, un giorno ci incontreremo e mi dovrete spiegare perché una volta sono stato innamorato di voi.

Pensée                           - Ed ora non lo siete più?

Orso                              - Che cosa devo rispondervi?

Pensée                           - Mi dispiacerebbe se mi rispondeste di no.

Orso                              - Io non vi amo come vi ama mio fratello. Voi mi bastavate così. Sarei stato paziente con voi. Ci sono degli uomini, che pur non essendo molto sensibili, piangono perché non accostarono mai il loro volto ad una guancia di fanciullo. Prima di tutto, vi avevo ammirata. Mi sembravate così forte e fiera! Sfioravate il suolo con tanta grazia e con tanta dignità! Poi, quando ho saputo che eravate cieca, con quel portamento da regina e con quel volto di giovane dea, questo veramente mi ha colpito. Sentirvi così debole con me, senza alcuna guida se vi avessi lasciata sola, questo mi avrebbe data la ra­gione di tutta la vita. Avere la vostra piccola mano nella mia, questo mi avrebbe dato tanta forza. Dove sarebbe stata meglio che nella mia, quella piccola mano ?

Pensée                           - Non crediate di essere riuscito a nascon­dermi tali sentimenti fino ad oggi.

Orso                              - Lo so, Pensée. Non dite più nulla. Anche un uomo può avere del pudore. Almeno mi sarò preso questo vantaggio su mio fratello: di esser libero, leggero come una piuma. Egli è pesante, lento: vi ama troppo. Non va alla guerra come ci vado io. È bello essere così lieve, è bello essersi liberati di tutti i doveri della vita. Sereni, allegri, scami­ciati! Credo che anche nel mondo delle anime si possano riconoscere coloro che sono morti colpiti in pieno petto nel più bello della giovinezza! Un'anima di vent'anni è quella che fiammeggia nel sole di Dio! E così semplice morire; e non vi sarà chiesto altro. Morire da uomini invece che vivere bassamente, da schiavi. Tutte le albe in­sieme, il primo raggio del grande sole che vi infiamma la finestra ed il cuore tutto in una volta. Per questo si vedono dei morti con dei volti sereni, come fanciulli che guardano. Non rimpiangono nulla. Morire per la patria è così bello, che essi ne con­servano un sorriso luminoso. Andiamo, signora Talpa, andiamo, signora Pipistrello. Datemi il braccio. Vi riporto a vostra madre. (Escono).

Fine del terzo atto

ATTO QUARTO

Sul finire dell'inverno del 1871. Una stanza in un palazzo di Soma, quello che apparteneva una volta ai due fratelli. Su una tavola, in fondo alla stanza, un gran cesto di tuberose.

 (Pensée è in ginocchio dinanzi a questo cesto nel quale affonda il viso).

Pensée                           - (con un debole grido) Ah!

Sichel                            - (precipitandosi verso di lei) Bambina mia?

Pensée                           - Mamma, mamma!

Sichel                            - (rialzandola e facendole fare qualche passo) Vieni. Quei fiori ti fanno male! Li faccio portar via!

Pensée                           - Mamma, mamma! Il mio bambino vive. Vive in me! Vive! Si è mosso!

Sichel                            - Pensée, bambina mia!

Pensée                           - Egli vive. È così forte il profumo di questi fiori! Credevo di morire! Quale profondo respiro! Ah, è proprio come se il cuore del mio bambino sì strappasse dal mio cuore! Vive! Vive!

Sichel                            - Sento sempre quel profumo.

Pensée                           - Ho schiacciato un fiore che avevo imprigionato nella mano. (Più a bassa voce) Uno di quei terribili fiori, perché mi faccia ancora male.

Sichel                            - Devo aprire un poco la finestra?

Pensée                           - Sì. Lascia entrare quest'ultimo raggio. Il rosso della sera. Lascia che Roma venga vicino a me. (Sichel apre a spiraglio la finestra. Suono di campane) È l'ora dell'Ave Maria.

Sichel                            - Queste fatali campane mi opprimono. Che cosa vogliono dire coi loro affrettati rintocchi?

Pensée                           - A me piacciono. Le conosco tutte: le gravi e le squillanti, le vicine e le lontane, in modo che tutta la Città Santa si erge intorno a me, come co­struita dal suono. Pure campane... Sarebbe bello risuo­nare come loro e, al posto di tante parole, non essere eternamente che un « la » e un « mi »! Come loro, vorrei vedere Iddio, non fosse che per un istante.

Sichel                            - Bambina mia, se io potrò vedere Iddio, sarà soltanto nei tuoi occhi, quando si saranno aperti.

Pensée                           - Mamma, suonami qualche cosa.

Sichel                            - (ergendosi) Cosa vuoi che ti suoni?

Pensée                           - No. Bimani con me. La musica m'im­pedirebbe di sentire.

Sichel                            - Ecco, ti vedo sempre così, attenta e in attesa, come se tu non avessi orecchi che per colui che deve arrivare.

Pensée                           - Non arriverà nessuno. (Silenzio) E come faresti, mamma, a costruire una città come questa, se tu non avessi che l'udito e il tatto? Con niente, all'infuori di quelle voci che salgono da ogni parte, il rumore delle vetture che passano, il canto di una donna, l'eco di un litigio, un martello che batte, un trillo d'uccello; con la sola differenza del caldo e del freddo, tutte le sfumature che ci sono nell'ombra, tutti questi aliti diversi, e questa inesistente sensa­zione di vedere, diffusa in tutto il mio corpo? Io posso costruire una città con tutti questi suoni che essa modifica come si modifica la luce sui muri, questa meravigliosa Poma con le scale che portano su, in alto, verso grandi giardini, con queste strade che sembrano fatte apposta per il passo di processione, e uscendo dall'ombra, ciò che mi hai detto: « Questi palazzi che hanno il colore del giorno ». Come deve essere bello! Sono come un bambino il primo giorno che si sveglia in una stanza chiusa, in un paese scono­sciuto. Questo mondo che vi sembra così naturale, è invisibile per me. Io ci vivo come se non ci fossi. Il mio soggiorno, del resto, non sarà lungo. Ne devo approfittare finché ci sono. Io non lo conosco questo "mondo, se non per quello che tu me ne dici. Indub­biamente gli occhi che mi hanno fatto non sono adatti a vederlo. E quando lo vedrò, forse, esso sarà lontano, superato. (Si mette una mano sul fianco come se sentisse un improvviso dolore).

Sichel                            - Che hai?

Pensée                           - Ho sentito ancora un movimento in me.

Sichel                            - (a mezza voce) Il bambino?

Pensée                           - (anch'elio a mezza voce) Lui.

Sichel                            - (come parlando a se stessa) Già. Sono ormai quattro mesi.

Pensée                           - Il mio bambino si è mosso entro di me.

Sichel                            - Perché non scrivi a Oriano?

Pensée                           - Egli non mi ha scritto.

Sichel                            - Ma io gli ho scritto, per tuo conto, quindici giorni fa. (Silenzio) Mi decisi a farlo, sebbene tu me lo avessi proibito. (Silenzio) Non mi sgridi?

Pensée                           - No, non fa niente.

Sichel                            - Ma perché Orso ci lascia anche lui senza notizie, mentre eravamo abituate a ricevere una sua lettera tutte le settimane? Mi hanno detto che doveva arrivare a Poma, per una missione. Neppure una parola dal principio dell'anno.

Pensée                           - Ho saputo di nuovi movimenti di truppe.

Sichel                            - Temo che ci sia qualche cosa di nuovo.

Pensée                           - Di nuovo non c'è che l'arrivo di questi bei fiori.

Sichel                            - Vorrei proprio sapere chi ce li ha man­dati. Anche per tuo padre sono preoccupata. È laggiù, solo, in quel gelido paese. Sono certa che non ha per sé le cure necessarie. È tanto imprudente. Speriamo che non gli sia accaduto niente.

Pensée                           - Tutto questo non ha nessuna impor­tanza.

Sichel                            - Che cosa ha importanza, allora?

Pensée                           - Che il mio bambino vive!

Sichel                            - Bisognerà lasciar Boma al più presto.

Pensée                           - Perché?

Sichel                            - Andremo a Parigi in gran segreto. Laggiù tutto si potrà nascondere.

Pensée                           - Non c'è nulla da nascondere.

Sichel                            - Non ho osato dire niente a tuo padre. E terribile per queste cose, per l'onore e per la con­siderazione della sua casa. Ma lascia fare a me, bam­bina mia. Tua madre è una donna che sa il fatto suo. Sapremo nascondere a tutti questo figlio dell'amore.

Pensée                           - Puoi credere che abbandonerò mio figlio?

Sichel                            - Lasciami credere quello che voglio io. Non mi togliere lo spirito e il coraggio. Ne ho bisogno.

Pensée                           - Anche tu ti vergogni di me, mamma?

Sichel                            - Vergognarmi di te, Pensée?!

Pensée                           - Non esiste al mondo persona più orgo­gliosa di me.

Sichel                            - (posandole una mano sulle ginocchia) Va, bambina mia, so quanto soffri!

Pensée                           - (a bassa voce) È vero, mamma. Soffro molto. Ero fatta per essere irreprensibile. Soffro per tutti quegli occhi che mi vedono. Come può difen­dersi una cieca? Che si penserà di me?

Sichel                            - Ci sono io! Che c'importa il disprezzo degli altri? Ci sono abituata, da sempre; e la ver­gogna è per me come una patria che ritrovo. Povere donne! Dio è con noi nella nostra miseria.

Pensée                           - Che cosa mi si potrà fare, dopo tutto? Ora c'è con me il mio bambino, a dividere le mie tenebre!

Sichel                            - Ora tu sai che cosa voglia dire essere madre. (Silenziosamente appare Orso).

Pensée                           - È strano pensare che in questo momento si formano entro di me degli occhi che sapranno vedere, e che io porto nel mio grembo queste stelle viventi!

Sichel                            - Che cosa c'è di più nostro che questo piccolo essere fatto di noi?

Pensée                           - Egli mi vedrà e io non Io vedrò. Le altre madri guidano il loro bambino, e sarà lui invece, a guidare la sua, vacillante per sempre in mezzo a queste cose sconosciute che egli troverà così sicure. (Sichel scorge Orso. Fa un movimento di sorpresa. Gli fa segno imperiosamente di tacere e di star fermo). Chi è entrato? (Silenzio) Ho chiesto chi c'è! (Silenzio).

Orso                              - (molto lentamente) Pensée de Homodarmes... Sposa mia cara... sono io. (Silenzio).

Pensée                           - (debolmente) Siete voi, Oriano?

Orso                              - Non mi riconoscete?

Pensée                           - Non so. £ la voce di Oriano, e non è la sua.

Orso                              - La voce e il cuore, Pensée. Tutto ciò che può offrirvi in quest'ora che rimarrà vicino a voi colui che dovrà presto ripartire.

Pensée                           - Se siete Oriano, perché non vi avvi­cinate? E perché io, non sono già fra le vostre braccia, donna immensamente felice?

 Orso                             - Se vi dessi ascolto, non mi sarebbe più possibile partire.

Pensée                           - Sempre partire! So anche troppo bene di non essere capace di trattenervi.

Orso                              - Son passati appena quattro mesi, e non riconoscete più la mia voce.

Pensée                           - Forse i miei sensi si sono affievoliti. Come una pianta che si scolora per il frutto che porta.

Orso                              - Il bambino, Pensée?

Pensée                           - L'ho sentito proprio oggi svegliarsi nel mio grembo. È mancato poco che non svenissi aspirando il profumo di questi fiori.

Orso                              - Ve li ho mandati io.

Pensée                           - Perché lasciarmi così senza notizie?

Orso                              - Una lettera avrebbe forse potuto dirvi qualche cosa che già non sapevate?

Pensée                           - Come sta vostro fratello?

Orso                              - Orso sta bene. Pensate ancora a lui?

Pensée                           - Gli voglio bene come gliene volete voi.

Orso                              - Non bisogna voler bene che al vostro sposo. Questo Oriano è un avaro che non vuol più lasciarvi ad altri.

Pensée                           - Queste parole, Oriano, sono dolci, più dolci di quelle che mi diceste un tempo: in quel tempo che fu tanto breve. Perché mai le ascolto con un cuore così pesante?

Orso                              - Perché devo ripartire. La mia licenza, che è di poche ore, sta per finire.

Pensée                           - Non ci rivedremo più?

Orso                              - Ed ora, forse, mi vedete?

Pensée                           - Abbiamo preso un contatto che va al di là di quello che gli occhi possono vedere.

Orso                              - Pensée, sono venuto per raccomandarvi di aver cura di questo bambino che indubbiamente non conoscerò, che appartiene a suo padre quanto a voi. È quello che rimane di lui per non farvelo dimenticare.

Pensée                           - Non vivo che per lui e per voi.

Orso                              - E sono venuto per dirvi anche un'altra cosa, Pensée.

Pensée                           - Vi ascolto.

Orso                              - Non dovete dubitare di colui che vi amava, malgrado questo lungo silenzio. Ma c'è forse bisogno di parlare a coloro cha hanno una fiducia reciproca? Quale merito ci sarebbe a credermi se vi fossi sempre vicino? Nessuno vi avrebbe amata come egli vi amava. Lo dovete credere.

Pensée                           - Lo so, lo credo.

Orso                              - L'assenza fu lunga.

Pensée                           - Ora siete qui.

Orso                              - E se dovesse essere ancora più lunga, non la sopportereste forse con coraggio?

Pensée                           - Con tutto il coraggio che mi chiederete.

Orso                              - Povera bambina! La mia esigenza sarà tale da superare ogni prova.

Pensée                           - Il mio amore non conosce prove insu­perabili.

Orso                              - Dopo una sì lunga separazione, se ci riuniremo, chi sarà mai capace di staccarci? Io non aspiro ad una unione che possa cessare col tempo: essa, invece, deve essere capace di annullare il tempo.

Pensée                           - Mi amerete sempre?

Orso                              - Esisteva un uomo che non pensava se non a sé. L'appello al quale il suo orecchio era teso, egli credeva rivolto a lui solo. Tutto era molto sem­plice. Ma siete arrivata voi, Pensée. E la ferita che gli avete inferta è tale che nemmeno la morte sarà capace di guarirla.

Pensée                           - Perché parlare di morte, mentre siete vivo?

Orso                              - Ora se l'assenza è lunga, e se egli non risponde quando lo chiamerete, non bisogna credere che egli ne abbia colpa e che colui il quale vi ha tanto amata vi tradisca. Vi giuro che vi amava. (Silenzio).

Pensée                           - Non è Oriano che parla.

Orso                              - E chi dunque?

Pensée                           - Orso, che avete fatto di Oriano? Dov'è?

Orso                              - Pensée, dovete mostrare ora quel coraggio che mi avete promesso. Tutto quello che vi ho detto, è vero. Ve lo diceva lui attraverso la mia bocca. Non ci siamo mai lasciati noi due. Non aveva segreti per me, ed io conoscevo ogni battito del suo cuore. Pensée de Homodarmes, bisogna che ascoltiate con coraggio quello che debbo dirvi. Oriano è morto. (Silenzio).

Pensée                           - Oriano è morto. Lo sapevo e non mi aspettavo altro.

Orso                              - È morto, ed il messaggio di cui mi ha incaricato per voi è questo: bisogna vivere.

Pensée                           - Vivrò.

Orso                              - La vigilia della sua morte, abbiamo par­lato insieme tutta la notte, di voi e del vostro bam­bino. Mi ha pregato di chiedervi perdono.

Pensée                           - Sono io che ad ogni istante gli chiedo perdono.

Orso                              - Ho saputo quello che c'era stato fra voi, la vigilia della sua partenza. Ho capito ciò che fu quell'ora di accecamento e di vertigine. È una for­tuna che vostra madre abbia pensato a scrivermi.

Pensée                           - Glielo avevo proibito.

Orso                              - Egli sarebbe ritornato, non appena avesse potuto. (Silenzio).

Pensée                           - (esplodendo improvvisamente) Oriano è morto! Oriano è morto! Dove siete, mio sposo, e perché non mi siete vicino?

Sichel                            - (sorreggendola) Pensée, bambina cara! (Silenzio).

Pensée                           - Come è morto?

Orso                              - Colpito al cuore, mentre caricavamo i tedeschi in un malaugurato vigneto. L'ho visto improvvisamente lasciare il fucile e cadere in avanti. Il suo corpo è rimasto ripiegato sopra un piccolo muro a secco, in mezzo ai rovi.

Pensée                           - Lo avete lasciato là?

Orso                              - I prussiani sparavano contro di noi dispe­ratamente.

Pensée                           - Io sarei morta con lui.

Orso                              - Io sono un ufficiale, ed avevo il dovere di non farmi uccidere, ma di procurare che non venisse a mancare il comando ai miei soldati. Dopo poco, abbiamo dovuto ripiegare abbandonando il cadavere.

Pensée                           - E così, non me lo riportate?

Orso                              - Che ne volete fare di un morto?

Pensée                           - Lo avrei sentito un'ultima volta fra le mie mani, queste mani così sensibili! Chi sa se egli fosse stato completamente morto per me? Fra l'anima e il corpo che emana da lei esiste un tal legame che la morte stessa non riesce interamente a sciogliere, ovunque sia questa povera anima.

Orso                              - La sua è con Dio. Questo Dio, che egli amava come un selvaggio e non come un Santo, l'ha conquistato. Il suo corpo è rimasto miseramente attaccato laggiù. Niente altro di lui se non questo corpo intricato tra le spine, più lontano di quanto sia stato possibile a noi di andare, e che non ha impedito a lui di andare più lontano ancora. La libertà che egli desiderava più che la vita, finalmente è cosa sua. Egli ha raggiunto quella luce alla quale tendeva con tutto il suo essere.

Pensée                           - Dove sono gli occhi che dovevano vedere per me?

Orso                              - Forse sono qui, e non hanno bisogno di vedere per guardarvi.

Pensée                           - Dov'è il cuore che doveva battere per me?

Orso                              - Se ve lo avessi riportato?

Pensée                           - Che dite?

Orso                              - Non ho voluto che il suo cuore rimanesse in mano dei tedeschi. Con alcuni compagni siamo andati di notte a prenderlo. Riposa in terra cristiana. L'ho baciato sulla bocca. Il suo volto era bello.

Pensée                           - Orso, sei crudele. Tu hai degli occhi per vedere! Ma io... io non ho potuto unire la mia a quella bocca, la sola che mi apparteneva!

Orso                              - L'ho tenuto fra le braccia. Da quel corpo oltraggiato, da quel corpo che dorme e che risusci­terà, emana ancora qualche cosa di lui che amiamo.

Pensée                           - Non avete potuto vedere che il suo volto! Ed io... Se queste mani, queste mani che sole mi servono a vedere, fossero state laggiù, sareb­bero arrivate all'anima sua a impedirle di lasciarmi.

Orso                              - Fino alla sua anima, Pensée?

Pensée                           - Fino alla sua anima per impedirle di lasciarmi, fino al suo cuore che mi appartiene.

Orso                              - Fino al suo cuore, Pensée? E se vi avessi portato questo suo cuore?

Pensée                           - Il suo cuore?... il suo cuore?...

Orso                              - Quei fiori che vi ho mandato, quella cesta profonda, quei fiori fra i quali io so che poco fa avete affondato il volto...

Pensée                           - Ho capito! (Si alza e si dirige tremando e incerta verso la tavola dinanzi alla quale cade in ginocchio) Oriano! Oriano!

Orso                              - Ora egli è diverso da voi. Non è più con noi, alla nostra maniera. Per voi, Pensée, sia un segno sufficiente questo incenso che emana dai lunghi calici di cui ho fatto la sua sepoltura.

Pensée                           - Egli non ha avuto orrore di me, io non avrò affatto orrore di lui perché è morto. E chi avrebbe il diritto se non io che sono sua moglie, di stringerlo fra le mani e di conservarlo nel mio seno, che è la sua naturale dimora.

Orso                              - Lasciate così dov'è questo resto sacro.

Pensée                           - Lui non ha avuto orrore di me! È venuto fino a me, che sono l'ultima delle donne! Infelice, ottenebrata, mi ha prescelta, quando ne avrebbe potuto trovare una più bella! Sono stata io a ferirlo, di quella inguaribile ferita. Sono stata io che gli ho squarciato il petto, sono stata io che l'ho strappato al suo Padre; sì, egli è morto per causa mia; per causa mia egli non è più un essere visibile. Oh, datemi un velo di seta per raccogliere ciò che mi resta di lui, datemi il lino più sottile per coprire queste mani indegne!

Orso                              - Fra poco sarete sola con lui.

Pensée                           - Ma già ora posso chinarmi su di lui e respirare la sua anima, quest'ondata di profumo che sale dalla sua sepoltura.

Orso                              - Egli è morto, e con nessuno dei vostri sensi potrete ormai raggiungerlo.

Pensée                           - Oriano, è vero? Io credo che non ci sia niente in me che non sia capace di giungere fino a voi!

Orso                              - Egli vive in voi, ed è per la parte di lui vivente nelle vostre viscere, che voi dovete vivere!

Pensée                           - Egli vive ed io muoio! (Sichel che l'ab­braccia, la riporta alla sua sedia).

Orso                              - Ed ora, non più debolezze. Ora è tempo che mi ascoltiate. Ecco ciò che Oriano mi ha inca­ricato di dirvi, prevedendo la sua morte, in quella ultima notte che abbiamo passato insieme...

Pensée                           - Vi ascolto.

Orso                              - ... e sapendo ciò che vostra madre mi aveva scritto... quel suo frutto che portate in seno, fuor della legge, fu una grande gioia e una grande amarezza. Poco fa quando vi ho detto che egli mi aveva incaricato di chiedervi perdono, voi non mi avete risposto.

Pensée                           - (fa un gesto di deprecazione) Tutto è fatto! Nulla ora pesa più sull'anima sua.

Sichel                            - Anch'io gli perdono.

Orso                              - Ora che il male è stato fatto, non c'è che da ripararlo per quanto si può. Non è possibile che il figlio di Oriano nasca senza nome, e che sua moglie col suo piccino viva con questa macchia fra la gente.

Pensée                           - Io sono qui per sopportare ciò che il suo sangue non ha cancellato.

Orso                              - Non si tratta soltanto di voi; ma di lui e di questo bambino, che è la sua continuazione. Bisogna difendere il nome dall'insulto, come si difende la bandiera.

Pensée                           - Farò quello che vorrete.

Orso                              - L'estrema volontà di Oriano, la sua ultima parola prima di morire, è che voi mi sposiate.

Pensée                           - Non voglio. Non apparterrò mai ad altri.

Orso                              - Vi ripeto, signora, che ora la vostra volontà non conta.

Pensée                           - Non sono forse padrona di me stessa, dell'anima mia e del mio corpo, e di quello che io ho fatto di me?

Orso                              - No.

Pensée                           - Oriano! Ma è proprio questo che voi mi chiedete!

1

Osso                              - La donna che fu di mio fratello credete forse che possa essere per me qualche cosa di diverso che una sorella? (Silenzio).

Pensée                           - Accetto.

Orso                              - Bene, sorella mia. D'altra parte la guerra non è finita; la notte che si avvicina cancella l'una dopo l'altra queste due voci fra le quali esitò il vostro cuore, in quella lontana sera d'estate. Questi due valorosi dei quali il cuore era più potente che la morte.

Pensée                           - Ma non verrà davvero anche per me questa notte?

Oeso                              - Il vostro dovere è di vivere.

Pensée                           - Vivrò. Vivrò per questo bambino oscuro che ò in me l'eredità della mia anima con la sua, finché sarà necessario. Tutta la vita, fino all'ultimo attimo! Io che sono capace di dare una vita, non dovrei avere il coraggio di accettarla?

Oeso                              - Domani il prete ci unirà.

Pensée                           - Sarò una moglie leale.

Orso                              - E nell'attesa, perché non volete tendere a questo povero Orso che parte forse per non più ritornare, quella mano che sembra morta, e che pende inerte lungo il vostro fianco?

Pensée                           - (sollevando la destra con la sua mano sinistra) Orso, io sono come la fidanzata del Can­tico ove è scritto che le dita distillano la mirra.

Orso                              - Allora è l'Antico Testamento che vedo in voi, seduta dinanzi a me!

Pensée                           - (alza le mani, le dita tremanti dinanzi al volto, come per guardarle e sentirle: poi le porge a lui) La mirra nuziale! La funebre mirra! quella che presso gli antichi non serviva soltanto alla cele­brazione di un solo mistero.

Orso                              - Pensée, io ritorno in Francia, in tempo, spero, per combattere ancora. Andrò laggiù a tro­vare Oriano sepolto. Che cosa gli devo dire!

Pensée                           - Non inginocchiatevi. Non pregate. Dite soltanto una parola: «Pensée ». Una sola parola, una sola parola, con una grande amarezza: « Pensée ». Null'altro.

Orso                              - Inginocchiarmi, voi dite! Credete forse che esiterei a stendermi tutto al suo fianco? E a prenderlo tra le braccia, quel mio fratello dal quale non mi separerò mai, se Dio così vuole? Due fratelli in un'unione più salda della morte! E questa parola a Pensée » saprò trasmettergliela bocca a bocca.

Pensée                           - Questa parola soltanto? No, è l'anima mia mescolata alla sua che devi portargli. Sospi­rala, caro fratello, questa anima di Oriano confusa in me con quella di Pensée! (Si avvicina a lui con le braccia incrociate e gli alita sulla bocca).

Orso                              - Sì, respiro le vostre anime.

Pensée                           - E digli che non sono stata la sola ad assorbirla e a riempirmene il volto in mezzo a quei terribili fiori. E che a quel contatto il mio bambino in me, questo bambino che è nel mio grembo, questa cosa mia che è chiamata a vedere il sole al mio posto, per la prima volta si è mosso, si è crudelmente mosso. Digli così, Orso fratello caro, digli così, Orso! (Cade in ginocchio davanti al cesto che ella avvolge intera­mente, come anche la sua persona, col suo scialle. Mentre Pensée dice queste ultime parole, è scesa quasi completamente la notte).

Una Voce                      - (femminile canta) 0 fratelli inse­parabili, l'uno porta Pensée, e l'altro l'ha raccolta.

Un'altra Voce                - E che l'anima sua abbia penetrato la mia. digli così, Orso; digli così, caro fratello; digli cosi, orso!

FINE