L’INCIDENTE
Monologo
di ALDO NICOLAJ
PERSONAGGI
LINDA
Commedia formattata da
LINDA
La stanzetta di una clinica di lusso. Una finestra che dà sui tetti di una grande città. Linda, sui 65 anni, distesa sul lettino, tutta ingessata, fasciata anche la testa e le braccia. Tutto il corpo è tirato e tenuto da pesi.
Chi mi vede in questo stato, s'immaginerà, per lo meno, sia moribonda… Invece… avrebbe potuto capitarmi di peggio. Restare così, tutta rigida nel gesso, con tutti questi pesi che mi tirano, non è piacevole. Non è che sia costretta all'immobilità assoluta. La gamba destra, per esempio, posso muoverla leggermente e piegare un pochino il ginocchio… così… (esegue) e posso muovere il dito mignolo della mano sinistra. Non sarà gran cosa, ma mi accontento. E, poi, nonostante le apparenze e il gesso, non mi sono mai sentita tanto bene. Sarà il vitto sano… le cure… il riposo… Prima ero nervosa, agitata, adesso sono… serena… Anche il cuore, che prima sembrava malandato, adesso è un orologio. Ieri il professore, che è venuto per un controllo, ha dovuto riconoscere che, scheletro a parte, sono sana come un pesce. Dirò di più, mi sono portata dietro tutta la vita una bronchite cronica, che mi dava un sacco di noie. Adesso …sarà il riposo… sarà il giusto calore del letto… sarà l'immobilità… la bronchite mi è sparita. Completamente. Può sembrare un paradosso, ma non sono mai stata così bene. Memoria lucida, buon appetito, cervello agile… Insomma, a parte le fratture, che sono una ventina, sono in ottima forma. Lo so, le fratture sono serie, ma mica si può avere tutto. C'è la noia di restare qui per chissà quanto tempo, ma, a me è sempre piaciuto il silenzio… la vita tranquilla… la meditazione… le buone letture… E, poi, alla mia età cosa potrei fare, ormai? Andare a ballare? (sorride) Ho il mio letto, qui… vicino alla finestra… Senza muovermi posso vedere il cielo… i tetti della città… Mi diverto a guardare il volo di una rondine, che saetta nel cielo o un gatto che gioca sulle tegole. A volte un colombo viene a posarsi sul davanzale della finestra. Ho tutto un mondo davanti. Un mondo vivo. E questo basta a una vecchia signora. Tutto sommato, sono una donna fortunata. Il mio povero Eugenio, non si sarebbe accontentato. Era un primitivo. La vita, voleva goderla, come diceva. E, poi, era un uomo giovane, troppo giovane per sapere rinunciare a quello che la vita può dare… Mah, peccato! Quando penso a come era bello… Aveva un fisico… A vent'anni faceva il bagnino. Io l'ho conosciuto che ne aveva trenta e viaggiava in fuoriserie e si vestiva a Londra. Le miliardarie se lo disputavano… Ma lui, sognatore, non sapeva speculare sulla sua bellezza, farla fruttare… non pensava al futuro, non si garantiva… Prendeva quello che gli davano, senza domandare niente e senza mai mettere nulla da parte. Perciò, quando una donna lo lasciava, doveva ricominciare da capo. Non ci sapeva fare. Una donna ricca ha tanti modi per dimostrare il suo affetto a un bel giovanotto. Ma Eugenio non sapeva sollecitarne alcuno. Il massimo che ricavava da ogni relazione, oltre a vitto, alloggio e guardaroba, era un cronometro d'oro, un paio di gemelli, una macchina da corsa… E io attribuivo questa mancanza di praticità a una sua specifica forma di onestà morale. Pensavo che non desse importanza al danaro. Gli proposi di sposarlo, perché mi pareva disinteressato. Che lui fosse innamorato di me… a questo non ho mai pensato. Anche perché avevo trenta anni più di lui. Ma ho sempre voluto le cose che mi piacevano. Il visone selvaggio? Mi compravo il visone selvaggio. Le perle nere? Mi compravo le perle nere. Un bel marito? Ebbene, a 67 anni mi sono comprata un meraviglioso marito. Ed ero sicura di sposare l'uomo adatto a me. Solo, dopo, ho capito che lui, Eugenio, si era sposato per sistemarsi e che, sulla differenza di età, lui, ci contava. Era diventato mio marito per una sistemazione definitiva. Io ero più anziana, avevo un aspetto fragile, delicato… anche per quella bronchite che mi obbligava a tenere settimane il letto… Povero Eugenio, lui contava su quella bronchite… Appena sposati, mi portava da un medico all'altro, analisi su analisi. Ma i referti erano tutti uguali. La bronchite me la riscontravano ma, a parte quella, tutti concordi a dire che avevo una salute di ferro. Per Eugenio fu un brutto colpo. Come fu un duro colpo per lui quando seppe che mia madre era morta a centotre anni, in seguito a una caduta e che mia nonna paterna se ne era andata a centonove anni, in seguito a una indigestione di gamberi. Così, mentre io col matrimonio rifiorivo. Eugenio, a furia di rodersi dentro e tormentarsi per la mia buona salute, deperiva a vista d'occhio. Tanto che in pochi anni s'era ridotto l'ombra di se stesso. In fondo mi faceva pena. Capisco che era una sofferenza per lui, una delusione. E delle più dolorose, povero Eugenio. Lui aveva accettato di sposarmi per diventare vedovo. Io, invece, l'avevo sposato per vivere con lui ed invecchiare insieme. E questo è stato nel nostro matrimonio l'unico punto in cui non ci siamo trovati d'accordo, il solo contrasto, la sola divergenza. Perché, per il resto, non posso lamentarmi. Eugenio è stato un ottimo marito sotto tutti i punti di vista. Non era molto intelligente, ma così premuroso: al mattino, appena aprivo gli occhi, subito si preoccupava per la mia salute. E come io gli assicuravo di star bene, i suoi occhi si facevano tristi, tristi. Era un primitivo, povero caro, non sapeva controllarsi. E alla mia più piccola indisposizione, un'influenza, un raffreddore, gli brillavano gli occhi, diventava subito di buonumore. Sperava, ecco. Un semplice, un sognatore. Una volta, per un malore improvviso, svenni. Offrì subito lo champagne a tutta la servitù. Invece, mi ripresi… E lui, col muso… Nonostante qualche acciacco, la mia febbre, i disturbi circolatori, i reumatismi, stavo magnificamente. E lui, non mangiava più… non dormiva più… Dovevo essere io a fargli coraggio, a dirgli di avere fiducia, perché nella vita bisogna sperare… Scuoteva la testa. Al mattino, a colazione, sfogliava il giornale, mi leggeva ad alta voce le notizie di cronaca nera guardandomi con rimprovero… Mi faceva una tenerezza, povero tesoro… Mi dispiaceva di essere proprio io, che gli volevo tanto bene, a dargli quei dispiaceri. Cercavo di illuderlo: se stavo poco bene, dicevo che stavo malissimo, che avevo dei dolori atroci, tanto per vederlo per qualche ora sereno… Ma più di questo cosa potevo fare? Non potevo ammazzarmi per fargli piacere! E, poi, perché? Ero così felice… A parte quel piccolo punto di contrasto che ci divideva, eravamo una coppia ideale. Magari ce ne fossero di coppie come la nostra. Ma lui, a furia di arrovellarsi pensò di essere arrivato alla soluzione. Noi abitavamo in una villa di mia proprietà, sul cocuzzolo di una collina. Al mattino usavamo uscire insieme: avevamo la Mercedes davanti alla porta e di solito guidavo io. Una mattina lui mi disse che sarebbe andato avanti a piedi e avrebbe aspettato al cancello che arrivassi con la macchina. Era una bella giornata di sole e a me non parve strano che lui avesse voglia di fare quattro passi. Lo lasciai andare e salii in macchina. Avviato il motore ed imboccata la discesa, mi accorsi subito che non potevo frenare, in quanto i freni erano stati sganciati. Capii immediatamente che era stato lui a combinarmi quello scherzetto, ma non ebbi il tempo di precisare l'idea che, la macchina, acquistata velocità, precipitava giù, per la discesa, andando a sfasciarsi contro il grosso cancello di ferro battuto, che chiudeva il giardino. Proprio quel pesante cancello, davanti al quale stava aspettandomi lui, povero Eugenio. Mi è stato detto, in clinica, con molte cautele, quando mi sono svegliata con tutte queste bardature di gesso addosso, che mio marito l'avevo maciullato. Io. Senza rendermene conto. Lui che aveva sperato di restar vedovo, aveva lasciato vedova me. Ne ho provato una pena… una pena… Spero che, poverino, non abbia avuto il tempo di accorgersi di quest'ultima delusione. Il tempo non l'ha avuto, credo. Meglio così. Perché io, scheletro a parte, non sono mai stata così bene. Eugenio avrebbe dovuto aspettare ancora per chissà quanto tempo… Almeno è morto con le sue illusioni. Era un sognatore… un sognatore…
FINE