Niente di male

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Miente fi male Commedia in tre atti di Guido Cantini

Niente di male

Commedia in tre atti di Guido Cantini

 A MIA MOGLIE

PERSONAGGI

L'ESTRANEO

GIORGIO ZÙCCARI

FULVIO CHIARINI

GINO SCARLATTI

AMEDEO AMARI

GIUSTINO

IL VECCHIO SIGNORE

 PRIMO SERVITORE

SECONDO SERVITORE

ELENA GADDI

LA MARCHESA

ELISA ALBANI

VERONICA MORI

STALLI

In una villa della marchesa - Oggi.

ATTO PRIMO

Il salone di soggiorno di una villa fra Tre viso e Mestre, fra Lucca e Pistoia, fra Napoli e Sorrento: a piacer vostro, signori. In un luogo dove la vita italiana sia stata opulenta, ma non troppo: al tramonto dei Dogi, o nel dominio di Elisa Ranocchi, in quello dei Borboni, o di Giovachino Murai. Luigi XVI, Direttorio, Impero: così voglio il mio salone. Ma con qualche ritocco moderno nei sedili, nei soprammobili. È il salone della grande dama che con incesso sublime vedremo aggi­rarsi tra le suppellettili del suo passato prin­cipesco, spiccando su tutto quel bianco e tutto quell'oro.

Notte le « appliques » velate mandano luci discrete.

Un servitore             - (in gran livrea entra portando due valigie, seguito da un)

Vecchio signore       - (aspetto professorale: pitzzetto brizzolato, occhiali, soprabito scuro, cappello a bombetta, bastone)

La marchesa             - (entra contemporaneamente da una delle porte del fondo. Veste di bian­co, lungo strascico, diamanti (falsi?) ca­pelli grigi: resti d'una bellezza passata e trascorsa) Dunque, caro professore, ci la­sciate proprio?

Vecchio signore       - Come si fa?

La marchesa             - Peccato. Una serata incante­vole, dopo la pioggia di questi giorni: si sta divinamente sulla terrazza.

Vecchio signore       - Non ne dubito. Ma deb­bo tornare a Roma: dove mi aspetta un gran lavoro: consegnare il mio manoscritto all'editore, correggere le bozze, curarne la stampa....

La marchesa             - Vi predico un grande suc­cesso.

Vecchio signore       - Davvero non vi sono di­spiaciuti i capitoli che vi ho letti?

La marchesa             - Dispiaciuti? Mi hanno dato un tale godimento, un tale godimento...

Vecchio signore       - Per un lavoro storico-fi­losofico è un liei caso.

La marchesa             - Voi non siete soltanto uno storico e un filosofo: siete anche un poeta.

Vecchio signore       - (rabbrividendo di felicità) Oh, marchesa, marchesa... (Le prende una mano, gliela bacia) E voi non siete sol­tanto una dama perfetta: siete anche una preziosa collaboratrice.

La marchesa             - (schermendosi) Per carità.

Vecchio signore       - Oh sì, i vostri consigli...

La marchesa             - Allora... all'anno venturo?

Vecchio signore       - E me lo domandate?

La marchesa             - Badate, vi aspetto.

Vecchio signore       - Grazie. Grazie di tutto. (Le bacia vovamente la mano. Esce. In­tanto la Marchesa ha sonato. È comparso Giustino, il maggiordomo).

La marchesa             - Oh, meno male che se n'è andato, quel vecchio noioso. Che uomo asfissiante! Giustino, fate metter subito in ordine la camera amaranto: aspetto il si­gnor Zùccari.

Giustino                   - Ma è arrivato...

La marchesa             - E non me lo dite?

Giustino                   - ... in questo momento. Giorgio (mostrandosi) Cara marchesa...

La marchesa             - Oh Giorgio! (Gli va incontro).

Giorgio                     - Eccomi qua.

La marchesa             - Quasi non vi aspettavo più.

Giorgio                     - Non sapete che l'altro ieri ho corso?

La  marchesa            - Molti pericoli, già.

Giorgio                     - E ho vinto una coppa.

La marchesa             - Senz'accopparvi?

Giorgio                     - (sorridendo) Solo qualche ammac­catura.

La marchesa             - Ma quando metterete giudi­zio, Giorgio?

Giorgio                     - Vi sembra clic ne abbia poco? La trentesima gara e sono ancora vivo!

La marchesa             - Come va l'amore?

Giorgio                     - L'amore?

La marchesa             - E’ vero. Voi vi vantate di non aver mai amato.

Giorgio                     - O... di aver amato troppo.

La marchesa             - Quello non si chiama amore.

Giorgio                     - Come si chiama?

La marchesa             - (piano) In francese, cochon-nerie.

Giorgio                     - Non lo dite, marchesa; la cosa più bella della vita.

La marchesa             - (minacciandolo col ventaglio) Cinico e villano!... Badate, Giorgio, se ricominciate come l'altr'anno... (Ricordandosi di Giustino, fermo, impalato, nel fondo) Sapete che non posso darvi la camera verde questa volta?

Giorgio                     - Peccato! Era così comoda! Potevo sgusciare così bene in quella di Miss Henderson.

La marchesa             - E osate dirlo alla padrona di casa? Vi darò quella amaranto, vi va?

Giorgio                     - (piano) È almeno vicina alla vo­stra ?

La marchesa             - Siete d'un'impertinenza!... (Al maggiordomo) Va bene, Giustino: la ca­mera amaranto.

Giustino                   - (esce). 

Giorgio                     - (curiosamente) Sentiamo, sen­tiamo...

La marchesa             - Sentiamo che?

Giorgio                     - (gettandosi su una poltrona, accen­dendo una sigaretta) Chi sono i vostri ospiti?

La marchesa             - No no no no: prima dovete dirmi perché siete venuto.

Giorgio                     - Ma... perché ve lo promisi, l'anno scorso.

La marchesa             - Però fino a pochi giorni fa ne eravate tutt'altro che sicuro; anzi...

Giorgio                     - E a un tratto ho potuto decidermi per il sì.

La marchesa             - È stato dopo la mia ultima lettera: vi accennavo ai miei ospiti... E subito avete telegrafato: arrivo! Andiamo Giorgio: ormai ci conosciamo abbastanza no? Chi è? Veronica Mori-Stalli, no. Elisa Albani, non credo. È la piccola Caddi?

Giorgio                     - Vi assicuro...

La marchesa             - Male! Me lo assicurate molto male. Badate, è una signora come si deve...

Giorgio                     - Lo so.

La marchesa             - Da quanto tempo lo sapete?

Giorgio                     - Un anno.

La marchesa             - Un anno, voi!

Giorgio                     - Pare impossibile, vero? Non m'era mai successo di star dietro a una donna un anno intero: tutte avevano capitombolato prima. Questa...

La marchesa             - Resiste.

Giorgio                     - Questa si difende con le unghie, e naturalmente... sapete come succede.

La marchesa             - Vi ci accanite sempre di più.

Giorgio                     - Proprio così.

La marchesa             - E avete scelto la mia casa per campo di battaglia. Vi ringrazio.

Giorgio                     - Andiamo, marchesa: non vi offen­dete. Voi siete così buona, fate così volentieri dei piacieri agli amici...

La marchesa             - Ma la piccola Gaddi...

Giorgio                     - Vi mureremo una lapide, poi.

La marchesa             - Dove?

Giorgio                     - Nell'appartamento verde. Giacché immagino che a Elena Gaddi avrete dato l'appartamento verde, il più bello...

La marchesa             - Perché vi dimorò Casanova? Allora avrei dovuto darlo a voi.

Giorgio                     - Non importa, marchesa, farò con to che me l'abbiate dato.

La marchesa             - Insolente!

Giorgio                     - Avete almeno serbato il segreto sulla mia venuta?

La marchesa             - Avrei fatto meglio ad annun­ciarla. Così Elena avrebbe avuto il tempo di mettersi in salvo.

Giorgio                     - Ma la curiosità è stata più forte di voi. Non è così?

La marchesa             - Se avessi saputo, vi assicuro...

Giorgio                     - No: non mi avreste tradito. E ora ditemi: chi sono i miei concorrenti?

La marchesa             - Fulvio Chiarini.

Giorgio                     - Giovane? Vecchio?

La marchesa             - Un ragazzo strano, interessan­tissimo.

Giorgio                     - Interessante come me?

La marchesa             - Altro tipo, lui. Tipo intellet­tuale.

Giorgio                     - Bah, genere che oggi va poco. Se­guitate.

La marchesa             - Gino Scarlatti.

Giorgio                     - Scarlatti?

La marchesa             - Sì, di Firenze.

Giorgio                     - Ah! Il nipote o lo zio?

La marchesa             - Lo zio.

Giorgio                     - Ahi! Più pericoloso del nipote: è ricco.

La marchesa             - E poi non è mica vecchio, sa­pete? Ha soltanto tre anni più di me.

Giorgio                     - Quarantaquattro?

La marchesa             - Impertinente! Quaranta.

Giorgio                     - Badate, l'anno scorso voi ne ave­vate già quaranta.

La marchesa             - Ebbene? Quest'anno ne ho trentasette. E soltanto per voi, intendia­moci. Non sapete che ho fatto la cura del dottor Masseur?

Giorgio                     - Che consiste?

La marchesa             - Ah questo non ve lo posso dire.

Giorgio                     - Perché?

La marchesa             - Perché... Ebbene, è una tra­sposizione di pelle. Ci sono dei volontari...

Giorgio                     - Oh graziosa!... E in che modo?

La marchesa             - No no: non vi ho detto che è una trasposizione di pelle?

Giorgio                     - Ora capisco perché tante signore non arrossiscono più.

La marchesa             - Giorgio (volgendosi) Ohi (Dalla terrazza è venuta la signora Caddi: una donna fragile, di vetro: un vero uc­cellino. Accostandole il capo al seno, le si sentirebbe battere forte forte il cuore: co­me ai passerotti quando si chiudono nel palmo d'una mano).

La marchesa             - Elena...

Elena                        - (vinto il primo istante dì stupore, d'esitazione, si fa avanti risolutamente).

La marchesa             - ... vi presento Giorgio Zuccari, se non vi conoscete ancora.

Giorgio                     - (pronto) No!

Elena                        - (un po' dura) Io, invece, lo conosco già, benissimo.

Giorgio                     - (prendendole una mano, baciando­gliela) Possibile? Ah, mi avete forse vi­sto a qualche circuito? A Monza? A Tri­poli? E’ incredibile la pubblicità che riescono a fare i giornali sportivi... Ma, ora che ci penso, marchesa, sapete che io non ho ancora pranzato?

La marchesa             - Va bene: vi faccio preparar subito qualcosa.

Giorgio                     - Non importa. Prenderò volentieri un marsala con qualche biscotto. Piuttosto vorrei rimanere così, in abito da viaggio. Posso?

La marchesa             - (a Elena) Glie lo concediamo?

Elena                        - Oh, per me...

La marchesa             - Ilo dei biscotti fantastici. Li tengo chiusi; non li offro che...

Giorgio                     - E allora fuori i biscotti speciali.

La marchesa             - Che screanzato! Non ringrazia nemmeno. Oh! (Esce scandalizzata, Elena e Giorgio restano a guardarsi, in silenzio).

Elena                        - (finalmente) Anche qui?

Giorgio                     - Volete che me ne ritorni via?

Elena                        - Inutile. Me ne andrò io.

Giorgio                     - Posso dirvi che ignoravo...?

Elena                        - Sarebbe fiato sprecato. Non vi cre­derei.

 Giorgio                    - E allora, non è una prova di più, questa ?

Elena                        - Non ve l'ha chiesta nessuno. Vi ho fatto capire in cento modi che non vo­glio saperne, di voi.

Giorgio                     - Me l'avete fatto capire troppo.

Elena                        - Troppo?

Giorgio                     - Questa smania di mettere sempre tra voi e me dello spazio, della gente estranea, dei muri, è una prova del vostro timore.

Elena                        - Che timore?

Giorgio                     - Quello di trovarvi a faccia a fac­cia con me: di dovermi ascoltare, di do­vermi parlare...

Elena                        - È un anno che la vostra persecu­zione continua.

Giorgio                     - Esattamente. Tenete un diario? No. I diari li tengono le giovinette o le donne sole. Le signore maritate, mai. Ed è un laccato. In quel diario avreste potuto se­gnare giorno per giorno, ora per ora, tutti i modi che io ho cercato per starvi vicino almeno un minuto, per vedervi: per re­spirare nella vostra atmosfera. E forse avreste potuto anche segnarvi le reazioni che questa insistenza, esagerata, lo ricono sco, al giorno d'oggi, aveva sull'animo vostro...

Elena                        - Nessuna.

Giorgio                     - Non mentite.

Elena                        - Nessuna. Se non forse di noia, spesso.

Giorgio                     - Debbo ritornarmene via dunque? Non ho nemmeno disfatto le valigie, non ho neanche da cambiarmi.

Elena                        - Ve ne sarei grata.

Giorgio                     - Siete fedelissima.

Elena                        - Non so. La verità è che voi mi siete indifferente.

Giorgio                     - E se io vi dicessi invece che un giorno noi saremo amanti? Che riderete di queste vostre parole?

Elena                        - Risponderei che siete pazzo e che dovreste farvi curare.

Giorgio                     - Però avete ciato un piccolo morso al vostro labbro inferiore.

Elena                        - Quando?

Giorgio                     - In questo momento: appena pro­nunciate le ultime parole. Un piccolo mor­so per punire il vostro labbro d'aver la­sciato sfuggire una frase inutile, assurda e che non sarebbe stata neanche l>ella se non l'aveste pronunciata voi.

Elena                        - Ma insomma che cosa posso lare per sfuggirvi? Per non vedervi più? Per non sentire più la vostra voce? Per non aver più su di me i vostri occhi indagatori ironici, come se veramente io volessi na­scondervi qualcosa e voi sapeste benissimo che non è vero?

Giorgio                     - Nulla.

Elena                        - Cosa?

Giorgio                     - Non potete far nulla. Perché io non sono più una cosa estranea, staccata da voi: io v'appartengo di già, come voi appartenete a me. Se voi voleste capire questa verità che è così semplice sareste meno caparbia, meno crudele con voi stes­sa e con me.

Elena                        - Se fosse vero, io vi cercherei invece di andare, sempre, più lontano che posso.

Giorgio                     - Andate lontano, sì, ma con la speranza che io vi raggiunga, per avere una prova di più e accumulare tante giu­stificazioni quante basteranno per soffo­care quelli che voi chiamale rimorsi e che temete possano venire a turbarvi, dopo.

Elena                        - Non è vero: quando sono entrata in questa stanza, eravate l'ultima persona voi che mi sarei aspettata d'incontrare.

Giorgio                     - Ma la mia presenza non vi ha stupita. Perché intimamente avevate la persuasione che prima o poi vi avrei raggiun­ta. Voi sapevate che vi cercavo e che se non mi riusciva per qualche giorno scopri­re il vostro rifugio, prima o poi ci sarci arrivato. Come infatti è avvenuto. E sapete come?

Elena                        - (lo fìssa, intenta, curiosa)

Giorgio                     - Nel modo più impensato. La mar­chesa, scrivendomi per invitarmi, parlan­domi dei suoi ospiti, ha latto incidental­mente il vostro nome. E vi do la mia parola che la marchesa non aveva il me­nomo sospetto. Non era dunque destino che io dovessi trovarvi dove meno vi cre­devo?

Elena                        - Dunque è vero che mi amate?

Giorgio                     - Non son qui a dimostrar velo?

Ei.ena                       - E se mi amate non potete dedicarmi un sacrificio, sia pur grande?

Giorgio                     - Il sacrificio che state per chiedermi va oltre le mie forze; non posso fare una promessa che sicuramente non manterrei.

Elena                        - Non Io credo. Se io vi scongiurassi di lasciarmi stare, voi lo fareste.

Giorgio                     - No.

Elena                        - Neppure se mi vedeste piangere?

Giorgio                     - Meno che mai. Avrei la prova sicura del vostro amore. E proprio allora dovrei rinunciarvi?

Elena                        - Quand'c così, domani io partirò. Tornerò a casa mia.

Giorgio                     - Partirò anch'io.

Elena                        - Spero che non vorrete seguirmi fino in casa mia.

Giorgio                     - No; ma bisognerebbe che non usciste più, che vi votaste a una specie di clausura.

Elena                        - Son capace di farlo.

Giorgio                     - Ma via! Come potreste giustificare questo cambiamento repentino?

Elena                        - Mi riuscirà. E se no, dirò tutto a mio marito.

Giorgio                     - Ah. Elena        - Mio marito è buono. È uno spirito delicato. Capirà. Troverà lui il modo di salvarmi.

Giorgio                     - Ci metterete l'uno contro l'altro.

Elena                        - Non gli dirò il vostro nome.

Giorgio                     - Ma, se appena è un uomo, mi cer­cherà. Ed io non son tipo da nascondermi.

Elena                        - Siete spietato.

Giorgio                     - Ma via! Smettete di giocare a na-scondercllo con la vostra coscienza! Chiu­dete gli occhi, e con questo credete d'es­sere sfuggita al pericolo. Ma quale pericolo? Voi siete giovane, sana: come potete vergognarvi dell'amore, quasi che fosse una malattia?

Elena                        - Basta, basta.

Giorgio                     - Se dite così, e segno che la misura è colma: che sapete benissimo come tutti i vostri sforzi ormai siano inutili. Ho pe­nato un anno intero, lo avete visto.

Elena                        - E io? Io non ho penato, vero?

Giorgio                     - Ebbene, abbiamo, avete lottato ab­bastanza, ma l'amore è stato più forte di noi...

Elena                        - Cosa dite?

Giorgio                     - Stanotte...

Elena                        - (cori spavento) Stanotte?

Giorgio                     - ... Vien gente. Ho bisogno di par­larvi ancora. Stanotte verrò da voi.

Elena                        - No!

Giorgio                     - ... nel vostro salotto. Mi accoglie­rete come un amico. Niente di più. Vi prometto che sarò rispettoso. Ve lo prometto. Dovete credermi. Basterà che non chiudiate a chiave...

Elena                        - No!

Giorgio                     - Ed io sono sicuro di sì. Lo farete. Voi stessa capite che e necessario. È necessario dirci tutto. Poi, se non sarete convinta, se non vi sentirete in pace con la vostra coscienza, me ne andrò. Giuro che vi la­scerò tranquilla. Dovete credermi. Elena.

La marchesa             - (entrando) Fra poco avrete i vostri biscotti. Ma, inutile che séguiti a far­vi la descrizione dei mici ospiti, Giorgio. Vengono qua.

(Le due porte del fondo si spalancano, nu­trano Elisa Albani, Veronica Mori-Stal­li, Fulvio Chiarini, Gino Scarlatti, Ame­deo Amari).

Amari                       - (bell'uomo: tipo di filibustiere: quarant'anni) Trasportiamo le nostre tende di qua. Comincia a far fresco in terrazza.

Gino                         - (d'un'eleganza un po' passata) Dì piuttosto che di qua speri d'essere più fortunato.

La marchesa             - Perdete, Amari?

Gino                         - Già, un bel fatto.

Amari                       - Bello poi!

Gino                         - Vince Veronica.

Veronica                   - (donna un po' grassa, vistosa, piuttosto volgare) Che cancan per millecinquecento lire! (Accende un avana).

Elisa                         - (giovane sventata gaia) Ohi, ricordati che siamo in società, noi due.

Veronica                   - Un momento: hai una piccola partecipazione agli utili, purché tu stia zitta; se no cominci a chiacchierare e a distrarre tutti.

Elisa                         - Chiacchierare io?

La marchesa             - Elisa, venite qui, vi presento Giorgio Zùccari.

Elisa                         - (d'un fiato) Giorgio Zùccari? Il grande sportman? Ah, come sono felice. Che spavento l'ultima volta... dove fu... a Monza? Sì a Monza, quel ritorno di fiam­ma... Per poco Barbara Page (proti. Peg) non svenne. Sapete che Barbara e innamo­rata pazza di voi?...

La marchesa             - (interrompendola) E dice che non apre mai bocca!

Elisa                         - Che ho detto? Ho fatto una gaffe? Sapete, pare che io non possa parlare senza fare una gaffe.

Giorgio                     - (sorridendo) No, nessuna gaffe.

Elisa                         - Meno male.

La marchesa             - (a Veronica) Giorgio Zùccari: il nostro grande corridore. Dilettante. Zùc­cari è un signore. Veronica Mori-Stalli: la celebre letterata.

Veronica                   - Un momento. Un momento. Io sono una scrittrice. C'è una bella differen­za. La letteratura, ohibò! Siamo ignoranti...

Giorgio                     - Ma figuratevi! Più ignorante di me...

Veronica                   - ... e avremo l'arte nuova, final­mente. Io non sono una letterata, no. Scrivo perché Dio lo vuole.

Elisa                         - (piano) Ora la colpa è di Dio!

La marchesa             - Ha anche ricevuto un premio ultimamente.

Veronica                   - Un premio?

Elisa                         - Anzi, tutte le tue opere sono state •premiate, vero?

Veronica                   - Tutte. E la prossima volta biso­gnerà che rifiuti, altrimenti i colleghi...

Elisa                         - Rifiutare? Non potrai, cara, non potrai...

Veronica                   - Perché?

Elisa                         - Ci sono tanti premi! Se vi mettete a rifiutarli, mi dici cosa ne fanno?

Veronica                   - Pazienza, allora: mi sacrifi­cherò.

Elisa                         - Ecco, brava: sacrificati.

La marchesa             - (continuando le presentazioni) Fulvio Chiarini, Gino Scarlatti, Amedeo Amari...

(Gli uomini si stringono la mano. Intanto un servo avrà disposto verso il fondo il tavolo da giuoco. Quindi il maggiordomo, seguito da un altro servo recante una guantiera d'argento con su un servizio da liquori, avrà cominciato a fare il giro de­gli ospiti).

Amari                       - Previsioni per Indianopolis?

Giorgio                     - Meglio non farne: si potrebbe anche azzeccarla.

Scarlatti                    - Correrete voi ?

Giorgio                     - No.

Fulvio                       - Correrete a Monza?

Giorgio                     - Per forza. Sono impegnato.

Giustino                   - (a Fulvio) Whisky, come al so­lito?

Fulvio                       - Sì, poco seltz. Posate là. (ìndica il tavolo da giuoco).

Gino                         - (a Giorgio) Giocate a bridge?

Giorgio                     - Né a bridge, né a poker... e nean­che a scopone.

Elisa                         - Che fortuna! Farete compagnia a noi. (a Giustino) Roba dolce: Char­treuse.

Giorgio                     - No: sarete voi che la farete a me.

Veronica                   - Sarebbe a dire? (a Giustino) Cognac.

La marchesa             - Ma sì: Giorgio è fatto così. Non sembra, ma è un miso... mi So...

Elisa                         - (sventatamente)... misogallo.

Scarlatti                    - Cosa?

Elisa                         - Oh Dio, che ho detto? Una cosa sconveniente? (// Veronica) Che cos'è que­sto misogallo?

Veronica                   - Non saprei. Non ricordo.

Scarlatti                    - Qualcosa dell'Alfieri, no?

Veronica                   - No, non credo.

Giorgio                     - Dunque io sarei un miso...

Veronica                   - (con un lampo di genio) Un misògino?

La marchesa             - Questo poi no: anzi, tutt’altro.

Giorcio                     - Grazie.

Amari                       - Allora, un misàntropo.

La marchesa             - Nemmeno. Oh lui non è come Fulvio Chiarini. (Lo indica).

Fulvio                       - (si è seduto nel fondo, al tavolo da giuoco, solo: in compagnia del suo whisky. È un giovanotto un po' funebre: sperduto nelle nebbie di una leggera e per­petua ebrezza).

Giorgio                     - Pagherei a sapere allora che razza di « miso » sono io.

Elena                        - Diciamo che e un uomo mi... mi... mi... sterioso.

La marchesa             - È un uomo abituato a fare il comodo suo, ecco.

Gino                         - Oh beh, noi tutti qui facciamo il comodo nostro.

Elisa                         - E per questo ci si viene (Spalancan­do gli occhi, pentita) Oh!

La marchesa             - Ma sì, ditelo pure. Del resto e il mio grande segreto: lasciare che gli ospiti siano liberi, come in casa propria (a Giustino) Al signor Zùccari, marsala con biscotti. Subito, vero, Giorgio? (Gior­gio fa cenno di sì).

(Dopo un poco Giustino che intanto sarà andato dall'uno all'altro, sentendosi ri­spondere: cognac, chartreuse, Rimmel, ecc., tornerà servendo a Giorgio marsala e biscotti. Poscia si ritirerà in un angolo e fissando a una a una le persone, prenderà appunti su un taccuino).

Giorgio                     - Ora ho fatto la conoscenza di tutti, credo.

Elisa                         - Ma che dite? Manca il personaggio più importante.

Gino                         - Grazie per gli altri.

Elisa                         - (col solito gesto) Oh!

La marchesa             - Non il piò importante: il più strano.

Elena                        - Al solito, avete rimediato bene la gaffe di Elisa.

Giorgio                     - E chi è costui?

Amari                       - Potete togliervi la curiosità: ec­colo.

(Da una delle porte laterali entra /'Estra­neo. È un uomo su la cinquantina: porta soprabito cappello bastone: attraversa la scena facendo un breve cenno del capo, sale la scala, scompare).

Giorgio                     - (appena l'Estraneo è scomparso)  E chi è?

La marchesa             - Si chiama Dhovery.

Giorgio                     - Come?

Elisa                         - Come il plurale di dovere.

Giorgio                     - Ah. Giustino (contemporaneamente a uno dei servi) Che cosa ha preso il 14? Cognac o charteuse?

Il servo                     - Cognac. (il maggiordomo segna).

La marchesa             - Dhovery, già. Però il suo nome finisce con la y greca, e tra la D e la o, non si sa perché, mette un'acca.

 Giorgio                    - E con questo?

Elisa                         - Ma è un uomo straordinario.

Veronica                   - È nato nel Turkestan.

Giorgio                     - Straordinario per questo?

Elisa                         - No, ma perché quando incontra uno lo fissa in modo inquietante. Forse non avete avuto il tempo di notarlo voi, ma ha degli occhi acuti penetranti indagatori, animati da un fuoco che si direbbe diabo­lico.

Giorgio                     - Uhm, mi fate aggricciare la pelle!

Elisa                         - Eppoi, non parla mai. Non ha mai rivolto Ja parola a nessuno, da che è qui.

La marchesa             - Prego: una mattina, mi ha detto Giustino, ha chiesto dell'acqua cal­da... (al maggiordomo) Non è vero, Giu­stino?

Giustino                   - (che ha seguitato a prendere ap punti, alzando la testa) Sì, signora mar­chesa. La macchina centrale non funzio­nava.

Giorgio                     - E non ha mai pronunciato altre parole?

La marchesa             - Mai. Forse il buongiorno e la buonasera li dà: muove un poco le lab­bra. Ma le parole non si percepiscono. (Nel frattempo Amari, Chiarini, Vero­nica si sono seduti al tavolo da giuoco. Fulvio ha cominciato a distribuire le carte).

Giorgio                     - (che è rimasto qualche attimo silen­zioso) Scommetto che io arrivo a farlo parlare?

La marchesa             - Non c'è riuscita nemmeno Elisa, che è tutto dire.

Elisa                         - E sì che gli ho fatto anche un po' la corte.

Giorgio                     - Ah sì? E come?

Elisa                         - Per tre giorni mi son messa a leg­gere nel parco, vicina a lui.

Giorgio                     - Ah, e lui?

Elisa                         - 11 quarto giorno ha mutato posto.

Giorgio                     - Non c'era che da insistere.

La marchesa             - Oh, ha insistito.

Giorgio                     - Ah.

Elisa                         - Il sesto giorno non è venuto più.

Giorgio                     - Non c'è dubbio: è un uomo di cattivo gusto.

La marchesa             - Cominciate subito, Giorgio?

Elisa                         - Lasciatelo fare. Dopo tanto arriva finalmente un uomo simpatico! (/ gioca­tori alzano la testa. Elisa, col solito ge­sto) Un'altra gaffe? Oh! (a bassa voce) Beh, questa l'ho voluta fare.

Giorgio                     - (alla marchesa) E voi non siete riuscita a sapere altro sul conto suo?

La marchesa             - Niente altro.

Elisa                         - Per me è un poliziotto.

La marchesa             - E che sarebbe venuto a fare qua?

Elisa                         - Oh non si sa mai: gli alberghi...

La marchesa             - (dall'alto in basso) Questo non è un albergo.

Elisa                         - Ma no, naturalmente. Questo è...

La marchesa             - I miei amici lo sanno: que­sto non è un albergo. Avevo questa villa, troppo grande per me: ne ho fatto un luogo di riposo...

Giorgio                     - ... o quasi.

La marchesa             - Non fate l'impertinente, Giorgio. Fortunatamente non tutti i miei ospiti sono come voi. C'è anche della gente seria.

Elisa                         - Il signor Dhovery, per esempio, che non parla mai con nessuno.

La marchesa             - Quello non conta.

Giorgio                     - Al contrario: mi sembra che co­stui conti molto. Da un quarto d'ora non facciamo che occuparci di lui.

Elisa                         - Avanti, sentiamo la vostra opinione. Chi può essere?

Giorgio                     - Mah! Bisognerebbe almeno che Jo avessi visto bene in faccia.

Elisa                         - Domani.

Giorgio                     - Si è già ritirato?

Elisa                         - Certo. Dopo pranzo una piccola passeggiata fino in paese   - tornava ora -; e domattina alle sei, sveglia.

Giorgio                     - Alle sei? Credo che in faccia io non lo vedrò mai.

Elisa                         - Altra passeggiata...

Giorgio                     - Ah.

Elisa                         - Rientra sempre con dei fiori...

La marchesa             - Ne ha la camera piena.

Elisa                         - Saccheggia i giardini dei dintorni.

Giorgio                     - Allora non è un poliziotto.

Elisa                         - ... posa quei fiori su la sua piccola tavola separata, e durante In colazione odora ora questo ora quello...

Giorgio                     - Come la famosa farfalletta?

Elisa                         - Ma lui non è mosso dall'appetito.

La marchesa             - Tocca appena il cibo. La sera non pranza neanche.

Giorgio                     - Non ne sarete scontenta.

La marchesa             - (scandalizzata) Oh.

Giorgio                     - Tuttavia mi è parso tutt'altro che denutrito.

Elisa                         - Lo credo. Ha le tasche sempre pieni-di dolciumi.

Giorgio                     - Come lo sapete?

Elisa                         - Semina oro e argento sul suo cam­mino...

Giorgio                     - Mi metto subito alle sue cal­cagna.

Elisa                         - ... ma di stagnola.

Giorgio                     - E paga regolarmente la pensione?

La marchesa             - Non so.

Giorgio                     - Non lo sapete? Voi?

La marchesa             - È arrivato una settimana fa. Giustino?

Giustino                   - Signora marchesa?

La marchesa             - Avete dato il conto al signor Dhovery ?

Giustino                   - E l'ha già saldato, signora mar chesa. Saldato abbondantemente. Il dodici bis è molto generoso col personale.

Giorgio                     - E nemmeno voi, Giustino, siete riuscito a scoprir nulla sul conto suo?

Giustino                   - Oh signore! Il personale si di­sinteressa completamente di queste cose. Non abbiamo tempo. D'altra parte gli ospiti della villa non sono dei clienti... qualsiasi. Da noi tutti sono considerati amici personali della signora marchesa. E ove non diano motivo a lagnanze - ciò che pel vero non accade mai        - sono libe­rissimi di fare quello che vogliono. An­che di tacere. Nel caso particolare, il nu­mero 12 bis...

La marchesa             - (severamente) Giustino!

Giustino                   - Chiedo scusa, signora marchesa. (Correggendosi) II signor Dhovery, non solo non ha dato motivo a lagnanze, ma al momento di pagare il conto, cioè... volevo dire la piccola nota di spese settima­nale, si è mostrato vero gentleman….. Che cosa dobbiamo desiderare di più?

Giorgio                     - Oh scusate, Giustino.

Giustino                   - Niente, signore. Altri ordini?

Giorgio                     - No, grazie.

Giustino                   - (s'inchina e si ritira).

Giorgio                     - Un bel tatto. Voi, cara amica, date online di considerare tutti noi come degli ospiti vostri...

La marchesa             - Naturalmente. Io offro la mia casa. Non faccio l'albcrgatrìce.

Giorgio                     - Questo è stabilito. Ma, scusate, come potete considerare e quindi far con sidcrare da noi come un amico un tale che non sappiamo chi sia, da dove venga, cosa faccia? Noi, su per giù, sappiamo tutti chi siamo. Ma quello chi è? Uno che non parla. Un muro senza aperture. Al di là che c'è? Il suo silenzio, come vedete, può dar luogo a mille supposizioni. Del resto mi meraviglia che la curiosità non ab­bia spinto queste signore a fare una scor­ribanda in camera sua.

Elisa                         - E come no? Elena c'è stata.

Giorgio                     - (a Eiena) Ebbene?

Elena                        - Della Mancherà comune, ma in or dine, degli abiti con l'etichetta di sarti diversi.

Giorgio                     - Quali sarti? Non sarebbe diffìcile allora...

Elena                        - Non sarti di nome: mi sono espres­sa male. Magazzini. Abiti belli e fatti, in somma; comprati un po' da per tutto: a Milano, a Parigi, a Roma, a Londra..

Giorgio                     - Carte?

Elena                        - Nessuna.

Giorgio                     - Lettere?

Elena                        - Non ne riceve. Non ne ha mai ricevute.

Giorgio                     - Fotografie? Di quelle che ciascuno porta con se, viaggiando, che si posano sul comodino, prima ancora di vuotar la valigia?

Elena                        - Nessuna.

Giorgio                     - Che fuma? Sigari? Sigarette? Pipa ?

Elena                        - Non fuma.

Giorgio                     - Che legge?

Elena                        - Giornali, molti giornali.

Giorgio                     - Colore politico?

Elena                        - Tutti i colori.

Giorgio                     - Di che nazione?

Elena                        - Tutte. Perfino greci, perfino turchi.

Veronica                   - Già: è nato nel Turkestan.

La marchesa             - Ma no: che c'entra?... che ne pensate voi, Giorgio?

Giorgio                     - Quello che ne penso io non ha im­portanza. L'ho appena intravisto, (a Elena) Piuttosto voi. Che ne pensate?

Elena                        - Elisa v'ha parlato del suo sguar­do. È l'unica cosa viva della sua persona. Indubbiamente. Ma io non vi trovo nulla di diabolico. È lo sguardo ardente di un uomo che consuma dentro di sé quello che non può esprimere.

Giorgio                     - Sì, ma chi sarebbe, secondo voi?

Elena                        - Non quello che temono gli altri.

La marchesa             - E che cosa temerebbero., gli altri?

Elena                        - (riprendendosi) Nulla, certo... Ma non si può negare che quando si siede a tavola nella sala da pranzo, la conversa­zione subisce un arresto: passa un senso di gelo: se qualcuno faceva delle confi­denze le rimanila a un altro momento. Insomma quell'indivìduo è tra noi, vera­mente, un estraneo.

La marchesa             - Nessuno però può temere qui la presenza d'un estraneo.

Elena                        - No, no...

La marchesa             - Il disagio è naturale: creato sopratutto dal suo mutismo.

Elisa                         - No: creato soprattutto da quello che v'e di singolare nella sua persona, nei suoi gesti e, ripeto, nel suo sguardo.

Giorgio                     - Ma insomma, signora, secondo voi chi può essere?

Elena                        - Ma scusate, si alza presto: va per la campagna, ritorna con dei fiori, li odo­ra di quando in quando durante il pa­sto? È un vedovo.

La marchesa             - Vedovo?

Elisa                         - Vedovo?

Veronica                   - Perché, poi, un vedovo'

Elena                        - Perché lo scapolo, per abitudine, si interessa alle donne, a tutte le donne. Lo scapolo con l'immaginazione le fa tutte sue. Il vedovo, che ha amato, dinanzi a sé vede quella, sempre quella.

Giorgio                     - Siete profonda.

Elena                        - No, sono civetta. E cerco di giusti ficare il suo disinteresse per noi.

La marchesa             - Temo invece che siate una grande sentimentale.

Elena                        - Io non so se sono una sentimen­tale, ma a volte mi piacerebbe che qual­cuno mi raccontasse delle fiabe. E siccome non trovo mai nessuno disposto a contentarmi, me la racconto da me...

Veronica                   - Hai un temperamento d'artista.

Elisa                         - Avanti, Veronica, non guastare tutto.

Elena                        - Per me, dunque, è un vedovo. Ebbe un bambino. Pensava di farne un mili­tare.

Elisa                         - Un militare?

Elena                        - Si, come fu lui, un tempo. Gioca vano insieme ai soldati. Il bambino domandava sempre: papà, che cos'è un af­fusto, come si fa il presentatami? Collu­si dà quest'ordine? E questo? E questo:

Giorgio                     - È straordinaria.

Elena                        - Détte le dimissioni quando gli morì la moglie, per dedicarsi al bambino. Ma poi gli morì anche il bambino. Rimase solo. E allora perse l'abitudine di parlare.

Giorgio                     - Se fosse vero, terrebbe delle fo­tografie sul comodino.

Elena                        - Le tiene nel portafoglio. Le mette vicino al capezzale soltanto la notte. Con dinanzi i fiori, tutti quei fiori.

Elisa                         - (scoppiando in una risata strìdula) Oh Dio, Dio: è troppo buffa.

Elena                        - Che cosa?

Elisa                         - Ma sì: questa tua storia. Avete sentito come ci ha ricamato su? La moglie il bambino la vita militare... Ah no, mia cara: non è questo: è quello che ho detto io: un poliziotto. Appuno perché questo non è un albergo, ma una pensione privata, di un carattere tutto speciale, appunto per questo la cosa ha dato nell'occhio alla polizia. fi semplice: vogliono sapere che cosa facciamo noi qui.

La marchesa             - Nulla di male, grazie a Dio.

Amari                       - (s'è alzato, ha lasciato il tavolo da giuoco, s'è avvicinato a Elisa) Davvero? Credete proprio.

Elisa                         - Ma certo.

Amari                       - E vi sembra che ci osservi?

Elisa                         - Quando mio marito fu arrestato, dopo la chiusura della Banca, venne uno come quello. Anzi, lì per lì mi è sembrato la medesima persona.

Amari                       - La medesima persona?

Elisa                         - No. Poi me ne sono convinta. Ma l'aspetto, l'aria... Sapete, quell'aria tutta speciale...

La marchesa             - Elisa vuole scherzare.

Elisa                         - (nervosamente) Ma neanche per so­gno. Vi pare che scherzerei su una cosa simile?

Amari                       - (asciugandosi il sudore) Possibile: Possibile?

Elena                        - Che cosa?

Amari                       - Un poliziotto. Qui.

La marchesa             - Tutte idee di Elisa. Legge troppi libri gialli. Per me è una bravis­sima persona. Capirete, uno che paga re­golarmente e non scontenta il personale!

Veronica                   - (a sua volta; s'è alzata) E perché non sarebbe invece un giornalista? Legge tanti giornali!

La marchesa             - I giornalisti sono chiacchie­roni.

Veronica                   - Può essere venuto con uno scopo preciso.

La marchesa             - Quale?

Veronica                   - Osservate da vicino il protesso creativo d'un artista.

Elisa                         - Un artista? Qui non ce n'è.

Veronica                   - Prego, prego...

Elisa                         - Ah, te? fi vero, già. Scusa, me n'ero

dimenticata.

Veronica                   - Un giornale americano mi an­nunciò l'arrivo di un intervistatore. Può darsi che, prima d'intervistarmi, costui mi voglia osservare un po'. Sapete bene, questi americani!

Gino                         - (facendosi avanti) Posso dir la mia:

La marchesa             - Sentiamo.

Gino                         - È uno che alle parole preferisce il ta­cere? Non è un fiorentino.

Elisa                         - Questo si sa[>eva.

Gino                         - Ma io si che sono fiorentino. E, no­ialtri, sapete, ai tipi bislacchi siamo avvezzi da secoli. Perciò non ce ne curiamo più. Fate dunque come me.

La marchesa             - E voi, Fulvio, non dite la vostra?

Fulvio                       - (è rimasto solo al tavolo da giuoco. Vicina tiene la bottiglia del whisky) Su che cosa, marchesa?

La marchesa             - Ma sul signor Dhovery. Avanti, sentiamo.

Fulvio                       - Gli esseri umani esercitano su di noi un'attrazione proporzionati agli inte­ressi nostri. Nessun interesse mi spinge verso di lui, nulla può spingerlo verso di me. Perché dunque occuparmene? Non parla? Gli piacerà stare zitto. Dà laute mance? Vuol dire che è generoso, o gli conviene apparir tale, come quasi sempre accade. Son cose che lo riguardano. Per quello che riguarda me, la sua camera e esattamente sopra la mia e con tutto ciò, alzandosi alle sei, dico alle sei del mattino, non mi sveglia mai. Ha cinquantanni o poco più e si contenta di odorare dei fiori. Dunque non insidierà mai le mie donne. Ecco perché non ho nessuna ragione per non stimare come si merita il signor Dhovery. (Si versa dell'altro whisky. Beve).

La marchesa             - Siete un cinico.

Fulvio                       - Può darsi benissimo. Il cinismo è, del resto, una forma di dolore. (Ma in questo istante appare in cima alla scala il signor Dhovery, /'Estraneo. Leu tamentc egli scende. S'avvicina a un ta­volo, prende una rivista. Siede su una pol­trona. Sì mette tranquillamente a leggere. I personaggi son rimasti immobili, nella stessa attitudine nella quale li ha sorpresi l'entrata dell'Estraneo. Persili Fulvio è re­stato col bicchiere hi aria. L'Estraneo s'è immerso nella lettura).

Elisa                         - (finalmente scoppia in una risata, in una delle sue risate un po' stridule di don­nina scervellata. Tutti si scuotono, la guar­dano stupiti).

L'estraneo                 - (ha alzato la testa: fissa Elisa).

La marchesa             - Che vi prende, Elisa?

Elisa                         - Oh Dio! Non v'accorgete di quanto siamo buffi?

La marchesa             - (con molta dignità) In vita mia non mi sono mai accorta d'essere buffa.

Elisa                         - Questo silenzio! Il signore avrà tutte le ragioni di credere che noi si stesse parlando di cose... di cose che lui non deve sapere.

L'estraneo                 - (continua a fissarla).

La marchesa             - E perché mai dovrebbe cre­derlo?

Elisa                         - i\la perché tutti ci siamo ammuto­liti... così.

La marchesa             - Ma no, Elisa. Il signore non avrebbe mai potuto fare una supposizione simile. Non è vero, signore?

L'estraneo                 - Certamente, marchesa.

La marchesa             - Del resto un po' di meravi­glia da parte nostra era naturale, veden­dovi qui, tra noi, per la prima volta.

L'estraneo                 - Ma... io non credevo che fosse necessario...

La marchesa             - Oh, no no. Questa è una sala comune. E voi avete il diritto di rimanervi quanto volete     - come gli altri. Ma qua si vive tutti in una grande dimestichezza, siamo un po' tra amici...

L'estraneo                 - Oh, capisco, capisco benissimo. E mi scuso. (Fa l'atto d'alzarsi e d'uscire, portando con sé la rivista).

La marchesa             - Ma no, restate. Anzi, ci fate piacere.

 L'estraneo                - (siede di nuovo) Grazie.

La marchesa             - Potete andare e venire quanto volete.

L'estraneo                 - Ed io ve ne sono molto rico­noscente. Passando con la mia vecchia auto­mobile vidi questa villa meravigliosa, mi prese il desiderio di visitarla e non vi so dire come fui contento quando seppi che, volendo, ci si poteva soggiornare qualche tempo. Mi piacque anche perché, come albergo, era un po' sui generis.

La marchesa             - Tuttavia, avrete notato chi-nessuno ha menomamente cercato di tur­bare il vostro... raccoglimento.

L'estraneo                 - Ed ho apprezzato moltissimo questa delicatezza. Ma forse io ho turbato abitudini che...

La marchesa             - Assolutamente. Volete permet­termi di presentarvi...?

L'estraneo                 - Lo giudicate necessario, mar­chesa? Suppongo che tutti conoscano già perfettamente il mio nome.

La marchesa             - Non credo.

L'estraneo                 - È naturale. Io sono un estraneo qui. Per forza dovevo attirare su di me un po' di curiosità.

La marchesa             - Disgraziatamente vi sono for­malità che....

L'estraneo                 - (interrompendola col gesto) Sì, sì... Ed io son pronto a ripetere il mio nome, per quanto un nome, un semplice nome, dica generalmente ben poco... Che cos'è un nome? Ciò che è la scorza per un limone, la facciata per una casa, la crosta per un mondo. Il mondo che cia­scuno porta in sé. Ma, lo avrete notato, è difficile che due, presentandosi, dicano forte il loro nome: quasi che una specie di pudore li trattenga, o che temano di rivelar troppo di sé. È come una esita­zione sul punto d'iniziare una nuova ami­cizia, nuove vicende forse... Io, per esem­pio, di tutte le migliaia di persone che ho avvicinato ne' mici lunghissimi viaggi, quanti nomi riesco ancora a ricordarmi...? Nonostante, se può bastarvi, ecco qua: mi chiamo Gustavo Dhovery.

Elisa                         - Non avevo idea d'una presentazione simile.

L'estraneo                 - Chiedo scusa, ma io sono sem­pre passato per un originale.

Elisa                         - Oh, ce n'eravamo già accorti.

L'estraneo                 - Davvero? E come?

Elisa                         - Scusate, uno che in sette giorni apre bocca soltanto per chiedere un po' d'acqua calda!

L'estraneo                 - Era stato notato?

Elisa                         - Per forza.

La marchesa             - Elisa!

L'estraneo                 - Ma no, marchesa; anzi...

Elisa                         - È vero che ora state rifacendovi.

L'estraneo                 - Preferibile il mio mutismo?

Elisa                         - No, no. Al contrario. Però e strano...

L'estraneo                 - Che cosa?

Elisa                         - Oh beh, giacché la conversazione è su questo piede...

La marchesa             - (piano ad Elena) Sto su le spine.

L'estraneo                 - Sentiamo.

Elisa                         - La curiosità è femmina. A che dob­biamo l'onore, stassera...?

L'estraneo                 - Ma è semplice: al desiderio di conversare un po' con tutti voi. (Stupore generale).

Elisa                         - Conversare?

L’estraneo                - Sì. Non è vero che io sia un orso. Sono anzi un animale socievolissimo. Vuol dire che i primi giorni, in qualunque luogo mi trovi, io studio, osservo... Se i miei compagni occasionali mi vanno, fo gli approcci necessari; altrimenti, il mio umor nero, strambo, come volete voi, sarà lì a difendermi.

Giorgio                     - Come trovata, non c'è male.

L'estraneo                 - Troppo gentile.

Ellna                         - Dobbiamo dunque accettare le vo­stre parole come una dichiarazione di sim­patia ?

L'estraneo                 - Non le mie parole soltanto, ma la mia presenza qui.

Elisa                         - (a Veronica) Comincia a diventarmi simpatico.

Giorgio                     - Non si può negare però che siano considerazioni un po' unilaterali.

L'estraneo                 - Prego prego: io non m'impon­go, mai.

Fulvio                       - (dal fondo) E va bene. Voi ci avete detto il vostro nome. Ma i nostri, di grazia, li conoscete?

L'estraneo                 - (con un finissimo sorriso) I vostri? Oh già, i vostri. Permettete, signo­ra Gaddi...? (S'è alzato, s'è avvicinato ad Elena).

Elena                        - Come, sapete...?

L'estraneo                 - (non curandosi dello stupore di Elena) Gustavo Dhovery. (Ella porge la mano automaticamente. Egli gliela stringe) Posso, signora Albani?... (L'Estraneo le ha già stretto la mano. È passato a Veronica). Conosco «Vendetta del Dio » (Le stringe la mano). Andando per eliminazione voi non potete essere che il notissimo uomo d'affari, avvocato Ama­ri, e voi il turfman celeberrimo, il nobile Scarlatti. (Stringe la mano a tutti e due).

Gino                         - Mi conoscono in mezzo mondo. Dia­volo che non mi conosceste voi.

L'estraneo                 - (fermandosi dinanzi a Giorgio) Oh! un nuovo arrivato. Ecco la mia presunzione punita. Però i giornali non do­vrebbero far mai troppa pubblicità agli uomini celebri: sopratutto agli uomini di sport: li mettono in grado d'inferiorità... quando vogliono fare qualche scappatella. Voi siete Giorgio Zùccari o sbaglio? (Gli stringe la mano).

Elisa                         - Fenomenale!

L'estraneo                 - (a Fulvio) E voi...

Fulvio                       - Fulvio Chiarini. Sentite, io son sempre vissuto per conto mio: ho pochi amici, nessun parente, dunque...

Giorgio                     - Ma, prima di tutto, come avete fatto a riconoscerci a uno a uno...?

L'estraneo                 - Non c’è forse un registro de­gli... ospiti, come ama chiamarci la si­gnora marchesa? Ciascuno non è forse li­bero di sfogliarlo? E se ha appena appena un po' di perspicacia...

Giorgio                     - Siete curioso, dunque?

L'estraneo                 - Mio Dio... sì. Ed è un brutto difetto, lo so.

Giorgio                     - Bruttissimo. D'ora innanzi ci sembrerà di sentir sempre i vostri occhi fissi su di noi e questo francamente...

L'estraneo                 - Ma sempre ci sono degli occhi fissi su di noi! E il maggiore sforzo che si compie nella vita è appunto quello d'in­gannare tutti quegli occhi. Per fingerci di versi da come siamo.

La marchsea             - Quanto a noi, signore, non abbiamo da ingannare nessuno.

L'estraneo                 - (sorride).

Giorgio                     - C'è poco da sorridere. Nessuno.

L'estraneo                 - Ma se prima di tutto cerchia mo d'ingannare noi stessi! Per vederci il meno possibile. Nel timore che i nostri oc­chi debbano penetrar troppo a fondo! E l'inganno col quale ci presentiamo sempre dinanzi agli altri non è che un pallido ri­flesso di quello che usiamo con noi stessi. fi minimo il tempo, credetemi, che s'im-piega, per esempio, a far del male, in con fronto a quello che si perde per giustifi cario, giacché non si può occultarlo, di­nanzi alla nostra coscienza.

Giorgio                     - Sia pure. Ma che altri, se non ^ direttamente interessato, s'immischi nei fai ti nostri, questo ci secca maledettamente. Ci mette in una condizione di disagio.

L'estraneo                 - Ma scusate, può in coscienza ciascuno di voi negare d'aver fatto indagini e supposizioni sul conto mio? (Tutti tac­ciono) E allora? Era naturale che anch'io ne facessi sul conto vostro.

Giorgio                     - Noi. è un'altra faccenda! Voi avete fatto di tutto per stuzzicare la no­stra curiosità. Col vostro mutismo, col vo­stro strano modo di fare.

L'estraneo                 - E chi vi dice che il vostro mo do di fare non sia. per me, altrettanto strano?

Giorgio                     - Io, che sappia, sono un uomo nor malissimo.

L'estraneo                 - No.

Giorgio                     - Oh, prego, prego...

L'estraneo                 - L'uomo normale non rischia la vita ogni giorno. Voi siete un'eccezione. Nessuno di quanti siete qui, può dirsi una persona normale... Se mi fosse permesso, potrei di ciascuno mettere in luce il lato singolare... Volete, marchesa?

La marchesa             - No, no!

L'estraneo                 - E voi, avvocato?

Amari                       - Ma cosa dite?

L'estraneo                 - (a Scarlatti) Voi ?

Gino                         - Per carità!

L'estraneo                 - Mi sembra che sia inutile con­tinuare. Tutti hanno paura.

La marchesa             - Oh beh!

L'estraneo                 - £ naturale. Una volta che tutti tendiamo a ignorarci.

Giorgio                     - E anche questa di voler indovinare quello che siamo e quello che non siamo non è una prova della vostra curiosità?

L'estraneo                 - Certo... Ma io, almeno, non sono mai penetrato nelle vostre camere, non ho mai frugato tra la vostra roba...

La marchesa             - (offesa) Signor Dhovery!

L'estraneo                 - Niente di male, marchesa. Alle belle signore si perdona tutto...

La marchesa             - (inalberandosi) Ma come...

L'estraneo                 - La signora Caddi adopra un profumo indimenticabile, marchesa.

Elena                        - (confusa) Oh io...

L'estraneo                 - Per carità, signora. Niente di male. E la signora Albani pone tanta grazia nella sua indiscrezione, che non le porto certo rancore d'aver cercato di violare la mia solitudine, diciamo così... campestre.

Elisa                         - Credete che...

L'estraneo                 - Niente di male, signora.

Giorgio                     - Ma sapete che fareste venir quasi un sospetto...?

L'estraneo                 - Che sia un poliziotto?

Giorgio                     - Già.

L'estraneo                 - E perché no? (Movimento ge­nerale) Scnonchè un poliziotto occulta, non svela la propria identità.

Giorgio                     - Non vi riesce quasi mai.

L'estraneo                 - Ma tenta ugualmente. Ebbene, io mi sono svelato subito, no?

Giorgio                     - Fino ad un certo punto.

L'estraneo                 - Il resto verrà, semmai, dopo. Ma ora debbo chiedere scusa e ritirarmi. Ho l'abitudine d'andare a letto presto.

Giorgio                     - Già, per alzarvi alle sei.

L'estraneo                 - Ecco. Vedete? Siete appena arrivato e sapete già che mi alzo alle sei.

Giustino                   - (entrando, all'Estraneo) La «Gaz zetta della Sera ».

L'estraneo                 - Perché? Non l'avevo chiesta.

Giustino                   - Lo so, ma ho osservato che il si­gnore la compra ogni mattina...

L'estraneo                 - Ebbene?

Giustino                   - La mattina un giornale della sera? Cosi ho disposto che ogni sera, ap­pena arriva...

L'estraneo                 - Grazie, Giustino. (Giustino si ritira) E anche Giustino ha osservato qual­cosa. Dentro di sé avrà fatto certo anche lui le sue brave supposizioni.

Elena                        - E giacché la mia non aveva nulla d'offensivo, ditemi una cosa, ve ne prego: è vero che siete stato militare, che siete vedovo, che aveste un bambino, vi morì. e ora vivete nel culto di quella memoria?

L'estraneo                 - M'avete immaginato così?

Elena                        - Ho sbagliato, non e vero?

L'estraneo                 - Forse no. Ed io sbaglio se cre­do che abbiate una profonda vita segreta?

Elena                        - Come potete saperlo?

L'estraneo                 - Non si conosce l'esistenza di certe terre, senza che nessuno vi abbia messo ancora il piede?... Mandano strani messaggi ai naviganti; frutti nuovi, sconosciuti, stormi d'uccelli sperduti... Voi senza volerlo mi avete mandato uno di questi messaggi.

Elena                        - Come?

L'estraneo                 - Ma... il modo come mi avete immaginato, come mi avete visto « dentro di voi». Io ora so come siete: di colpo avete cessato d'essere il grazioso uccellino svolazzante che avevo ammirato tutti que sti giorni: per un momento vi ho tenuto nella mia mano e miracolosamente ho sen­tito battere il vostro cuore.

Elena                        - Credevate che non lo avessi?

L'estraneo                 - Ora ne sono certo.

 Elisa                        - E noialtre, non abbiamo un cuore?

L'estraneo                 - Ah signore, signore: sarebbe un'indagine troppo difficile e complicata!

Elisa                         - Io disgraziatamente temo d'averne fin troppo.

L'estraneo                 - Non lo escludo, signora, non lo escludo.

Elisa                         - Non ho mai fatto del male a una mosca.

L'estraneo                 - A una mosca. Agli altri... po­treste giurarlo? Vedete, signori, io ho una mia teoria. Si chiama la Teoria dello Spec­chio.

La marchesa             - E in che consiste?

L'estraneo                 - È semplicissimo. Per me il mondo è povero di specchi. Se nel momento preciso che si commette qualcosa che non va bene, si avesse uno specchio a portata di mano, forse ci fermeremmo a tempo. Perché avremmo spavento del nostro volto.

Fulvio                       - (dal fondo) Ma siccome il mondo è povero di specchi...

L'estraneo                 - Appunto. Già. E adesso, mi dispiace proprio, ma non posso trattenermi. È la mia ora.

Elena                        - Per una sera...

L'estraneo                 - Impossibile. Buonanotte. E... a domani, signori. Se il destino vorrà farci trovare ancora insieme. Nella nostra vita, saranno pochi giorni: nella vita senza fine dell'Universo, un attimo, meno d'un sof­fio... Si approda, si riparte, si vive un istan­te insieme. Perché?... Possibile che il caso ci abbia avvicinati così, soltanto per sepa­rarci, e di tutto questo non resti nessuna traccia? No, non è possibile: non avviene mai. Sarà un breve segno, ma qualcosa per forza deve rimanere impresso dentro di noi.

Elisa                         - Ma dì, Elena, avevi mai sentito nes­suno parlare così?

L'estraneo                 - Il vostro stupore non mi mera­viglia. Tanti - quelli che non mi conoscono - credono che io voglia atteggiarmi - strano, a cnimmatico, a inverosimile: unicamente per far colpo. Ve l'assicuro, si­gnora, non lo faccio apposta. Son nato così.

Elisa                         - Però dovete essere un mezzo mago.

L'estraneo                 - Se fossi un mago, non vorrei esserlo a mezzo.

La marchesa             - E allora, fatemi il piacere, signor Dhovery, dissipate quest'aria che sa di zolfo e di bruciaticcio.

L'estraneo                 - Il puzzo di zolfo e di brucia­ticcio qualche volta può farci desiderare di uscirne fuori e nel fumo può succedere di intravvedere paesaggi casti e sereni. Può nascere in noi il desiderio di raggiungerli.

La marchesa             - Sarà, ma noi ci contentiamo dei luoghi dove siamo vissuti fino ad ora. Ce ne siamo trovati benissimo.

L'estraneo                 - Quand'è così, scusate. Però... Chi sa?... Vedremo!... (Egli ha raggiunto la scala, l'ha salita. I personaggi son rimasti a guardarsi l'un l'altro. L'estraneo, prima di scomparire ri­pete) Buonanotte.

La marchesa             - (dopo un attimo, correndo alla finestra) Uff! Aria! Un po' d'aria.

CALA LA TELA

ATTO SECONDO

 Nella medesima stanza, l'indomani mattina. (La marchesa, Elisa, Veronica, Giorgio, Fulvio, Gino, Amari: chi in veste da ca­mera, chi in pigiama. È evidente che tutti si sono alzati dal letto in fretta e furia e sono venuti qua così come stavano. Uno fuma, l'altro finisce di bere la sua tazza dì caffè).

Elisa                         - Si fa presto a dare della pazza a una persona. Come debbo ripetervi che ho sentito distintamente?

Veronica                   - Non era una buona ragione pei svegliarci tutti così. Ho lavorato fino a tar­di, stanotte: ho scritto una novella intera.

Giorgio                     - Che s'intitola?

Veronica                   - «Calamità».

Giorgio                     - A proposito.

Elisa                         - Tocca ferro.

La marchesa             - (sbadigliando) Le otto e mez­za! Ecco la mia cura andata alla malora, stamani.

Elisa                         - E allora io, che non ho dormito in tutta la notte?

Gino                         - Che esagerazioni!

Elisa                         - In tutta la notte, sicuro. A un certo momento mi sono svegliata di soprassalto e non sono stata più capace di chiuder-occhio.

Fulvio                       - Ma infine, si può sapere che cosa avete sentito?

Elisa                         - Ah già! Voi arrivate sempre con l'ul timo baule.

Fulvio                       - Ammetterete che ci voglia un po' di tempo per raccapezzarsi. Uno dorme, tranquillo. Ohi, sveglia. Scendete. Nean­che se fosse andata a fuoco la casa. Allora?

Elisa                         - (a Fulvio) Siete sonnambulo?

Fulvio                       - Io? Credo di no. Perché?

Elisa                         - Non v'aggirate la notte pei corridoi? Non vi fermate dinanzi alle porte chiuse, per cercare d'indovinare quello che avviene al di là?

Fulvio                       - Potrà anche darsi. Io però non l'ho mai saputo.

Elisa                         - Ebbene, stanotte ho udito dei passi cauti felpati leggerissimi avvicinarsi alla mìa porta. Ho sentito distintamente il pa­vimento scricchiolare. Poi, dopo un po', si sono allontanati nella stessa maniera.

Fulvio                       - E voi non soffrite per caso d'allu­cinazioni?

Elisa                         - Ah beh!

Giorgio                     - Ha ragione lui. Ma scusate, signo­ra: se aveste sentito una mano posarsi su la maniglia, se la vostra porta fosse stata in qualche modo forzata, si capirebbe il vostro spavento; ma in questo modo... Che gusto può provare uno a girare pei cor­ridoi, diciamo così... platonicamente?

Elisa                         - E chi vi dice che sul più bello non sia stato disturbato...

Amari                       - Perché no?

Elisa                         - ... e obbligato a tornarsene in fretta e furia in camera sua?

Veronica                   - Una cosa però non arrivo ancora a capire: con che scopo si sarebbe ino! irata fino alla tua camera, la persona che sospetti?

Elisa                         - Ma allora tu non conosci mio ma­rito! Tu non sai fin dove può giungere la sua gelosia. Da uomini e anche da donni-mi son vista seguire, io!

Fulvio                       - Generalmente le spie di quel genere si reclutano fra tutt'altra gente.

Elisa                         - Questa volta Amedeo può aver vo­luto giocare d'astuzia: servendosi d'uno che della spia non avesse nulla.

La marchesa             - Che fantasia!

Gino                         - Ed è per dirci questo che ci avete svegliato all'alba?

Elisa                         - Le otto!

Gino Potevate aspettare l'ora della colazio­ne no?

Elisa                         - No. Avevo bisogno di sapere subito se stanotte qualcuno di voi s'era spinto fino al mio corridoio... che è piuttosto appar­tato.

Fulvio                       - Beh, ora sapete che tutti abbiamo dormito saporitamente, o quasi. Volete altro?

Amari                       - Un momento, scusate. I timori della signora Albani non mi sembrano del tutto infondati. Indubbiamente quell'uomo non è uno qualunque. E mi appaga solo in par­te la spiegazione che si tratta d'un origina­le. Perché quell'originalità non sarebbe una maschera, un atteggiamento: qualcosa che gli serve a coprire la sua vera identità e i suoi fini reali? Non si può negare che una singolare suggestione quell'uomo la eser­citi. La sua presenza ci mette a disagio. Ed io vi sfido a smentirmi. (Dopo un mo­mento) E allora... visto che siamo tutti d'accordo, preghiamo la marchesa di libe­rarcene.

La marchesa             - Ma cosa dite, Amati? Come posso mandar via di punto in bianco uno che paga regolarmente, che in fondo non dà noia a nessuno?

Gino                         - Accidenti! Ci fa alzare a quest'ora!

La marchesa             - E se siete un branco di paurosi, io non so proprio cosa farci.

Amari Andiamo andiamo. Qui non si tratta d'aver più o meno paura. Qui si tratta di tornare a vivere in pace, tra amici, come siamo stati finora.

La marchesa             - Ma non capite che mi chic dete una cosa semplicemente assurda? Co me potrei trovare un pretesto? Ha fissato l'appartamento sino alla fine del mese e bisognerebbe che mi rimangiassi la parola.

Amari                       - E allora ho una gran paura che do­vrete adattarvi a un'altra soluzione.

La marchesa             - Cioè?

Amari                       - Chi non si trova più bene se n'andnV

La marchesa             - Ah! È un ultimatum bello e buono.

Amari                       - Chiamatelo un po' come volete.

Elisa                         - Ma scusate, e la logica conseguenza della vostra ostinazione.

La marchesa             - Sciocchezze, cara Elisa. Se  veramente è una spia di vostro marito, aspettatevi di vederlo ricomparire in qua­lunque altro luogo andiate.

Elisa                         - Ed io sono anche capace di farlo arrestare.

La marchesa             - Avete delle prove? O non sono tutte supposizioni vostre? Del resto, se vostro marito ha questo brutto vizio dif­ficilmente glielo potrete levare; e se non sarà lui, sarà un altro. Ma rassegnatevi a star sempre sul chi vive.

Elisa                         - Facessi qualcosa di male, pazienza!

Amari                       - Riconoscete però che quell'individuo è dotato, come dire? d'una forza magnetica...

La marchesa             - In un certo senso, sì.

Amari                       - ... alla quale è difficile sottrarsi?

La marchesa             - ... sì.

Amari                       - Saprete allora che certa gente riesce ad ottenere quello che vuole da chi cade sotto il suo potere.

Veronica                   - Tutto quello che vuole? Ah mio Dio!

La marchesa             - Segreti?

Fulvio                       - Oh, c'è chi è stato spinto perfino al delitto.

Elisa                         - Che spavento!

Amari                       - Senza giungere a queste esagera­zioni, se veramente quell'uomo avesse un tale potere, nessuno di noi sarebbe forse più padrone dei propri atti o, almeno, delle proprie parole.

Elisa                         - Si direbbe... tutto?

La marchesa             - (dopo aver riflettuto un istante) Scusate, scusate... Mi sembra che ci sia contraddizione.

Amari                       - Contraddizione?

La marchesa             - Ma sì. Prendiamo il caso di Elisa. O quell'uomo è una spia qualunque con una maschera ila ciarlatano e allora tutto va bene...

Elisa                         - Non va bene per niente.

La marchesa  ... Elisa ha infatti udito di stintamente dei passi nel corridoio e forse forse una presenza estranea contro la sua porta...

Elisa                         - Come ora sento voi.

La marchesa             - ... O è un uomo veramente dotato di |>otere taumaturgico, e perché, scusate, non avrebbe... che so... ipnotizzato Elisa e non si sarebbe avvicinato con tutta tranquillità alla sua camera per accertarsi che vi dorme sola; oppure, meglio ancora: perché non avrebbe per via di suggestione

provocato una confessione pura e semplice da parte della presunta colpevole?... Ba­sterebbe, mi sembra, ragionare in questo modo, per veder crollare tutte le vostre ipotesi come castelli di carte.

Veronica                   - Siete meravigliosa: è tutta una montatura. Riconosciamolo una volta per sempre. E torniamo ciascuno in camera nostra. Il signor Dhovery non è niente di più d'un originale. E quanto alla sua iden­tità, io sola so chi è...

Tutti                         - (attendono, ansiosi)

Veronica                   - ... E’ un giornalista, venuto ap­posta per me.

Tutti                         - Oh!

Elena                        - (vestita di tutto putito: elegantissima nel suo abito da mattina, appare)

Giorgio                     - Finalmente!

Elena                        - Buongiorno. Ancora tutti qua?

La marchesa             - Ecco una che non si scompone

mai.

Elena                        - Soltanto perché io sono stata la prima vittima d'Elisa. E’ entrata in camera mia alle sette, pensate! Beh, a che conclu­sioni siete giunti?

Giorgio                     - Siamo al punto di prima.

Elena                        - Era lui o non era lui?

Giorgio                     - Chi sa?

Gino                         - (a Elisa) E se quell'uomo vi amasse? Se avesse voluto dìrvelo in segreto, nel cuor della notte?

Elisa                         - Peggio che mai.

Amari                       - Scusate, mi sembra che la questione una volta di più si sposti... Quella della signora Albani può anche essere stata una allucina/ione...

Elisa                         - Prego, prego...

Amari                       - Ma è naturale: tutti iersera ci siamo ritirati con l'impressione ancora viva della visita inopportuna di quell'individuo. Era naturale che voi, col vostro sistema ner­voso, foste la più scossa... Ma che significa questo? Che la presenza di costui non è desiderabile: che in un modo o nell'altro bisogna liberarcene...

Elena                        - Dov'è ora?

La marchesa             - Fuori, credo: per la solita passeggiata... Ah no. Eccolo.

L'estraneo                 - (entrando) Buongiorno, signori. (Porta soprabito cappello bastone: fieri da fuori) Già tutti alzati?

La marchesa             - E voi, già di ritorno dalla vostra passeggiata ?

L'estraneo                 - Piove.

Tutti                         - Piove? Oh che noia! Questa non ci voleva.

L'estraneo                 - Guardate (accenna i grandi usciali, su la terrazza).

Tutti                         - Oh!

L'estraneo                 - Una ili quelle pioggerelle fini silenziose implacabili che posson durare an­che una settimana.

Giorgio                     - (cogliendo la palla al balzo) Im­magino che voi scapperete.

L’estraneo                - No no, anzi!... Prima di tutto nella giornata vi saranno certo delle pause: eppoi a me la campagna, sotto un cielo piovoso ammorbidita dalle mille gradazioni del grigio piace infinitamente. E a voi?

Tutti                         - No! Affatto! Per carità! Non me ne parlate! Ma cosa dite?

L'estraneo                 - Allora vedremo fuggir voi.

Elisa                         - È probabile.

L'estraneo                 - Peccato!

Elena                        - Come, non amate la solitudine?

L'estraneo                 - Sì, ma... popolata.

Giorgio                     - Ci avete domandato come mai s'era già tutti in piedi, a quest'ora?

L'estraneo                 - Già. Mi è parsa una cosa piut­tosto strana.

Giorgio                     - Ebbene, è per causa vostra.

L'estraneo                 -  Mia?

Giorgio                     - Figuratevi che la marchesa ci ha riuniti per avere un consiglio.

L'estraneo                 - Ah.

Giorgio                     - Stanno per giungere degli amici che già da tempo avevano prenotato il vostro appartamento e che pareva non do­vessero più arrivare.

L'estraneo                 - Guarda guarda...

Giorgio                     - Potete immaginarvi l'imbarazzo della marchesa.

L'estraneo                 - Capisce;. Capisco. Vuol dire che me n'andrò... (.7 tutti s'allarga il cuore)... in un altro appartamento più pìccolo, più modesto. E’ un sacrificio che faccio volen tieri, per la signora marchesa. (S'inchina profondamente).

La marchesa             - Se la cosa fosse così semplice, io stessa non avrei esitato a pregarvi di... Ma disgraziatamente appartamenti liberi non ce ne sono altri.

L'estraneo                 - Ahi ahi! Allora siete voi che mi mettete nella condizione di non potervi fare questo piccolo favore... Ma ora, con permesso... La pioggia mi ha preso poco dopo il paese. Debbo cambiarmi... (Aveva già cominciato a salire la scala. È giunto in cima. È scomparso nel silenzio generale).

Giorgio                     - Macche! P. più attaccato d'un'o-strica.

Amari                       - Quello non se ne va, neanche a cacciarlo via con la scopa.

La marchesa             - lo non so proprio cosa fare.

Amari                       - Ah ah. ora anche voi vorreste libe­rarvene?

La marchesa             - Se credete che mi taccia piaciere averlo per casa. Eppoi mi avete tal­mente suggestionalo!

Elisa                         - Non starà lì ad ascoltare, per caso?

Giorgio                     - Guardo io, salendo in camera mia. (Sale, scompare).

La marchesa             - ... se fosse venuto per mettere il naso nei miei interessi, prenderebbe un bel granchio. (Va su e giù per la stanza concitatamente). Qui si giuoca un po' forte, lo ammetto. Alla fin dei conti siamo tra amici o conoscenti.

Amari                       - Qualcuno avrà parlato: i maligni sono tanti!

La marchesa             - Oh state un po' zitto voi. Che se ho allargato la cerchia dei mici amici è stato proprio perché voi me lo avete con­sigliato. E le mie imprudenze le debbo soltanto a voi.

Amari                       - Mi rimproverate, quando a me do­vete tutto.

La marchesa             - lo non rimprovero nessuno: dico soltanto che gli atti d'audacia non vanno bene, in certi casi. Voi siete abi­tuato con le vostre società anonime dove-fate quello che volete. Ma qui, in questa nostra piccola società, si doveva essere più prudenti.

Amari                       - Vi prego, vi prego...

La marchesa             - E tutte le paure vi vengono ora, perché vi trovate davanti a questo in­dividuo che non si sa chi sia.

Fulvio                       - Perché lo avete accolto?

La marchesa             - Si è presentato come un tu­rista che voleva visitare la villa. In questi casi, io spalanco le porte. Per non dare sospetti, l'oi, saputo che era d'una specie di pensione, ha chiesto di rimanervi. Ho creduto che si trattasse di pochi giorni. Aveva un'apparenza così bonaria!... Ora, mandarlo via non si può: sarebbe un errore. E non soltanto per me.

Fulvio                       - Infine io, sapete...

La marchesa             - Non fate tanto l'indifferente, voi che vi sentite scottare più degli altri.

Fulvio                       - Se volete alludere ai mici piccoli guai di borsa!

La marchesa             - Non soltanto a quelli. Fareste meglio a bere meno la sera.

Fulvio                       - (allarmato) Perché? Cos'ho detto?

La marchesa             - Nulla, nulla!

Gino                         - Ma scusate, marchesa, avete ragio­nato così bene, poco fa.

La marchesa             - Avete ragione. È stupido per­dere la testa, così. Bisogna star calmi. E riflettere. Io, intanto, vado a mettermi in ordine. E voi sarà bene che facciate altret­tanto. Non restiamo qua tutti. Sembra che si complotti chi sa che.

Amari                       - Avete ragione.

Tutti                         - (si muovono per uscire e intanto, con fusamente)

Elisa                         - Andarcene, andarcene via alla svelta.

La marchesa             - Restare anzi. E non dargli, in ogni caso, il menomo appiglio.

Veronica                   - Ma naturalmente.

La marchesa             - Voi, Elena, che fate?

Elena                        - Volevo uscire, ma piove. Resto qui a leggere. (Gli altri escono. Ella prende un libro, l'apre a caso. Ma non legge. È assorta).

L'estraneo                 - (appare al sommo della scala. Scende. I suoi passi non fanno alcun ru­more. Si piega un poco su la spalla di Elena, senza che ella se ne accorga). Buongiorno, signora. Elena (si scuote. Balza in piedi)

L'estraneo                 - Vi ho spaventata?

Elena                        - Un po' lo confesso. Non vi avevo sentito venire.

L'estraneo                 - Che leggete?

Elena                        - Ma...

L'estraneo                 - (capovolgendo il libro) Così. Era alla rovescia.

Elena                        - Oh!

L'estraneo  Non leggevate?

Elena                        - ... no.

L'estraneo                 - E allora?

Elena                        - Non so.

L'estraneo                 - Sogni, al solito?

Elena                        - Al solito? Che ne sapete voi. di me?

L'estraneo                 - Vi dimenticate che per piò d'una settimana io ho avuto modo d'os­servarvi.

Elena                        - Sì? Non me ne sono accorta.

L'estraneo                 - Lo so. F, so anche il perché

Elena                        - Perché?

L'estraneo                 - Perché avete sempre sognato. Così. Come ora. Come sempre.

Elena                        - E avete saputo anche indovinare i miei sogni

L'estraneo                 - Mah!

Elena                        - Allora e vero?

L'estraneo                 - Che cosa?

Elena                        - Quello che dicono tutti...?

L'estraneo                 - (sorridendo finemente) O che tutti temono? Debbo rivelarvi il mio se­greto?

Elena                        - Non vedete che muoio dalla curiosità?

L'estraneo                 - ... vi avevo sentito parlare con gli altri. Per una settimana mi sono nutrito, letteralmente, delle vostre parole.

Elena                        - Oh le parole che si dicono agli altri!

L'estraneo                 - Ma io le sceglievo a una a una: le guardavo controluce: ce n'eran di quelle che restavano opache, è vero; ma ce n'erano anche di trasparcntissimc. Ed eran quelle che io infilavo poi come leg­gerissime collane, per sentirle tintinnare, e infatti avevano i toni più delicati della vostra voce.

Elena                        - Sareste per caso innamorato di me?

L'estraneo                 - Perché me lo domandate?

Elena                        - Perché mi dite cose da innamorato.

L'estraneo                 - ... no, signora. Io non sono in­namorato di voi.

Elena                        - E allora perché mi parlate così?

L'estraneo                 - Perché iersera mi piacque in finitamente l'immagine che disegnaste di me.

Elena                        - E rispondeva al vero?

L'estraneo                 - Che importa, se per un mo­mento è stata vera per voi e anche per me?

Elena                        - Vi contentate di poco.

L'estraneo                 - Alla mia età!

Elena                        - Non siete ancora vecchio.

L'estraneo                 - Troppo per gli altri, ancora troppo poco per me. Insomma, iersera, mentre i vostri amici volavano terra terra, la vostra mente spaziava. Costoro non sapevano vedere in me altro che un poliziot­to, o qualcosa di simile...

Elena                        - Come lo sapete?

L'estraneo                 - Non ci voleva molto. Non avete visto, anche dianzi... con che puerile pre­testo hanno cercato di mandarmi via? Non avete visto com'erano tutti spauriti?

Elena                        - Straordinario!

L'estraneo                 - No, signora, no: sono dotalo d'un certo spirito d'osservazione, ecco tutto. Che volete, lo spettacolo della vita m'inte­ressa tanto! Questo intrecciarsi di drammi di commedie di farse, di tragedie qualche volta. C'è chi per passare il tempo se ne va al teatro; io no: il mio teatro è questo disperato agitarsi dell'umanità.

Elena                        - E vi diverte?

L'estraneo                 - Avete mai provato a gettare un sasso nell'andirivieni nero e brulicante d'un formicaio? A scompigliare un mondo che a tutti sembra ordinato e regolare?

Elena                        - Son cose che si fanno da ragazzi, per solito.

L'estraneo                 - Infatti. I ragazzi le fanno con le formiche. E perché un uomo non do­vrebbe divertirsi a farle con gli uomini?

Elena                        - Può essere uno spasso crudele.

L'estraneo                 - In certi casi: in altri provvi­denziale.

Elena                        - Non vedo come.

L'estraneo                 - Nel trambusto provocato da quella mano estranea qualcuno può tro­vare, se non la felicità, una calma inat­tesa, una serenità insperata... Questa gente a voi non piace.

Elena                        - Ci vivo in mezzo.

L'estraneo                 - Vi tenta, come tutte le cose pericolose. Ho visto intorno a voi Amari. Chiarini, Scarlatti. Ma ho anche ammi­rato come avete sapulo allontanarli a uno a uno. Ma...

Elena                        - Ma? Dite pure.

L'estraneo                 - ... i sensi non hanno in voi un'eloquenza particolare.

Elena                        - Il risveglio dei sensi coincide spesso in una donna col risveglio del cuore.

L'estraneo                 - O della curiosità. Vengono pr­ogni donna momenti di stanchezza, di cui il maschio è pronto ad approfittare, illu­dendosi che siano momenti d'abbandono amoroso.

Elena                        - E allora?

L'estraneo                 - È quasi impossibile reagire. La vittima, chiamiamola così, si trova in uno stato di semi incoscienza...

Elena                        - E non può far nulla?

L'estraneo                 - Avrebbe dovuto sorvegliarsi prima: non farsi cogliere dal torpore che a poco a poco ha paralizzato le sue forze.

Elena                        - Ma avete detto che avviene all'im­provviso: che si trova a non essere più padrona ili se, a un tratto, quando è troppo tardi... Ed io vi dico che non è vero. Prendete l'esempio di una donna che per oltre un anno abbia resistito a un uomo tenace, instancabile. Ebbene, non è vero che la crisi la colga alla sprovvista. Sa benissimo che non conta nulla fuggire, ri­filarsi, minacciare, pregare. Sente a poco a poco le sue forze cedere. I ragionamenti, nel suo cervello, tendono tutti a dimostrarlr la stoltezza di un sacrificio, del quale in fondo nessuno le sarà grato. L'intima sod­disfazione, va bene, l'orgoglio soddisfatto: tutte belle cose. Lei continua a ripetere a se stessa: io sono qua per lui, sono qua perché spero che mi raggiunga: ho voluto metterlo alla prova e quando ieri l'ho trovato in questa stanza io... Ah, ma che sciocca! Cosa mi fate dire? Mi avete tal­mente suggestionata che per un momento mi sono messa nei panni di... di quel l'altra.

L'estraneo                 - E siete d'un'eloquenza quan­do vi mettete nei panni delle altre! Vi ascoltavo incantato.

Elena                        - Perché, incantato?

L'estraneo                 - Perché voi m'interessate infini­tamente.

Elena                        - V'interesso come?

L'estraneo                 - Come l'eroina d'un dramma di cui si vuol conoscere la fine.

Elena                        - Allora voi credete...?

L'estraneo                 - Nulla nulla. Son persuaso che avete preso il primo esempio che vi si è presentato alla mente, ma per un istante avete avuto il terrore di trovarvi forse un giorno anche voi nelle medesime condi­zioni...

Elena                        - Ecco.

L'estraneo                 - ... ed io ho visto agitarsi questo dramma nell'anima vostra. Era terribile.

Elena                        - Terribile.

L'estraneo                 - Ma pensate, se veramente vi accadesse! Il dovere in voi parla forte: ma ugualmente forte parlerebbe la passione...

Elena                        - Oh sì.

L'estraneo                 - Io vi vedo sperduta, incapace di chiamare a raccolta le vostre forze invo cando disperatamente qualcuno che ve­nisse a salvarvi.

Elena                        - Lo farei.

L'estraneo                 - Ma chi? Non vostro marito che è lontano: a lui voi (ansereste il meno possibile, non è vero? Gli avete voluto bene, un tempo.

Elena                        - Glie ne ho voluto molto.

L'estraneo                 - Ma tutto finisce, passa: non restano che dei ricordi. Troppo poco per una crcaura giovane e forte come siete voi.

Elena                        - È vero. I ricordi a un certo mo­mento non bastano, non bastano più.

L'estraneo                 - E allora?

Elena                        - Nessuna via di scampo.

L'estraneo                 - Aggiungete il clima. Questo clima surriscaldato di vizio: questa mar­chesa, che forse non è neanche marchesa, questa piccola Albani che ha avuto cento amanti: tutti quelli che le sono capitati; e quegli uomini, e quella falsa scrittrice, amica dello Scarlatti e del Chiarini nel medesimo tempo! Ah no, l'ambiente, come si dice, non sarebbe proprio l'ideale per sfuggire alle tentazioni.

Elena                        - Sì, vero...

L'estraneo                 - Soltanto... perché non comin­ciare con lo sfuggir questi?

Elena                        - Potrebbe anche darsi che in fondo non mi dispiacessero. Io non sono come loro, ma appunto per questo forse eserci­tano su di me un'attrazione paurosa.

L'estraneo                 - Potreste diventare come loro. Non vi rincrescerebbe?

Elena                        - Forse no. Chi mai riesce a cono­scersi fino in fondo?

L'estraneo                 - Ecco. Era vero.

Elena                        - Che cosa?

L'estraneo                 - Voi soffrite. Io vi « sentivo » soffrire. Da lontano. Vedevo il vostro tor­mento: la lotta continua estenuante dei vostri sentimenti, così diversi...

Elena                        - No, ve ne prego.

L'estraneo                 - Di che cosa mi pregate? Di non farvi del male? Temete che sia qui per questo? Ma allora voi volete confon­dervi con gli altri. Cos'è? Mi supponete anche voi un poliziotto?...

Elena                        - No no...

L'estraneo                 - O che cosa?

Elena                        - Non so. Vedete come vi ho par­lato. Non l'avrei fatto con nessuno. Non so neppur capire come sia successo. È ve­nuto da se.

L'estraneo                 - No, non da se. È stato perché io l'ho voluto. Perché io vi ho vista di­sperata. Ma qui non ci sono amici, tanto meno potevano esservi dei confidenti. Vi ho sentita tanto sola!... Ma via, non siate così sbigottita. Avete paura di me, ancora? Perché vi siete lasciato sfuggire il vostro se­greto? Ma io lo conoscevo già. Un giorno forse vi dirò come. Per ora, contentatevi che vi stia vicino... Oh lo so, sono un estraneo. E non è meglio? Uno che non vedrete più. Ma forse io posso essere la vostra salvezza.

Elena                        - La mia salvezza?

L'estraneo                 - Sì, capisco. Quale può essere la vostra salvezza? Il dovere, oppure...

Elena                        - Oppure?

L'estraneo                 - Oppure... Ecco chi può tenervi compagnia. (Esce).

Giorgio                     - Che vi diceva?

Elena                        - Nulla. Si parlava... così.

Giorgio                     - Perché avete chiuso a chiave, sta­notte?

Elena                        - È una vecchia abitudine.

Giorgio                     - Vi avevo pur detto... che volevo parlarvi.

Elena                        - Dite, v'ascolto.

Giorgio                     - Non qui.

Elena                        - Perché no?. Si sta benissimo.

Giorgio                     - Per poco stanotte non vi ho com­promessa.

Elena                        - Ah, eravate voi?

Giorgio                     - Mi sono perduto." Ho infilato il corridoio dove dorme la signora Albani.

Elena                        - Potevate entrare da lei. Forse non chiedeva di meglio.

Giorgio                     - Ma io cercavo la vostra porta.

Elena                        - E avete fenato di forzarla, ho sen­tito.

Giorgio                     - Eravate sveglia?

Elena                        - M'avete svegliato voi.

Giorgio                     - E avete potuto resistere?

Elena                        - Già.

Giorgio                     - La vostra indifferenza è una fin­zione semplicemente ridicola.

Elena                        - Come?

Giorgio                     - Voi non avete che un desiderio: quello di dirmi ciò che vi scotta su la lingua.

Elena                        - Che vi amo?

Giorgio                     - Stanotte neanche voi avete dor­mito, perché il vostro pensiero era assil­lato, come era assillato il mio... E non soltanto il vostro pensiero.

Elena                        - Lasciatemi.

Giorgio                     - Badate, l'avete detto come avreste detto il contrario.

Elena                        - Perché non smettete di tormen­tarmi ?

Giorgio                     - Perché vi desidero.

Elena                        - Non avete detto vi amo.

Giorgio                     - No: ho detto vi desidero. L'amore si manifesta nel desiderio. Non v'è amore senza desiderio. Se vi dicessi vi amerò eter­namente, mi credereste?

Elena                        - No.

Giorgio                     - E per questo non ve lo dico. Vi dico invece: amiamoci: il nostro amore avrà la durata d'una stagione o no: ve­dremo: lasciamo fare alla vita. Voi mi piaciete, io vi piaccio...

Elena                        - Oh!

Giorgio                     - Io vi piaccio. Lo so. Lo sento. Lo vedo. Si capisce da come mi ascoltate, da come... da come camminate dinanzi a me: io vi piaccio. Entrando in una stanza, il vostro primo sguardo... non è per me.

Elena                        - Vedete?

Giorgio                     - Più bella prova? Regolarmente voi sfuggite il punto dove io mi trovo, per non incontrare i miei occhi...

Elena                        - Li so troppo fissi su di me.

Giorgio                     - ... senza guardare? È segno che li sentite. Negate, se potete... E poi, sta­mani, anche stamani, tutti, svegliati quasi di soprassalto da Elisa, son venuti giù così come si trovavano o press'a poco: voi sola non siete apparsa che quando eravate ben sicura della vostra toilette. Per chi tutto questo? Ma perché non volete rendervene conto? Tutte queste esitazioni, queste lot­te, per chi?... Per lui?... Ma non vedete che vi lascia andare dove volete? Non è geloso.

Elena                        - Ha fede in me.

Giorgio                     - 0 non vi ama. Questo non vi è mai venuto in mente? Ma scusate. Perché vi lascia frequentare questa gente?

Elena                        - Non sa.

Giorgio                     - Segno che non vuol sapere, che non glie n'importa. Con chiunque andiate, gli è indifferente. Da che siete qui non è mai venuto a trovarvi, vero?

Elena                        - ... no.

Giorgio                     - Non è strano?

Elena                        - Ha tanto lavoro.

Giorgio                     - Il lavoro!

Elena                        - Basta, basta!

Giorgio                     - Piangete?

Elena                        - Lasciatemi stare, lasciatemi pian­gere, almeno.

Giorgio                     - Non volevo farvi piangere. Ero persuaso che ci foste arrivata da voi.

Elena                        - No. Quello che avete detto è anche troppo vero, forse.

Giorgio                     - E allora? È ridicolo temere tanto la verità, quando questa verità può forse renderci felici.

Elena                        - Ma è la distruzione di tutto quello che io possedevo. Non credo più a lui, non credo in voi. Non credo più in me stessa. E allora? È una desolazione, non capite?

Giorgio                     - Una desolazione! Ma allora voi non mi volete bene, neanche un poco!

Elena                        - (crollando il capo) Non lo so. Mi piacete.

Giorgio                     - Elena!

Elena                        - Mi piacete. (Egli fa per prenderla fra le braccia). No! (Fissandolo) Badate, vi do tutto quello che era la mia forza, il mio orgoglio. E anche la mia dolcezza. Ricordatevcne. (Ella s'allontana un poco). No. Restate.

Giorgio                     - Elena!

Elena                        - Non dite nulla. (Scompare).

L'estraneo                 - (entrando, dopo un momento, sì sofferma a guardare Giorgio).

Giorgio                     - Ancora qui?

L'estraneo                 - Per forza. S'è rimesso a pio­vere.

Giorgio                     - Ah.

L'estraneo                 - Ma che avete?

Giorgio                     - Nulla. Perché?

L'estraneo                 - Mi sembrate piuttosto agitato.

Giorgio                     - Vi sbagliate.

L'estraneo                 - Eppure!... Guardatevi in uno specchio.

Giorgio                     - In questa stanza non ce ne sono.

L'estraneo                 - Il mondo è povero di specchi.

 Giorgio                    - L'avete già detto, mi ricordo.

L'estraneo                 - La mia teoria non vi persuade?

Giorgio                     - Nessuna teoria mi persuade. Par­tono sempre da un presupposto personale. Tanto è vero che ognuno ne può sdori nare almeno una sua,

L'estraneo                 - Sicuro. Ciascuno se ne foggia una per le occorrenze della vita. Così, c'è la filosofia pura e quella di genere cor­rente: da magazzino di lusso o da grande emporio.

Giorgio                     - Voi dove vi servite?

L'estraneo                 - Io, per me in nessun luogo. Afferro brandelli di questa o di quella, passando: avanzi, briciole. Sono sicuro invece, egregio Zùccari, che voi dovete essere ferrato in filosofia. E alla parola filosofia dò quel significato che le dà il popolo. Di uno, per esempio, che non sc­ia prende per nulla, dice: è un filosofo: di uno che trova un accomodamento per ogni cosa, dice: e un uomo pieno di filosofia... Voi dovete essere così.

Giorgio                     - Non riesco a capir dove...

L'estraneo                 - Vedete, io mi picco di cono­scere gli uomini. Forse, direte voi, è una presunzione eccessiva; ma tant'è, io fra me e me, nelle mie lunghe passeggiate mi diverto a scomporre e a ricomporre la personalità delie persone che ho incon­trato sul mio cammino. Forse, anzi, cer­to, sbaglio quasi sempre...

Giorgio                     - Sentiamo un po': me come mi avreste visto?

L'estraneo                 - Ah beh! Ora mi chiedete troppo. Son fantasie che io tengo per me. E poi, cosa potete farvi voi della mia opinione?

Giorgio                     - Al contrario: tutti qua vi tro­vano non so quale potere straordinario. Vorrei vedere fin dove arriva.

L'estraneo                 - E allora... Non ve ne avrete troppo a male?

Giorgio                     - A male? Perché?

L'estraneo                 - Già già: son tutte fantasie. Ebbene: voi siete egoista...

Giorgio                     - Bah, fin IL.

L'estraneo                 - Vano...

Giorgio                     - Fanfarone?

L'estraneo                 - No. Vano più con voi stesso che con gli altri. Avete con voi stesso de­gli strani puntigli. Per nulla al mondo rinuncereste a cose che già nel pensiero avete fatte vostre.

Giorgio                     - Sarei insomma un uomo, come si dice, dalla volontà ferrea.

L'estraneo                 - Senonchè non esercitate mai questa volontà su cose di grande impor­tanza. Siete troppo ricco.

Giorgio                     - Càspita! Sapete anche questo?

L'estraneo                 - Èra la cosa più facile, se non erro. Un uomo del vostro nome!

Giorgio                     - Va bene. Andiamo avanti.

L'estraneo                 - Le uniche cose che v'interes­sano sono le donne, i cavalli, e le auto­mobili. Ma tutto da dilettante. Così, per divertimento. È troppo poco, lo ammet­terete.

Giorgio                     - Poco? La mia scuderia costa...

L'estraneo                 - Oh, lo immagino.

Giorgio                     - Quanto alle automobili, rischio la vita si può dire ogni giorno...

L'estraneo                 - E’un rischio sensuale, vorrei dir quasi. Senza lini idealistici.

Giorgio                     - Ah. E quanto in fine alle donne, mi seminate troppo giovane ancora per sottovalutarle così.

L'estraneo                 - In ogni caso troppo poco, per occuparmene quasi esclusivamente.

Giorgio                     - E questo come lo sapete, di grazia?

L'estraneo                 - Fama volat.

Giorgio                     - Però, fa piacere.

L'estraneo                 - Ed io sono uno qualunque: un passante: un estraneo. Uno della strada, insomma. Pensate, gli altri, quelli del vo­stro mondo, come debbono stimarvi.

Giorgio                     - Infatti al Circolo godo di una certa reputazione.

L'estraneo                 - Ora, al passante, all'uomo della strada, alla persona qualunque, vedendo capitare qui un uomo come voi, in una stagione di grandi attrattive... si dice così? di grandi attrattive mondane, vicn subito fatto di pensare... scusate, veh!

Giorgio                     - Ma no, anzi: dite pure.

L'estraneo                 - Cosa diavolo può essere venuto a far qua un uomo come quello?

Giorgio                     - Per quanto una simile curiosità...

L'estraneo                 - ... e naturalmente viene in mente che sotto ci sia una donna.

Giorgio                     - A questo punto, vi sarei grato se voleste sospendere le vostre indagini. Anzi, mi fareste un vero piacere se non voleste più, per nessuna ragione, occuparvi di me.

L'estraneo                 - Scusate scusate: perché vi ri­scaldate tanto? Non sono che supposizioni, fantasie.

Giorgio                     - Io mi riscaldo perché ho le mie-buone ragioni. Perché so benissimo quello che mi dico. Le vostre parole sono enim-matiche sibilline, ma...

L'estraneo                 - Vi assicuro che v'ingannate.

Giorgio                     - ... ma per me, invece sono chia­rissime. V'aspettavo al varco. Ci siete. Fuori tutto.

L'estraneo                 - Ma, signor Zùccari...

Giorgio                     - Avanti, senza tanti discorsi: chi siete? Cosa fate qui? Chi vi manda?

L'estraneo                 - Lo sapete benissimo: io sono il signor Dhovery.

Giorgio                     - Badate, qualcuno       - una signora – poco fa ha avuto il sospetto che foste una spia di suo marito.

L'estraneo                 - Ah sì? E come ha potuto...?

 Giorgio                    - In un modo semplicissimo: ha sentito dei passi stanotte avvicinarsi alla porta di camera sua.

L'estraneo                 - Non ero io.

Giorgio                     - Questa, caro signore, è da provare.

L'estraneo                 - Ve lo assicuro.

Giorgio                     - Provatelo.

L'estraneo                 - Ho un testimone.

Giorgio                     - Un testimone? E chi?

L'estraneo                 - Voi.

Giorgio                     - Io?

L'estraneo                 - Voi. perché, se gli altri badino avuto paura udendo i vostri passi, io no che non ho avuto paura: io ho socchiuso la porta, vi ho visto: vi ho seguito anche. un poco...

Giorgio                     - Ma questo, allora, conferma il so­spetto della signora Albani: siete una spia.

L'estraneo                 - Di chi?

Giorgio                     - Di suo marito, o di un altro. Non so. Vedremo.

L'estraneo                 - Una spia. Siete pazzo.

Giorgio                     - Negate che vi abbia mandato qual­cuno?

L'estraneo                 - Lo nego.

Giorgio                     - E allora, siete qualcosa di peggio: un ricattatore. Perché nessuno s'immischia negli affari degli altri se non ha uno scopo, un interesse. Badate, eh, il primo impulso sarebbe stato quello di prendervi per il petto e di cacciarvi fuori; ma ne va di mezzo una signora. Non c'è da scegliere. Avanti, quanto volete?

L'estraneo                 - Siete molto sollecito dell'onore delle signore, voi!

Giorgio                     - A me le ironie, le arie stravaganti non fanno effetto, sapete? Potete risparmiarvele. Per me restate quello che siete. Avanti, fuori: parlate. E stesserà, via, capito? Subito via di qua... E state attento a non ricomparirmi più dinanzi, perché un'altra volta non risponderei più di me.

L'estraneo                 - Ma via! Non vi riscaldate tan­to. Quando avrò voglia d'andarmene, non sarete voi a mandarmi via. State tranquillo che me n'andrò da me. Oh sì: tra voi e me c'è aperta una questione, ma non si tratta precisamente di denaro. Perché io non sono quello che supponete...

Giorgio                     - Cosa sareste, allora?

L'estraneo                 - Voi siete venuto qua per lei: ma lei non sarà mai vostra.

Giorgio                     - Vi ho già detto di non immi­schiarvi...

 L'estraneo                - (piano)  Elcna Caddi non sarà mai vostra.

Giorgio                     - Tacete, perché...

L'estraneo                 - No. Ho voluto pronunciare il suo nome perché non ci fossero più ne incertezze uè equivoci, fra noi. Non sarà mai vostra!

Giorgio                     - (scoppiando in una risata) Un innamorato, vero? Ah ah ah! Ma voi che consigliate tanto agli altri gli specchi, voi non vi siete mai guardato? Voi non vi guardate?

L'estraneo                 - Io non ho bisogno di guardar­mi: mi conosco già abbastanza.

Giorgio                     - E non vi vergognate? Non vi vergognate alla vostra età di posare gli occhi su una donna come quella? E pen­sereste di farla in barba a me?... Ma an­date; andate, povero pazzo!

L'estraneo                 - Comunque non sarà mai vo­stra. Ve lo dico io. Non sarà mai vostra perché io ve la contenderò finché mi re­sterà fiato per parlare.

Giorgio                     - (minaccioso, di nuovo) Ohe! Ba­ciate. Una parola sola al marito e io vi strozzo.

L'estraneo                 - No: il marito non c'entra. Vi ripeto che la questione è fra voi e me. Voi siete bello giovane ricco: voi potete dirle delle parole di fuoco; io sono quasi un vecchio: non potrò neanche dirle delle pa­role d'amore. Eppure, ve la strapperò.

Giorgio                     - Pazzo. Mentecatto. Rammollito.

L'estraneo                 - Ma sì, ma sì: insultatemi. È l'unica cosa che potete fare.

Giorgio                     - Ma io farò ridere tutti. Quando oggi comparirete a colazione, vedrete come sarete accolto.

L'estraneo                 - Ed io vi dico che non lo farete. In ogni modo, vedremo, vedremo se avrete questo coraggio.

Giorgio                     - (ridendo) Non mi sfidate, perché sono anche capace d'andar subito di là. di parlare: di dire cosa siete venuto a fare in questa casa.

La voce di Elena      - Elisa!

L'estraneo                 - Beh, perché non andate? Perché non parlate?

Elisa                         - (compare al sommo della scala)

L'estraneo                 - Perché non parlate? A dopo, signor Zùccari, a dopo. (Esce).

CALA LA TELA

ATTO TERZO

 Voglio che il salotto di Elena sia tutto parato di verde: una breve stanza circolare con quattro nicchiette di marmo grigio sca­vate torno torno nel muro, recante ciascuna un Amorino candido. Ve l'Amor trionfante che invece dell'arco e della faretra e delle fi ecce regge un piccolo stendardo col motto: e Triumphum egi seni per », v'e l'Amore Sconsolato, con le braccia abbandonate lungo i fianchi, l'Amor Cieco con una benda di ca­pelli su gli occhi, e finalmente l'Amore Ar­guto, nell'atto di lanciar frecce, ridendo, a piene mani. A ogni nicchia corrisponde una mensola del marmo medesimo, senz'altro or­namento che dei leggerissimi festoni di rose. Nel mezzo, una grande porta di noce soste­nuta da stipiti di marmo bianco come quello degli amorini, e coronata da un architrave a forma acuta, s'apre su la camera di Elena, mentre altre due strettissime porte, invisibili. Si trovano ai lati. I mobili, parchi: un di­vano, delle poltrone, qualche tavolinetto. È sera: la luce delle lampade e attenuata da grandi paralumi di seta. Elena (porta una vestaglia tutta veli: è una cosa leggera, quasi aerea: d'un rosa pal­lido. £ giusto che qualcuno le dica, poi: Sembrate una nube. Ella è adagiata su una lunga poltrona. Tiene fra le mani un libro). Elisa (vestita da sera, le è vitina) Fare prò prio che qualcuno li abbia sentiti altercare.

Elena                        - Ma non hanno capito quello che si dicevano?

Elisa                         - No.

Elena                        -  Nessuno lui provato a interrogare Zùccari?

Elisa                         - Ha negato.

Elena                        - E l'altro?

Elisa                         -  Oh l'altro... E chi ha il coraggio di domandargli nulla?

Elena                        - Non capisco per quale ragione avrebbero dovuto accapigliarsi.

Elisa                         - Sai com'è Zùccari? Probabilmente gli avrà detto qualche parola spiacevole, avrà fatto, al solito, dell'ironia... L'altro se la sarà presa. Sarebbe buffo, sai, un duello tra lui e il signor Zùccari.

Elena                        - A che cosa vai a pensare! Un duello!

Elisa                         - Zùccari fino ad ora è stato uno che non ha mai voluto mosche sul naso.

Elena                        - Questo no. Ma vedrai che si tratta d'una discussione un po' vivace: niente di più.

(Bussano).

 Elena                       - Chi e?

La marchesa             - (ancora invisibile) Sou io. Posso entrare?

Elena                        - Avanti. La marchesa (entra. Anch'ella è vestita da sera) E’ vero quello che m'hanno detto? State poco bene?

Elena                        - ... sì.

La marchesa             - Dunque non scenderete a pranzo?

Elisa                         - Ma no. Non si vuol muovere di qua.

La marchesa             - Debbo farvelo servire qui?

Elena                        - No. (Grazie. Mi basterà un té, se mai.

La marchesa             - Ma che vi sentite?

Elisa                         - Bene non lo sa nemmeno lei. Le duole il capo, dice.

La marchesa             - Come mi dispiace!

Elena                        - Domani non sarà più nulla.

\,\ marchesa              - È inutile, siamo tutti un po' scombussolati. Quel signor Dhovery ci ha messi in agitazione. Per fortuna, ce ne siamo liberati.

Elena                        - Cosa?

Elisa                         - È partito?

La marchesa             - Non ancora; ma parte stasscra. L'ha annunciato ufficialmente.

Elena                        - E se ne va via... così?

La marchesa             - Così... come?

Elena                        - Mah! Pareva che dovesse succedere chi sa che: tutti, cominciando da te Elisa, eravate pieni di paura. Il signor Dhovery era uno qualunque: un viaggiatore come gli altri. Ah non metteva il conto!

Elisa                         - Far che?

Elesa                         - Ma... far lavorare tanto la nostra fantasia. Se tutto doveva risolversi in una maniera così normale, banale...

Elisa                         - Cosa vuoi, se ne incontrano cii questi tipi: sembri che nascondano in se chi sa quali cose e si scopre a un tratto che sono degli esseri normalissimi. Però, mi son presa uno di quegli spaventi! (Improvvi-Safttente) Ah ma io so perché parte.

La marchesa             - Perché?

Elisa                         - Perché ha paura. Sicuro. Una paura santissima.

La marchesa                     -  Di chi?

Elisa                         - Di Zùccari. Pare che abbiano avuto una discussione piuttosto vivace oggi...

La marchesa             - Lo so. Ma Zùccari lo ha re­cisamente negato, è stato non so chi, Chia­rini credo, a mettere in giro questa chiacchiera. Dice d'aver sentito delle voci alte rate.

Elena                        - Chiarini beve.

La marchesa             - E’ ben quello che ho detto anch'io.

Elisa                         - La verità è che da stasscra saremo liberati dalla sua presenza. (Alla Marchesa). E, ditemi... con che pretesto...?

La marchesa             - Nessun pretesto. Ha detto semplicemente di aver ripensato alla mia richiesta di oggi. E lascia a mia disposizione l'appartamento.

Elisa                         - Ma come, se prima...

La marchesa             - Ripeto: ha dello d'averci ri­pensato.

Elisa                         - Ah benissimo. Lasciatemi andare.

La marchesa             - Dove?

Elisa                         - Ad annunciarlo.

La marchesa             - Inutile. Tutti lo sanno già.

Elisa                         - Figurarsi come si saranno sentiti al­largare il cuore.

La marchesa             - Ma no. Tutti son rimasti per­plessi. Si son messi ad arzigogolare, a cercare spiegazioni: una più stramha deli al­tra, naturalmente.

Elena                        - (alla marchesa) E voi? Siete contenta?

La marchesa             - lo? Non lo so. In fin dei conti, erano stati gli altri a montarmi la testa; se no, questo signor Dhovery non mi avrebbe fatto né caldo ne freddo. E ora, cara Elena, mi dispiace ma debbo lasciar­vi. Inutile dirvi che dovete far conto d'es­sere in casa vostra. Nessun riguardo, eh? Voi venite, Elisa?

Elisa                         - Per forza! Addio, Elcna. Vuoi che torni per salutarti?

Elena                        - No, me ne vado a letto. E spero d'addormentarmi subito. Addio.

Elisa                         - Addio. Buonanotte.

La marchesa             - Buonanotte, cara. (Esce con Elisa).

Elena                        - (dopo un momento va alla porta grande. L'apre).

Giorgio                     - (la giacca da sera, appare)

Elena                        - Vedete a cosa m'obbligate? A chiu­dervi in camera mia, come se già foste il mio amante.

Giorgio                     - Non lo sarò tra iioco?

Elena                        - Avreste dovuto avere un po' più di pazienza.

Giorgio                     - Ma...

Elena                        - Qualcuno avrebbe potuto vedervi entrare. Qualcuno può vedervi uscire.

Giorgio                     - Non ho potuto resistere. Eravate salita così presto. Non eravate più scesa, è corsa la voce che vi sentiste male. Ho vo luto aver vostre notizie.

Elena                        - E siete entrato quasi con la forza. Potevate almeno fermarvi su la soglia. Due persone possono benissimo parlare in un corridoio senza destar sospetti.

Giorgio                     - M'è parso udir dei passi, lo sa pete.

Elena                        - Non è vero. Avete voluto agire d'au torità. Ma quasi subito ha bussato Elisa.

Giorgio                     - Non mi farete subire un processo. Non è deciso, scusate?

Elena                        - Appunto perché è deciso, avreste dovuto aspettare.

Giorgio                     - Non ho saputo resistere al desi­derio ili vedervi.

Elena                        - E di sapere se ero della medesima idea?

Giorgio                     - Perché no?

Ei.ena                       - A motivo ili che avrei dovuto imi tare?

Giorgio                     - Non si sa mai. Eppoi è inutile chiedere di queste spiegazioni a un innamorato. Ma via, Elena: sono nel vostro appartamento, voi consenziente in fin dei conti, è puerile continuare in una scher­maglia inutile... Non ci siamo dati neanche un bacio.

Elena                        - Ora no.

Giorgio                     - Un bacio, se volessi potrei an­che strapparvelo. Ma io voglio il Vostro consentimento pieno totale assoluto. Non mi volete un po' di bene?

Elena                        - No.

Giorgio                     - No?

Elena                        - È qualcosa di più e di meno. Non so capire nemmeno io. Ma siete qui, nel mio salotto, all'insaputa di tutti, almeno è sperabile. Non è una prova?

GioRcfo                   - No, perché invece d'essere felice, state lì a rimproverarmi la troppa audacia Una donna che ama non ragiona.

Elena                        - Avrei dovuto gettarmi fra le vostre braccia appena vi ho visto? Questo avrei dovuto fare?

Giorgio                     - Sì. Siamo soli per la prima volta. Non sapete dunque che cosa vuol dir que sto per due amanti?

Elena                        - No. Perché voi siete il mio primo amante.

Giorgio                     - Vuol dire dimenticare tutto. Non pensare più... (Stringendola a sé) Allora non ti ricordi più quello che ci siamo detti soltanto poche ore fa. Sci mia! Mia! E’un anno che aspetto. Un anno. E tu bai avu­to la forza di resistermi fino ad oggi. E più resistevi, più mi piacevi... Sapevo che prenderti era una cosa difficile. Ma sapevo anche che ci sarei riuscito. Perché tu mi amavi. L'ho capito subito. Anche tu mi bai amato fin dal primo momento. Pec­cato! Dietro di noi si avrebbe ora un anno ili felicità...

Elena                        - O forse tutto sarebbe già finito. Non è meglio così3... E ora va via. Da un mo­mento all'altro può sonare la campana del pranzo.

Giorgio                     - C'è tempo.

Elena                        - No. Non ora. Te ne prego, Giorgio. Anch'io ti amo. Come te. Ma non ora.

Giorgio                     - Eri così bella, un momento fa. Perché ricominci a ragionare? A preoc­cuparti del pranzo, di quello che possono dire gli altri?

Elena                        - Più dura il nostro segreto, più sarà lunga la nostra felicità. Io non sono libera, Giorgio.

Giorgio                     - Non devi dirlo. Proprio in questo momento cominci ad essere libera veramente. E ti metti a pensare a quello che lasci dietro di te? Ritroverai tutto, domani; e se no, pazienza. La vita cammina, corre. Che cos'è il passato? Una cosa morta. E le cose morte si debbono seppellire. E nean­che l'avvenire conta. La vita è fatta di aitimi che s'inseguono. Pochi sono quelli che lasciano in noi qualcosa: gli altri svaniscono come sono venuti.

Elena                        - ... però dovresti continuare a starmi vicino. Non dovresti lasciarmi mai. Neanche un minuto. Come ti allontani mi ri­prende la solita angoscia, la solita agita­zione...

Giorgio                     - Cerca di non pensare a nulla, a nulla... che non sia io. Dopo... tutto finirà.

Elena                        - Fosse vero.

Giorgio                     - Non esisteremo che noi due, ve­drai. Come se il mondo si fosse vuotalo di colpo.

Elena                        - Ah, non senti?

Giorgio                     - Che cosa?

Elena                        - La campana. Devi lasciarmi. Ti aspetto subito dopo. Come farai?

 Giorgio                    - Ho trovato il modo di conge­darmi dagli altri senza dar sospetto.

Elena                        - Bada, oggi ti hanno sentito quistionare col signor Dhovery.

Giorgio                     - Ebbene?

Elena                        - Incuriosito, qualcuno può seguirti.

Giorgio                     - Farò attenzione.

Elena                        - A proposito, perché quella discus­sione?

Giorgio                     - Ma... non ricordo nemmeno. Ah! si parlava di automobili. Ha detto una cosa inesatta, ecco. Io l'ho rimbeccato e lui l'ha sostenuta... Ma perché t'interessi tanto a questo signor Dhovery?

Elena                        - Non m'interesso tanto. Ho la curio sita di sapere cosa c'è stato tra voi.

Giorgio                     - Dì la verità, ti ha fatto un po' la corte, prima che io arrivassi?

Elena                        - Ma cosa dici? Però negli occhi gli vedevo degli sguardi di simpatìa...

Giorgio                     - M'è parso di capire che fosse un |x>' innamorato di te.

Elena                        - Sì?

Giorgio                     - Non ridi?

Elena                        - Perché dovrei ridere?

Giorgio                     - Un uomo come quello.

Elena                        - Sarebbe doloroso, già.

Giorgio                     - Sarebbe ridicolo.

Elena                        - È lo stesso, molte volte.

Giorgio                     - Ma ora, per fortuna se ne va. Beata te che non lo vedrai più.

Elena                        - Ma neanche tu!

Giorgio                     - A pranzo, no?

Elena                        - La sera non pranza mai con gli altri...

Giorgio                     - È vero, già. E soltanto a pensarci mi cresce l'appetito.

Elena                        - Non era dunque l'amore a fartelo passare?

Giorgio                     - A fra poco.

Elena                        - A fra poco.

Giorgio                     - (fa per baciarla)

Klena                        - No... (Piano) Dopo.

Giorgio                     - Addio. (Le prende tutte e due le mani. /> bacìa a uno a uno i palmi).

Elena                        - Addio. (Poi, com'egli è scomparso, si porta i due palmi alla bocca: i due palmi che serbano ancora il sapore del bacio di lui. Resta così qualche momento, con gli occhi socchiusi. D'un tratto, leg­geri colpi alla porta) Chi è?

La voce dell'Estraneo - Sono io.

Elena                        - Chi?

La voce dell'Estraneo-  Io.

Elena                        - Non posso.

La voce dell'Estraneo - Parto. Desideravo salutarvi.

Elena                        - Aspettate. (Resta un poco incerta, indi s'avvicina all'altra piccola porta. La apre).

L'estraneo                 - Scusate.

Elena                        - Dite.

L'estraneo                 - State poco bene, m'hanno detto.

Elena                        - Infatti: ero sul punto d'andar a dormire.

L'estraneo                 - Oh, mi dispiace... Ma parto, e mi sarebbe rincresciuto non potervi sa­lutare.

Elena                        - Vi siete deciso, a un tratto?

L'estraneo                 - Che volete, mi sentivo così poco gradito, ormai: ero tenuto volutamente da parte...

Elena                        - Per colpa vostra.

L'estraneo                 - E’vero. Ma iersera s’era stati tutti insieme, s'era parlato; credevo... Invece m'hanno fatto capire in modo così chiaro che davo noia. Anche a voi, signora

Elena                        - Ma no.

L'estraneo                 - Scusate, ma non mi avete detto nemmeno di passare!

Elena                        - Non supponevo che...

L'estraneo                 - (senza lasciarla finire) Grazie. (Ed entra, obbligando Elcna ad indietreggiare un poco. Poi pian piano, senza pa­rere, chiude le porta) Voi siete l'unica che m'abbia ascoltato volentieri, che mi abbia mostrato un volto amico.

Elena                        - Non avevo nessuna ragione per non...

L'estraneo                 - Mi avete anche messo a parte d'un segreto. E questo mi ha riempito il cuore di gratitudine.

Elena                        - A dirittura?

L'estraneo                 - Non è una cosa esagerata, come può sembrare a prima vista. Davvero, si gnora.

Elena                        - E perché?

L'estraneo                 - Oh sarebbe troppo lunga. (Do­po un momento)... perché, vedete, non è sempre piacevole star soli.

Elena                        - Non per voi, in ogni modo.

L'estraneo                 - Per forza! Se nessuno ci vuole!

Elena                        - Come?

L'estraneo                 - Sì, signora: è la verità... Mi avete visto ironico petulante mordace. Ma io non sono così.

Elena                        - Non siete così?

L'estraneo                 - Tutta una finzione.

Elena                        - Vi siete fabbricato una maschera?

L'estraneo                 - Sì. Per un momento però vor rei metterla da parte dinanzi a voi... Vi dispiace?

Elena                        - No, anzi...

L'estraneo                 - Altrimenti, me ne vado, sapete? Non ho nessuna intenzione d'annoiarvi. (Fa l'atto d'andare verso la porta).

Elena                        - (d'un fiato) No. Restate.

L'estraneo                 - (dopo un silenzio) Me non mi ha mai voluto nessuno. Fin da ra­gazzo, signora. I miei compagni mi tene­vano a distanza, proprio come succede ora. Sicché non ho mai avuto amici. E allora mi sono sempre più chiuso in me stesso. Che ero? Che avevo? Perché tra me e gli altri non c'era, non poteva esserci coe­sione?... Forse, dovendo lavorare, nella vita, alla fine, avrei potuto incastrarmici anch'io. Ma ero al coperto dalle necessità immediate. E allora... Voi, signora, avrete giocato alla roulette, qualche volta.

Elena                        - Sì. Perché?

L'estraneo                 - Avrete dunque visto la pallina rimbalzare e schizzar fuori, non sapersi incastrare nel numero...?

Elena                        - Sì.

L'estraneo                 - Ecco, io... lo stesso. E allora, per forza dovevo starmene per conto mio. È raro, sapete, che abbia incontrato degli occhi buoni, affettuosi. I vostri... sì. Ecco, i vostri. Anche un momento fa, quanti ho fatto per andar via, m'avete trattenuto. Nessun altro, ne sono sicuro, lo avrebbe fatto. Voi, sì. Non c'è quanto sentire su di noi uno sguardo benigno, sapete, perché l'anima nostra... Come succede a certi cani che tutti frustano: diventano feroci, ma a colpo sicuro sanno riconoscere la mano che si tende verso di loro con ami­cizia.

Elena                        - Se non vi conoscono, se non sanno...

L'estraneo                 - Sarebbe lo stesso. Queste cose non avrei potuto dirle ad altri. Non mi avrebbero capito. Le dico a voi: perché noi due ci comprendiamo. Il mio male si chiama incomunicabilità. Certe anime sì riconoscono, anche da lontano. Voi non avevate visto in me un poliziotto, ma un vecchio militare: vedovo: che porta il lutto di due amori defunti; io ho indovinalo lavostra pena. Per questo siamo qui, adesso, a parlarci in questo modo.

Elena                        - Non siete vedovo, non vi è morto un bambino?

L'estraneo                 - No. Se questo fosse accaduto, avrei da accarezzare qualcosa nel mio in­timo, un ricordo. Non ho nulla. Intorno a me non c’è altro che solitudine. Ma voi siete stata capace d'inventare questa fa vola e d'un tratto la favola è diventata realtà viva. Voi siete buona.

Elena                        - No.

L'estraneo                 - Sì. E per questo soffrite. L'ho visto in tutti questi giorni. Non m'ha illuso nemmeno la felicità che vi ho vista negli occhi...

Elena                        - Quando?

L'estraneo                 - Icrsera ero passato dal Salone per ritirarmi...

Elena                        - Ebbene?

L'estraneo                 - Mi siete sembrata un'altra. Era vate mutata. Allora sono sceso di nuovo. Ho trovato fra voi un'altra |>ersona. Ho capito. 11 vostro dramma è stato chiaro dinanzi a me. Ho sofferto... Oh no! Non vi amo. So dì non potervi amare. Ma vi voglio bene. In tutto questo tempo non ho vissuto altro che per voi. Eravate la cosa più pura della terra: vi avevo immaginata così: volevo che rimaneste così. Un uomo che parlasse d'amore, alla mia età, con questo viso devastato, farebbe semplice mente ridere... Il contatto è escluso: l'amo­re, nel senso umano di questa parola, t escluso. Io amo il vostro spirito, la vostra anima. Capite?

Elena                        - La mia anima!

L'estraneo                 - Una donna come voi non cede così: come le altre: una donna come voi fugge dinanzi al pericolo: va da un hiogo all'altro: ma senza trovar mai pace. Perché proprio nel momento che la pace Sta per stendersi sul suo cuore, di nuovo il tormento ricomincia, implacabile.

Elena                        - Al punto di non potersi liberare. Se potessi dirvi...

L'estraneo                 - Non siamo nulla, l'uno per l'al­tro. Potete parlare.

Elena                        - E voi potrete liberarmi, forse;

L'estraneo                 - Chi sa?

 Elena                       - Ma io non lo vorrò. Ora non vo­glio più. Io sono felice della mia infeli­cità. Ci voglio cadere in questo precipizio. Non voglio tornare più indietro... Di che cosa potete parlarmi, voi?

L'estraneo                 - Ma dì quello che è slata la vostra vita, prima che questo demonio vi possedesse.

Elena                        - Era una povera cosa: miserabile, squallida.

L'estraneo                 - Ed ora che cos'è?

Elena                        - Ora? Ma ora io mi sento vivere. Ora sono qualcosa, qualcuno...

L'estraneo                 - E per gli altri: per quelli che vi hanno amato prima, non provate assolutamente nulla?

Elena                        - Sì: un'infinita pietà.

L'estraneo                 - Peccato che noir possiate ve­dervi: così vestita sembrate una nube.

Elena                        - È lui che mi dà tutto questo. Ha lavorato, continua a lavorare per me. Sen­za mai una parola di rimprovero. Io lo vedo il suo caro viso, ma non so provare altro che questo sentimento di pietà. Niente altro. Se ripenso che ho baciato quelle guancie floscie e quella bocca coperta dai baffi cascanti, se ripenso al luccichio di quelle lenti, mi pare impossibile che per anni abbia potuto dargli tutta me stessa.

L'estraneo                 - E lo sguardo buono che c'era dietro quelle lenti?

Elena                        - Sì: dei piccoli occhi celesti, che ho fatto piangere, a volte.

L'estraneo                 - Ecco: vi ricordate di averli fai ti piangere.

Elena                        - Sì. E, vedete, non so levarmi din­nanzi agli occhi il suo gesto abituale: si to­glie le lenti, le asciuga col fazzoletto, e allora quegli occhi restano come due cose spente che fanno pena.

L'estraneo                 - E quando saprà?

Elena                        - Ma non volete capire che anche se rientrassi in casa mia, io non sarei già più quella di prima? Che importa se il tradì mento materialmente non è avvenuto? Io l'ho tradito già cento mille volte col mio cuore e con tutti i miei sensi.

L'estraneo                 - Questo si dimentica. Appena rimetterete i piedi nella vostra casa, \i sentirete leggera, liberata...

Elena                        - Così fosse.

L'estraneo                 - E’ così. Dovete crederlo. Do­vete credermi. Questa è la verità. E nessun altro ve la può dire meglio di me.

Elena                        - Ah, è terribile! Terribile! (Piange).

L'estraneo                 - Non piangete.

Elena                        - Ho sentito che qualcosa finiva... l' come se mi aveste strappato un pezzo di carne viva. Perché siete venuto?

L'estraneo                 - Non ve l'ho già detto? Perché io volevo portare con me il ricordo della vostra immagine migliore. Di voi, come vi ho vista la prima volta: come vi ho pensata, come vi ho sognata. Siete tutto per me, non m'importa d'altro.

Elena                        - Nessun uomo al mondo può amare in questo modo.

L'estraneo                 - Ed è il solo, l'unico che si con­venga ad uno come me. Nell'altro modo vi lascerei forse il disgusto di me: vi perderei: così, non vi perdo. E qualunque cosa accada voi non vi dimenticherete mai di me. Oh me ne rendo conto: capire lutto questo è molto difficile. Siete ancori troppo giovane. Ci vorranno degli anni.

Elena                        - Eper avermi, mi dite di tornare a casa mia, con un'altr'uomo?

L'estraneo                 - Un uomo che io non conosco. Sì. E che non voglio conoscere. Perché forse lo odierei. E nel sentimento che ho per voi, voglio che non siano mischiati se non sentimenti puri ed alti. Non posso amarvi come un amante: fate conto per un momento che vi ami come un padre: un padre che veda in pericolo la sua crea tura: e cerchi in ogni modo di salvarla. Voi non avete più padre?

Elena                        - No. Non ho nessuno. Sono sola.

L'estraneo                 - E’ triste.

Elena                        - Sono sola con questo tormento: che mi fa rinnegare, vedete, ciò che un at­timo prima desideravo con tutte le mie forze.

L'estraneo                 - Quand'io sono entrato, eravate decisa?

Elena                        - Sì.

L'estraneo                 - No. Lo credevate. Non era vero.

Elena                        - Forse è così. E sono ricaduta in que­sto tormento. Ah non so che cosa fare!

L'estraneo                 - Perché non provate a fuggire, un volta ancora?

Elena                        - A che mi ha servito, fino ad oggi?

L'estraneo                 - Ma siete andata sempre tonta na da casa vostra. Provate a rientrarvi, ora.

Elena                        - Troppo tarili.

L'estraneo                 - No... Guardate: potrete dire alla marchesa che vi siete decisa a un tratto.

Elena                        - Parrà strano.

L'estraneo                 - Che v'importa?... Direte che volete approfittare della mia macchina. Vi accompagnerò io.

Elena                        - Lo fareste davvero?

L'estraneo                 - Lo farò.

Elena                        - E poi?

L'estraneo                 - Le cose che ora sembrano così pallide nella vostra memoria ritroveranno i loro contorni esatti. Vi parrà d'uscire da un sogno. Sarete contenta.

Elena                        - Sì?

L'estraneo                 - E gli occhi celesti che si pose­ranno su di voi, pieni di lacrime e di fe­licità non vi sembreranno più' così smorti. Invece di due cose silente, vi parranno due cose vive, luminose come due pìccole lampade. E allora le due braccia che v'han­no tenuta stretta per la prima volta vi accoglieranno ancora. Non sarà l'abbrac­cio forte, violento della passione: sarà quello più blando, ma non meno caldo, della tenerezza. (Egli parla piano, lenta rnenle: la sua voce ha un accoramento profondo: ma, pur nella tristezza, assai dolce). lì pari; are

Elena                        - (che l'ha ascoltato con gli occhi soc­chiusi, dopo un momento) Perché avete smesso di parlare?

L'estraneo                 - Perché è l'ora di agire. Io vado...      

Elena                        - No, non ve n'andate. Non mi la­sciate sola. Le vostre parole fanno così bene: mettono in pace con noi stessi.

L'estraneo                 - Io vado. È tardi. V'aspetterò. Voi sonerete. Annuncerete la vostra deci­sione. Io v'aspetterò...

Elena                        - Non mi lasciate sola.

L'estraneo                 - È necessario, vi ripeto. Biso­gna che voi siate libera di fare quello che volete.

Elena                        - E se io non venissi con voi?

L'estraneo                 - Niente di male.

Elena                        - Come?

L'estraneo                 - Niente di male, quasi nulla, direbbe la gente. Una donna che cade. Che è? Son cose che succedono tutti i giorni... Ed è un mondo che crolla: un piccolo mondo di misteri di sogni che si sfascia... Arrivederci.

 Elena                       - Arrivederci. (Poi, come tra se) Non vorrei vedervi andar via.

L'estraneo                 - Lo so. Ma pure è necessario che io m'allontani. Voi resterete sola. Vi vedo riflettere, poi...

Elena                        - Non amiate via. Aspettatemi. Vengo con voi, subito.

L'estraneo                 - Ma non potete partire così.

Elena                        - (si guarda, smarrita) È vero. Che peccato!

L'estraneo                 - Sarebbe proprio un peccato. (Lentamente esce).

Elena                        - (resta qualche istante pensosa, nell'at­teggiamento che poco prima l'Estraneo ha immaginato. D'improvviso si scuote. Dei piccoli colpi vengono battuti all'altra porticina. Ella resta qualche attimo in ascolto, sospesa. I colpi si fanno più forti, insistenti. Ella corre dal lato opposto, come per fug­gire ma il ritmo dei colpi si fa sempre più celere e tumultuoso. S'ode la voce di Gior­gio che chiama piano: -Elena! Elenal -e l'altra, lontana, dell'Estraneo: - Elena! Ella indietreggia fino alla porta di camera sua. La porta si spalanca: la inghiotte: si rinchiude con un tonfo sordo. I colpi con­tinuano, un poco; poi tacciono).

CALA LA TELA FINE