(1935)
Un atto di Sabatino LOPEZ
da 7 COMMEDIE IN UN ATTO
Rizzoli Editore Milano - 1967
PERSONAGGI
GINA BRONI
SEBASTIANO BRONI
VITTORIO GRATINI
IL PORTIERE DELL'ALBERGO
Un albergo d'alta montagna. Estate.
Primi di agosto, pomeriggio d'estate. La sala d'ingresso in un albergo signorile d'alta montagna. A destra, lo scalone che porta ai piani di sopra. Si ha il senso della comodità e della solidità.
(La signora Gina, poco più che trentenne, vivace, formosa, appariscente, è sola in attesa. Cammina, si siede, di tratto in tratto canticchia, guarda su verso lo scalone, guarda fuori per la finestra che è aperta.)
GINA (poco più che a mezza voce, come tra sé) Ma che fa quest'uomo? Gli avessi detto... No: "È nella borsa a mano". Così semplice! (Batte un piedino.) "Ricercare e non trovare, aspettare e non venire..."
IL PORTIERE DELL'ALBERGO (entra tenendo fra le mani un cartellone a stampa. Vede la signora Broni, la sente borbottare, si accosta cerimonioso, domanda) La signora desidera?
GINA Niente: grazie. Aspetto mio marito che è su e deve scendere. (Accenna col viso più che col gesto al cartellone.) Che c'è? Spettacolo anche qui? Cinema, danze, concerto?
IL PORTIERE Giochi di prestigio per domani sera: "Il Cagliostro del '900: mister Blunfete". - Non che si chiami così, (discreto, quasi all'orecchio) si chiama Faragosti, ed è friulano: "Blunfete", nome d'arte da far colpo. Ma è veramente bravo, molto bravo. Vedrà: fu qui anche l'anno scorso per uno spettacolo e piacque tanto che il direttore lo ha richiamato. Vedrà, signora.
GINA La gente dell'albergo non esce la sera?
IL PORTIERE Dopo cena, generalmente no. E poi ci sono i bambini, e quelli vanno pazzi per i giuochi.
GINA (fiacca) Bene bene... E adesso? Non si vede nessuno.
IL PORTIERE Perché sono tutti a godersi questa bell'aria. (Sentenzioso) Svago e salute. La montagna è una gran cosa. I bagni? (Concede.) Sissignora, anche i bagni, anche il mare - capirà, io sono napoletano, ossia, mio padre era napoletano -, ma come l'alta montagna...! Svago e salute... - Mi permette?
(Incerto sinora se affiggere a una piuttosto che a un'altra parete il cartellone, si è deciso e si compiace, contemplandolo, dell'opera sua.)
Sì, è bene in vista: mister Blunfete è servito da grande artista. (Torna ad avvicinarsi.)
GINA Avete molta gente in albergo?
IL PORTIERE Siamo al completo. E tutta clientela scelta: la crema internazionale. C'è Sua Eccellenza il ministro dell'Uruguay con la famiglia, c'è la marchesa di Sanferente... (Gina non sa chi sia)
quella gran dama che fece la traversata aerea che ne parlarono tutti i giornali... La crema, la crema. Da stasera ci rimane una camera libera.
(Ciarliero ma non ampolloso) Una sola, e anche quella perché? per la partenza anticipata di un signore francese... Cioè, francese... italiano; ma uno che vive sempre a Parigi e che torna a Parigi adesso, col treno delle cinque e quaranta. Abbiamo dovuto dirigere altrove alcuni vecchi clienti affezionati che non ebbero la previdenza di scrivere.
GINA (che distratta guardava la scala, quasi continuasse un discorso) Quello non scende più. Non capisco: come se ci fossero dei trabocchetti e dei crepacci fra il pianterreno e il primo piano!
IL PORTIERE Se la signora crede, posso salire a vedere.
GINA Ma sì: camera ventidue. Che almeno vi dica se devo aspettarlo ancora un pezzo.
SEBASTIANO (piomba giù a salti, due scalini alla volta. È un bell'uomo barbuto sui quarantacinque anni, faccia aperta, largo sorriso, voce piena) Sono qui: ecco il tuo fazzoletto.
IL PORTIERE (saluta rispettosamente ed esce).
GINA (fa un grande inchino al marito) Bentornato! Cominciavo a temere che tu fossi rimasto vittima di un'imboscata o di un rapimento, non si sa mai.
SEBASTIANO (ride, ride) Altra cosa, altra cosa. (Si pianta sulle gambe.) Indovina un po' chi c'è all'albergo.
GINA Il ministro dell'Uruguay.
SEBASTIANO Anche, ma non lo conosco. Chi c'è?
GINA Che vuoi ch'io sappia! (Sgomenta) Ohé, dico, c'è mica la zia Carlottina?... perché riprendo il treno e ti pianto.
SEBASTIANO Niente zie: un amico. Ma un caro amico, poco meno che un fratello.
GINA Benissimo. Chi è?
SEBASTIANO Un momentooo... Hai visto che al primo piano c'è un album - non un registro, un album - perché gli ospiti ci scrivano sopra? Chi vuole, perché non è un obbligo; è una cortesia. Chi ci mette soltanto la firma, chi ci aggiunge un pensierino: "Ma quanto è comodo questo albergo!" . "Come è limpida l'acqua di questi torrenti" - "La bellezza di questi tramonti è incantevole!"
GINA E tu ci hai messo il pensierino...
SEBASTIANO Niente pensierino. Ma ho dato una scorsa al registro... all'album, per vedere se ci figuravano nomi di conoscenti... In cima all'ultima pagina, con la data d'oggi: "To'!... Lui?... Ma che sia proprio lui? Ma sì, è lui: eh! anche la sua scrittura".
GINA (si arrabbia) Non drammatizzare. Lui, chi?
SEBASTIANO (sorride, prosegue imperterrito) Domando al direttore "Il signor Vittorio Gratini è qui?...".
GINA Finalmente! É venuto fuori il nome.
SEBASTIANO "Sissignore, è qui, ma parte oggi stesso."
GINA (continua) Col treno delle cinque e quaranta.
SEBASTIANO (stupito) Come lo sai?
GINA Vive sempre a Parigi e torna a Parigi.
SEBASTIANO Come lo sai?
GINA Lo so! (Ride.) Me lo ha detto il portiere. Be', l'hai veduto il tuo amico, gli hai parlato?
SEBASTIANO No, ma gli parlerò, perché deve tornare a prendere le valigie. E dunque l'ho ripescato, come si dice, all'ultimo tuffo. Quasi io ne avessi un presentimento! Se ci si fermava in città, come tu volevi, fino a quest'altro treno, non lo trovavo più.
GINA Invece, ringraziando Iddio, avrai questa gioia. Ti preme tanto?
SEBASTIANO E come no? Dopo vent’anni che non lo incontro, capirai…
GINA Bum! Sei sempre esagerato. Sonò meno di quindici. Lo vedemmo che eravamo in viaggio di nozze, a Torino, al campo delle corse. Puntammo sullo stesso cavallo: Sardanapalo. Era il favorito, e per questo arrivò ultimo.
SEBASTIANO Che precisione la tua! Be', quattordici, quindici anni. Ma sono sempre molti per due che si conoscono fino da ragazzi, che sono cresciuti assieme, che hanno fatto poi la vita a comune... Perché quando eravamo giovani abbiamo patito la fame insieme.
GINA Ma sì, me lo hai detto tante volte. Pane e minestra, minestra senza pane, pane senza minestra. Tu, Gratini, Malavolti, i tre moschettieri senza moschetto. Tu che dipingevi, Malavolti scultore, Gratini inventore, industriale, meccanico. Poveri strapelati tutti e tre. Poi Malavolti morto in prigionia, tu premio Fumagalli a Brera. Gratini quattrini, quattrini, quattrini. So tutto a memoria. Non ricominciare, per l'amor di Dio.
SEBASTIANO (il tono in contrasto con le parole) Sei una bella carognetta, sai! Tu non capisci... Cioè capisci, capisci tutto, tu, ma fingi di non intendere e di non apprezzare la mia sorpresa e la mia contentezza. - La vita! Cos'è la vita! Noi due -sì, Gratini e io - ci siamo lasciati giovani, se non giovanissimi, e ci ritroviamo quasi vecchi!
GINA Accade! Quando passano quindici anni fra un incontro e l'altro, accade. Ma tu non sei "quasi vecchio". E se non tenessi quella barbaccia sembreresti anche più giovane. Perché la tieni?
SEBASTIANO La prima volta che ti ho incontrato e ti son piaciuto ero così, e non mi voglio esporre a rischi cambiando connotati.
GINA Mettiamo le cose a posto, vanitosissimo uomo: mi piacesti perché io ero piaciuta a te. E in che modo! Di colpo. Come se tu non avessi conosciuto altra donna.prima di me. (Si è alzata e guarda fuori della finestra.) Io non avevo soldi, e non avevo studi, non avevo... (S'interrompe e dà un grido di meraviglia. ) Oh!
SEBASTIANO (corre alla finestra) Che c'è?
GINA Guarda, guarda lì, quel piccolino biondo: sarà un maschietto o una femminuccia? Quanto tempo può avere? Tesoro! Che tesoro di bimbo. Dio, Dio! (Si volta a lui.) E dire che in quindici anni non siamo stati buoni a metterne al mondo uno.
SEBASTIANO Come se fosse colpa mia!
GINA Non lo so. Ma per averne uno - uno come quello lì, darei... tutti i tuoi quadri.
SEBASTIANO Ma non è ancora detta l'ultima parola.
GINA Cioè?
SEBASTIANO Che tu non lo possa ancora avere.
GINA Da chi?
SEBASTIANO Che canaglia! Non si può garantir nulla... Paese nuovo, letto nuovo, cambiamento d'aria...
GINA Stupidone! Ma io me lo compro. Mi sono sposata per questo, per aver figlioli, almeno uno. Io me lo compro.
SEBASTIANO Tu ti compri...? (Sbalordito) Che mai tu vuoi comprare? Nemmeno si trattasse di pesche.
GINA (tranquilla e ostinata) Non dico quel bimbo lì: un altro. No: quello - bambinaia, carrozzino, fronzoli, trine... - niente da fare.
SEBASTIANO Meno male.
GINA Ma da qualche famiglia che gliene cresca uno di troppo, sì. O lo chiedo a un brefotrofio. Si può e si trova. E c'è anche da scegliere fra tanti. Piccolo o grande lo compro, me lo faccio cedere.
SEBASTIANO (un sì che dice no) Intanto, per adesso almeno, potresti limitarti a un cane, cucciolo o gigante, pechinese o San Bernardo. Giustappunto, me ne hanno offerto uno l'altro giorno allo studio. Lo vuoi?
GINA Neanche per idea. Un cane! per ridurci poi a trascinarselo dietro, tarlato e tignoso e pestilenziale come quello della Faruffi, che tutti la scansano e le ridono addosso... No, voglio un bimbo: magari, se proprio dipende da me... fammelo pure con un'altra e portamelo.
UNA VOCE MASCHILE (ben distinta) Avete fatto scendere i miei bauli? Camera quarantaquattro.
SEBASTIANO (stringe il braccio alla moglie) È lui, è lui.
LA VOCE DEL PORTIERE Guardi, sono lì.
LA VOCE MASCHILE Dove? Ah! sì, bene. Il conto?
SEBASTIANO (è alla soglia) Vittorio... Vit... (E fa due passi indietro.)
VITTORIO (entra alla chiamata. È un uomo che non ride e forse non rise mai. Vigoroso, quadrato, con qualche ruga e qualche ciocca bianca, pare più anziano dell'amico) Chi è? (Vede, riconosce.) To'! sei qui, tu? Da quando?
SEBASTIANO Da un'ora, e nemmeno. Ho saputo di te, che eri qui, e ti ho aspettato per abbracciarti.
(Gina si è fatta più indietro. Sebastiano butta le braccia al collo dell'amico.)
VITTORIO (affettuoso, ma meno espansivo, risponde all'abbraccio) Ma sì! Ciao, vecchio.
SEBASTIANO "Vecchio Bàstia". Ti ricordi? Tu Vito, e io Bàstia. Sebastiano-Bàstia, e Malavolti diceva: "Non Bàstia, Bestia".
VITTORIO Ma non era giusto: non sei mai stato bestia.
SEBASTIANO E dunque tu parti? Noi arriviamo, e tu parti.
VITTORIO Non lo faccio apposta. Se avessi potuto immaginare...
SEBASTIANO Peccato! C'è anche mia moglie... (E la indica.)
VITTORIO Oh! (Fa un passo verso di lei che s'avvicina.) Mi scusi, signora, ma non l'avevo proprio veduta.
GINA (gli porge la mano) Lasciavo passare le prime effusioni.
SEBASTIANO Gina qui (e la cinge col braccio) si ricordava perfettamente della sola volta che ti vide.
VITTORIO A Torino...
GINA (nello stesso tempo) A Torino.
VITTORIO (prosegue) Al campo di Mirafiori. Io la consigliai di puntare su di un cavallo, lei mi diede retta... e perse.
GINA (sorridendo) Ma io non le serbo rancore. Dopo tanto tempo...
SEBASTIANO (quasi umile nella richiesta) E non potresti rimandare la partenza di un giorno, o di qualche ora, e cenare almeno con noi?
VITTORIO Impossibile: ho già in tasca il biglietto. Ed è il meno. Ho impegni, appuntamenti. Domani in giornata devo essere un'altra volta al lavoro.
SEBASTIANO Non ci puoi dare nemmeno dieci minuti, un quarto d'ora? Mi pare che dopo tanti anni...
VITTORIO Fammi vedere... (Trae l'orologio.) Questo sì: il treno parte...
SEBASTIANO ... alle diciassette e quaranta.
VITTORIO Ma venti minuti e non più. Ci possiamo anche mettere a sedere, non ti pare?
SEBASTIANO Vogliamo andare al bar?
VITTORIO Se la signora desidera prendere qualcosa... altrimenti... io no.
GINA Nemmeno io. Si sta benissimo qui. Più liberi di così! (Siedono.) Potete rievocare l'infanzia, la fame, "il povero Malavolti"... tutto quello che volete.
VITTORIO (a Gina) Bel posto, eh!
GINA Non abbiamo ancora visto.
VITTORIO Ah! già. - Specialmente i dintorni. Magnifici. E anche il trattamento dell'albergo, ottimo. Vi troverete bene.
GINA Lei ci si è fermato?
VITTORIO Due settimane. Molto: troppi, quindici giorni di fresco e di riposo. Ora sotto, un'altra volta! (A Sebastiano) E tu che fai? Mi guardi e stai zitto...
SEBASTIANO Sai, non mi par vero. Indietro, indietro, tanti ricordi, tanta gente che è passata, finita... Ma non sei molto invecchiato.
VITTORIO Io direi abbastanza. Più di te certamente.
SEBASTIANO Tu vieni da Parigi... e torni a Parigi?
VITTORIO Direttamente.
SEBASTIANO So che ti sei fatto una gran posizione.
VITTORIO Grande no, buona.
SEBASTIANO Più che buona. "I motori Gratini"! Apro un giornale e, tutte le volte che c'è un ricevimento alla nostra Ambasciata, ci leggo primo il tuo nome.
VITTORIO Me ne starei tanto volentieri a casa. Non si può: è dovere.
SEBASTIANO E tutte le volte - di' tu, Gina, se non è vero - mi ripromettevo di scriverti, di chiedere di te all'Ambasciata... poi, sai come accade, si rimanda da oggi a domani, e passano gli anni!
VITTORIO Nemmeno io ti ho più scritto, e dunque siamo pari. Tu stai sempre a Firenze... via dei Della Robbia... studio e casa... esponi... vendi... Be', ti dirò che a Parigi l'altr'anno ho comprato un tuo quadro.
SEBASTIANO (contento) Davvero?... Senti, Gina?
VITTORIO Sicuro: Pineta di Quercianella. Bel quadro.
SEBASTIANO Ti piace? Ma guarda! L'ignoto acquirente eri tu! E perché non me lo hai fatto sapere?
VITTORIO Te lo dico adesso. Mi piaceva, il prezzo era ragionevole... più che ragionevole, modesto - data la tua fama, sei discreto -, e l'ho preso.
SEBASTIANO Avevo anche scritto al Guipur, che è l'ordinatore della mostra, perché mi dicesse il nome dell'acquirente... Mi ha risposto: "Non so".
VITTORIO Sapeva, ma è stato di parola. Per mia volontà fu appeso il solito cartello "Acquistato da Enne Enne..." Non permetto che si faccia il mio nome, mai. Se a Parigi vengono a sapere che compro quadri, non mi salvo più. Ci scapito come industriale, e mi saltano addosso per vendermi tutte le croste che sono sul mercato. Niente: compro in silenzio.
SEBASTIANO (gli batte sulla spalla) Mecenate in incognito.
VITTORIO Mecenate? No. E nemmeno collezionista. Perché i quadri che non mi piacciono, io, non li compro. E non mi lascio consigliare o dirigere da nessuno. Avranno ragione loro, ma non mi fido che del gusto mio. Ho un bel Boldini, un De Nittis... Ottocento, molto Ottocento. Be', parliamo d'altro. Tu fai dei bei quadri, e lei, signora, che fa? Figlioli, niente?
(Silenzio breve.)
SEBASTIANO No. E non è a dire che non ci abbiamo messo tutta la nostra buona volontà. Si vede che a questo mondo non si può avere tutto quello che si desidera.
VITTORIO (semplice, approva) Questo è vero.
SEBASTIANO Perché l'uomo, un uomo... io, tanto tanto mi rassegno. Ho tutta la giornata presa: mi muovo, lavoro, vedo gente... Ma la donna di casa, che sta in casa anche se prima era brillante... anzi, tanto più se prima era brillante... lei specialmente, se ne strugge.
VITTORIO Non mi pare. (La guarda.) È florida, colorita...
SEBASTIANO L'apparenza. Figurati che quando tu sei entrato - sì, adesso adesso - c'era a mezzo un discorso. La Gina diceva...
GINA (interrompe un po' brusca) Lascia stare, ti prego.
(Breve silenzio.)
SEBASTIANO E i tuoi di famiglia?... (Esitante) La mamma... L'hai ancora viva, la mamma?
VITTORIO No. Da tre anni.
SEBASTIANO Oh! povera signora Carola. Era vecchia, ma la madre... L'avevi con te a Parigi?
VITTORIO No: non mi era riuscito di smuoverla. Nata, vissuta, sepolta a Castelnuovo. Parigi, poi! Figurarsi. Nemmeno se le avessi promesso un impero.
SEBASTIANO Che cara donna! Di una dolcezza... Bella anche. E ben conservata. (A Gina) Tu l'avessi vista, a più di settant'anni nemmeno un capello bianco.
VITTORIO Fino all'ultimo giorno! Pensi, signora. Il figlio... mi vede, ha delle ciocche grigie da un pezzo, e lei era ancora tutta nera.
GINA Oh guarda!
VITTORIO E non è a dire che non avesse avuto i suoi dolori e i suoi pensieri: non foss'altro, quelli che gli avevamo dato noi figlioli. Uno morto in guerra, io che non trovavo modo di aprirmi una strada... La mia canizie mi viene da mio padre. Sono trent'anni oramai che è morto e io non ricordo di averlo visto che canuto. (Trae l'’orologio.) Sarà meglio che m'avvii.
SEBASTIANO (gli trattiene una mano, sicché l'altro istintivamente rimette l'orologio in tasca senza guardarlo) Quando ci rivedremo?
VITTORIO Mah! chi lo può dire!
SEBASTIANO Dipende da noi. Tu, generalmente non ti muovi...
VITTORIO Di rado, molto di rado: non posso lasciare le officine. Ho preso questi quindici giorni perché proprio ero stanco.
SEBASTIANO Ebbene, senti quello che ti prometto. È tanto tempo che dico alla Gina di farle vedere Parigi: lei non la conosce affatto e io poco. Poi. ogni volta, o la commissione di un ritratto, o un quadro a mezzo da consegnare per una mostra... o giudice di un concorso... Ma stavolta è deciso: alla fine di settembre veniamo a Parigi. La prima persona, la prima visita. Non aver paura ch'io intenda levarti al tuo daffare, ai tuoi impegni, per farci accompagnare in giro... Ma la prima visita è per te. Vero, Gina?
(E lo guarda come aspettando un consenso, una parola di compiacimento.)
VITTORIO (lo fissa intensamente, tace un minuto) Ho preso moglie.
SEBASTIANO Oh!
VITTORIO (semplice, ma energico) Tu la conosci benissimo. Per essere più chiari e precisi... (sosta un secondo) in altri tempi... tu l'hai conosciuta. Sicuro: la Valentina.
SEBASTIANO (sbalordito, a mezza voce) No.
GINA (fa un passo avanti, guarda lui, poi guarda Vittorio, come se volesse sapere di più).
VITTORIO (a lei) Signora, non si spaventi, perché non è il caso. Non ha nulla da spaventarsi. Quando... lei non era ancora apparsa all'orizzonte. E Valentina è sparita... proprio quando apparve lei. Lei questo non lo sapeva e forse non l'ha mai saputo. (Sempre semplice, tranquillo ma lento, a momenti sillabando) Lui qui (accenna col viso a Sebastiano) e... Valentina si sono voluti bene. - Poi... poi... Valentina mi era piaciuta, mi interessava... Bella non so; certo non quanto lei, signora, e di una diversa bellezza: occhi tristi, bocca dolente... Ma io sono un malinconico... Ed è una brava donna: questo sì. Lui (ancora accenna a Sebastiano col viso) era andato via... senza possibilità di ritorno... Le nozze: erano già avvenute le nozze... Siamo stati insieme qualche po' di tempo due anni - e, dopo, io l'ho sposata. (Più celere) Come un premio per me, non per lei. Io non ho un buon carattere, ho molti pensieri e sono triste. - Sicuro.
(Silenzio. Moglie e marito si guardano e non sanno trovar parole. Vittorio guarda Sebastiano.)
Perché ti ho detto di Valentina soltanto al momento di andarmene, e non te ne ho parlato prima? (Adesso, si fa man mano più amaro, quasi aspro.) Perché tu non mi venga a trovare. (A Gina) Scusi sa. Chiarezza. (A lui) Oppure: quando tu vieni a Parigi, guardi nella guida telefonica, vi trovi il numero dell'officina "Motori Gratini", mi chiami, e ci vediamo fuori. Vi invito a pranzo, dovere e piacere, ma alla trattoria, non a casa. A casa no. Non per gelosia retrospettiva: non ne soffro. - Poco. - E non per paura: non sono uno scimunito.
(Poiché oramai parla direttamente con Sebastiano e volge le spalle a Gina, Gina si allontana lentamente, inavvertita, e sparisce in silenzio.)
Se anche vi vedeste, né tu né lei, certamente, avreste un battito di più, e tanto meno un rimpianto, perché... (Si volge.) Oh! tua moglie si è allontanata. Certo, per delicatezza, per lasciarci liberi. Bene. Meglio. Così posso completare: tu poi riferirai, non riferirai: come credi. (Brevissimo silenzio.) Completiamo. Ho un figliolo.
SEBASTIANO (stupito, interessato, lo fissa) Ah!
VITTORIO Ho un figliolo... ha un figliolo... Non so come dire. (Semplice) Tuo.
SEBASTIANO (tra l'incredulo e lo sgomento) Noo!
VITTORIO (ripete tranquillo) Sì. Tuo.
SEBASTIANO Mio?
VITTORIO Ho detto tuo. Ora basta, eh, ci credi?
SEBASTIANO E non mi avete scritto, non mi avete mai cercato, né tu né lei...?
VITTORIO Io, perché? - Lei, a quale scopo? Con quale speranza di risultato? Tu non sapevi di aver lasciato il segno, e ti eri già sposato di furia con una donna con la quale non avrebbe potuto lottare. - Dunque, lei niente. Era tardi. Dunque, figlio suo, col solo suo nome. - Io? Se il bimbo - poi il ragazzo - mi avesse procurato fastidi, se comunque avessi voluto sbarazzarmene, se fossi stato scontento di vedermelo attorno, forse - bada, non so, forse! - avrei potuto dirti: "Poiché è tuo, prenditelo". Ma no: io volevo tenermelo e me lo voglio tenere. E dunque non c'era una ragione al mondo perché ti avvicinassi: né dovere né convenienza. (Non accorato, ma tenero, quasi ripensandolo lo dicesse a se stesso) Povero figliolo, vuol tanto bene a sua madre. - Naturalmente, non sa di te... Non immagina. Perché l'ho riconosciuto per mio. Ma si stupisce ch'io abbia tardato a sposarla... Son cose che non si possono nascondere ai ragazzi di una certa età. Ci sono quei benedetti fogli per le scuole! Ci sono o ci possono essere le chiacchiere dei vicini, dei compagni... - Gli ho detto: "Sai, ci sono degli uomini molto difficili, molto esigenti che non si accontentano della bellezza dell'albero: per decidersi a comprare vogliono prima vedere se dà frutto, vedere il frutto. Tu -il frutto - mi sei piaciuto, e io ho comprato l'albero. E sono contento di averlo fatto". - Credo, spero che mi abbia perdonato. (A voce più bassa ripete) Sono contento di averlo fatto. Tanto più, che dopo quell'unico, la pianta non ha dato più frutti. Forse - lacerata od offesa - non ne ha voluti più dare.
SEBASTIANO Dunque, io... ho un figlio?
VITTORIO Si ricomincia?
SEBASTIANO (ora si ribella) E pretendi... Non vuoi che io lo venga a vedere?
VITTORIO (deciso) Non voglio. Anche perché ti somiglia molto. Qui, guarda, qui (gli percorre la parte alta della faccia) è preciso a te. Ha il tuo viso di allora: di quando noi due eravamo ragazzi e mia madre spezzava il pane anche per te come se fossimo fratelli. Non voglio che tu lo veda, perché sarebbe un'imprudenza, un pericolo. Che tu non abbia fatto nulla per lui...
SEBASTIANO (schietto, quasi con un grido) Ma io non sapevo. Ti giuro che non sapevo. L'incontro con Gina fu impreveduto, improvviso, la decisione di sposarla improvvisa...
VITTORIO Può essere, sarà stato. (Ricomincia.) Che tu non abbia fatto nulla per lui (concede) perché non sapevi, non immaginavi, passi; ma che tu gli faccia anche del male, che tu scrolli le fondamenta della sua casa - "tuo padre non è tuo padre e tua madre..." - no, eh! No: anche se tu tacessi - e taceresti, lo credo -, con la tua stessa faccia, che è la sua, o con la tua commozione potresti dare origine a un sospetto. Sua madre e lui hanno diritto di non essere turbati da te. - Niente, niente: lui sta bene con me e resta con me. Se anche tu lo vedessi, non potresti far nessun passo, perché nessun passo ti servirebbe: è mio secondo la legge. E secondo giustizia. (Sta per avviarsi. Si ferma.) To'! guarda e ti persuadi. Ho in tasca il suo ritratto: una istantanea. Guarda. (Trae il portafogli e, mentre lo apre e ne trae il ritratto, dice) C'è scritto dietro: "Al suo papà, Sebastiano". Perché sua madre gli aveva messo il tuo nome. - Che vuoi? Valentina è una brava donna. (Gli mostra la fotografia.)
SEBASTIANO (ansioso l'afferra, la guarda meravigliato, dice con un grido represso) Sono io: sono io a quindici anni.
VITTORIO Te lo avevo detto. (Semplice) E per questo, anche per questo, io vivo a Parigi e non mi son fatto accompagnare da lui in Italia nemmeno per quindici giorni, in un albergo di montagna. Come se avessi il presentimento! Lo vedi? le combinazioni sono tante!
(Si è ripreso bruscamente la fotografia, la caccia in tasca, si avvia rapido fuori. Lancia di lontano l'addio.)
Saluta tua moglie. (È uscito.)
F I N E