Pallade e Melisenda

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Dramma in 5 atti

di Maurice Maeterlinck

Traduzione di E. Robecchi Brivio

da Teatro scelto - Facchi Editore Milano - 1922

PERSONAGGI:

ARKËLE, re d'Allemonda

GENOVEFFA, madre di Pellade e di Golaud

PELLADE

                    nipoti dl Arkële

GOLAUD      

Il piccolo YNIOLD, figlio di primo letto di Golaud

MELISENDA

UN MEDICO

IL PORTIERE

SERVE, POVERI, ecc.

ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

LA PORTA DEL CASTELLO.

LE SERVE (dall'interno). Aprite la porta! Aprite la porta!

IL PORTINAIO. Chi è?Perché venite a svegliar­mi? Uscite dalle piccole porte; uscite dalle pic­cole porte; ve ne sono abbastanza!...

UNA SERVA (dall'interno). Veniamo a lavar la porta, la soglia e la scalinata; aprite dunque! Aprile!

UN'ALTRA SERVA (dall'interno). Vi saranno grandi  avvenimenti!

TÈRZA SERVA (dall'interno). Vi saranno grandi feste! aprite presto!

LE SERVE.  Aprite, dunque! Aprite!

IL PORTINAIO. Attendete! Attendete! Non so se potrò aprire... Non si apre mai... Attendete che sia chiaro....

PRIMA SERVA. Fa abbastanza chiaro fuori; vedo il sole dalle fessure...

IL PORTINAIO. Ecco le grandi chiavi... Oh! co­me stridono i catenacci e le serrature... Aiutate­mi! Aiutatemi!

LE   SERVE.   Noi   tiriamo!   noi   tiriamo...

SECONDA SERVA.  Non si aprirà...

PRIMA SERVA. Ah! Ah! Si apre! si apre lenta­mente!

IL PORTINAIO. Come stride! sveglierà tutti...

SECONDA SERVA (apparendo sulla soglia). Oh! come è chiaro fuori!

IL PORTINAIO. È aperta... è aperta tutta! (Tutte le serve appaiono sulla soglia e la varcano).

PRIMA SERVA. Io comincio a lavar la soglia...

SECONDA SERVA. Noi non potremo mai lavare tutto questo.

ALTRE SERVE. Portate l'acqua! Portate l'acqua!

IL PORTINAIO. Sì, sì: versate l'acqua, versate tutta l'acqua del diluvio; non arriverete mai allo scopo.

SCENA   SECONDA

UNA FORESTA.

(Si vede Melisenda vicino ad una fontana. Entra Golaud).

GOLAUD. Non potrò mai più uscire da questa fo­resta. Dio solo sa dove quella fiera mi ha con­dotto. Eppure credevo di averla ferita a morte. L'ho perduta di vista e credo di essermi perduto anch'io... I miei cani non mi ritrovano più... Ritor­nerò sui miei passi... Sento piangere... Oh! Oh! chi sta vicino alla fontana?... Una bambina che piange? (Tosse). Non mi sente. Non vedo il suo viso. (S'avvicina e tocca Melisenda sulla spalla). Perché piangi? (Melisenda trasale e vuol fuggire) Non abbiate paura. Non avete nulla da temere. Perché piangete, qui, sola soletta?

MELISENDA.  Non toccatemi!  Non toccatemi!

GOLAUD. Non abbiate paura... Io non vi farò... Oh! siete bella!...

MELISENDA. Non toccatemi! o mi getto nell'ac­qua!...

GOLAUD. Non vi tocco... Guardate, resterò qui, vicino all'albero. Non abbiate paura. Qualcuno vi ha forse fatto del male?

MELISENDA. Oh! Sì! sì! sì! (Piange dirotta­mente.)

GOLAUD. Chi vi ha fatto del male?

MELISENDA. Tutti! Tutti!

GOLAUD. Che male vi hanno fatto?

MELISENDA. Non voglio dirlo!

GOLAUD. Via, non piangete così! Da dove ve­nite?

MELISENDA. Sono fuggita!... Fuggita!...

GOLAUD.   Sì,   sì;   ma  fuggita  da  dove?

MELISENDA. Sono perduta!... perduta qui... Io non sono di qui...  non sono nata qui...

GOLAUD. Di dove siete? Dove siete nata?

MELISENDA. Oh! Oh! lontano di qui... lontano... lontano...

GOLAUD.   Cosa  brilla nel fondo dell'acqua?

MELISENDA. Dove? Ah! è la corona che egli mi ha data.  È  caduta mentre io piangevo.

GOLAUD. Una corona? Chi vi ha data una co­rona? Proverò a raccoglierla...

MELISENDA. No, no; non la voglio più! Preferi­sco morire subito...

GOLAUD. Potrò ritirarla facilmente. L'acqua non è mollo profonda.

MELISENDA. Non la voglio più! Se la ritirate mi getto al  suo posto!..,

GOLAUD. No. no; la lascerò stare; sembra mollo bella. È molto tempo che siete fuggita?

MELISENDA   Sì... Voi chi siete?

GOLAUD. Sono il principe Golaud, il nipote di Arkële, il vecchio re d'Allemonda...

MELISENDA. Oh! avete già i capelli grigi...

GOLAUD. Sì,  un poco, qui sulle tempia...

MELISENDA. E anche la barba... Perché mi guar­date così?

GOLAUD. Guardo i vostri occhi. Non chiudete mai gli  occhi?

MELISENDA.   Sì, sì; li chiudo la notte...

GOLAUD.  Perché avete l'aria meravigliata?

MELISENDA.  Siete un gigante?

GOLAUD. Sono un uomo come gli  altri.

MELISENDA. Perché siete venuto qui?

GOLAUD. Non lo so neppur io. Cacciavo nella fo­resta. Inseguivo un cinghiale. Ho sbaglialo strada. Sembrate molto giovane. Che età avete?

MELISENDA.  Comincio ad aver freddo...

GOLAUD.  Volete venir con me?

MELISENDA.  No,  no; resto qui...

GOLAUD. Non potete restar qui sola. Non potete restare qui tutta la notte...  Come vi chiamate?

MELISENDA.  Melisenda.

GOLAUD.  Non potete  restar qui,  Melisenda.  Ve­nite con me...

MELISENDA.  Rimango  qui...

GOLAUD. Avrete paura, tutta sola. Tutta la notte... non è possibile. Melisenda, venite, datemi la mano...

MELISENDA.  Oh!  Non toccatemi!...

GOLAUD. Non gridate... Non vi toccherò più. Ma venite con me. La notte sarà nera nera e molto fredda. Venite con me.

MELISENDA. Dove andate?...

GOLAUD. Non so... anch'io sono perduto.

(Escono).

SCENA TERZA

UNA SALA DEL CASTELLO.

(Si vedono Arkële e Genoveffa).

GENOVEFFA. Ecco quello che ha scritto a suo fra­tello Pellade: « Una sera l'ho trovata, tutta in la­grime, presso una fontana, nella foresta nella quale mi ero perduto. Non so né la sua età, né chi è, né da dove viene; non oso interrogarla, perché deve aver avuto un grande spavento, e appena le si domanda quello che le è successo, si mette a piangere come una bambina e singhiozza così pro­fondamente che fa paura. Al momento in cui l'ho trovata vicino alla sorgente, una corona d'oro le era caduta dai capelli nel fondo dell'acqua. Era vestita come una principessa, benché i suoi abiti fossero lacerati dai rovi. Sono sei mesi che io l'ho sposata e non so nulla di più che al giorno del no­stro incontro. Attendendomi, tu che io amo più di un fratello, benché non nati dallo stesso padre, attendendomi prepara il mio ritorno... So che mia madre mi perdonerà volentieri. Ma ho paura del re, il nostro venerabile nonno, ho paura di Arkële, malgrado tutta la sua bontà, perché ho mandato a vuoto, con questo strano matrimonio, tutti i suoi progetti politici, e temo che la bellezza di Melisenda non perdoni, ai suoi occhi così saggi, la mia follia. Se, nonostante tutto, egli acconsente ad ac­coglierla come accoglierebbe la sua stessa figlia, tre giorni dopo l'arrivo di questa lettera, accendi una lampada sulla cima della torre che guarda il mare. La scorgerò dal ponte della nave; se non vi sarà, andrò più lontano e non tornerò più... » Cosa dite?

ARKËLE. Non dico nulla. Ha fatto quello che do­veva probabilmente fare. Io sono molto vecchio, eppure non ho ancora visto un momento chiaro in me stesso; come volete che giudichi quello che altri hanno fatto? Non sono lontano dalla tomba e non arrivo a giudicare me stesso... Si sbaglia sempre quando non si chiudono gli occhi per per­donare o per guardare meglio in noi stessi. Que­sto ci sembra strano: ecco tutto. Ha già passata l'età matura e si sposa come un fanciullo con una bambina che trova vicino ad una sorgente... Ci sembra strano perché noi non vediamo che l'al­tra faccia del destino... l'altra faccia del nostro stesso destino... Sino ad ora aveva sempre seguiti i miei consigli ; avevo creduto di renderlo contento inviandolo a chiedere la mano della principessa Orsola... Non poteva restar solo: dopo la morte di sua moglie era divenuto triste; questo matrimonio metteva fine a lunghe guerre e a vecchi odi... Non l'ha voluto. E sia come ha voluto; io non mi sono mai messo attraverso a un destino; egli sa, meglio di me il suo avvenire. Forse non succe­dono mai gli avvenimenti inutili.

GENOVEFFA. È sempre stato così prudente, così grave, così sicuro... Fosse Pellade, comprende­rei... Ma lui... alla sua età... Chi introdurrà qui? Una sconosciuta trovata lungo le strade... Dopo la morte della moglie, non viveva che per suo fi­glio, il piccolo Yniold, e se si riposava lo faceva solo perché lo volevate voi... Ed ora... una bam­bina nella foresta... Ha tutto dimenticato... Cosa dobbiamo fare?

(Entra Pellade).

ARKËLE. Chi entra?

GENOVEFFA. È Pellade. Ha pianto.

ARKËLE. Sei tu, Pellade? Vieni un po' più vicino, che io ti veda nella luce..

PELLADE. Nonno, contemporaneamente alla let­tera di mio fratello, ne ho ricevuta un'altra del mio amico Marcello... È morente e mi chiama. Vorrebbe vedermi prima di morire...

ARKËLE. Vorresti partire prima del ritorno di tuo fratello? Il tuo amico è forse meno malato di quanto tu creda...

PELLADE. La sua lettera è così triste che vi si vede la morte tra le righe... Dice che sa esattamente il giorno in cui la fine deve venire... Mi dice che, se voglio, posso giungere prima di lei, ma non v'è tempo da perdere. Il viaggio è molto lungo e se attendo il ritorno di Golaud, sarà forse troppo tardi....

ARKËLE. Eppure bisognerebbe attendere un po­co... Noi non sappiamo quello che ci prepara questo ritorno. E ancora, tuo padre non è qui di sopra più ammalato forse del tuo amico?... Potrai tu scegliere tra il padre e l'amico?... (Esce).

GENOVEFFA. Da questa sera abbi cura di accen­dere la lampada, Pellade. (Escono separatamente).

SCENA QUARTA

INNANZI  AL  CASTELLO.

(Entrano Genoveffa e Melisenda).

MELISENDA. È oscuro, in giardino. E che grandi foreste  tutt'intorno  al palazzo!...

GENOVEFFA. Sì; meravigliava anche me quando sono giunta e meraviglia tutti. In certi punti non si vede mai il sole. Ma ci si abitua presto... È molto tempo... Sono quasi quarant’anni che vivo qui... Guardate dall'altra parte, vedrete il chia­rore del mare...

MELISENDA.  Sento  del  rumore  laggiù...

GENOVEFFA. Sì; è qualcuno che sale verso di noi... Ah! è Pellade. Sembra ancora stanco di avervi tanto attesi...

MELISENDA. Non ci ha viste.

GENOVEFFA. Credo ci abbia viste, ma non sa cosa fare... Pellade, Pellade, sei tu?

PELLADE. Sì! Andavo verso il mare...

GENOVEFFA. Anche noi; cercavamo la luce. Qui fa un po' più chiaro che altrove, eppure il mare è cupo...

PELLADE. Si scatenerà una tempesta, questa notte. Ne abbiamo sovente... Eppure il mare è così cal­mo, questa sera... Ci si imbarcherebbe senza sa­pere e non si tornerebbe  più...

MELISENDA. Qualche cosa esce dal  porto...

PELLADE. Deve essere una grande nave... Le luci stanno molto in alto, la vedremo tra poco quan­do entrerà nella zona della luce...

GENOVEFFA. Non so se potremo vederla... Vi è la nebbia sul mare.

PELLADE. Si direbbe che la nebbia si alzi len­tamente...

MELISENDA. Sì; scorgo, laggiù, una piccola luce che non avevo mai vista...

PELLADE. È  un faro; ve  ne sono altri che noi non vediamo ancora...

MELISENDA. La nave è nella luce... È già molto lontana...

PELLADE. È una nave straniera. Mi sembra più grande della nostra...

MELISENDA. È la nave che mi ha condotta qui!...

PELLADE. Si allontana a vele spiegate...

MELISENDA. È la nave che mi ha condotta qui... Ha le vele molto grandi... La riconosco dalle vele...

PELLADE. Avrà il mare cattivo, questa notte...

MELISENDA.   Perché se ne va?...   Non si vede quasi più... Naufragherà, forse.

PELLADE. La notte scende rapidamente..

(Un silenzio).

GENOVEFFA. Non parla più nessuno!... Non avete più nulla da dirvi?... è ora di rientrare, Pellade, insegna la strada a  Melisenda.  Bisogna che io vada a vedere un istante il piccolo Yniold.

(Esce).

PELLADE. Non si vede più nulla sul mare...

MELISENDA. Vedo delle altre luci.

PELLADE. Sono gli altri fari... Sentite il mare?... È il vento che lo sospinge... Scendiamo di qui. Volete darmi la mano?

MELISENDA. Guardate, guardate, ho le mani piene di foglie e di fiori...

PELLADE. Vi sosterrò per il braccio; il cammino è ripido! e fa oscuro. Io parto forse domani...

MELISENDA.   Oh! perché partite?

(Escono).


ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

UNA  FONTANA DEL PARCO.

(Entrano Pellade e Melisenda).

PELLADE. Non sapete dove vi ho condotta? Io vengo spesso a sedermi qui, verso mezzogiorno, quando fa troppo caldo nel giardino. Oggi si sof­foca anche all'ombra degli alberi.

MELISENDA.  Oh!  l'acqua  è  chiara...

PELLADE. È fresca come l'inverno. È una vecchia fontana abbandonala. Sembra fosse una fontana miracolosa — apriva gli occhi ai ciechi — si chiama ancora la « fontana dei ciechi ».

MELISENDA. Non apre più gli occhi?

PELLADE. Poiché anche il re stesso è quasi cie­co... non ci si viene più...

MELISENDA. Come si è soli qui... Non si ode nulla...

PELLADE. Vi è sempre un grande silenzio... Si sentirebbe l'acqua dormire... Volete sedervi sulla sponda della vasca di marmo? Vi è qui un tiglio attraverso il quale non è mai passato il sole...

MELISENDA. Mi coricherò sul marmo. Vorrei ve­dere il fondo dell'acqua...

PELLADE. Non si è mai visto. È profonda forse come il mare. Non si sa da dove venga. Viene forse dal centro della terra...

MELISENDA. Se nel fondo brillasse qualche cosa, lo si vedrebbe  forse...

PELLADE. Non sporgetevi così...

MELISENDA. Vorrei toccare l'acqua...

PELLADE. Guardate di non sdrucciolare... Vi terrò per una mano...

MELISENDA. No, no; vorrei intingervi le mie ma­ni...  Si direbbe che le mie mani siano malate, oggi...

PELLADE.  Oh! oh!  State attenta!  State attenta! Melisenda!...  Melisenda!...  Oh!  i vostri capelli...

MELISENDA. (rialzandosi). Non posso, non posso toccarla...

PELLADE. I vostri capelli hanno toccata l'acqua...

MELISENDA. Sì,  sì;  sono  più  lunghi  delle  mie braccia...  Sono più lunghi di me...

(Un silenzio).

PELLADE. E anche lui vi ha trovata vicino a una fontana?

MELISENDA. Sì...

PELLADE. Cosa vi ha detto?

MELISENDA. Nulla; non mi ricordo più.

PELLADE.  Era vicino a voi?

MELISENDA.  Sì; voleva baciarmi...

PELLADE.  E voi non volevate?

MELISENDA. No.

PELLADE. Perché non volevate?

MELISENDA.  Oh! oh!  ho visto passare qualche cosa nel fondo dell'acqua...

PELLADE.   Attenta! Attenta! Cadrete! Con cosa giuocate?...

MELISENDA. Con l'anello che egli mi ha dato...

PELLADE. State attenta; lo perderete...

MELISENDA.  No, no, sono sicura delle mie mani...

PELLADE. Non giuocate così, sopra un'acqua così profonda...

MEL1SENDA. Le mie mani non tremano...

PELLADE. Come brilla al sole! Non gettatelo così in alto verso il cielo...

MELISENDA.   Oh!...

PELLADE.  È  caduto?

MELISENDA. È caduto nell'acqua!...

PELLADE. Dov'è?

MELISENDA. Non lo vedo discendere...

PELLADE. Credo di vederlo brillare...

MELISENDA. Dov'è dunque?

PELLADE. Laggiù... laggiù...

MELISENDA. Oh! com'è lontano da noi! no, no. non è lui... È perduto... Non è più lui... Non vi è più che un gran cerchio sull'acqua... Cosa fac­ciamo? Cosa facciamo ora?

PELLADE. Non bisogna inquietarsi troppo per un anello. Non è nulla... lo ritroveremo, l'orse. O ne troveremo un altro.

MELISENDA. No, no; non lo ritroveremo più, non ne troveremo neppure degli altri... Credevo di averlo nelle mani e invece... Avevo chiuse le mani ed è caduto egualmente... L'ho gettato troppo in alto, dalla parte del sole...

PELLADE. Venite, venite, ritorneremo un altro giorno... venite, è ora. Potrebbero sorprenderci... Nel momento in cui l'anello cadeva suonava mez­zogiorno...

MELISENDA. Cosa diremo a Golaud se domanda dov'è?

PELLADE. La verità, la verità, la verità...

SCENA SECONDA

UNA  STANZA  DEL  CASTELLO.

(Si vede Golaud steso sul letto; Melisenda è al capezzale).

GOLAUD. Ah! Ah! tutto va bene, non sarà nulla. Ma non posso spiegarmi come sia avvenuto. Cac­ciavo nella foresta: improvvisamente, senza ra­gione, il cavallo si è spaventato. Ha forse visto qualche cosa di straordinario?... Avevo uditi i rin­tocchi del mezzogiorno; al dodicesimo tocco, im­provvisamente, si spaventa e corre come un cieco impazzito, contro un albero. Non ho sentito più nulla. Non so cosa sia avvenuto. Sono caduto, ed egli deve essere caduto su di me. Credevo di avere tutta la foresta sul petto; credevo di essermi schiacciato il cuore. Ma il mio cuore è sodo. Sem­bra che non sia nulla...

MELISENDA. Volete bere un po' d'acqua?

GOLAUD. Grazie, grazie; non h,o sete.

MELISENDA. Volete un altro cuscino?... V'è una macchiolina di sangue su questo...

GOLAUD. No, no: non vale la pena. Ho perso sangue dalla bocca.  Ne  perderò forse ancora...

MELISENDA. Siete ben sicuro?... Non soffrite troppo?

GOLAUD. No, no, ne ho viste ben altre. Sono fatto di ferro e di sangue... Non ho delle ossicine da fanciullo attorno al cuore, non t'inquietare...

MELISENDA. Chiudete gli occhi e guardate di dor­mire. Resterò qui tutta la notte...

GOLAUD. No, no; non voglio che tu ti affatichi così. Non ho bisogno di nulla; dormirò come un fanciullo... Cos'hai, Melisenda? Perché improv­visamente ti metti a piangere?...

MELISENDA (scoppiando in singhiozzi). Sono... Sono ammalata anch'io...

GOLAUD. Sei ammalata?... Cos'hai, dunque, Melisenda?

MELISENDA. Non so. Sono ammalala anch'io... Preferisco dirvelo oggi; mio signore, io non sono felice qui...

GOLAUD. Cos'è dunque successo, Melisenda? Cos'è... Io non dubitavo di nulla... Cos'è dun­que successo!... Qualcuno ti ha fatto del male? Qualcuno ti ha offesa?

MELISENDA. No, no; nessuno mi ha fatto il più piccolo male... Non è questo... Ma non posso più vivere qui. Non so perché... Vorrei andarmene, andarmene!... Io morirò se mi si lascia qui...

GOLAUD. Ma cosa è successo?... Tu devi nascon­dermi qualche cosa... Dimmi la verità, Melisenda... È il re?...  È  mia  madre?...   È Pellade?...

MELISENDA. No, no; non è Pellade. Non è nes­suno... Non potete comprendermi...

GOLAUD. Perché non comprenderei?... Se tu non mi dici nulla cosa vuoi che faccia?... Dimmi tutto e  comprenderò  tutto.

MELISENDA. Non so io stessa cosa è... se potessi dirlo, ve lo direi. È qualche cosa di più forte di me...

GOLAUD. Vediamo: sii ragionevole, Melisenda. Cosa vuoi che io faccia? Non sei più una fan­ciulla. Vuoi abbandonare me?

MELISENDA. Oh! No, no; non è questo... Vorrei andarmene con voi... È qui che non posso più vivere...  sento che  non vivrò più a lungo...

GOLAUD. Eppure occorre una ragione. Ti si cre­derà pazza. Si dirà che sono dei sogni di bam­bina. Via, è forse Pellade? Credo che non ti parli sovente...

MELISENDA. Sì, sì; mi parla qualche volta. Non ­mi ama, credo. L'ho visto negli occhi... Ma quan­do m'incontra mi parla...

GOLAUD. Non bisogna volergliene troppo. È sem­pre stato così. È un po' strano. E ora è triste: pensa al suo amico Marcello che sta per morire e che egli non può andare a trovare... Cam­bierà, vedrai, è giovane...

MELISENDA. Ma non è questo... Non è questo...

GOLAUD. Cos'è, dunque? Non puoi abituarti alla vita che conduci qui? È vero che questo castello è molto vecchio e molto oscuro... È molto freddo e molto profondo. E tutti quelli che l'abitano sono già vecchi. Anche la campagna sembra molto tri­ste, con tutte le sue foreste, tutte le sue vecchie  foreste senza luce. Ma si può render tutto gaio, se si vuole. E poi, la gioia non la si può avere tutti i giorni: bisogna prender le cose come sono. Ma dimmi qualche cosa; non importa cosa; farò tutto quello che vorrai...

MELISENDA. Sì, sì; è vero... non si vede mai il cielo sereno... L'ho visto per la prima volta questa mattina...

GOLAUD. È dunque questo che ti fa piangere, mia povera Melisenda? Non è che questo, dunque! Piangi per non vedere il cielo? Via, via, non hai più l'età per piangere di queste cose... E poi l'estate non è forse vicina? Vedrai il cielo tutti i giorni. E l'anno venturo... Via, dammi le tue pic­cole mani. (Le prende le mani). Oh! queste piccole mani che potrei schiacciare come dei fiori... Guarda, dov'è l'anello che ti avevo regalato?

MELISENDA. L'anello?

GOLAUD. Sì, l'anello di nozze.  Dovè?

MELISENDA. Credo... Credo sia caduto...

GOLAUD. Caduto?... Caduto dove? Non l'hai perduto?

MELISENDA.  No.  no:  è caduto... deve essere caduto... ma so dove...

GOLAUD.  Dov'è?

MELISENDA. Voi sapete... sapete bene... la grolla in riva al mare...

GOLAUD. Sì.

MELISENDA. Ebbene, è là... bisogna che sia là... Sì, sì; mi ricordo... vi sono andata questa mat­tina, per raccogliere delle conchiglie per il piccolo Yniold... ve ne erano di bellissime... Mi è sfug­gito dal dito... poi il mare è entrato; e ho dovuto uscire  prima  di  averlo ritrovato.

GOLAUD.   Sei sicura che sia là?

MELISENDA. Sì, sì; sicurissima... L'ho sentito sfuggire... poi ad un tratto il rumore delle onde...

GOLAUD. Bisogna subito andarlo a cercare.

MELISENDA.  Ora? Subito? Nell'oscurità?

GOLAUD. Sì, preferirei aver perduto tutto quello che posseggo piuttosto che aver perduto questo anello. Tu non sai cos'è. Tu non sai da dove viene. La marea sarà alta questa notte. Il mare verrà a prenderlo prima di te... affrettati. Biso­gna andarlo a cercare subito...

MELISENDA. Io non oso...  non oso andar sola...

GOLAUD. Va, va non importa con chi. Ma bisogna andarci subito, comprendimi. Affrettati, domanda a Pellade di venire con te.

MELISENDA. Pellade? Con Pellade? Ma Pellade non   vorrà...                       

GOLAUD. Pellade farà tutto quello che domande­rai. Conosco Pellade meglio di te. Va, va, affret­tati. Non dormirò prima di aver l'anello...

MELISENDA. Io non sono felice!... (Esce pian­gendo).

SCENA TERZA

DAVANTI   AD   UNA  GROTTA.

(Entrano   Pellade   e   Melisenda).

 

PELLADE (parlando con grande agitazione). Sì; è qui; ci siamo. È così oscuro che l'apertura della grotta non si distingue dal resto della notte... Non vi sono stelle da questa parte. Attendiamo che la luna laceri quella grande nube; rischiarerà la grotta e allora potremo entrare senza pericolo. Vi sono dei luoghi pericolosi e il sentiero è mollo difficile, corre tra due laghi di cui non si è an­cora trovalo il fondo. Non ho pensato di portare una torcia o una lanterna, ma la luce del ciclo ci aiuterà. Non siete mai entrata in questa grotta?

MELISENDA. No...

PELLADE. Entriamoci... Bisogna poter descrivere il luogo dove avete perduto l'anello, se v'interro­ga... È molto grande e molto bella. Vi sono delle stalattiti che rassomigliano ad alberi e a uomini. È ripiena di tenebre azzurre. Non la si è ancora esplorata sino al fondo. Vi sono nascosti, sembra, grandi tesori. Vedrete resti di vecchi naufragi. Ma non  bisogna  avventurarvisi  senza  guida.  Molti non sono ritornati. Io stesso non oso andar troppo innanzi. Ci arresteremo quando non vedremo più il chiarore del mare o del cielo. Quando vi si accen­de una piccola lampada, si direbbe che la volta è ricoperta di stelle, come il firmamento. Sono, si dice, frammenti di cristallo o di sole che brillano così nella roccia. Guardate, credo che il cielo si apra. Datemi la mano, non tremate, non tremate così, non v'è nessun pericolo; ci arresteremo su­bito quando non scorgeremo più il chiarore del mare... È il rumore della grotta che vi fa paura? É il rumore della notte o il rumore del silenzio... Sentite il mare dietro di noi? Non sembra con­tento,  questa sera...  Ah!  ecco il chiarore!...

(La  luna  rischiara  largamente  l'entrata  e  una parte delle tenebre della grotta; e si scorgono, a una certa profondità, tre  vecchi poveri coi capelli Manchi, seduti l'uno accanto all'altro, sostenendosi Ira di loro e addormentati contro un massiccio di roccia).

MELISENDA.  Ah!

PELLÀDEE.  Cosa  c'è?

MELISEENDA. C'è...  C'è...  (mostra i tre poveri).

PELLADE. Sì...  sì; li ho visti  anch'io...

MELISENDA. Andiamocene!... Andiamocene!...

PELLADE. Sì... sono tre vecchi poveri che si sono addormentati... Nel paese infierisce una grande carestia... Perché sono venuti a dormire qui?...

MELISENDA. Andiamocene!.. Venite, venite... An­diamocene!...

PELLADE. State attenta, non parlale così forte... Non svegliamoli... Dormono ancora profonda­mente... Venite.

MELISENDA. Lasciatemi, lasciatemi; preferisco camminar  sola...

PELLADE. Ritorneremo  un altro giorno...

(Escono).

SCENA QUARTA

UN APPARTAMENTO NEL CASTELLO.

(Si vedono Arkële e Pellade).

ARKËLE. Voi vedete che tutto vi trattiene qui e tutto v'interdice questo viaggio inutile. Vi si è na­scosto, sino a questa sera, il vero stato di vostro padre; ma egli è forse senza speranza; questo dovrebbe bastare ad arrestarvi sulla soglia. Ma vi sono tante altre ragioni... Non è nell'ora in cui i nostri nemici si risvegliano e in cui il popolo muore di fame e mormora attorno a noi, che voi avete il diritto di abbandonarci. E perché questo viaggio? Marcello è morto: la vita ha dei doveri più gravi della visita a una tomba. Siete stanco, voi dite, della vita inattiva; ma se l'atti-vità e il dovere si trovano per le strade, rara­mente si riconoscono nella fretta del viaggio. Val meglio attenderle sulla soglia e farle en­trare al momento in cui passano; ed esse pas­sano tutti i giorni. Non le avete mai viste? Io non vedo quasi più me stesso ma v'insegnerò a ve­dere, e ve le mostrerò il giorno in cui voi vorrete fare il cenno. Eppure ascoltatemi; se voi credete che questo viaggio vi sia imposto dal più pro­fondo della vostra vita, non vi proibisco di farlo, perché voi dovete conoscere, meglio di me, quali atti dovete offrire al vostro essere e al vostro de­stino. Io vi domando solamente di attendere che si sappia ciò che deve succedere tra poco...

PELLADE. Quanto tempo bisognerà attendere?

ARKËLE. Qualche settimana; forse qualche giorno.

PELLADE.  Attenderò.


ATTO TERZO

SCENA PRIMA

UN  APPARTAMENTO   NEL  CASTELLO.

(Si vedono Pellade e Melisenda. Melisenda fila la conocchia nel fondo della camera).

PELLADE. Yniold non ritorna; dove è andato?

MELISENDA. Aveva udito un rumore nel corri­doio; è andato a veder cos'è.

PELLADE.  Melisenda.

MELISENDA.  Cosa  c'è?

PELLADE. Ci vedete ancora  per lavorare?

MELISENDA. Lavoro benissimo anche nell'oscu­rità...

PELLADE. Credo che tutti già dormano nel ca­stello. Golaud non ritorna dalla caccia. Eppure è tardi...  Non soffre più per la caduta?...

MELISENDA. Ha detto che non soffre più.

PELLADE. Dovrebbe essere prudente; non ha più il corpo agile come a vent'anni... Dalla finestra vedo le stelle e il chiarore della luna sugli al­beri. È tardi; non tornerà più. (Si batte alla porta). Chi è?... Avanti!... (Il piccolo Yniold en­tra nella stanza). Sei tu che batti così?... Non è così che si batte alle porte. È come fosse suc­cessa una sventura; guarda, hai spaventata la tua mammina.

IL PICCOLO YNIOLD. Io ho battuto piano piano...

PELLADE. È tardi; il tuo papà non ritornerà più, questa sera; è tempo di andarti a coricare.

YNIOLD. Non andrò a coricarmi prima di voi.

PELLADE. Che? Cosa dici?

YNIOLD. Dico... non prima di voi... non prima di voi... (Scoppia in singhiozzi e va a rifugiarsi presso a Melisenda).

MELISENDA. Cosa c'è, Yniold? Cosa c'è?... per­ché scoppi improvvisamente in singhiozzi?

YNIOLD (singhiozzando). Perché... Oh! oh! Per­ché...

MELISENDA. Perché?... Perché?...  Dimmelo...

YNIOLD.  Mammina...  Mammina...  Voi  partite...

MELISENDA. Cosa ti prende, Yniold?... Non ho mai pensato di partire...

YNIOLD. Sì, sì; papà è partito... papà non ritorna, e anche voi partite... L'ho visto... l'ho visto...

MELISENDA. Ma non s'è mai parlato di questo, Yniold... Da cosa hai saputo che dovevo partire?

YNIOLD. Ho visto... Ho visto... avete detto allo zio delle cose che io non potevo capire...

PELLADE. Ha sonno... Ha sognato... Vieni qui, Yniold, tu dormi in piedi... Vieni a vedere alla fi­nestra;  i  cigni si battono  coi cani...

YNIOLD (alla finestra). Oh! Oh! I cigni cacciano via i cani! Li cacciano!... Oh! oh! l'acqua!... le ali!... le ali!... Hanno paura...

PELLADE (ritornando vicino a Melisenda). Ha sonno; lotta contro il sonno e i suoi occhi si chiudono...

MELISENDA   (filando, canta a mezza voce):

San Daniele e San Michele

San Michele e San Raffaele...

YNIOLD  (alla  finestra). Oh! Oh! Mammina!...

MEL1SENDA (alzandosi bruscamente). Cosa c'è, Yniold?... Cosa c'è?

YNIOLD. Ho visto qualche cosa dalla finestra...

(Pellade e Melisenda corrono alla finestra).

PELLADE. Ma non c'è nulla. Non vedo nulla...

MELISENDA. Io neppure...

PELLADE. Dove hai visto qualche cosa? da quale  parte?...

YNIOLD.  Laggiù, laggiù!... Non  c'è  più...

PELLADE. Non sa quello che si dice. Avrà visto il chiarore della luna sulla foresta. Ha sovente degli strani riflessi... oppure sarà passato qualche cosa sulla strada... o nel suo sonno. Perché guardate? guardatelo, credo che si addormenti del tutto...

YNIOLD (alla finestra). Papà è là! Papà è là!...

PELLADE (andando alla finestra). Ha ragione; Golaud entra  nel cortile...

YNIOLD. Papà!... Papà!... Vado ad incontrarlo. (Esce correndo). 

(Un  silenzio).

PELLADE. Salgono le scale,

(Entrano Golaud e  il  piccolo  Yniold che porta una   lampada).

GOLAUD.  Attendete  ancora  nell'oscurità?

YNIOLD. Ho portata la luce, mammina, una gran­de luce!... (Alza la lampada e guarda Melisenda). Hai pianto, mammina? Hai pianto?...

(Alza la lampada verso Pellade e lo guarda a sua volta). Anche voi avete pianto?... Babbo, guarda, babbo; hanno  pianto  tutti e  due...

GOLAUD. Non metter loro la luce così sotto gli occhi...

SCENA SECONDA

UNA TORRE DEL CASTELLO. —

UN BAL­LATOIO PER LA RONDA CORRE SOTTO LA FINESTRA DELLA TORRE.

(Melisenda sta alla finestra, mentre pettina i suoi capelli sciolti).

MELISENDA.

Le tre  sorelle cieche.

(Speriamo ancora)

Le tre  sorelle cieche

Hanno le lampade d'oro.

Salgono alla torre,

(Esse voi e noi)

Salgono alla torre

E attendono sette giorni.

Ah! dice la prima,

(Speriamo ancora)

Ah! dice la  prima

Io sento la nostra luce.

Ah! dice la seconda

(Esse, voi e noi)

Ah! dice la seconda

È il re che sale.

No, dice la più santa,

(Speriamo ancora)

No, dice la più santa,

Le lampade si sono spente...

(Entra Pellade per il ballatoio).

PELLADE.  Olà! Olà! Oh!

MELISENDA.  Chi è?

PELLADE. Io, io, e io!... Cosa fai alla finestra cantando come un uccello che non è di questi luoghi?

MELISENDA. Accomodo i miei capelli per la notte.

PELLADE. È dunque il riflesso dei tuoi capelli?... Io credevo fosse un raggio di luce...

MELISENDA. Ho aperta la finestra; la notte mi sembrava bella...

PELLADE. Le stelle sono innumerevoli, non ne ho mai viste tante come questa sera... La luna, è ancora sul mare... Non restare nell'ombra, Melisenda, sporgiti un poco, che io veda i tuoi ca­pelli sciolti. (Melisenda si sporge dalla finestra).

PELLADE. Oh! Melisenda!... Oh! tu sei bella!... Sei così bella!... Sporgiti! sporgiti! lascia che mi avvicini più a te...

MELISENDA. Non posso avvicinarmi di più... Mi sporgo più che posso...

PELLADE. Non posso salire di più... Dammi al­meno la mano questa sera... prima che me ne vada...  Parto domani...

MELISENDA. No, no, no...

PELLADE. Sì, sì; parto, partirò domani... dammi la mano, la tua piccola mano sulle labbra...

MELISENDA. Io non ti dò la mano se parli...

PELLADE. Dammela, dammela...

MELISENDA. Non partirai?... Vedo una rosa nelle tenebre...

PELLADE. Dove?... Non vedo che i rami del sa­lice che sorpassa il muro...

MELISENDA. Più in basso, più in basso, nel giar­dino, laggiù, nel  verde cupo...

PELLADE. Non è una rosa... Andrò a vedere poi, ma dammi prima la mano...

MELISENDA. Ecco, ecco... non posso sporgermi di  più...

PELLADE. Le mie labbra non possono raggiunge­re la tua mano...

MELISENDA. Non posso sporgermi di più... Sto per cadere... Oh! oh! i miei capelli discendono dalla Torre!...

(I suoi capelli si sciolgono improvvisamente, mentre si sporge in fuori, e inondano Pellade).

PELLADE. Oh! oh! cos'è?... I tuoi capelli, i tuoi capelli discendono verso di me!... Tutta la tua chioma, Melisenda, tutta la tua chioma è caduta dalla torre! Io la stringo nelle mani, io la tocco colle labbra... io la stringo nelle braccia, la rav­volgo attorno al mio collo... Non aprirò più le mani  per  tutta  la  notte...

MELISENDA. Lasciami! Lasciami!... Mi fai cadere!...

PELLADE. No, no, no... Non ho mai visti dei ca­pelli come i tuoi, Melisenda!... Vedi, vedi; giun­gono da tale altezza e m'inondano sino al cuo­re... Sono tepidi e dolci come cadessero dal cie-lo!... Io non vedo più il cielo attraverso i tuoi ca­pelli e la loro luce bella mi nasconde la sua lu­ce!... Guarda, guarda, dunque, le mie mani non possono più contenerli... Mi sfuggono, mi sfug­gono sino ai rami del salice... Sfuggono da ogni parte... Trasaliscono, s'agitano, palpitano nelle mie mani come uccelli d'oro: e mi amano, mi amano mille volte più di te!

MELISENDA. Lasciami, lasciami, qualcuno po­trebbe giungere...

PELLADE. No, no, no; non ti lascio, questa notte; tu sei la mia prigioniera questa notte, tutta la notte, tutta la notte!...

MELISENDA.   Pellade! Pellade!

PELLADE. Non te ne andrai più... Io ti bacio tut­ta baciando i tuoi capelli, io non soffro più tra le loro fiamme... Senti i miei baci?... Essi s'innal­zano lungo le mille reti d'oro... Bisognerà che ciascuno di essi te ne porti un migliaio; e che con­servi altrettanti per baciarli ancora quando non ci sarò più... Guarda, guarda, posso aprire le ma­ni... Guarda, ho le mani libere e non puoi allon­tanarti...

(Due colombe escono dalla torre e volano attor­no a loro nella notte).

MELISENDA. Pellade, cosa c'è? Chi vola attorno a me?

PELLADE. Sono le colombe che escono dalla tor­re... Le ho spaventale; volano via..

MELISENDA. Sono le mie colombe, Pellade. An­diamo, lasciami; non ritorneranno più...

PELLADE. Perché non torneranno più?

MELISENDA. Si perderanno nell'oscurità... La­sciami rialzare il capo... Sento rumore di passi... Lasciami!... È Golaud!... Credo sia Golaud!... ci ha sentiti...

PELLADE. Aspetta! Aspetta!... I tuoi capelli sono avvinti ai rami... Aspetta, aspetta!... È oscuro...

(Entra Golaud dal ballatoio).

GOLAUD. Cosa fate qui?

PELLADE. Cosa faccio qui... Io...

GOLAUD. Siete due fanciulli... Melisenda, non sporgerti così dalla finestra, cadrai... Non sapete che è tardi? È quasi mezzanotte. Non giuocate così nell'oscurità... (Ridendo nervosamente). Che ragazzi!... Che ragazzi!...

SCENA TERZA

I SOTTERRANEI DEL CASTELLO.

(Entrano  Golaud  e  Pellade).

GOLAUD. Attento; di qui, di qui. Non siete mai venuto in questi sotterranei?

PELLADE. Sì, una volta, nei passati tempi; ma è così lontano quel tempo...

GOLAUD. Sono immensi; è una sequela di grandi grotte che non si sa dove finiscono. Tutto il ca­stello è costruito su queste grotte. Sentite l'odore mortale che regna qui? È questo che io volevo farvi osservare. Secondo me, proviene dal piccolo lago sotterraneo che vi farò vedere. State atten­to; camminate innanzi a me, nella luce della lan­terna. Vi avvertirò quando saremo giunti. (Conti­nuano a camminare in silenzio). Eh! eh! Pella­de! Arrestatevi! Arrestatevi! (Lo afferra per un braccio). Per Dio!... Ma non vedete? Un passo di più ed eravate nell'abisso!...

PELLADE. Ma non ci vedevo!... La lanterna non mi rischiara più...                      

GOLAUD. Ho fatto un passo falso... Ma se non vi trattenevo per il braccio... Ecco l'acqua stagnan­te di cui vi parlavo... Sentite l'odore di morto che sale? Andiamo sino in fondo a questa roccia che strapiomba e sporgetevi un poco, il lezzo vi col­pirà in pieno viso.

PELLADE. Lo sento già... Si direbbe un odore di tomba.

GOLAUD. Più lontano, più lontano... È questo che, in certi giorni, ammorba il castello. Il re non vuol credere che provenga di qui. Bisognerà far mura­re la grotta là dove comincia quest'acqua morta. E ancora, sarebbe alfin tempo di esaminare que­sto sotterraneo. Avete osservato le lucertole sul muro e sui pilastri? Vi è qui tutto un lavorio se­greto che non si suppone neppure; e tutto il ca­stello sprofonderà una di queste notti, se non si rimedia. Ma cosa volete? nessuno ama discen­dere sino a qui... In molti muri vi sono delle strane lucertole... Oh! ecco... Sentite l'odor di morto che si leva?

PELLADE.  Sì, un odore di morto si leva tutt'attorno a noi...

GOLAUD. Sporgetevi, non abbiate paura... Vi ter­rò io... datemi... no, no, non la mano... potrebbe sfuggire... il braccio, il braccio... Vedete l'abis­so?  (Turbato).   Pellade?  Pellade?...

PELLADE. Sì, credo di vedere il fondo dell'abis­so... È la luce che trema così?... Voi... (Si rad­drizza, si volge, guarda  Golaud).

GOLAUD. (con voce tremante). Sì, è la lanterna... Guardate,   l'agitavo per rischiarare le pareti...

PELLADE. Io soffoco qui... usciamo.

GOLAUD.  Sì;  usciamo...

(Escono in silenzio).

SCENA QUARTA

UNA TERRAZZA ALL'USCITA DEI SOTTER­RANEI.

PELLADE. Ah! alla fine respiro!... Per un istan­te ho creduto di sentirmi male in queste enormi grotte; fui sul punto di cadere... Là dentro vi è un'aria pesante come una rugiada di piombo, e le tenebre spesse come una pasta avvelenata... E ora, l'aria di tutto il mare!... Sulle ondate sme­raldine, spira un vento fresco, fresco come una foglia appena sbocciata... Guardate! Hanno in­naffiati i fiori ai piedi delle terrazze, ed il profumo del verde e delle rose bagnale s'innalza sino a noi... Deve esser quasi mezzodì, sono già nell'om­bra della torre... È mezzodì; sento suonare le campane e i fanciulli discendono sulla spiaggia per bagnarsi... Non sapevo che eravamo rimasti tanto tempo nelle cantine...

GOLAUD.  Vi  siamo  discesi  verso  le  undici...

PELLADE.  Più presto; doveva essere più presto; ho inteso suonar le dieci e mezzo.        

GOLAUD. Le dieci e mezzo o le undici meno un quarto...

PELLADE. Hanno aperte tutte le finestre del ca­stello. Farà molto caldo dopo mezzogiorno... Guardate,  nostra madre  e  Melisenda a una fi­nestra della torre...

GOLAUD. Sì, si sono rifugiate dalla parte dell'ombra... A proposito di Melisenda, ho sentito ciò che è successo e ciò che si è detto ieri a sera. Lo so bene; sono giuochi da ragazzo; ma non bisogna che si ripetano. Melisenda è molto gio­vane, è molto impressionabile, e bisogna curarla, sopratutto ora perché può essere incinta... E molto delicata, appena donna, e la più piccola emozione potrebbe tradursi in una sventura. Non è la prima volta che osservo che potrebbe es­servi qualche cosa tra voi... voi siete più vec­chio di lei; basterà avervelo detto... Evitatela quanto è possibile, ma senza affettazione. Cosa c'è laggiù sulla strada dalla parte della foresta?

PELLADE. Sono delle pecore che conducono alla città...

GOLAUD. Piangono come fanciulli  perduti; si di­rebbe che sentano già il macellaio. - Che bella giornata! Che meravigliosa giornata per la raccolta!...

(Escono).

SCENA QUINTA

INNANZI  AL  CASTELLO.

(Entrano Golaud, e il piccolo Yniold).

GOLAUD. Vieni, sediamoci qui, Yniold; vieni sulle mie ginocchia; vedremo di qui ciò che succede nella foresta. Io non ti vedo più da qualche tempo. Anche tu mi abbandoni; sei sempre vicino a Mammina... Guarda, siamo proprio sotto alla sua finestra. Forse sta dicendo la sua preghiera della sera, in questo momento... Ma, dimmi, Yniold, mammina sta sovente con tuo zio Pellade, non è vero?

YNIOLD.  Sì,  sì;  sempre, babbo:  quando voi non ci siete, babbo...

GOLAUD. Ah! Qualcuno passa nel giardino con la lanterna. Ma mi si è detto che non si voglion bene... Sembra che si bisticcino spesso... no? è vero?

YNIOLD. Sì, è vero.

GOLAUD.  Sì? Ah! Ah! Ma  a  proposito di  che si bisticciano?

YNIOLD.  A proposito della porta.

GOLAUD. Come? A proposito della porta? Cosa mi racconti? Via, spiegati; perché si bisticciano a proposito della porta?

YNIOLD. Perché non vogliono che sia aperta. G

OLAUD. Chi non vuole che sia aperta? Via, per­ché si bisticciano?

YNIOLD. Io non so. babbo, a proposito della luce.

GOLAUD. Non ti parlo della luce; ne parleremo poi. Ti parlo della porta. Rispondi a quello che ti domando; devi imparare a parlare; è ormai tempo... Non mettere così la mano sulla bocca...

YNIOLD.   Babbo! babbo!... Non lo farò più... (Piange).

GOLAUD.   Via; perché piangi? Cosa succede?

YNIOLD.  Oh! Oh! babbo,  mi avete fatto male...

GOLAUD.   Ti ho fatto male?   Dove ti ho fatto male?  L'ho fatto senza volerlo...

YNIOLD. Qui, al braccino...

GOLAUD. L'ho fatto senza volerlo; via, non pian­gere più; ti darò qualche cosa domani...

YNIOLD.  Cosa, babbo?

GOLAUD. Una faretra e delle frecce; ma dimmi ciò che tu sai a proposito della porta.

YNIOLD.  Delle grandi frecce?

GOLAUD. Sì, sì, delle grandi frecce. Ma perché non vogliono che la porta sia aperta? Via, rispon­di alla fine! no, no; non aprir la bocca per pian­gere. Non sono in collera. Dobbiamo parlare tranquillamente come Pellade e mammina quando sono assieme. Di cosa parlano quando sono as­sieme?

YNIOLD. Pellade e mammina?

GOLAUD.  Sì;  di cosa parlano?

YNIOLD.  Di me; sempre di me.

GOLAUD. E cosa dicono di te?

YNIOLD. Dicono che diverrò molto grande.

GOLAUD. Ah! miseria della vita!... Io sono qui come un cieco che cerca un tesoro in fondo all'o­ceano!... Io sono qui come un neonato perduto nella foresta e voi... Ma via, Yniold, ero di­stratto; parliamo seriamente. Pellade e mammina non parlano mai di me quando io non ci sono?...

YNIOLD. Sì, sì, babbo; parlano sempre di voi.

GOLAUD.   Ah!... E cosa dicono di me?

YNIOLD. Dicono che anch'io diventerò grande co­me voi.

GOLAUD. Sei sempre vicino a loro?

YNIOLD   Sì,  sì;  sempre, sempre, babbo.

GOLAUD. Non ti dicono mai di andare a giuocare altrove?

YNIOLD. No, babbo; hanno paura quando io non sono con loro.

GOLAUD. Hanno paura?... Da cosa vedi che han­no paura?

YNIOLD. Mammina dice sempre: non andartene, non andartene... sono infelici, ma ridono...

GOLAUD. Ma questo non prova che abbiano paura.

YNIOLD.   Sì, sì,   babbo; ha paura.

GOLAUD.  Perché dici che ha paura?

YNIOLD.   Piangono sempre nell'oscurità.

GOLAUD.  Ah!  Ah!...

YNIOLD. Questo fa anche piangere...

GOLAUD. Sì, sì...

YNIOLD. È pallida, babbo.

GOLAUD. Ah! Ah!... Pazienza, mio Dio, pa­zienza!...

YNIOLD. Cosa, babbo?

GOLAUD. Nulla, nulla, bambino. Ho visto passare un lupo nella foresta. Allora se l'intendono? Sono contento di sapere che vanno d'accordo. Si ab­bracciano, qualche volta? No?

YNIOLD. Se si abbracciano, babbo? No, no. Ah! sì, babbo, sì, sì; una volta... una volta che pioveva...

GOLAUD. Si sono abbracciati? Ma come, come si sono  abbracciati?

YNIOLD. Così, babbo, così!... (Gli dà un bacio sul­la bocca; ridendo). Ah! Ah! la vostra barba, babbo! Punge! Punge! Diventa tutta grigia, babbo, e i vostri capelli anche: tutto grigio, tutto grigio... (La finestra sotto la quale si sono seduti, s'illu­mina in quel momento e la luce cade su di loro). Ah! Ah! mammina ha accesa la lampada, fa chiaro, babbo, fa chiaro.

GOLAUD.  Sì; comincia  a far chiaro...

YNIOLD. Andiamo anche noi, babbo...

GOLAUD. Dove vuoi andare?

YNIOLD. Dov'è chiaro, babbo.

GOLAUD. No, no, bambino, restiamo ancora nel­l'ombra... non si sa, non si sa ancora... Vedi lag­giù quei poveri che tentano di accendere un piccolo fuoco nella foresta? È piovuto. E dall'al­tra parte, vedi il vecchio giardiniere che pro­va di sollevare quell'albero che il vento ha gettalo attraverso il cammino? Non può; l'albero è troppo grande; l'albero è troppo pesante, e re­sterà dalla parte dov'è cascato. Egli non ha nulla a che vedere con tutto questo... Io credo che Pellade sia pazzo...

YNIOLD. No, babbo, non è pazzo, ma è molto buono.

GOLAUD. Vuoi vedere mammina?

YNIOLD. Sì,  sì;  voglio vederla!

GOLAUD. Non far rumore; io ti innalzerò fino alla finestra. È troppo alta per me, benché io sia molto grande... (Solleva il fanciullo). Non fare il minor rumore; mammina si spaventerebbe troppo...  La vedi?  È nella camera?

YNIOLD.  Sì... Oh! è chiaro!

GOLAUD.  È  sola?

YNIOLD. Sì...  no, no; vi è pure mio zio Pellade.

GOLAUD.  Lui!...

YNIOLD. Ah! Ah!  babbo!  mi avete fatto male!...

GOLAUD. Non è nulla; taci: non te lo farò più! guarda, guarda, Yniold!... Ho incespicato; parla più piano; cosa fanno?

YNIOLD. Non fanno nulla, babbo; attendono qual­che cosa.

GOLAUD. Sono vicini l'uno all'altro?

YNIOLD. No, babbo.

GOLAUD. E...  E  il letto? Sono vicini al letto?

YNIOLD.  Il letto, babbo?  Non vedo il letto.

GOLAUD. Più piano, più piano; ti sentirebbero. Parlano?

YNIOLD. No, babbo; non parlano.

GOLAUD. Ma cosa fanno? Bisogna che facciano qualche   cosa...

YNIOLD.   Guardano la luce.

GOLAUD. Entrambi?

YNIOLD, Sì, babbo.

GOLAUD.   Non dicono nulla?

YNIOLD.  No, babbo, non chiudono gli occhi.

GOLAUD. Non si avvicinano l'uno all'altro?

YNIOLD. No, babbo; non si muovono.

GOLAUD. Sono seduti?

YNIOLD. No, babbo, sono in piedi contro il muro.

GOLAUD. Non fanno dei gesti? Non si guardano? Non fanno dei segni?...

YNIOLD. No, babbo. Oh! Oh! babbo, non chiudo­no mai gli occhi... Ho una grande paura...

GOLAUD. Taci, non si muovono ancora?

YNIOLD. No, babbo. Ho paura, babbo, lasciatemi scendere!

GOLAUD.   Di  cosa  hai  dunque  paura?  Guarda! guarda!

YNIOLD. Non oso più guardare, babbo!... Lascia­temi discendere!...

GOLAUD. Guarda! Guarda!

YNIOLD.  Oh!  Oh! grido, babbo!  Lasciatemi di­scendere! Lasciatemi discendere!...

GOLAUD.  Vieni,  andiamo  a  vedere  cosa  è suc­cesso.

(Escono).


ATTO QUARTO

SCENA PRIMA

UN CORRIDOIO DEL CASTELLO.

(Entrano incontrandosi  Pellade e Melisenda).

PELLADE. Dove vai? Bisogna ch'io ti parli questa sera. Ti vedrò?

MELISENDA. Sì.

PELLADE. Esco dalla camera di mio padre. Sta meglio. Il medico ci ha detto che è salvo... Ep­pure, questa mattina, avevo il presentimento che questa giornata finirebbe male. Ho da qualche tempo uno strano rumore di sventura nelle orec­chie... Poi, poi vi fu improvvisamente un volta­faccia, non è questione che di tempo. Si sono aperte tutte le finestre della sua camera. Parla; sembra contento. Non parla ancora come ogni uomo, ma già le sue idee non vengono tutte dall'altro mondo... Mi ha riconosciuto. Mi ha presa la mano e mi ha detto con quell'aria strana che ha dacché è ammalato: «Sei tu, Pellade? Guarda, guarda, non avevo mai osservato, ma tu hai il viso grave e cordiale di quelli che non vivranno lungamente... Bisogna viaggiare, bisogna viaggia­re...» È strano; gli ubbidirò... Mia madre l'a­scoltava e piangeva di gioia. Non te ne sei accorta? Tutta la casa sembra rivivere, si ode re­spirare, si ode parlare, si ode camminare... Ascolta; odo parlare dietro questa porta. Presto, presto, rispondi, dove ti vedrò?

MELISENDA.   Dove  vuoi?

PELLADE. Nel parco; vicino alla fontana dei ciechi.  Vuoi? Verrai?

MELISENDA. Sì.

PELLADE. Sarà l'ultima sera; io viaggerò come mio padre ha detto. Tu non mi vedrai più...

MELISENDA. Non dire così, Pellade... Io ti vedrò sempre; ti guarderò sempre...

PELLADE. Avrai un bel guardare... Io sarò così lontano che non potrai più vedermi... Proverò di andar molto lontano... Sono pieno di gioia, ep­pure si direbbe che ho tutto il peso del ciclo e della terra sul capo.

MELISENDA. Cosa è successo Pellade? Non com­prendo più quel che dici...

PELLADE.   Vattene, vattene, separiamoci. Sento parlare dietro alla porta... sono gli stranieri arri­vati al castello questa mattina...  stanno per uscire. Andiamocene; sono gli stranieri...

(Escono separatamente).

SCENA SECONDA

UN APPARTAMENTO NEL CASTELLO.

(Si  vedono Arkële  e Melisenda).

ARKËLE. Ora che il padre di Pellade è salvo, e che la malattia, la vecchia serva della morte, ha lasciato il castello, un po' di gioia e un po' di sole entreranno alla fine nella casa... Era tempo! Per­ché dopo la tua venuta, si è vissuti qui bisbigliando attorno a una camera chiusa... E veramente, ave­vo pietà di te, Melisenda... Tu arrivasti qui, tutta contenta, come una fanciulla alla ricerca della festa, e al momento in cui tu entravi nel vestibolo, t'ho vista cambiar di fisionomia - e probabilmente di anima - come si cambia di fisionomia, mal­grado se stessi, quando si entra a mezzogiorno in una grotta troppo oscura e troppo fredda... E poi, per causa di tutto questo, spesso, non compren­devo più... Ti osservavo, tu eri là, noncurante forse, ma con quell'aria strana e smarrita di qualcuno che attende sempre una grande sven­tura... Non posso spiegare... Ma ero triste di ve­derti così; perché sei troppo giovane e troppo bella per vivere giorno e notte sotto l'alito della morte... Ma ora tutto si cambierà. Alla mia età - ed è forse questo il frutto più sicuro della mia vita - alla mia età ho acquistata non so quale fede alla fedeltà degli avvenimenti, ed ho sempre visto che ogni essere giovine e bello, creava at­torno a sé degli avvenimenti giovani, belli e feli­ci... Sei tu, ora, che aprirai la porta dell'era nuo­va che intravedo... Vieni qui; perché resti costà senza rispondere e senza levare gli occhi? Non t'ho abbracciata che una volta, il giorno della tua ve­nuta; eppure, i vecchi hanno bisogno di toccare qualche volta colle loro labbra, la fronte di una donna o la guancia di un fanciullo, per credere ancora alla freschezza della vita e per allonta­nare un momento la minaccia della morte. Hai paura di queste mie vecchie labbra? Come avevo pietà di te in questo mese!...

MELISENDA.  Nonno,  io  non  ero infelice...

ARKËLE. Forse tu eri di quelle che sono infelici senza saperlo... Lasciati guardare così, da vicino, un  istante....  Si  prova  un  così  grande bisogno di bellezza  vicino  alla morte...

(Entra Golaud).

GOLAUD.   Pellade parte questa sera.

ARKËLE. Hai del sangue sulla fronte. Cosa hai fatto?                                                               

GOLAUD. Nulla, nulla... Sono passato attraverso una siepe di spine...

MELISENDA. Abbassate un poco il capo, Signo­re... Asciugherò la vostra fronte...

GOLAUD. (respingendola). Non voglio che tu mi tocchi, intendi? Vattene, vattene! Io non ti parlo. Dov'è la mia spada? Venivo a cercare la mia spada...

MELISENDA.   Qui, sull'inginocchiatoio.

GOLAUD. Portamela. (Ad Arkële). Si è trovato ancora un contadino morto di fame, lungo il mare. Si direbbe che amano tutti di morire sotto i nostri occhi. (A Melisenda). Ebbene, la mia spada? Per­ché tremate così? Non vi uccido. Volevo sempli­cemente esaminare la lama. Non uso la spada per certe cose. Perché mi guardate come un povero? Non vengo a domandarvi la carità. Sperate di ve­dere qualche cosa nei miei occhi, senza ch'io ve­da qualche cosa nei vostri? (Ad Arkële). Vedete questi grandi occhi? Si direbbe che siano fieri di esser puri... Vorreste dirmi quello che ci vedete?...

ARKËLE.  Non  vedo che una grande  innocenza...

GOLAUD. Una grande innocenza!... Sono più gran­di dell'innocenza!... Sono più puri degli occhi di un agnello... Darebbero a Dio delle lezioni di in­nocenza! Una grande innocenza! Ascoltate: io sono così vicino a loro che ne sento la freschezza delle ciglia quando s'abbassano; oppure, io sono meno lontano dai grandi segreti dell'altro mondo che dal più piccolo segreto di questi occhi!... Una grande innocenza! Si direbbe che gli angeli del cielo vi si bagnino tutti i giorni come nell'acqua chiara delle montagne!... Li conosco questi occhi! Li ho visti all'opera! Chiudeteli! Chiudeteli! o io li chiuderò per sempre!... Non mettete così la mano destra al seno; dico una cosa molto semplice... Non ho secondi fini... Se avessi secondi fini, per­ché non li svelerei? Ah! Ah! non tentate di fug­gire.  Qui!   Datemi  questa mano!  Ah! le vostre mani sono troppo calde... Andatevene! la vostra carne mi fa schifo!... Qui! Non si tratta più di fuggire ora! (L'afferra per i capelli). Voi mi se­guirete  ginocchioni.  In  ginocchio.  In  ginocchio davanti a me! Ah! Ah! i vostri lunghi capelli servono alla fine a qualche cosa!... A destra, poi a sinistra! A sinistra, poi a destra! Assalonne! Assalonne! Avanti! indietro! sino a terra! sino a terra!... Vedete, vedete; rido già come un vecchio!...

ARKËLE (accorrendo). Golaud!

GOLAUD (affettando una calma improvvisa). Fa­rete come vi piacerà, vedete. Io non do nessuna importanza a questo. Sono troppo vecchio; e poi, non sono una spia. Attenderò il caso; e allora... Oh! allora!... Semplicemente perché è l'uso; sem­plicemente perché è l'uso!... (Esce).

ARKËLE.  Cos'ha dunque?  È  ubriaco?

MELISENDA (in lacrime). No, no; ma non mi ama più... Non sono felice... non sono felice!...

ARKËLE.  Se fossi Dio, io avrei pietà del cuore degli uomini...

SCENA TERZA

UNA TERRAZZA DEL CASTELLO.

(Si vede il piccolo Yniold che lenta di sollevare un blocco di pietra).

IL PICCOLO YNIOLD.  Oh! come è pesante que­sta pietra!... È più pesante di me... Èpiù pesante di tutto... Vedo la mia palla d'oro tra la roccia e questa cattiva pietra, e non posso raggiungerla... il mio braccio non è abbastanza lungo... e questa pietra non può essere sollevata...  io non posso sollevarla... e nessuno potrà sollevarla. È più pe-sante di tutta la casa... Si direbbe che ha le radici nella terra... (Si odon in lontananza i belati di un gregge). Oh! Oh! Odo piangere le pecore... (Va a  vedere al parapetto della  terrazza).  Guarda! non vi è più il sole...Giungono i piccoli agnelli: vengono... Quanti ve ne sono!... Hanno paura del nero... si pigiano!... Non possono quasi più cam­minare...  Piangono! Piangono! e vanno rapida­mente...  sono già al bivio. Ah! Ah! Non sanno più dove bisogna andare... Non piangono più... Attendono... Alcuni vorrebbero andare a destra... Vorrebbero tutti andare a destra... non possono!... Il pastore getta loro della terra... Ah! Ah! pas­seranno di qui... Obbediscono! Obbediscono! Pas­seranno sotto la terrazza...  Passeranno sotto le rocce... Le vedrò da vicino... Oh! Oh! quante ve ne sono! Quante!... Tutta la strada è piena... Ora tacciono tutte... Pastore! Pastore! perché non be­lano più?...

IL PASTORE (che non si vede).  Perché non è la strada dell'ovile...

YNIOLD. Dove vanno? Pastore! Pastore! Dove vanno? Non mi sente più. Sono già troppo lon­tane... Vanno lente... Non l'anno più rumore... Non è più la strada dell'ovile... dove dormiranno questa sera? Oh! Oh! lì oscuro... Vado a dire qualche cosa a qualcuno... (Esce).

SCENA QUARTA

UNA  FONTANA NEL  PARCO.

(Entra   Pellade).

PELLADE. È l'ultima sera... l'ultima sera... Biso­gna che tutto finisca... Ho giocato come un fan­ciullo attorno a una cosa che non sospettavo... Ho giocato in sogno attorno ai tranelli del destino... Chi mi ha svegliato improvvisamente? Fuggirò gridando di gioia e di dolore come un cieco che fugge l'incendio della sua casa... Le dirò che fuggo... Mio padre è fuori di pericolo; e non ho più di che mentire a me stesso... È tardi; lei non vie­ne... Farei meglio ad andarmene senza rivederla... Bisogna che la guardi bene questa volta... Vi son delle linee che non ricordo più... si direbbe, in certi momenti, che sono più di cento anni che non l'ho riveduta... E io non ho ancora guardato il suo sguardo... Non mi resta nulla se me ne vado così. E tutti questi ricordi... è come portassi via un po' d'acqua in un sacco di stoffa... Bisogna che io la veda un'ultima volta, sino al fondo del cuore... bisogna che le dica tutto ciò che non le ho ancora detto...

(Entra Melisenda).

MELISENDA. Pellade!

PELLADE. Melisenda! Sei tu, Melisenda?

MELISENDA. Sì.

PELLADE. Vieni qui; non restare all'estremità del chiaro di luna. Vieni qui. Abbiamo tante cose da dirci...  Vieni qui nell'ombra del tiglio.

MELISENDA. Lasciami nella luce...

PELLADE.   Ci si potrebbe vedere dalle finestre della torre. Vieni qui; qui, non abbiamo nulla da temere. Guarda; potrebbero vederci...

MELISENDA.  Voglio che mi si veda...

PELLADE. Cos'hai dunque? Hai potuto uscire senza che se ne sia accorto?

MEL1SENDA. Sì; vostro fratello dormiva...

PELLADE. È tardi. Tra un'ora si chiuderanno le porte. Bisogna aver cura. Perché sei venuta così tardi?

MELISENDA. Vostro fratello aveva fatto un cat­tivo sogno. E poi la mia veste s'è attaccata ai chiodi della porta. Guardate, è strappata. Ho perduto tutto questo tempo e ho corso...

PELLADE. Mia povera Melisenda!... Avrei quasi paura di toccarti... Sei ancora senza fiato come un uccellino inseguito. Ed è per me che tu fai tutto questo?... Sento battere il tuo cuore come fosse il mio... Vieni qui... più vicino, più vicino a me...

MELISENDA. Perché ridete?

PELLADE. Io non rido; oppure rido di gioia, senza saperlo... Dovrei piuttosto piangere...

MELISENDA. Siamo venuti qui molto tempo fa... Mi ricordo...

PELLADE. Sì... Sì... Sono passati dei lunghi mesi. Allora non sapevo... Sai tu perché ti ho doman­dato di venire questa sera?

MELISENDA. No.

PELLADE. È forse l'ultima volta che ti vedo... Bi­sogna che me ne vada per sempre,

MELISENDA.  Perché dici che te  ne vai?...

PELLADE. Devo dirti quello che tu già sai? Non sai cosa io ti dirò?

MELISENDA. Ma no, ma no; io non so nulla...

PELLADE. Tu non sai perché bisogna che io mi allontani... (L'abbraccia bruscamente). Io ti amo...

MELISENDA (a bassa voce). Anch'io ti amo...

PELLADE. Oh! Cos'hai detto, Melisenda... Non ho quasi inteso! Si è rotto il ghiaccio con ferri roventi!... Tu dici questo con una voce che viene di capo al mondo!... Non ho quasi inteso... Mi ami? Anche tu mi  ami?...  Da quando mi ami?

MELISENDA. Da sempre... Da quando ti ho ve­duto...

PELLADE. Oh! come lo dici!... Si direbbe che la tua voce è passata sul mare in primavera!... Non l'ho mai intesa sino ad ora... Si direbbe che è pio­vuto sul mio cuore! Tu dici questo francamen­te!... Come un angelo che s'interroga! Io non posso crederlo, Melisenda!... Perché mi ami? Ma perché mi ami? È vero quello che dici? Non mi inganni? Tu non menti un poco, per farmi sorridere?...

MELISENDA. No, non mento mai; io non mento che a tuo fratello...

PELLADE. Oh! Come dici questo!... La tua voce! La tua voce... È più pura e più fresca dell'acqua! Si direbbe dell'acqua pura sulle mie labbra! Si direbbe dell'acqua pura sulle mie mani... Dammi dammi le tue mani... Oh! le tue mani sono pic­cole!... Io non sapevo che tu eri così bella!... Io non avevo mai visto nulla di così bello, prima di te... Ero inquieto, cercavo ovunque nella casa... cercavo dappertutto nella campagna... E io non trovavo la bellezza... E ora l'ho trovata!... L'ho trovata!... Io non credo che vi sia sulla terra una donna più bella di te!... Dove sei? Non ti sento più  respirare...

MELISENDA. Perché ti guardo...

PELLADE. Perché mi guardi così gravemente? Sia­mo già nell'ombra. È troppo oscuro sotto questo albero. Vieni nella luce. Non possiamo vedere quanto siamo felici. Vieni, vieni; ci resta così poco  tempo...

MELISENDA. No, no; restiamo qui... Sono più vi­cina a te nell'oscurità...

PELLADE. Dove sono i tuoi occhi? Non mi fuggi­rai? Non pensi a me  in questo momento.

MELISENDA. Ma sì, ma sì, non penso che a te...

PELLADE.  Guardavi  altrove...

MELISENDA.  Ti vedevo altrove...

PELLADE. Sei distratta... cos'hai dunque? Non mi sembri felice...

MELISENDA. Sì, sì. sono felice, ma sono triste...

PELLADE. Si è tristi spesso quando ci si ama...

MELISENDA. Io piango sempre quando penso a te...

PELLADE. Anch'io... anch'io, Melisenda... Io sono vicinissimo a te; eppure piango di gioia... (L'ab­braccia ancora). Sei strana quando ti bacio così... Sei bella e si direbbe che stai per morire...

MELISENDA. Anche tu...

PELLADE. Ecco, ecco... Noi non facevamo quello che volevamo... Io non ti ho amata la prima volta che ti ho vista...

MELISENDA. Neanch'io... Avevo paura...

PELLADE. Non potevo guardare i tuoi occhi... Vo­levo andarmene subito...  e poi...

MELISENDA. Io non volevo venire... Io non so ancora  perché avevo paura di venire...

PELLADE. Vi sono tante cose che non si sapranno mai... Noi attendiamo sempre; e poi... Cos'è que­sto rumore? Si chiudono le porte!...

MELISENDA.  Sì, si sono chiuse le porte...

PELLADE. Non possiamo più entrare! Senti i chiavistelli! Ascolta! Ascolta!... le grandi catene! È troppo tardi, è troppo tardi!...

MELISENDA. Meglio! meglio! meglio!

PELLADE. Tu?... Ecco, ecco!... Non siamo più noi che vogliamo!... Tutto è perduto, tutto è sal­vo! Tutto è salvo questa sera! Vieni! vieni... Il mio cuore batte come un folle fino al fondo della mia gola... (L'avvince). Ascolta! Ascolta! il mio cuore sta per soffocarmi... Vieni! Vieni!...  Ah! com'è bello fra le tenebre!...

MELISENDA.  C'è qualcuno dietro di noi!...

PELLADE. Non vedo nessuno...

MELISENDA. Ho inteso rumore...

PELLADE. Non odo che il tuo cuore battere nell'oscurità...

MELISENDA. Ho inteso scricchiolare le foglie morte...

PELLADE. È il vento che s'è taciuto improvvisa­mente... S'è taciuto mentre noi ci baciavamo...

MELISENDA. Come sono grandi le nostre ombre questa sera!...

PELLADE. Si allungano sino in fondo al giardi­no... Oh! come si abbracciano lontano da noi! Guarda! Guarda!...

MELISENDA (con voce soffocata). A-a-h! Indie­tro un albero!

PELLADE. Chi?

MELISENDA.   Golaud!

PELLADE. Golaud? Dove dunque? Io non vedo nulla...

MELISENDA. Là... alla fine delle nostre ombre...

PELLADE. Sì, sì; l'ho visto... non volgiamoci bru­scamente...

MELISENDA.  Ha la sua spada...

PELLADE. Io non ho la mia...

MELISENDA.  Ha visto che ci abbracciavamo...

PELLADE. Non sa che l'abbiamo visto... Non muo­verti; non volgere il capo... si precipiterebbe... Rimarrà sino a che crederà che noi non lo sap­piamo... ci osserva... È ancora immobile... Va via subito di qui... Io l'attenderò... L'attenderò...

MELISENDA. No, no, no!...

PELLADE. Va! Va! Ha visto tutto!... Ci ucciderà!

MELISENDA.  Meglio! Meglio! Meglio!

PELLADE. Viene! Viene!... La tua bocca!... La tua bocca!...

MELISENDA, Sì!... Sì!...  Sì!...

(S'abbracciano   perdutamente ).

PELLADE.  Oh!  Oh!  Tutte le stelle cadono!...

MELISENDA. Anche su me! anche su me!...

PELLADE.  Ancora!  Ancora!...  Dammi! dammi!..

MELISENDA.   Tutta! tutta! tutta!...

(Golaud si precipita su di loro con la spada in mano,  e  colpisce  Pellade,  che  cade  in  riva alla fontana.   Melisenda  fugge  spaventata).

MELISENDA (fuggendo). Oh! Oh! Non ho il co­raggio!... Non ho il coraggio!... (Golaud la insegue attraverso il bosco, in silenzio).


ATTO QUINTO

SCENA PRIMA

UNA SALA BASSA NEL CASTELLO.

(Si vedono le serve riunite, mentre al di fuori i fanciulli giuocano

davanti ad uno degli spiragli della  sala).

UNA VECCHIA SERVA. Vedrete, vedrete, figlie mie; sarà per questa sera. Ci si preverrà tra poco.

UN'ALTRA SERVA. Non sanno più cosa fanno...

TERZA SERVA. Attendiamo qui.

QUARTA SERVA. Sapremo bene quando bisognerà salire...

QUINTA SERVA. Quando il momento sarà giunto saliremo da sole...                      

SESTA SERVA. Non si ode più nessun rumore nella casa!...

SETTIMA SERVA. Bisognerebbe far tacere i fan­ciulli che giuocano innanzi allo spiraglio.

OTTAVA SERVA. Taceranno da sé tra poco.

NONA SERVA. Il momento non è ancor giunto...

(Entra una vecchia serva).

LA VECCHIA SERVA. Più nessuno può entrare nella camera. Ho ascoltato più di un'ora... Si u-drebbero camminare le mosche sulla parete... Io non ho sentito nulla...

PRIMA SERVA. L'hanno lasciata sola nella camera?

LA VECCHIA SERVA. No, no; credo che la sua camera sia  già piena di gente.

LA PRIMA SERVA. Si verrà, si verrà, tra poco...

LA VECCHIA SERVA. Dio mio! Dio mio! Non è entrala la felicità nella casa... Non si può par­lare,  ma se potessi dire ciò che so...

SECONDA SERVA. Siete voi che li avete trovati innanzi alla porta?

LA VECCHIA SERVA. Ma sì, ma sì; sono io che li ho trovati. Il portiere dice di essere stato lui a ve­derli per primo: ma sono io che l'ho svegliato. Dormiva con la bocca a terra e non voleva al­zarsi. E ora viene a dire: Sono io che li ho visti per primo. È giusto? Guardate, mi ero bruciata accendendo una lampada per discendere alla cantina. Cosa andavo dunque a fare alla cantina? Non posso ricordarmelo. Sentite: mi sono alzata alle cinque; non era ancora ben chiaro; discendo la scala in punta di piedi e apro al porta come fosse una porta qualunque... Mio Dio! Mio Dio! Cosa vedo! Indovinate cosa vedo!...

PRIMA  SERVA.  Erano davanti alla  porta?

LA VECCHIA SERVA. Erano entrambi davanti alla porta!... Simili a poveri che hanno fame... Erano stretti l'uno contro l'altro come bimbi che hanno paura... La piccola principessa era quasi morta, e il grande Golaud aveva ancora la spada nel fianco... Vi era del sangue sulla soglia...

SECONDA SERVA. Bisognerebbe far tacere i fan­ciulli... Gridano a squarciagola dinanzi allo spi­raglio...

TERZA SERVA. Non si sente più quel che si dice...

QUARTA SERVA. Non c'è nulla da fare; ho già provato; non vogliono tacere...

PRIMA SERVA. Sembra che sia quasi guarito?

LA VECCHIA SERVA. Chi?

PRIMA SERVA. Il grande Golaud.

TERZA SERVA. Sì, sì; lo hanno condotto nella ca­mera di sua moglie. Io li ho incontrati, poco fa, nel corridoio. Lo sostenevano come un ubriaco. Non può ancora camminar solo.

 LA VECCHIA SERVA. Non ha potuto uccidersi; è troppo grande. Ma lei non è quasi ferita ed è lei che morirà...  Comprendete questo?

PRIMA SERVA. Avete vista la ferita?

LA VECCHIA SERVA. Come vedo voi, figlia mia. Ho visto tutto, comprendete... L'ho vista prima di tutti gli altri... Una piccolissima ferita sotto il seno sinistro. Una feritina che non farebbe mo­rire un piccione. Questo è naturale?

PRIMA  SERVA.   Sì,  sì;  v'è  qualcosa  qui sotto...

SECONDA SERVA. Sì, ma è in doglie, sono or­mai tre giorni...

LA VECCHIA SERVA. Giusto!... È in doglie sul letto di morte; non è questo un gran segno? E che figlia! L'avete vista? Una bambinetta che un povero non vorrebbe mettere al mondo... Una fi­gurina di cera che è nata troppo presto... una fi­gurina di cera che deve vivere nella lana d'agnel­lo... Sì, sì; non è entrata la gioia in questa casa...

PRIMA SERVA. Sì, sì; é la mano di Dio che s'è mossa.

TERZA SERVA. E come il buon Pellade... dov'è? Nessuno lo sa...

LA VECCHIA SERVA. Sì, sì; tutti lo sanno... Ma nessuno osa parlarne... non si parla di questo... non si parla di quello... non si parla più di nul­la... non si dice più la verità... Ma io, io so che lo si è trovato il fondo alla fontana dei ciechi... ma nessuno, nessuno ha potuto vederlo... Ecco, ecco, tutto questo non si saprà che all'ultimo giorno...

PRIMA SERVA. Io non oso più dormire qui...

LA VECCHIA SERVA. Quando la Sventura è nella casa si ha un bel tacere...

TERZA SERVA. Si trova egualmente...

PRIMA  SERVA.   Hanno  paura di  noi ora...

SECONDA  SERVA.  Tacciono tutti...

TERZA SERVA. Abbassano gli occhi nei corridoi.

QUARTA  SERVA.   Non  parlano  più  che  a voce bassa.

QUINTA SERVA. Si direbbe che hanno com­messo un delitto tutti assieme...

SESTA SERVA.  Non si sa cosa hanno fatto...

SETTIMA SERVA. Cosa bisogna fare quando i pa­droni hanno paura?...

(Un  silenzio).

PRIMA SERVA. Non odo più gridare i fanciulli.

SECONDA SERVA. Si sono seduti dinanzi allo spiraglio.

TERZA SERVA. Si sono stretti gli uni contro gli altri.

LA VECCHIA SERVA. Non sento più nulla nella casa...

PRIMA SERVA. Non si ode più nemmeno respi­rare i fanciulli...

LA VECCHIA SERVA. Venite, venite; è tempo di salire....

(Escono tutte, in silenzio).

SCENA SECONDA

UN APPARTAMENTO  DEL CASTELLO.

(Si  vedono Arkële,  Golaud e  il Medico  in un canto della camera.

Melisenda è stesa sul letto).

IL MEDICO. Non è di questa piccola ferita ch'ella muore; anche un uccello non ne morirebbe... non siete dunque voi che l'avete uccisa, mio buon Si­gnore; non desolatevi così... Non poteva vivere... È nata senza ragione... per morire; e muore senza ragione... E poi, non è detto che noi non la salveremo...

ARKËLE. No, no; mi pare che noi tacciamo troppo, nostro malgrado, nella camera... Non è buon segno... Guardate come dorme... lentamente... len­tamente... Si direbbe che l'anima sua ha freddo per sempre...

GOLAUD. Ho ucciso senza ragione! Non è forse una cosa da far piangere le pietre?... Si erano baciati come fanciulli... S'erano semplicemente baciati. Erano fratello e sorella... E io, io su­bito!... L'ho fatto senza saperlo, vedete... L'ho fatto senza saperlo!...

IL MEDICO. Attenzione; credo che si svegli...

MELISENDA. Aprite la finestra... Aprite la fi­nestra...

ARKËLE. Vuoi che apra questa, Melisenda?

MELISENDA. No, no; la grande finestra... è per vedere...

ARKËLE. L'aria del mare non è forse troppo fredda questa sera?

IL  MEDICO. Fate, fate...

MELISENDA. Grazie... È il sole che tramonta?

ARKËLE. Sì; è il sole che tramonta sul mare; è tardi. Come stai. Melisenda?

MELISENDA. Bene, bene. Perché mi domandate questo? Non sono mai stata meglio. Eppure mi sembra che io sappia qualche cosa...

ARKËLE. Cosa dici? Non comprendo...

MELISENDA. Anch'io non comprendo più tutto quello che dico, vedete... Non so cosa dico... Non so quello che so... Non dico più quello che voglio...

ARKËLE. Ma sì, ma sì, sono tutto contento di udirti parlare così; hai avuto un po' di delirio in questi giorni e non ti si comprendeva più... Ma ora, tutto è lontano...         

MELISENDA. Io non so... Siete voi solo nella camera, nonno?

ARKËLE. No; vi è ancora il medico che ti ha guarita...

MELISENDA.   Ah!...

ARKËLE. E poi vi è ancora qualcuno...

MELISENDA. Chi è?

ARKËLE. È... non bisogna spaventarti... non ti vuole male, stanne certa... se hai paura se ne andrà... è molto infelice...

MELISENDA. Chi è?

ARKËLE. È... è tuo marito... è Golaud...

MELISENDA. Golaud è qui? Perché non mi viene vicino?

GOLAUD (trascinandosi ai piedi del letto). Melisenda... Melisenda...

MELISENDA. Siete voi, Golaud? Non vi ricono­sco quasi più... Si è che ho il sole del tramonto negli occhi... Perché guardate i muri? Siete di­magrito e invecchiato... È molto tempo che non ci siamo  visti?

GOLAUD (ad Arkële ed al Medico). Volete allon­tanarvi un momento, miei poveri amici?... la­scerò la porta spalancata... Un solo istante... Vorrei dirle qualche cosa; senza questo non potrò morire... Volete? Andate fino in fondo  al corri­doio; potete ritornar subito... Non rifiutatemi que­sto... sono un infelice...

(Escono Arkële e il Me­dico).

Melisenda, hai pietà di me, come io ho pietà di te?... Melisenda?... Mi perdoni.  Melisenda?...

MELISENDA. Sì, sì, ti perdono... Cosa bisogna perdonare?

GOLAUD. Ti ho fatto tanto male. Melisenda... Non posso dirti il male che ti ho fatto... Ma io lo vedo, lo vedo chiaramente oggi... per la prima volta... E tutto quello che io non sapevo sino ad ora, mi salta agli occhi questa sera... È tutta colpa mia, tutto quello che  è successo, e tutto quello che succederà... Se potessi dirlo, vedresti come lo ve­do!... Io vedo tutto, io vedo tutto!... Ma ti amavo tanto! Ti amavo troppo!... Ma ora; qualcuno mo­rirà. Io morirò... E vorrei sapere... Vorrei doman­darti... Non me ne vorrai?... Vorrei... Bisogna dire la verità a chi sta per morire... Bisogna che egli sappia la verità, altrimenti, non po­trebbe dormire... Mi giuri di dire la verità?

MELISENDA.  Sì.

GOLAUD.   Hai amato Pellade?

MELISENDA.  Ma sì; l'ho amato. Dov'è?

GOLAUD. Non mi comprendi? Non vuoi compren­dermi? Mi sembra... Mi sembra... Ebbene, ecco: Io ti domando se l'hai amato di un amore proi­bito... L'hai... Siete stati colpevoli? Di', di', sì. sì,  sì?

MELISENDA. No, no; non siamo stati colpevoli. Perché mi domandi questo?

GOLAUD. Melisenda!... dimmi la verità per amor di Dio!

MELISENDA. Perché non ho detto la verità?

GOLAUD. Non mentire più così, al momento di morire !

MELISENDA. Chi deve morire? Io?

GOLAUD. Tu, tu! ed io, anch'io, dopo di te!... E ci occorre la verità... ci occorre, alla fine, la verità, intendi? Dimmi tutto! Dimmi tutto! Ti perdono tutto...

MELISENDA. Perché devo morire? Io non sapevo.

GOLAUD. Ora lo sai!... È ora! È ora!... Presto! Presto!...  la verità!  la verità!...

MELISENDA. La verità... la verità...

GOLAUD. Dove sei? Melisenda! Dove sei? Non è naturale! Melisenda! Dove sei? Dove vai? (Scor­gendo Arkële e il Medico alla porta della stan­za). Sì, sì; potete rientrare... Non so nulla; è inu­tile. È troppo tardi; è già troppo lontana da noi... Non saprò mai!...  Morirò qui come un cieco!...

ARKËLE.  Cosa  avete  fatto?  Voi  l'uccidete...

GOLAUD. L'ho già uccisa...

ARKËLE. Melisenda...

MELISENDA. Siete voi, nonno?

ARKËLE. Sì, figlia mia... Cosa vuoi ch'io faccia?

MELISENDA. È vero che incomincia l'inverno?

ARKËLE. Perché domandi questo?

MELISENDA.   Perché fa freddo e non vi sono più foglie...

ARKËLE.   Hai freddo? Vuoi che si chiuda la finestra?...

MELISENDA. No, no... fin che il sole non sia in fondo al mare. Discende lentamente, allora è l'in­verno che comincia?

ARKËLE. Sì. Non ami l'inverno?

MELISENDA. Oh! no. Ho paura del freddo. Ah! ho paura dei grandi freddi...

ARKËLE. Ti senti meglio?

MELISENDA. Sì, sì; non ho più tutte quelle inquietudini...

ARKËLE. Vuoi vedere tua figlia?

MEL1SENDA.  Quale figlia?

ARKËLE. Tua figlia.  Sei mamma.  Hai messo al mondo una bambina...

MELISENDA. Dov'è?

ARKËLE. Qui...

MELISENDA. È strano...  non posso più alzare il braccio per prenderla...

ARKËLE. Gli è che tu sei ancora molto debole... la terrò io stesso; guarda...

MELISENDA. Non ride... È piccola... sta per pian­gere anche lei... Ho pietà di lei...

(La stanza è invasa, a poco a poco, dalle serve del castello che si dispongono in silenzio lungo i muri, attendendo).

GOLAUD (alzandosi bruscamente).  Cosa c'è? Co­sa vengono qui a fare tutte queste donne?

IL MEDICO.  Sono le serve...

ARKËLE. Chi le ha chiamate?

IL MEDICO. Non sono stato io...

GOLAUD. Perché venite qui? Nessuno vi ha chia­mate...  Cosa venite a fare qui? Ma cos'è dun­que?...  Rispondete!...

(Le serve non rispondono).

ARKËLE. Non parlate troppo forte... Sta per dor­mire; ha chiuso  gli occhi.

GOLAUD. Non è vero!

IL  MEDICO.   No, no; guardate, respira...

ARKËLE. I suoi occhi sono pieni di lagrime. Ora è l'anima sua che piange... Perché stende così le braccia? Cosa vuole?

IL MEDICO. È senza dubbio verso la figlia. È la lotta della madre contro la morte...

GOLAUD. In questo momento? In questo momen­to? Bisogna dirlo, dite! dite!

IL MEDICO. Può darsi...

GOLAUD. Subito?... Oh! Oh! Bisogna che glie lo dica... Melisenda! Melisenda!... Lasciatemi solo! lasciatemi solo con lei!...

ARKËLE. No, no; non avvicinatevi... Non turba­tela... Non parlate più... Voi non sapete cos'è l'anima...

GOLAUD. Chiude gli occhi...

ARKËLE. Attento... Attento... Bisogna parlare a bassa voce. Non bisogna più inquietarla... L'ani­ma umana è molto silenziosa... L'anima umana ama partir sola... Soffre così timidamente... Ma la tristezza, Golaud... ma la tristezza di tutto ciò che si vede... Oh! oh! oh!...

(In questo momento tutte le serve cadono ginoc­chioni in fondo alla stanza).

ARKËLE (volgendosi). Cosa c'è?

IL MEDICO (avvicinandosi al letto e toccando il corpo).   Hanno  ragione...

(Un  lungo  silenzio).

ARKËLE. Non ho visto nulla. Siete sicuro?

IL  MEDICO.  Sì.  sì.

ARKËLE. Non ho udito nulla... Così presto, così presto... Improvvisamente... Se ne va senza dir nulla...

GOLAUD (singhiozzando).  Oh!  oh!  oh!

ARKËLE. Non restate qui, Golaud... Le occorre il silenzio ora... Venite, venite... È terribile, ma non è colpa vostra... Era un piccolo essere così tran­quillo, così timido e silenzioso... Era un piccolo povero essere misterioso, come tutti... È là, come fosse la sorella maggiore della sua bambina... Ve­nite, venite... Mio Dio! Mio Dio!... Non ci com­prenderò nulla neppur io... Non restiamo qui... Venite; non bisogna che la bambina resti in que­sta camera... Bisogna che viva, ora, al suo po­sto... È la volta della povera piccina...

(Escono in silenzio).

F  I  N  E